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Riassunto "Cura e progetto di vita, strategie di azione educativa", Appunti di Pedagogia

Riassunto del libro "Cura e progetto di vita, strategie di azione educativa" di Enza Sidoti, Giuseppa Compagno e José Gonzalez-Monteágudo.

Tipologia: Appunti

2020/2021

Caricato il 31/12/2021

giob94
giob94 🇮🇹

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Scarica Riassunto "Cura e progetto di vita, strategie di azione educativa" e più Appunti in PDF di Pedagogia solo su Docsity! Cura e progetto di vita. Strategie di azione educativa Capitolo 1. La cura educativa e la professionalità pedagogica. Il termine cura ha 2 accezioni: -la cura di una malattia e la sua guarigione; -il prendersi cura della persona nella sua interezza. Questi due significati riguardano uno la pedagogia e uno la medicina. Queste esercitano azioni di cura al medesimo oggetto che è l’uomo ma si differenziano per il campo di applicazione. La medicina si occupa dell'aspetto fisico per eliminare la malattia con un percorso clinico; la pedagogia si occupa della progettazione di un percorso formativo per creare nuovi apprendimenti. La pedagogia e la medicina non percorrono direzioni parallele ma tuttavia vi è una possibilità di incontro tra il sapere pedagogico e medico quando la cura diventa formazione, luogo di incontro e riflessione. Heidegger spiega che il significato alla nostra esistenza si basa su concetto di cura: essa non è solo modo di agire e interagire tra gli uomini, ma è anche caratteristica strutturale dell’esistenza stessa. In questo senso l'azione di cura messa in atto per rendere i soggetti capaci di riconoscere le proprie possibilità può essere denominata autentica. La cura inautentica non consente lo sviluppo di possibilità e progettualità nell'altro. Per una cura autentica è necessario mettere al centro la persona nella sua totalità e non soltanto il problema biologico e medico. L'empatia nella relazione di cura Empatia significa sentir-dentro. Nel primo ventennio del secolo scorso ha offerto un importante contributo fenomenologico Husserl, il padre della fenomenologia, che afferma che essa è un enigma. Scheler distingue diverse forme di “sentire insieme”: contagio emotivo, unipatia (identificazione), simpatia (condivisione di un sentimento) ed empatia, rifiutandola in quanto proiezione dell'io sull'altro. Stein infine ritiene che quando una persona si relaziona ad un’altra ed empatizza con il vissuto altrui, è consapevole che tale vissuto percepito è originario per l’altro: empatizzare non significa solo conoscere la persona per quello che è e significa cogliere qualche tratto di quello che può diventare. Questa posizione sembra essere confermata dalla scoperta dei neuroni specchio la quale dimostrerebbe l'effettiva base neurobiologica dell’empatia. Il meccanismo dei neuroni specchio dimostra che l’altro verrebbe visto come un “altro sé” grazie ai processi di rispecchiamento e simulazione. Il rispecchiamento garantisce la comprensione dell’azione osservata. L'’empatia in quanto sentire dentro è un dialogo e capacità di prestare attenzione all’altro. Dunque, è un atto cognitivo ed emotivo che può rivelarsi determinante per orientare il soggetto nel mondo. Un'esperienza empatica dal punto di vista cognitivo è la disponibilità da parte di un individuo ad assumere il punto di vista dell'altro e immedesimarsi nel suo vissuto. Tale capacità significa assumere il ruolo dell'altro anche se non condiviso. Si potrebbe pensare che questa sia una capacità innata ma realtà non lo è perché empatici si diventa portando a espressione una disposizione che si possiede sin dalla nascita. È necessaria una formazione professionale adeguata per avere tale competenza perché questa non è mai frutto di un'evoluzione spontanea del soggetto. L'empatia è quella che prevede la capacità di riconoscere l’altro come universo diverso da me. Essa prevede nell’educatore un percorso di crescita interiore che lo guidi nella relazione con gli altri e nella scelta di una professione basata sulla relazione. Concludendo l’empatia diventa uno strumento educativo nel momento in cui risulta motivata dal fine ultimo dell'educazione, cioè l'autonomia dell’educando e il suo essere capace di