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Riassunto Dalla parte delle immagini. Temi di cultura visuale, Schemi e mappe concettuali di Storia dell'arte contemporanea

Riassunto dettagliato dei capitoli 1,2,5 del manuale Dalla parte delle immagini. Temi di cultura visuale

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2021/2022

Caricato il 05/01/2024

elenacardini
elenacardini 🇮🇹

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Scarica Riassunto Dalla parte delle immagini. Temi di cultura visuale e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Storia dell'arte contemporanea solo su Docsity! Riassunto Dalla parte delle immagini. Temi di cultura visuale Capitolo 1: La vita sociale delle immagini: agentività, affetto, potere 1.1 Un giallo che contagia: Tete d’homme: Etude Paul Cezanne 1877 1877 seconda esposizione impressionista > accettazione culturale dell’impressionismo a parte per la critica del giornale satirico Le Chiarivari > vignetta satirica di Cham e Leroy “Signora! Questo non sarebbe prudente. Meglio che ve ne andiate!” > denuncia all’eccessivo amore di Cézanne per il giallo. Il poliziotto consiglia alla donna di andarsene perché il quadro potrebbe impressionarla e contagiare con una febbre gialla il bambino che porta in grembo. la pittura impressionista ha il potere di incidere sulla forma e il colore del feto che la donna porta in grembo e di rovinarlo. Questo aneddoto fa emergere una questione fondamentale ovvero il potere delle immagini di agire sul proprio osservatore sul loro mondo e sul modo in cui guardano il mondo sul loro pensiero sui loro comportamenti e sul loro corpo. Per la donna osservare questo dipinto significherebbe esporsi ad una specie di contagio visuale ed attivare il potere di un’immagine di farsi modello di un’altra immagine quella ancora in forme del bambino > Impressionare = lasciare impronta con il suo intervento sulla coscienza. Il solo fatto di trovarsi nello stesso luogo dell’immagine consente a quest’ultima di manifestare tutto il suo effetto nefasto sull’essere umano (“Andatevene!”) 1.2 Living Picture Secondo William J.T Mitchell pioniere nell’ambito dei visual culture studies, esistono due diversi modi di rapportarsi alle immagini: servirsene come strumenti espressivi o farle esperienza > le immagini non si guardano ma si esperiscono. I visual culture studies continuano ad interrogarsi sulla natura non ingenua e non immediata del vedere ed affianca a questo tema una parallela riflessione sull’implicata relazione che si instaura fra soggetto ed immagini > bisogna considerare i due poli dello scambio come dotati di un equivalente grado di soggettività, entrambi sorgenti di flussi affettivi e cognitivi che si determinano a vicenda. Agency > teoria che attribuisce una forma di soggettività all’immagine > critica radicale all’idea che nella relazione tra osservatore immagine le forze si distribuiscono in modo unilaterale, come se una delle due interlocutrici sia del tutto passiva e l’altra del tutto attiva. Concetto introdotto dall’antropologo Alfred Gell sulla fine degli anni ’90 > concetto che sta nella sfera dell’intenzionalità > volere > le immagini esercitano forme di agentività secondaria, ovvero sono disponibili a farsi agire (come le bambole sono disponibili ad interpretare il ruolo di soggetto) > possiedono una carica potenziale da attivare > le immagini sono create dall’uomo ma nello stesso tempo lo determinano (“Facciamo cose che ci fanno”) L’Agency non è una teoria animista > gli artefatti possono essere animati senza per questo essere dotati di attività animali > immagini animate ma non vive Sono capaci di stringere con la persona delle relazioni in tutto simili a quelle interpersonali. Persona distribuita: la persona e le sue proprietà si estendono oltre il confine corporeo le particelle di soggettività, fra cui l’intenzione, si sparpagliano sugli oggetti che la persona crea incluse le icone, per Gell la persona non è fisicamente unita in tutte le sue parti ma alcune di esse sono distribuite nell’ambiente e ciò è alla base della muta influenza tra uomo e le cose > esuvie di Lucrezio (involucri abbandonati dalle cicale) Confrontandoci con un’immagine ci confrontiamo con un’esuvia> l’agency secondaria delle immagini emerge al meglio nell’ esempio dell’idolo indù che fa Gell. L’idolo occhiuto guarda il suo spettatore creando in lui la consapevolezza dell’altro come soggetto intenzionale > l’idolo non solo a molti occhi ma all’interno di essi ci sono piccoli specchi in modo tale che il devoto possa ancor meglio vedere la propria agency riflessa nei bulbi del Dio > guardo io che guardo Esempio del film di Michael Man Manhunter (1986) > gli specchi negli occhi delle vittime da una parte completano la trasfigurazione totemica di esse dall’altro permettono al manico di mettersi