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Riassunto da I guerra mondiale agli anni '90, Dispense di Storia Contemporanea

Incrocio dei testi di Sabbatucci e Vidotto

Tipologia: Dispense

2018/2019

Caricato il 05/05/2019

Cdm1994
Cdm1994 🇮🇹

4.5

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Scarica Riassunto da I guerra mondiale agli anni '90 e più Dispense in PDF di Storia Contemporanea solo su Docsity! STORIA CONTEMPORANEA (SABBATUCCI E VIDOTTO) LA PRIMA GUERRA MONDIALE Dall’attentato di Sarajevo alla guerra europea Sebbene la guerra del 1914-18 sia stata prevalentemente combattuta in Europa, coinvolse anche i più importanti stati extraeuropei: Giappone e Stati Uniti. Mai eserciti così grandi erano stati messi in campo, né mai si fronteggiarono tanto a lungo. Senza precedenti fu il loro potenziale distruttivo, ingigantito dall’uso bellico degli apparati industriali e delle tecnologie sviluppate nei decenni precedenti. In quattro anni il numero di caduti nella Grande Guerra (circa 10 milioni) superò quello delle vittime di guerre europee degli interi due secoli precedenti. Su scala mondiale, essa provocò: • La scomparsa di 4 grandi imperi: Russia (Polonia, Lituania, Estonia, Lettonia, Finlandia), Impero Austro-Ungarico (Cecoslovacchia, Ungheria, Jugoslavia), Germania (posto a una repubblica democratica), Turchia • Gli Stati Uniti soppiantarono la Gran Bretagna nel Ruolo di super potenza • Passaggio dall’ancient regime alla moderna società di massa • Forte impulso ai movimenti nazionalisti per liberazione dei popoli coloniali del Terzo Mondo. Le varie cause del conflitto mondiale scaturirono da una serie di contrasti che dividevano le grandi potenze europee agli inizi del secolo: • Conflitto austro-russo: sia l’Austria che la Russia volevano impadronirsi del territorio dei Balcani e approfittare della crisi ormai irreversibile dell’impero turco per ottenere uno sbocco sul Mediterraneo. La Serbia inoltre, in quegli anni, si era posta come paese-guida dell’irredentismo slavo, movimento di liberazione dei paesi slavi oppressi dalla dominazione straniera. La Serbia era quindi ostile nei confronti della politica austriaca e piuttosto favorevole alla Russia, la quale presentava un’origine slava e una stessa religione ortodossa. • Conflitto tra Germania e Inghilterra: nei primi del ‘900 il crescente sviluppo industriale tedesco spinse la Germania ad andare alla conquista dei mercati esteri e ad espandere il suo dominio anche per via mare. A tal proposito il nuovo Kaiser Guglielmo II propose la costruzione di un flotta militare e mercantile capace di competere con quella inglese; questo suo progetto preoccupò molto i commerci dell’Inghilterra, che da sempre avevano avuto il predominio sui mari. • Conflitto Francia e Germania: nel 1870 la Francia perdette l’Alsazia e la Lorena, territori ricchi di carbone e petrolio, nella battaglia di Sedan. • Conflitto italo-austriaco: problema delle terre irridenti (Trento e Trieste) necessarie al completamento dell’unificazione Italiana. Il motivo occasionale che spinse i vari paesi al conflitto fu attentato (28 giugno 1914) all’arciduca Francesco Ferdinando a Sarajevo, erede al trono austriaco, da uno studente serbo. L’attentato servì all’Austria come pretesto per accusare la Serbia e per mandargli un ultimatum in cui gli imponeva di accettare la presenza di alcuni funzionari austriaci sul suo territorio, che avessero indagato sulle cause dell’omicidio. Ma la Serbia rifiutò questa proposta in quanto avrebbe perso la sua sovranità e costrinse l’Austria a dichiararle guerra: era il 28 Luglio del 1914. Subito dopo lo scoppio della guerra si schierarono dalla parte dei due paesi le seguenti potenze europee: • (Triplice Intesa) a fianco della Serbia si schierò subito la Russia, la Francia e l’inghilterra, poi il Giappone e la Romania, il Portogallo, Grecia • Triplice Alleanza (Imperi Centrali) a fianco dell’Austria intervenne la Germania, poi la Turchia e la Bulgaria La Germania credeva che la situazione sarebbe durata pochi mesi e che si sarebbe trattato di una “guerra lampo” con la conquista dell’Occidente. La strategia dei generali tedeschi si basava sulla rapidità e sulla sorpresa. Il piano di guerra elaborato dal capo di stato Schlieffen prevedeva un attacco all’esercito francese e poi uno scontro con la Russia. Presupposto essenziale per la riuscita del piano era passare attraverso il Belgio, nonostante la sua neutralità, e puntare direttamente su Parigi. Ma sul fronte occidentale, però, la resistenza dei francesi, a cui si aggiunse l’intervento britannico, fu notevole: l’esercito cominciò a costruire trincee e fortificazioni per impedire i contraccolpi delle truppe tedesche. Si passò così da una “guerra lampo” ad una “guerra di posizione”. Inoltre era ampiamente diffusa, tra l’opinione pubblica, la convinzione che la guerra era necessaria per soffocare i contrasti sociali e rafforzare la posizione dei governi e delle classi dirigenti. Dalla guerra di movimento alla guerra di usura I tedeschi inizialmente ottennero dei successi, dilagando nel Nord-Est della Francia e costringendo gli avversari a ritirarsi. Ma riuscirono solo ad arrivare a pochi chilometri da Parigi, mentre il governo francese si affrettò a scappare. Sul fronte orientale invece, le truppe tedesche bloccarono i russi che tentavano di penetrare in Prussia. In realtà l’obiettivo delle potenze era quello di approfittare della guerra per soddisfare le loro ambizioni territoriali. Da qui la tendenza del conflitto ad allargarsi, fino ad assumere dimensioni mondiali. Sempre nello stesso anno il Giappone dichiarava guerra alla Germania, approfittando dell’occasione per impadronirsi dei possedimenti tedeschi in Estremo Oriente. L’Italia dalla neutralità all’intervento Allo scoppio della guerra l’Italia, governata da Salandra, aveva dichiarato la sua neutralità; secondo i patti della Triplice Alleanza, l’Italia era tenuta ad intervenire in aiuto degli alleati solo se questi fossero stati aggrediti. Ma l’impegno di cobelligeranza era venuto meno perché l’Austria non era stata aggredita e nemmeno aveva informato il nostro governo dell’attacco alla Serbia; l’Italia così allo scoppio della guerra si era divisa in sue schieramenti: • I neutralisti: di questo schieramento facevano parte i cattolici, poiché essi erano contrari per principio alla guerra e se in tutti i casi avessero dovuto partecipare alla guerra lo avrebbero fatto a favore dell’Austria perché anch’essa professava la religione cattolica; i socialisti perchè non si riconoscevano nel conflitto che era stato scatenato dalla borghesia imperialistica e credevano che la guerra potesse ricadere su di loro (quando Mussolini si dichiarò a favore dell’intervento fu espulso dal partito); i liberali giolittiani poiché erano consapevoli dell’impreparazione militare dell’Italia e temevano che uno sforzo bellico avrebbe messo in crisi la fragile economia del paese. Giolitti era convinto che, come compenso per la sua neutralità, l’Italia avrebbe potuto ottenere dagli imperi centrali parte dei territori rivendicati. • Gli interventisti: di questo schieramento facevano parte gli irredentisti (compresi i repubblicani e i democratici) che pensavano che la guerra fosse opportuna per il completamento dell’unificazione d’Italia (Trento e Trieste); i sindacalisti che pensavano di costruire sulle macerie dello stato liberale un nuovo ordine sociale; i nazionalisti che consideravano la guerra come un mezzo che potesse permettere all’Italia di diventare una grande potenza; tra gli interventisti vi erano anche alcuni studenti universitari ed intellettuali del tempo, quali D’Annunzio, Gentile, Papini, Prezzolini, Amendola, ad accezione di Benedetto Croce che si dichiarò a favore della neutralità. Per molti intellettuali la guerra doveva significare la fine del giolittismo e l’avvio di un radicale rinnovamento della politica italiana. Mentre si svolgeva la disputa tra neutralisti e interventisti, Salandra e Sonnino allacciarono contatti segreti con l’Intesa, pur continuando nel frattempo a trattare con gli imperi centrali per strappare qualche territorio in cambio della neutralità. Infine senza il consenso del re e all’insaputa del Parlamento, il 26 aprile 1915 l’Italia si schierò a favore dell’Intesa e stipulò il Patto di Londra, secondo cui in caso di vittoria il paese avrebbe ottenuto le terre irridenti. La grande strage (1915-16) Al momento in cui l’Italia entrò in guerra, l’andamento delle operazioni militari si svolgeva in modo diverso nei due fronti: sul fronte orientale gli Imperi Centrali riportavano numerose vittorie nei confronti della Russia, che fu costretta ad evacuare dalla Polonia e dalla Galizia, mentre sul fronte occidentale i tedeschi erano impegnati contro le truppe francesi nella battaglia di Verdun e contro gli inglesi nella battaglia di Somme. Quindi appena entrò in guerra, l’esercito italiano guidato dal generale Cadorna mandò una serie di offensive lungo l’Isonzo e sul Carso, ma dovette difendersi duramente dalla “Spedizione punitiva” che l’Austria condusse energicamente contro l’Italia per punirla del suo tradimento, fermata a fatica ad Asiago. La guerra nelle trincee La Grande Guerra fu denominata Guerra di Trincea (di posizione o di logoramento), perché le truppe si proteggevano scavando dei fossati con parapetto rivolto verso il nemico. L’Artiglieria attaccava le trincee nemiche, che venivano assaltate in seguito dai fanti, così si impedivano gli attacchi a campo aperto. I soldati vivevano in condizioni sanitarie penose. -- Sostanziale equilibrio militare tra le parti che rende vano il tentativo di conseguire una vittoria sul campo -- Strategia fondata sull’attacco frontale (scontri sanguinosi e poco risolutivi) -- Fronti immobili e poco terreno conquistato La Guerra nuova Il numero dei combattenti è solo uno dei fattori che resero “grande” questa guerra: -- MOBILIZZAZIONE TOTALE: la guerra non viene combattuta solo sul fronte militare ma vengono impiegate tutte le risorse economiche e industriali, nonché tutta la popolazione che per la prima volta viene coinvolta in prima linea: le sorti della guerra si giocarono sulla capacità di ciascuno di sostenere uno sforzo umano, sociale ed economico immane. -- USO GAS ASFISSIANTE E PERFEZIONAMENTO DI INNOVAZIONI GIÀ IN USO: gli aerei da caccia e i sottomarini, polvere da sparo senza fumo, i cannoni a tiro rapido senza rinculo e le mitragliatrici portatili. - Inghilterra e Francia si spartirono le colonie tedesche - La flotta fu eliminata e l’esercito ridotto. - La Germania fu costretta a pagare una cifra esorbitante come “riparazione” dei danni di guerra patiti dalle potenze vincitrici. Il trattato di pace di Versailles individuò nell’aggressione tedesca la causa scatenante della guerra, che aveva garantito all’Austria-Ungheria appoggio incondizionato prendendo in mano l’iniziativa. La pace che venne imposta alla Germania era umiliante e punitiva: il rancore e la volontà di rivincita furono poi sfruttati dalla destra militarista e antirepubblicana. IMPERO ASBURGICO: - Indipendenza all’Austria tedesca e all’Ungheria, ma quest’ultima dovette cedere la Transilvania ai rumeni e la Slovacchia ai cechi. Nacque così la repubblica cecoslovacca - l’Italia ottenne Trentino, Sud Tirolo, Trieste e Istria. - La Galizia fu attribuita alla Polonia - Con la Serbia, la Bosnia e il Montenegro, Croazia e Slovenia costituirono il regno di Jugoslavia. La BULGARIA restò indipendente, ma perse la Tracia, la Macedonia e la Dobrugia, acquisite dalla Grecia, dalla Jugoslavia e dalla Romania. Alla TURCHIA non rimasero che Istanbul e la penisola anatolica. Gli stretti del Bosforo e dei Dardanelli vennero internazionalizzati, la zona di Smirne e le isole dell’Egeo andarono alla Grecia, il Dodecaneso e Rodi all’Italia, Cipro all’Inghilterra. Francia e Inghilterra si spartirono il Medio Oriente: - Libano e Seria per la Francia - Palestina, Iraq, Arabia e Yemen (questi ultimi mantengono l’indipendenza) per la Gran Bretagna. La RUSSIA SOVIETICA nel trattato di Brest-Litovsk del 1918 fu costretta a rinunciare alla Polonia, ai territori baltici (Estonia, Lettonia e Lituania) alla Finlandia e all’Ucraina. La Società delle Nazioni, voluta da Wilson, avrebbe dovuto risolvere i conflitti internazionali con un’opera di arbitrato, ricorrendo a sanzione e all’uso della forza, ma tuttavia non svolse tali funzioni e rimase asservita agli interessi imperialistici di Francia e di Inghilterra. Inoltre la società non funzionò anche per la non adesione alla Società da parte degli stessi Stati Uniti. LA RIVOLUZIONE RUSSA Da febbraio a ottobre All'inizio del 1917, la Russia è un paese in preda ad una forte tensione sociale, causata dal grave andamento della guerra (cattivo equipaggiamento dei soldati, arretratezza degli armamenti, impreparazione degli alti gradi militari). Il numero di caduti fu altissimo. Per effetto della chiamata alle armi dei contadini, la produzione agricola diminuì di 1/3. Sordo alle richieste di riforme dai partiti liberali e moderati, lo zar Nicola II non attenuò il suo dispotismo e rimase isolato insieme alla Corte, finché perfino la chiesa ortodossa se ne distaccò. Il punto di rottura fu raggiunto nel Marzo 1917, quando una serie di agitazioni prende vita a Pietrogrado. Nei giorni successivi viene proclamato uno sciopero generale, mentre le file dei manifestanti sono sempre più folte. Nicola II ordinò di reprimere queste manifestazioni, opponendosi a qualsiasi concessione, ma i reparti incaricati di domarlo, si ammutinarono e si unirono ai manifestanti. Mentre nella capitale in mano agli insorti si formava un Soviet (consiglio) degli operai e dei soldati, lo zar dovette abdicare e la Duma, l'unica assemblea legale del paese, costituì un governo provvisorio con a capo il principe liberale Georgij L'vov. Il governo espresso dal partito costituzional-democratico o “cadetto” voleva instaurare una democrazia parlamentare e proseguire la guerra. Il nuovo governo era formato da rappresentanti dei: • Cadetti: liberal-moderati • Menscevichi: ispirati alla social democrazia europea • Socialisti rivoluzionari: divisi in correnti eterogenee Mentre Pietrogrado assumeva un ruolo propulsore, anche nell’immensa periferia del paese si evidenziano fenomeni rivoluzionari, cui si aggiunsero, dall'Ucraina alla Finlandia, anche le spinte delle nazionalità non russe. Solo chi avesse risolto i grandi nodi della guerra e della fame di terra dei contadini avrebbe conquistato o conservato il consenso delle grandi masse. In questo contesto crebbe l'astro di una forza politica che sulle prime era rimasta in minoranza nei soviet, senza distinguersi dagli altri partiti socialisti: i bolscevichi. “Tesi di Aprile” di Lenin: - necessità di opporsi al governo provvisorio e alla prosecuzione della guerra - caldeggiare una repubblica dei soviet anziché un regime parlamentare - nazionalizzare le terre - cambiare nome al partito in Partito Comunista Russo. Per lui la fase democratico-borghese della rivoluzione si era conclusa con il crollo dello zarismo e occorreva passare subito alla presa del potere da parte degli operai e dei contadini. Queste idee corrispondevano alle aspettative delle masse popolari e portarono ai bolscevichi consensi crescenti fra gli operai, i soldati e i contadini. Il largo consenso delle masse operaie e contadine permise al Partito bolscevico di ottenere la maggioranza e a metà luglio vi fu la prima ribellione di soldati e operai che impedirono la partenza per il fronte di alcuni reparti. L’insurrezione fallì. Il principe L’vov si dimise e fu sostituito da Kerenskij, il quale non era ben accolto dall’opinione pubblica a causa del fallimento dell’offensiva contro gli austro-tedeschi. Il comando dell’esercito passò a Kornilov, che mandò un ultimatum al governo, chiedendo il passaggio dei poteri alle autorità militari. Quindi Kerenskij chiese aiuto alle forze socialiste, compresi i bolscevichi e bloccò il tentativo di colpo di Stato militare organizzato da Kornilov. Questo consentì il rafforzamento dei bolscevichi, che si preparavano per attaccare il governo provvisorio. Il 23 ottobre del ’17 i bolscevichi, guidati da Trotzkij, attuarono un’insurrezione e rovesciarono il governo provvisorio di Kerenskij. I soldati rivoluzionari e le guardie rosse assaltarono il Palazzo d’Inverno, sede del governo provvisorio, mentre nel frattempo il nuovo governo rivoluzionario chiamato Consiglio Dei Commissari Del Popolo, composto da bolscevichi e presieduto da Lenin, delibera: • La pace equa senza annessioni e senza indennità; • L’abolizione della proprietà privata. I menscevichi, i cadetti e i social rivoluzionari reagirono convocando l’Assemblea costituente: i risultati sorpresero tutti i bolscevichi, poiché ebbero pochi seggi e i vincitori furono i social rivoluzionari. La Costituente fu sciolta dai militari bolscevichi, i quali ruppero ogni rapporto con i socialisti e i democratici e cominciarono ad instaurare una dittatura di partito. Dittatura e guerra civile Il governo rivoluzionario riuscì facilmente ad impadronirsi del potere centrale, ma ebbe molta difficoltà nell’amministrare un paese immenso, complesso e arretrato, anche perché il partito bolscevico si era isolato e non poteva contare sull’appoggio di altre forze politiche, che emigrarono verso altri paesi. Tuttavia essi erano convinti di poter costruire rapidamente un nuovo Stato proletario, ispirato alla Comune di Parigi. Inoltre Lenin affermava che la società socialista si sarebbe autogovernata secondo i principi di democrazia, senza bisogno di apparati burocratici. Le prime misure del governo di Lenin sono: • Nazionalizzazione banche, ferrovie e industrie • Istituire il controllo operaio sulle fabbriche • Concessione del diritto di autodeterminazione dei popoli del vecchio impero • Con la pace di Brest-Litovsk, cessione di Polonia, Lituania, Finlandia, Bielorussia, Ucraina e parte della Russia. Giudicando la pace come una resa all’imperialismo tedesco, i socialrivoluzionari di sinistra uscirono inoltre dal governo e i boscevichi rimasero isolati definitivamente. Le potenze dell’Intesa considerarono la pace di Brest-Litovsk come un tradimento e appoggiarono con armi e uomini l’opposizione al governo bolscevico: iniziò una guerra civile tra Armata Bianca e Armata Rossa. Tuttavia le potenze occidentali smisero di appoggiare i bianchi, poiché temevano che la rivoluzione bolscevica si sarebbe diffusa anche nei loro paesi. Nel momento in cui i bolscevichi si liberarono degli oppositori, il regime dovette affrontare un attacco dalla Repubblica di Polonia, che approfittò della debolezza del governo rivoluzionario per rivendicare dei vecchi territori. Scoppiò il conflitto e l’esercito polacco costrinse i russi a ritirarsi. Con la firma dell’armistizio la Polonia ottenne la Bielorussia e l’Ucraina. Nel frattempo il governo rivoluzionario assumeva sempre di più dei caratteri autoritari : -- polizia politica (la Ceka), -- Tribunale rivoluzionario centrale che processava chiunque disubbidisse al governo -- i partiti d’opposizione diventarono fuori legge -- venne reintrodotta la pena di morte. La Terza Internazionale Nel ’19 Lenin decise di sostituire la vecchia Internazionale socialista in una nuova Internazionale “comunista”, rompendo definitivamente con la socialdemocrazia europea. La prima riunione della Terza Internazionale avvenne a Mosca e venne chiamata con l’abbreviazione Comintern. Per entrarvi, i singoli partiti dovevano ispirarsi al modello bolscevico, cambiare il proprio nome in quello di Partito comunista, difendere la causa della Russa sovietica ed eliminare gli esponenti delle correnti riformiste. Tra il ’20 e il ’21 si creò in tutto il mondo una rete di partiti che si basavano sul modello bolscevico e la Russia divenne il centro del comunismo mondiale. Tuttavia i partiti comunisti rimasero minoritari rispetto ai socialisti. Dal comunismo di guerra alla Nep Quando i comunisti presero il potere, l’economia russa era instabile e precaria. Vi erano piccole industrie che producevano solo per l’autoconsumo, senza portare beneficio all’economia del paese. Il governo bolscevico attuò allora una politica più autoritaria, chiamata comunismo di guerra, basata sulla centralizzazione delle decisioni nelle mani dello Stato e sulla statizzazione di gran parte delle attività produttive. La nuova politica prevedeva lavoro obbligatorio, abolizione della moneta e ritorno al baratto, razionalizzazione di generi alimentari e di consumo il comunismo di guerra mirava a trasformare il Paese in senso comunista Il “comunismo di guerra” non ebbe successo: la produzione agricola era calata, la decadenza dei trasporti e delle piccole imprese fu maggiore e la grande industria conobbe un tracollo. Contribuirono inoltre il blocco economico deciso da Francia e Inghilterra, che azzerò il commercio estero, e la guerra civile, che assorbì le risorse e distrusse i rapporti economici del paese. Evento significativo della crisi del paese è la ribellione del marzo 1921 dei marinai della piazzaforte di Kronstadt – da sempre baluardo bolscevico – che chiedono la fine della dittatura del partito, libere elezioni dei soviet, l’eliminazione del comunismo di guerra e maggiore libertà economica per i contadini. Venne istituita la Nep, nuova politica