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Riassunto conciso “Guida allo Studio delle Letterature Comparate” Laterza, Sintesi del corso di Letterature comparate

Riassunto per il corso di Letterature Europee è Traduzione del prof. Paolo Sordi

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

Caricato il 05/01/2022

Elena0505
Elena0505 🇮🇹

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Scarica Riassunto conciso “Guida allo Studio delle Letterature Comparate” Laterza e più Sintesi del corso in PDF di Letterature comparate solo su Docsity! Guida allo studio delle letterature comparate Introduzione Letteratura antica come letteratura comparata La letteratura comparata (o comparatistica) è una disciplina che studia i rapporti tra le letterature in diverse lingue. Le letterature comparate esistono in Occidente da più di 2000 anni, quando nell'Impero Romano c'erano due lingue principali: latino in Occidente e Greco in Oriente, che formavano un'unica entità culturale evidente soorattutto nella parte Latina dell'Impero. La cultura dell'antica Roma, infatti, era cosmopolita e cosciente dei propri debiti nei confronti di quella Greca. Fino al ‘900 questa disciplina ha mirato al giudizio qualitativo, esaminando quanto un brano fosse geneticamente legato al suo modello. Patristica, Medioevo, Rinascimento Quando l'Impero si divise e le due metà cominciarono a non leggere più l'una nella lingua dell'altra, la comparazione si spostò sul confronto con il linguaggio della Bibbia. Il linguaggio della Scrittura era definito "sermo humilis", ovvero una scrittura di livello basso, se paragonato a quello dei testi classici come Omero e Virgilio. Era però comprensibile da tutti, nonostante il suo contenuto fosse sublime, cosa che la fece elevare rispetto allo stile elaborato dei poeti classici. Il De Vulgari Eloquentia di Dante è di fatto un'opera di letteratura comparata in quanto sviluppa un paradigma di forme e temi basato sulla poesia provenzale e su quella italiana. Nel Rinascimento, Barocco e Classicismo torna alla luce in Occidente la letteratura greca. Si diffonde quindi di nuovo il costume di comparare i testi e gli autori. Tuttavia, mentre gli scrittori restarono aperti agli influssi provenienti da altre culture, gli studiosi si limitarono ciascuno alla propria letteratura nazionale, senza fare riferimento alle altre. Weltiteratur e le letterature comparate Sul finire del ‘700 l'urgenza di una teoria e pratica comparatistica si fece più presente. Nel 1800 Schlegel, uno dei fondatori della poetica romantica, pubblica il Dialogo sulla Poesia, nel quale analizza tutte le "epoche della poesia", prendendo come esempio gli autori principali (dai Greci ai Romani a fino a Dante, Petrarca, Ariosto, Cervantes, Shakespeare e Goethe). Neanche 30 anni dopo Goethe dichiara che è venuto il tempo della "Weltliteratur", ovvero della letteratura “universale”, del mondo intero. Egli riteneva che ormai la letteratura nazionale non avesse ragion d'essere, ma che gli intellettuali dovessero uscire dalla cerchia ristretta del proprio ambiente. Egli si trovava in una posizione ideale in quanto conosceva il tedesco, il greco, il latino, l'ebraico, il francese, l'italiano, l'inglese e lo spagnolo. Tuttavia, dovettero trascorrere altri 50 anni affinché il comparatismo ricevesse nuovi impulsi fondamentali. Problemi e vie d’uscita nel ‘900 Tra ‘800 e ‘900 i terreni privilegiati della comparatistica sono quelli positivisti di Francia e Germania in primis. Negli anni ‘20, poi, il Formalismo russo intraprende una nuova via quando fonda l'analisi critica con metodo scientifico, dando notevole impulso alle letterature comparate. Problema fondamentale della letteratura comparata è quello di poterla praticare senza rompere con la filologia, l'unica scienza per così dire congenita agli studi letterari. AI di fuori del rapporto genetico o di influenza diretta che lega due opere, infatti, la ricerca si svolge in modo incerto. Nel corso del 20° secolo si sono cercate delle soluzioni, e tre di queste sono state elaborate dai più grandi filologi romanzi del secolo: -. Erns Robert Curtius: ha elaborato una vera e propria fenomenologia della letteratura, che bada ai luoghi comuni impiegati dalle letterature nazionali, fino a ricostruire un tessuto comune in larga parte sorretto dal corpus latino dell'epoca. Grazie a Curtius si afferma una volta per tutte la nozione di "letteratura europea”. - Erich Auerbach: risolse il problema di non perdere di vista la dimensione storica facendo uso della stilistica, ovvero lo studio dei mutamenti stilistici. Auerbach riprende anche l'idea goethiana di Weltliteratur, stabilendo che la patria filologica è la terra, non può più essere la nazione. - Leo Spitzer: i suoi saggi sono tutti improntati alla critica stilistica volta a creare una storia semantica di un'idea. Da queste prospettive sono nate molte opere contemporanee che spaziano attraverso diverse letterature. Prospettive contemporanee e Word Literature Gli ultimi due decenni del ‘900 hanno segnato una svolta cruciale negli studi comparatistici, i quali ora si aprono verso arti diverse dalla letteratura e verso tradizioni culturali diverse da quelle Europee o Americane. Tutti i volumi più importanti dedicati alla letteratura comparata degli ultimi anni presentano una sezione dedicata alla "World literature", un fenomeno particolarmente importante nel mondo angloamericano ma che ha ormai assunto proporzioni planetarie e che sembra condurre la letteratura comparata verso la letteratura universale. L’epica I poemi omerici: l'/liade | poemi omerici aprono la tradizione epica occidentale, potrebbero apparire perfetti ma nascondono molti problemi. Ferrucci sosteneva che a loro si deve l'introduzione dei due modelli che domineranno poi la nostra letteratura: quello dell'assedio e quello del ritorno. Costituiscono inoltre i due prototipi di narrazione che già Aristotele, nella Poetica, aveva individuato: l'Iliade è “semplice” e “luttuosa”, ricca di pathos, Omero infatti decide di non raccontare tutti gli eventi della guerra di Troia ma solo quelli legati all'ira di Achille. L'Odissea rappresenterebbe la tentazione dell'oblio, mentre il confronto con Polifemo rappresenta lo scontro con l'altro da sé, il mostro, il primitivo. Le sirene rappresenterebbero la seduzione del canto, della morte, della conoscenza, della bellezza carnale (l'immagine di Ulisse legato all'albero della nave verrà interpretata in ambito cristiano come prefigurazione di Cristo inchiodato alla croce). Il soggiorno presso Calipso e il rifiuto dell'immortalità, la nostalgia (intesa come malattia del ritomo) possono essere letti come fedeltà al proprio essere uomo. La visita all'Ade (nékyia: evocazione dei morti, quindi l'incontro con la madre, Achille, Agamennone ecc.) si colloca significativamente al centro della trama poiché costituisce l'esperienza suprema della morte dal quale l'eroe è toccato nel profondo, cioè nelle sue radici esistenziali (la madre), della propria giovinezza (i compagni di Troia) e del passato della sua gente nel quale egli deve sprofondare per poterne riemergere vivo. 3. Libri 13 — 24 la terza sezione dell'Odissea è dedicata al ritorno a Itaca su una nave dei Feaci e alla riconquista da parte di Ulisse della moglie e della sua reggia. Ulisse riparte ancora una volta da zero come quando era arrivato a Scheria (nudo ed incrostato di sale, come un vero Nessuno), Atena lo ha infatti trasformato in un vecchio mendicante. Questa è la parte del poema nella quale si succedono in crescendo le scene di riconoscimento e mancato riconoscimento: Telemaco, il cane Argo, la nutrice Euriclea, Penelope, Eumeo, Filezio e il padre Laerte. Le scene di riconoscimento hanno già segnato le altre due sezioni del poema tanto da spingere Aristotele a definirlo “complesso”. Si assiste poi a come Ulisse prepari la vendetta sui proci dopo aver vinto la gara con l'arco. Dopo aver passato una notte finalmente con la sua sposa si ricongiungerà col padre e poi Atena stabilirà pace tra i suoi e i parenti dei Proci. Il poema è sfaccettato come il suo protagonista (Ulisse è polytropos, dai molti lati). L'Odissea è legata al mare ma entra anche nei palazzi, nelle capanne e nei giardini incantati ed è capace di comprendere l'animo di una donna fedele al marito, benché sia rimasta sola per vent'anni, ma anche quello di una fanciulla come Nausicaa che prova attrazione per lo straniero venuto dalle acque. È anche il poema del decadimento, dove tutti i personaggi della guerra di Troia sono invecchiati, ma celebra la vita e l'amore persistente tra moglie e marito. Penetra nella psiche degli dei, dei re, dei guerrieri, delle donne per la 1° volta (Penelope, Elena, Nausicaa, Circe, Calipso, Euriclea). Situa al suo centro l'eroe dell'esperienza umana, dell'intelligenza e della sopravvivenza, che, ridotto al nulla, rifiuta l'immortalità e riconquista la propria identità di uomo. L'Odissea mostra sì la forma dell'epica ma è il prototipo di quello che più tardi si chiamerà romanzo. Aristotele sosteneva che la scena di riconoscimento con Alcinoo avviene attraverso la memoria ma questa è destata dal canto dell'aedo Demodoco e dunque il riconoscimento è messo in moto dalla poesia stessa. Nella penultima scena di riconoscimento, quando Ulisse rivela alla moglie il segno segreto del letto da lui scavato nell'ulivo, Penelope piange e diventa come un naufrago scampato alla tempesta, diventa Ulisse. Polifemo, insieme a Zeus, decide di pietrificare la nave dei Feaci, così facendo Zeus compie un'azione ingiusta perché i Feaci difendono l'ospitalità a lui cara. Poseidone vorrebbe anche schiacciare l'intera città dei Feaci ma non sappiamo la decisione di Zeus e quindi se il mondo sia retto da un dio benevolo o vendicativo. Il poema resta poi enigmaticamente aperto: la profezia di Tiresia prometteva a Ulisse il ritorno a casa ma prefigurava anche un ultimo viaggio verso un paese che non conosce mare, navi, cibo condito con il sale e dove un remo potrà essere scambiato con una pala da grano... una landa fuori dall'esperienza della Grecia arcaica e dunque un viaggio potenzialmente senza fine. Eneide: fusione di Iliade e Odissea. Epica dell’essere e del divenire. | prototipi narrativi dell’/liade e dell'Odissea si fondono nell'ultimo modello epico della classicità: l'Eneide. La si potrebbe definire un esodo da Troia, un'odissea per