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La concorrenza sleale: regole e sanzioni, Sintesi del corso di Diritto Commerciale

Diritto PenaleDiritto dell'ImpresaDiritto d'AutoreDiritto del commercio internazionale

Sulla concorrenza sleale, una pratica antigiuridica che viola le regole del giuoco concorrenziale. La concorrenza sleale può assumere diverse forme, come confusione, denigrazione e sottrazione. La disciplina antitrust regola queste pratiche, guardando alle modalità di acquisizione di una posizione dominante e all'esercizio di tale posizione. La legge impone il rispetto della buona fede, della normale diligenza, della correttezza e della lealtà e probità. Violare queste norme costituisce una concorrenza sleale. Gli atti di concorrenza sleale sono punibili con sanzioni legali.

Cosa imparerai

  • Che forme assume la concorrenza sleale?
  • Come la disciplina antitrust regola la concorrenza sleale?
  • Quali sono le sanzioni per l'attuazione di atti di concorrenza sleale?

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

Caricato il 12/01/2022

sara-varzi
sara-varzi 🇮🇹

15 documenti

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Scarica La concorrenza sleale: regole e sanzioni e più Sintesi del corso in PDF di Diritto Commerciale solo su Docsity! La concorrenza sleale Concorrenza è competizione tra più imprenditori e libertà di concorrenza è libertà di competizione: anche nella concorrenza la finalità che ciascuno si propone è quella di prevalere sugli altri. Ammettere pertanto il principio della libera concorrenza significa anche giustificare l'avvantaggiarsi di un imprenditore anche quando a questo corrisponda il sacrificio di un altro imprenditore. Dalla altrui concorrenza l'imprenditore singolo riceve un danno, in quanto si può determinare una perdita di clientela. Ma il pregiudizio eventualmente subito non è giuridicamente rilevante, in quanto l'attuazione della concorrenza è un diritto dell’imprenditore. D'altra parte, la competizione è una gara che richiede regole per il suo svolgimento, e la scelta dell'ordinamento per un sistema di mercato concorrenziale si giustifica nel presupposto che il premio della vittoria vada a chi lo merita e non invece a chi è prevalso alterando le basi della gara stessa. La disc ina antitrust non impedisce che un'impresa acquisisca una posizione dominante, ma guarda: - da un lato, alle modalità per cui ciò avviene (se a seguito delle sue capacità espansive e quindi per proprio meriti, oppure mediante tecniche in un certo modo artificiali, come le intese); - dall'altro, ai modi in cui viene esercitata (se abusivi oppure no). Perciò la disciplina antitrust può considerarsi come una regola del giuoco concorrenziale, ma non l’unica: essa, infatti, presenta la caratteristica di considerare i comportamenti dell'impresa in rapporto al sistema economico nel suo complesso, e non anche i problemi che si pongono nei confronti degli altri imprenditori concorrenti: il gioco infatti può essere alterato, e i suoi esiti falsificati non solo alterano gli equilibri di mercato, ma incidono sulla posizione dei singoli competitori. Anche nel campo del genericamente lecito il comportamento del singolo non è svincolato da ogni norma. Non soltanto quindi la libertà del singolo trova il suo limite insuperabile nelle altrui libertà, ma nell’esercizio della sua libertà il singolo deve uniformarsi a determinate direttive che l’uomo medio segue nella sua vita di relazione. Così, appunto, la legge impone: a) il rispetto della buona fede (art. 1337 c.c.); b) l’uso della normale diligenza (art. 1176 c.c.); c) il rispetto delle regole della correttezza (art. 1175 c.c.); d) il rispetto delle regole della lealtà e della probità (art. 88 c.c.). Questi principi hanno un rilievo ancora maggiore quando ci si pone in un rapporto di competizione concorrenziale e quando si tratta dell'esercizio delle attività professionali. Queste norme di costume possono essere riassunte nella formula “correttezza professionale”, al cui rispetto i professionisti medi si ritengono vincolati. La concorrenza quindi, pur essendo libera, deve attuarsi con il rispetto di quelle norme di costume che si riassumono nella correttezza professionale. Una concorrenza sleale è un comportamento antigiuridico. La legittimità della competizione è espressamente riconosciuta dalla legge; non meno legittimi sono i risultati della competizione, anche se questi si traducono in un danno per taluno di coloro che partecipano alla competizione. Ma tutto ciò purché siano rispettate le regole del giuoco e purché il comportamento dei singoli competitori sia idoneo ai principi di lealtà e correttezza. Gli artt. 2598-2601 