economica, basata su una parziale liberalizzazione delle attività economiche, che stimolò la ripresa produttiva. Parziale perché lo Stato controllava ancora le banche e le grandi industrie. Tuttavia la Nep ebbe degli effetti non previsti, come la crescita dei kulaki, cioè il ceto dei contadini ricchi che controllavano il mercato agricolo, degli imprenditori e degli affaristi (i nepmen). Mentre le piccole imprese facevano progressi, l’industria statale stentava a svilupparsi e non era in grado di offrire alti salari agli operai, che furono proprio la classe danneggiata dalla Nep. L’Unione Sovietica: costituzione e società Nel 1922 i congressi di soviet delle singole repubbliche decisero di dar vita all’Unione delle repubbliche socialiste sovietiche (Urss). La nuova costituzione dell’Urss affidava il potere supremo al congresso dei soviet, ma il potere reale era nelle mani del Partito comunista, il quale controllava la polizia politica e basato su un sistema centralizzato. Gli obiettivi dei bolscevichi erano: “l’educazione della gioventù” per consentire lo sviluppo economico e “la lotta contro la Chiesa ortodossa”, in contrasto con la dottrina marxista. L’influenza della Chiesa fu ridimensionata: venne legalizzato l’aborto, fu proclamata la parità dei sessi e inoltre l’istruzione divenne obbligatoria fino a 15 anni. L’esperienza rivoluzionaria si sviluppò maggiormente nei giovani e negli intellettuali, che si misero al servizio della politica e andarono incontro ai bisogni delle masse. Da Lenin a Stalin: il socialismo in un solo paese Con l’ascesa di Stalin alla segreteria del partito nell’22 e la malattia di Lenin, che morì nel ’24, si scatenò uno scontro all’interno del gruppo dirigente bolscevico, tra Trotzkij e Stalin, riguardo il problema della burocratizzazione del partito. Inoltre mentre Trotzkij voleva esportare la rivoluzione in altri paesi, proprio perché era convinto che era stato l’isolamento del paese a non permetterne lo sviluppo; Stalin sosteneva il socialismo in un solo paese e affermava che la Russia era in grado da sola di affrontare le ostilità del mondo capitalistico. Trotzkij fu emarginato e sconfitto e Stalin si sbarazzò anche dell’opposizione di sinistra, che chiedeva la fine della Nep e l’accelerazione dello sviluppo industriale, sempre sotto il controllo dello Stato. L’EREDITÀ DELLA GRANDE GUERRA Mutamenti sociali e nuove attese Il concetto di guerra totale si basò su un coinvolgimento europeo ed extraeuropeo, nonché della società all’interno del paese. Il primo problema che affrontarono le classi dirigenti fu proprio quello del reinserimento dei reduci di guerra, che dopo aver dato la vita per la patria si aspettavano un nuovo riconoscimento dei propri diritti. Sorsero associazioni di ex combattenti che facevano pressione allo stato, ma a causa dei problemi finanziari causati dalla guerra gli aiuti economici in favore dei combattenti, come polizze di assicurazioni, pensioni, furono molto modeste. La politica si fece sempre più un fenomeno di massa. Dappertutto si diffondevano le aspirazioni al cambiamento, sia di tipo rivoluzionario, sia sulla pace e giustizia sociale. Il periodo compreso tra 1919-1921 fu definito “biennio rosso”, poiché il movimento operaio europeo fu protagonista di un’impetuosa avanzata politica che assunse anche tratti di agitazione rivoluzionaria, sul modello della rivoluzione russa. L’ipotesi rivoluzionaria fallì ovunque, mentre si accentuò, all’interno del movimento operaio, la divisione tra riformisti e rivoluzionari, con la fondazione del Comintern e la nascita di partiti comunisti. Riguardo gli equilibri internazionali, l’Italia si liberò del nemico austro-ungarico, ma nel Patto di Londra si stabilì che la Dalmazia fosse annessa all’Italia e che la città di Fiume restasse all’Austria-Ungheria. L’Italia si sentì trattata come una potenza mondiale secondaria, così nella conferenza di Versailles Orlando chiese l’annessione di Fiume sulla base del principio di nazionalità. Gli alleati si opposero e il fallimento di Orlando segnò la fine del suo governo, che venne sostituito da Nitti. Si parlò di “vittoria mutilata”, una celebre espressione di D’Annunzio, che affermava che l’Italia non aveva ottenuto i territori stabiliti nel Patto di Londra. L’Italia non era entrata in guerra per difendersi, ma per conquistare dei territori. Nel ’19 D’Annunzio organizzò un’impresa militare verso Fiume, che si protrasse sino alla fine del 1920, determinando una situazione di illegalità che mise in evidenza la debolezza della classe dirigente liberale. Esercitò inoltre suggestioni tra gli ex combattenti e in una piccola e media borghesia uscita impoverita e declassata dal conflitto dopo avervi riposto grandi aspettative di cambiamento e ascesa sociale. Le agitazioni sociali e le elezioni del ‘19 Nel 1919-20 gli scioperi operai ebbero un poderoso aumento di intensità e di durata, ottenendo conquiste fra cui la giornata lavorativa di 8 ore. Si aggiunsero anche agitazioni non specificatamente operaie e un'inedita esplosione di conflittualità nelle campagne: i mezzadri delle regioni centrali, che imposero nuovi patti colonici, e gli ex fanti-contadini dell'Italia del latifondo, che nel Mezzogiorno si impadronirono di quanto era stato loro promesso nel 1918 occupando terre incolte. Questo protagonismo delle masse si riflesse in: • Una grande crescita dei sindacati che raggiungono i 4 milioni di iscritti • Un PSI su posizioni massimaliste che alle elezioni del 1919 diventa il partito di maggioranza relativa con il 32% dei voti. • Il PPI di don Luigi Sturzo segue con oltre il 20% dei voti: di fatto svolge un ruolo di argine contro i socialisti spalleggiando i governi del tempo. PSI e PPI avevano la maggioranza alla Camera, ma erano antagonisti. Giolitti, l’occupazione delle fabbriche e la nascita del Pci Indebolito dal risultato delle elezioni, Nitti rimase alla guida del governo fino al 1920 e dopo lo sostituì Giolitti. In politica estera con la Jugoslavia si firmò il trattato di Rapallo, secondo cui l’Italia conservò Trieste, Gorizia, Zara e tutta l’Istria. La Jugoslavia ebbe la Dalmazia e la città di Fiume fu dichiarata libera. In politica interna il disegno giolittiano era di ridimensionare le spinte rivoluzionarie del movimento operaio cercando di attuare qualche riforma ma fallì. Nel ’20 i conflitti sociali esplosero con l’agitazione dei metalmeccanici, i quali occuparono le fabbriche. Giolitti pose fine all’occupazione con un compromesso che soddisfaceva gli operai (aumento salariale e controllo sindacale nelle aziende) ma che di fatto è un secco insuccesso operaio sul piano politico. Apparve evidente il limite più grave delle lotte operaie e contadine: quello di non riuscire a saldarsi in un movimento unitario. Pur contenendo il moto operaio, i governi non riescono ad offrire alla sua ala riformista reali prospettive di trasformazione democratica e non furono capaci di recuperare il controllo del parlamento e di un paese radicalmente cambiato. Quanto agli industriali, rafforzati dai profitti bellici passarono all'offensiva: la stessa occupazione delle fabbriche del settembre 1920 viene arginata dall’intransigenza degli imprenditori decisi a ridimensionare il movimento operaio e sempre più propensi ad instaurare uno “stato forte” capace di ripristinare l’ordine. Al congresso socialista di Livorno del ’21, la corrente di sinistra guidata da Bordiga e Gramsci si scisse dal PSI e fondò il Partito comunista. Il fascismo agrario e le elezioni del ‘21 L’occupazione delle fabbriche e la nascita del PCI segnarono la fine del biennio rosso in Italia. La classe operaia fu colpita dalla crisi dell’economia italiana e vi fu un aumento della disoccupazione. Durante questo periodo si sviluppò il fascismo. Nelle elezioni del ’19 le liste dei Fasci avevano ottenuto pochi voti e nessun deputato, ma tra la fine del ’20 e l’inizio del ’21 il movimento subì un improvviso cambiamento che lo portò a rafforzare le strutture paramilitari, cioè le squadre d’azione, con l’obiettivo di abbattere il socialismo. E’ chiara sin da subito la vocazione reazionaria del fascismo. Con l’appoggio determinante della grande proprietà terriera, il fascismo si organizza in squadre paramilitari e scatena una violenta guerra sociale: la rete delle organizzazioni socialiste venne distrutta e anche quelle cattoliche non furono risparmiate. La reazione “squadrista” non incontrò resistenze da parte di un movimento operaio sostanzialmente pacifico e godette della convivenza delle autorità e degli apparati dello stato. Lo squadrismo si diffuse nel Nord e Centro Italia, ma non nel Mezzogiorno. L’obiettivo delle spedizioni punitive era quello di adottare violenze contro i socialisti costringendoli a lasciare il paese. La forza pubblica non si oppose quasi mai all’azione dei fasci e nemmeno Giolitti ne ostacolò lo sviluppo, pensando di poterli utilizzare per ridurre le richieste dei socialisti. Così alle nuove votazioni del maggio 1921 i fascisti vennero inclusi nei “blocchi nazionali”, promossi dalla vecchia classe dirigente intenzionata a poterli riassorbire nella legalità. L’agonia dello Stato liberale Dopo l’esito delle elezioni, Giolitti si dimise e venne sostituito da Bonomi, che trovò difficoltà nell’unificare il Parlamento. Cercò di porre fine alla lotta tra socialisti e fascisti con il Patto Di Pacificazione 1921. Mussolini sconfessò il patto e divenne leadership del movimento, che divenne un vero e proprio partito, il Partito nazionale fascista. In seguito la guida del governo passò a Facta, un giolittiano, mentre nel frattempo la violenza squadrista aumentava e si propagava dappertutto. Sostenuto anche da alcuni settori della grande industria, il fascismo acquisì dimensioni di massa, guadagnando crescenti consensi fra i ceti medi e non poche simpatie fra i liberali e i cattolici più conservatori. I socialisti erano troppo deboli per opporre resistenza alle offensive fasciste e lo sciopero generale indetto in difesa delle libertà costituzionali si rivelò un disastro, poiché i fascisti lo repressero apparendo agli occhi dei borghesi come garanti dell’ordine. Così nel ’22 avvenne a Roma la scissione del partito socialista e i riformisti di Turati formarono il PSU (partito socialista unitario). La marcia su Roma Mussolini passò al problema della conquista dello Stato, adottando una doppia tattica, violenta e legalitaria. Da un lato rassicurò la monarchia, gli esponenti liberali e gli industriali, dall’altro organizzò un apparato militare per attuare un colpo di Stato. Il 28 Ottobre del ’22 il quadrumvirato fascista composto da Balbo, De Vecchi, De Bono e Bianchi, marciarono su Roma e la occuparono. Vittorio Emanuele III non dichiarò lo stato d’assedio, non bloccò la marcia e convocò Mussolini per conferirgli l’incarico di formare un nuovo governo. Il colpo di stato viene attuato con l’appoggio, più o meno esplicito, dei poteri forti: stati maggiori dell’economia, alte gerarchie militari, apparati statali e Chiesa cattolica. A questo punto il sistema liberale cessò di esistere e il cambio di governo diventò un cambio di regime. Verso lo Stato autoritario Salito al potere Mussolini cominciò ad attuare il suo progetto politico. Da subito il governo avviò opere di trasformazioni delle istituzioni liberali: vengono istituiti il Gran Consiglio del Fascismo (organo che elabora la linea del governo) e la Milizia volontaria per la sicurezza nazionale (corpo militare nel quale vengono inquadrate le “camicie nere”). Inoltre Mussolini ottenne il sostegno dalla Chiesa cattolica mostrandosi favorevole ad attuare delle concessioni, come la riforma scolastica di Giovanni Gentile, che stabilì l’insegnamento della religione nelle scuole elementari e l’introduzione dell’esame di Stato. Il Partito Popolare venne abolito. Con l’alleanza della Chiesa Mussolini rafforzò la maggioranza in Parlamento, tramite la legge elettorale maggioritaria: venne varata nel luglio 1923 una nuova legge elettorale maggioritaria (Legge Acerbo) che attribuiva il 65% dei seggi alla colazione che avesse raggiunto il 25% dei voti. Per le elezioni dell’aprile 1924 i fascisti si presentarono con il cosiddetto “listone” insieme a liberali e cattolici mentre l’opposizione si presentava divisa. Il delitto Matteotti e l’Aventino Unico momento di crisi viene vissuto proprio nel 1924 quando il leader riformista Giacomo Matteotti, dopo aver denunciato alla Camera le violenze squadriste commesse dai fascisti durante la campagna elettorale, venne sequestrato ed assassinato: i partiti di opposizione abbandonano il Parlamento con la “Secessione dell’Aventino” con l’intento di minare l’intesa tra fascisti e fiancheggiatori e provocare un intervento del re Vittorio Emanuele III che invece si astiene da ogni iniziativa. Mussolini alla Camera il 3 gennaio 1925 rivendica la responsabilità “politica, morale e storica” dell’accaduto: diede una svolta autoritaria, minacciando di usare la forza contro gli oppositori. Il delitto Matteotti trasformò il governo autoritario in una dittatura. La dittatura a viso aperto Nel dicembre 1925 venne ripristinato lo statuto albertino, che svincolava il governo dal voto di fiducia del parlamento e aboliva di fatto la divisione dei poteri, nonché una legge “per la difesa dello Stato” che introduce • Scioglimento dei partiti antifascisti • Pena di morte per gli attentatori alla sicurezza dello stato • Soppressione della libertà di associazione e di stampa • Vengono eliminate le autonomie locali In campo sindacale, Patto di Palazzo Vidoni escludeva dalla firma di accordi tutte le altre organizzazioni sindacali. L’anno seguente il patto viene sancito da una legge che proibisce lo sciopero, riserva ai soli sindacati fascisti il diritto di contrattazione e istituisce la magistratura del lavoro. Tutto questo è il preambolo al sistema corporativo rappresentato nella carta del lavoro del 1927 che rappresenta l’alternativa fascista al capitalismo e al socialismo. Nel 1928 viene varata una nuova legge elettorale che prevedeva un’unica lista da approvare o respingere in blocco. La costituzione dello stato fascista poteva dirsi completata anche se, in realtà, il totalitarismo fascista è ridimensionato dall’esistenza di altri centri di poteri (Chiesa, Re, Forze Armate) che, per quanto convinti sostenitori del fascismo, costituivano la possibilità di un’alternativa in una crisi eventuale (ciò non avviene fino al 1943 quando il Re ordina l’arresto del Duce). L’11 febbraio 1929 Pio XI sottoscrive con Mussolini i Patti Lateranensi che prevedono: • Il reciproco riconoscimento tra Regno di Italia e lo Stato di Città del Vaticano • Un congruo risarcimento per la rinuncia allo Stato Pontificio • La ripresa dell’art. 1 dello Statuto Albertino che proclamava la religione cattolica “sola religione dello Stato” • Effetti civili del matrimonio religioso • Rispetto dell’autonomia dell’Azione Cattolica Alle elezioni del marzo 1929 la lista unica del regime ottiene il 98% dei voti. LA GRANDE CRISI: ECONOMIA E SOCIETÀ NEGLI ANNI ‘30 Economia e società tra le due guerre La grande guerra fu un momento di svolta così radicale da essere considerata come il punto d'inizio dell'età contemporanea. Economia, società e stato escono trasformati dalla guerra perché acquisiscono una dimensione di “massa” (crollano gli imperi e nascono forme di stato “partecipato”). Le novità portate dalla guerra erano il prodotto di una straordinaria accelerazione di processi già in atto negli ultimi decenni del XIX secolo. SOCIETA’ • Sviluppo della classe operaia e del ceto medio attraverso l’industria e il terziario, che inizia ad assumere un ruolo centrale fino a proiettare i propri valori e modelli di comportamento. • Nascono nuove figure professionali liberali legate alla crescita dei bisogni urbani e delle funzioni municipali che hanno in comune il far seguito ad un modello produttivo basato sui consumi. • Si sviluppano i mezzi di comunicazione di massa (radio e cinema). Consapevole delle enormi potenzialità della radio, il potere politico se ne servì per stabilire un rapporto diretto con la cittadinanza. • Aumenta la scolarizzazione. • Nasce l’indennità di disoccupazione, nascono istituzioni per il tempo libero (circoli ricreativi, associazioni sportive, …), vengono introdotte le ferie retribuite. Nasce il moderno stato sociale. ECONOMIA • Acquisto dei beni di consumo durevoli tipo televisori ed elettrodomestici, acquistati a rate. • Cresce la pubblicità che occupa più di metà delle pagine dei giornali. • Diffusioni dell’elettricità e del petrolio in sostituzione al carbone. • Dalla riconversione post-bellica trovano giovamento il settore chimico e metalmeccanico. • Negli Stati Uniti nascono le leggi antitrust per limitare il potere delle maggiori corporation difendendo la possibilità per le imprese più piccole di operare nel mercato. In Europa invece lo sviluppo economico si fonda sulla contrattazione tra grandi imprese e sindacati mediata dallo Stato. Proseguono così i programmi di pianificazione dell’economia. Gli anni dell’euforia: gli Stati Uniti prima della crisi Tra il 1920-21 si assistette al boom industriale americano, che si sviluppava sul fordismo, industria automobilistica che al suo interno applicava la vendita rateale, per consentire agli stessi operai di comprare le macchine, e sulla catena di montaggio. Lo sviluppo economico è accompagnato da un rinnovato “isolazionismo” che ha tra le sue cause la diffidenza per le condizioni politiche in Europa (presunta maestra ma di fatto responsabile del più grande massacro della storia) e il timore di un “contagio” della rivoluzione proveniente dalla Russia dei soviet: il red scare (paura dei rossi) si unisce all’” americanismo” dando vita ad un sentimento di orgoglio nazionale con un sottofondo puritano, tradizionalista e conservatore. Gli Stati Uniti erano usciti dal conflitto mondiale come paese finanziario più forte, il dollaro era la moneta forte dell’economia. Le risorse si concentrano in mano a grandi magnati come Morgan (acciaio) Tra i motivi di questo successo c’è la divisione e la debolezza delle altre forze politiche: i socialdemocratici rappresentano la classe operaia, i comunisti soprattutto i disoccupati; i socialdemocratici salvaguardano la legalità mentre i comunisti aspirano ad una rivoluzione. Infine l’ascesa nazista è molto favorita dall’atteggiamento dagli altri partiti di destra come il Partito popolare tedesco che sottovalutano la NSDAP. La conquista dell’egemonia è perseguita attraverso n. 4 risorse decisive: • Una tattica legalitaria: in una società moderna la conquista del potere non può avvenire con azioni militari ma va preparata ottenendo il consenso delle masse e rassicurando i possibili alleati; solo dopo la conquista del potere per via elettorale, il nazismo impone i suoi veri obiettivi (“Il giuramento di fedeltà alle leggi era soltanto un espediente. Volevamo arrivare legalmente al potere, ma non volevamo usarlo legalmente”) • Un’efficiente organizzazione paramilitare della violenza sul modello del fascismo italiano: nel 1921 vengono create le SA (Sezioni d’Assalto) indirizzate soprattutto contro socialisti e comunisti e nel 1926 le SS (Milizie di protezione) che fungono da guardia del corpo di Hitler: con le loro violenze accrescono il potere di Hitler, il solo a poterle riportare all’ordine • Un abile propaganda attuata attraverso i nuovo mezzi di comunicazione: il massimo artefice della propaganda nazista è Joseph Goebbels, principale creatore del mito del Fuhrer e regista delle coreografie di massa delle manifestazioni naziste; utilizza con maestria i moderni mezzi di comunicazione di massa e diffonde le radio portatili • Un leader carismatico che nelle parole e nei comportamenti esprime l’adesione totale a un’idea attraverso l’arma della retorica e la scenografia della propaganda ovvero: per sopravvivere il popolo ha bisogno di uno spazio vitale in cui abitare preservando la sua purezza dalla contaminazione di altre razze che lo possono indebolire condannandolo all’estinzione; controparte negativa del dominio razziale degli ariani è la figura dell’ebreo (“popolo senza spazio”, “parassita”, “eterna sanguisuga”) nonché quella dei socialisti e comunisti, portatori di ideologie antinazionali e classiste. Nella visione hitleriana antisemitismo e anti-bolscevismo sono strettamente collegati: la Germania deve conquistare il proprio spazio vitale verso est contro il tradizionale nemico russo. In realtà la chiave della propaganda è il nazionalismo e, nella fattispecie, l’idea di una riscossa contro l’umiliazione subita dalla Germania dalla sconfitta nella Grande Guerra: per raggiungere questo obiettivo il popolo deve costituirsi in una comunità organizzata secondo rigidi modelli di gerarchia e obbedienza con esclusione di ebrei e sinistre. Alle elezioni presidenziali dell’aprile 1932 viene confermato Hindenburg con il 53% (sostenuto anche dai socialdemocratici) mentre Hilter si ferma al 37%. Il 30 gennaio 1933 Hilter viene incaricato di formare il nuovo governo dal presidente Hindenburg (sollecitato da un autorevole gruppo di industriali e grandi latifondisti). Alle nuove elezioni, che si tengono nello stesso mese, i nazisti diventano il primo partito (37% dei voti e 230 deputati). L’ETÀ DEI TOTALITARISMI L’eclissi della democrazia Nel corso