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Riassunto dal testo Abbagnano-Fornero di Kant, Sintesi del corso di Filosofia

Riassunto Critica della Ragion Pura,Critica della Ragion Pratica,Critica del Giudizio,Per la pace perpetua

Tipologia: Sintesi del corso

2018/2019

Caricato il 26/06/2019

francesco-derrico
francesco-derrico 🇮🇹

4.7

(20)

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Anteprima parziale del testo

Scarica Riassunto dal testo Abbagnano-Fornero di Kant e più Sintesi del corso in PDF di Filosofia solo su Docsity! Vita e Opere di Kant Immanuel (Königsberg, oggi Kaliningrad 1724-1804), filosofo tedesco, ritenuto da mol� studiosi il pensatore più influente dell'epoca moderna. Nato da genitori pie�s�, studiò presso il Collegium Fredericianum e frequentò poi l'università di Königsberg, dove seguì i corsi di fisica, logica e matema�ca. Dopo la morte del padre fu costre�o ad abbandonare la carriera accademica e si guadagnò da vivere come prece�ore privato. Nel 1755 conseguì la libera docenza e o�enne l'incarico di professore straordinario di matema�ca e filosofia nell'università di Königsberg; nei successivi quindici anni, partendo dalle posizioni do�rinali di Chris�an Wolff e di Go�ried Leibniz, Kant tenne dapprima lezioni di fisica e matema�ca, ampliando gradatamente il campo dei suoi interessi fino a coprire quasi tu� i rami della filosofia. Sebbene le lezioni accademiche e le opere scri�e durante questo periodo consolidassero la sua reputazione di filosofo, egli non o�enne una ca�edra all'università fino al 1770, anno in cui fu nominato professore ordinario di logica e metafisica. Durante i ven�se�e anni successivi proseguì l'a�vità di insegnamento accademico e a�rò a Königsberg numerosi studen�. Le sue opinioni in campo religioso, che si fondavano sul razionalismo piu�osto che sulla rivelazione, lo condussero al confli�o con il governo prussiano, e nel 1792 il re Federico Guglielmo II gli proibì di tenere lezioni pubbliche o scrivere intorno ad argomen� religiosi. Kant obbedì formalmente a quest'ordine per cinque anni, fino alla morte del sovrano; dopodiché si considerò libero da qualsiasi obbligo. Morì il 12 febbraio del 1804. Pensiero e Cri�cismo Il pensiero di Kant è detto Criticismo poiché contrapponendosi all’atteggiamento opposto del dogmatismo, fa della critica lo strumento per eccellenza della filosofia. Criticare significa giudicare, soppesare, ossia interrogarsi programmaticamente circa il fondamento di determinate esperienze umane, chiarendone: • Le possibilità • La validità • I limiti (quella di Kant è infatti definita la filosofia del limite) Il riconoscimento e l’accettazione del limite divengono la norma che legittima e dà fondamento alle varie facoltà umane. Il kantismo si distingue dall’Illuminismo per una maggiore radicalità d’intenti. Infatti se l’Illuminismo aveva portato davanti al tribunale della ragione l’intero mondo dell’uomo, Kant si propone di portare davanti al tribunale della ragione la ragione stessa, chiarendone in modo esauriente strutture e possibilità. LA CRITICA DELLA RAGION PURA La critica della ragion pura è un’analisi critica dei fondamenti del sapere. E poiché ai tempi di Kant, l’universo del sapere si articolava in scienza e metafisica, Kant prende in esame queste due attività conoscitive. Rispetto a quanto fatto da Hume, che aveva attaccato non solo i fondamenti ultimi della metafisica ma anche quelli della scienza, Kant respinge il suo scetticismo scientifico, accettandone però il suo scetticismo metafisico, seppur in una diversa prospettiva di fondo. Come detto, il punto di partenza è lo scetticismo radicale di Hume. Al filosofo scozzese Kant riconosce il merito di averlo svegliato dal suo torpore metafisico, mostrando come il principio di casualità, ovvero il fondamento della conoscenza, non ha alcuna base oggettiva, essendo piuttosto l’oggetto di una credenza soggettiva, a sua volta generata dall’istinto. In questo modo però Hume finì per arenarsi nel vicolo cieco di una conoscenza che, laddove è certa, non accresce il sapere e laddove lo accrescer, non è certa. Kant presuppone che la scienza abbia dei principi immutabili sui quali si regge: tali principi sono i giudizi sintetici a priori: • Giudizi poiché connettono un predicato con un soggetto • Sintetici poiché il predicato dice qualcosa di nuovo