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Riassunto Cromorama (R. Falcinelli), Sintesi del corso di Comunicazione Grafica

Riassunto del libro Cromorama + epilogo e appendici A e B

Tipologia: Sintesi del corso

2021/2022

Caricato il 02/06/2023

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Scarica Riassunto Cromorama (R. Falcinelli) e più Sintesi del corso in PDF di Comunicazione Grafica solo su Docsity! CROMORAMA 1790  Nicolas-Jacques Conté crea la prima matita rivestita in legno (così che la grafite non sporcasse le mani): la grafite in polvere è mescolata all’argilla e impacchettata nel legno 1893  la Koh-I-Noor realizza la prima matita dipinta (di giallo) per nascondere le imperfezioni del legno. Il colore giallo viene scelto per due possibili motivi: - colore dell’impero austro-ungarico (dove l’azienda ha sede) - colore della famiglia imperiale cinese (la grafite proviene dalla Cina) Oggi il colore è un’idea o un’aspettativa: certe tinte diventano un tutt’uno con gli oggetti a tal punto che non possiamo immaginarli in modo differente. Questo perché le cose oggi sono prodotti in serie, cioè prodotti e venduti in un numero elevato di esemplari. L’industria vuole infatti normare la produzione: gli oggetti prodotti devono essere identici e se non lo sono vengono scartati. Questo perché il mercato vende più facilmente cose uguali e standardizza la nostra percezione: preferiamo la serie rispetto all’eccezione (non compriamo l’oggetto ma la sua idea di perfezione). Eccezione  prodotti a km0 (prodotti coltivati nel territorio limitrofo e irregolari). Il design, attraverso la ripetizione di idee e modelli, insidia nella nostra mente rappresentazioni: ognuno pensa e si comporta in modo conforme alla massa. Il mondo del colore ricorda la stampa di Hokusai  un elefante è circondato da 11 uomini ciechi: uno lo sfiora, uno lo abbraccia ecc. Ognuno se ne fa un’opinione diversa ma non lo coglie nella sua completezza, perché l’esperienza dei sensi restituisce solo frammenti parziali. Allo stesso modo, per capire il colore dobbiamo chiederci quali sono le idee che gli uomini se ne sono fatti. Per capire la differenza tra un prodotto di lusso e uno economico prendiamo come esempio il diplomatico, un dolce fatto con un pan di spagna al liquore e crema pasticcera, e la nutella. Mangiare il diplomatico offre sensazioni molteplici, mentre la nutella ha lo stesso sapore per tutto il tempo che la teniamo in bocca. La nutella rappresenta la tinta unita e la velocità che è cifra dei nostri tempi. La tinta unita è l’uniformità di una superficie in cui riconosciamo lo stesso colore in ogni suo punto. La tinta unita si fa capire all’istante: es. il cielo di un dipinto di Fragonard è ricco di sfumature, mentre i fumetti sono esclusivamente composti da tinte unite. La tinta unita era difficile da ottenere in passato. La tinta unita è conseguenza della produzione in serie (ogni oggetto prodotto in serie presenta colori unitari) ed è sinonimo di nuovo. Una superficie non uniforme appare vecchia e rovinata e la buttiamo via. La società moderna si basa invece su igiene, regolarità e standard: le logiche del mercato ci invitano a buttare quello che è vecchio e sostituirlo col nuovo. GIALLO INDUSTRIALE ROSSO UNITO Vecchio non è sinonimo di antico: l’antico è considerato prestigioso e si conserva proprio per questo. Brillo Box di Andy Warhol  ricostruzione di una scatola di spugnette insaponate Brillo. Warhol riproduce la scatola con il legno compensato e ripropone la serigrafia a due colori, ma fatta a mano (presenta delle irregolarità). Anche la stampa industriale presenta sempre delle irregolarità, ma nessuno le nota perché le consideriamo parte della tecnica con cui sono realizzate. Le inesattezze di Warhol sono invece intenzionali. Piet Mondrian  stile pittorico affine alla grafica moderna. Un suo quadro famoso è bidimensionale, compatto e unito come un oggetto di fabbrica, ma non è perfetto. Se ci avviciniamo notiamo nel colore dipinto delle discontinuità pittoriche. Proprio per la sua predisposizione alle tinte unite, la grafica ha cercato dei modi per acquisire ricchezza cromatica  tecnica della sovrastampa: sovrapporre due colori senza creare una miscela pura (stampare un colore sopra l’altro senza annullare quello sotto). Esempi: - Egon Schiele (ritratto di donna) >> crea i capelli arancioni sovrapponendo rosa e giallo - Kandinskij >> sovrappone giallo e azzurro per ottenere il verde Troviamo suggestivi questi lavori perché la nostra mente è sempre combattuta tra bisogno di ordine e necessità di infrangerlo. I colori in passato venivano ricavati dai 3 regni della natura: - regno minerale (terre, carbone e pietre) - regno animale (molluschi e insetti) - regno vegetale (piante) Oggi i colori sono sintetici e si producono in laboratori tramite reazioni chimiche. In passato il colore era una qualità dell’oggetto, faceva parte della sua essenza. Oggi, invece, utilizziamo i colori come aggettivi, cioè come concetti astratti. I primi pigmenti usti dall’uomo sono le