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RIASSUNTO CONTESTI EDUCATIVI PER IL SOCIALE CEROCCHI DOZZA. ESAME PEDAGOGIA PROFESSIONALE ROMA 3, Appunti di Pedagogia

RIASSUNTO DEL LIBRO CONTESTI EDUCATIVI PER IL SOCIALE CEROCCHI DOZZA . ESAME PEDAGOGIA PROFESSIONALE ROMA 3

Tipologia: Appunti

2019/2020
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Scarica RIASSUNTO CONTESTI EDUCATIVI PER IL SOCIALE CEROCCHI DOZZA. ESAME PEDAGOGIA PROFESSIONALE ROMA 3 e più Appunti in PDF di Pedagogia solo su Docsity! PEDAGOGIA PROFESSIONALE DEFINIZIONE Alla pedagogia si attribuisce l’idea del possibile, la cui forza è quella di dare orizzonte e meta alle teorie sull’educazione. Queste teorie si presentano come orizzonti “ideali” di progettazione della vita educativa; aperti ai sentieri del possibile, orientati verso il futuro. Come dispositivo euristico (dinamico e trasfigurativo) la pedagogia adotta un metodo “critico-utopico”. Bisogna ovviamente puntare ad una pedagogia multiculturale. Importanza delle categorie: in un progetto educativo è di fondamentale importanza tener presenti 3 diverse categorie: spazio, tempo e territorio. Spazio e tempo non intesi solamente per l’incontro, ma anche come ritualità. Per quanto riguarda il territorio l’azione didattica non può prescindere da esso, infatti si intende così il luogo in cui si applica. Deve essere partecipato piuttosto che controllato. Relazioni affinché si creino le condizioni per una compartecipata strutturazione del setting dovrebbero venir scandite dalla dialettica tra istituto e istituente. Istituto  è stabilito dalla normativa, prassi corrente non è una norma, ma è percepita come tale. Istituente equipe + ascolto dei fruitori per rafforzare il senso di responsabilità e di appartenenza. Importanza della rete/ reti: sistema integrato di interventi e servizi sociali integrato nella legge 328/2000, che deve essere pensato non come una serie di servizi uno dentro l’altro ma che lavora per e con l’altro. L’intervento educativo può essere visto come un piccolo sistema all’interno di uno più grande dato non solo da istituzioni/cooperative/associazioni a cui fa riferimento il servizio, ma anche da altri come famiglia, scuole, sistemi politici/economici/socio-culturali. Creazione di servizi di prossimità in modo da rendere la cittadinanza attiva e una popolazione partecipe all’interno del suo territorio di appartenenza. Le professioni per il sociale non lavorano direttamente sulla persona, ma con e per questa. Intervengono sull’interfaccia tra la persona/gruppi/ istituzioni e il contesto socioculturale più ampio per creare ponti. I professionisti per il sociale sono soggetti della progettualità e dell’azione, ma anche tramite, lavorano a tessere le maglie della rete. Sottointeso è che il dialogo e l’interazione tra i servizi è fondamentale per il benessere della persona e della comunità. Inoltre il servizio, in quanto unità di intervento deve rendere conto a diversi attori: istituzionali (regioni, comuni), sanitari (ASL), scuole, associazione, cooperative che a loro volta dovranno rendere conto a livello politico ai cittadini. Approcci teorici: Freire pedagogia popolare e coscientizzazione apprendimento non è limitato solo alle prime età della vita Dewey pedagogia progressista che attribuisce un ruolo fondamentale all’educazione nella costruzione di società democratiche. Bruner cultura plasma la mente, importanti due tipi di pensiero e ridimensionamento della cultura scientifica e dei protocolli. Sforzo di comprendere il mondo. Lewin il comportamento di una persona è influenzato dal rapporto che ha con l’ambiente di vita e i gruppi di riferimento. Importanza dei gruppi: di fondamentale importanza negli interventi educativi è avere alle spalle un gruppo di riferimento con diverse potenzialità e finalità. Es: RSA in cui troviamo: equipe medica che si occupa prettamente degli aspetti clinici, equipe di assistenza educativa, che si occupa dell’animazione e l’equipe gestionale che si occupa del coordinamento dei vari gruppi. Le riunioni all’interno delle strutture hanno il compito di mettere in comunicazione le diverse equipe di lavoro. Ogni gruppo presenta delle caratteristiche tipiche: uno stile, che può essere autoritario, democratico, permissivo, lassista. Fenomeni da osservare, come silenzi/ accoppiamenti. Infine delle finalità da perseguire, come la creatività e la messa in parola delle frustrazioni, rabbie, delusioni, incoerenze. Nel gruppo ciascuno porta del suo, partecipa giorno per giorno al progetto educativo e co-evolve con gli altri. Tuttavia lo scopo ultimo di un progetto educativo non è quello di fondersi gli uni con gli altri, ma quello di sviluppare le proprie potenzialità e personalità  favorire l’autonomia dell’altro. Polarità Setting psicoanalitico/educativo: Finalità e obiettivi concezione riguardo gli utenti Il lavoro educativo avviene nella comunicazione: La comunicazione è un aspetto fondamentale di cui tenere conto in quanto è impossibile non comunicare, tutto è comunicazione, per questo motivo è necessaria conoscenza e progettazione caratterizzate dalla consapevolezza della pragmatica della comunicazione umana. Assiomi della scuola di Paolo Alto: Essa è caratterizzata da due aspetti uno di contenuto ed uno di relazione, dove il secondo qualifica il primo. Non è unidirezionale e la punteggiatura è fornita dai feedback. Può essere numerica e analogica, ovvero presentare due messaggi contemporaneamente uno di conferma e uno di disconferma si può infatti dire un qualcosa, ma contraddirlo con il nostro linguaggio non verbale (gesti, mimica facciale). Può essere simmetrica e