rispetto al soggetto • A priori poiché, essendo universali e necessari, non derivano dall’esperienza Quindi i giudizi della scienza, non possono essere né i giudizi analitici a priori (poiché il predicato non dice nulla di nuovo del soggetto) e i giudizi sintetici a posteriori (non universali, poiché poggiano sull’esperienza). Quindi Kant ritiene contro il razionalismo che la scienza deriva dall’esperienza, ma ritiene anche contro l’empirismo che vi siano principi inderivabili dell’esperienza stessa. Quindi: SCIENZA = ESPERIENZA + PRINCIPI SINTETICI A PRIORI La nuova impostazione del problema ella conoscenza implica importanti conseguenze. In primo luogo quella rivoluzione copernicana che Kant si vantò di aver operato in filosofia. Come Copernico, per spiegare i moti celesti, aveva ribaltato i rapporti tra lo spettatore e le stelle, e quindi tra la terra e il sole, allo stesso modo Kant ribalta i rapporti tra soggetto ed oggetto, affermando che non è la mente che si modella in modo passivo sulla realtà, ma la realtà che si modella sulle forme a priori attraverso cui la percepiamo. Questa teoria comporta anche la distinzione tra fenomeno e cosa in sé: • Il fenomeno è la realtà che ci appare tramite le forme a priori che sono proprie della nostra struttura conoscitiva • La cosa in sé è la realtà considerata indipendentemente da noi e dalle forme a priori mediante le quali la conosciamo Kant distingue poi tre facoltà conoscitive principali: • La sensibilità, la facoltà con cui gli oggetti ci sono dati intuitivamente attraverso i sensi e tramite le forme a priori dello spazio e del tempo • L’intelletto, la facoltà attraverso cui pensiamo i dati sensibili tramite i concetti puri o le categorie • La ragione, la facoltà con cui, procedendo oltre l’esperienza, cerchiamo di spiegare la realtà mediante le idee di anima, mondo, Dio. Su questa tripartizione, l’opera si biforca in due tronconi principali: • La dottrina degli elementi (la quali si ramifica a sua volta in estetica trascendentale e logica trascendentale) • La dottrina del metodo L’estetica trascendentale Nell’estetica trascendentale Kant studia la sensibilità e le sue forme a priori. Egli considera la sensibilità ricettiva in quanto non genera i propri contenuti accogliendoli per intuizione dall’esterno, ma anche attiva in quanto riesce ad organizzare il proprio materiale mediante le forme a priori dello spazio e del tempo, le forme a priori della sensibilità: • Lo spazio è la forma del senso esterno, cioè quella forma a priori che sta a fondamento di tutte le intuizioni esterne • Il tempo è la forma a priori del senso interno, cioè quella forma a priori che sta a fondamento di tutti i nostri stati interni quello della realtà ontologica, in quanto l’esistenza è solo un attributo che possiamo constatare per via empirica, e non dedurre per via puramente intellettiva. L’esistenza non è quindi un predicato, ma un fatto solo asseribile mediante l’esperienza. Quindi la prova ontologica è impossibile e contraddittoria: impossibile poiché vuol derivare un’idea da una realtà; contraddittoria poiché già nel concetto di Dio assume sottobanco quel che vuole dimostrare. Le altre due prove si rifanno alla prova ontologica, e quindi vengono da Kant criticate allo stesso modo. Si noti quindi come Kant, con queste critiche, non abbia voluto negare l’esistenza di Dio (ateismo) ma piuttosto mettere in discussione la dimostrabilità razionale della sua esistenza. Egli quindi valuta le idee anima, mondo e Dio come puri intenti nobili dell’animo che, non poggiando sull’esperienza, non possono essere dimostrate. Ecco come dunque Kant valuta al termine della Critica della ragion pura, a differenza della scienza, l’indimostrabilità della metafisica. LA CRITICA DELLA RAGION PRATICA Alla base della Critica della Ragion pratica si trova la convinzione che esista, scolpita nell’uomo, una legge morale a priori, valida per tutti e per sempre. Si tratta inoltre di una legge assoluta ed incondizionata; la teoria dell’assolutezza o incondizionatezza della legge morale implica due condizioni di fondo strettamente legate fra loro: la libertà d’agire (il primo presupposto della vita etica) autodeterminandosi al di là di ogni di ogni condizionamento, e la validità universale e necessaria della legge (ossia il fatto che la legge sia uguale a sé stessa in ogni