terre (pitture preistoriche es. Lascaux) Dalle piante si ricavano sostanze per colorare la carta, i tessuti e i cibi (es. zafferano). Talvolta si può combinare il regno vegetale con quello animale (es. giallo indiano ricavato dall’'urina essiccata delle vacche che si nutrono di foglie di mango e niente acqua). - fritta egizia (III millennio a.C.)  primo pigmento artificiale (blu) - biacca (bianco)  pigmento tossico e che scurisce se usato per gli affreschi creano l’effetto di un negativo fotografico (es. Crocifissione di Cimabue ad Assisi) - nerofumo (nero)  si ottiene dal carbone ed è economico - rosso porpora NERO ARTICOLATO AZZURRO COSTOSO Diversi personaggi della letteratura o dei cartoni animati sono legati a una tinta precisa: Robin Hood al verde, Cappuccetto rosso al rosso e Madame Bovary al blu. Nel romanzo di Madame Bovary, le descrizioni sono scarse, ma non quelle riguardanti il blu. Il blu appare spesso: - la prima volta che Emma incontra lo sposo indossa un abito blu (colore che spicca e che indica il desiderio di una vita diversa, più elevata rispetto alla banalità del quotidiano) - quando l’amante lascia Emma, si allontana su un calesse blu (blu come dolore) - la boccetta di arsenico che Emma usa per suicidarsi è di vetro blu (blu come dolore) - a Rouen, durante un’opera lirica, gli spettatori parlando di indaco: il blu è un colore che va di moda a Rouen tra la borghesia cittadina (blu spirituale e di classe) Anche il protagonista dei Dolori del giovane Werther di Goethe si suicida mentre indossa una giacca blu e un panciotto giallo. Dal rinascimento, il blu, da colore negletto, diventa pregiato e spirituale: nelle ultime edizioni di Madame Bovary, la donna ritratta nella copertina veste di blu perché si ispira ai ritratti della principessa de Broglie, che indossa abiti blu. Emma a differenza sua non appartiene all’aristocrazia, quindi indossare questo colore significa imitare l’aristocrazia per sentirsi parte di essa. Il blu da valore spirituale (manto della madonna) assume un valore profano (prestigio). Il blu viene riproposto in cartoni della Disney come la Bella e la Bestia: Belle indossa un abito blu all’inizio; poi il colore viene indossato dalla Bestia durante una cena, mentre lei indossa un abito giallo. Il giallo simboleggia una nuova natura, ma è anche un giallo luminoso che rappresenta la razionalità. Belle, infatti, matura nel corso della storia e impara a conciliare razionalità e sentimento. 1793  dopo la Rivoluzione francese viene promulgata la libertà di abbigliamento (prima bisognava vestirsi in base alla classe sociale di appartenenza e in base al mestiere). Vestirsi liberamente non significa sapersi vestire, per questo esistono figure pubbliche che ci guidano nelle nostre scelte (oggi sono i trendsetter). Un esempio fu la regina Vittoria che in occasione del matrimonio della figlia indossò un abito color malva, lanciando una nuova moda. Il color malva è il primo colore sintetico della storia e fu scoperto per caso da William Henry Perkin mentre stava cercando di sintetizzare il chinino (farmaco per la malaria). Dalla sintetizzazione di questo ottiene un colore cupo che se mischiato con l’alcol può essere utilizzato come colorante per tessuti. Perkin chiama questo colore porpora di anilina, poi lo chiama mauve (malva) in onore della capitale della moda. L’invenzione di Perkin permette di produrre il colore in modo più facile, veloce e meno puzzolente e in grandi quantità. Grazie agli avanzamenti della chimica nascono altri colori e si apre il business della moda. Nell’800 la gente aveva più tempo libero. Sono anni in cui diminuisce l’analfabetismo e i contadini si trasferiscono in città. Nascono le pubblicità, le riviste illustrate e la vetrina del negozio diventa uno schermo trasparente con cui si propongono visioni del mondo. BLU BOVARY MALVA MODERNITÀ 1841  John Rand inventa il primo colore in tubetto (colore a olio confezionato dentro una lamina di piombo chiusa con un tappo). I colori vengono prodotti in grande quantità (grazie a Perkin) e venduti in tubetti (grazie a Rand) quindi sono alla portata di tutti. Sempre più persone si dedicano alla pittura e il colore smette di essere un bene di lusso. 1386  un tintore di Norimberga viene esiliato per aver infranto la legge tingendo un tessuto mescolando due colori. Il tintore aveva solo una licenza per tingere tessuti di lana di blu e di nero. Quello che ha fatto è stato vendere illegalmente abiti verdi ottenuti dalla mescolanza tra blu e giallo. All’epoca mescolare i colori era condannato dalla Bibbia perché considerata un’attività diabolica, un atto impuro. Nell’antichità non si mescolavano i colori perché non si attaccavano al tessuto o perché il colore finale non era quello sperato. Oggi invece la società moderna si basa su queste mescolanze: i nostri monitor mischiano verde, rosso e blu per ottenere gli altri colori, mentre la stampa mescola ciano, magenta, nero e giallo. Per sdoganare le mescolanze si aspetta il XV secolo  nascono i colori a olio (più stabili perché