mare, un'iliade italica e laziale e l'origine di Roma e dei Romani. È un racconto eroico del fato e della pietas che si mescolano alla premonizione della conquista imperiale e come testimonia la vicenda di Didone, al dramma dell'eros, d'ora in poi non più eliminabile dal racconto eroico. Questo canto epico mostra una civiltà matura ed autocosciente ma la Roma augustea, mandando in esilio Virgilio, il suo autore, lancia un altro modello con un infinito intreccio di vicende che, come la Genesi, parte dal Principio e che decide l'epica del divenire: le Metamorfosi di Ovidio. C'è un genere di epica che non è peculiare dell'Occidente: l'epos dell'essere e della verità, al confine tra poesia, filosofia e scienza. I nomi che risaltano sono quelli di: Empedocle, Parmenide e Lucrezio. | loro versi sulla Natura testimoniano non solo nella forma l'impulso omerico ed esiodeo che li sostiene e aprono in maniera epica dei racconti eroici che narrano la conquista della verità e l'innamoramento per la sapienza. Aristotele stesso vede nella meraviglia il principio generatore della filosofia, della scienza e della poesia. Questo impulso ha dominato l'immaginario europeo in forma epica perché coinvolge l'io nel viaggio verso il sapere, ne fa l'eroe della conoscenza (diramazioni dirette ne sono il Dante della Commedia). CRISTIANESIMO: epica ‘barbarica’ e cortese. Con l'ingresso del Cristianesimo nella cultura europea il modello di racconto eroico cambia, non tanto nei Vangeli che narrano le vicende terrene di Gesù e che culminano nella passione e nella resurrezione, quanto nelle agiografie (l'insieme dei testi composti in onore dei santi e per celebrame la memoria) che poco dopo consacrano il nuovo eroe: il santo. Le vite dei santi assorbono il modello antico in un nuovo modello eroico basato sull'epica dell'umiltà (comprende i miracoli, la predicazione, la furia bellica contro i pagani, gli infedeli, il diavolo e il pellegrinaggio). Poco dopo l'epica germanica e nordica immette nella tradizione modelli non molto diversi ma più “primordiali”... potremmo dire che in Beowulf viene cantata la Creazione cristiana. In epoca feudale prende il posto dell'eroe germanico il cavaliere: egli conserva l'impulso combattivo, ma lo mette al servizio di un ideale cristiano e allo stesso tempo di una donna. Diviene così una sorta di santo dominato dall'eros e dalla fede. È come un ibrido, errante come Ulisse non per mare ma per foreste, attende l'avventura in un intreccio casuale che più tardi rivela il suo senso profondo. È l'epica che diviene romanzo cortese. Questa è l'erede medievale dell'epica classica. Con un fondale storico si trasforma nel “poema eroico” del Tasso, se si sostituisce un cavaliere con un duca o un re si avrebbero i drammi “romanzeschi” di Shakespeare, se il cavaliere venisse invece rimpiazzato da un marinaio avremmo una storia alla Coleridge, alla Veme e forse persino alla Crusoe. Mentre se a partire fosse un picaro (vagabondo, avventuriero) qualsiasi ci troveremmo di fronte a un Lazarillo de Tormes o un Tom Jones. L’epica cristiana e le sue trasformazioni. L'epica più tradizionalmente intesa esiste ancora, con soltanto due anelli mancanti. Il componimento Africa di Petrarca fu un fallimento ma è prova della brama di ricreazione dell'epica classica. L'altro anello mancante è la Commedia dantesca: un “romanzo teologico", ma anche narrativa del ritorno, racconto eroico dell'io e del viaggio, ricerca della verità, cammino mistico, in una parola: epica. La Commedia è, dall'inizio alla fine, pervasa dal tema della Creazione. Nel tardo Rinascimento e nel Barocco, la poesia europea disegna il canto epico della Genesi e si trovano opere in lingue diverse come: il Microcosme di Scève, Il Mondo Creato di Torquato Tasso o Paradise Lost di Milton. È quindi un fenomeno che percorre tutta l'Europa, un'espansione nuova verso Dio. AI contrario della Commedia, queste opere sono tutte mosse da un impulso epico che, sulla scia dell'Africa di Petrarca o del Teseida di Boccaccio, è poi sbocciato nel canto epico cavalleresco dell'Ariosto e del Tasso. Inoltre, la maggior parte di questi testi intendono riscrivere i resoconti canonici della Bibbia cristiana. Quando arriviamo a Milton l'epica cristiana raggiunge di nuovo, dopo più di 3 secoli, una seconda vetta: nel 5° libro di Paradise Lost Milton tenta di combinare da una parte la riscrittura biblica con la riscrittura del mito classico e dall'altra la riscrittura della poesia italiana con una nuova mimesi derivata dalla scienza italiana. L'Ermes di Omero, divenuto Mercurio e Iride in Virgilio, nella Gerusalemme Liberata si era già trasformato nell’Arcangelo Michele, Milton lo trasforma invece nell'Arcangelo Raffaele e si lascia ispirare da Omero, Virgilio e Tasso nella descrizione del volo che egli compie per aggiungere Adamo ed Eva e avvertirli del pericolo rappresentato da Satana. Quando Raffaele arriva la porta del cielo gli si spalanca come si era aperta per Era e Atena nell'/liade V o per San Pietro negli Atti degli Apostoli. Mentre Raffaele osserva il cielo, Milton usa due similitudini: la 1° quando paragona i suoi occhi a un telescopio, la 2° è ispirata alla classicità, quella del pilota che intravede un'isola remota. La poesia di Milton fa quindi affidamento allo stupore che un lettore dei suoi tempi avrebbe provato guardando attraverso un telescopio o strizzando gli occhi per scoprire Delo, come un marinaio greco dell'antichità. Milton poi si spinge anche più avanti di Tasso, cercando di accordare le due mitologie dominanti del suo poema, quella classica e quella cristiana. Paradise Lost rappresenta lo stadio finale dell'epica tradizionale, quella che discende da Omero e dalla Bibbia. In Inghilterra il genere viene poi deriso in versi e in prosa nell'opera di Pope The Rape of the Lock e nel Tom Jones di Fielding. Gli esiti più inattesi del canto epico vengono poi con il Romanticismo: con il poema The Prelude di Wordsworth, il Don Juan di Byron e altri... Tutti mostrano quanto sia soggettiva la nuova epica e quanto il vero protagonista sia l'artista stesso. L'epica in prosa Una metamorfosi ancor più sorprendente arriva nell'800, quando l’epica abbandona la poesia per diventare prosa, come si vede nel Moby Dick di Melville o in Guerra e Pace di Tolstoj: uno costruito intomo ai modelli di Satana di Milton, del Faust di Goethe e dell'Ulisse Gerusalemme e manda i discepoli a cercare un asino e un puledro così che si compisse ciò che era stato annunciato dal profeta: “Dite alla figlia di Sion: ecco, il tuo re viene a te seduto su un'asina con un puledro figlio di bestia da soma”. Si ha l'impressione che gli Evangelisti abbiano a volte impostato il racconto di un evento o di un discorso di Gesù proprio per dimostrare che egli “compie” fatti o profezie della Bibbia ebraica. Giovanni arriva addirittura a mettere sulle labbra di Gesù affermazioni che lo legano alle autoproclamazioni fondanti del Dio d'Israele. In un passo Gesù risponde ai suoi oppositori: "In verità vi dico: prima che Abramo fosse, lo Sono". L'identità reclamata da Gesù possiede le tinte della filosofia greca dell'essere assoluto e riecheggia deliberatamente le parole di Yahweh a Mosè nella misteriosa teofania (manifestazione sensibile della divinità) del roveto ardente, dove il Signore ordina a Mosè di dire agli israeliti: "lo-Sono mi ha mandato a voi". I Vangeli sembrano quindi costruiti al fine di imitare l'Antico Testamento: ad esempio la sequenza centrale di Matteo (dopo il racconto dell'infanzia e prima di quello della Passione) è articolata in 5 unità, riprendendo dunque la struttura del Pentateuco (i primi 5 libri della Bibbia ebraica). | vangeli vogliono continuare e “compiere” le Scritture ebraiche ed inaugurano il Nuovo Testamento che presenta anch'esso scene enigmatiche e misteriose, che destano infiniti interrogativi. Quali segni traccia per tera Gesù quando gli scribi e i Farisei gli portano davanti una donna adultera e gli domandano se debbano lapidaria? Perché i discepoli non riconoscono in Giuda il traditore nonostante le indicazioni ricevute nell'Ultima Cena? Perché Maria di Magdala non riconosce Gesù dopo la resurrezione? Oppure perché ci sono due definizioni contrastanti della natura e del fine delle parabole come mostrano Marco e Matteo mediante un'alterazione di un “affinché” e di un ‘perché"?: e In Marco, quando i Dodici domandano a Gesù perché gli parli in parabole, egli, citando Isaia, risponde: "A voi è stato dato il mistero del regno di Dio, ma per quelli che sono fuori tutto avviene in parabole, affinché ‘guardino ma non vedano, ascoltino, ma non intendano...". e In Matteo Gesù, citando sempre Isaia, dice: "Perché a voi è dato di conoscere i misteri del regno dei cieli, ma a loro non è dato... Per questo parlo loro in parabole: perché pur vedendo non vedono, e pur udendo non odono... ". In Marco l'uso delle parabole sembra negare ogni possibilità di salvezza a “quelli che ne sono fuori”, in Matteo invece le parabole sembrano servire alla comprensione e alla salvezza degli stessi. Nessuna narrativa prima dei Vangeli, neppure la Bibbia Ebraica, contiene un numero così alto di parabole e miracoli che determinano, con la loro natura di brevi e misteriose narrative, la nascita di un genere nuovo, che giunge fino a Dostoevskij e Kafka. All'intemo della narrativa si trovano episodi particolarmente significativi, come il colloquio tra Gesù e Pilato: Gesù si è proclamato Via, Verità e Vita. Egli, è per il Vangelo, la Verità. Pilato la ha davanti a sé, nella camme, e non la riconosce. Non si potrebbe immaginare un incontro più sordo fra due culture. Il fatto è narrato con essenzialità e semplicità, cose ignote alla letteratura greco-romana. La narrazione evangelica, infatti, come quella della Bibbia ebraica, non si perde in particolari non funzionali al suo scopo. Lo stile appartiene al “sermo humilis", il discorso dimesso che si contrappone a quello “alto” dei testi pagani. | Vangeli di Matteo e di Luca raccontano la nascita e l'infanzia di Gesù tramite il susseguirsi di profezie ed eventi più o meno “miracolosi” che hanno lo scopo di inquadrare l'intera vicenda come preordinata da Dio, e di inserire in essa i due estremi che la 10 contraddistinguono: speranza e tragedia. La narrazione arriva fino alla Passione, Morte e Resurrezione. La letteratura greco-romana non conosce nulla del genere, nulla di così straziante