complementare, avvenire tra parità o disparità di potere. Metodo di lavoro: la spontaneità nei progetti educativi deve sempre essere tenuta sotto controllo per non perdere di autorevolezza evitare di essere eccessivamente fusionale. Bisogna capire chi si ha di fronte rilevazione del profilo biologico, psicologico e socioculturale del target, dipende dal contesto scopo e finalità conoscitive, bisogna tenere ben presenti non solo i bisogni del singolo, ma anche della collettività. Tutto ciò per poter ripensare costantemente condizioni e possibilità di: inserimento/accoglienza protocollo di accoglienza, ovvero regole per l’organizzazione per i nuovi giunti presa in carico di un singolo da parte di un educatore o di un’equipe. Permanenza: trovare la strategia migliore affinché i soggetti permangano all’interno del progetto, capacità di attrarre far capire la possibilità di qualcosa di diverso, capacità di trattenere. Congedo: da preparare nel tempo con la realizzazione ad esempio di un documento che ciò che siamo riusciti a fornire tramite il nostro progetto. SETTING: SERVIZI PER L’ETÀ SENILE Importanti sviluppi tecnologici hanno portato ad un allungamento della vita media e la diminuzione del numero di nascite hanno determinato un incremento del numero di anziani. Il cambiamento di prospettiva sociale e culturale ha fatto si che la cura degli anziani non avvenisse più principalmente nelle famiglie, ma all’interno di strutture specializzate. Lo scopo della pedagogia è quello di studiare le diverse situazioni per svincolarsi da meri interventi filantropici e per potersi concentrare sulla progettazione di un’educazione all’età senile.  scopo è accompagnare e preparare alla vecchiaia. Per poter pensare e progettare in funzione del benessere dell’anziano è necessario dare una definizione di età senile, cosa che risulta spesso molto complessa.  definire: età di ingresso, caratteristiche, bisogni distintivi e potenzialità. Partiamo innanzitutto dal fatto che l’età anagrafica non corrisponde ad una precisa età biologica, psicologica, sociale e culturale. Da un punto di vista fisiologica l’età senile viene fatta coincidere con la riduzione degli ormoni sessuali. Altra visione è prettamente medica che prevede interventi esclusivamente di tipo sanitario e assistenzialistico. Anni Cinquanta definite tre fasi o ritmi che segnano il passaggio dalla maturità alla vecchiaia. Fase critica o di presenilità 45- 60 anni, senile intermedia 60-72 anni e quella vera e propria oltre i 72 anni. Più recentemente sono state ridefinite le fasce di appartenenza, giovani anziani 65-74 anni, anziani tra i 75-84 anni, grandi anziani tra gli 85 e i 100 e ultra-anziani sopra i 100. Vi sono numerose e variegate definizioni di vecchiaia ma oltre a queste andrebbe tenuta in considerazione anche la struttura individuale --< ognuno invecchia a modo suo. Per molti anni la pedagogia ha visto l’educazione come un’azione ad appannaggio della sola infanzia, tuttavia non è così. È necessaria un’educazione che segua l’intero arco di vita, in modo da garantire il benessere sociale ed individuale riconoscendo l’esigenza di una formazione permanente. La metafora dell’arco per rappresentare la vita assume una connotazione negativa che segna un progressivo peggioramento, rendendo la figura dell’anziano come un individuo in continuo deterioramento.  anziano viene marginalizzato e limitato nella sua progettualità  forte disagio e difficile comunicazione tra immagine reale del proprio io, immagine ideale immune all’azione del tempo e carica di proiezioni fantastiche e l’immagine sociale fondamentalmente difettiva a cui l’anziano si assoggetta anche per essere accettato e che spesso si rivelano come una sorta di profezia che influenza negativamente le condizioni di vita. Sarebbe quindi importante sostituire la metafora dell’arco con un’educazione delle-nelle-alle età della vita, in cui il processo educativo ha funzione di ricostruzione e ristrutturazione costante. L’anziano si segna di condizioni e possibilità, si intende ovvero che si può agire su più fronti e potenzialità che vanno da abilità motorie a quelle cognitive da allenare le prime con pratiche mirate di sostegno e le seconde attraverso esercizi che per esempio potenzino la memoria, infine abbiamo le abilità linguistiche e comunicative che in assenza di patologie semplicemente di modificano nel tempo. In sintesi, è necessario dunque affiancare ad un’assistenza di tipo medico una di tipo sociale continuità energica e sinergica tra diverse agenzie e attori. Come detto in precedenza a livello culturale è cambiato il modello secondo il quale l’anziano dovesse essere assistito in famiglia, per far fronte a queste nuove necessità sono stati istituiti numerosi servizi residenziali per anziani. Prima assistenza a casa no sovvenzioni dallo stato  sovvenzioni statali potenziamento dell’assistenza domiciliare  crescente numero di richieste quindi trasformazione in assistenza più di tipo medico sanitario poi per stesso problema di numeri costruzione di veri centri di accoglienza dedicandosi oltre che all’assistenza medico sanitaria anche al benessere psico-sociale. Attualmente esistono due macro-famiglie di servizi per gli anziani che non riguardino l’assistenza domiciliare e sono servizi semi-residenziali e servizi residenziali. I primi sono di tipo socioassistenziale con funzione prevalentemente sanitaria e riabilitativa, mentre i secondi si dividono in casa protetta per individui non autosufficienti da un punto di vista psico-fisico, poi ci sono le RSA per anziani con patologie degenerative e non autosufficienti, ma che non necessitano di cure ospedaliere ed