comprensione di sé stesso. | professionisti che operano nel sociale sono consapevoli che l’empatia è il legame sostanziale che rende significative le relazioni umane, è la disposizione all’accoglienza attraverso la quale si possono trasmettere il proprio sapere e farsi strumento di rispecchiamento dell'altro e delle sue potenzialità inespresse ma presenti. La professionalità pedagogica e il lavoro di cura Ogni cura medica, psicologica, spirituale, quotidiana, è una cura pedagogica perché sostiene la trasformazione della soggettività. Cura, non come guarigione ma come intervento di presa in carico, consente ai soggetti di generare cambiamenti a partire dalle condizioni in cui ognuno di essi si trova. La cura è educazione quando è agire orientato a portare l'altro alla scoperta delle sue potenzialità. L'atto di cura è guida, stimolo, autocontrollo, sostegno. È il dono di pensiero che un educatore porge all’altro da sé. È in tal senso prima di tutto cura di sé: infatti, l'educatore è chiamato ad avere cura di sé e della propria interiorità, è chiamato a conoscersi per conoscere l’altro. L'’educatore deve riuscire a ragionare riflettere su sé stesso analizzando i pensieri e le strategie educative utilizzate per acquisire consapevolezza e intenzionalità educativa nel progettare nuovi interventi. Il progettare nuovi interventi richiede la capacità di riconoscere nell'altro un soggetto pari con il quale è possibile costruire un insieme un’intenzionalità e una progettualità comune. Quindi la progettualità è lo strumento per dare sostanza e corpo all’intenzionalità. L'intenzionalità è il fulcro centrale dell’azione pedagogica che si concretizza nella definizione di un obiettivo specifico che è quello di promuovere lo sviluppo, la crescita e il benessere dell'individuo. | saperi si suddividono in due ambiti: contenuto e forma. Il contenuto è legato al possesso di conoscenze, la forma è legata al senso critico alla connessione dei saperi. Per l'operatore pedagogico è indispensabile fare riferimento alla competenza, cioè l'insieme di orientamenti operativi e capacità pratiche e conoscitive. | livelli della competenza sono quattro: -competenze di base, rappresentano la capacità di padroneggiare situazioni e attivare metodologie. -competenze specifiche, sono le competenze relative a differenti profili professionali e sono motivo di arricchimento dell'agire educativo specifico e contestualizzato. -competenze trasversali, è la competenza che si fonda sull’attitudine della persona che si possono valorizzare ed arricchire. -metacompetenze è una riflessione sulle proprie competenze e capacità di gestirle. Avere competenze in ambito pedagogico significa coniugare le conoscenze apprese in attività pratiche per progettare e realizzare un intervento educativo modellato sui bisogni e sulle risorse dell’educando. Progettare un intervento educativo non significa seguire un modello preconfezionato valido per ogni situazione. Infatti, affinché la progettazione possa avere finalità educativa deve essere ridefinita in itinere. Chi si prende cura degli altri necessita di capacità relazionali basate sull’ascolto attivo è sull’osservazione. L'ascolto è una pratica di cura essenziale in quanto aiuta a conoscere i bisogni e desideri altrui, significa creare uno spazio privo di pregiudizi per riuscire ad accogliere sentimenti ed emozioni, senza dare consigli o risposte precostituite. Affinché l’educatore possa fare ciò è necessaria una formazione riflessiva. Capitolo 2. Educare al prendersi cura: l'educazione terapeutica del paziente. Umanizzazione delle cure Umanizzazione delle cure significa prendersi cura della persona dall'inizio alla fine dell'iter diagnostico, dalla diagnosi all’identificazione di obiettivi che rispondono ai bisogni del paziente il cui apprendimento è relativo al grado di accettazione che egli ha della propria malattia; infatti, è difficile immaginare interventi educativi efficaci su pazienti che non siano consapevoli della propria diagnosi. | pazienti che hanno una malattia cronica spesso seguono il trattamento in modo insufficiente per ottenere un beneficio ottimale. Nel modello biomedico il compito del medico è conoscere e trattare la malattia, non il malato, l'intervento è finalizzato alla cura