protetti dall’olio e non dall’acqua). Nascono prima a Venezia perché il clima umido non consentiva di realizzare affreschi. All’epoca compare anche per la prima volta la tavolozza, che inizialmente non serviva a mescolare i colori. Poi ci si chiede se ci sono colori più importanti di altri e quali e quanti colori si possono mischiare per ottenerne altri. Inizialmente si pensa che i colori primari fossero 5 (rosso, giallo, blu, bianco e nero), poi si passa a 3 (rosso, giallo e blu). Questa teoria trova conferma nel ‘700 con Jacob-Christof Le Blon quando vengono realizzate le stampe a colori partendo da 3 matrici di rame incise, una per ogni colore primario. Le Blon descrivono le sue teorie nel libro Coloritto, nel quale scrive anche che: - rosso + blu = viola - giallo + blu = verde - rosso + giallo = arancione 1801  fisico Thomas Young si chiede se anche la visione umana funziona per mescolanza, cioè se ci sono particelle che vibrano all’unisono con ogni colore possibile, magari 3 (rosso, giallo e blu). Il secolo dopo viene confermato il fatto che l’occhio ha 3 recettori, ciascuno sensibile a una gamma dello spettro. La tricromia non è legge: se costruissimo monitor basati su 5 colori e non 3 avremmo una gamma più ampia. La stampa ha superato la tricromia (si basa su 4 colori tra cui giallo, nero, magenta e ciano). 1796  Alois, in Baviera, scopre un pezzo di calcare e lo usa per inventare un modo per stamparsi da solo le sue opere. Il calcare, se bagnato, è un repellente per le sostanze grasse. Alois disegna sulla pietra dei tratti con una matita grassa e poi la bagna. I tratti a matita rimangono asciutti. Poi VERDE ILLEGALE CIANO LITOGRAFICO tampona tutto con l’inchiostro tipografico che, essendo oleoso, aderisce solo ai tratti a matita. Poi ci sente sopra un foglio e scopre così la litografia (scrittura con la pietra). Insieme alle teorie di Le Blon nascerà la stampa a colori. 1886  dipinto di John Everett Millais A Child’s Play (bambino che gioca con le bolle di sapone) viene utilizzato per il packaging di un prodotto di una marca di saponi  primo caso di arte usata per il packaging. 1834  invenzione della perrotine, macchina che imprime sui tessuti 5 tinte in contemporanea. L’altra grande invenzione è la fotografia e poi quella a colori. James Maxwell produce la prima foto a colori, non proprio una foto ma un’immagine proiettata. Fotografa 3 volte la coccarda in bianco e nero e poi proietta ogni lastra ponendo 3 filtri colorati davanti all’obiettivo del proiettore (uno verde, uno rosso e uno blu). Poi ricompone le 3 immagini proiettandole sovrapposte. La litografia insieme a questi processi fotografici permette la stampa delle immagini. Technicolor  tecnica della cinepresa: essa monta 3 pellicole in bianco e nero che riprendono la scena contemporaneamente, ciascuna filtrata con un colore primario. Alla fine, le strisce di pellicola vengono sovrapposte formandone una unica. Johannes Itten realizza un cerchio cromatico mostrando le tinte primarie, secondarie e terziarie. Poi usa questa struttura per creare alcuni accostamenti armonici prendendo colori sulla circonferenza a gruppi di due o di tre secondo rapporti di quadratura o di triangolazione. Individua 7 tinte principali e le battezza contrasti cromatici fondamentali. Costruisce un altro cerchio in cui lo spazio è diviso in segmenti inversamente proporzionali alla quantità di luce che le tinte riflettono. Ogni colore ha un valore luminoso e le quantità di luce di ciascuno dovrebbero equilibrarsi per creare l’armonia. L’armonia si ottiene quando la risultante di tutti i colori è un grigio medio. Una composizione armonica è data dalla mescolanza di tinta, luminosità e saturazione. L’artista deve equilibrare questi tre parametri per ottenere armonia. 1959  due neurobiologi conducono una ricerca sulla visione: impiantano un elettrodo nel cervello di un gatto per capire cosa accade quando guarda qualcosa. Il cervello felino, come il nostro, ha dei neuroni che comunicano tramite prolungamenti, nervi, che inviano scariche elettriche al cervello quando sono stimolati da qualcosa. Bisogna capire cosa eccita o inibisce questi neuroni. I due studiosi mostrano al gatto delle immagini e scoprono che i neuroni si eccitano non quando il gatto guarda l’immagine, ma quando i due cambiano il vetrino del proiettore. I neuroni reagiscono all’ombra che crea il bordo del vetrino quando viene inserito nel proiettore. Scoprono quindi i neuroni sensibili alle righe verticali. I due neurobiologi scoprono che ogni neurone è specializzato in qualcosa: alcuni sono sensibili alle righe verticali, altri a quelle oblique, altri a quelle sottili ecc. GRIGIO ARMONICO MARRONE NEURONALE 1938  si diffondono in UK le smarties, pastiglie di cioccolato ricoperte di zucchero. Si presentano in 8 colori diversi e sono una versione inglese dei confetti italiani e delle mandorle zuccherate francesi. I confetti hanno colori simbolici (rosa e celeste per i neonati, rosso per le lauree ecc.), mentre le smarties non hanno un significato. I colori servono