in fine abbiamo case di riposo, case albergo comunità e case alloggio protette. Recentemente applicato anche il modello della co-abitazione tra soggetti fragili che trovano nella convivenza forza e sostegno co-educazione tra anziani e soggetti più giovani. Il processo di invecchiamento da una parte ha carattere individuale ovvero ognuno invecchia a modo suo, ma dall’altro è fortemente influenzato dalla rete di sostegno e cura di cui l’anziano dispone. Di fondamentale importanza è tenere presente tutte quelle sensazioni di disagio, ansia, rabbia e frustrazione, atteggiamenti depressivi che un anziano può presentare a causa dei numerosi cambiamenti (lutti, separazioni, decadimento biologico e cognitivo) che è stato costretto a vivere nel corso della sua vita.  possono causare peggioramento dello stato complessivo. Da una parte difficoltà nel sapere gestire le emozioni e saper riconoscere le proprie e quelle degli altri, dall’altra parte le emozioni comunque rivestono un ruolo di fondamentale importanza anziani con legami sociali emotivamente positivi presentano una migliore qualità della vita. Per questi motivi l’ingresso e l’inserimento di un anziano in una casa di riposo anche se volontario è comunque da considerarsi un evento stressante. Allontanamento dai propri cari, dall’ambiente familiare, socializzazione e condivisione degli spazi forzata, perdita delle routines e della gestione autonoma delle proprie attività, a cui aggiungere in maniera complementare magari insorgenza di malattie, perdita di memoria, invalidità e vedovanza. L’intreccio di questi molteplici fattori può innescare o rafforzare la paura di morire o di vivere in queste condizioni. A questo punto ci troviamo davanti a due questioni, da una parte diffondere e progettare interventi che stimolino la cura di sé e degli altri, ovviamente che non possono andare a sostituire gli interventi medico- sanitari e che ovviamente tengano conto anche di momenti di semplice svago, dall’altra che tale progettualità dipende fortemente dalle possibilità della struttura e da quelle individuali dei soggetti.  resistenza al cambiamento vista come meccanismo di difesa, ma anche di adattamento. Infatti, l’evolutività umana nonostante le difficoltà è aperta ed il cervello umano continua ad adattarsi, apprendere e crescere consentendo riprogettazioni e ristrutturazione. Un corretto approccio della struttura al benessere individuale deve prevedere una rete di figure ed organizzazioni, per quanto possibile aprirsi al territorio e tenere conto del contesto sociale e culturale, favorire l’attivazione dell’anziano che deve essere considerato a partire a partire dal su bagaglio di esperienze di vita che influenzano il suo modo di vivere e vedere la realtà. Bisogna tenere conto dei bisogni sia individuali che collettivi e ripensare costantemente alle condizioni e possibilità di inserimento- accoglienza- permanenza (progetto di comunità e individuale, tempi, spazi interni, regole, monitoraggio, strategie di intervento, supervisione e documentazione.)- congedo. In tutto questo non dobbiamo scordare il lavoro dell’educatore e del pedagogista, il cui compito è quello di fornire un approccio di educazione permanente e ricorrente per apprendere ad invecchiare e vivere la vecchiaia come un’età diversa.  importante strumento e progetto è la memoria che consente tramite il linguaggio di fornire un’immagine di sé come portatore di patrimonio di esperienze, organizzare la realtà e di poterla progettare e trasformare.  bisogna preparare alla vecchiaia attraverso tutela ed educazione alla salute psico-fisica, ai diritti sociali degli anziani e alla costruzione di servizi sociali, culturali e relazionali. Il passaggio di testimone da un’assistenza prettamente familiare ad una fornita da servizi domiciliari, centri diurni e servizi residenziali si ha spesso quando le condizioni dell’anziano passano dalla fragilità alla non autosufficienza con ulteriori perdite di autonomia. Questi centri offrono servizi medico-sanitari, infermieristici, assistenziali e di animazione a seconda dei bisogni specifici degli anziani. Bisogna superare la concezione dell’anziano come malato a cui bisogna Studi sugli effetti delle relazioni intergenerazionali sulla percezione di benessere delle persone anziane in due contesti rispettivamente di residenzialità aperta al territorio e di domiciliarità. Tecnica dello studio di caso, analisi di tutti i documenti forniti dalle strutture, da triangolare con i dati forniti dal focus group e le interviste  traccia semi-strutturata. Esempio Padova e Monaco. Scopo è quello di creare una città che permetta agli anziani di invecchiare attivamente e ottimizza le potenzialità di salute e partecipazione alla vita sociale rendendo i servizi accessibili ad individui con bisogni e capacità diverse. SETTING CARCERE: il setting del carcere è uno di quelli più complessi ed immersivi in quanto molto spesso coinvolge anche atri setting  esempio delle tossico dipendenze. Il primo aspetto da tenere in considerazione è che nel carcere si trovano a convivere un gran numero di persone che non hanno scelto di vivere insieme comunità coatta.  