dell'organo malato. Tale modello è stato superato e si è arrivati al modello che integra la dimensione biologica della medicina tradizionale con una prospettiva il cui malato è protagonista: questo modello si chiama Patient-Centred Medicine; in questa accezione vengono considerate anche le variabili psicologiche e sociali. Infatti, nel momento in cui si interviene in una malattia si assiste non solo alla modificazione della struttura organica dell'individuo ma di tutte le parti che sono in interazione con il sistema uomo: il malato non è colpito soltanto a livello biologico ma anche a livello psicologico e a livello sociale e quindi del contesto in cui il malato vive. Secondo questo nuovo modello l'utente non deve essere considerato come paziente portatore di una specifica patologia, ma come una persona unica e insostituibile definiti apprendimenti trasformativi. Per questo motivo la scrittura autobiografica dei professionisti della cura può produrre benefici anche sui pazienti ai quali essi imparano ad avvicinarsi attraverso un approccio di cura della malattia ma anche cura pedagogica. Capitolo 3. La comunicazione efficace nei processi di cura. Il termine comunicazione deriva dal latino comunicare ed evidenzia il senso di partecipazione, di essere in relazione. La comunicazione nell’ambito della relazione di cura ha funzione conativa, nel senso che il messaggio tende a modificare un comportamento del ricevente. La comunicazione è un processo interattivo che necessita di chiarezza in partenza e di una comprensione inequivocabile all'arrivo. Nell'ambito della medicina dell'approccio al paziente è necessario instaurare una comunicazione efficace per creare un'alleanza terapeutica e cooperazione tra medico e paziente. Per far ciò il medico dovrebbe dedicare un tempo sufficiente per fornire informazioni sulla malattia senza dare nulla per scontato, in quanto il tempo della comunicazione è tempo di cura. È da ricordare che l'utilizzo di un linguaggio tecnico non adeguato a livello dell’interlocutore produce difficoltà di comprensione e adesione al progetto terapeutico. Una buona comunicazione si rispecchia positivamente sul percorso terapeutico perché permette di stabilire un rapporto basato sulla fiducia e sull’empatia. Gli assiomi della comunicazione Un importante contributo ai meccanismi comunicativi è stato offerto da Watzlawick con il suo studio La Pragmatica della Comunicazione. W. identifica cinque assiomi:1) non si può non comunicare: qualsiasi comportamento è comunicazione, anche il silenzio e l'indifferenza rappresentano messaggi con significati ben precisi.2) ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto e un aspetto di forma: ogni volta che comunichiamo con una persona agiamo su due livelli, quello cognitivo e quello metacognitivo. Il messaggio che comunichiamo è costituito da una parte da ciò che letteralmente diciamo, dall'altra dalla comunicazione non verbale, quindi gesti e movimenti del corpo.3) la natura di una relazione dipende dalla punteggiatura delle sequenze di comunicazione tra i comunicanti: il significato della sequenza di informazioni è determinato dalla punteggiatura scelta che può portare a diversi significati. Infatti, è importante prendere consapevolezza del fatto che il proprio comportamento influenza la relazione con l’altro.4) gli esseri umani utilizzano una comunicazione numerica e una comunicazione analogica: comunicazione analogica riguarda la sfera del non-verbale. La comunicazione numerica riguarda la sintassi ed esprime pensieri ed argomentazioni. Questa ha dei limiti per cui quando è possibile è bene utilizzarli entrambe.5) tutti gli scambi di comunicazione sono simmetrici o complementari: Primo caso i partecipanti sono in posizione egualitaria e avranno comportamenti similari. Nel secondo caso uno assume una posizione primaria e l'altro una subordinata. Gli elementi della comunicazione La comunicazione è il processo mediante il quale avviene uno scambio di informazioni tra emittente e ricevente. Jakobson osservò sei elementi qualificanti all’interno del processo comunicativo: - l'emittente, la persona che trasmette un pensiero; - il ricevente, colui che riceve il messaggio che deve interpretarlo e mandare un segnale che dimostri di aver