degli anni ’20 si affermarono in molti Stati dell’Europa mediterranea e orientale dei regimi autoritari, poiché la società era convinta che le democrazie erano troppo deboli per tutelare gli interessi nazionali e garantire benessere ai cittadini. Ungheria: nel 1919, dopo la breve esperienza comunista, il potere fu conquistato dalle forze conservatrici capeggiate da Horty, che instaurò un regime autoritario. Nel 1939 il movimento nazista Croci Frecciate si afferma come la maggiore forza di opposizione e sempre in quell’anno il governo ungherese entra nell’orbita della Germania nazista varando per primo leggi antisemite. Polonia: esce dal trattato di Versailles con confini sicuri ad occidente ma con confini non definiti ad est (linea Curzon) tant’è che nel 1920 è impegnata in una guerra contro la Russia. L’instabilità determinata dai conflitti interni per le diverse minoranze nazionali presenti termina nel 1926 con un colpo di stato del movimento nazionalista del generale Jozef Pilsudski che instaura una dittatura. Anche in altri paesi balcanici l’involuzione autoritaria avviene attraverso l’intervento diretto di un sovrano: -- in Jugoslavia re Alessandro I scioglie il parlamento e i partiti per domare la ribellione indipendentista di croati e sloveni; -- in Bulgaria un cruento colpo di stato del re Boris III rovescia il governo impegnato a fondo in una politica di riforme limitando severamente la liberta dei partiti e l’autorità del parlamento; -- in Grecia in seguito alla fuga del re Giorgio II viene proclamata la repubblica ma una serie di rivolte militari portano alla restaurazione della monarchia seguita poi da una dittatura militare del generale Ioannis Metaxas; -- in Romania nel 1930 rientra in patria re Carol II che imprime al paese una svolta a destra con frequenti violazioni delle norme costituzionali e con la legittimazione dei movimenti antisemiti e fascisti Portogallo: in un paese molto arretrato le forze armate sono l’unica struttura in grado di mantenere una presenza organizzata. Nel 1926 un colpo di stato porta alla presidenza il generale Antonio Carmona che governa sino alla sua morte, nel 1951. Per risolvere la grave crisi sui conti pubblici, nel 1928 Carmona nomina ministro delle finanze Antonio de Oliveira Salazar (1889-1970) il quale assumendo nel 1932 le funzioni di primo ministro avvia, in realtà, un progetto di ristrutturazione dello stato: • Fonda l’Unione nazionale (unico partito tollerato dalla legge) • Riduce il parlamento ad organo consultivo secondo il modello fascista (il potere è nelle piene mani del governo) • Crea uno “stato forte” con ampie facoltà di censura e repressione attraverso la Pide, la polizia politica del regime • Stabilisce un’alleanza con la chiesa cattolica a cui viene dato il compito di “civilizzare” le popolazioni indigene • Allo scoppio della guerra civile spagnola si schiera al fianco dei franchisti e durante il secondo conflitto mondiale rimane neutrale attento a non pregiudicare i rapporti con la Gran Bretagna, tradizionale alleata del Portogallo. I regimi fascisti avevano molte caratteristiche, tra cui quella di proporsi come artefici di una rivoluzione che potesse cambiare l’assetto politico e sociale. Nel campo dell’organizzazione politica, il potere veniva esercitato solo dal capo e la popolazione veniva forzatamente massificata. Vi era un forte controllo dell’informazione e della cultura, mentre sul piano economico e sociale il fascismo vietò la libertà dialettica sindacale e rafforzò l’intervento dello Stato in economia, sostituendosi ai privati. I regimi dittatoriali trovarono vasti consensi nella grande borghesia e nei ceti medi, ma soprattutto giovani ed intellettuali accolsero con entusiasmo il nuovo autoritarismo, convinti che poteva rivelarsi un’alternativa alla diffusione del comunismo. I governi fascisti sfruttarono le tecniche e gli strumenti di massa per ottenere un maggiore controllo dei cittadini: i mezzi di propaganda come la radio e il cinema, i canali d’informazione ed istruzione, le strutture associative giovanili, ecc. Proprio per questo vennero definiti totalitarismi. Il consolidamento del potere di Hitler In 6 mesi Hitler trasformò la Repubblica di Weimar in una dittatura monopartitica (Mussolini aveva impiegato 4 anni). • Viene sciolto il parlamento • Viene incendiato il Reichstag, sede del parlamento: questo attentato viene attribuito ai comunisti ed è il pretesto per un ulteriore giro di vite che porta all’arresto dei principali esponenti del partito comunista • Decreto che sopprime i diritti costituzionali fondamentali (libertà di stampa, opinione e associazione); controllo di posta e telefoni • Aperto a Dachau un campo di concentramento per gli oppositori politici. Hitler passò all’eliminazione dell’SPD (partito operaio), che fu accusato di “alto tradimento”. Il Partito tedesco-nazionale e il Centro cattolico si auto sciolsero su pressione dei nazisti, quindi Hitler proclamò il Partito nazionalsocialista come l’unico consentito in Germania. • Legge che conferisce pieni poteri al governo; tale provvedimento consente al governo di legiferare in contrasto con la costituzione; riserva al governo la gestione dei trattati internazionali; attribuisce al cancelliere la facoltà di firmare decreti al posto del presidente Dotato i poteri “legali” il governo procede ora al cosiddetto “allineamento” di tutte le istituzioni pubbliche e private al controllo della NSDAP: • I partiti operai e i sindacati vengono distrutti e i loro dirigenti arrestati • I governi regionali vennero “normalizzati” e i loro poteri passarono a governatori nominati dal centro • Nell’agricoltura e nell’industria, in base ad un accordo con le associazioni padronali, vengono esclusi gli ebrei dalle cariche direttive e l’associazione rinunciò alla propria autonomia, accettando di integrarsi in uno stato che garantiva la fine di ogni opposizione sindacale • Il mondo della cultura viene assaltato: simbolico nel maggio 1933 l’episodio in cui vengono dati pubblicamente in fiamme i libri degli autori considerati antinazionalisti cioè il fiore della cultura tedesca degli ultimi due secoli Il 30 giugno 1934, prendendo come pretesto la notizia di un colpo di stato delle SA, Hitler da avvio alla cosiddetta “Notte dei lunghi coltelli”: un vero e proprio regolamento di conti nella quale le SS uccidono buona parte dello stato maggiore delle SA, antichi oppositori politici e possibili concorrenti. Paradossalmente la “Notte dei lunghi coltelli” viene vista con favore dal popolo che si libera delle violenze delle SA e giova al mito del fuhrer che appare il capo duro ma giusto, capace di liberarsi anche di un amico colpevole. Nell’agosto 1934, alla morte di Hindenburg, Hitler assume anche la carica di presidente della repubblica, capo dello stato, del governo, del partito e delle forze armate: la costruzione del Terzo Reich è ultimata. A differenza del fascismo, il nazismo è privo del contrappeso della monarchia e afferma la supremazia del partito sullo stato. Segno distinto del regima nazista è la politica razziale che viene attuata attraverso due tasselli: • Sostegno all’incremento demografico mediante prestiti alle coppie nelle quali la moglie rinuncia al lavoro per dedicarsi ai figli e prestiti alle famiglie con più figli • Persecuzione degli ebrei: nel 1935 le cosiddette “Leggi di Norimberga” vietano i matrimoni misti tra ariani ed ebrei, escludono dalla cittadinanza chi non fosse di sangue tedesco e privano tutti gli ebrei dei diritti civili. Nella “notte dei cristalli” più di 7.000 negozi vengono saccheggiati, 91 persone assassinate e 200 sinagoghe incendiate: dalla discriminazione legislativa di passa alla persecuzione di massa. Solo con la guerra e le conquiste territoriali del Terzo Reich, che fanno salire a diversi milioni la popolazione controllata da nazisti, si passa a una sistematica politica di sterminio. Oltre agli ebrei nei campi di concentramento vi entrarono criminali comuni, vagabondi, immigrati, “asociali”, omosessuali, zingari, testimoni di Geova. La politica economico-sociale e l’organizzazione del consenso Il regime nazista, una volta al potere, deve affrontare una pesante crisi economica e un alta disoccupazione. Hitler affida la soluzione del problema a Hjalmar Schacht che attua una politica dirigista di intervento statale, sostituito poi da Hermann Goring. -- Per incrementare i posti di lavoro si favoriscono l’edilizia pubblica/privata e le industrie militari. -- Viene costruita una rete autostradale per incrementare la motorizzazione privata (poi usata soprattutto a scopi militari) -- I contadini vengono dipinti dalla propaganda come le “pupille del regime”. Vengono allettati con promesse di possedimenti terrieri ad est (il cosiddetto “spazio vitale”). -- La piccola proprietà viene tutelata. I risultati sono eccellenti in quanto il numero di disoccupati cala da 5,5 milioni del 1932 a 1,5 milioni del 1936 così come crescono i redditi. Il baricentro dell’economia tedesca si sposta in modo deciso sugli investimenti militari che passano dal 4% al 50% del bilancio statale. La dittatura hitleriana riserva attenzione particolare al mondo del lavoro. Nel 1933 era costituito il Fronte Tedesco Del Lavoro che prende il sopravvento sulle organizzazioni sindacali e impone una rigida gerarchia nelle fabbriche (lo sciopero è bandito). Ad un aumento delle ore di lavoro è corrisposto un aumento del salario oltre che l’acquisizione di una serie di agevolazioni: cibi caldi nelle mense, aumento del numero di giorni di ferie, aree verdi nelle fabbriche, colonie estive per i figli dei dipendenti. All’interno del Fronte del lavoro viene fondato il corrispettivo del Dopolavoro fascista per organizzare anche le attività. Oltre alla radio vengono promossi cinema e sport (Olimpiadi di Berlino 1936). Repressione e consenso nei regime nazista In Germania non si sviluppa alcun movimento di resistenza di massa contro il nazismo per svariati motivi: • Durezza della repressione del regime • Alleanza con la grande industria e con le forze armate • Rapporto con le chiese (nessuna delle quali si pronuncia in modo chiaro contro il nazismo) • La mancanza per la popolazione tedesca di punti di riferimento alternativi al regime in relazione alla distruzione del sistema dei partiti e al silenzio delle autorità religiose • Nuovi riti della politica di massa (grandi manifestazioni coreografiche che trasformano la politica in un’estetica) Il regime ottenne, invece, un largo consenso grazie ai successi di Hitler in politica estera e la sua capacità di riportare la Germania al ruolo di protagonista della politica europea. Altri importanti fattori furono: la ripresa economica, con la liberazione del paese dal peso delle riparazioni, il raggiungimento della piena occupazione e il miglioramento dei servizi sociali. La politica attuata dal regime nazista incoraggiò l’iniziativa privata legandola al potere politico. Nel settore agricolo impose delle norme che tutelavano la piccola e media borghesia, mentre in quello industriale Hitler divenne capo delle aziende. Il consenso al regime avvenne anche per l’uso che il nazismo seppe fare delle cerimonie pubbliche e dei mezzi di comunicazione di massa. L’Unione sovietica e l’industrializzazione forzata L’esperienza fascista fa ampio ricorso ai mezzi di comunicazione di massa: viene fondato l’Ente italiano audizioni radiofoniche (EIAR); i cinegiornali vengono proiettati in tutte le sale cinematografiche del paese; viene sostenuta fortemente l’industria del cinema con l’apertura nel 1932 della Mostra internazionale di Venezia e l’inaugurazione nel 1937 di Cinecittà. Economia e società ECONOMIA Mussolini sale al potere quando la crisi economica postbellica è già oramai superata. Questa congiuntura insieme alla sconfitta del movimento operaio che perde il suo potere di contrattazione, consente una prima politica economica “liberistica” (riduzioni salariali, forte pressione fiscale, diminuzione delle spese statali e larghi favori alle imprese). Dopo il 1925: • Si consolida una decisa e duratura svolta protezionistica a causa della recessione dovuta alla svalutazione della lira accompagnata da un massiccio intervento dello stato nell’economia: buona parte dell’apparato industriale controllato dalle maggiori banche nazionali passa sotto la gestione diretta dello stato. • Nel 1926 viene avviata la cosiddetta “campagna del grano” consistente nel tentativo di estendere la superficie coltivata e proteggere la produzione nazionale con tariffe doganali sulle importazioni. Il dichiarato obiettivo di conseguire l’autosufficienza alimentare del paese non viene raggiunto produce un impoverimento complessivo del settore • Nel 1927 viene avviato l’ambizioso progetto della “bonifica integrale” che ha tra i suoi maggiori successi la bonifica delle paludi pontine e la nascita di “città nuove” • Nel 1932 viene costituto l’istituto mobiliare italiano (IMI) ente pubblico che si occupa delle concessioni di finanziamenti a medio e lungo termine alle imprese. • Nel 1933 nasce l’istituto per la ricostruzione industriale (IRI) per il salvataggio delle principali banche miste sull’orlo del fallimento dopo la crisi del 1929 Impegnato ad estendere la tutela sui ceti medi, il fascismo scarica i costi sulle classi subalterne private di ogni possibilità di resistenza organizzata, che sono colpite da bassi salari e disoccupazione con conseguente profondo disagio sociale e stagnazione dei consumi privati. Le condizioni economiche e il tenore di vita del Mezzogiorno peggiorano a causa delle scelte del regime. Le politiche interventiste degli anni ’30 hanno comunque aspetti innovativi e sviluppo economico dell’Italia è rilevante benché meno sostenuto di quello di altri paesi. SOCIETA’ • Nel campo delle assicurazioni dei lavoratori si affermano i regimi previdenziali e pensioni anzitutto ai lavoratori del settore industriale, penalizzando l’agricoltura e il lavoro femminile. • Il sistema previdenziale è unificato nel 1933 nell’istituto nazionale fascista per la previdenza sociale (INFPS) e nell’istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL) • A sostenere l’incremento demografico in sintonia con l’immagine di nazione giovane e fertile voluta da Mussolini c’è l’opera nazionale maternità e infanzia (ONMI) che fornisce assistenza alle madri, le donne più prolifiche vengono premiate e alle famiglie con più figli vengono concessi sgravi fiscali mentre i celibi vengono tassati. • Di fronte alla crescita urbana il fascismo si impegna in una politica urbanistica di “risanamento” volta a costruire un’immagine di città a misura della classi medie. L’imperialismo fascista e l’impresa etiopica Fin dalle origini il mito della “vittoria mutilata” e il risentimento nazionalista per i risultati della pace del 1919 alimentano ricorrenti velleità “revisioniste” nei confronti degli assetti di Versailles che si traducono in gesti di rottura come l’occupazione dell’isola greca di Corfù nel 1923, poi evacuata per le forti pressioni anglo-francesi. Per tutti gli anni ’20 la politica estera del fascismo è volta ad accreditare all’Italia un ruolo di mediazione tra le potenze: Mussolini è alla ricerca di una legittimazione internazionale che in qualche misura ottiene partecipando nel 1925 assieme all’Inghilterra in veste di garante alla conferenza di Locarno. Negli anni ’30 prevalgono le ambizioni espansionistiche del fascismo tant’è che nel 1932 Mussolini assume in prima persona la carica di ministro degli Esteri. Tali ambizioni sono tuttavia condizionate dalla debolezza dell’Italia che dovrà sempre appoggiarsi ad altre grandi potenze, atteggiandosi di volta in volta a difensore della pace o a fautore degli equilibri internazionali: nel luglio 1933 l’Italia firma con Francia, Gran Bretagna e Germania un patto che esprime la volontà di inserire il nuovo regime hitleriano nel concerto europeo. Nonostante la conferenza nel 1935 con Francia e Gran Bretagna a Stesa sul lago Maggiore, che ribadisce l’intenzione di respingere le violazioni dei trattati del 1919, nell’ottobre del 1935 il regime fascista occupa l’Etiopia e grazie una schiacciante superiorità militare l’Italia piega la resistenza etiopica nel maggio 1936: le truppe italiane conducono una brutale “guerra totale” (bombardamenti di villaggi, deportazioni di massa, uso di gas asfissianti) che provoca una dura reazione della Società delle Nazioni che adotta sanzioni economiche nei confronti dell’Italia. Il fascismo utilizza a scopo propagandistico la polemica contro le “inique sanzioni” tant’è che la proclamazione dell’impero da parte di Mussolini segna il suo momento di massimo consenso. La guerra di Etiopia rovescia, di fatto, gli equilibri europei: l’Italia ottiene la solidarietà della Germania che viene ricambiata con la fine delle ostilità italiane riguardo le mire tedesche sull’Austria. Nell’ottobre 1936 la nascita dell’asse Roma-Berlino consacra l’intesa tra i due dittatori. Il primo banco di prova dell’alleanza è l’appoggio del generale Francisco Franco contro il governo repubblicano della guerra civile spagnola (Mussolini invia in Spagna un corpo di oltre 70.000 “volontari”). Apogeo e declino del regime fascista Il consenso popolare rimane vasto fino alla fine degli anni 30; il malcontento latente si sviluppa con l’accentuarsi della pressione totalitaria e soprattutto con l’ingresso in guerra. Superato il momento di euforia per la conquista dell’Etiopia, si ripresentarono contrasti tra il regime e il paese riguardo la politica economica. La scelta di Mussolini di attuare l’autarchia, cioè l’indipendenza e autosufficienza economica, con un’ulteriore aumento del protezionismo, comportò un peggioramento delle condizioni di vita del popolo. Inoltre l’opinione pubblica non vedeva di buon occhio l’alleanza con la Germania. Prevedendo un nuovo conflitto generale, Mussolini passò al riarmo del paese, trasformando gli italiani in un popolo di attitudini guerriere. Adottò un atteggiamento duro e punitivo nei confronti della popolazione e passò e incrementò il carattere totalitario del paese. Nel 1938 introdusse leggi discriminatorie nei confronti degli ebrei suscitarono la perplessità dell’opinione pubblica. La politica antisemita non appartiene all’Italia. E’ solo un modo per manifestare la volontà di Mussolini di allinearsi all’alleato tedesco. La politica antiebraica viene inasprita dopo l’ingresso in guerra. IL TRAMONTO DEL COLONIALISMO Il declino degli imperi coloniali La prima guerra mondiale non aveva mietuto vittime solo tra le popolazioni europee: la razza bianca pretende dai popoli delle colonie un drammatico contributo di sangue. Tra i 14 punti proposti dal presidente Wilson per un nuovo ordine internazionale figura il principio della salvaguardia degli interessi delle colonie e la capacità di autogoverno. La guerra mondiale aveva indebolito la forza e l’autorità degli imperi e la rivoluzione bolscevica del 1917 aveva dimostrato al mondo come una rivoluzione vittoriosa potesse portare libertà nei paesi oppressi. Oltre alla nascita dei partiti comunisti in India, Cina, Indonesia, Sudafrica, Egitto, Palestina e Siria si affermano movimenti anticoloniali “borghesi” che assumono posizioni a volte nazionaliste e a volte ideologiche tendenti ad affermare identità radicalmente diverse da quella europea (“mondo islamico” e “paesi arabi” dove, per il fatto di parlare una lingua comune, nasce il “panarabismo” ovvero un’ideologia laica che rivendicava l’unità della “nazione araba”). L’Impero britannico e l’India Mentre la Francia represse brutalmente i movimenti indipendentisti dell’Africa e dell’Indocina, dichiarando intangibile la propria sovranità “formale”, la Gran Bretagna alternò momenti di resistenza a momenti di concessione. Riconoscendo un’effettiva difficoltà di applicazione della sovranità, definisce i suoi dominions bianchi (Canada, Australia, Nuova Zelanda, Sudafrica e Terranova) comunità autonome all’interno dell’impero britannico, unite dalla fedeltà alla Corona e liberamente associate in quanto membri del Commonwealth britannico delle nazioni. Le leggi approvate dal parlamento inglese potevano essere rifiutate da quelli dei dominions che invece poterono darsi una nuova e propria costituzione. L’India era la più importante fra le colonie britanniche sul piano economico e strategico. Durante la guerra l’Inghilterra aveva promesso l’autogoverno all’India, ma queste promesse non bastarono a bloccare il movimento nazionalista. Il movimento anticoloniale vede come protagonista Gandhi (1869-1948) che fonda la sua lotta politica sulla resistenza passiva e sulla disobbedienza pacifica alle leggi ritenute ingiuste nonostante le feroci repressioni inglesi. Lo sciopero della fame di Gandhi (1935) ha una risonanza mondiale e contribuisce alla ripresa del negoziato, più volte interrotto, con l’Inghilterra. Si giunge nel 1935 all’elaborazione di una nuova costituzione che entra in vigore nel 1937 e che amplia l’autonomia dei governi provinciali eletti dagli indiani. Con la fine della guerra, nel 1947, vengono costituiti due dominions separati: l’Unione Indiana (hindu) e il Pakistan (musulmano). Tuttavia, le nuove concessioni non servirono a fermare la marcia dell’India verso la piena indipendenza. Il Medio Oriente: nazionalismo arabo e sionismo Durante la prima guerra mondiale