solo a creare un effetto giocoso per attirare l’attenzione dei bambini. Il colore è quindi utilizzato come strategia di marketing e spesso si sceglie in base al destinatario del prodotto. Es. iMac della Apple >> primo computer colorato e arrotondato, creato per il tempo libero. Prima i computer erano solo squadrati e di colore bianco, nero o grigio, a simboleggiare la loro funzione prettamente professionale. L’iMac colorato invece incarna una nuova visione del mondo dove il computer è utilizzabile anche per lo svago. Anche il Macintosh della Apple segna questo passaggio: nello spot pubblicitario una ragazza colorata rompe lo schermo da cui parla il Grande Fratello e appare il logo della Apple con i colori dell’arcobaleno. Questo indica il passaggio da un mondo dittatoriale e monotono a uno dove c’è la libertà di essere spontanei. L’arancione è la tinta ufficiale della casata regnante degli Orange (Paesi Bassi). Il colore fa pensare alle carote, che in natura non sono arancioni. Sono state create con quel colore come omaggio alla casata reale. Anche i maiali in origine erano neri, come i cinghiali, mentre oggi sono rosa per noi. Gli alimenti sono quindi controllati attraverso strategie industriali perché derivando da materie vive non hanno sempre lo stesso colore. Per questo per ottenere colori uguali si cambia l’alimentazione degli animali o si aggiungono al cibo i coloranti. Ragionare sul cibo ci rivela il nostro rapporto con il colore: - la maionese è gialla in Francia perché deve ricordare il colore delle uova, mentre è bianca negli USA per sembrare dietetica - il pollo è scuro e ruspante in Europa, mentre gli americani lo preferiscono bianco e tenero Coloriamo il cibo per farlo sembrare sano e naturale. Se cambiamo il colore ad alcuni alimenti non li gusteremmo più: es. il pancarré non può essere blu o rosso. Solitamente ci viene più facile cambiare colore ai dolci, perché ci ricordano le feste (es. il gelato blu). Il rapporto tra colori e sapori l’aveva già intuito Aristotele: il nero rimanda all’amaro, il verde all’acido, il rosso al dolce e al piccante ecc. Il primo a interessarsi di sinestesia cromatica è stato Francis Galton che fece un esperimento scrivendo su un foglio numeri neri. I soggetti sinestetici dichiaravano di vedere il 5 rosso, nonostante tutti i numeri fossero neri. In un altro esperimento di Wolfgang Kéhler, abbiamo due figure, una arrotondata e una spigolosa, e due nomi: Maluma e Takete. Per i suoni delle parole, le persone associano Takete alla figura spigolosa e Maluma a quella arrotondata. ROSSO SIGNIFICANTE VERDE ASPRO La percezione non è un atto passivo: la mente proietta immagini psicologiche sulle cose. Il colore del packaging influenza il sapore dei prodotti: quando gli americani hanno inserito il giallo nella confezione della 7up (gassosa), i clienti hanno affermato di sentire la bibita più limonosa, quando la bibita non era affatto cambiata. Oppure, il giallo della Schweppes fa riferimento al limone che si serve insieme alla bibita. Il packaging racconta qualcosa di invisibile agli occhi: il rosso indica che l’acqua è frizzante e il blu che è liscia. Allo stesso modo usiamo il rosso per indicare il caldo e il blu per il freddo. Il colore indica anche il prezzo: le tinte unite sono tipiche dei prodotti di lusso, mentre l’uso di più colori è tipico del pop e del commerciale. Basta pensare alle bottiglie di ketchup e della maionese dei fast food. Il viola è un colore particolare: indica prestigio, maturità e saggezza, ma anche morte ed è spesso utilizzato nei cartoni, per esempio, per i personaggi adulti o cattivi come Malefica, Ursula, la regina cattiva di Biancaneve ecc. Viola è anche sinonimo di snob: nella versione italiana del Monopoli è viola il parco della vittoria, la casella più aristocratica di tutte. Il colore corrisponde non solo all’identità degli oggetti ma anche a quella del pubblico. I primi beni a essere proposti in più colori sono le automobili. 1923  viene creata la Chevrolet colorata grazie alla recente scoperta del Duco, una nitrocellulosa che riesce a inglobare più pigmento sulla carrozzeria in maniera stabile. 1950 Kenwood, marca di elettrodomestici, mette in vendita un frullatore bianco che permette di scegliere il colore del tappo. Poco dopo anche i Tupperware, gli ultramoderni contenitori per alimenti vengono proposti in diversi colori. Le aziende capiscono che il nuovo corso è la personalizzazione. È il colore il primo mezzo di diversificazione. Si pensi all’iPod o agli spazzolini da denti. Proprio per la sua natura personale e intima con cui il colore si lega alle cose, il settore dei saponi e dei bagnoschiuma è stato quello che più di ogni altro ha imparato ad avvalersene. I saponi per la cura della persona hanno infatti “sapori” e personalità. Il packaging svolge un ruolo evocativo perché al cambiare della fragranza dello shampoo cambia anche il colore. Se i prodotti per la famiglia e per la donna continuano a mantenere un rapporto con l’universo naturale, quelli per l’uomo richiamano le tinte