compreso un messaggio o meno; - il messaggio, è un pensiero, una notizia o un dato. L'obiettivo del messaggio è quello di produrre uno stimolo per produrre una reazione a chi lo comunica; - il codice, sistema di segni che si usa durante la comunicazione. Colui che comunica deve scegliere il codice che stabilisca le regole di interpretazione del suo messaggio; - il canale, è il mezzo attraverso il quale è possibile trasmettere un messaggio; - il contesto, è rappresentato dall'ambiente in cui si svolge l'interazione. Un aspetto importante è il concetto di feedback, cioè la reazione del nostro interlocutore ad informarci di ciò che abbiamo realmente trasmesso. Il messaggio di ritorno può essere costituito da: - segnali verbali o diretti- segnali non verbali o indiretti Modalità comunicative La comunicazione avviene a tre livelli: Verbale-Paraverbale-Non verbale. Comunicazione verbale: prevede l’utilizzo della parola, implica meccanismi cognitivi necessari per la produzione e la ricezione del linguaggio e ci fornisce informazioni relative al contenuto e alla natura della relazione. L'attenzione del nostro interlocutore è influenzata anche da aspetti emozionali, chi comunica non deve preoccuparsi solo di cosa dice ma anche di come lo dice. Comunicazione paraverbale: è costituita da elementi intonazionali (volume, tono, ritmo e timbro della voce) o prosodici. - Tono: fa riferimento modulazione sonora del verbale. - Timbro: fa riferimento alle caratteristiche della voce. - Ritmo: fa riferimento alla velocità/lentezza con cui si trasmette il messaggio. - Volume: modo in cui si calibra la voce cioè l'intensità del suono. Comunicazione non verbale: si attua attraverso elementi che completano ed integrano comunicazione verbale: - Prossemica (vicinanza o lontananza da chi parla) - Cinesica (postura, gestualità, movimenti del corpo, movimenti delle mani accompagnano e spesso facilitano l'eloquio) - Mimica (l’espressione del volto è la parte più espressiva che invia segnali che sono difficilmente controllabili). L'ascolto attivo Per comunicare è necessario ascoltare, senza ascolto non c'è comunicazione: l'ascolto è una funzione cognitiva ed emotiva che permette di capire cosa ci è stato detto, diversamente dall’udire che è un atto passivo che riguarda il riconoscimento dei suoni e dal sentire, che implica un coinvolgimento emotivo. L'ascolto attivo è un'abilità complessa in quanto è un atto volontario che presuppone un rapporto partecipativo, un clima non giudicante e di fiducia in cui l'interlocutore si sente valorizzato. Ascoltare significa riconoscere e accettare il punto di vista dell'altro accogliendo e comprendendo le emozioni, i dubbi e le preoccupazioni che manifesta. Durante l'ascolto è importante limitare il più possibile le interruzioni evitando domande che tendono a precisare o ridefinire il discorso e facendo molta attenzione a non irritare la sensibilità dell’interlocutore. Per applicare l'ascolto attivo si possono usare alcune tecniche comunicative:- il ricalco, cioè replicare i parametri linguistici e posturali di chi ha di fronte utilizzando un lessico simile all'interlocutore per stabilire con lui un'affinità;- la riformulazione, cioè ridire ciò che l’altro appena detto utilizzando le stesse parole e non aggiungendo proprio nulla al contenuto per far comprendere all’interlocutore che è ascoltato;- la parafrasi, consiste nel ripetere lo stesso concetto utilizzando parole diverse per assicurarsi che si stia intendendo la stessa cosa e dimostrare interesse ed attenzione;- il riepilogo, esercitare meglio un contenuto a volte espresso in maniera troppo confusa o prolissa. Tecniche per una comunicazione efficace nei luoghi di cura - Riaffermare: consiste nel ripetere all’interlocutore il pensiero che egli ha voluto esprimere per dare a lui la possibilità di eventualmente chiarirlo. - Chiarificare: la richiesta di conferma del messaggio ricevuto attraverso un feedback. - Focalizzare: consiste nel riportare il discorso su un argomento che si valuta importante per l'interlocutore. Ciò utile quando l'interlocutore tende ad essere elusivo o a sfuggire ad un argomento. - Riassumere: consiste nel ripetere i punti più significativi alla fine del colloquio. Azioni di comunicazione inefficace nei luoghi