le stesse potenze coloniali avevano strumentalizzato i movimenti indipendentisti al fine di danneggiare gli avversari: gli inglesi avevano fomentato la rivolta degli arabi contro l’impero ottomano promettendo l’indipendenza. Questo impegno viene tradito e l’intera regione mediorientale viene divisa tra Francia e Gran Bretagna. • Nel 1921 un colpo di stato porta al potere in Persia Reza Khan che vara un programma di modernizzazione e rinomina il paese in Iran. Negli stessi anni nasce l’Arabia Saudita. • Nel 1922 viene proclamata l’indipendenza dell’Egitto con Nasser. • Nel 1923 l’Impero ottomano (ridotto a Istanbul e Anatolia) si costituisce come repubblica turca, che guidata da Kemal avvia un processo di radicale modernizzazione e laicizzazione. • Nel 1928 nasce la società dei fratelli Musulmani che si diffonde dall’Egitto a Sudan, Giordania, Siria, Algeria, Iran e Pakistan. Questa propone un modello di società legata alla Shari’a (la legge coranica diventa legge di stato). Il mondo islamico è estremamente articolato. La sua principale articolazione è tra sunniti (ritengono che il califfo debba essere eletto) e gli sciiti (sostengono l’aspetto ereditario del califfo). In questi anni si pone un nuovo problema, quello di una patria per gli ebrei che nel mondo doveva collocarsi a Sion in Palestina (Gerusalemme) come era stato posto dal giornalista Herzl nel 1896; si crea il movimento di opinione chiamato sionismo a cui si oppongono gli ebrei assimilazionisti (favorevoli all’integrazione alle nazioni di residenza). Negli anni ’20 e ’30 molti ebrei acquistano terre in Palestina e i nuovi insediamenti suscitano ripetuti e sanguinosi tumulti tra ebrei e palestinesi. La presenza ebraica cresce con la politica antisemita dei nazisti. Nel 1937 una commissione promossa dal governo inglese elabora il Piano Peel, un piano di spartizione che prevede la creazione di uno stato ebraico, di uno stato arabo e di una zona sotto mandato britannico comprendente Gerusalemme. Questo piano è respinto dai rappresentati dei maggiori stati arabi che proponevano un unico stato palestinese che, ponesse fine ad ogni ulteriore immigrazione ebraica. L’Africa La colonizzazione ha sconvolto sistemi sociali e istituzioni così come differenze tribali ed etniche. L’identità affermata dal movimento panafricano (movimento di liberazione) è ancorata alla razza nera. In Sudafrica, l’unico dominio inglese dove i bianchi sono in minoranza si inaspriscono le leggi razziali. Dal 1926 la popolazione nera è esclusa dagli impieghi qualificati. Dopo la seconda guerra mondiale l’attenzione internazionale si concentrerà sull’apartheid: nel 1946 l’ONU approva la prima mozione contro questa politica. Nazionalisti e comunisti in Cina Negli anni fra le due guerre la Cina fu teatro di una lunga guerra civile. Il settore agricolo nel paese è assai arretrato e fondato sull’autoconsumo. Al termine della guerra si manifestano forti segni di reazione alla presenza occidentale e alla disgregazione del paese: • 1919 studenti e lavoratori manifestano a Pechino contro la subordinazione della Cina agli interessi stranieri • 1921 viene fondato a Shanghai il partito comunista • 1923 il leader del partito al potere (partito nazionale del popolo) promuove collaborazione coi comunisti cinesi e URSS interrotta dal suo successore (Chiang Kai-shek) • 1934 l’Armata Rossa di Mao Tse-tung inizia la lunga marcia; i contadini lo sostengono • In questi anni il Giappone attacca la Cina invadendo la Manciuria; nel 1936 il partito nazionalista di Chiang si trova ad accordarsi con i comunisti nell’opposizione straniera e in questa occasione cresce la popolarità del partito comunista • Secondo il progetto di spartizione concordato tra Russia America e Inghilterra alla fine della seconda GM la Cina sarebbe dovuta essere guidata da Chiang nell’orbita occidentale. Nonostante questo nel 1948 i comunisti sconfiggono le truppe nazionaliste; nel gennaio 1949 entrano a Pechino e il 1 ottobre proclamano la Repubblica Popolare Cinese. Imperialismo e autoritarismo in Giappone In Giappone gli anni tra le due guerre videro un notevole sviluppo economico e l’affermarsi di una spinta imperialistica, in coincidenza con lo sviluppo dei movimenti di destra e con un crescente autoritarismo del sistema politico. L’impero giapponese impugna la bandiera del “panasiatismo” - ovvero eliminazione di ogni influenza straniera in un continente asiatico unificato sotto l’autorità del Giappone - tant’è che, finita la guerra, i soldati nipponici invadono la Serbia e rafforzano la loro presenza nella regione cinese della Manciuria. Il Giappone poi uscirà dalla Società delle Nazioni. La spinta all’espansione è in perfetta sintonia con i mutamenti dell’economia del paese: un territorio ristretto, montagnoso e privo di risorse naturali fissa dei limiti alla crescita del mercato interno e lo subordinava alle importazioni. L’espansionismo giapponese presenta analogie con quello nazista: alle sue basi vi è un’ideologia fondata sulla superiorità razziale del Sol Levante sui colonizzatori bianchi che alimenta un progetto di “liberalizzazione” dei popoli asiatici, ma sotto la supremazia giapponese. L’ultimo ostacolo sul continente europeo è rappresentato dalla Gran Bretagna di Churchill: Londra diventa la capitale della resistenza europea al nazismo. Churchill chiede aiuti agli Stati Uniti che dal giugno 1940 cominciano a inviare armi e munizioni. Al solo scopo di convincere i britannici ad una pace onorevole, l’aviazione tedesca avvia una serie di bombardamenti sull’area abitata di Londra. Le cose non vanno secondo i piani nazisti grazie all’efficace difesa dell’aviazione e delle postazioni aeree e la “battaglia d’Inghilterra” segna la prima vera battuta d’arresto dei tedeschi che devono ripiegare. Dalla guerra europea alla guerra mondiale La sconfitta della Francia e l’ingresso in guerra dell’Italia allargano il conflitto alle rispettive colonie. Da Londra il generale Charles De Gaulle (1890-1970) chiama alla resistenza i francesi e i popoli coloniali per la “Francia libera”. Ancora più rilevante per l’estensione del conflitto è l’intervento dell’Italia il 10 giugno 1940 che apre nuovi fronti: • Nell’agosto 1940 l’Italia invade la Somalia britannica e attacca quindi l’Egitto, con l’ambizioso obiettivo di acquistare il controllo delle aree petrolifere del Medio Oriente e del nodo strategico di Suez, ma senza successo. • All’insaputa di Hitler nell’ottobre 1940 l’Italia invade la Grecia ma senza successo. L’evidente fallimento dell’iniziativa costringe Mussolini a chiedere aiuto alla Germania. • Gli italiani sono costretti alla controffensiva britannica ad abbandonare l’Etiopia. Alla metà del 1941, ad eccezione della penisola iberica e di alcuni paesi neutrali (Irlanda, Svezia, Svizzera e Turchia) tutto il continente europeo si trova sotto il diretto o indiretto controllo tedesco. Le cose mutano nella seconda metà del 1941. Nell’ideologia nazista, oltre a cancellare il nemico comunista, il territorio rappresentava anche una conquista coloniale e gli obiettivi erano espandere il territorio verso est e ridurre gli slavi in schiavitù • Il 22 giugno 1941 inizia la più colossale operazione militare fino ad allora realizzata: l’operazione Barbarossa: l’Armata Rossa era impreparata e i tedeschi giungono velocemente vicino a Mosca. A luglio l’offensiva si arresta e Hitler decide di assegnare priorità al fronte sud per aprirsi la strada verso il grano dell’Ucraina, il carbone del Donetsk e il petrolio del Caucaso. Dopo aver occupato Kiev e la Crimea, Hitler prosegue l’avanzata verso Leningrado e Mosca ma viene arrestato l’8/12/41 dalla controffensiva sovietica, del freddo rigido dell’inverno che affossa le speranze di Hitler in una rapida conclusione della guerra. • Il 7 dicembre 1941, senza alcuna dichiarazione di guerra, i giapponesi attaccano la base di Pearl Harbor nelle Hawaii infliggendo gravissimi danni. Sul piano militare i giapponesi hanno mano libera nel Pacifico. • Nel dicembre 1941 Stati Uniti e Gran Bretagna dichiarano guerra al Giappone, Germania e Italia agli Stati Uniti. Pearl Harbor pone fine all’isolazionismo che sino ad allora era stato prioritario nell’opinione pubblica e nel Congresso degli USA. Poco prima, nell’ agosto 1941 Roosevelt e Churchill varano la Carta Atlantica, poi sottoscritta da tutti i paesi in lotta contro le potenze del Patto Tripartito, nella quale vengono definiti i principi e i progetti per un nuovo ordine internazionale fondato: • Sul rifiuto delle guerre di aggressione e di conquista • Sul rispetto dell’autodeterminazione dei popoli • Sulla libera circolazione delle merci e dei capitali e sul libero accesso alle materie prime Una conferenza tenutasi a Washington tra il dicembre 1941 e il gennaio 1942 getta le basi delle nazioni Unite quale grande alleanza antifascista. L’intervento degli Stati Uniti sancisce il fallimento della guerra-lampo. Il “nuovo ordine” e la Shoah Nel luglio 1940 viene lanciato con grande rilievo propagandistico il “nuovo ordine europeo”: un progetto che disegna il futuro del continente dopo la conclusione della guerra i cui connotati peculiari sono espansionismo e razzismo. Il progetto vede al centro la Grande Germania (accresciuto dalle nuove annessioni). Attorno ad essa i paesi satellite del Patto tripartito che partecipano in funzione subalterna. Nel terzo anello i paesi dell’Europa settentrionale e occidentale sottoposti all’occupazione tedesca e a un duro sfruttamento economico. La dominazione tedesca presenta il suo volto più efferato nei territori balcanici, in quelli polacchi e sovietici: a differenza che in Oriente qui la guerra non è concepita come conquista territoriale ma come sperimentazione di un dominio totale che comprende rapina economica, decapitazione della classe dirigente, deportazioni e sterminio di massa. In queste aree viene programmato ed eseguito lo sterminio delle “razze inferiori” (ebrei prima di tutto ma anche slavi e zingari). Con l’attacco all’Unione Sovietica le ragioni dello stato razziale prendono nettamente il sopravvento tant’è che viene elaborato un “Piano generale per l’est” che programma la deportazione in Siberia di 31 milioni di persone “razzialmente indesiderabili”. Le conquiste territoriali fanno cadere in mano tedesca un numero così elevato di ebrei che l’ipotesi di trasferirli fuori dal Reich diventa impraticabile. La Polonia diventa pertanto un contenitore di tutti gli ebrei “catturati” che vengo deportati nei ghetti polacchi. Parallelamente i Lager, concepiti come luogo di detenzione e punizione per gli oppositori, gli indesiderati e (dopo la “notte dei cristalli”) per gli ebrei, si diffondono in tutte le zone occupate, specialmente all’est e in Polonia. Nell’inverno del 1941 entrano in azione le camere a gas. All’arrivo nei lager, si separavano le persone abili al lavoro da quelle inabili (bambini, anziani, malati) destinati allo sterminio immediato. Anche i più resistenti, quando non erano più in grado di lavorare, finivano nelle camere a gas. La cosiddetta “soluzione finale” del problema, ovvero la deportazione dell’intera popolazione ebrea prima nei ghetti polacchi e poi nei lager, viene pianificata il 20 gennaio 1942 in un incontro alla periferia di Berlino alla presenza di Hitler, di ministri e dei massimi gradi delle SS e delle polizia. Quello che con un termine errato (perché significa “sacrificio”) è stato definito “olocausto” e che gli ebrei chiamano invece Shoah (ovvero “distruzione”) viene deciso senza esitazione: 6 milioni di persone nei successive 40 mesi vengono sterminati. Nell’estate 1942 notizie sulla sorte degli ebrei iniziano a filtrare in occidente attraverso il governo polacco in esilio a Londra e i nunzi apostolici che riferiscono in Vaticano. Le razioni degli angloamericani e della Santa Sede sono caute e reticenti. La svolta della guerra e la “grande alleanza” Con la primavera del 1942 le operazioni belliche riprendono in grande stile. • Nel novembre 1942 parte la controffensiva sovietica nella zona di Stalingrado: i tedeschi e i loro alleati (tra i quali molti italiani) iniziano così una lenta e lunga ritirata sino a Berlino che dura sino a due anni. • Dopo aver assestato un duro colpo al Giappone bombardando Tokyo, nel giugno 1942 gli Stati Uniti infliggono pesanti perdite alla flotta giapponese nella battaglia delle isole Midway e nella battaglia di Guadalcanal nelle isole di Salomone. • Nell’ottobre 1942 le armate italo-tedesche vengono sconfitte in Africa dalle truppe britanniche a un centinaio di chilometri da Alessandria. Nel novembre 1942 uno sbarco angloamericano in Algeria e Marocco apre un nuovo fronte che porta all’abbandono di Libia e Tunisia da parte delle forze dell’Asse. • Il 10 luglio 1943 le truppe di Eisenhower sbarcano in Sicilia, il 25 luglio viene arrestato Mussolini per ordine del re d’Italia e a settembre Pietro Badoglio sigla un armistizio con gli alleati. Sul suolo europeo il 1944 è dominato dalla lenta ritirata dei tedeschi. • Mentre l’Armata Rossa avanza sul fronte orientale, il 6 giugno 1944 gli occidentali aprono il secondo fronte con un colossale sbarco in Normandia. • Aiutati dai partigiani francesi ad agosto gli alleati entrano a Parigi dove De Gaulle costituisce un governo provvisorio. • I Sovietici giungono davanti a Varsavia • Gli angloamericani riconquistano numerosi arcipelaghi occupati dai giapponesi in ultimo le Filippine che vengono liberate nel luglio 1945. • I tedeschi tentano un ultimo disperato attacco sul fronte occidentale, nelle Ardenne, ma vengono respinti. Nel marzo 1945 gli angloamericani varcano il Reno. I bombardamenti trasformano la Germania in un cumulo di rovine. Hitler si toglie la vita il 30 aprile 1945, due giorni dopo la fucilazione di Mussolini da parte dei partigiani. • Il 7-8 maggio, a Reims e a Berlino, la resa della Germania è firmata senza condizioni nelle mandi di Eisenhower e del maresciallo sovietico Zukov. • Tra il 1945 e il 1946 i grandi criminali di guerra nazisti vengono giudicati dal Tribunale Militare Internazionale costituito dagli alleati a Norimberga. Considerato che la guerra si profilava ancora lunga e difficile contro il Giappone, gli Stati Uniti: • Insistono perché i sovietici entrassero anch’essi in Guerra contro il Giappone, cosa che Stalin fece l’8 agosto 1945 • Il 6 e il 9 agosto sganciano due bombe atomiche, la prima a Hiroshima e la seconda a Nagasaki (le vittime sono oltre 200.000: 130.000 subito e 70.000 negli anni seguenti per i postumi delle ferite e per effetto delle radiazioni). L’Italia: la caduta del fascismo e l’8 settembre Il prolungamento del conflitto relega l’Italia in una posizione subalterna rispetto all’iniziativa tedesca. La vita quotidiana viene profondamente alterata: • Soggette alle minacce dei bombardamenti, le città perdono una parte dei loro abitanti che “sfollano” verso le campagne • La popolazione è attanagliata da distruzioni, disagi economici, lutti e sofferenze • Dalla seconda metà del 1942 cresce l’ostilità contro il fascismo per aver portato il paese in guerra • Nel marzo 1943 scoppiano nelle città del triangolo industriale i primi scioperi di massa dopo 20 anni Considerata la debolezza dei gruppi dell’opposizione antifascista, ricostruitasi nel paese relativamente tardi e con molte difficoltà, il fascismo cade quindi a seguito di una congiura di palazzo, attuata da una parte dei gerarchi dissidenti e dai vertici dell’esercito sotto la cauta direzione della monarchia: il 25 luglio 1943 Mussolini viene fatto arrestare dal re che affida il governo a Pietro Badoglio (1871-1956) ex capo di stato maggiore delle forze armate. Malgrado la caduta del fascismo venga salutata nel paese da un’esplosione di entusiasmo, Badoglio ha un atteggiamento ambiguo nei confronti dei tedeschi e degli angloamericani: proclama la prosecuzione della guerra, chiede alla Germania aiuti e truppe per contrastare gli alleati ma nel contempo intavola trattative segrete con gli angloamericani per l’armistizio. Firmato il 3 settembre, l’armistizio viene annunciato dagli alleati l’8 settembre 1943: di fronte al fatto compiuto, Badoglio insieme ad una parte del governo, al re e alla famiglia reale fugge da Roma senza emanare alcun ordine ed i tedeschi occuparono la parte centro-settentrionale dell’Italia. Abbandonate a se stesse, le truppe si sbandarono; alcuni si ritirarono, altri continuarono ad opporre resistenza e furono violentemente puniti dai tedeschi. Il 9 settembre 1943 gli alleati sbarcano a Salerno ma, a seguito dei contrasti tedeschi, il fronte si arresta sulla cosiddetta “linea Gustav”, che andava da Gaeta a Sangro, lasciando l’Italia centrosettentrionale in mano tedesca. Nel ’43 l’Italia si presentava divisa in due entità statali distinte: a sud sopravviveva il vecchio stato monarchico, sostenuto dall’occupazione militare degli alleati; a nord risorgeva il fascismo, appoggiato dalle truppe tedesche. A sud il governo guidato da Badoglio – detto “Regno del Sud” – fissa la propria capitale prima a Brindisi poi a Salerno. Nel centro-nord i tedeschi liberarono Mussolini, ponendolo a capo di uno stato collaborazionista contrapposto a quello del sud: la Repubblica Sociale Italiana (RSI) insediata il 23 settembre 1943 a Salò. La RSI rimane profondamente legata alla Germania ma non riuscì ad avere successo, a causa dell’occupazione tedesca che sfruttava le risorse economiche e umane italiane. Le drammatiche vicende dell’8 settembre determinano nel paese un drammatico momento di crisi dell’idea di nazione come valore unificante di tutti gli italiani. A quella stessa crisi risponde tuttavia una minoranza che spontaneamente, senza copertura istituzionali o militare, inizia la lotta per la liberazione del paese: il movimento partigiano. Erano vestiti in borghese e operavano vere e proprie attività di spionaggio. Erano organizzati in vere e proprie brigate, con varie denominazioni: • Brigate Garibaldi: le più numeroso, guidate dai comunisti • Brigate Matteotti: socialiste • Giustizia e libertà: azioniste • Brigate “verdi”: democristiane Nel frattempo fu avviata la ricostituzione dei partiti antifascisti: il Partito d’azione (PDA); la Democrazia cristiana (che deriva dal Partito popolare); il Partito liberale + il Partito repubblicano + quello socialista col nome di Partito socialista di unità proletaria (PSIUP). I rappresentanti di questi sei partiti si riunirono a Roma nel Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) che si alleò con il governo Badoglio nella lotta al fascismo-nazismo. Il 4 giugno 1944 Roma viene liberata dagli alleati ponendo così termine al cosiddetto "Regno del Sud". Il Re Vittorio Emanuele III nomina suo figlio Umberto luogotenente del regno e si ritira a vita privata. Umberto si insedia al Quirinale e su proposta del CLN affida l'incarico di formare il nuovo governo ad Ivanoe Bonomi, anziano leader politico e già presidente del CLN (governo Bonomi: 18 giugno 1944 – 12 dicembre 1944). Nel ’45 le truppe tedesche cedettero e la Resistenza avviò un’insurrezione generale contro gli occupanti in ritirata. Le Resistenze La Resistenza incarna un comportamento di opposizione attiva dettato da ragioni diverse: esistenziali, politiche, sociali, di dignità nazionale. I resistenti “collaborano” con gli alleati angloamericani sia pure tra mille difficoltà e incomprensioni. a galvanizzare l’opinione pubblica mentre in URSS la psicosi dell’accerchiamento e della guerra serve a Stalin per giustificare il proprio pugno di ferro repressivo sulla società sovietica e sulle nazioni satellite. L’OCCIDENTE L’Europa occidentale e il Mercato comune Nel corso degli anni ’50 gli Stati occidentali persero la loro condizione di grandi potenze. Il decentramento della guerra fredda alleggerisce l’atmosfera nel vecchio continente e il processo di integrazione europea avvia i suoi primi passi con la cosiddetta “Europa dei sei”: nel 1957 vengono firmati a Roma i trattati per la costituzione dell’Euratom e della Comunità Economica Europea (CEE). Il primo trattato prevedeva la messa in comune delle risorse di ogni singolo stato per lo sfruttamento a scopi pacifici dell’energia nucleare; il secondo istituisce una commissione di nove membri (2 per Italia, Francia, Germania e 1 per Belgio, Olanda e Lussemburgo) per affiancare un consiglio dei ministri degli Esteri con il compito di armonizzare le politiche economiche degli stati aderenti. Organi principali della Cee erano: - la Commissione, che propone e attua i piani d’intervento; - il Consiglio dei ministri, che prende le decisioni finali; - la Corte di giustizia, che attenua i contrasti tra gli Stati; - il Parlamento europeo, eletto dai cittadini, che ha funzioni consultive. Gli effetti del Mercato comune consentirono un rilancio delle economie dei paesi associati, ma tuttavia l’integrazione rallentò a causa degli egoismi nazionali. Europa e Mediterraneo Germania Quasi totalmente distrutta dalla guerra, la Germania è divisa in 4 zone di occupazione (inglese, francese, americana e sovietica) e la stessa ripartizione si riproduce nella città di Berlino. L’avvio della guerra fredda trasforma la questione tedesca in un braccio di ferro tra USA e URSS. • Repubblica Federale di Germania: zone controllate da Francia, Regno Unito e Stati Uniti • Repubblica Democratica Tedesca (DDR): zona d'occupazione