luogo e in ogni tempo). La morale vive inoltre un’insopprimibile tensione tra ragione e sensibilità. Se l’uomo fosse esclusivamente sensibilità e impulsi, la morale non esisterebbe poiché l’uomo agirebbe solo sulla base dell’istinto. Così come, se l’uomo fosse solo ragione, la morale non avrebbe senso di esistere, in quanto l’individuo sarebbe in una condizione perenne di santità etica, ossia in una condizione di totale adeguamento alla legge stessa. Per Kant infatti la presunzione velleitaria di superare i limiti della condotta umana divenendo santi in terra non può essere di questo mondo (fanatismo morale). È quindi la bidimensionalità dell’essere umano a far sì che esista una lotta morale tra ragione e impulsi egoistici. La categoricità dell’imperativo morale Kant distingue i principi pratici , ossia le regole che disciplinano la nostra volontà, in massime ed imperativi: • La massima è una prescrizione soggettiva, ossia valida solo per l’individuo che la fa propria. • L’imperativo è una prescrizione oggettiva, ossia valida per chiunque Gli imperativi si dividono a loro volta in imperativi ipotetici e imperativi categorici. Gli imperativi ipotetici prescrivono dei mezzi in vista di determinati fini e hanno la forma del “se… devi...” (se vuoi conseguire buoni risultati devi impegnarti in modo costante). L’imperativo categorico assume i caratteri di un ordine incondizionato e la forma del “devi” punto e basta. È quest’ultimo imperativo ad assumere le caratteristiche della legge, ossia di un comando che vale in modo perentorio per tutte le persone e in ogni circostanza. Infatti Kant individua le cosiddette formule dell’imperativo categorico: • Prima formula dell’imperativo categorico: agisci in modo che la massima della tua volontà possa sempre valere nello stesso tempo come principio di una legislazione universale. Quindi Kant prescrive di tenere un comportamento che possa essere modello per l’intera umanità • Seconda formula dell’imperativo categorico: agisci in modo da trattare l’umanità, sia nella tua persona sia in quella di ogni altro, sempre anche come fine e mai semplicemente come mezzo. Quindi Kant invita al rispetto della dignità umana che è in noi come negli altri. • Terza formula dell’imperativo categorico: agisci in modo tale che la volontà, in base alla massima, possa considerare contemporaneamente sé stessa come universalmente legislatrice. Questa formula, ripetendo in parte la prima, sottolinea l’autonomia della volontà. La formalità della legge morale e “la rivoluzione copernicana” morale Una delle caratteristiche più importanti della legge è la sua formalità: la legge non ci dice che cosa dobbiamo fare, ma come dobbiamo farlo. Infatti, se la legge non fosse formale ma materiale (ossia prescriverebbe dei contenuti concreti), sarebbe vincolata ad essi, perdendo molto in termini di libertà ed universalità. Altra caratteristica è il carattere anti-utilitaristico della legge. Infatti se la legge prescrivesse di agire in vista di un utile o di uno scopo, comprometterebbe la libertà d’azione e ancora una volta la propria universalità/oggettività: bisogna attuare la legge morale solo per ossequio ad essa e non sotto la spinta dei vantaggi personali che possono scaturirne. Altra caratteristica della legge morale è il suo estremo rigorismo: Kant esclude dall’etica emozioni e sentimenti che inquinano la purezza della legge. In tale etica è ammissibile un solo sentimento: il rispetto per la legge, il dovere per il dovere, quindi l’obbedienza verso il puro dovere. Su questo puro si instaura anche la differenza kantiana tra legalità e moralità. La prima riguarda l’azione visibile (assolvere al dovere di pagare le tasse), la seconda riguarda l’intenzione visibile (il pagare le tasse in ossequio al puro dovere). La morale implica quindi una partecipazione interiore, altrimenti si rischia di divenire artefici di una legalità ipocrita e in forme di totale autocompiacimento. La morale quindi non concerne ciò che si fa, ma l’intenzione con cui lo si fa (morale dell’intenzione). Il senso profondo di quest’opera è quindi l’aver posto nell’uomo e nella sua ragione il fondamento dell’etica, al fine di salvaguardarne la purezza: questo è il significato della cosiddetta rivoluzione copernicana morale compiuta da Kant, il quale colloca l’uomo al centro dell’universo morale facendone