di cura -Non saper ascoltare: il non ascolto dà al paziente un messaggio negativo, di disinteresse per lui. La volontà di non ascolto si ha per esempio quando si parla a qualcuno mentre si svolgono altre attività oppure rivolgersi a lui in maniera frettolosa. -Formulare giudizi: questo tipo di atteggiamento mette il paziente in una condizione di subordinazione e di dipendenza nei confronti dell'operatore. -Dire frasi di incoraggiamento: frasi fatte o banali possono negare i reali sentimenti del paziente e impediscono di esprimerli. -Risposte stereotipate: danno un messaggio di disinteresse in quanto negano l’individualità dei bisogni del paziente. Cambiare argomento: è un modo per negare al paziente la possibilità di parlare del suo problema, può portare a comunicare che non è lui a decidere di cosa è importante parlare. Elementi che possono ostacolare la comunicazione - Rumore o interferenza (possono finire per stravolgere il contenuto) - Fonte di trasmissione (es.: due persone che parlano una lingua diversa con conseguenti problemi della pronuncia o due persone che parlano contemporaneamente) - Messaggio complesso (meno è chiaro il messaggio più risulta incomprensibile. È necessario che vi sia un vocabolario condiviso perché la mancanza di questo può far attribuire un significato diverso al messaggio) - Veicolo di trasmissione (es: basti pensare a un apparecchio acustico con le pile scariche o malfunzionante che crea una serie di interferenze nella comunicazione) Atteggiamenti comunicativi ostacolanti il colloquio - Verbali (interruzioni, usare un linguaggio poco chiaro, velocità, cambiare sempre argomento, considerazioni, troppo personali) - Non verbali (il fare altro mentre uno parla, sguardo, posizione del corpo, distanza interpersonale non adatta, distrarsi o guardare spesso l'orologio) Capitolo 4. Approcci biografici e narrativi. Prospettive generali. Origine ed evoluzione degli approcci biografici e narrativi Le narrazioni dell'esperienza di vita degli esseri umani costituiscono un fatto antropologico universale, presente in tutte le culture e in tutte le fasi dello sviluppo storico, fanno parte delle pratiche della vita quotidiana. È importante considerare le narrazioni e le storie di vita come ricerca e costruzione di significato a partire da fatti temporali personali. L'uso di approcci biografici e narrativi nelle scienze sociali è iniziato negli Stati Uniti nella prima parte del XX secolo. | documenti autobiografici e biografici rappresentano materiale indispensabile per le scienze sociali, poiché in essi troviamo le informazioni più rilevanti sull'evoluzione delle persone in un determinato ambiente sociale e sulla vita che all’interno di esso conducono. Tra il 1945 e il 1960 l'approccio biografico scomparve dalla scena accademica e a partire dagli anni '60 le storie di vita hanno avuto una nuova influenza attraverso lo sviluppo di nuovi paradigmi. Tra gli iniziatori della ricerca biografica in Italia abbiamo Ferrarotti che afferma che la vita è una pratica che si appropria delle relazioni sociali, le interiorizza e le trasforma in strutture psicologiche, attraverso la sua attività distrutturante e ristrutturante. Negli ultimi anni in Italia c'è stata una forte attenzione alla formazione autobiografica sia nell'educazione degli adulti che nella scuola. Un evento notevole nelle storie di vita è stata la fondazione della Libera Università dell’Autobiografia fondata nel 1998 da Saverio Tutino e Duccio Demetrio. Questa iniziativa vuole essere una comunità di ricerca e formazione per la diffusione della cultura della memoria a cui moltissime persone aderirono per avere una formazione alla pedagogia della memoria incentrata sulla scrittura autobiografica intesa come autoconoscenza e cura di sé. Un contributo degli autori italiani è stato la strutturazione di tecniche per la formazione autobiografica. TECNICHE: e Strumenti di lavoro individuali: diario personale, produzione di un testo tematico o ricerca di testimonianze materiali come fotografie di famiglie, lettere, oggetti, etc. e Strumenti di lavoro faccia a faccia: intervista aperta, semi strutturata, questionari, etc. e Strumenti per il lavoro collettivo: discussione orale basata su documenti o temi biografici, autopresentazione