sovietica Alle elezioni politiche del 1949 alla carica di cancelliere sale il moderato Konrad Adenuaer che poggia la ricostruzione del paese sul piano Marshall e sulla cosiddetta Westpolitik ovvero una politica fondata su rapporti privilegiati con Stati Uniti e Francia. La produzione industriale cresce. Il partito comunista, accusato di attività eversive, viene messo fuori legge e si aggrava così la divisione con la Germania dell’est. A seguito di crescente flusso di espatri illegali (600 al giorno) determinato dall’indubbia superiorità raggiunta dalla Repubblica federale sul piano dei consumi, nel 1961 viene costruito il muro di Berlino . Il nuovo cancelliere Willy Brandt adotta con la cosiddetta Ostpolitik una linea di apertura verso il blocco orientale che gli valse nel 1971 un premio Nobel per la pace. La Germania occidentale riconosce così quella orientale e nel 1970 Brandt firma due trattati di amicizia con URSS e Polonia. I rapporti tra le due Germanie entrano così in una fase distensiva che culmina nel 1973 con l’ingresso di entrambe all’assemblea della Nazioni Unite. Francia Nel 1945 le forze politiche vincitrici delle elezioni per l’Assemblea costituente eleggono all’unanimità il generale Charles De Gaulle alla guida di un governo di colazione riconoscendo in lui – espressione di una destra moderata - le giuste caratteristiche per unificare una Francia fortemente divisa tra chi aveva collaborato coi nazisti e chi li aveva combattuti. La cosiddetta Quarta repubblica inaugurata nel 1946 con il varo di una nuova Costituzione. I governi definiti di “terza forza” tra radicali, socialisti e cattolici, che guidano il paese negli anni successivi, contribuiscono in modo determinate al processo di integrazione europea accompagnato da un forte sviluppo economico e da un rafforzamento dello stato sociale. A seguito dei risultati fallimentari della “linea dura” seguita dalla Francia nella politica coloniale, la Quarta repubblica entra bruscamente in crisi e nel 1958 la minaccia di un colpo di stato da parte delle truppe d’Algeria favorisce il ritorno al potere di De Gaulle che costituisce un governo d’emergenza e con l’approvazione di una nuova Costituzione pone fine alla Quarta repubblica. La nuova Costituzione prevede infatti un presidente eletto a suffragio ristretto e con ampi poteri. De Gaulle, eletto presidente, chiude nel 1962 la questione algerina mediante la concessione dell’indipendenza. Secondo De Gaulle per poter esercitare davvero un ruolo autonomo in Europa la Francia deve possedere un apparato di difesa militare indipendente da quello statunitense: • avvia un programma nucleare indipendente facendo esplodere nel 1960 nel Sahara la prima bomba atomica francese • la Francia si oppone all’ingresso nella CEE della Gran Bretagna considerata una sorte di “alleato speciale” degli Stati Uniti • nel marzo 1966 si ritira dal comando militare della NATO e adotta la cosiddetta politica della “sedia vuota” astenendosi cioè dalle riunioni comunitarie La politica gollista rimane però isolata con conseguente progressivo logoramento del potere personale del presidente il quale, dopo un ultimo importante successo elettorale nel 1968, decide di dimettersi l’anno successivo. Gran Bretagna La Gran Bretagna, pur avendo vinto la guerra, perde definitivamente il suo ruolo di potenza mondiale. Nelle elezioni del 1945, in modo alquanto inaspettato, viene decretata la fine del governo di unione nazionale di Churchill a favore del partito laburista di Clement Attlee. Sulla base del nuovo welfare state, basato sulla protezione di ogni singolo cittadino attraverso un sistema sanitario e una scuola pubblici e gratuiti oltre che su una rete di sussidi contro la disoccupazione, il governo Attlee si impegna a fondo su questa strada che cambia il volto del paese: • viene creato il servizio sanitario nazionale gratuito per tutti • vengono estese le assicurazioni contro malattie, infortuni, vecchiaia e disoccupazione • viene sviluppata l’edilizia popolare • vengono nazionalizzati settori dell’economia: poste, aviazione civile, energia elettrica, trasporti, gas Questa “rivoluzione laburista” viene finanziata da una politica di austerità con forti tasse sui consumi e con il blocco di stipendi e salari. Il consenso laburista cala e con una maggiorante molto ristretta nel 1951 Churchill torna al potere. Il nuovo governo conservatore riprivatizza l’industria siderurgica, trasferisce alcune spese sanitarie ai cittadini ma lascia intatta la struttura del welfare state laburista. Durante la guerra di Corea dota il paese della bomba atomica e della bomba all’idrogeno. Con inflazione e disoccupazione in aumento il governo conservatore perde il consenso dell’opinione pubblica e nel 1964 Harold Wilson costituisce un governo laburista che deve da subito affrontare una preoccupante recessione economica. L’apparato industriale e la rete di servizi pubblici antiquati e costosi non sono in grado di sostenere la ripresa economica del paese. Wilson opera su più fronti: • importanti successi sul piano dei diritti civili (abolizione della pena di morte e della censura teatrale, liberalizzazione di divorzio e aborto) • orientamento favorevole all’ingresso nella CEE che si concretizza solo nel 1973 una volta caduto il veto francese • nel 1967 deve svalutare la sterlina • nel 1969 deve affrontare una violenta ripresa dei conflitti tra cattolici e protestanti dell’Irlanda del Nord Queste due ultime questioni segnano le sorti del suo governo e alle elezioni del 1970 il Partito conservatore di Edward Heath conquista una salda maggioranza. Svezia Molteplici sono le ragioni della pluridecennale stabilità politica che fanno della Svezia un’eccezione nel panorama europeo: • modernizzazione senza traumi del settore agricolo grazie alla presenza di un solido tessuto cooperativo tra piccoli e medi proprietari terrieri • macchina statale gestita da una burocrazia efficiente e rigorosa • l’avvio del processo di industrializzazione e la crescita del movimento sindacale avvengono all’interno di un quadro istituzionale equilibrato • le prime misure di assicurazione sanitaria e pensionistica rivolte a tutti i cittadini anziani senza distinzioni Anche in politica estera la Svezia mantiene inalterata la propria posizione rimanendo neutrale (a differenza di Danimarca e Norvegia che aderiscono alla NATO) e adoprandosi per la costruzione di un Consiglio del nord tra tutti i paesi di area scandinava. Nel 1959 la Svezia aderisce ad un area di libero scambio promossa dalla Gran Bretagna e con Svizzera, Norvegia, Danimarca e Portogallo in chiara concorrenza con la CEE. Alla fine degli anni ’60 segna l’esaurimento del “modello svedese”: l’invecchiamento della popolazione, la diminuzione degli operai occupati e l’aumento del pubblico impiego rendono sempre più problematico il finanziamento dei servizi essenziali erogati dallo stato. Alle elezioni del 1970 il Partito socialdemocratico di Olof Palme perde la maggioranza ed è costretto a formare un partito di coalizione con il Partito comunista. Spagna Nel secondo dopoguerra, l’ONU invita i suoi membri a rompere le relazioni diplomatiche con la dittatura franchista. Pur aderendo in modo parziale al modello fascista, la sua cultura nazionalista non conosce gli estremi razzisti e imperialistici del fascismo/nazismo anche se cerca di eliminare le autonomi regionali (baschi/ catalani) e di reprimere ogni forma di opposizione politica. Nel 1947 Franco restaura formalmente la monarchia, riservandosi però il ruolo di reggente a vita con facoltà di scelta del proprio successore. Si pone come punto di equilibrio tra i diversi centri di potere spagnoli: grande proprietà fondiaria, forze armate, la Falange (= movimento politico di ispirazione fascista), chiesa cattolica. Nel 1953 l’alleanza tra regime e chiesa viene rafforzato da un concordato con la Santa Sede che dichiara la religione cattolica “l’unica religione del popolo spagnolo” e riconosce allo stato una certa influenza nella scelta dei vescovi. Negli anni ’50 e ’60 la crescita economica e la modernizzazione del paese sono accompagnati da una progressiva crisi del franchismo. Fattore scatenante è l’azione terroristica dell’ETA: gruppo che rivendica l’indipendenza delle province basche e che nel 1973 uccide il primo ministro Luis Carraro Blanco. Nel 1975 con la morte di Franco va al potere il nipote di Alfonso XIII Juan Carlos di Borbone che Franco aveva designato come suo erede: il giovane re apre la strada alle democrazia legalizzando i partiti e indicendo libere elezioni. Portogallo Nel 1949 il forte anticomunismo di Salazar lo spinge a far entrare il Portogallo nella NATO, pur praticando in generale una politica isolazionista. Convinto colonialista, Salazar continua a considerare territorio portoghese anche i territori d'oltremare benché tutto il resto dell'Europa stia progressivamente lasciando l'Africa. La morte di Salazar nel 1970 non comporta sostanziali evoluzioni del governo, guidato dal successore Marcelo Caetano. La situazione porta a un malcontento generale, in particolare nelle classi sociali meno agiate e all'interno delle forze armate che sono alla guida nel 1974 di un colpo di stato denominato “rivoluzione dei garofani”. Dopo un periodo teso e contrastato anche questo paese vedrà la democrazia. Grecia Dopo la liberazione, la Grecia diventa il teatro di una guerra civile fra la destra e la sinistra (Comunisti), la prima sostenuta dal Regno Unito e dagli Stati Uniti, la seconda dall'URSS. Nel 1947 il Partito comunista viene messo fuori legge con conseguente attivazione di un movimento di guerriglia che prolunga la guerra civile sino al 1949. I governi conservatori non riescono a dare una duratura stabilità al paese e nel 1967 il colonnello Georgios Papadopoulos (1919-1999) con un colpo di stato rovescia il governo, sospende la Costituzione e fa arrestare i principali leader delle opposizioni di sinistra. Le ripercussioni di una crisi aperta nel 1974 a seguito dell’invasione turca dell’isola di Cipro, obbligano i colonnelli a convocare nuove elezioni che vengono vinte dal partito conservatore di Konstandinos Karamanlis. Turchia In relazione alla sua posizione cruciale tra Europa, Unione Sovietica e Medio Oriente, la Turchia conserva una stretta neutralità nel conflitto mondiale e si oppone, nel dopoguerra, alle richieste sovietiche di controllo internazionale sugli Stretti del Mar Nero. Solo nel 1950 il predominio del Partito repubblicano del popolo fondato da Ataturk viene interrotto dal Partito democratico. Il paese stenta a trovare una stabilità politica e in più occasioni i militari assumono il potere con forme non democratiche. Per la prima volta dopo decenni negli anni ’60 si sviluppano nel paese formazioni politiche di matrice islamica. Il Giappone dalla tutela americana al miracolo economico Nel 1945 con la firma dell’armistizio con le truppe alleate il Giappone viene posto sotto il governo del Supreme Command of the Allied Power (SCAP) guidato dal generale americano Douglas MacArthur che adotta da subito una serie di scelte: • viene garantita una continuità di governo: vengono confermati imperatore, burocrati e polizie mentre vengono epurati gli alti gradi dell’esercito ritenuti responsabili della guerra e della degenerazione autoritaria del Giappone • vengono liberati i prigionieri di guerra, restaurati i diritti civili e sindacali, restituita legalità al partito comunista • viene cancellata l’adesione obbligatoria al culto dell’imperatore come figura divina • viene varata una nuova Costituzione sul modello americano • vengono rafforzati i sindacati che aumentano gli iscritti in modo esponenziale • Sull’esempio di Norimberga, anche a Tokyo viene insediato un tribunale militare internazionale che nel 1948 condanna a morte imputati per crimini di guerra. Nel clima della guerra fredda, gli Stati Uniti sviluppano una politica di aiuti economici per portare l’ex nemico nella sfera di influenza occidentale e farne, come l’Europa, un nuovo mercato per i prodotti americani, con particolare riferimento alle eccedenze agricole. Gli Stati Uniti rinunciano ai propri crediti di guerra e posizionano basi militari sul territorio giapponese vietando qualsiasi altra installazione militare. Nelle elezioni del 1946-1947 il Partito socialista diventa il primo partito, ma la maggioranza viene attribuita al Partito liberale e al Partito democratico che formano un coalizione di governo sostenuta anche dai socialisti. Il peso dei comunisti è marginale. Nelle successive elezioni del 1949 il Partito liberale e quello democratico ottengono la maggioranza assoluta, estromettendo dal governo il Partito socialista e inaugurando così una fase di stabilità governativa che durerà sino agli anni ’90. A Poznan uno sciopero operaio si trasforma in una rivolta che viene dominata dalla polizia con morti e feriti. Il movimento si diffonde nelle università e trova come obiettivo la richiesta di reintegro nel partito di Gomulka vittima delle purghe staliniste. Preoccupata da una possibili scissione della Polonia dal Patto di Varsavia, l’Unione Sovietica di Kruscev evita l’avvio di un conflitto attraverso l’Armata Rossa e avvalla la nomina di Gomulka a segretario del partito: il compromesso viene raggiunto sulla base di un rafforzamento dell’alleanza con l’URSS ma anche sulla possibilità di una “via polacca” al socialismo fondata sulla proprietà privata in agricoltura, sulla libertà religiosa nonché sulla democratizzazione del partito. Nel 1968 l’emerge dell’ala “tecnocratica” del partito porta ad un irrigidimento repressivo del mondo intellettuale. La crisi del regime è segnata dalla discesa in campo degli operai: Gomulka viene sostituito da Gierek alla guida del paese. Ungheria Da tempo a Budapest il partito è diviso tra il segretario Matyas Rakosi, fedele a Stalin e un opposizione interna guidata da Imre Nagy. Nell’ottobre 1955, a seguito di manifestazioni di piazza di studenti e lavoratori, Nagy viene nominato primo ministro che impone al governo il ritorno al pluripartitismo e l’uscita dal Patto di Varsavia. Ritenendo inaccettabili tali rivendicazioni, l’Armata Rossa attuò una dura repressione con centinaia di morti nonché arresta e condanna a morte Nagy e i suoi ministri. Romania Nicolae Ceausescu rifiuta in più occasioni la sottomissione del paese alle scelte economiche e militari di Mosca, difendendo la sovranità e l’autonomia della Romania. Le delusioni in politica estera e l’insoddisfazione per un aumento della produttività non legata ad uno sviluppo dei consumi privati, determinano nell’ ottobre 1964 la rimozione di Kruscev che viene sostituito da Leonid Breznev. La restaurazione brezneviana A seguito del cambio al vertice emerge gradualmente la supremazia di Leonid Breznev che chiude la stagione del disgelo. Egli attuò la repressione di ogni forma di dissenso, in economia varò una riforma che offriva maggiore autonomia alle imprese ma poneva sotto il controllo del potere centrale i singoli settori produttivi. La debolezza del proprio modello di sviluppo obbliga il Cremlino ad una rigida intransigenza contro ogni forma di instabilità: • “Primavera di Praga” del 1968 • nel 1969 si registra scontro di frontiera con la Cina • 1979 invasione Afghanistan, che si rivela una catastrofe: le truppe sovietiche restarono immobilizzate per anni dall’efficace guerriglia afgana e si arresero nel 1989 • Nel 1977 una nuova costituzione aveva ribadito il primato del partito unico nello Stato, mentre si intensificavano le persecuzioni contro i dissidenti Il nuovo leader, il giovane Alexander Dubcek é protagonista dal gennaio 1968 della cosiddetta “primavera di Praga”. Pur essendo saldamente diretto dal partito Comunista che conferma l’indissolubile appartenenza al Patto di Varsavia il programma riformatore prevede un nuovo modello di socialismo “dal volto umano” fondato su: • separazione tra partito e stato e autonomia della nazionalità ceca e slovacca • abolizione della censura e libertà di critica sindacale e giovanile Dubcek ha l’appoggio di Tito (Jugoslavia) e Ceausescu (Romania). E’ proprio questo appoggio e il conseguente timore di una nuova leadership alternativa al Cremlino che convincono Breznev il 21 agosto 1968 a portare le truppe del Patto di Varsavia in Cecoslovacchia. Dubcek decide di opporsi in modo non violento proclamando uno sciopero generale. Dopo mesi di negoziati, nell’aprile 1969 viene costituito un nuovo governo con a capo Gustav Husak. Dubcek viene espulso dal partito e il paese sottoposto a massicce epurazioni. LA REPUBBLICA POPOLARE CINESE Proclamata nel 1949, la Repubblica popolare cinese è retta da un consiglio amministrativo popolare centrale presieduto da Mao Zedong. Il primo impegno del governo di Mao è la riforma agraria che cambia radicalmente il volto della Cina: metà delle terre coltivate viene distribuito a milioni di contadini. In Cina il nuovo regime segna l’uscita dalla povertà per milioni di contadini: • nelle campagne viene adottata una politica di modernizzazione graduale che evita i rigori della collettivizzazione forzata attuata a suo tempo da Stalin; • i ceti più poveri vengono impiegati per la realizzazione di opere pubbliche • la scolarizzazione di base riceve un forte impulso • ai generi di prima necessità viene imposto un prezzo politico. Per la prima volta nella storia cinese viene eletta a suffragio universale un’assemblea nazionale incaricata a redigere una Costituzione con una nuova forma dello stato: una repubblica presidenziale con parlamento monocamerale e architettura dello stato sovietico a partito unico. I nuovi assetti istituzionali avvicinano la Cina di Mao all’URSS con la quale nel 1950 viene firmato un patto trentennale di mutua assistenza mentre la partecipazione alla guerra di Corea e l’invasione in Tibet determinano evidenti ostilità di Stati Uniti e ONU. L’avvio del primo piano quinquennale nel 1953 che prevede uno sviluppo dell’industria pesante sancisce l’allineamento della Cina al mondo sovietico. D’altra parte con l’avvio della destalinizzazione dell’Unione Sovietica, molti cinesi iniziano ad opporsi al Partito Comunista e a metterne in discussione la leadership. Questo inizialmente viene tollerato e addirittura incoraggiato da Mao, poiché si pensava che la critica costruttiva sarebbe stata di beneficio al Partito. Dopo pochi mesi però il governo iniziò una battaglia contro il nazionalismo. Nel 1958 Mao lancia il "Grande balzo in avanti" ovvero un piano inteso come modello alternativo per la crescita economica che contraddice il modello sovietico basato sull'industria pesante. In base a questo programma economico • viene collettivizzata l'agricoltura cinese • viene incentivata la piccola industria rurale a base collettivista l'intenzione era di compiere una rapidissima industrializzazione del paese convertendo i contadini in operai. Nel mezzo del grande balzo l’URSS ritira il supporto tecnico sovietico non condividendo le idee economiche di Mao. Il grande balzo finisce nel 1960, dopo che la scarsità di generi alimentari mette in ginocchio l’intera Cina. Il grande balzo è unanimemente riconosciuto come una politica disastrosa che causò la morte di milioni di persone, falciate non solo dalla fame, ma anche dalle operazioni militari poste in essere dell'esercito per controllare le ribellioni (30 milioni di persone). A seguito di questi fallimenti, i membri del Partito Comunista capeggiati dai Liu Shaoqi e Deng Xiaoping, decidono che Mao doveva essere privato del potere. Come reazione alla perdita di potere politico, Mao lancia nel 1966 la Rivoluzione Culturale, nella quale la gerarchia comunista viene scavalcata e il potere viene affidato direttamente alle Guardie Rosse, gruppi di giovani, spesso adolescenti, autorizzati a formare propri tribunali. La rivoluzione porta il paese nel caos e nell’incertezza, alla distruzione di molto del patrimonio culturale cinese (migliaia di antichi monumenti, ritenuti -a torto- retaggio della "borghesia") nonché all'imprigionamento di un gran numero di dissidenti. La Rivoluzione Culturale ha un grande impatto sulla Cina, ma Mao, che temeva la degenerazione del movimento, chiude questa stagione nell'aprile del 1969, durante il IX congresso del Partito Comunista Cinese (anche se la storia ufficiale della Repubblica Popolare Cinese ne indica la fine nel 1976, alla morte di Mao). In questo periodo Mao sceglie il ministro della difesa Lin Biao come suo successore, ma questi nel 1971 muore in un incidente aereo mentre tenta di fuggire dopo aver tentato di uccidere Mao attraverso un colpo di stato militare. Ormai stanco e malato, Mao inizia una politica di avvicinamento all'Occidente che ha come risultati l'ingresso della Cina nell'ONU (1971) e la visita ufficiale nel 1972 del presidente Richard Nixon a Pechino. La stabilizzazione della guerra fredda e la guerra di Corea La vittoria di Mao Zedong in Cina e la protezione che l’URSS concede agli stati “fratelli” sono il presupposto del conflitto che scoppia in Corea nel 1950, che era stata divisa in due zone delimitate dal 38° parallelo: a nord il regime comunista della repubblica democratica popolare di Corea, a sud quello autoritario e filoamericano delle Repubblica di Corea. Il 25 giugno 1950 l’esercito nordcoreano attraversa il 38° parallelo e conquista quasi per intero il sud del paese. Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU autorizza pertanto l’azione americana contro gli aggressori che viene organizzata e gestita quasi per intero dagli Stati Uniti, guidati da Douglas MacArthur. La guerra si rivelò inutile perchè non viene modificata la situazione coreana ma si contano ben 2,5 milioni tra morti e feriti.. Le conseguenze furono: • il riarmo americano e l’ostilità americana nei confronti dei comunisti per la minaccia nel Pacifico • rafforzamento dei legami militari fra gli Usa e gli alleati asiatici ed europei. Il 1956 Alla fine del 1956 esplode la questione del canale si Suez. Fin dal 1948 la regione del Medio Oriente è stata riorganizzata su indicazione dell’ONU per far posto al nuovo stato di Israele (su pressione dell’opinione pubblica mondiale consapevole che la tragedia della shoah era stata determinata anche dall’assenza di uno stato ebraico). Nel 1948-1948 i paesi arabi confinanti – ovvero Egitto, Giordania, Siria, Iraq e Libano – soggetti a limitazioni territoriali vedevano come un sopruso la nascita di Israele e attaccano Israele che riesce comunque ad avere la meglio. Inoltre, in Israele fu consolidato un regime democratico parlamentare inusuale nel mondo arabo. In Egitto nel 1952 si instaura un regime militare nazionalista guidato dal colonnello Gamal Abd el- Nasser il quale, dopo aver ricevuto il rifiuto alla collaborazione militare da parte degli USA che nell’area intrattenevano rapporti privilegiati con Israele, allaccia relazioni con il blocco orientale offrendo all’URSS una insperata testa di ponte in una regione dove non aveva alcuna influenza. Nel luglio 1956 l’Egitto annuncia la nazionalizzazione del canale di Suez, ancora controllato dalle truppe britanniche • su pressione di Parigi e Londra, alla fine dell’ottobre 1956 Israele attacca le truppe egiziane; gli Stai Uniti presentano all’assemblea dell’ONU una risoluzione che chiedeva il ritiro degli aggressori • nel dicembre 1956 i “caschi blu” occupano la frontiera tra Egitto e Israele garantendo così il cessate il fuoco. Per Londra e Parigi è uno smacco cocente. Alla fine degli anni ’50 il massiccio ingresso di paesi ex coloni nell’ONU – a seguito del processo a livello mondiale di decolonizzazione – pone fine all’incontrastata egemonia degli Stati Uniti dando vita ad una nuova maggioranza eterogenea più vicina all’Unione Sovietica. La crisi di Berlino e Cuba Dalla metà degli anni ’50 USA e URSS incrementando la quota di bilancio dedicata a mantenere l’equilibrio del terrore atomico. L’equilibrio bipolare trova un nuovo sfidante nella Cina popolare: • la crisi del 1956 apre un conflitto ideologico, causato da rivalità statuali e divergenze politico- ideologiche, tra URSS e Cina, con Mao Zedong contrario alla riabilitazione di Tito e alla politica di coesione pacifica delineata da Kruscev. • la Cina appoggiava i movimenti rivoluzionari e si poneva come guida dei paesi in via di sviluppo contro l’imperialismo politica estera aggressiva che la porta ad invadere il Tibet e a bombardare le isole del canale di Formosa. • nel 1959 l’Unione Sovietica interrompe la collaborazione nucleare con Pechino e ritira i suoi tecnici L’emergere di una potenza antagonista all’interno della propria sfera di influenza spinge l’URSS ad un atteggiamento più intransigente. Se la Cina rappresenta la spina nel fianco del colosso sovietico, emerge un elemento destabilizzante anche alla periferia dell’impero statunitense rappresentato da Cuba: la Casa Bianca era riuscita a mantenere i regimi populisti dell’America latina nell’ambito di un rigido anticomunismo. Nel 1959 la rivoluzione di Castro a Cuba mette gli USA davanti a un’alternativa: sostenere gli esuli anticastristi o il nuovo regime, sicuramente il più avanzato dell’America latina. Eisenhower sceglie la prima strada. • Castro cerca protezione nell’URSS che invia a Cuba un massiccio prestito finanziario • Washington reagisce proclamando l’embargo delle importazioni di zucchero cubano e autorizzando un fallimentare sbarco sull’isola di “volontari” anticastristi addestrati dai servizi segreti nella Baia dei porci • Kennedy muterà strategia varando un piano di aiuti economici per tutti i paesi dell’America latina, Cuba esclusa, sul modello del piano Marshall • Nel 1962 il patto di assistenza tra Castro e Kruscev viene esteso al piano militare con l’installazione di basi missilistiche nell’isola; Kennedy ordina il blocco delle navi dirette a Cuba con forniture militari a bordo • La crisi viene risolta nel ’63 con un compromesso: le basi missilistiche sull’isola sarebbero state smantellate e gli Stati Uniti avrebbero riconosciuto l’indipendenza di Cuba e ritirato i propri missili da Turchia e Italia. Inoltre, Usa e Urss firmarono un trattato per la messa al bando degli esperimenti nucleari nell’atmosfera. Il mondo era imprigionato in un “equilibrio del terrore”: • nell’aprile 1961, sfruttando il fallimento dell’invasione statunitense a Cuba, Kruscev riapre la questione di Berlino con l’intento di affidarne il pieno controllo alla Repubblica democratica tedesca • Kennedy si reca personalmente a Berlino per difendere il principio del libero accesso alla città • La contromossa sovietica è immediata: nell’agosto 1961 viene costruito un muro che taglia in due la città • Promuove lo sviluppo economico del paese e una maggiore giustizia sociale; Attua una riforma agraria Filippine: E’ il primo paese asiatico a raggiungere l’indipendenza nel secondo dopo guerra: nel 1946 viene proclamata la repubblica. Assieme al Giappone postbellico le Filippine sono il laboratorio della strategia di imperialismo “informale” attuato nel Pacifico dagli Stati Uniti. Contro questa indipendenza a “sovranità limitata” si sviluppa una movimento di guerriglia comunista che mantiene un clima di continua conflittualità senza tuttavia mutare gli equilibri politici delle Filippine. Birmania: Sotto il controllo inglese, la nazione si trasforma in una repubblica indipendente. Diversamente della maggior parte delle altre ex colonie britanniche, la Birmania non diventa membro del Commonwealth. Indonesia: Nell’Indonesia di Sukarno, che con la resa giapponese si è proclamata indipendente, il compito di restaurare il dominio coloniale dell’Olanda viene assunto dalla truppe anglo-australiane. Anche qui il movimento indipendentista è guidato dai comunisti. Nel 1949 il consiglio di sicurezza dell’ONU ordina la cessazione delle ostilità: l’Olanda riconosce l’indipendenza dell’Indonesia ma questo non arresta né i movimenti di guerriglia né l’instabilità del paese dove Sukarno edifica un regime autoritario. Il Medio Oriente e la nascita d’Israele Nel Medio Oriente la guerra accresce la forza del movimento panarabo cui le potenze coloniali dominanti – Francia e Gran Bretagna – hanno rinnovato promesse di indipendenza in cambio dell’appoggio bellico contro la Germania. La II guerra mondiale accelerò il processo di emancipazione, costringendo le potenze europee a concedere l’indipendenza: • Nel ’32 la GBR riconobbe l’indipendenza dell’Iraq e nel ’46 quella della Transgiordania; in Iran il contenzioso con la Gran Bretagna aperto dal primo ministro Mohammed Mossadeq per la nazionalizzazione delle risorse petrolifere del paese si risolve nel 1953 mediante un golpe militare promosso con il sostegno degli Stati Uniti da Resa Pahlavi che mantiene l’Iran nell’orbita occidentale sino al 1979. • La Francia ritirò le truppe dalla Siria e dal Libano • In Egitto (formalmente indipendente dalla GBR) colpo di stato porta al potere il colonnello Nasser. In politica estera guidò i paesi arabi nella lotta contro Israele, nel 1956 nazionalizzò il canale di Suez, dove francesi e inglesi avevano forti interessi • Egitto, Transgiordania, Iraq, Libano, Arabia Saudita e Yemen formarono nel ’45 la Lega degli Stati arabi. • In Libia, nel 1969, una rivoluzione portò al potere il colonnello Gheddafi, che cercò di creare un “socialismo islamico” e, sul piano internazionale, una politica che avrebbe alimentato le tensioni nell’area meridionale. A metà degli anni ’50 il processo di decolonizzazione aveva dato vita a una serie di nuovo stati “indipendenti” (Libano, Siria, Transgiordania, Libia, Egitto e poi Marocco e Tunisia), la cui sovranità è comunque limitata dalla divisione del mondo in blocchi contrapposti. A più riprese i paesi arabi tentano di far seguire all’indipendenza la costruzione di alleanze sovranazionali che tuttavia non reggono. Molto più solido è il cartello formato nel 1960 dai paesi produttori di petrolio – l’OPEC – e comprendente Venezuela, Iran, Iraq, Arabia Saudita, Kuwait, Qatar, Libia, Indonesia, Emirati Arabi, Algeria, Nigeria, Ecuador e Gabon. Il petrolio porta in Medio Oriente il punto più caldo del conflitto tra i due blocchi. Altra contrapposizione è quella tra Israele e monto arabo che lo sentiva come un corpo estraneo imposto dall’occidente: forte del deciso appoggio statunitense, Israele ignora le risoluzioni dell’ONU che lo invitano a ritirarsi dai territori occupati e l’umiliante sconfitta subita alimenta la volontà di rivincita dei paesi arabi e la lotta del popolo palestinese si radicalizza prendendo nel 1968 la via del terrorismo. L’ultimo paese arabo a uscire dal dominio coloniale è l’Algeria contraddistinta come il Vietnam da una forte presenza dei coloni francesi. La guerra contro il governo coloniale inizia nel 1954 con la fondazione del Fronte di liberazione nazionale. Nel 1962 viene raggiunto con De Gaulle un accordo e un referendum sancisce l’indipendenza dell’Algeria. L’indipendenza tuttavia non risolve i problemi del paese. Ne scaturisce un autoritario regime monopartitico che investe le risorse finanziare garantite dalle esportazioni di petrolio nella scolarizzazione di base e in un generale innalzamento del livello di vita. L’emancipazione dell’Africa nera Nell’Africa sub sahariana l’indipendenza viene conquistata solo dopo la metà degli anni ’50, generalmente in forme meno traumatiche; le eccezioni più rilevanti sono il Kenya e il Congo. Le élite locali post-coloniali si sono rese protagoniste di un processo di modernizzazione sui modelli occidentali che solo in parte si è appoggiato a dinamiche partecipative delle rispettive società civili. In gran parte dei nuovi paesi “indipendenti” vengono mantenute come lingue ufficiali il francese e l’inglese. La debolezza dei nuovi stati africani favorisce due fenomeni: • Una rapida involuzione autoritaria, dettata da ben 30 colpi di stato militari dal 1963 al 1979. La stabilità politica appare pertanto mal compatibile con il pluripartitismo che si traduce spesso in una forma di rappresentanza etica e religiosa e quindi veicolo di eversione all’unità nazionale. • La persistenza, non sempre sotterranea o pacifica, di forme neocoloniali di subordinazione e sfruttamento: nel 1961 i diversi volti del neocolonialismo vengono denunciati dalla terza conferenza panafricana al Cairo. • La dipendenza dei mercati e dei capitali internazionali condiziona così lo sviluppo dei paesi africani Nell’Africa australe, infine, l’indipendenza dalla Gran Bretagna del Sudafrica (1961) e della Rhodesia del sud (1965) viene proclamata dalle minoranze bianche dei due paesi allo scopo di preservare il potere. In particolare in Sudafrica la vittoria del partito nazionalista del 1948 inaugura un lungo predominio e negli anni ’50 perfeziona con una serie di leggi il regime dell’apartheid segregando milioni di neri. Alle proteste e alle rivolte dei movimenti di opposizione a maggioranza nera il regime risponde inasprendo la repressione. Il più forte di tali movimenti, l’African National congress viene messo fuori legge e il suo maggior esponente Nelson Mandela viene messo in carcere dove vi rimane fino al 1990. Il regime bianco della Rhodesia (l’attuale Zimbabwe) resiste sino alla fine degli anni ’70 alla guerriglia promossa dai due movimenti neri di opposizione. Dipendenza economica e instabilità politica in America Latina I paesi dell’America latina non hanno problemi di decolonizzazione ma di dipendenza economica dagli interessi stranieri (soprattutto Stati Uniti) che li relega nella posizione di paesi esportatori di materie prime e importatori di prodotti finiti. I regimi populisti promuovono così lo sviluppo industriale, il miglioramento dei salari e lo sviluppo dei diritti sociali ma senza attaccare il potere delle grandi aristocrazie fondiarie, sintomo della fisionomia conservatrice dei regimi. Nel 1954 un golpe orchestrato dai servizi segreti statunitensi rovescia il presidente guatemalteco Guzmàn il cui programma di riforma agraria minaccia gli interessi della multinazionale “United Fruit”. Crescono pertanto colpi di stato militari che riportano l’ordine in paesi paralizzati, abbattendo governi riformisti per sostituirli con governi conservatori o instaurare dittature reazionarie: l’instabilità politica dell’America centrale e meridionale si caratterizzò nell’oscillazione tra liberismo, populismo e autoritarismo. Un elemento di novità viene introdotto dalla rivoluzione castrista a Cuba: • Nel 1952 il generale Batista pone fine con un golpe all’esperimento populista del presidente Grau San Martin. Il nuovo regime stringe un patto di assistenza militare con gli Stati Uniti e torna ad un modello di sviluppo subordinato agli interessi americani • Contro il nuovo regime si sviluppa un movimento di guerriglia guidato da un giovane avvocato Fidel Castro che - forte dell’appoggio delle masse rurali che sostengono il suo programma centrato su riforma agraria, lotta all’analfabetismo, alla disoccupazione e all’imperialismo – nel 1959 costringe alla fuga il dittatore • Malgrado Castro chiarisca in più occasione agli Stati Uniti che la sua rivoluzione non è “comunista” ma “umanitaria”, gli Stati Uniti gli negano ogni sostegno economico: Cuba trova pertanto un accordo con l’Unione Sovietica per la vendita dello zucchero in cambio di crediti finanziari • Nel 1962, dopo un fallito tentativo di sbarco nella Baia dei Porci dagli esuli anticastristi appoggiati dagli Stati Uniti, Castro opta ufficialmente per il socialismo e non aderisce ad un programma di investimenti pubblici voluto da Kennedy per i paesi latinoamericani • La guerra fredda condiziona le scelte del regime castrista che accentua una politica repressiva e poliziesca riservando all’esercito un ruolo rilevante • Nel 1975 Castro vara un costituzione che lascia ampia autonomia alle amministrazioni locali; a cavallo tra gli anni ’70 e ’80 il paese è protagonista di una significativa crescita economica. La vittoria delle guerriglia castrista affascina i movimenti rivoluzionari latinoamericani; simbolo di questi moti rivoluzionari è la figura di Ernesto “Che” Guevara (1920-1967), medico argentino già compagno d’armi di Castro. Lo stesso “Che” muore in uno scontro con le truppe boliviane. Ad eccezione del Nicaragua, nel resto dell’America latina la guerriglia rimane minoritaria e svolge un ruolo di destabilizzazione. Negli anni ’60 e ’70 la reazione al populismo, alla crescita di orientamenti socialisti e all’instabilità ha come protagoniste le forze armate che raggiungono il potere attraverso colpi di stato con l’appoggio diretto o indiretto degli Stati Uniti: • in Brasile nel 1964 un golpe instaura un regime militare ventennale, parzialmente liberalizzato solo nel 1974 • in Argentina dopo il dittatore Peròn due colpi di stato nel 1962 e nel 1966 portano al potere in mano alle forze armate • in Perù, Bolivia, Ecuador i militari costruiscono regimi progressisti ispirati a una sorta di nazionalismo sociale • in Cile il governo eletto democraticamente nel 1970 e presieduto dal leader di sinistra Salvator Allende viene rovesciato dopo tre anni da un golpe militare guidato da Augusto Pinochet con l’appoggio, dimostrati anni dopo, della CIA. L’ITALIA REPUBBLICANA. DAL DOPOGUERRA AGLI ANNI SETTANTA La nascita della repubblica Nel 1945 l’Italia si presenta profondamente divisa: un meridione fortemente legato alla monarchia con una presenza frammentata dei partiti antifascisti e un nord dove la lotta partigiana aveva conferito una incisiva autorità delle forze del CLN con, al tempo stesso, una paura per un governo di sinistra alla luce delle violenze ai danni di ex fascisti. I partiti presenti nell’immediato dopo guerra sono: • il Partito Comunista d’Italia diretto da Palmiro Togliatti ribattezzato nel 1943 Partito comunista italiano (PCI) • il Partito socialista guidato da Pietro Nenni prende il nome di Partito socialista italiano di unità proletaria (PSIUP) • la Democrazia Cristiana (DC) con Alcide De Gasperi • il Partito d’azione (PDA) nato nel 1942 dalla convergenza tra movimento liberalsocialista e quello di giustizia e libertà di Federico Parri Nel 1944 viene ricostruito a Roma un sindacato unitario (CGIL). Nel sud cresce il movimento dell’Uomo qualunque (di qui il termine “qualunquismo”) guidato dal commediografo Guglielmo Giannini basato sul rifiuto della politica, dello stato e delle tasse. Nel giugno 1945, sotto la parola d’ordine “tutto il potere ai CLN” e malgrado questa soluzione fosse malvista dagli alleati timorosi di uno spostamento a sinistra con possibile trascinamento dell’Italia nell’orbita sovietica, viene formato il governo Parri ostacolato nella sua azione dalla divisione tra i partiti, dalle resistenze angloamericane e dalla disorganizzazione della macchina statale. Nel novembre 1945, dissidi sulla data delle prime elezioni politiche, provocano la caduta del governo Parri e la nascita del governo De Gasperi che offre migliori garanzie di mantenere l’Italia sotto l’influenza occidentale. In questi anni il movimento contadino si organizza in scioperi ed occupazioni per l’assegnazione del latifondo e per l’ottenimento di più eque condizioni di lavoro. L’opposizione dei grandi proprietari è accanita e violenta: guerra di classe per la trasformazione dei rapporti di potere all’interno della società. Il 2 giugno 1946 si tengono un referendum istituzionale e le elezione per l’Assemblea costituente: • la repubblica vince di misura (12 milioni contro 10) e larghe fette del mezzogiorno esprimono in modo schiacciante maggioranze monarchiche • la DC è il primo partito (35%) seguita da PSIUP (20%) e PCI (18%); il Partito d’azione subisce una pesante sconfitta che ne decreta lo scioglimento. I Primi anni della repubblica sono dominati da una ideologia liberista che ha il suo più autorevole esponente in Luigi Einaudi, prima governatore della Banca d’Italia, poi nel 1947 ministro del Bilancio e infine Presidente della Repubblica. La Costituzione entrata in vigore nel 1948 prevede nuovi strumenti per: • il controllo della legittimità delle leggi (la Corte costituzionale) • il decentramento amministrativo (le Regioni: istituite da subito quelle a statuto speciale come Sardegna, Sicilia, Valle d’Aosta, Trentino Alto Adige) Il motivo di unità per i partiti antifascisti determinato dai lavori dell’Assemblea costituente entra in crisi con il mutare della situazione internazionale e con l’avvio della guerra fredda. L’Italia aderisce pienamente al sistema di alleanze diplomatiche e militari dell’Occidente, partecipa al Piano Marshall e nel 1949 viene ufficializzato l’ingresso nella NATO. Questo asse privilegiato implicava l’esclusione delle sinistre filosovietiche dal governo del paese. De Gasperi attua pertanto un graduale distacco dalle forze di sinistra e stringe alleanze coi partiti laici minori: repubblicani, liberali e i socialdemocratici di Giuseppe Saragat (1898-1988) che proprio nel 1947 si distacca dal PSIUP la cui maggioranza rimane con Nenni nel nuovo PSI. Nasce così un nuovo LA SVOLTA Golden Age Tra il 1945 e il 1973 la Golden Age incrementa la prosperità del mondo occidentale grazie alla liberalizzazione degli scambi internazionali che interrompe un secolo di barriere doganali e nazionalismo economico. • la globalizzazione del sistema monetario porta ad una instabilità che afferma nuovamente protezionismi internazionali • una nuova generazione di giovani si rivolta contro consumismo e società del benessere All’interno di questa fasi di crisi nascono nuovi processi di trasformazione: • le contestazioni del 1968 portano alla ribalta le donne sulla scena pubblica • muovono i primi passi tecnologie informatiche destinate a cambiare vita quotidiana e lavoro • la “deindustrializzazione” dell’occidente avvia un nuovo processo di industrializzazione in Asia e America latina A livello politico: • le dittature dell’Europa mediterranea e del Sudamerica scompaiono una dopo l’altra • nel 1989-91 la disgregazione dell’URSS e dei paesi dell’Est europeo porta al crollo del comunismo, alla fine della guerra fredda e del sistema bipolare. La baby boom generation e il Settantotto Mentre la generazione della prima guerra mondiale è stata inghiottita dal nuovo conflitto, la “baby boom generation” del 1945-50 cresce nella prosperità senza precedente della Golden Age. Lo sviluppo della società dei consumi non si traduce nel mero soddisfacimento di bisogni materiali ma • si sviluppa una cultura giovanile incentrata sulla musica e su alcuni miti musicali come Beatles, Rolling Stones, Bob Dylan • si affermano stili di vita anticonformisti radicalmente critici nei confronti delle vecchie generazioni In occidente l’epicentro di questo protagonismo giovanile sono le università investite