gestione degli spazi. Questi infatti sono sempre gli stessi, ristretti, delimitati e comuni. Tempi: i ritmi del carcere sono reiterati, ossessivi e lenti e soprattutto non gestiti dal singolo individuo, le attività si susseguono rigorosamente schedate e prestabilite: ora d’aria, pasti, socializzazione, visita. È il tempo dell’attesa, di lettere, colloqui, del processo. La vita si arresta bruscamente nel momento in cui entrano in carcere. Regole/relazioni: si giocano all’interno di sottoinsiemi di categorie legali e su piani diversi. Forte gerarchizzazione. Creazione di una forte mentalità di gruppo basata su elementi culturali e sociali comuni e per l’esperienza criminale fatta prima. L’architettura condiziona fortemente le modalità di intervento  struttura antica in cui si ha alta sorveglianza e controllo, mancanza di privacy e spesso in condizioni fatiscenti  lavorare in contesti brutti rende più difficile portare avanti con successo qualsiasi attività per questo si cerca di modernizzare. Il carcere è un dispositivo universale che corrisponde alle teorie sulla pena che ogni paese si da a seconda del proprio sistema legislativo vigente in quel determinato periodo storico. Teoria della pena nel nostro paese: prospettiva retribuzionistica espiazione, tot reato tot pena, hai sbagliato paghi per quello che hai fatto e una prospettiva utilitaristica pena come difesa sociale, prevenzione, dissuasione, correzione e riabilitazione. In più vi è un terzo aspetto che è quello riduzionistico ovvero usare il meno possibile il carcere come sanzione penale e passare per “misure alternative”. (legge 663) Il nostro sistema legislativo cerca quindi di conciliare tra loro questi tre aspetti ribadendo il significato rieducativo della pena. Introduce poi il concetto di trattamento e reinserimento sociale.  passaggio da concetto di rieducazione che già comunque negli anni 70 segnava un grande passo avanti, a quello di trattamento che presume la presa in carico del soggetto e permette di parlare di diritti dei detenuti affettività. Per poter attuare davvero un trattamento centralizzato e personalizzato è fondamentale una prima osservazione del detenuto per fornire elementi di conoscenza e mettere in atto strategie adatte. Bisogna creare un rapporto di circolarità con la collettività sociale all’interno della quale il carcere è inserito, per favorire l’ingresso all’interno del carcere di associazioni e gruppi esterni e allo stesso tempo per favorire l’uscita ed il contatto esterno del detenuto una volta fuori dal carcere spesso invece le carceri sono situati lontani dalle città.  deve esserci possibilità di risocializzazione. In questo contesto appare chiaro come sia complicato e ambivalente il ruolo dell’educatore. Per prima cosa deve coniugare l’ambivalenza tra educare e punire. L’educatore porta avanti delle attività per far stare meglio un detenuto in un contesto che mira a punire. Mentalità antagonista fortemente gratificante per l’educatore, loro vi puniscono io vi aiuto.  evitare. In secondo luogo, conciliare autorità e libertà. Educare alla libertà in un contesto privo di essa.  rischio per l’educatore di delirio di onnipotenza e al tempo stesso sentirsi privo di qualsiasi potere. Necessità di progettare il lavoro educativo con altre figure in equipe e con i detenuti stessi. Puntare ad una costruzione dell’identità intesa come in continua trasformazione, coscientizzazione (Freire), passare da soggetti eterodiretti (diretti da altri) e infantilizzati a capitani di sé stessi. Mancanza di diritti spesso a causa del sovraffollamento. Rischio di perdita di identità, disumanizzazione. Bisogna conoscere il linguaggio del contesto dove ci si trova. Domande:  cambiare il corso della propria vita  identità più matura  continuità e discontinuità con il passato  attività da promuovere  nuovi paradigmi e ruoli dell’educatore l’educatore prende in carico non solo il soggetto in sé, ma anche il gruppo familiare che lo circonda. Molto utile in questi casi può essere la narrazione. È necessario un cambiamento culturale si auspica cioè il passaggio da un carcere totale ad uno sociale, passaggio da un paradigma medico ad uno di risocializzazione e responsabilizzazione. Il carcere può diventare un cantiere all’interno del quale: superamento dell’approccio punitivo a favore di una cura educativa del disagio e la progettazione di percorsi responsabilizzanti. Continuo scambio tra dentro e fuori, per risocializzazione Riappropriazione del senso di appartenenza alla comunità L’aspetto del sovraffollamento poco fa citato è molto importante, soprattutto perché si vengono a trovare diverse etnie e culture diverse a stretto contatto tra loro  genera tensioni. L’educatore deve tener presente l’eterogeneità delle situazioni che si potrà trovare davanti. Differenti anche per grado culturale e titolo di studio. L’educatore ha il compito di creare ambienti che facilitino l’educazione e l’apprendimento, passaggio ad un carcere aperto e che favorisca l’autogestione. La presenza delle donne in carcere è per esempio un contesto che ha bisogno di particolare attenzione. Per prima cosa bisogna tener presente che le donne nelle carceri rappresentano una minoranza rispetto alla controparte maschile, per questo motivo sono solo 4 gli istituti penitenziari esclusivamente femminili, il resto delle donne si trova in reparti specialmente dedicati all’interno do istituti maschili. Per non parlare del fatto che l’idea della devianza femminile è stata per molto tempo legata alla visione della donna di malaffare anche a causa degli scritti di Lombroso. Le carceri femminili sono caratterizzate da poche attività legate soprattutto ad una visione stereotipata della donna dedita alla sartoria e così via  carceri prima tenuti da religiosi. Le donne sono meno soggette alla spersonalizzazione della persona  cura di se. Esperienza più difficile è quella di essere madri all’interno delle carceri.  concessione di tempo per l’accudimento, allestimento di aree per l’allattamento e la cura dei neonati (aree nido), sostegno alla genitorialità, creazione di istituti per favorire la relazione madre e figlio minore durante il processo e la pena  ICAM (istituti a custodia attenuta per detenute madri).  