al gruppo, etc. Prospettive di Bruner sulle narrazioni Secondo Bruner, la svolta interpretativa è iniziata nella prima parte del XX secolo, apparendo prima in letteratura, a seguire nella storia e nelle scienze sociali e infine nell'epistemologia. Fra gli anni 80 e 90 questo mondo approderà nel campo dell'educazione. e Anni 70: le narrazioni diventano un elemento centrale nelle scienze sociali. Vi è un crescente interesse per la narrativa sia nella ricerca che nella pratica. e Anni 80: secondo Bruner è il momento in cui l'idea di sé come narratore è più evidente. Questo nuovo Capitolo 6. Alberi genealogici: tra formazione esperienziale e riflessione critica. Gli alberi genealogici e le narrazioni familiari sono strumenti di lavoro per promuovere l'apprendimento esperienziale e la riflessione critica. Questa proposta propone un'esplorazione delle radici familiari che mira a sviluppare una costruzione critica delle conoscenze da parte di studenti, educatori e insegnanti. La famiglia costituisce una rete di sostegno sociale e un contesto di incontro intergenerazionale: la memoria familiare può essere intesa come un modo utile a dare senso e legittimare il nostro io e la nostra identità sociale. Il lavoro autobiografico sulla famiglia inizia con l'esplorazione delle radici familiari. Le analisi hanno due dimensioni: la prima è legata al contesto sociale e culturale delle generazioni in cui il confronto diacronico e sincronico è un elemento fondamentale di questa attività biografica; la seconda si riferisce al quadro narrativo soggettivo dell'adulto, attraverso la vocazione basata su storie orali e scritte di esperienze vissute. Il lavoro genealogico è un buon modo per conoscere meglio la storia e la cultura intesa come processo e prodotto della trasmissione del dialogo intergenerazionale. Il libro pubblicato nel 1993 da Bertaux e Thompson (2005) comprende un lavoro sui contesti generazionali e familiari con una pluralità di approcci metodologici. Uno dei principali è quello di Formenti che affronta la costruzione dell'identità di genere attraverso interviste approfondite a diversi membri di cinque diverse famiglie con un approccio ermeneutico costruttivista. La proposta dell'autore si colloca all'interno dell'approccio qualitativo delle storie di vita e in questo approccio si ricorre frequentemente a narrazioni scritte dei soggetti stessi comprese autobiografie individuali familiari ed educative. In questa prospettiva una caratteristica centrale è il protagonismo dei soggetti nel parlare e scrivere del passato delle esperienze familiari e dei cambiamenti lungo tutto il ciclo di vita. Lavorare con gli alberi genealogici e le narrazioni familiari L'albero genealogico consiste in una rappresentazione grafica delle radici della famiglia specificando i legami biologici, legali e affettivi che mettono in relazione i diversi membri della famiglia. La proposta per lavorare sull'albero genealogico si articolo in quattro fasi. La prima riguarda l'identificazione di quanti più parenti possibili e prevede il lavoro con almeno 3 generazioni: si tratta di una fase di indagine di accumulo di informazioni (nome,cognome, residenza) su cui si lavorerà in seguito per dare senso ai dati ottenuti collocandoli nel contesto storico sociale più ampio. La seconda fase consiste nell'elaborazione di micro- biografie di alcuni dei parenti realizzate a partire dai dati disponibili secondo i criteri personali del partecipante. La terza fase si avvale del lavoro delle prime due per offrire una descrizione dell'universo materiale simbolico delle diverse generazioni prese in considerazione. La quarta fase consiste nell'analisi del nucleo familiare del partecipante che inizia di solito con gli elementi materiali e fisici della casa. A tale scopo è necessario lavorare sull'uso degli spazi e sul significato degli stessi, sia individualmente che a partire dai modelli culturali presenti nelle famiglie. Sicuramente le fotografie sono una delle principali testimonianze del materiale del passato della famiglia. Implicazioni e conclusioni Le narrazioni autobiografiche hanno implicazioni per la ricerca la formazione l'intervento sociale. Come strumento di ricerca le narrazioni offrono materiale biografico di prima mano