l’assoluto legislatore. Quindi, come per la critica precedente, in questo caso non sono i concetti di bene o di male a fondare la legge etica, ma è la stessa legge etica a fondare i concetti di bene e male. La teoria dei postulati pratici e la fede morale Nell’ultima parte della Critica Kant prende in considerazione il concetto di sommo bene. Per Kant il sommo bene non può essere né la sola virtù, né la sola felicità: esso consiste in un’unione di virtù e felicità. Il problema è che in questo mondo virtù e felicità non possono mai essere congiunte insieme, poiché lo sforzo di essere virtuosi e il perseguimento della felicità sono azioni distinte e per lo più opposte: di conseguenza virtù e felicità costituiscono l’antinomia etica per eccellenza. L’unico modo per uscire da tale antinomia, è postulare l’esistenza di un mondo dell’aldilà in cui si realizza ciò che nell’aldiquà è impossibile, ossia l’equazione virtù=felicità. Kant quindi elabora i cosiddetti postulati della ragion pura pratica: • Postulato dell’immortalità dell’anima: si deve ammettere che l’uomo, oltre il tempo finito della vita, disponga di un tempo infinito grazie al quale poter progredire all’infinito verso la santità (che per Kant non è realizzabile nel tempo della vita) • Postulato dell’esistenza di Dio: si deve ammettere anche l’esistenza di una volontà santa ed onnipotente che faccia corrispondere la felicità al merito • Postulato della libertà: se l’etica del sommo bene prescrive il dovere, consente che si possa agire o meno conformemente ad esso, e che quindi si sia sostanzialmente liberi. “Devi, dunque puoi” dice Kant: se c’è la legge morale che prescrive il dovere, deve per forza esserci anche la libertà, una delle condizioni più importanti dell’etica. LA CRITICA DEL GIUDIZIO La Critica del giudizio di Kant muove dal dualismo lasciato aperto dalle prime due critiche: • Dalla Critica della ragion pura emergeva una rappresentazione della realtà in termini meccanicistici, in quanto la natura appariva come una struttura causale e necessaria, entro la quale non trova spazio la libertà umana • Dalla Critica della ragion pratica affiora una visione della realtà in termini indeterministici e finalistici, in quanto si era postulate, come condizioni dell’etica, la libertà dell’uomo e l’esistenza di Dio. Da un lato quindi trovava spazio un mondo fenomenico e deterministico (conosciuto dalla scienza), dall’altro lato un mondo noumenico e finalistico (postulato dall’etica). Nella Critica del giudizio Kant studia il sentimento, una delle più grandi esigenze umane che, in quanto tale non ha non ha alcun valore teoretico o conoscitivo). Il sentimento permette quindi l’incontro dei “mondi” delle due critiche e la risoluzione del problema di fondo scaturito da quest’ultime. Kant ammette l’esistenza di due tipi di giudizi: • I giudizi determinanti, ossia i giudizi che determinano la realtà mediante forme a priori universali (spazio, tempo, le 12 categorie) • I giudizi riflettenti, ossia i giudizi che riflettono su una realtà già determinata dai giudizi precedenti, apprendendola mediante le nostre esigenze di finalità e di armonia. I giudizi determinanti sono scientificamente validi, almeno per il fenomeno, mentre i giudizi riflettenti esprimono un bisogno tipico dell’essere umano, ossia il desiderio di armonia. È quindi chiaro che la Critica del Giudizio diviene un’analisi dei giudizi riflettenti. I due tipi principali di giudizio riflettente sono: • Il giudizio estetico, nel quale noi viviamo immediatamente o intuitivamente la finalità della natura (di fronte ad un bel paesaggio lo avvertiamo in sintonia con le nostre esigenze spirituali) • Il giudizio teleologico, nel quale noi pensiamo concettualmente la finalità della matura mediante la nozione di fine (ad esempio, riflettendo sullo scheletro, capiamo che esso esiste per regge il corpèo dell’animale) La Critica del Giudizio si divide quindi in due parti: Critica del Giudizio estetico e Critica del Giudizio teleologico. Entrambe si dividono a loro volta in due sezioni: la prima si divide in Analitica del Giudizio Estetico e Dialettica del Giudizio Estetico, mentre la seconda in Analitica del Giudizio Teleologico e Dialettica del Giudizio Teleologico. L’analisi del bello e i caratteri specifici del giudizio estetico
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