sentimento di essere madre in conflitto con il forte senso di colpa. Cura ed educazione all’affettività e alla sessualità importanti come la maternità, per questo è necessario ascoltare sia le detenute che il sistema famiglia alle loro spalle. Quando si parla di detenute non si può non parlare dell’educatrice penitenziari all’interno delle carceri.  enorme fatica ad imporsi come professionista. Le agenti di polizia penitenziaria hanno ottenuto un livello professionale al pari degli uomini solo negli anni 90.  cura ad appannaggio della donna suore attività punitiva in senso moraleggiante. Necessità di un riconoscimento della specificità, da non intendere come limitazione delle opportunità  salvaguardia del femminile. Attività sportive e ricreative diversificate all’interno del programma di trattamento Incremento di corsi scolastici e professionalizzanti Commissioni formate dalle detenute per cogestione autodeterminazione Luoghi adatti all’esercizio dell’affettività e della sessualità educazione sentimentale Più misure alternative al carcere decarcerazione delle madri Ampliamento della possibilità di comunicazione Comunità terapeutica Lo scopo principale è il re-inserimento sociale. L’individuo scopre le proprie risorse che gli permetteranno di acquisire autonomia personale e le proprie potenzialità all’interno di un ambiente sicuro. Funge da contenimento del craving, equipe crea attività che distraggono e tengono impegnati, mentre gli altri utenti fungono da spunto da emulare. Ridefinizione del proprio stile di vita, re-imparando ad organizzare la propria giornata in modo autonomo rispetto alla continua ricerca della sostanza, avere degli orari, mangiare bene, trovare modi alternativi di scaricare le tensioni, limitazione dei consumi superflui.  trasgressioni punite e in caso allontanamento del soggetto. Si evitano i tempi vuoti. Per arrivare alla definizione di un’identità altra si seguono diversi passaggi. Fase di osservazione per individuare propensioni, interessi e abilità. Mettere in gioco gli affetti e le relazioni, lavorare sul qui ed ora e far emergere la disfunzionalità dei rapporti che aveva prima. La comunità ha carattere di residenzialità, ma lascia sempre la possibilità all’utente di andare via. Fasi: prima accoglienza conoscere la situazione, valutare la situazione di non uso, contattare in caso la famiglia e spiegare il tipo di percorso in modo da valutare la motivazione dell’utente. La famiglia viene contattata per cercare di comprendere il sistema relazionale primario e operare in parallelo. Seconda accoglienza far conoscere i vari operatori e gli altri utenti. Di solito si affianca al nuovo arrivato una persona che ha già avviato il suo percorso in modo che lo aiuti nell’inserimento e faccia da ponte con gli operatori. Blackout in modo tale che il soggetto chiuda definitivamente con la vecchia vita in favore del nuovo modello da acquisire. Nel primo mese di assestamento in questa fase viene negata la possibilità di comunicare con la famiglia e con il gruppo amicale. Si apprende un modello d vita sicuro e responsabile, si conoscono i propri punti di forza e i propri limiti, imparare a relazionarsi e a vivere in comunità.  interiorizzare i modelli mostrati, ricostruzione del sé. Normale è una prima reazione di rifiuto. Rientro acquisite le nuove abilità e messe alla prova l’utente si riapre al mondo esterno gradualmente per incontrare amici, cercare lavoro. Continuo confronto con lo staff per discutere delle difficoltà incontrate, mai sganciare completamente il rapporto. Lo staff lavora con e attraverso il gruppo, ogni membro è chiamato a riferire comportamenti non considerati consoni, i quali devono essere visti come sconvenienti per tutto quanto il gruppo le azioni del singolo influenzano la comunità. (Makarenko) Empowerment capacità di agire autonomamente e attivamente nella gestione della propria vita. LA STRADA E I CONTESTI IDI EMERGENZA: lavoro in strada: questo tipo di intervento si riferisce principalmente alla pratica del farsi incontro e ha come scopo quello di avvicinare persone che per diverse ragioni non hanno la possibilità o la voglia di usufruire dei servizi sociali sul territorio. Riguarda una vasta e variegata tipologia di target. Utenti con difficoltà nel coniugare immagine ideale, reale e sociale. Strettamente legato alla tossicodipendenza. Chi lavora in strada è a stretto contatto con gli attorui che animano la vita in quel determinato territorio. Ciascuna situazione è diversa e richiede strategie diverse e specifiche. Si tratta di interventi precoci che agiscono sia per quanto riguarda la prevenzione primaria rinforzo positivo e sviluppo socializzazione adolescenti e prevenzione secondaria bloccando anticipatamente dei possibili percorsi di disagio. Il disagio giovanile non sempre collegato con la devianza. Angoscia depressione e sfiducia nel futuro. Le finalità principali sono: vita alternativa alla strada, porsi come figura di riferimento, supportare il re-inserimento. Nel contesto della strada gli educatori si trovano ad affrontare numerose difficoltà partendo dal fatto che devono trasformare degli ambienti destrutturati in veri e propri setting educativi (spazi, tempi, regole e teorie di riferimento). Necessaria è la flessibilità, infatti se da una parte è fondamentale una ragionata progettazione dall’altra l’educatore deve essere sempre pronto a cambiare le sue parti spesso e in corso d’opera. Comunicazione fiducia reciproca. L’educatore deve entrare in contatto con individui nel loro ambiente di origine, rispettando