dei motori o delle attrezzature sportive. Nei saponi maschili non c’è sapore ma personalità. Qualsiasi associazione è possibile, persino usare il beige per evocare atmosfere coloniali intorno al bagnoschiuma, suggerendo un immaginario cromatico: quello dei paesaggi esotici, degli abiti di lino crudo ecc. Il beige è diventato sinonimo di relax, di prendersi cura. Le multinazionali conducono da anni test per capire quale sia il colore più adatto ai detergenti. Dalle indagini è emerso che non esiste un colore, a parte il bianco, capace di raccontare meglio di altri il pulito. La domanda sul colore preferito è complessa. Le risposte legate al colore cambiano da paese a paese. Nel libro Color Sells Your Package c’è un grafico che mette a confronto i gusti cromatici tra BEIGE COLONIALE Olanda e Stati Uniti: per gli olandesi il giallo è un colore buffo, mentre per gli americani è moderno. Le aziende pensano non solo a cosa piace oggi ma anche a cosa andrà di moda in futuro. Ne “Il diavolo veste Prada” la protagonista Andrea Sachs, è una giovane giornalista che si trova nella posizione di assistente del direttore della rivista di moda newyorkese. Miranda le dice che si veste con la prima cosa che capita e che ignora che il suo maglione non è azzurro, non è turchese, non è lapis, ma ceruleo. Quel ceruleo rappresenta miliardi di dollari, un numero spropositato di posti di lavoro, ed è buffo che Andrea pensi che l’industria della moda non la riguardi, quando quel maglione l’ha scelto quell’industria proprio per lei. Questa lezione contiene due concetti: - i colori di moda sono studiati a tavolino - il successo di una tinta è determinato da elementi fatali che portano alla sua sopravvivenza in certe condizioni storiche Il mago di Oz è ambientato in Kansas. Sul piano della raffigurazione il paese di Oz è contrapposto al Kansas: le scene ambientate in Kansas sono girate in bianco e nero, il mondo di Oz è invece a colori. Si tratta di una composizione morale: l’austerità del bianco e nero è preferibile alle frivolezze del variopinto. Per anni il cinema d’autore è stato in bianco e nero. Sono stati tanti i fotografi a scattare in bianco e nero attribuendo alla scelta una volontà d’arte. La contrapposizione tra colore e non colore è così radicata nella mentalità moderna che spesso ne sfugge il peso: es. quando dividiamo il bucato in bianchi e colorati prima di metterli in lavatrice; oppure si pensi a quando nell’abbigliamento maschile opponiamo l’abito elegante o da lavoro, che è sempre scuro o nero, alla maglietta più adatta al tempo libero. Esistono anche espressioni che ribadiscono questa morale cromatica, quando parliamo di “mangiare in bianco”, per indicare dieta, o “farne di tutti i colori”, a significare un comportamento smodato. Nei ritratti del ‘500 si vede che la borghesia del nord veste di nero, in aperta polemica con i colori sgargianti indossati dai principi delle corti italiane: l’abbigliamento colorato è percepito come dismisura, mentre vestirsi di nero è sinonimo di misura morale. Tingere di nero era ai tempi difficile e costoso, per questo il nero è il colore della classe dominante. Nel rinascimento si sono diffusi i testi a stampa. Prima del ‘400 i libri hanno illustrazioni coloratissime e perfino la carta o la pergamena vengono tinte. Il libro tipografico inventato da Gutenberg impone il testo nero da leggersi su fondo bianco. Alle soglie della modernità il colore è guardato con sospetto. Nel mondo contemporaneo il bianco è sinonimo di classicità. L’inizio di questo gusto su trova nel convincimento che il candore fosse il linguaggio dell’arte greca e romana. Al contrario la statuaria antica era colorata. A rinforzare queste credenze ci si mettono i teorici e gli artisti modernisti: - Adolf Loos condanna l’ornamento come delitto e non risparmia il colore - Le Corbusier è contro la carta da parati e si batte a favore del bianco calce alle pareti BIANCO MORALE - Maison Louboutin denuncia Yves Saint Laurent, Zara e Eden Shoes di aver copiato le scarpe nere con la suola rossa  se viene trovato un caso di scarpa con la suola rossa antecedente alla casa francese, allora essa non avrebbe il diritto sul colore. Per i giudici la suola colorata è diffusa in tutta la moda; quindi, l’unico divieto che possono imporre è quello di usare precisamente l’accoppiata scarpa nera e suola rossa Alla domanda se un colore si può proteggere, abbiamo la risposta di scienziati e filosofi. Innanzitutto, bisogna capire se due cose hanno lo stesso colore. Es. quando scegliamo i calzini neri, a volte, ci accorgiamo dopo alla luce che in realtà sono uno nero e uno blu  metamerismo: ossia quando due tinte appaiono uguali sotto un tipo di illuminazione ma diverse sotto un altro. La multinazionale americana General Electric suggerisce che se due colori appaiono identici sia sotto una luce fluorescente sia sotto quella a incandescenza, possono essere definiti uguali. Ecco perché nelle procedure industriali le tinte vengono valutate sotto una luce standard (6500K = sole di mezzogiorno). Malinteso  