come la lentissima sequenza che conduce dall'Ultima Cena alla salita sul Calvario e alla crocifissione. Il momento in cui Gesù spira sulla croce è talmente intollerabile che i 4 Vangeli ne offrono diverse versioni. e In Marco e Matteo, Gesù muore come un uomo disperato che si sente tradito dal Padre gridando un eco del Salmo 22: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?" e InLucasi affida invece alla volontà dello stesso Dio, gridando dal Salmo 31: "Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito". e In Giovanni infine, chi muore sulla croce è un trionfatore... Gesù sa che ora la sua opera e quella di Dio stanno per compiersi. La tragedia ha poi un epilogo inatteso. Il romanzo greco già presenta scene di rinascita dopo morti apparenti, i vangeli, però, compiono un passo ulteriore: Gesù risorge dai morti e appare alle donne e ai discepoli. e Marco non racconta la resurrezione ma mette in scena l'annuncio, ovvero quando le donne che vanno al Sepolcro vedono un giovane vestito di bianco che le avverte che Gesù è risorto, esse scappano terrorizzate e Matteo trasforma invece il giovane in un angelo e aggiunge al terrore delle donne la loro “gioia grande” e l'incontro con Gesù risorto e Luca riprende Marco e Matteo, ma inserisce nella sequenza l'incredulità degli Apostoli alle chiacchiere delle donne e la corsa di Pietro alla tomba. Ma soprattutto aggiunge l'episodio di Emmaus: quando due discepoli in cammino verso il villaggio di Emmaus incontrano improvvisamente Gesù, il quale domanda loro di cosa stessero parlando, loro gli riferiscono con scetticismo l'annuncio delle donne. Gesù li rimprovera e gli impartisce una lezione di esegesi biblica (studio e indagine dei testi biblici). In seguito i discepoli lo invitano a mangiare insieme e a tavola Gesù benedice il pane e lo spezza, ripetendo così i gesti eucaristici dell'Ultima Cena. Solo allora gli occhi dei discepoli si aprono e lo riconoscono. Il tragico Tragico e tragedia L'esperienza tragica precede la tragedia come genere letterario. Per esempio nell'Iliade, c'è una scena in cui Achille insegue Ettore attorno alle mura di Troia senza mai raggiungerlo, Zeus tende la bilancia d'oro e vi colloca due sorti di morte crudele, l'una di Achille e l'altra di Ettore. Il destino di Ettore piomba in basso, nell'Ade. Apollo lo ha abbandonato e nemmeno Zeus può opporsi al fato. È questo il cuore dell'esperienza tragica. È tra il 6° e 5° secolo a.C. che i racconti mitici della Grecia arcaica trovano una rappresentazione pubblica nei teatri con le tragedie. Queste nascono probabilmente da riti religiosi legati al culto di Dioniso e si sviluppano in un genere che deve aver avuto tanto successo ma che morì nel giro di un secolo. Aristotele esamina le caratteristiche di questo 11 genere quando ormai i grandi autori tragici come Eschilo, Sofocle ed Euripide erano scomparsi. La tragedia è per Aristotele “opera imitativa di un'azione seria, completa, con una certa estensione... condotta da personaggi in azione e non esposta in maniera narrativa, adatta a suscitare pietà e paura, producendo di tali sentimenti la purificazione (catarsi) che i patimenti rappresentati comportano”. Essa è fatta di 6 elementi: 1. racconto (mythos) caratteri pensiero linguaggio musica 6. spettacolo Quello centrale è il racconto, ossia la trama, poiché la tragedia è imitazione di un'azione. Nell'intreccio sono poi essenziali la “peripezia” (ribaltamento dell'azione), il riconoscimento e la catastrofe (pathos). L'organizzazione degli eventi di una tragedia è ottima quando questi sembrano nascere non spontaneamente o casualmente, ma “gli uni dagli altri contro ogni aspettativa", risultando così ancor più “terribili e compassionevoli” e suscitando maggiore meraviglia. DBARWN Altre 3 caratteristiche della tragedia appaiono fondamentali nella trattazione aristotelica: che il dramma si sviluppi in famiglia o tra rapporti di amicizia. I| personaggio deve essere “medio” e al centro della sua azione si deve trovare una “colpa”. Secondo Aristotele, i miti tramandati non possono essere alterati ma si può modificare il modo di metterli in scena per renderli più emozionanti. La situazione ottimale di una tragedia è quella che prevede la philia: “un fratello a fratello; un figlio al padre; la madre al figlio; il figlio alla madre che arreca o medita morte o sta per compiere una simile azione..." In questi casi la tragedia esprime al meglio il senso del tragico perché tocca i rapporti intimi di ciascuno di noi. Quanto ai caratteri dei personaggi devono essere nobili, naturali e coerenti secondo i principi di verosimiglianza. Per quel che riguarda la trama, bisogna ricordare che, secondo Aristotele, deve essere sempre tesa a suscitare pietà e paura, per questo il personaggio deve essere “medio”. Non può essere un uomo eccellente che passa dalla buona alla malasorte, perché questa non è una situazione compassionevole o terribile, bensì ripugnante. Serve invece un personaggio intermedio che non spicchi in virtù e giustizia e che cada nella sventura per una qualche colpa (hamartia) e non per cattiveria, come nel caso di Edipo, che uccide il padre e sposa la madre senza sapere chi fossero. La colpa è spesso commessa inconsapevolmente poiché l'uomo, benché non sia colpevole, condivide la colpa potenziale degli esseri umani in quanto tali. La tragedia greca e l'Orestea di Eschilo Aristotele discute della tragedia che si era sviluppata in Grecia e benché la Poetica abbia avuto una grande influenza nella tradizione occidentale dopo la sua diffusione nel Rinascimento, in realtà andrebbe ritenuta da una parte legata storicamente alla produzione drammaturgica del 5° secolo a.C., mentre da un punto di vista filosofico, riguarda l'esperienza tragica di tutte le epoche. 12 (al plurale) dei briganti che uccisero Laio, Edipo replica chiedendo come avrebbe potuto l'assassino (al singolare) commettere quest'atto... così da accusare sé stesso senza pensarci. Inoltre, quando più avanti annuncia che combatterà per Laio “come fosse suo padre” si raggiunge il culmine dell'ironia tragica. Nella parola di Edipo il linguaggio umano e quello divino si fondono. La tragedia mostra come l'ambiguità di Edipo, l'essere egli stesso un enigma, viene risolta dal rovesciamento di parole ed immagini. Il vocabolario che descrive Edipo viene sistematicamente ribaltato di significato: il suo stesso nome, Oidipous può voler dire “uomo dal piede gonfio” ma anche “uomo che conosce l'enigma del piede”. La Sfinge domandava qual è l'essere che è al contempo dai due, tre e quattro piedi? La risposta è l'uomo. Ma la domanda finale di Edipo poi sarà: chi sono io? E la risposta è precisamente: l'enigma della Sfinge. È l'uomo che si identifica con i suoi figli e con suo padre: bambino, adulto e vecchio allo stesso tempo. È lui la risposta, e la risposta stessa è un enigma. L'intreccio si basa sul meccanismo di rovesciamento. Ci sono 3 livelli: Il 1° è quello che riguarda l'inchiesta, la profezia, il litigio con Creonte e Tiresia, l'arrivo del messaggero da Argo e la comparsa del vecchio pastore, ovvero l'azione che porta alla luce il passato di Edipo di cui egli non è consapevole. L'azione però svela anche gli elementi del passato che sono noti ad Edipo, come l'episodio con la Sfinge narrato all'inizio del dramma. Dal momento in cui arriva il messaggero da Argo i tre livelli: azione, passato e antefatto, iniziano a confluire fino ad esplodere nel riconoscimento con l'arrivo del vecchio pastore. Ci sono due momenti in particolare che sono entrambi di mancato riconoscimento. 1. Il primo è la sovrapposizione, la confusione di due oracoli paralleli: sia Laio che Edipo avevano consultato l'oracolo di Apollo, che aveva detto al primo che sarebbe stato ucciso da suo figlio, e al secondo che avrebbe ucciso suo padre. | due oracoli corrispondono alla precedente allusione di Tiresia alla maledizione di padre e madre e alla menzione della relazione intima “terribile” che Edipo ha con i suoi cari. Eppure Edipo, l'uomo che scioglie gli enigmi, non stabilisce un collegamento tra di essi, non riesce a riconoscere la verità, trascura la coincidenza. Il non riconoscimento ha luogo a questo punto per evidenziare l'incapacità di Edipo di fare 2+2 e giungere alla giusta conclusione: non vuole riconoscere questa verità finché non sarà costretto dagli eventi. Non vuole riconoscere tale coincidenza poiché significherebbe che Tiresia aveva ragione e che lui è assassino di suo padre e marito di sua madre. Edipo è l'icona dell'uomo che si rifiuta di vedere la verità mentre la sta cercando. Edipo riesce a fare il collegamento di essere l'assassino di Laio, ma non quello di essere suo figlio. 2. Edipo infatti trascura un segno fondamentale: il piede perforato. Giocasta menziona che suo figlio era stato mandato via con le “giunture dei piedi legate insieme”, mentre il messaggero di Argo lo menziona come una caratteristica del bambino ritrovato sul monte, dicendo che egli stesso gli aveva sciolto le “caviglie perforate”. Edipo dovrebbe riconoscere nella sua stessa came cosa significa questo, ma sceglie di ignorarlo. Il non-riconoscimento per Edipo si articola quindi in due momenti dove il secondo conferma il primo e lo rende più grave. Egli rimuove quindi l'indizio che avrebbe potuto risolvere l'enigma dimenticandosi di sé stesso, dei suoi piedi. Edipo rappresenta la nuova “scienza” umana, razionale che si serve dell'esperienza, 15 dell'indagine, contrapposta al sapere di Tiresia la cui conoscenza è arcaica. Edipo è insieme malattia e medicina (purificherà Tebe dalla pestilenza da lui causata). Il dibattito sui diversi tipi di conoscenza, sulla verità, sulla saggezza e sulla scienza è il tema attraverso il quale Sofocle costituisce il passaggio dall'ignoranza alla conoscenza. L'oracolo di Apollo viene da Delfi e il motto di Delfi è “conosci te stesso”. Nel testo si trovano entrambi i significati dell'espressione, cioè sia “uomo riconosci che sei soltanto un uomo” e sia “uomo conosci te stesso”. Questo è quello che Edipo vuole: conoscere chi sia, la propria origine. Edipo persegue il motto di Delfi come se il “sé stesso" fosse qualcosa di esterno all'uomo, come un fenomeno naturale che debba essere esaminato e spiegato dalla scienza. La tragedia dell’ironico “conosci te stesso" di Edipo consiste nel mostrare la difficoltà che sta nel conseguire razionalmente tale conoscenza e soprattutto