sulla storia recente, la società, la cultura, la famiglia e l'istruzione. Questi materiali permettono di affrontare le questioni storiche e socioculturali dal punto di vista soggettivo ed esperienziale dei soggetti. Come strumento di informazione intervento, le narrazioni autobiografiche favoriscono la produzione l'appropriazione di conoscenze e facilitano l'apprendimento di tecniche di base della ricerca qualitativa consentendo l'applicazione di conoscenze disciplinari in contesti sociali e personali. Le storie di vita sono quindi utili per la creazione di contesti di apprendimento stimolanti incentrati sulla vita dei partecipanti e che favoriscono una formazione integrata delle dimensioni cognitive, emotive e sociali. Capitolo 7 Teatro e arti performative per una pedagogia della persona Le arti terapie vengono utilizzate per la guarigione o il trattamento di specifici problemi di salute, possono aiutare le persone a gestire e far fronte a problemi di salute mentale, dolore fisico o esperienze traumatiche liberando l'ansia e attivando il potere dell'immaginazione: è il caso dell'arte terapia, della danzaterapia, della musicoterapia e della teatroterapia. L'arte terapia sfrutta vari strumenti artistici come la pittura, l'argilla o la fotografia per creare opere d'arte che esprimono emozioni, sentimenti ed esperienze interiori; supera il limite della comunicazione verbale facendo leva sul potenziale espressivo artistico. La danza terapia include un'ampia gamma di tecniche coreutico-motorie utili alla riscoperta delle potenzialità del proprio corpo, ma anche a diventare consapevoli dei propri sentimenti ed emozioni e a relazionarsi positivamente con l’ambiente circostante. La musicoterapia si fonda sull' ascolto e sull'utilizzo di strumenti musicali in grado di apportare un carico di sensazioni positive nel paziente, la musica diviene il canale per riattraversare ed analizzare il proprio vissuto spesso carico di esperienze e ricordi dolorosi. La teatroterapia consiste nel ricorso alla macchina teatrale per il trattamento e la guarigione: la finalità è quella di rafforzare l'auto percezione e le capacità espressivo-comunicative grazie all'improvvisazione e alla condivisione con un gruppo dei propri vissuti attraverso la messa in scena di questi. Attraverso l'esperienza che vive con il gruppo acquisisce e rafforza la percezione del mondo e di sé; Recupera il proprio vissuto emotivo e lo confronta con quello altrui, acquistando consapevolezza e capacità di autoregolazione. Il teatro è un'occasione di crescita personale che coinvolge la persona nella sua globalità psicofisica. Il proliferare delle Arti performative in ambito educativo risale agli anni 70: la duplice valenza del teatro inteso sia come strumento educativo sia come strumento terapeutico ne fa un'arte performativa particolarmente duttile e completa. La scuola, così come qualsiasi contesto educativo, può attingere dal teatro e dal gioco teatrale, funzionale al processo formativo grazie ai suoi attributi di creatività, inclusione e conoscenza. Il teatro e l'educazione sono due realtà che possiedono finalità comuni: il teatro può essere una strategia educativa che vuole portare il soggetto a formarsi attraverso l'esperienza e la scoperta delle proprie possibilità e limiti, conoscendo parti nascoste di sé. CAPITOLO 8: Dal teatro sociale al teatro educazione A cavallo tra le arti performative e le arti terapie si colloca il teatro sociale, un modello particolare di performance con finalità terapeutiche e riabilitative che pone al centro del suo interesse la persona e mira alla crescita e al benessere di colore a cui si rivolge. Il teatro sociale nasce con l'intento di trasformare esperienza di disagio in linguaggio scenico, configurandosi come una strategia educativa in grado di aiutare il diverso ad essere inserito nella società, oltrepassando il limite terapeutico per creare una coscienza collettiva. Quello che viene operato del teatro sociale è di fatto un cambiamento che coincide con il cambiamento della società in cui l'individualismo umano lascia spazio agli emarginati, ai malati mentali, agli anziani, ai carcerati agli extracomunitari. (Teatro educazione: insegnante regista).
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