regole comunicative e comportamentali. osservazione e comunicazione. Costante incertezza continue situazioni al limite dell’ortodosso, per questo necessario supporto e confronto con la sua equipe lavorativa. Centralità del gruppo inteso come gruppo di lavoro e come gruppo target. Gruppo di lavoro che gestisca il progetto, le fasi di monitoraggio, che si confronti tra i membri e con i servizi attivi sul territorio creazione di reti. Principali fasi operative: mappatura, diagnosi, progettazione stabilire le principali problematiche attraverso numerosi strumenti quali: osservazione, mappatura, presa di contatto con i leader, questionari e osservazioni. Progettazione prevede lo stabilire una serie di interventi a medio e lungo termine. Presa di contatto fase delicata in cui bisogna farsi accettare in luoghi dove si è estranei e guadagnare la fiducia del leader e di conseguenza del gruppo.  non imporsi forzando i tempi, non colonizzare. Di solito si utilizza la dimensione del fare, proporre, organizzare attività sportive, arte, viaggi, attività nella natura. Consolidamento della relazione fondamentale è la fiducia, è necessario che il ruolo degli educatori venga riconosciuto e rispettato dai target e dai membri dell’equipe. Educare alle relazioniatteggiamento empatico e positivo. Fase di abbandono di due tipi, naturale e forzato per fattori sia organizzativi che amministrativi. Deve essere anche questo ben strutturato e non lasciato al caso graduale. In questo contesto assume un ruolo di fondamentale importanza l’educazione all’aperto la natura infatti offre contesti di armonia e bellezza, permettendo di superare disagi psico-fisici e favorendo l’accettazione del proprio corpo incongruenza tra le 3 immagini di sé per visione alterata del corpo. La natura ci permette esplorazione dello spazio fisico e alfabetizzazione emotiva. Inoltre, l’avventura fornisce un modo di fuggire dal quotidiano e le esperienze influenzano il modo di agire dei soggetti, infatti l’affrontare situazioni e contesti diverse permette di sviluppare abilità sociali di base e lavoro di gruppo. Bande e bullismo: individuati cinque tipi di gruppi (Anzieu e Martin): folla, banda, raggruppamento, gruppo primario e secondario. La banda consiste in un gruppo più o meno ampio che ha un obiettivo comune e condiviso.  devianza criminale gang. Perdita delle ritualità collettive sociali, la banda diviene un fondamentale luogo di passaggio che segna l’emancipazione ed il distacco da figure di cura primaria per procedere all’indipendenza in un luogo sicuro prima di fare i conti con il mondo esterno (transizione).  membri di una banda tutti uguali. Banda permette quindi emancipazione e socializzazione, ma se molto forte può far uso del bullismo. Bullismo la violenza si presenta con la messa in atto di numerosi e variegati atteggiamenti prevaricanti e/o vessatori e lesivi comprendere variabili bio-psicologiche e socioculturali per poi realizzare monitoraggio e progettazione. La violenza può essere portata avanti o da un singolo soggetto oppure da strutture gruppali. Si può caratterizzare per asimmetria (bullismo) oppure simmetria, con indirizzo verso individui conosciuti o ignoti, verso sé stessi o verso oggetti. Si possono manifestare in diversi modi fisici, verbali, sessuali. I danni possono essere più o meno gravi a seconda della situazione e coinvolgono non solo vittima e aggressore, ma anche gli altri soggetti presenti sul territorio. Il bullismo coincide con:  una forma intenzionale e volontaria di produzione di sofferenza  sistematica e protratta  caratterizzata da asimmetria è un fenomeno sociale e/o di gruppo e produce significativi effetti su ciascuno degli individui coinvolti. (bullo, vittima, difensori, assistenti, aiutanti, sostenitori, spettatori neutrali, senza ruolo, passanti) Differenti forme di bullismo:  fisico diretto  verbale diretto  non verbale diretto gesti volgari e offensivi rivolti alla vittima caratteristiche sue personali quali carattere, autostima, capacità di coping, appraisal, autostima, locus of control interno e senso dello humor. Risorse inerenti alla famiglia, che funge da base sicura e sostegno Risorse di sostegno come per esempio la scuola, i sevizi sociale e la rete amicale i quali sostanzialmente costituiscono una sorta di base sicura extrafamiliare. Le diverse risorse individuate sono tra loro fortemente intrecciate. Considerare comportamenti disfunzionali non solo nella famiglia, ma anche per quanto riguarda le competenze relazionali degli insegnanti anche loro coinvolti nella catastrofe  resilienza degli adulti. Fondamentale da tenere in considerazione sono le figure riconosciute come soccorritori educatori ed altre figure professionali che possono venire dall’interno o dall’esterno del territorio colpito e che sono coinvolte nella situazione in maniera più o meno diretta. Coloro che provengono dallo stesso territorio si trovano a ricoprire il ruolo ambivalente sia di vittima che di soccorritore e per questo motivo deve essere sostenuta anche la loro resilienza personale e professionale. Tuttavia, anche coloro che arrivano in aiuto dall’esterno possono trovarsi a lungo andare in situazioni di vulnerabilità e quindi sviluppare sintomi da sindrome post traumatica da stress.  tecniche utili in questi casi sono il defusing e il debriefing. I bambini restano in ogni caso i soggetti più deboli in questi casi e la loro capacità di ripresa è strettamente collegata con la presenza di adulti efficaci e pronti ad un buon sostegno.  