come essa, una volta acquisita, riveli all'uomo la sua nullità, rendendo Edipo cieco e annichilito ma allo stesso tempo costretto ad una sorta di immortalità (è come se avesse mangiato il frutto dell'albero della conoscenza e fosse divenuto simile a Dio). Tiresia all'inizio esclama: “Ahi come è terribile sapere, quando non giovi a chi sa!, parlando della propria situazione ma alludendo anche a quella di Edipo alla fine dell'opera. Anche Giocasta quando comprende chi è Edipo esclama: “Sventurato che tu non sappia mai chi seil” (questa affermazione capovolge il motto delfico “conosci te stesso"). Il riconoscimento comporta che noi, come Tiresia, desideriamo ora dimenticare la nostra conoscenza della conoscenza e rimpiangiamo l'oblio dell'ignoranza. Questa è una delle verità che l'Edipo re ci presenta, ma la verità di Edipo personaggio è diversa. Edipo si lamenta sia per la tortura che sta soffrendo nella carne, sia che per la memoria dei propri mali, conoscenza ormai permanente ed innegabile. Ora che è diventato cieco, povero e senza potere, non è più quel tiranno con il Coro (che rappresentava la città) ma adesso è un uomo fra gli uomini. Il passaggio di Edipo dall'ignoranza alla conoscenza è una discussione sulla conoscenza stessa e sul valore del conoscere sé stessi. La conoscenza non è un bene per sé. Ulisse riconosce sé stesso, la madre morta, il figlio, la moglie, il padre. Edipo riconosce sé stesso, il padre, la madre, la moglie, i figli. Ma mentre Ulisse con la sua lunga assenza rende il riconoscimento una sublimazione dei sentimenti, Edipo rende il suo riconoscimento una maledizione per il genere umano. Il riconoscimento di Ulisse ci permette di colmare il vuoto, ci rende uno e molti e ci spinge a desiderare la conoscenza. Il riconoscimento di Edipo svuota la nostra pienezza, ci fa scansare con orrore la conoscenza e ci rende “pari al nulla”. Dalle Baccanti di Euripide alla Passione di Cristo e oltre Fra l'Orestea di Eschilo e le Baccanti di Euripide passano 50 anni e benché l'Edipo a Colono di Sofocle sia posteriore alle Baccanti di Euripide, si cerca di considerare quest'ultima come l'epilogo della stagione tragica di Atene. Il tema e l'azione delle Baccanti riguardano il riconoscimento della propria natura divina che Dioniso vuole a tutti i costi ottenere dagli abitanti di Tebe. Dioniso, al culto del quale è legata la nascita stessa della tragedia, è dio del piacere, del vino e del teatro. È nato dall'unione di Zeus con la tebana Semele ma a Tebe girano voci, alle quali presta fede il Re Penteo, 16 secondo le quali Semele abbia generato Dioniso con un uomo. Dioniso giunge nella città per proclamare la sua divinità, seminando nel frattempo, nelle donne di Tebe, un germe di follia che le spinge a salire sul monte Citerone e a celebrare, da vere “baccanti", dei riti in suo onore. Penteo, nonostante le esortazioni di Cadmo e Tiresia, rifiuta di credere alla sua divinità, ritenendolo più un demone e facendolo così arrestare. Il dio si lascia catturare e poi scatena un terremoto per liberarsi. Persuaso da Dioniso, Penteo si traveste da donna in costume di baccante e accompagna il dio sul monte Citerone. Dioniso però scatena le donne contro di lui e la stessa madre del Re, Agave, lo fa a pezzi. Poco dopo questa appare con un bastone sul quale è conficcata la testa del figlio, che lei crede essere quella di un leone. Cadmo riesce a strappare la donna dalla follia che riconosce immediatamente il delitto commesso. Giunge allora la teofania (manifestazione sensibile della divinità) di Dioniso che dichiara di aver voluto punire chi non credeva nella sua divinità, condannando Agave e Cadmo all'esilio. Più che un dramma religioso le Baccanti mettono in scena il dramma di una particolare forma di religione. Il ritratto della divinità nelle Baccanti non è piacevole, Dioniso dimostra crudeltà e superiorità, il suo imperturbabile sorriso dà l'impressione di ironia e disprezzo, rimanendo sempre ambiguo. L'intreccio, che sbocca nell'uccisione di Penteo da parte delle donne invasate tra cui la sua stessa madre, mostra una crudeltà che nessuna fede può giustificare. Questa religione quindi può condurre alla catastrofe tragica e forse Euripide voleva indicare il legame originario tra culto religioso e tragedia. 1500 anni dopo il testo delle Baccanti viene impiegato da un autore ignoto bizantino per un dramma sulla Passione di Cristo. Questo ci obbliga a riflettere sulla trasposizione del tragico in ambito Cristiano. Nella Passione, Gesù, al contrario di Dioniso, si sottomette alle umiliazioni e alle sofferenze in modo stoico. Il suo grido in punto di morte nei Vangeli di Marco e Matteo testimonia la disperazione di un uomo che, dopo tutto ciò che ha passato, conserva ancora la sua fede ma non comprende le ragioni per le quali Dio lo abbia abbandonato. Questo momento così tragico somiglia anche a quello della Bibbia ebraica dove Giobbe, senza perdere la fede, inveisce contro Dio per avergli inflitto pene insopportabili. Se si pensa alla figura di Giuda che consegna Gesù per 30 denari e poi, colto dal rimorso, si impicca, questi commette uno dei più grandi peccati dello spirito poiché chiude la porta al pentimento e alla misericordia divina. Il senso Cristiano del tragico si sposta perciò nella psiche e nel cuore dell'uomo e guarda alla sorte ultima dell'essere umano: non tanto alla morte quanto alla dannazione eterna. Tutti gli episodi più celebri dell'Inferno dantesco (da Paolo e Francesca a Ulisse e Guido da Montefeltro, fino a quello di Ugolino) saranno, in questo senso, tragici: narrati tutti dai loro protagonisti animati dalle loro antiche passioni, situati in quegli istanti della loro vita terrena che ne convalidano la catastrofe e ne annunciano la condanna per tutta l'eternità. (Dante stesso poi definiva l'Infemo una “tragedia"). Nella prima cantica della Commedia si trova il dissidio tra passione dominante del personaggio e norma etica, tra il giudizio che il poeta, quasi fosse Dio, proclama su di lui condannandolo all'infemo e la partecipazione che è spesso “pietosa” tanto che Dante arriva a volte ad immedesimarsi. Nel frattempo, si era venuta affermando un'altra idea di tragedia, in parte derivata da Aristotele, che vedeva la sorte di un potente travolto dalla Fortuna, che sostituirebbe il Fato 17 La commedia porta alla risoluzione dei conflitti: “se i personaggi della trama sono i più fieri avversari come Oreste ed Egisto, alla fine se ne vanno riappacificati e non c’è uccisione di nessuno per mano di nessuno". 1500 anni dopo però Dante, chiamando Commedia la sua opera principale, dà un significato duplice alla parola. AI contrario della tragedia, egli sostiene che la commedia “inizia dalla narrazione di situazioni difficili, ma la sua materia finisce bene" e poi, mentre il linguaggio della tragedia è “alto e sublime”, quello della commedia è “dimesso e umile”. Sin dal '500 Shakespeare scrive commedie definite “romantiche” come // Mercante di Venezia. Dal ‘700 in poi anche l'opera lirica prende le vesti della commedia diventando opera buffa, come ad es. // Barbiere di Siviglia di Rossini e Le Nozze di Figaro di Mozart. Ci sono 4 gradazioni del comico. 1. Riso irrefrenabile: hamartema. Partiamo da Omero, cioè dal principio dell''liade dove, nel 1° libro, c'è un episodio comico: Teti prega Zeus di concedere onore ad Achille, al quale Agamennone ha portato via Briseide, facendo vincere i Troiani. Zeus risponde che questo lo farà litigare con Era, ma accetta lo stesso. Era si infuria ed Efesto, preoccupato che i suoi genitori non siano in armonia, consiglia alla madre di far buon viso a cattivo gioco per evitare che Zeus non scagli tutti gli dei giù dall'Olimpo, compreso lui. Efesto inizia così a versare da bere a tutti, ma, poiché egli è zoppo, il suo arrancare fa ridere gli altri dei, diminuendo la tensione e facendo prorompere tutti in un riso intrattenibile, una risata “omerica”. Questa risata appartiene solo agli dei ed è una delle ragioni per cui Socrate condanna Omero nella Repubblica di Platone. A questo episodio si può paragonare un altro tipo di riso dell'/liade, quello che prende le truppe greche nel 2° libro quando Ulisse percuote Tersite con lo scettro (il quale ha rimproverato e preso in giro i capi achei). Tersite comparirà nella Repubblica di Platone sul punto di reincamarsi in scimmia e viene chiamato “suscitatore di riso”: i greci ridono di lui per via del “piacere provocato dalla sfortuna dell'altro”. Non c'è molto altro da ridere nell'/liade, tranne qualche piccolo momento come quando Achille è rimproverato da Antiloco, il figlio di Nestore, perché lui vuole dare il premio di consolazione all'ultimo arrivato nella corsa con i cavalli anziché a lui che è arrivato secondo. Va ricordato inoltre, il sorriso denso di pathos quando Ettore saluta Andromaca e Astianatte e lei lo guarda piangendo mentre ride. Ci sono molte risate umane invece nell'Odissea, soprattutto dei Proci e di Ulisse, il quale ride quando comprende di essere riuscito ad ingannare Polifemo, o quando atterra Iro con un solo colpo e i Pretendenti “muoiono dal ridere”. Infine, in una tremenda scena, Atena getta i Proci in una risata omerica che sconvolge le loro menti, portandoli ad un riso terrificante ed inumano. Il riso divino ritoma nel 8° libro, quando l'aedo Demodoco canta gli amori di Ares e Afrodite nella casa di Efesto, sposo di Afrodite. Avvisato dal Sole, Efesto prepara una rete invisibile che sparge attorno al letto coniugale e fa finta di partire. Ares invita subito Afrodite a coricarsi nel letto coniugale ma scatta la trappola e rimangono intrappolati. Efesto accorre sul posto e chiama tutte le divinità a venire a vedere l'azione “ridicola ed intollerabile”. Tutti prorompono in grasse risate ed Apollo domanda ad Ermes se anche lui non vorrebbe stare incatenato ad un letto con Afrodite. Ulisse e i Feaci gioiscono all'ascolto della storia. Naturalmente il Socrate della Repubblica platonica giudica anche questa storia come sconveniente e non appropriata a delle divinità. Eppure, è la prima commedia a sfondo 20 sessuale della letteratura occidentale. Quello che fa ridere è anche il contrappasso comico: c'è Efesto che, zoppo e lento, è riuscito a intrappolare Ares, il più rapido tra gli dei, grazie all'arte. Quindi è la vendetta della lentezza contro la velocità, dell'arte contro la forza. Il riso è irrefrenabile poiché è degli dei, solo loro possono ridere delle coma altrui, di certo non lo fanno i Greci e i Troiani, invischiati in una guerra causata da un adulterio. Come diceva Aristotele la commedia ha come elemento il ridicolo ed il ridicolo è una carenza, un difetto ma non doloroso. 