da una scolarizzazione di massa. Le rivendicazione studentesche hanno alla base il rifiuto nelle gerarchie, dell’autoritarismo e del puritanesimo della società adulta e sfociano nelle grande mobilitazione del 1968 il cui tema centrale è la liberalizzazione di costumi sessuali. Nonostante alcune differenze, i movimenti giovanili degli anni ’60 hanno un carattere globale che ne costituisce il tratto di fondo. Negli Stati Uniti dove il movimento si affaccia per la prima volta alla ribalta esso segna dure lotte contro la segregazione razziale e la guerra del Vietnam. Più in generale la rivolta giovanile contro la rigidità bipolare imposta dalla guerra fredda viene sintetizzata in occidente dall’opposizione alla guerra in Vietnam e nel blocco sovietico nella lotta contro l’autoritarismo dei regimi comunisti. L’ideologia più diffusa è quella denominata “terzomondismo” consistente nel sostegno ai popoli asiatici, africani e latinoamericani oppressi dall’egemonia delle due superpotenze che è tra i suoi simboli il presidente nordvietnamita Ho Chi Minh e il guerrigliere Ernesto “Che” Guevara. • nel 1965 il ghetto nero di Watts a Los Angeles è protagonista della rivolta più violenta del dopoguerra e nei due anni successivi sono decine le città degli Stati Uniti teatro di ribellioni delle popolazioni di colore • tra il 1966 e il 1969 gli studenti cinesi vengono mobilitati da Mao Zedong nella “rivoluzione culturale”: nonostante il loro impatto devastante nella vita economica cinese, la “guardie rosse” diventano un simbolo per i movimenti occidentali • nell’aprile 1968 l’assassinio di Martin Luther King scatena una violenta ribellione nei ghetti di oltre 100 città degli Stati Uniti e nei campus universitari • nel maggio 1968 Parigi è sconvolta dal “maggio francese”: l’irruzione nelle aule della Sorbona da parte della polizia e la sua successiva chiusura porta la rivolta nelle strade della capitale dove si registrano numerosi scontri tra studenti e polizia (gli slogan sono “vietato vietare”, “tutto è possibile”, “siate realisti, chiedete l’impossibile”, “l’immaginazione al potere”) • per l’intera estate Città del Messico è teatro di scontri tra dimostranti e polizia che culminano nell’ottobre 1968 con il massacro di Piazza delle Tre culture dove vengono uccisi oltre 400 studenti. Con il finire del 1968 il movimento si esaurisce nelle l’università torna a poco a poco la calma. Il sessantotto produce trasformazioni profonde nella mentalità e nei costumi: tendenza alla democratizzazione della società, affermazione dei diritti civili e umani, accettazioni delle differenze (di razza, nazionalità, ecc..). I movimenti femministi e i diritti delle donne Gli anni ’60 e ’70 segnano una svolta importante anche nella collocazione del ruolo delle donne all’interno della società. Negli anni del primo conflitto mondiale le donne a partire dal 1918 acquisiscono il diritto di voto in molte nazioni. Tuttavia, solo dopo il 1945 i diritti politici diventano pieni con l’acquisizione dell’elettorato passivo (eleggibilità). L’ondata di movimenti femministi che si sviluppa negli anni ’60 pone in primo piano i diritti sociali e civili delle donne. Premesso che: • la seconda guerra mondiale coincide con l’acquisizione dei diritti politici delle donne ma non segna una svolta netta sulla strada dell’emancipazione femminile • negli anni ’40 e ’50 si afferma un modello tradizionalista che vede la donna in quanto moglie e madre il femminismo degli anni ’60 critica radicalmente quella che viene definita la “mistica della femminilità”: è il titolo di un libro pubblicato nel 1963 da Betty Friedan che esprime in modo chiaro e plateale la profonda insoddisfazione delle donne di classe media rispetto a un ideale che la racchiudeva entro le mura domestiche frustandone le ambizioni di affermazione personale e di carriera. La stessa Friedan nel 1966 è tra le fondatrici della National Organization of Women che si batte per le riforme legislative per l’uguaglianza tra uomini e donne e per la fine della discriminazione tra i sessi. Negli anni ’70, con l’introduzione del concetto di “differenza sessuale”, la tematica dell’uguaglianza viene rifondata a partire non più dalla semplice esistenza di due diversi soggetti (uomini e donne) ma dal riconoscimento e dalla valorizzazione delle differenze di cui ognuno di essi è portatore. Gli effetti della “rivoluzione femminile” travalicano ampiamente gli stessi movimenti tant’è che: • in Italia nel vengono introdotti il matrimonio civile e il divorzio, nel 1977 una legge afferma la parità di trattamento fra uomini e donne sul luogo di lavoro, nel 1978 viene approvata una legge sull’aborto poi ratificata da un referendum del 1981; • l’ONU nel 1975 vota un’importante dichiarazione contro la discriminazione Negli anni ’90 viene ridefinita la stessa nozione di “diritti umani” includendovi i diritti delle donne e l’uguaglianza tra i generi: in particolare gli organismi internazionali sono spinti a far luce sulla realtà dei diritti umani delle donne - molte spesso vittime di oppressioni religiose, abusi e violenze dentro e fuori la famiglia – e i governi invitati a porre fine ad ogni forma di discriminazione. Instabilità internazionale, stagflazione e innovazione tecnologica Nel 1970 al deficit nella bilancia dei pagamenti si aggiunge un forte deficit commerciale: gli Stati Uniti importano più merci di quante ne esportano. La sospensione della convertibilità del dollaro (dal 1971), la sua forte svalutazione e l’adozione di politiche protezionistiche segnano un netto ridimensionamento del ruolo di nazione guida svolto dagli Stati Uniti. In questa fase di debolezza, l’Ostpolitik (= ovvero la politica della distensione con i paesi orientali) promossa dal cancelliere tedesco Brandt viene “subita” dalla casa Bianca che fa buon viso a cattivo gioco cercando di ricollocarsi a livello internazionale: • nel maggio 1972 Nixon conclude un trattato con Mosca che congela gli arsenali nucleari per 5 anni • nel febbraio 1972 una visita ufficiale di Nixon “normalizza” la relazioni diplomatiche con la Cina In contrasto a questi episodi di distensione, nell’ottobre 1973 scoppia la Guerra del Kippur scatenata dal successore di Nasser alla Guida dell’Egitto, il colonnello Anwar al-Sadat, per vendicare la sconfitta del 1967 con Israele. Il conflitto nasce al culmine di una involuzione che vedono: • L’instaurazione di regimi militari in diversi paesi arabi: Gheddafi in Libia, Nimeyri in Sudan, Assad in Libia e Saddam Hussein in Iraq • L’insorgere di azioni terroristiche L’esercito israeliano viene colto di sorpresa mentre l’insieme dei paesi arabi decretano il blocco delle forniture di petrolio all’occidente. In poche settimane il contrattacco israeliano porta ad accordo per il cessate il fuoco con il ripristino dei confini antecedenti al 1967. Nel settembre 1978 con la pace di Camp David firmata da Sadat (Egitto) e Menahem Begin (Israele) per la prima volta un paese arabo riconosce il diritto di Israele a esistere lasciando tuttavia irrisolti i problemi legati ad uno stato palestinese. L’Egitto viene così espulso dalla Lega dei paesi arabi e nel 1981 Sadat viene ucciso in un attentato organizzato dagli estremisti islamici. Nel 1973 al fine di danneggiare l’economia dei paesi filoisraeliani il prezzo del petrolio viene quadruplicato. I superprofitti realizzati dai paesi arabi non avviano però significativi progressi socioeconomici e l’economia mondiale entra in una recessione prolungata: il petrolio diventa un bene prezioso soggetto addirittura a razionamento. La stagnazione delle economie occidentali - determinata soprattutto dall’aumento del prezzo del petrolio - accompagnata da una forte inflazione determina una congiuntura inedita e rovinosa che prende il nome di “stagflazione”. Epicentro della crisi sono gli Stati Uniti già vulnerabili sotto il profilo politico duramente messo in discussione della crisi Watergate. La “stagflazione” determina tre fenomeni: • Produce disoccupazione in tutto l’occidente con conseguenti nuovo conflitti sociali e scioperi • L’inflazione abbassa il prezzo reale delle materie prime (compreso il petrolio) con conseguente crisi delle economie dei paesi più poveri ed allargamento della forbice tra nord e sud del mondo • Sviluppo del terziario con particolare riferimento alla crescita dalla “società dell’informazione” (carta stampata, tv, radio, telefonia, pubblicità) e alla nascita della “rivoluzione informatica” (nel 1975 viene messo in commercio negli Stati Uniti il primo personal computer pc); il processo di terziarizzazione delle economie più avanzata del pianeta è accompagnato dalla fenomeno di delocalizzazione dei posti di lavoro industriali nelle aree più povere e con manodopera meno costosa. In questa difficile situazione economica nel novembre 1975 viene convocato a Rambouillet vicino a Parigi un incontro senza precedenti alla presenza dei capi dei governo delle sei maggiori potenze occidentali (Statu Uniti, Germania, Francia, Gran Bretagna, Italia e Giappone): è la nascita del G6. L’iniziativa presa da Germania e Francia raccoglie da subito il favore del successore di Nixon alla presidenza degli Stati Uniti, Gerald Ford. Il vertice si risolve con un nulla di fatto testimoniando, in questo modo, le divergenze dei diversi capitalismi nazionali. LA RIPRESA DELL’OCCIDENTE Un mondo instabile A cavallo tra gli anni ’70 e ’80, Stati Uniti e Gran Bretagna avviano un apolitica neoliberista e la liberalizzazione dei mercati favorisce lo sviluppo di piccoli paesi del sudest asiatico che si specializzano nell’esportazione di prodotti finiti a basso costo (giocattoli, elettrodomestici, computer, …). A livello internazionale il quadro degli anni ’70 è particolarmente complesso: • in Cile il governo viene rovesciato da Augusto Pinochet con l’appoggio, dimostrati anni dopo, della CIA. • nel 1979 in Nicaragua la dinastia dei Somoza (al poter con metodi violenti dal 1936) cade ad opera del Fronte sandinista (dal nome del rivoluzionario Sandino): la nuova Giunta avvia riforme della scuola, della sanità e delle politiche agrarie • Grecia, Portogallo e Spagna escono dai rispettivi regimi dittatoriali e rimangono ancorate nell’orbita filoamericana • in Angola, Mozambico e Etiopia vengono insediate giunte militare filosovietiche • in Iran nel 1979 Ruhollah Khomeini instaura una “repubblica islamica” fondata sui precetti del Corano. Khomeini si dimostra estraneo alla logica dei blocchi e, anche per bloccare sul nascere un possibile contagio della rivoluzione iraniana ai propri confini, nel 1979 l’URSS invade l’Afghanistan. La spedizione è un disastro e dopo 9 anni nel 1988 Mosca si ritira. Il neoliberismo di Stati Uniti e Gran Bretagna Nel corso degli anni ’70 gli Usa attraversarono un periodo di incertezza politica ed economica, a causa della crisi del dollaro, dei costi della guerra in Vietnam, ma anche per la crisi interna provocata dal caso Watergate, in cui il presidente Nixon fu costretto a dimettersi poiché accusato di aver coperto azioni illegali di alcuni suoi collaboratori, responsabili di spionaggio ai danni del Partito democratico. Carter divenne capo dello Stato e adottò una politica di tipo wilsoniano, che contribuì a peggiorare i rapporti con l’Urss e a creare regimi ostili all’Usa in Africa e America Latina. Nel novembre 1980 viene eletto il candidato repubblicano, ex governatore della California, Ronald Reagan che: • Porta alla riscossa l’orgoglio nazionale • Vara una nuova politica economica fondata su un forte ridimensionamento del ruolo economico dello stato attraverso la riduzione delle tasse sui redditi d’impresa e un rilancio delle spese militari per fronteggiare il nemico sovietico • Rinvigorisce un elemento della tradizione del paese: la paura del nemico, identificato nel comunismo Reagan si dimostra da subito come un uomo forte imponendo il licenziamento di massa dei protagonisti di uno sciopero non autorizzato. Nel 1979 l’idea di un rilancio delle spontanee forze naturali dell’economia capitalistica portano per la prima volta nella storia britannica una donna a rivestire la carica di primo ministro, il leader conservatore Margaret Thatcher. La sua azione di governo: • lotta nei confronti delle potenti organizzazioni sindacali che vengono sconfitte tra il 1979 e il 1985 dopo lunghi scioperi ed estenuanti trattative • disimpegno dello stato nel settore produttivo mediante la privatizzazione di molte industrie, trasporti, telefonia In Rhodesia tra il 1976 e il 1978 la mediazione di Stati Uniti e Gran Bretagna porta ad una trattativa tra maggioranza nera e minoranza bianca a seguito della quale viene concesso il diritto di voto alla popolazione di colore e nel 1980 viene costituita da repubblica di Zimbabwe. In Sudafrica il regime conferma e manifesta le proprie scelte autoritarie. Nel 1979 il nuovo primo Frederik De Klerk avvia trattative con i rappresentanti della popolazione nera, nel 1990 Nelson Mandela viene scarcerato e nel 1994 si svolgono le prime elezioni paritarie tra bianchi e neri che assegnano la maggioranza al partito di Mandela portandolo così alla presidenza della repubblica. Asia Gli anni ’80 vedono la crescita di nuovi poli di sviluppo dell’economia mondiale, il primo tra tutto è rappresentato dal Giappone protagonista di un fortissimo sviluppo industriale grazie a due fattori: piena occupazione ed esportazioni. Si inizia a parlare di “modello giapponese” del capitalismo fondato sull’attaccamento alla nazione a alla propria azienda. La “locomotiva” giapponese favorisce la crescita di altri piccoli paesi quali Honk Kong, Singapore, Taiwan e Corea del sud che vengono definiti “tigri” o “dragoni” asiatici o, più semplicemente, NICS (New Industrialized Countries, paesi di recente industrializzazione). La chiave del successo di questi paesi è la produzione industriale di manufatti destinati all’esportazione su scala mondiale + il basso costo della forza lavoro. Fondamentale è il ruolo dello stato che promuove un efficiente sistema di istruzione capace di “sfornare” un numero di laureati vicino a quello occidentale, reprimere la libertà sindacale e fornire sostegni e sussidi alle esportazioni. Le “tigri” asiatiche incarnano un nuovo modello di “capitalismo senza democrazia” in contrasto con il compromesso occidentale tra libero mercato e democrazia, conquistando crescenti successi grazie a un basso costo della forza lavoro ottenuto con la cancellazione dei diritti sindacali. Questa contraddizione tra sviluppo e libertà è emblematica in Cina dove il gruppo dirigente pur essendo fortemente intenzionato a liberalizzare il mercato non cede di un millimetro sul terreno della democrazia. Nella seconda parte degli anni ’80 il modello di “capitalismo senza democrazia” contagia altri paesi dell’area asiatica come Malesia, Thailandia, Indonesia, Birmania e Vietnam. Il caso italiano A metà degli anni ’80 la situazione italiana appare più complessa rispetto agli paesi dell’occidente capitalistico. Si assiste a un dilagare della violenza politica e a un ricorso sistematico all’indebitamento pubblico. Nel 1977 le università sono in rivolta anche a seguito della crescente disoccupazione giovanile. La consapevolezza dell’emergenza e la volontà di costituire un governo di “solidarietà nazionale” con l’obiettivo di stroncare il terrorismo, portano nel marzo 1978 all’ingresso del PCI nella maggioranza parlamentare a sostegno del nuovo governo guidato da Giulio Andreotti. Il giorno della presentazione del nuovo governo – il 16 marzo 1979 – Moro viene rapito e poi ucciso – il 9 maggio 1979 – dalle Brigate Rosse. Con questa impresa, che evidenzia le debolezze dello stato e dei servizi segreti, il terrorismo è all’apice della sua parabola. Sul piano politico l’inclusione del PCI nella maggioranza di governo ha breve durata: già nel novembre 1980 Berlinguer dichiara esaurita la fase di solidarietà nazionale dando atto del fallimento di una strategia di alleanza con la DC. La mancanza di alternanza al governo blocca il ricambio di personale politico all’interno dei partiti e assegna la gestione del potere a gruppi inamovibili; questo favorisce lo svilupparsi di fenomeni di corruzione, scandali e inchieste giudiziarie: • la gestione clientelare dei fondi per la ricostruzione dell’Irpinia dopo il terremoto del 1980 • nel 1980 l’emergere di una loggia massonica segreta denominata “P2” volta a spostare a destra l’asse politico del paese. Il PCI torna così al suo ruolo di oppositore mentre la DC continua a governare indebolita però dagli scandali. Il segretario del PSI (del 1976) Bettino Craxi approfitta di questa situazione facendo perdere, per la prima volta dal dopoguerra, la guida dell’esecutivo alla DC: dopo due governi guidati dal repubblicano Spadolini, nel 1936 si costituisce un governo Craxi con una maggioranza di pentapartito (DC,PSI,PRI,PLI,PSDI). Uno dei primi obiettivi del governo, come già nel mondo anglosassone, è il movimento sindacale: nel 1984 Craxi, isolando la corrente comunista della CGIL, taglia 3 punti della “scala mobile” (meccanismo di adeguamento automatico dei salari al costo della vita). Contro questo provvedimento il PCI promuove manifestazioni, battaglie in parlamento e un referendum abrogativo che non riesce a portare al voto il 50% degli elettori. Il ridimensionamento del potere sindacale non è seguito da alcun disegno organico di riduzione del peso dello stato nell’economia; al contrario l’incidenza della spesa pubblica sale a livelli eccezionali. Di fatto il modello modernizzatore del PSI si traduce in una mera fotocopia dei metodi di governo della DC; si riproducono fenomeni di clientelismo, inefficienza e parassitismo dell’amministrazione pubblica. Gli investimenti pubblici nelle aree depresse risultano poco trasparenti favorendo interessi privati e, talvolta, la criminalità organizzata. Nel Mezzogiorno riprende vigore la mafia. Il traffico della droga, le attività nelle opere pubbliche e nelle speculazioni edilizie ridanno vigore alla malavita organizzata che è così in grado di condizionare il potere politico centrale (camorra napoletana, mafia siciliana, ‘ndrangheta calabrese e “sacra corona unita” pugliese) Il paese è attraversato da processi di trasformazione della base industriale che vedono il definitivo declino del comparto siderurgico e lo sviluppo di piccole e medie imprese specializzate nel settore dell’industria leggera. Per indicare queste realtà i sociologi parlano di “terza Italia” in opposizione di quelle razionali costituite dal polo industriale nordoccidentale e dal Mezzogiorno. Per tutti gli anni ’80 la situazione del paese appare stabilite e la maggioranza degli italiani non ha percezione della possibilità di un drastico cambiamento • i titoli di stato elargiscono rendite vantaggiose • il servizio sanitario fornisce servizi scadenti, soprattutto al sud, ma gratuiti e per tutti • le pensioni sono basse ma garantite • il lavoro autonomo e la piccola impresa possono eludere il fisco con facilità • un economia “in nero” integra i redditi delle famiglie I risultati elettorali confermano questa illusoria stabilità premiando con parsimonia il PSI, determinando un lentissimo declino della DC e del PCI. L’intera impalcatura del sistema politico e di potere entra in crisi: • un nuovo partito, la Lega Nord, conquista sempre più consenso in base ad un programma politico volutamente autonomista rispetto allo stato centrale • nel 1991, sotto la guida di Achille Occhetto, il PCI cambia il proprio nome in PDS dividendosi con l’alta più estrema che fonda il Partito della Rifondazione Comunista • l’intero ceto politico viene “decapitato” da tangentopoli (Craxi si rifugia in Tunisia per sfuggire ai mandati di arresto e Andreotti è accusato di collusione con la mafia). LA FINE DEL COMUNISMO Il blocco sovietico da Breznev a Gorbacev Negli anni ’70 la crisi sovietica è evidente con Breznev. L’economia sovietica entra in uno stato di stagnazione e rapida obsolescenza a causa di più aspetti, quali, la centralizzazione, la burocrazia, i vincoli amministrativi, i controlli politici, la corruzione e i privilegi della nomenklatura (è lo stesso Breznev ad assegnare ruoli di potere a persone a lui legate per parentela, amicizia o interessi). La distanza tra partito e società si accentua fortemente insieme alle disuguaglianze sociali ed economiche. Convinto dell’indebolimento degli Stati Uniti a seguito della sconfitta maturata nel Vietnam e in relazione agli scandali che coinvolgono Nixon nel Watergate, Breznev pensa di poter modificare a proprio vantaggio l’equilibrio delle due superpotenze e sviluppa una politica di “mondializzazione” mediante una presenza più estesa e incisiva in Medio Oriente e in Africa. A metà degli anni ’70, con l’acuirsi della crisi quale conseguenza di un debito estero sempre più grande e di una crescita dei salari superiore a quella della produttività, in Polonia crescono manifestazioni di protesta e nel 1979 nasce una nuova opposizione che riunisce operai e intellettuali in un sindacato autonomo Solidarnosc (che rivendica il diritto a libere associazioni sindacali inoltre la già forte influenza della chiesa cattolica viene rafforzata nel 1978 dall’elezione al soglio pontificio dell’arcivescovo di Cracovia Karol Woytila da subito impegnato contro la repressione della libertà religiosa nei paesi