educatore tutore di resilienza. Ovviamente va distinto il setting di cura educativa da quello di cura psicologica. Il processo di resilienza favorito attraverso strumenti dell’educazione come la musica, il teatro o il gioco e attraverso tecniche di riabilitazione e rieducazione come scrittura, teatro, musica. Introdotti attraverso uno stretto lavoro di rete che tenga conto della complessità della realtà in cui ci si trova ad agire. LA FAMIGLIA: la famiglia viene vista come un sistema complesso plurale e dinamico a cui non è possibile dare una sola definizione e per cui non è possibile organizzare un unico intervento educativo. La famiglia garantisce:  Adattamento biologico all’ambiente con o senza legami di sangue  Crescita psicologica in senso cognitivo e affettivo crea esperienze di contatto tra oggetti e concetti del mondo reale, vissuti emotivi ed affettivi.  Socializzazione primaria nei rapporti verticali e orizzontali i primi con genitori, nonni etc i secondi con i pari come per esempio fratelli e sorelle preparazione al mondo esterno  Costruzione dell’identità personale attraverso la cultura, la religione del gruppo di appartenenza. Oggi giorno abbiamo una varietà piuttosto complessa di tipologie di famiglia: monoparentali, eterosessuali, omosessuali, allargate, ricostruite, con figli, con un solo figlio e con figli adottati. Inoltre, a causa di un forte cambiamento sociale e culturale da una parte la famiglia è vista ancora come una fonte di sostegno dall’altra però si assiste molto spesso alla rottura del sistema famiglia e quindi al divorzio oppure ad una notevole riduzione della natalità. Per questo motivo appare chiaro quanto sia necessario un progetto educativo a favore e sostegno della famiglia e della genitorialità. Due tecniche molto utilizzate sono l’educativa familiare e lo spazio neutro, entrambe predisposte dai servizi sociali ed il tribunale dei minori nel caso in cui si presentino rapporti conflittuali tra il minore e uno o più adulti appartenenti al suo gruppo famigliare. Per quanto riguarda la prima, questa consiste in un vero e proprio ingresso dell’educatore all’interno della famiglia il quale procederà con una prima fase di osservazione della situazione. Successivamente procederà con la stesura del progetto il quale prevede di base 3 fasi: 1) Progettazione di varie attività educative in diversi setting 2) Colloqui e attività con gli adulti della famiglia 3) Organizzazione di momenti educativi con minore e adulti simultaneamente fornendo sostegno. Per quanto riguarda lo spazio neutro invece, questo viene sempre predisposto dai servizi sociali, ma prevede un maggiore intervento da parte dell’autorità giudiziaria. Per questo motivo per quanto siano simili gli obiettivi tra educativa familiare e spazio neutro, questo richiede un tipo di progettazione più rigida, con incontri calendarizzati e obiettivi da raggiungere passo passo. Inoltre, richiede la creazione vera e propria di un setting educativo con spazi, tempi e regole ben definiti. Nel caso in cui non si riesca ad offrire un aiuto ed un supporto alla famiglia bisogna intervenire con altri sistemi: adozione e affido. SETTING MINORI E ADOZIONI: Per quanto riguarda l’adozione questa ha avuto un iter storico e legislativo più lineare e regolare rispetto all’affido. In entrambi i casi si ricorre a queste due soluzioni per garantire il diritto del minore ad avere una famiglia. L’affido si applica quando la famiglia non è temporaneamente in grado di prendersi cura del minore (privazione del nucleo familiare, disorganizzazione familiare/trascuratezza del minore, inadeguatezza educativa), mentre l’adozione consiste in un’accoglienza completa e totale, si verifica quando si appura lo stato di abbandono del minore e vi è una coppia non troppo anziana che desidera un bambino, ma non riesce ad averne. Esistono ovviamente molte tipologie di affido come sono molteplici le situazioni di disagio in cui si può trovare una famiglia, affido in una famiglia, ai servizi sociali con locazione in una struttura familiare, ai servizi sociali con locazione in una comunità. Le comunità sono: di pronta accoglienza  nate recentemente per sopperire a tutte quelle situazioni di emergenza e che richiedono di un intervento tempestivo per evitare che il minore rimanga per molto tempo in una situazione di potenziale pericolo, permettendo di scegliere la soluzione migliore. Comunità familiare denominata anche casa-famiglia, prevede l’ingresso di un numero ristretto di minori (6) e la loro educazione e cura viene affidata ad una coppia che può avere anche figli propri. Comunità educativa prevede un numero max di 12 ragazzi tra i 6 e i 18 anni. Questi poi vengono divisi per fascia di età, 6-11 anni e 12-18. La loro educazione viene affidata ad educatori e figure professionalizzanti assunte tramite contratto dalla struttura. Nel caso poi dei casi meno gravi l’affido viene disposto nella stessa regione di appartenenza della famiglia così da favorirne i contatti. L’affido è un’azione che può essere portata avanti direttamente dai servizi sociali e si dice consensuale quando la famiglia acconsente, mentre nel caso in cui si opponga, i servizi sociali possono ricorrere all’intervento del tribunale dei minori e si parlerà di affido giudiziale. La struttura poi dovrà provvedere a fornire periodici aggiornamenti riguardo l’andamento del progetto educativo e del percorso del minore, mentre il tribunale potrà provvedere a dei controlli periodici. L’adozione invece abbiamo detto si verifica quando viene attestato lo stato di abbandono del minore e la presenza di una coppia che sia intenzionata a adottarlo. Anche per quanto riguarda l’adozione, ne esistono diversi tipi: adozione piena crea dei legami identici a quelli biologici e prevede di recidere