2. L'assurdo: ne è un esempio perfetto il piccolo pezzo drammatico pubblicato da Primo Levi nelle Storie Naturali nel 1966 dal titolo // Versificatore. Un Poeta compra un Versificatore elettronico, ovvero un computer che fabbrica versi e li recita ad alta voce secondo il tono, il ritmo e le rime assegnatogli. La storia ha due finali: - il versificatore si rivela il Poeta. - il versificatore è l'autore della storia che si è appena letta. L'elemento fondamentale della storia è l'assurdo del tutto, di una macchina che fabbrica versi con un certo grado di “licenziosità"”, che imita i poeti del ‘600, della fine dell'800 e degli anni ‘20 del ‘900. Questa sbaglia quando viene costretta a fare ciò per cui è stata costruita, ossia tirar fuori versi a comando, mentre quando gli si dà tema libero crea una composizione elementare, ma in grado di commuovere una donna. Riesce infatti a simulare il comportamento umano. L'assurdo, scriveva Kant nella Critica del Giudizio, è il prerequisito essenziale del riso, dev'esserci qualcosa di insensato, paradossale, un controsenso. 3. Riso soffocato: L'Ulysses di Joyce... man mano si penetra nel linguaggio cangiante del romanzo e nella 12° sezione, “Il ciclope”, ci s'imbatte nel catalogo dei delegati stranieri che presenziano all'esecuzione di un rivoluzionario. Si tratta di una “interpolazione” (alterazione dell'integrità di un originale mediante l'inserimento di uno o più elementi estranei) che prende in giro i resoconti giornalistici di occasioni del genere. Tra i 16 personaggi forestieri che affollano la tribuna delle autorità spiccano per i loro nomi il Commendator Bacibaci Beninobenone, il Senor Hidalgo Caballero Don Pecadillo y Palabras y Paternoster de la Malora de la Malaria ecc... “Il ciclope” è pieno di cataloghi e, poche pagine prima di questo, ce n'è un altro che elenca immagini di eroi ed eroine irlandesi dell'antichità come: L'ultimo dei Mohicani, la Donna che disse di no, il Capitano Nemo ecc... Più tardi c'è una processione di priori, frati e santi tra i quali: S. anonimo, S. pseudonimo, S. omonimo ecc... Questo è un gioco assoluto, fine a sé stesso dal punto di vista della trama e dei significati simbolici del libro, gioco inserito in un altro gioco, ossia l'interpolazione o digressione burlesca inserita nella discussione politico-nazionalista del “Ciclope”. Queste sono anticipazioni di giochi di parole che saranno poi presenti in Finnegans Wake, dove Dante Alighieri viene chiamato “Denti Alligator*. Quello che fa ridere sono l'accumulazione, l'esagerazione, la scomposizione e ricomposizione linguistica e la presa in giro della tradizione e delle convenzioni. 4. Heiterkeit (allegria) Thomas Mann è stato chiamato il “tedesco ironico" poiché presenta nella sua produzione serissima molti casi di straordinaria comicità come in un brano del Felix Krull, dove tutta la scena è improntata su una giocosa ed ambigua ilarità. L'episodio del vagone ristorante è costruito sulla leggerezza e sull'umorismo, che culminano nell'improvvisa autopresentazione del paleontologo, nella sua genealogia dei Venosta, e infine sull'esposizione ironica dell'evoluzione, al centro 21 della quale colloca l'uomo somigliante al maiale. Secondo Mann, lo scopo dell'umorismo è il rallegramento pervasivo, e il riso, che secondo quanto diceva Schopenhauer, si otterrebbe attraverso “l’incongruenza fra un concetto e l'oggetto reale”. La lirica Le origini Fino al ‘500 non abbiamo testi completi che permettano di comprendere le origini della lirica. Sappiamo comunque che i suoi inizi sono legati a forme preletterarie come la danza, il canto e forme di culto religioso. Il nome allude alla modalità di rappresentazione, indica infatti un canto accompagnato dalla lira, e spesso dalla danza come evoluzione del ditirambo (inno corale che tratta argomenti legati a Dioniso). Sotto l'influenza dell'epica, successivamente si sgancia dalle occasioni di carattere pratico e occasionale, e diviene poesia celebrativa. Platone nelle Leggi distingue il canto monodico e quello corale. La lirica monodica (Saffo o Alceo) è caratterizzata dalla tendenza del poeta a parlare di sé, mentre la poesia corale (Pindaro) ha un carattere sociale in quanto legata a eventi che coinvolgevano la comunità. Archiloco, considerato padre della lirica, presenta nella sua poesia una forma di soggettività simile a quella modema. | frammenti a nostra disposizione rivelano il suo interesse per la vita tanto da attribuirgli maggior valore che all'onore del guerriero, in chiara opposizione all'epos. A differenza di Ettore nell'Iliade, per Archiloco il destino ultimo dell'uomo è l'oblio, ed è in vita che si cerca di ottenere il plauso degli altri. Non c'è comunque un rifiuto dell'epica, Omero resta un modello a cui guardano tutti i poeti lirici Quando ad esempio Archiloco si rivolge al suo cuore per superare il dolore, non possiamo non pensare ad Ulisse che in veste di mendicante a Itaca, prima della vendetta finale, sentendo le ancelle che si intrattengono con i proci, chiede al suo cuore di sopportare e aspettare il momento giusto. L'apostrofe al cuore diventa uno dei topoi della lirica, ponendo l'accento sul dissidio interiore. Saffo come voce della sessualità e del desiderio femminile, ha avuto grande influenza nella tradizione occidentale, soprattutto per quanto riguarda la descrizione della sintomatologia dell'eros e del mondo naturale (in particolare nei notturni). La natura come termine di paragone per rappresentare stati d'animo diventerà uno dei temi più cari della lirica europea Leopardi e l'io lirico di Alla luna e del Canto notturno dove confessa all'astro i suoi pensieri, rivelando il suo stato d'animo. In Canto notturno la riflessione diventa comico esistenziale e l'autore si domanda se sia alla luna che l'uomo deve guardare per capire il perché delle cose. Alla predilezione di Saffo per la notte si oppone la lirica di Pindaro che mostra preferenza per il giorno e immagini luminose. Alle soglie dell'età classica, Pindaro è considerato il più alto rappresentante di lirica corale arcaica, autore di componimenti d'occasione per immortalare gesta e fama di atleti vincitori nei giochi ellenici. In questi componimenti è fondamentale l'uso del mito poiché contribuisce alla creazione dell'eroe collegando al presente il passato mitico della Grecia. A questo aspetto è connessa la consapevolezza della missione del poeta: a lui le muse hanno concesso il dono di trasmettere ai posteri un patrimonio di valori esemplari attraverso 22 feudale che sottolinea il divario sociale tra l'amante e l'amata e il codice amoroso viene modellato su quello delle istituzioni feudali. Di solito coinvolge una donna sposata, per questo l'amore cortese implica la necessità di mantenere segretezza da parte dell'amante. L'eros è inoltre metafora dell'esperienza umana più in generale, poiché attraverso l'amore tutti gli uomini si scoprono uguali. Lo spazio poetico della lirica cortese diventa quindi metafora di una condizione esistenziale in cui l'aspirazione a qualcosa di raggiungibile provoca delusione e rammarico. Nello stesso periodo circa in cui nel sud della Francia nasce la lirica provenzale, al nord emerge la poesia in lingua d'oil, alla corte di Maria di Champagne, punto nodale per la diffusione dei modelli trobadorici ed è la stessa in cui Chrétien de Troyes compone i suoi romanzi. Tema principale della lirica troviera è l'amore infelice e la distanza che separa amante e amata. Inoltre, un altro tratto caratterizzante è l'interiorizzazione del desiderio, con il conseguente ripiegamento sull'io del poeta che rappresenta un primo passo verso la lirica personale della modernità. Altro momento di evoluzione è rappresentato dalla Scuola siciliana i cui poeti realizzano un'importante modifica introducendo la filosofia dell'amore e la progressiva interiorizzazione dell'esperienza amorosa. In questo contesto la poesia del dolce stilnovo costituisce una svolta centrale per i successivi sviluppi della lirica europea, per l'importanza attribuita all'introspezione e all'io del poeta. Oggetto di poesia non è più solo la descrizione della donna, ma anche l'effetto della bellezza dell'amata sull'amante. Questa transizione è documentata nelle Rime di Dante ma è già presente nella Vita nuova dove il poeta, vedendosi negato il saluto dalla sua amata, decide di riporre il suo amore a servizio della poesia. Nella Commedia Dante spiega a Bonagiunta da Lucca, in Purgatorio XXIV, come la fedeltà ad Amore sia il carattere distintivo del nuovo stile. La filosofia che si sviluppa intomo al concetto dell'amore, con la conseguente contaminazione del linguaggio filosofico e di quello amoroso, rappresenta la vera novità della poesia del ‘200, rispetto alla tradizione lirica mediolatina e romanza. Nel Purgatorio XXVI, l'incontro con Guinizzelli, iniziatore della nuova poetica e punto di raccordo tra scuola siciliana e stilnovisti, dove la leggiadria delle dolci rime d'amore costituisce altro motivo di novità della lirica stilnovista. Per queste ragioni Dante può essere considerato anticipatore della lirica moderna, per originalità e varietà di temi trattati in poesia, per la retorica usata e l'invenzione del canzoniere. La Vita nuova è una raccolta di poesie d'amore dedicate all'amata che possiedono identità e una storia. Dante traccia quindi un percorso, aprendo la strada successivi sviluppi che daranno i frutti immediati nella poesia petrarchesca. La Vita nuova è infatti il modello al quale guarda senza dubbio Petrarca nel realizzare il racconto del libro di rime intorno alla figura di Laura, opera nel quale il codice lirico si dispiega in forma di Romanzo è infatti attraverso la sequenza dei componimenti che emergono il racconto e la condanna morale dell'amore. Nel Canzoniere, oltre l'influenza della letteratura e della retorica classica, compare anche la tradizione biblica e della lirica religiosa e latina... per questo Petrarca rappresenta un punto di arrivo di tutta la tradizione poetica classica e medievale. La riflessione petrarchesca sull'amore parte dalla morte di Laura, la cui figura è associata al mito di Dafne... la donna