esiste un colore vero delle cose e per vederlo bisogna metterlo sotto la luce giusta. Questo è sbagliato, perché il fatto che la luce del sole è più attendibile di quella di una lampadina è una convenzione. Nel mondo contemporaneo la luce è un modo di descrivere lo spazio e arredarlo: es. locali di lusso prediligono luci calde per sollecitare le nostre vanità e ci fanno venire voglia di spendere, mentre la luce sparata, bianca e fredda è tipica dei fast food o del supermercato, come a ricordarci che siamo entrati per fare qualcosa e che dobbiamo uscire in fretta. Il passaggio dall’illuminazione naturale a quella elettrica ha comportato un cambiamento nel nostro modo di percepire: è la qualità della luce a determinare il tono, lo stile e il linguaggio estetico delle cose. La pittura del Rinascimento ha personaggi vestiti secondo la moda contemporanea (del ‘400). Se oggi facessimo qualcosa del genere sarebbe considerato kitsch. Per i contemporanei di Botticelli, invece, è normale per due motivi: - vestire gli antichi in abiti moderni ribadisce che il messaggio evangelico è sempre contemporaneo - nessuno ha abbastanza ragioni per pensare che il passato sia così diverso dal presente Il secondo punto ci risulta inconcepibile perché noi abbiamo la corrente elettrica (ci ricordiamo sempre che siamo diversi). L’abitudine alla luce artificiale ha comportato modi nuovi di rapportarsi allo spazio e all’arte: oggi i dipinti sono appesi a pareti bianche nei musei e sono resi omogenei dal tipo di illuminazione, ma i pittori in passato dipingevano al buio o con la luce di una candela. 1960  Yves Klein ottiene dall’ufficio brevetti la certificazione del suo Klein Blue, un pigmento oltremare brillante. Quella che viene brevettata è una procedura tecnica, non un colore. Un brevetto è diverso dal diritto d’autore: un brevetto può essere ceduto a terzi o venduto, mentre il diritto d’autore implica che un individuo è il possessore morale di una certa idea e non si può vendere, ma può essere lasciato in eredità. Nel brevetto l’idea è una cosa concreta che si descrive in maniera tecnica, nel diritto d’autore il valore dell’idea è indefinibile, come un’opera d’arte. il grande malinteso è trattare il colore come una cosa quando invece è una sensazione. E non si può mettere il copyright sulle sensazioni. Nelle favole classiche le principesse devono avere i capelli biondi o neri, le labbra rosse e la pelle bianca come la neve. È una costante che proviene dalla letteratura cortese: si confronta l’amata con il meglio che si trova nel mondo. I capelli sono una massa fluida in cui si rintracciano caratteristiche irriducibili al nome di una tinta unica. Non è un caso che vengano paragonati all’oro, all’argento o al rame per descriverne la lucentezza. Il colore delle cose può presentarsi in 3 modi: - superficiale (tinta uniforme) - luminoso (come in una lampadina accesa) - modo volume (ci dà la sensazione di guardarci attraverso come un pezzo di vetro) Nel mondo naturale il confine tra superficie e volume è sfuggente. La percezione di un colore non si riduce alla tinta ma possiede profondità. Es. le foglie lasciano trapelare il reticolato interno. La pelle umana è un caso limite tra colore di superficie e volume, non solo per il trasparire dei toni sottostanti, ma anche per il suo cambiare sfumatura al variare dello spessore. Per dipingere la pelle non si può stendere una mano di pittura compatta, ma bisogna accostare piccoli tocchi di colore diverso. Storicamente è un procedimento che con la tempera è difficile, mentre è più fattibile con la pittura ad olio. Essa consente le sfumature morbide. Rosalba Carriera, ritrattista del ‘700, lavora invece con i pastelli. Il ‘700 sono gli anni in cui si comincia a investigare lo sguardo dei soggetti. Quella di Carriera è la prima pittura psicologica. All’epoca si è avvantaggiati dal fatto che andava di moda la cipria; quindi, si immortalavano soggetti con la pelle già dipinta. Il colore dell’incarnato non deve però appiattire l’espressione. Visto che i cosmetici sono un tipo di colore industriale, l’unico modo per ottenere un effetto naturale è usare più pigmenti. Ci sono altri contesti in cui il colore della pelle ha posto problemi industriali: - es. giochi  escamotage: concentrarsi sulla finitura e non sul colore >> es. Enzo Mari realizza una versione in plastica dei suoi famosi 16 animali e sceglie una resina pastosa che manifesta venature come fosse animata - es. giochi  Playmobil (figure umane fatte di plastica lucida mentre gli animali hanno una superficie ruvida) - es. Barbie  si opta per le varianti di beige (Ken invece ha la pelle di un marrone più scuro a significare che è maschio) Il rosa chiaro per dipingere le carni femminili risale alla pittura greca e romana: nel mondo antico le donne passano molto tempo in casa e sono quindi più chiare rispetto agli uomini che lavorano tutto il giorno fuori o che combattono in guerra. Il tema viene ripreso dalla letteratura cavalleresca che consolida il vincolo tra pallore e regalità. Cennino