completamente i rapporti con la famiglia di origine. Adozione semplice questa interessa gli altri parenti del minore o adulti che avevano rapporto con questo prima della scomparsa dei genitori. È il caso dei coniugi in famiglie Spazi del nido: ingresso ampio e luminoso, salone per il riposo, per i giochi, per i pasti e per i laboratori di attività Figure professionali importanti: il pedagogista garantire la coordinazione degli educatori, ricercare nuove metodologie educative, stringe contatti e relazioni con le diverse figure professionali coinvolte nel settore e con le famiglie. Educatore integrare al meglio il momento della cura con quello dell’educazione e favorire l’inserimento del bambino nel gruppo di pari. Organizzare la relazione con i colleghi e le famiglie. i principali strumenti di lavoro a disposizione dell’equipe sono l’osservazione e la documentazione. La prima per definire i problemi e cercare molteplici soluzioni. La seconda per rivedere la qualità delle scelte fatte ed in caso modificare il piano educativo. Nido montessoriano la Montessori nasce come medico che fin da subito si interessa della vita psichica e dello sviluppo cognitivo del bambino, dando il via a quella che viene definita pedagogia scientifica. Ella riteneva infatti che il bambino fin da piccolissimo avesse una vita psichica e che il compito dell’adulto fosse dunque quello di accompagnare il bambino nel suo sviluppo. 3 Maestri: genitori, educatori e ambiente. I primi due creando un rapporto di fiducia con il bambino forniscono la sicurezza necessaria per esplorare il mondo fino al momento in cui sarà in grado di farlo autonomamente. L’ambiente invece funge da terzo maestro in quanto il bambino è dotato di una mente assorbente capace di apprendere senza sforzo dagli stimoli che riceve. Appare chiaro la necessitò di un ambiente preparato, ampio, gradevole, accogliente e luminoso nel quale il bambino possa giocare e apprendere facilmente. La Montessori riteneva inoltre che l’apprendimento e lo sviluppo cognitivo del bambino avvenisse in un determinato lasso di tempo chiamato periodo sensibile il quale dopo un po' scompariva per non tornare mai più. Il compito dell’adulto è quello di accompagnare il bambino fornendogli in giusto aiuto e la giusta libertà. I materiali utilizzati devono essere a misura di bambino e si tratta spesso di oggetti che sono possibili da ordinare dal più grande al più piccolo o in ordine di latezza. Centro di aggregazione giovanile (CAG) Sono gruppi giovanili organizzati che nascono come filiazioni di istituzioni e associazioni religiose e/o sportive. Si inserisce all’interno di un macro-programma regionale e microprogramma locale. I CAG mirano a rispondere alla necessità dei giovani di aggregazione/integrazione, mettendo al centro la persona e non il disagio che porta dentro. Sono 3 gli elementi importanti: la sede posto stabile, esclusivo capace di raccogliere gruppi. Spazio adeguato alla creazione del setting tempi lunghi e continuativi che permettono la creazione di rapporti di fiducia professionalità educativa per garantire il buon funzionamento del programma la modalità di accesso può essere libera, informale (mappatura degli iscritti), formalizzata ovvero mediata da servizi sociali. Progetto educativo che coinvolge tutto il gruppo, visto secondo la definizione di Lewin come un sistema dinamico in cui le azioni del singolo si ripercuotono su tutti i membri. Educo il gruppo per arrivare a educare il singolo e viceversa. Il gruppo inoltre è di tipo multiculturale  favorire integrazione. Il ruolo dell’educatore sono diverse le funzioni dell’educatore creazione del setting, progettazione della fase di accoglienza, permanenza e ascolto. Far fronte alle dinamiche anti- gruppo che rischiano di distruggere il gruppo creando e favorendo l’idea di un obiettivo comune e condiviso da raggiungere insieme. Lavoro in equipe per confrontarsi nelle scelte progettuali ed in caso modificarle e trovare nel gruppo di lavoro anche un supporto ed un conforto nei momenti difficili. SETTING DEL MUSEO: importante educare alla bellezza. Nel 700 già vi era un’idea del museo con ruolo educativo, ad appannaggio esclusivamente di alcune classi o comunque per l’educazione degli artisti. Già nell’Ottocento cambia questa visione e si diffondono due tendenze principali un positivista che vede nel museo una rigida catalogazione ed esposizione ed una concentrata maggiormente sulle arti maggiori e minori valorizzazione dell’estetica. Negli anni 50 del 900 con la scolarizzazione di massa si afferma definitivamente il carattere educativo del museo. Prospettiva realista, opere d’arte perfettamente cristallizzate e conservate all’interno del museo. Prospettiva costruttivista che lasciare spazio alla libera interpretazione da parte del pubblico. Oggigiorno assume anche un carattere importante il pubblico del museo, attivo e non più passivo. Si cerca ad arrivare ad un pubblico di tutte le età, fornire la possibilità al pubblico di trovare le risposte all’interno dell’esposizione stessa e grazie anche al sapere condiviso. Utilizzare delle mostre che favoriscano l’uso di più di un senso. Un’attività attualmente molto utilizzata è quella del laboratorio. Nel palazzo delle esposizioni di Roma vi sono due spazi dedicati al laboratorio, uno è l’atelier e l’altro è la biblioteca che ospita opere internazionali consultabili da tutti e soprattutto i libri senza parole. In aggiunta vi è un piccolo spazio dedicato a delle piccole rappresentazioni di solito in tema con l’esposizione di un libro in particolare all’interno della biblioteca.
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