è anche identificata con l'alloro, simbologia connessa anche all’alloro poetico. Attorno alla sua figura si dispiega l'avventura dell'amore e quella intellettuale dell'io lirico. La donna è 25 protagonista di un percorso ascensionale che la avvicina al modello dantesco: passa da essere una Beatrice fino a diventare la Vergine. AI centro della narrativa del Rerum vulgarium fragmenta c'è il rapporto amore, amata, amante, impemiato sull'io lirico e sullo spazio che si definisce intorno alla sua persona. È questo che fa di Petrarca il caposcuola della lirica erotica moderna, che si presenta come spazio dell'io e delle sue contraddizioni. La lirica moderna Il Canzoniere è una assoluta novità nel panorama della lirica europea, punto di svolta per forme e temi della poesia, con conseguenze fino all'epoca moderna. Il sonetto diventa una delle più diffuse forme poetiche, mentre la raccolta di liriche si presenta come enciclopedia di temi, situazioni e motivi che ruotano intomo all'amore, cui si ispirano i maggiori poeti d'Europa a partire dal Rinascimento, tra cui ricordiamo Pietro Bembo, Torquato Tasso, Lope de Vega ecc.... In Inghilterra, agli inizi del XVI secolo, Sir Thomas Watt e il Conte di Surrey introducono il sonetto soprattutto grazie alle traduzioni di Petrarca. Surrey inoltre modifica la forma metrica del componimento dividendolo in quartine e più avanti Samuel Daniel con la sua raccolta dedicata a Delia modifica la forma del sonetto sostituendo alle due quartine e le due terzine del modello italiano, tre quartine e un distico finale (schema metrico che seguirà Shakespeare nei suoi Sonetti). I Sonetti sono incentrati sul tema dell'amore di cui vengono esaminati i diversi aspetti nelle macro sezioni “Fair youth" e “Dark Lady”, a questi componimenti vanno aggiunti altri di carattere mitologico e imitazioni di epigrammi greci con argomento Cupido. All'interno delle due ripartizioni principali si possono identificare dei raggruppamenti tematici minori: quello sul poeta rivale, il silenzio della Musa o l'infedeltà della donna. La raccolta è percorsa da una vena di erotismo a cui si attaccano i temi principali come: nobiltà, arte, poesia e fugacità del tempo. Nella seconda parte l'attenzione del poeta si concentra sul fascino della donna bruna e sulla sua passione adulterina. Questa sezione presenta un ideale estetico nuovo: attaccando l'idea tradizione della bellezza femminile (bionda e con gli occhi blu), Shakespeare propone il nero come bello, contrapponendo la falsità della donna dai capelli chiari, con la sincerità della bellezza bruna. Shakespeare disegna un percorso dove sovverte le convenzioni poetiche del corteggiamento erotico per cui la donna non è più oggetto del desiderio passionale ma un mezzo necessario per la riproduzione biologica o la causa scatenante della lussuria. In epoca modema, dopo che il Romanticismo ha cambiato il modo di concepire la poesia, la vita individuale si vede aprire uno spazio maggiore ed ottiene un peso sconosciuto alla tradizione precedente. La lirica diventa così genere dell'io e l'esperienza della poesia In primo luogo personale, cioè si sostanzia della vita intima dell'autore. Infatti, nella prefazione delle Lyrical ballads Wordsworth afferma che la poesia è uno spontaneo traboccare di forti emozioni e il poeta è un uomo che parla agli uomini rivolgendosi direttamente all'esperienza umana del lettore. Il cambiamento dei contenuti, con l'apertura alla sfera intima del poeta, ha come conseguenza il mutamento del linguaggio poetico. La lingua si fa più libera e originale per rispecchiare la reale condizione dello spirito, abbandonando convenzioni e formule della tradizione e ottenendo una maggiore libertà degli schemi metrici. L'invenzione più importante per la poesia europea è il verso Libero. 26 Il Romanticismo, ponendo la soggettività al centro dell'esperienza della poesia, rappresenta un vero e proprio momento di svolta per la tradizione lirica occidentale. Il mutamento della lirica in età moderna passa per un altro grande pilastro della letteratura occidentale, i Fiori del male di Baudelaire, che si presenta come meditazione sull'esistenza come male. Alla base dell'architettura del libro c'è il topos del viaggio. Quest'opera ha segnato la modernità poiché ha scardinato l'idea di poter ridurre la realtà a sistema, rivelando la frammentarietà del reale. Thomas Eliot considera Baudelaire punto fermo della poesia moderna. Eliot stesso, nel 1922 con Terra desolata segna il punto di inizio di una nuova stagione. Per comprendere la sua opera sono importanti due saggi dello stesso poeta: Tradizione e talento individuale e Ulisse: ordine e mito... il primo mostra che Eliot, mentre componeva Terra desolata, stava pensando alla tradizione e l'altro propone un possibile metodo di lettura per il romanzo di Joyce. Il primo espone un concetto di tradizione come sistema, il secondo teorizza l'uso del mito e il continuo parallelo tra antichità e modemità come un modo per controllare e ordinare la storia contemporanea. AI centro dell'universo sterile e desolato del poemetto c'è il mito del Graal con la figura del Re pescatore, a questo si coagulano i frammenti di una tradizione che va da Ovidio all’ Antico Testamento fino anche a Baudelaire. Tutto questo compone un quadro desolante del presente che somiglia al limbo dantesco e alla Parigi dei Fiori del male, dominata da sterilità e alienazione. Nel periodo tra le due guerre la lirica sembra prendere nuove direzioni è infatti investita dal ritorno all'ordine che si traduce in una riscoperta della tradizione e del classicismo con una ricerca dei principi classici del bello e della misura, nel tentativo di riconciliare classicismo e modernità. Possiamo citare ad esempio Ungaretti con Sentimento del tempo dove il poeta riscopre la lingua della tradizione italiana. Si genera un classicismo lirico moderno che mostra un legame con il grande romanticismo lirico europeo e al tempo stesso adatta la tradizione ai tempi nuovi. Dal classicismo lirico moderno, insieme al confronto con i poeti più classici della modernità, come Baudelaire ed Eliot, nasce la poesia contemporanea, che, lasciando ampio margine al talento individuale, si rinnova continuamente ogni volta che un poeta se ne impossessa e la modifica producendo nuova poesia. Il fantastico Le origini Il fantastico nella tradizione letteraria europea si afferma in seguito al cambiamento del paradigma culturale, determinato dalla nuova scienza nella seconda metà del XVII secolo, che ha come conseguenza una rivoluzione nella concezione del mondo. La rivoluzione culturale è scaturita dalla nuova scienza, oltre che dai mutamenti sociali e antropologici, e determina una rifunzionalizzazione di temi, immagini e procedimenti narrativi dei modelli tradizionali, volgendo l’attenzione sui problemi della conoscenza della rappresentazione del mondo. L'influenza del nuovo sapere, la fioritura del romanzo gotico e l'affermazione dell'empirismo in Inghilterra sono solo alcuni dei fenomeni alla radice delle opere che appartengono alla categoria del fantastico. Per esplorare le zone più oscure della psiche umana, la narrativa fantastica ricorre ad un elemento soprannaturale spiegato in un linguaggio pseudoscientifico. 27 conosce soltanto le leggi naturali, di fronte a un avvenimento apparentemente soprannaturale. Una volta fatta la scelta si abbandona la sfera del fantastico per entrare in un genere simile, lo strano o il meraviglioso" Sulla base di questa definizione sono possibili tre percorsi: e il soprannaturale è spiegato, dove avvenimenti apparentemente inspiegabili alla fine vengono chiariti accettazione di eventi ultraterreni, anche senza una spiegazione il fantastico puro, quando l'esitazione ontologica permane fino alla fine della storia. Temi del fantastico Hoffmann è stato considerato l'iniziatore della narrativa fantastica. Sul finire del ‘700 le sue storie infatti presentano un repertorio di temi e motivi che definiscono la letteratura fantastica. Il doppio, legato all'immagine dello specchio, occhio e vista, la follia, la presenza del male... tutte cose che implicano il confronto con l'alterità, la morte, fanno parte dei temi che caratterizzano i suoi racconti che definiscono la letteratura fantastica negli anni a venire. Nella sua opera, Uomo della sabbia, la narrazione è chiaramente divisa in due. Il racconto si presenta come uno scambio epistolare tra il protagonista ed altri tre personaggi, ma poi interviene un narratore eterodiegetico che si rivolge direttamente al lettore, richiamando alcune degli effetti principale delle narrazioni fantastiche come il disorientamento, perdita di controllo sulla propria persona, le emozioni forti e l'incapacità di esprimere l'inesprimibile... andando avanti il narratore richiama l'attenzione sugli ingredienti fondamentali del racconto fantastico: il meraviglioso, lo strano... effetti talmente forti che il lettore deve essere istruito per sopportarii. Nelle parole dell'io narrante è suggerita la richiesta di una momentanea sospensione dell'incredulità e gli effetti che la sua narrazione dovrebbe avere, ricordano quelli del vecchio marinaio nella ballata di Coleridge teorizzatore della willing suspension of disbelief. In generale affermatosi pienamente nell'800, soprattutto nella letteratura popolare, come dimostra ad esempio l'esperienza di Edgar Allan Poe, il fantastico è un modo letterario che, rinnovandosi continuamente, dimostra ancora oggi una straordinaria vitalità fantascienza o il fantasy moderno. Il mito Il nulla che è tutto Il poeta portoghese del ‘900 Fernando Pessoa definisce il mito “il nulla che è tutto" e spiega tale affermazione con due esempi: uno di mitologia “teologica” e l'altro di mitologia “eroico-storica". e Il primo riguarda il sole, che rappresenta la divinità che muore al tramonto e risorge all'alba e Il secondo riguarda Ulisse, il quale, secondo una leggenda diffusa in Portogallo, prima di scomparire nell'Atlantico fondò Lisbona. Il discorso è paradossale ma chiaro nelle sue implicazioni: Ulisse è un personaggio mitico che non è mai esistito nella 30 realtà ma nel mito, e il mito è sufficiente a dar forma reale e conferire identità, collegandosi al mito di fondazione. Il termine mythos in greco vuol dire appunto “parola”, “racconto” ed è ben distinto dal termine che sta per “parola” e “discorso”, ovvero /égos. Il mito si presenta