Cennini a tal proposito scrive che in pittura l’uomo bello vuole essere bruno e la femmina bianca. Mentre è facile nominare la tinta unita, le tinte articolate ci inchiodano all’insufficienza delle parole. Castano è il modo in cui ci riferiamo al marrone dei capelli e agli occhi, secondo un paragone con la castagna. Che la pelle sia rosa è vero, ma nelle scatole di matite, per esempio, il rosa viene spesso indicato come “rosa carne”. Matite e pennarelli sono gli strumenti con cui si inizia a maneggiare il colore. Gli antesignani dei pastelli sono stati i Crayola (1903 – USA). La prima scatola di Crayola tra gli 8 colori non aveva il rosa: questo viene introdotto 10 anni dopo con il nome di “rosa carne”. Più tardi l’azienda è costretta a cambiarne il nome perché alcuni osservano ROSA PESCA che la pelle ha tanti colori e nessun pastello può arrogarsi il primato di rappresentarla. Per questo viene ribattezzato come “pesca”. Usare espressioni indirette è la via più facile di tutte le culture: es. tribù dell’Africa centrale usano solo espressioni comparative. Anche oggi si usano formule indirette come “rosa salmone”, “grigio topo” ecc. Il salmone non ha una lunghezza d’onda riconosciuta dal vocabolario (cambia colore in base alla cottura). Siamo di fronte a un altro problema: se il mio interlocutore non ha avuto esperienza di un certo colore, non ho modo di spiegarglielo a parole. Se però il dialogo avviene tra persone che non condividono questa cultura comune, il colore può essere veduto e mostrato. Quindi, solo quando il colore è riconosciuto da entrambe le parti se ne può parlare anche in sua assenza. 1858  William Ewart Gladstone è al centro di attacchi feroci perché ama Omero. All’epoca l’epica greca era considerata pura fiction fino a quando verranno scoperti i resti della città di Troia. In una sua opera scrive un capitolo sulla percezione e sull’uso del colore in Omero. Omero è parco di nomi: - contrasto bianco e nero - contrasto chiaro e scuro - rosso compare 13 volte - blu mai nominato  Omero dice solo che il cielo è grande, stellato ma non dice mai blu. Anche il mare non è definito blu ma color del vino Filosofo Ludwig Wittgenstein  prova che di fronte a una fotografia in bianco e nero siamo sempre in grado di dire se qualcuno ha i capelli biondi. Il bianco e il nero sono concetto con cui parliamo del massimo chiarore. Qualche anno si è diffuso in rete un gioco percettivo: foto di un vestito che ad alcuni sembra blu e nero, mentre ad altri sembra oro e bianco. Per risolvere l’enigma bisogna tener conto che è una foto ambigua in cui non si capisce da dove venga la luce. Il cervello può pensare che il vestito sia bianco ma posto all’ombra o che sia un abito blu schiarito da troppa luce. A complicare il fatto è che la percezione vede il colore come un continuum di gradazioni in cui le tinte sfumano le une nelle altre, mentre il linguaggio lo tratta come segmenti isolati. 1969  gli antropologi Brent Berlin e Paul Kay, dopo aver intervistato parlanti di 98 lingue diverse, arrivano alla conclusione che tra le popolazioni che hanno solo due parole per indicare i colori, queste sono sempre bianco e nero. Se le parole sono 3 allora la terza è rosso. Se sono 4 o 5 compaiono il verde e il giallo. Due obiezioni: - i soggetti intervistati, anche se parlano lingue diverse, provengono tutti dalla baia di San Francisco (sono una generazione bilingue e urbanizzata) - per l’indagine hanno usato campioni di colore tratti dall’atlante Munsell fatto di tassellini di tinta isolati appartenenti a un momento preciso di storia dell’industria Molti termini per indicare il rosso vengono dal sanscrito rudhira (= sangue)  avvalora l’idea che è questa qualità umana motiva l’importanza del rosso. Se in alcuni contesti significa rosso, in altri può significare solo colorato, acceso, vivace ecc. Storicamente il rosso è stato il primo colore ad essere stato fatto e quindi è stato forse il primo a ricevere un nome. L’uomo inventa parole per le cose che usa davvero. BLU OMERICO perché le cellule della retina la trasformano in segnale elettrochimico con cui il cervello costruisce la sensazione di vedere. Per Newton la luce era fatta di particelle, oggi la scienza ci spiega che quando la luce si muove nello spazio può essere pensata come composta da onde. Nel 1905 Einstein chiama queste particelle fotoni, delle briciole di energia che viaggiano in maniera simile alle onde. Dal punto di vista fisico non c’è differenza qualitativa tra la radiazione elettromagnetica e la porzione che vediamo, cioè quella compresa tra i 380 e i 760 nanometri. Non possiamo vedere l’ultravioletto e l’infrarosso. Se su una superficie vediamo un determinato colore è perché la lunghezza d’onda dominante è quella del colore che vediamo. Una tinta unica è quella che vediamo quando non vediamo le altre lunghezze d’onda (vediamo solo la lunghezza d’onda dominante). Non c’è solo la presenza di una lunghezza d’onda: la superficie di un oggetto non riflette solo le lunghezze d’onda, ma le assorbe. È difficile che ce