dell’est). Di fronte ad una crescita di consenso di Solidarnosc, che contagia parte della base e dei dirigenti del partito comunista, il governo assume una posizione sempre più intransigente. Anche al fine di scongiurare un intervento militare sovietico nel dicembre 1981 il generale Wojciech Jaruzelski dichiara lo stato di guerra, chiude Solidarnosc e fa arrestare il suo leader Lech Walesa. In Cecoslovacchia gli anni ’70 sono anni di crisi: nel 1977 nasce un movimento chiamato Charta 77 con l’intento di difendere i cittadini che hanno il coraggio di esprimere liberamente le proprie idee. I dirigenti del movimento vengono arrestati. In Romania il dispotico regime di Ceausescu tenta di conquistare consensi sulla base di una maggiore autonomia e indipendenza dall’URSS. Solo in Ungheria il regime persegue una politica di caute riforme economiche e moderata tolleranza. Una nuova potente spinta al mutamento avviene nel 1985 con la nomina di Michail Gorbaciov a segretario generale del PCUS. Gorbacev, la riforma impossibile e la fine dell’URSS Gorbacev e una parte della dirigenza sovietica sono convinti della necessità di profonde riforme per far uscire l’URSS dalla crisi in cui è caduta, ma è proprio all’interno della sfera dirigenziale che vengono le più forti resistenze a ogni trasformazione che possa indebolire il loro ruolo. Le parole chiave della riforma sono due: • perestrojka (=ristrutturazione): rivitalizzare l’economia per favorire la nascita di un mercato libero ed autonomo • glasnost (=trasparenza): interruzione della spirale di menzogne esistenti tra potere e società ; maggiore libertà di espressione Gorbaciov, pur incontrando un crescente prestigio internazionale e nella società, trova molti ostacoli all’interno dell’URSS, primo tra tutti ovviamente la nomenklatura. Per Gorbaciov la ripresa della distensione e l’uscita dalla spirale del disarmo è, per certi aspetti, una scelta obbligata. Consapevole della debolezza sovietica, gli Stati Uniti raccolgono questi segnali che sono accompagnati da altri gesti di “buona volontà” da parte sovietica come l’allentamento del sistema repressivo interno e soprattutto il ritiro dall’Afghanistan nel 1989. Più in generale la scelta di Gorbaciov è forzare le tappe di un disimpegno dell’URSS dal suo ruolo imperiale: nel 1988 dalla tribune delle Nazioni Unite annuncia il ritiro delle forze armate sovietiche dai paesi del Patto di Varsavia. I conflitti nazionali sono il più pericoloso e inatteso elemento di tensione innescato dalla glasnost. Nell’URSS è sempre prevalsa una tendenza russo-centrica nei confronti delle diverse nazionalità/ repubbliche. Gli spazi di libertà e informazione introdotti da Gorbaciov fanno esplodere tensioni per lungo tempo accumulate e tenute represse lotta per l’autonomia si trasforma in lotta per l’indipendenza. Nel 1989 le elezioni consegnano una vasta maggioranza ai riformatori e nel marzo 1990 il Congresso elegge Gorbaciov presidente dell’Unione Sovietica. Le misure di liberalizzazione attuate negli anni precedenti creano confusione e disorganizzazione e non ottengono nel breve periodo i risultati sperati. La crisi fu determinata dal fallimento del tentativo di Gorbaciov di avviare un processo di parziale liberalizzazione aprendo limitati spazi di pluralismo nel sistema sovietico e nei rapporti con i paesi satelliti. Negli anni 1988-1989 le elezioni in Lituania, Estonia, Lettonia sono vinte dalle forze separatiste; nel 1990 il parlamento della Lituania proclama l’indipendenza, seguito a breve da quello di Estonia e Lettonia. Mosca risponde da subito con un blocco economico. Nei primi mesi del 1991 si inasprisce lo scontro tra riformatori e conservatori così come crescono scioperi e proteste della popolazione. Nel giugno 1991, con una votazione per la prima volta a suffragio universale, Boris Eltsin viene eletto presidente della Repubblica russa. Il crollo del comunismo nell’Europa orientale Il progredire della crisi economica e la diminuzione degli aiuti sovietici inducono un parte della dirigenza comunista dei paesi dell’est a guardare con più attenzione all’occidente. Polonia Si intensificano i contatti tra il governo di Jaruzelski e l’opposizione di Solidarnosc (grazie anche al contributo di due viaggi in Polonia di Papa Giovanni XXIII). A giugno 1989 si svolgono elezioni libere che portano al governo Solidarnosc mentre Jaruzelski viene eletto presidente della repubblica. La Polonia si dà una Costituzione provvisoria di tipo presidenzialistico. Il partito comunista si trasforma in un partito socialdemocratico mentre si moltiplicano nuove formazioni politiche. Ungheria Una nuova generazione di riformatori interna al partito e dei sindacati liberi già del 1985 avvia contestazioni nei confronti di Kadar. Sul finire degli anni ’80 viene resa più libera l’informazione, vengono abolite le restrizioni sui viaggi e viene concessa la nascita di associazioni politiche indipendenti. Nel 1989 il governo stringe un accordo economico con la CEE operando un decisa scelta a favore del mercato. Nel 1990 si svolgono le prime elezioni libere, vinte dai democratici. Cecoslovacchia La repressione delle opposizioni continua senza tregua tant’è che nel 1987 Gorbaciov riscuote un enorme successo popolare. Nel 1988 nelle piazze riprendono le manifestazioni che inneggiano a: • Dubcek – leader della primavera di Praga • Havel – intellettuale di maggior spicco di Charta 77 Nel novembre 1989 viene costituito un governo di unità nazionale a maggioranza non comunista: Dubcek viene nominato presidente del parlamento mentre Havel presidente della repubblica. Bulgaria Anche qui la fuoriuscita dal comunismo avviene in modo indolore. Romania Il regime di Ceausescu continua a reprime durante ogni forma di dissenso. Nel dicembre 1989 in Transilvania si hanno le prime manifestazioni e proteste. Alla vigilia di Natale Ceausescu viene arrestato Sotto il profilo dell’offerta e della produzione l’accesso alle nuove tecnologie è ristretto a poche compagnie private. Più che le industrie produttrici di hardware (=macchine) questo fenomeno interessa maggiormente le industrie produttrici di software (=sistemi operativi tramite i quali le macchine funzionano). La maggiore di tali industrie è la Microsoft di Bill Gates. All’alba del nuovo millennio la rivoluzione informatica si ferma al nord del mondo senza diffondersi nei paesi in via di sviluppo. Le crisi finanziarie A metà degli anni ’90 si assiste a una grande ripresa della finanza americana mediante l’investimento di una mole enorme di risorse nella cosiddetta new economy connessa all’informatica, alle telecomunicazioni, alle reti telematiche e al commercio elettronico. Questa ripresa finanziaria rilancia gli Stati Uniti sui mercati internazionali. Sempre negli anni ’90 il Giappone viene colpito da una recessione provocata dal crollo dei prezzi e degli investimenti; ne deriva una crisi profonda e duratura del modello giapponese di capitalismo. Contribuiscono all’affermarsi di questa crisi il forte ruolo dello stato nell’economia che incoraggia fenomeni di corruzione; la mancata alternanza alla guida del paese. Questa crisi si trasmette rapidamente ad altre economie dell’area asiatica e una forte incertezza inizia a dilagare sui mercati internazionali. In poche settimane crollano le monete di Brasile, Corea del Sud, Indonesia e Russia. Il fondo monetario internazionale, che sino a quel momento non aveva preso in seria considerazione quella evidente bolla speculativa, interviene con prestiti d’emergenza. Anche il neonato sistema europeo nel 1992-1993 viene abbandonato da sterlina e lira prese di mira di un forte attacco speculativo in relazione all’effettiva debolezza contingente delle economie di Gran Bretagna e Italia. Nel 1994-1995 la moneta del Messico, nel giro di pochi giorni, perde metà del proprio valore e viene salvata grazie all’intervento degli Stati Uniti, preoccupati da un possibile effetto contagio. Il governo del Partito rivoluzionario istituzionale (al governo ininterrottamente dal 1929) affronta il malcontento delle popolazione con metodi repressivi tant’è che nel 2001, al termine di una lunga marcia, l’Armata zapatista dalla regione montagnosa del Chiapas entra in Città del Messico e costringe il governo a trattare per risolvere il problema degli Indios contadini facenti parte della zona più povera del Messico. Nei primi mesi del 2002 anche l’Argentina viene colpita da fallimento di numerose banche e gravi disordini nell’intero paese. Le nuove guerre A differenza della Guerra del Golfo che stante la questione petrolio mette da subito in movimento del grandi potenze, riscuote minor interesse la questione jugoslava. Nel 1991 viene proclamata l’indipendenza di Slovenia e Croazia. La repubblica serba guidata da Slobodan Milosevic punta a raccogliere l’eredità della Jugoslavia mediante la creazione della “Grande Serbia”; l’azione armata del governo serbo di Belgrado non riesce tuttavia ad ostacolare l’indipendenza di Slovenia (1991) e Croazia (1995). Dopo il referendum del 1992 che sancisce l’indipendenza di Bosnia ed Erzegovina, sino al 1995 la repubblica è sconvolta da una guerra sanguinosa che, per la prima volta dopo il 1945, riporta nel cuore dell’Europa lo spettro della pulizia etnica con deportazioni, massacri, stupri e violenze. Concluso il conflitto in Bosnia ed Erzegovina, l’attenzione di Milosevic si sposta in Kosovo dove le tensioni tra la maggioranza di etnia albanese e la minoranza serba si inasprirono. Nel 1999 il dilagare delle violenze e lo spostamento forzato di centinaia di migliaia di persone determinano un intervento della NATO nella forma di bombardamenti sulla Serbia e sulla capitale Belgrado. La guerra si conclude con il temporaneo passaggio del Kosovo sotto l’amministrazione dell’ONU. Milosevic nel 2000 viene sconfitto alle elezioni presidenziali dall’opposizione socialdemocratica guidata da Vojislav Kostunica e nel 2001 viene arrestato e sottoposto al giudizio del Tribunale internazionale per i crimini di guerra. Dopo l’intervento in Libano nel 1982 si moltiplicano due tipologie di missioni da parte dell’ONU: • peace enforcing ovvero imposizione di cessate il fuoco e creazione di corridoi neutrali per gli aiuti umanitari ai civili • peace keeping ovvero mantenimento della pace attraverso forze di interposizione sul terreno degli scontri. Significative le situazioni di conflitto che vedono in Africa l’intervento dell’ONU: • Somalia. L’intervento di peace enforcing delle Nazioni Unite deciso nel 1992 si risolve in un clamoroso insuccesso: ritiro del contingente internazionale e il prolungarsi del conflitto fino ai primi anni 2000. • Ruanda-Burundi. I colonizzatori belgi e tedeschi attivano e poi sfruttano una rivalità tra i pastori tutsi e i coltivatori hutu che erano vissuti in pace per secoli prima del loro arrivo; ne segue un processo di “etnicizzazione” dei due gruppi e ne conseguono anni di conflitti che culminano nell’aprile-maggio 1994 in un genocidio tutsi. Benché sollecitato dagli osservatori internazionali, l’intervento delle nazioni Uniti avviene solo nell’estate 1994, rinviato a lungo dal veto degli Stati Uniti. La guerra centroafricana dimostrano le contraddizioni della politica estera americana, contraria all’adozione di un codice permanente degli interventi umanitari che vincolasse la propria sovranità decisionale. 11 settembre 2011 A metà degli anni ’90 l’Autorità nazionale palestinese insediatasi nei territori occupati da Israele si trova in uno stato di minorità. Inoltre l’esclusione all’accesso alle risorse naturali (l’acqua in primis), la dipendenza dall’economia israeliana e soprattutto la prosecuzione dell’insediamento di coloni israeliani sul territorio palestinese, indeboliscono fortemente la credibilità dalla componente laica e moderata palestinese guidata da Arafat, principale responsabile del processo di pace. Tra i palestinesi cresce pertanto il movimento islamico e integralista di Hamas che si oppone all’OLP e non riconosce lo stato di Israele. Si organizzano e si strutturano anche le forze integraliste israeliane. • nel 1995 un giovane di estrema destra uccide Rabin aprendo una crisi di leadership nel partito laburista e spostando così a destra l’opinione pubblica • le elezioni del 1996 portano nuovamente al governo i Likud e il processo di pace entra in un lungo periodo di crisi: Hamas intensifica i propri attacchi terroristici e la situazione politica israeliana si presenta alquanto incerta • nel 1999 le nuove elezione vengono vinte dai laburisti e il nuovo primo ministro Ehud Barak risponde positivamente alle pressioni americane per la conclusione del processo di pace • nel 2000 gli incontri di Camp David portano Arafat e Barak, sollecitati da Clinton, a un passo dall’accordo ma entrambi sono troppo deboli rispetto alle proprie opposizioni interne tant’è che, alla fine del 2000, l’offensiva terroristica di Hamas riprende in grande stile mentre il governo israeliano torna in mano alla destra capeggiata da Ariel Sharon intenzionato a risolvere le questioni ancora aperte con la forza. Dietro questa nuova involuzione c’è l’emergere nella regione di un nuovo soggetto religioso e politico il fondamentalismo islamico. Il fenomeno non riguarda solo la Palestina ma l’intero mondo musulmano; paradossalmente in Iran, dopo la morte di Khomeini nel 1989, si afferma un area laica e moderata guidata da Muhammad Khatami. Oltre alla regione israeliano-palestinese, l’integralismo religioso si manifesta in altre zone del pianeta: • in India c’è l’ascesa del partito politico nazionalista hindu, il Bharatiya Janata Party che vince le elezioni nel 1998 con un programma di rilancio degli esperimenti nucleari a scopo bellico e della rivalità con il Pakistan per il controllo dal Kashmir • negli ’90 anche in Turchia vi è una crescita elettorale dei partiti islamici • nel 1988 in Algeria il malcontento generato dall’arretratezza del paese - che nel 1985 con la caduta del prezzo del petrolio aveva evidenziato tutti i suoi limiti – sfocia in violenti disordini e manifestazioni che vengono represse; nel 1989 il governo del FLN dà una nuova costituzione che garantisce il pluralismo politico ma, malgrado ciò, le masse popolari scontente delle modalità repressive del governo trovano il proprio sbocco di rinascita nel movimento a sfondo religioso “Fronte islamico di salvezza” (FIS) che vince le elezioni del 1992; consapevoli dell’intenzione di abolire costituzione e multipartitismo da parte dei fondamentalismi musulmani una volta al potere, il FLN attraverso un Alto comitato di stato invalida i risultati elettorali bloccando il processo di democratizzazione algerina; ne seguono anni di guerra civile, terrore e scontro aperto tra forza islamiche e governo. La comunità internazionale si disinteressa totalmente della questione algerina macchiandosi così di una gravissima omissione. • In Afghanistan dopo il ritiro dell’URSS nel 1989, i mujaheddin (“combattenti della guerra santa”) continuano a battersi contro il governo afgano; la vittoria nel 1994 dei talebani che, sostenuti dal Pakistan, instaurano un regime integralista basato sulla rigida applicazione della legge coranica; il regime di Kabul è isolat dalla comunità internazionale anche per l’accoglienza riservata allo sceicco saudita Osama Bin Laden ritenuto responsabile degli attacchi terroristici del 1998 alle ambasciate americane in Kenya e Tanzania. • L’11 settembre 2001 l’organizzazione di Bil Laden Al Qaeda compie un atto terroristico senza precedenti che, colpendo due luoghi simbolo degli Stati Uniti (World Trade Center e Pentagono), determina la morte di oltre 3.000 civili in territorio americano. Il nuovo presidente George W. Bush eletto di misura nel 2000 da vita alla coalizione diplomatica più ampia della storia e avvia un’azione militare in Afghanistan con la sola partecipazione di truppe britanniche. L’Europa degli anni novanta Nel 1992 i paesi della Comunità europea sottoscrivono un accordo che prevede la creazioni di una moneta unica entro il 1999. In leggero ritardo rispetto alle previsioni nel 2002 l’euro viene adottato da tutti i paesi dell’Europa occidentale ad eccezione della Gran Bretagna. Malgrado ciò, l’unità europea in campo militare e in politica estera è lontana, così come dimostrato nelle guerre degli anni ’90 e in quella contro l’Afghanistan nel 2001 dove emerge una capacità di manovra molto ridotta rispetto a quella degli Stati Uniti. Gran Bretagna Le rivalità interne al partito conservatore nel 1991 pongono fine al governo Thatcher che viene sostituito da un altro leader conservatore John Major che deve gestire una difficile congiuntura economica causa della svalutazione della sterlina che nel 1992 – come la lira italiana – deve uscire dal sistema monetario europeo. Nel 1997 il “New Labour” di Tony Blair vince largamente le elezioni: • il partito laburista si sposta verso il “centro” politico prendendo le distanze dai sindacati e ponendo tra le priorità la lotta alla criminalità organizzata • il governo compie passi significativi per la soluzione della questione della Scozia (al cui parlamento viene concessa ampia autonomia) e dell’Irlanda (viene raggiunto un accordo con l’IRA per l’abbandono della lotta violenta). Francia Nel 1995, dopo aver fallito per ben due volte contro socialista Mitterrand, il centro-destra neogollistra di Jacques Chirac viene eletto presidente dalla repubblica e tocca a lui nel 1997 nominare alla guida del governo il socialista Lionel Jospin che pone alle base della propria azione di governo la lotta alla disoccupazione anche mediante il ricorso alla leva dell’azione pubblica. Germania La Germania di Kohl registra negli anni ’80 grandi risultati economici e si rifiuta di adottare azioni neoliberiste sul modello angolo-americano. Con la caduta del muro Khol gioca subito la carta dell’immediata unificazione della Germania spiazzando il partito socialdemocratico e vincendo nettamente le elezioni del 1990. Ne 1996 l’annuncio di forti tagli da applicare alle spese sociali riaccende il conflitto sociale e nel 1998 il cancelliere viene battuto dal socialdemocratico Gerhard Schroeder. Italia Il collasso dei partiti di governo nella prima metà degli anni ’90 produce una crescita, anziché una diminuzione, del numero dei partiti che cercano di strutturarsi in un sistema politico bipolare. Nel 1994 la nuova formazione politica di Silvio Berlusconi denominata Forza Italia eredita gran parte di DC e PSI e conquista la maggioranza relativa dei voti dando vita ad una fragile coalizione di governo con Lega, eredi dell’MSI (ora Alleanza nazionale) ed ex DC. Non riuscendo a porre mano alla riforma delle pensioni e alla privatizzazione delle industrie di stato, il governo entra il crisi che – dopo un governo Dini di “transizione” – porta nel 1996 a nuove elezioni vinte da Romano Prodi. Il governo centra il difficile obiettivo di raggiungere i parametri necessari per entrare nella moneta unica. Quando Rifondazione comunista ritira l’appoggio al governo, Prodi viene sostituito prima da Massimo d’Alema e poi dall’ex socialista Giuliano Amato. A causa delle sue evidenti divisioni interni il centro- sinistra perde le elezioni del 2001 che riportano al governo Berlusconi. GLOBALIZZAZIONE E INEGUAGLIANZA Mobilità di merci e capitali Con la loro velocità di propagazione, le crisi finanziare degli anni ’90 mostrano il grado di interdipendenza delle economie nazionali. Gli interessi delle imprese globali non posso più essere rigidamente identificati: per esempio, i colossi dell’industria americana hanno stabilimenti in decine di altri paesi. In generale, le economie sviluppate si ritagliano la funzione di “teste pensanti” dell’economia mondiale accentrando funzioni strategiche, funzionali ed economiche e realizzando prodotti ad alto valore aggiunto, elevato contenuto tecnologico e scarso impiego di mano d’opera; viceversa le economia in via di sviluppo realizzano prodotti a basso valore aggiunto e alto contenuto di mano d’opera. Molte di tutte queste trasformazioni sono connesse alla rivoluzione informatica. I servizi più diversi sono disponibili da casa e questo processo implica una diminuzione dei rapporti interpersonali diretti con un certo isolamento degli individui. Mobilità di persone Si evidenzia l’incremento esponenziale e rapidissimo registrato tra il 1950 e il 1980 quando la popolazione mondiale passa da 2,50 a 4,50 miliardi di persone. E’ una svolta storica. La ragione principale di questo boom demografico è la veloce riduzione della mortalità dovuta alla diffusione della medicina moderna. Dal punto di vista geografico questo aumento demografico si concentra soprattutto nei paesi del “Terzo Mondo”: Africa, Asia e America Latina. Tale contraddizione investe l’intero continente africano mentre in Asia e in America latina si avvertano dei segnali di inversione di marcia: a partire dagli anni ’70 politiche attive di contenimento delle nascite. A partire dagli anni ’80 un drammatico riequilibratore di rapporto tra nascite e decessi è l’Aids che si concentra per il 90% nei paesi poveri. Malgrado questo fenomeno non si riduce la “forbice” demografica tra nord e sud del mondo e: • tra il 1980 e il 2000 nei paesi ricchi: calo delle nascite con relativo invecchiamento della popolazione
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