in molte versioni, è polytropos come Ulisse. In tutte le civiltà del pianeta esso si concentra in primo luogo sull'origine del mondo e sull'avvento della specie umana sulla terra. Di ciò che finora è stato chiamato Principio adesso analizziamo esempi che provengono dall'America e dall'Africa. Cosmogonie (il complesso di miti riguardante l'“origine dell'universo”) I Navajo nel sud-ovest degli Stati Uniti hanno una storia che spiega con materiali terreni la formazione e l'aspetto dei corpi celesti. Ci sono 5 Mondi: nel Primo vivono le Genti Divine e Coyote e in esso nascono anche gli esseri soprannaturali Primo Uomo e Prima Donna. Quando gli abitanti del Primo Mondo cominciano a lottare tra di loro essi partono per il Secondo Mondo, il Terzo e infine il Quarto. È qui che che il Primo Uomo e la Prima Donna creano il sole, la luna e le stelle. Per fare le ultime, il Primo Uomo crea per prima cosa la Stella del Nord, una stella che non si muove mai, adatta a chi deve viaggiare la notte, e poi, lentamente, forma le costellazioni. Quando però arriva Coyote egli, spazientito, non vuole aspettare che il Primo Uomo termini il suo lavoro e così distribuisce tutte le stelle in disordine. È così che le stelle, escludendo quelle disposte dal Primo Uomo, sono distribuite in ammassi casuali. Nella cosmologia degli Zulu del Sudafrica il Principio è contrassegnato invece dall'oscurità, dall'assenza di Terra, Sole, Stelle e Luna. Allora c'era soltanto il Nulla. Tutto ebbe inizio con una scintilla di Fuoco, una Coscienza primordiale che voleva essere e che, lottando con loro, si nutriva del Nulla e del Buio Fertile per crescere. Dall'esplosione fra Fiamma e Ghiaccio, Luce e Buio, Caldo e Freddo nacque la prima dea: la Madre. Questa creò il sole, la terra e le stelle, poi, attraverso le lacrime del suo pianto dovuto alla solitudine, creò i fiumi. Dall'unione tra Albero della Vita e la Madre nacque la prima gente umana. Nel mito cosmogonico degli Irochesi la moglie dell'Antico cade dal cielo nell'acqua che riempie la Terra. Una tartaruga marina va in suo soccorso e sopra di essa la donna sparge della terra, che a poco a poco cresce fino a formare le terre emerse. Scoprendo la sua capacità di creare la donna, parlando, dà vita e moto al “cerchio di luce”, il Sole. Dalle sue parole nascono poi le Stelle. Tipi e interpretazioni del mito Ci sono vari tipi di miti, ad esempio quelli “teologici”, poiché “contemplano le essenze stesse degli dei”, o quelli naturali, psichici e materialistici. Infine il genere misto, che si trova in molti miti, è presente nel racconto del banchetto degli dei, quando la dea Discordia getta la mela d'oro ed Era, Atena e Afrodite se la contendono. Zeus allora le invia da Paride che assegna la mela a quella che gli pare più bella, Afrodite. Sallustio dà una sua interpretazione del mito: il banchetto rappresenterebbe le potenze ultramontane degli dei, mentre la mela d'oro rappresenta il mondo. Paride rappresenterebbe 31 invece l'anima che vive secondo la sensibilità e che, non conoscendo altra potenza che la bellezza, decide di dare la mela ad Afrodite. Questo brano è significativo per due ragioni: 1. Costituisce un esempio d'interpretazione allegorica che, per giustificare l'immoralità dei miti antichi, nei quali gli dei combattono tra loro e si abbandonano alle passioni, attribuisce al personaggio o all'evento mitico un significato spirituale, morale o mistico. Questo modo di interpretare il mito risale almeno al 6° secolo a.C. e percorre tutta l'antichità fino ad essere assunto dalla cristianità, quando decise che i miti pagani potevano essere ammessi qualora gli si attribuisse un significato spirituale o una qualità figurale, cioè preannuncio di eventi e personaggi che sono poi compiuti in ambito Cristiano (Ulisse legato all'albero della nave che prefigura Cristo inchiodato alla croce). 2. Ci porta dalla cosmogonia (complesso di miti riguardante l’origine dell'universo) e teogonia (narrazione della nascita degli dei) verso il canto epico eroico e in direzione della storia, cioè ci conduce sino alla soglia sulla quale gli dei si trovano a contatto con gli esseri umani. La contesa tra le dee e l'assegnazione della mela ad Afrodite, con la promessa che questa farà riguardo Elena, saranno le cause della guerra di Troia che ha fondamento storico. Mito, letteratura, storia Un movimento simile lo riscontriamo nella Biblioteca di Apollodoro in ambito trattatistico, e nella Metamorfosi di Ovidio in ambito poetico. Entrambe si aprono con il Principio ma mentre il 1° termina con Ulisse, ultimo degli eroi, le 2° virano verso Romolo, Numa Pompilio e la trasformazione di Giulio Cesare in Stella, dunque in un certo senso terminano con le metamorfosi della storia contemporanea in mito. Il rapporto tra mito, storia e letteratura, o più in generale con le arti, è fondamentale. Il mito infatti, diventa spesso letteratura e rappresentazione artistica... in rari casi la storia si trasforma in leggenda e mito (come quella di Alessandro Magno) mentre a volte il mito cambia sotto la pressione delle circostanze storiche. Ci sono anche casi in cui il mito, trasformato in narrazione o immagine, offusca gli eventi storici. Per tutta la civiltà occidentale la raccolta mitica per eccellenza è quella greca. Nella stessa cultura dell'Occidente sono entrati, attraverso la progressiva penetrazione della Bibbia, i miti ebraici; sin dall'antichità quelli provenienti dall'Egitto e poi dal ‘700 in poi quelli Sumeri e Babilonesi. | cristiani creano poi le loro leggende e storie dei santi e i popoli che invadono l'impero romano portano con sé i loro miti, i quali hanno una qualche risonanza ancora oggi, come quelli di Beowulf e dei Nibelunghi o del Cid. In epoca modema poi, la mitopoiesi (creare miti in ambito religioso e interpretare la realtà in fermini mitologici) si è fatta più complessa, ma non qualitativamente inferiore. L'origine di Faust o Amleto è diversa per ciascuno, ma entrambi hanno in comune il loro trasformarsi in miti dell'immaginario moderno attraverso grandi opere letterarie: nel caso del Faust, con Marlowe e Goethe mentre con Shakespeare per Amleto. Allo stesso modo Don Chisciotte, Robinson Crusoe e Gulliver sono frutto di mitopoiesi romanzesca. 32 di Ulisse Figlio di Laerte, una prosa gaelica che mescola elementi derivati dall'Odissea con il folclore irlandese. Dante e il mito Dante, che non conosceva il testo di Omero ma forse soltanto le versioni di Virgilio ed Ovidio, nel canto 26 del suo /nfemo trasforma completamente l'ultimo viaggio di Ulisse. Nessun affetto familiare è infatti tanto forte da spingerlo a tornare a casa. Dopo un anno di sosta (quasi di prigionia) da Circe, Ulisse riparte con solo una nave e pochi uomini. Giunti ormai vecchi allo Stretto di Gibilterra, Ulisse persuade i suoi marinai, con un discorso che fa appello alla loro natura di esploratori e uomini di conoscenza, a oltrepassare le Colonne di Ercole per arricchirsi ancora una volta di nuove esperienze, nonostante siano quasi arrivati alla fine della loro vita terrena. La nave riparte allora verso sud-ovest, in un viaggio che dura 5 mesi. A un certo punto, improvvisamente, Ulisse e i suoi uomini scorgono una montagna scura e altissima e gioiscono, poiché credono sia una “nova terra". Questa però, secondo la geografia dantesca, non è altro che il monte del Purgatorio, in cima al quale si trova il Paradiso Terrestre. Proprio dalla montagna si leva un turbine di vento e tempesta che travolge la nave, facendola affondare. Questa versione dantesca di Ulisse coinvolge il poeta stesso e la sua visione del destino dell'uomo, nel quale interviene il Dio cristiano. È infatti fuori discussione che, se l'Ulisse dantesco è condannato all'Inferno per le sue frodi, la sua vicenda rappresenta un'avventura della mente umana, tesa alla conoscenza. È possibile che in questa storia Dante abbia voluto rappresentare un estremo atto di inganno e di frode e condannare chi si affida a strumenti esclusivamente umani: il Dante personaggio invece, raggiungerà il Purgatorio aiutato dalla grazia e dalla ragione. La vicenda di Ulisse è piena di tensioni e intensamente tragica, perché in essa il Dio cristiano interviene direttamente orchestrando il suo naufragio (in quanto pagano), condannandolo a morte prima di dannarlo all'Inferno. Da questo momento in poi il mito di Ulisse non sarà più lo stesso e l'originale omerico sarà costantemente affiancato dalla versione dantesca. Mito e storia: il Nuovo Mondo e oltre Dal tardo ‘400 in poi l'Ulisse dantesco viene interpretato come una prefigurazione storica della figura del navigatore e dell'esploratore di quei tempi (per es., la “nova terra” menzionata nell'Inferno 26, diventa il Nuovo Mondo). Lo stesso Amerigo Vespucci, nelle sue lettere, si vede come colui che ripercorre con successo le orme di Ulisse. La letteratura rinascimentale di Ulisse lascia un'impronta duratura nella civiltà occidentale: dagli scrittori italiani come Leopardi, Pascoli, D'Annunzio a quelli stranieri come Keats, Tennyson, Pound, e Verne (il suo Capitano Nemo di Ventimila Leghe Sotto i Mari è un chiaro discendente di Ulisse, sin dal nome di “Nessuno”). Anche alla fine del 20° secolo Ulisse ritoma come prototipo del viaggiatore, questa volta del cosmo interstellare, in 2001: Odissea nello Spazio. 