ne sia solo una, ma ce ne sono diverse (alcune assorbite, altre riflesse). Il sistema nervoso non percepisce le singole lunghezze d’onda ma la loro risultante psicologica. Ci sono dei ricettori della retina divisi in 4 categorie: - bastoncelli  sensibili alle basse illuminazioni, entrano in funzione con la penombra, il buio e la visione è in scala di grigi - cono 1  per le onde lunghe. È la macroarea dei rossi - cono 2  per le onde medie. È la macroarea dei verdi - cono 3  per le onde corte. È la macroarea dei blu Tutti rispondo a tutte le lunghezze d’onda: es. i coni rossi si attivano anche con il verde, il giallo o il blu. Il confronto di queste risposte permette di costruire il colore. La composizione spettrale di un colore si misura tramite lo spettrofotometro: si tratta della rappresentazione di un dato fisico che non tiene conto della sensibilità particolare di coni e bastoncelli, la quale è disomogenea rispetto allo spettro. Nella realtà infatti riusciamo a vedere meglio i rossi e i verdi rispetto a tutte le altre radiazioni. Che la tricromia RGB del monitor sia la più affine al modo in cui vede l’occhio è un errore. I coni rossi sono sensibili al verde e viceversa (sono più sensibili più a un colore e meno ad altri ma non vuol dire che sono sensibili a un solo colore). Quelli blu sono sensibili al giallo. Tutti i coni rispondono a tutte le lunghezze d’onda (per alcune sono più sensibili rispetto ad altre). Il monitor di un pc, tablet o telefono è basato su miscele ottiche. Il cervello invece usa questi 3 misuratori per operare un confronto. La differenza tra il monitor e il cervello, quindi, è l’utilizzo del sistema con cui vediamo: mescolanza o confronto. Elaborazione del colore  la retina invia alla corteccia delle informazioni già elaborate. Non conta più la lunghezza d’onda ma il segnale opponente: c’è il giallo, non c’è il blu; aumenta il rosso, non c’è il verde. Ci sono state varie teorie nel tempo che hanno dimostrato come vediamo i colori. Ci sono studi che dicono che psicologicamente la percezione postuma che compare dopo aver fissato per qualche secondo una certa tinta, ci permette di vedere un determinato colore. Nelle mescolanze (che avvengono per esempio nei monitor) ci sono sistemi di utilizzo del colore attraverso sintesi additiva o sottrattiva: sono costituiti dalla risultante RGB (red, green, blue) o CMYK (ciano, magenta, giallo e nero). A seconda dei due sistemi utilizzati si ha una produzione cromatica diversa che può portare al bianco o al grigio. Il colore complementare si trova nei punti opposti di un ipotetico cerchio in cui mettiamo i colori primari. La tinta è un attributo cromatico, la luminosità è un attributo tonale (riguarda la quantità di luce), la chiarezza è la percezione di un colore tra gli altri e la saturazione è la quantità di tinta percepita: per i colori isolati viene chiamata pienezza, per i colori non isolati si parla di croma. Il colore è la capacità di attirare l’attenzione: la scelta di tinte sature o luminose dipende da quanto vogliamo che un elemento salti all’occhio. IL COLORE I colori primari sono giallo, rosso e blu. Se parliamo di luce i colori primari sono rosso, verde e blu. Il colore secondario è il risultato dell’insieme di due colori primari. I colori terziari sono dati dalla mescolanza non proporzionale di colori primari (quantità disomogenee es. blu + giallo = verde, se mettiamo più giallo otteniamo un verde più chiaro). Ci sono anche altre teorie che ci fanno studiare la sintesi additiva e sottrattiva: per quanto riguarda la prima, i colori primari sono rosso, verde e blu, mentre per quanto riguarda la seconda i colori primari sono ciano, magenta, giallo e nero. La differenza principale tra le due è che nella sintesi sottrattiva c’è un quarto colore primario. La sintesi additiva (RGB) la troviamo in tutto quello che è elettronico (monitor, telefono, tv ecc.), mentre la sintesi sottrattiva (CMYK) viene utilizzata per la stampa. In quest’ultima il nero che si ottiene dall’insieme dei 3 colori non è un nero puro. Per avere il nero puro dobbiamo aggiungere altro nero. Se imposto un lavoro in RGB e lo uso nella stampa, avrò un risultato diverso. La luce stessa lavora per addizione e sottrazione. La sintesi additiva è la ricomposizione della luce bianca attraverso la somma di radiazioni: la luce non viene riflessa ma proiettata. I colori primari nella RGB diventano secondari nella CMYK e viceversa. Il bianco nella sintesi additiva è il colore che otteniamo al centro come sommatoria di tutti i colori, mentre nella sottrattiva è il nero. A ogni colore corrisponde un complementare: - rosso > ciano - magenta > verde - giallo > blu Nella sintesi sottrattiva ci riferiamo alla carta stampata: i colori stampati sono sempre più chiari rispetto ai colori della cartuccia, ma sono sempre gli stessi. In questa si toglie quindi intensità ai colori primari, a differenza dell’additiva. Ogni colore ha un codice fisso (è come se ci riferissimo ai codici pantone).
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