c.c. qualificano gli atti di concorrenza sleale e ne determinano le sanzioni, attribuendo in taluni casi la legittimazione ad agire anche alle associazioni professionali. Gli atti di concorrenza sleale: A. Una prima categoria specifica è quella degli atti di concorrenza sleale per confusione (art. 2598, comma 1, c.c.), in cui la non conformità alla correttezza professionale dipende dal fatto che si sfrutta l'affermazione sul mercato di altra impresa concorrente, tendendo a confondersi con questa sia mediante l'uso di nomi o di segni distintivi da essa legittimamente usati, sia mediante l'imitazione servile dei suoi prodotti, sia con il compimento di atti comunque idonei a creare confusione con i suoi prodotti e con la sua attività. Naturalmente i principi sulla concorrenza sleale soccorrono quando non vi sia violazione del diritto alla ditta, all'insegna, al marchio o violazione del diritto di brevetto, e costituiscono un complemento della tutela dell'imprenditore. Allo stesso modo, la tutela delle informazioni riservate, delle indicazioni geografiche e delle denominazioni di origine è espressamente disposta facendo salva la disciplina della concorrenza sleale, applicandosi quindi per gli aspetti in cui essa non opera, con ciò confermando la possibilità di concorso tra le due discipline e quindi anche l'esigenza di definire i rapporti. Concorrenza sleale per confusione si ha anche: a) quando i segni distintivi, sui quali l'imprenditore non ha un diritto di esclusività, siano da lui legittimamente usati: si esclude quindi che venga tutelato colui che usi segni distintivi altrui o confondibili con quelli altrui, compiendo così un atto di concorrenza sleale (c.d. concorrenza sleale di secondo grado); b) quando si miri a confondere non i prodotti, ma la propria attività con quella di altro concorrente. Vi sono infatti imprese per le quali pure esiste la necessità di individuazione, ma che non hanno prodotti propri da contraddistinguere; c) in caso di imitazione servile dei prodotti, cioè in caso di riproduzione pedissequa dei prodotti altrui non solo nei loro elementi e caratteri sostanziali, ma anche formali. B. Altra categoria specifica è quella degli atti di concorrenza sleale per denigrazione (art. 2598, comma 1, c.c.), in cui la non conformità alla correttezza professionale dipende dalla diffusione di notizie o apprezzamenti sull'attività di un concorrente, atti a determinare il discredito. Nel sistema del nostro codice non è richiesto che le notizie o gli apprezzamenti siano falsi. Deve ritenersi perciò che anche la diffusione di notizie o apprezzamenti rispondenti a verità possa costituire atto di concorrenza sleale, purché siano idonei a determinare il discredito. Né si può dire che le notizie e gli apprezzamenti rispondenti a verità non possono screditare, ove diffusi. La legge considera la denigrazione del concorrente un mezzo professionalmente scorretto in sé per sé; quindi, risulta essere scorretta anche la diffusione di notizie vere che possa provocare nel pubblico suggestioni tali da alterare il proprio giudizio. Piuttosto la legge esige che vi sia diffusione di notizie e di apprezzamenti idonei a determinare il discredito: non basta cioè che queste notizie e questi apprezzamenti siano diretti a persone singole, ma è necessario che siano diretti alla generalità (cioè una serie indeterminata di persone). La diffusione di notizie e apprezzamenti deve avvenire, come per ogni atto di concorrenza sleale, ad opera del concorrente e nell'esercizio della sua attività imprenditrice. C. Una terza categoria specifica è quella degli atti di concorrenza sleale per sottrazione (art. 2598, comma 1, c.c.), ove l'imprenditore si appropria dei pregi dei prodotti o dell'impresa concorrente. La legge non ha riguardo al fatto che l'imprenditore utilizza i risultati dall'esperienza altrui: questo è perfettamente lecito, quando si esuli dal campo dei brevetti industriali; la legge ha riguardo invece al fatto che l'imprenditore faccia apparire nella réclame o nella presentazione al pubblico dell'impresa, come propri, meriti e riconoscimenti che sono di pertinenza dei prodotti o dell'impresa altrui. D. AI di fuori di queste categorie di atti espressamente qualificati come atti di concorrenza sleale, la legge dispone che “compie atti di concorrenza sleale chiunque si avvale di mezzi non conformi ai principi della correttezza professionale e chiunque si avvale di mezzi idonei a danneggiare l'altrui azienda” (art. 2598 c.c.). Sulla base di questo criterio generale, sono normalmente considerati atti di concorrenza sleale: a) lo storno dei dipendenti; b) il boicottaggio dell'impresa.
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