35 Con il Rinascimento, tuttavia, torna anche in circolazione, nell'originale e in traduzione, l'Odissea omerica. Le molteplici versioni, tutte in lingue europee, danno luogo a infinite riscritture e variazioni nella letteratura, nelle arti figurative e nell'opera, ognuna influenzata però dalla provenienza linguistica-culturale dell'autore, dal suo pensiero e dalla sua fede. Dopo il Rinascimento, l'Ulisse dantesco entra nell'immaginario europeo e americano mescolandosi ai nuovi miti romantici del Vecchio Marinaio di Coleridge o dell'Olandese Volante di Wagner. Il ‘900: Joyce ed oltre Il 20esimo secolo fa di Ulisse il prototipo dell'uomo moderno. La versione più influente del mito di Ulisse nel ‘900 è l'Ulysses di Joyce. Il racconto, compiuto in più di 100 stili diversi e dominato dal “flusso di coscienza" narra della giornata passata dall'ebreo irlandese Leopold Bloom il 16 giugno 1914, quando vagabonda per le strade di Dublino. Se non fosse per il titolo e le lettere in cui Joyce mostra lo schema del romanzo con tanto di titoli omerici, sarebbe quasi impossibile indovinare la sua discendenza nell'Odissea. Gli episodi, divisi in tre sezioni, seguono la trama omerica: se Bloom rappresenta Ulisse, la sua moglie infedele Molly è Penelope, mentre il giovane intellettuale Stephen Dedalus rappresenta Telemaco. L'episodio di Ade, per esempio, viene tradotto in un funerale a cui Bloom partecipa; l'episodio di Circe ha luogo in un bordello e il ritomo a casa è letterale. Ulysses è anche un'immensa parodia, un abile esercizio di linguaggio e un'enciclopedia assoluta del sapere alto e basso del periodo. È presente, naturalmente, anche un'influenza dantesca del mito: l'ultimo viaggio viene presentato come un sogno di Bloom, il quale, per sfuggire agli orrori dell'invecchiamento, immagina di partire da Dublino per visitare tutta l'Ilanda, alcune tra le località più significative della terra, i luoghi che evocano la morte e infine il cosmo intero. Questo viaggio, tuttavia, non si compie nella realtà, perché Bloom rimane sempre in tutta tranquillità nella propria casa. L'Odissea finisce con le sensazioni e i pensieri di Molly, la quale rievoca, nell'ultima pagina del libro, la propria giovinezza. Peripezia Struttura: tragedia, epica e romanzo Insieme al riconoscimento, la peripezia è, per Aristotele, un elemento principale dell'intreccio nella tragedia o in un poema narrativo. Nella Poetica la definisce così: "un mutamento che si produce nel senso contrario alle vicende in corso" quindi un cambiamento che va in direzione opposta all'azione: un ribaltamento. Gli esempi che Aristotele cita al riguardo sono dei veri e propri colpi di scena, entrambi legati al riconoscimento. 1. Il primo è quello dell'episodio dell'Edipo re di Sofocle nel quale il messaggero giunge da Corinto per annunciare ad Edipo che suo padre Polibo è morto, ma si scopre anche che egli non era il suo vero padre e Merope non era sua madre. L'arrivo del messaggero mette quindi in moto il processo che condurrà alla catastrofe, mettendo alla luce che in verità Edipo è figlio di Laio e Giocasta. 2. Il secondo episodio è quello di Euriclea nell'Odissea, che Aristotele sostiene nascere “da una peripezia": quando Penelope ordina alla vecchia nutrice Euriclea di lavare 36 Ulisse, travestito da mendicante e sconosciuto, ella vede sulla sua gamba il segno di una vecchia ferita, e subito lo riconosce. La peripezia è dunque per Aristotele una svolta cruciale nell'intreccio. Simili peripezie non sono assenti nell'/liade: L'uccisione di Patroclo da parte di Ettore, per esempio, mette fine all'ira di Achille che aveva condotto i Greci sull'orlo della sconfitta, e spinge l'eroe a rientrare in combattimento e ad uccidere Ettore. Oppure, Priamo che decide di andare a riscattare il corpo di Ettore e Achille lo accoglie e glielo restituisce. Questa seconda peripezia provoca solo un momentaneo cambio di direzione nell'intreccio, una pausa, mentre la prima è più definitiva poiché determina l'eliminazione di Ettore e, in prospettiva, la rovina di Troia. È però nell'Odissea che le peripezie, come i riconoscimenti, sono continue, il ritorno stesso infatti avviene interamente “contro" la volontà e le azioni di Poseidone e contro tutta una serie di ostacoli. La vendetta stessa sui Pretendenti ribalta la situazione di Itaca. I singoli episodi inoltre sono dominati dallo stesso meccanismo: Ulisse e i suoi sono prigionieri di Polifemo ma si liberano grazie all'astuzia di lui, i compagni sono trasformati in Proci da Circe ma poi tramutati di nuovo in uomini. Persino nell'episodio dei Feaci Omero si diverte a creare una prospettiva di peripezia che non ha mai luogo: il matrimonio tra Ulisse e Nausicaa. L'intreccio dell'Odissea tocca a volte la commedia e spesso la favola. Quando l'intreccio archetipico dell'Odissea diventa modello narrativo, fa sì che la peripezia si trasformi in qualcosa di più grande, come la intendiamo noi oggi, cioè una vicenda complicata e rischiosa, fatta di disavventure e imprevisti. Costruiti su questo prototipo, nel Rinascimento ci sono poemi come l'Orlando Furioso e i romanzi picareschi, dal '600 in poi i novel coloniali come Robinson Crusoe e l'immensa parodia de / Viaggi di Gulliver divenuta poi anche essa prototipo di narrazione utopica. La versione tragica di tale intreccio porta a Romeo e Giulietta di Shakespeare e alle versioni invece a lieto fine, come La Tempesta. Qui i protagonisti e i loro cari attraversano molteplici peripezie, fino a giungere quasi alla morte, per poi essere invece salvati sull'orlo della catastrofe da un improvviso “ribaltamento” della situazione, nel vero senso aristotelico. Il romanzo d'avventura C'è un genere nel quale le peripezie sono il tessuto stesso della narrazione: si tratta del romanzo d'avventura, soprattutto a sfondo esotico, che domina Europa e America dagli inizi dell'800. Nell'immaginario occidentale è sempre stato presente il bisogno di proiettarsi al di là del proprio quotidiano, di inventare mondi strani, meravigliosi e terribili. All'inizio è il favoloso Oriente ad attirare l'attenzione, poi dopo la “scoperta” delle Americhe, sempre di più l'Occidente, infine l'Africa, l'estremo Nord e l'estremo Sud. Questi racconti vengono poi trasposti in forma romanzesca con una trama avventurosa e drammatica, i personaggi sono esploratori o conquistatori e indigeni. Poiché il confine tra realtà e finzione in questi luoghi così remoti è debole il romanziere può costruire storie di sicuro successo presso il pubblico. 37 Le origini Le prime storie di metamorfosi in letteratura apparvero nei poemi omerici, dove è manifestazione della volontà degli dei e serve a manifestare stupore nel lettore. Nell'Odissea il tema metamorfico ha una posizione di maggior rilevanza rispetto all'/liade, ed è il motivo di base di un episodio chiave del poema: la trasformazione dei compagni di Ulisse in porci nell'episodio di Circe. Circe è una semidea che vive in un luogo magico, al margine del mondo degli uomini, e agisce senza una motivazione morale o religiosa. Nel suo episodio la metamorfosi sembra un atto gratuito e non conseguenza di una colpa: gli uomini di Ulisse, infatti, sono soltanto responsabili di aver accettato l'invito di Circe nella sua dimora Nella letteratura ellenistica ci sono molte storie in cui le trasformazioni hanno valore eziologico (mito eziologico = cerca di spiegare la ragione di fatti del passato dei quali non si è in grado di fomire una spiegazione scientifica) e sono applicate in larga scala alla natura. Ovidio Le Metamorfosi di Ovidio sono state per secoli il testo dal quale la cultura occidentale ha derivato la propria conoscenza del mito greco e romano. Ha assunto nel tempo una grande importanza perché ha mantenuto viva la tradizione mitologica classica. Ovidio non inventò però la metamorfosi, né fu il primo ad antologizzare (scegliere le pagine di uno o più autori, raccogliendole in uno o più volumi) i miti. Nell'opera il mondo naturale si intreccia a quello della magia. Le metamorfosi sono responsabilità degli dei, ai quali il poeta si appella per il proprio carme (componimento poetico volto a interpretare o esaltare liicamente un fatto, una persona, un costume o una consuetudine), metamorfico per natura. In quanto processo che fa emergere l'essenza e l'aspetto immutabile ed eterno del carattere cui l'individuo non può sfuggire, la metamorfosi, soprattutto quando è irreversibile, rafforza l'identità di chi la subisce. In quest'ottica il cambiamento di forma rappresenta un modo per esplorare la complessità dell'individuo e l'infinita molteplicità dei travestimenti della natura umana. Nel poema di Ovidio la metamorfosi ha anche funzione eziologica, serve cioè a spiegare l'origine di un fenomeno naturale, di un oggetto o di una leggenda. Il Medioevo e Dante Fin dai primi secoli del Cristianesimo si sviluppa un'intensa attività volta ad adattare la cultura pagana a quella cristiana, per risolvere le contraddizioni implicite del concetto di metamorfosi, quali la molteplicità, l'immoralità e, soprattutto, il conflitto con uno dei punti essenziali del cristianesimo: la creazione dell'uomo a immagine e somiglianza di Dio. Sant'Agostino spiega le metamorfosi come azione di demoni che agiscono con il permesso del giudizio di Dio senza creare nulla, ma mutando soltanto in apparenza le vere creazioni divine. Agostino relega la metamorfosi al mondo dei sogni, dell'immaginazione e della poesia. Tra il 12° e il 14° secolo appaiono molti commenti ovidiani, nei quali il poeta viene celebrato come moralista, filosofo della natura e dotto enciclopedico. L'analisi retorica dei miti ovidiani si evolve verso forme di interpretazione più libere ed elaborate rispetto ai teologi dei primi secoli. 40 Dante nel Convivio usa le metamorfosi come metafora della caduta dell'uomo nel peccato. Nella Commedia la trasformazione delle anime dopo la morte diventa uno dei principi strutturanti dell'intera architettura morale dell'aldilà. Il rapporto di Dante con le Metamorfosi avviene su due livelli: imitazione (spiegare la realtà ultraterrena della visione); emulazione (mostrare gli sviluppi inventivi della fantasia cristiana). Verso la modernità Il Rinascimento si ispira ad Ovidio per creare nuovi miti metamorfici che si contraddistinguono per la loro originalità, nonostante l'ascendenza ovidiana. Il tema delle metamorfosi si estese anche ad altre forme d'arte, come la pittura. Il poema ovidiano iniziò ad influenzare il romanzo. Poi tra la fine del ‘700 e la prima metà dell'800 l'interesse per Ovidio passò in secondo piano e la metamorfosi divenne argomenti di storie fantastiche ed eventi inspiegabili, diventando soprattutto oggetto della letteratura per l'infanzia. Tra la fine del ‘700 e l'inizio dell'800 l'interesse per Ovidio passa in secondo piano l'evoluzionismo di Darwin andò ad influenzare la letteratura. Moderni e postmoderni: Franz Kafka e Christoph Ransmayr Kafka ha inaugurato la stagione metamorfica degli inizi ‘900. Il suo Le Metamorfosi affronta la crisi dell'identità e dei rapporti interpersonali e familiari dell'età modema, A differenza degli esempi antichi, il protagonista si adatta al nuovo corpo, la perdita della possibilità di comunicazione porta il protagonista all'isolamento e allo sgretolamento della coscienza di sé, fino alla morte. La metamorfosi di Gregor evidenzia una crisi esistenziale che influenzò la poesia d'inizio secolo ed il Modernismo. M
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