nei loro panni > guardare sé stesso attraverso con il loro sguardo. Le immagini che ci guardano manifestano al meglio il loro volere qualcosa da noi > Manifesto dello zio Sam del 1917 > soggettività dell’iconico si manifesta in prima battuta attraverso la rappresentazione degli occhi. Mitchell sottolinea la differenza fra volere espresso dai personaggi rappresentati e volere dell’immagine stessa, quest’ultimo sorge nella tensione delle forme che genera qualcosa qualcosa di non progettato ma nemmeno totalmente immaginato, un effetto che si produce nella materialità del del tessuto iconico > locandina di The Jazz Singer di Alan Crosland del 1927) Anche Mitchell parla di animazione e Roland Barthes di punctum di una fotografia, ovvero gli elementi minimi che causano una “ferita” nello spettatore. Per questa capacità di animare ed animarsi l’immagine ha il diritto di essere trattata come un personaggio che partecipa al divenire. Per Mitchell le immagini sono una presenza e generano presenza ma possedendo solo una parziale forma di vita sono da lui considerati soggetti subalterni. L’immagine di Mitchell è vittima dell’inclinazione umana a concepire l’inanimato in termini antropomorfici > artefatti che sotto l’effetto di qualche sortilegio assumono vita biologica > bambole assassine dei film horror, quadri parlanti di Harry Potter, Afrodite Cnidia. Per Gell è fondamentale la possibilità di attivare e disattivare l’agentività indipendentemente se si tratta di una persona o di materia inerte > persone che si comportano da cose (ci sono stati dell’uomo che possono essere definiti cosali come addormentarsi oppure nell’ambito dello spettacolo, l’esibizione del mimo, oppure la pratica performativa dei tableaux vivants, che nei secoli ha assunto diverse funzioni) Nell’ottocento la rianimazione del sé è già correlata all’esperienza del farsi fotografare > la modella assume la posizione di una statua immobile > mantenere la posa come attività attorica > imparare a tradurre sé stessi in immagine, e allo stesso tempo è già una microesprienza della morte. Il parallelismo fra corpo e statua si trasforma in una sottile logica visiva quando si tratta delle dive del cinema > ogni diva possiede un alter ego statuario > Anita Ekberg in La dolce Vita, Jean Moreau in Jules et Jim e Eva Green in The Dreamers. Il costrutto della diva è già strutturato sull’idea del corpo immagine (per Laura Mulvey, nel suo saggio femminista sul cinema, momento di puro spettacolo ottico dove il femminile è esposto come un’opera da desiderare e bramare > dimensione oggettuale e passiva del femminile) Con la nascita del cinema nel novecento gli emerge una forma di pensiero neoanimiste per la capacità del cinema di infondere le vite anima alle cose risuscitare i corpi o richiamarli in un luogo creando un effetto di presenza come avevano intuito i fratelli Skladanowsky con il loro bioscopio > il prefisso bio fra proprio pensare che il loro intento fosse quello di ricreare vita con le immagini, addirittura colmare un’assenza e non tanto riprodurre il movimento, obbiettivo a cui miravano macchine dal prefisso cine- Nei primi teorici del cinema emerge al meglio la convinzione che il medium abbia una proprietà animista > Jean Epstein: il cinema come una macchina capace di ricreare un incanto primitivo, animando materie interi e anche deanimando ciò che appare pieno di vita grazie alla manipolazione di movimento e fissità. L’immagine-movimento, volume di Gilles Delueze, distingue l’articolarsi del movimento nell’immagine in tre tre diverse unità: posa eterna (l’immagine che rappresenta il movimento) > modalità pittorica; sezione immobile (immagine che corrisponde a una sezione immobile del movimento) > modalità fotografica; sezione mobile (l’immagine che costituisce un frammento di puro movimento) > modalità cinematografica. Il cinema crea immagini che non immobilizzano i corpi ma li liberano. 1.3 Il potere delle immagini Accanto all’idea delle immagini come agenti secondari emerge la più classica questione della loro forza trasformatrice, tema che si lega direttamente alla riflessione in merito alla presenza alla circolazione e al ruolo sociale e simbolico delle immagini, tanto che la sua analisi si rivela imprescindibile quando si voglia comprendere che cos’è un’immagine come funziona. La questione si allaccia inevitabilmente ad un’altra questione ovvero la natura del rapporto fra immagini e individui sia in termini di fenomenologici che culturali. Il potere delle rappresentazioni coniche non assume senso e significato se non in relazione agli esseri umani che sono i destinatari gli utilizzatori le vittime i testimoni gli adoratori i nemici e anche produttori ma non necessariamente proprietari. Le immagini sembrano possedere il potere di ridisegnare la realtà perché diffondono modelli di cui la realtà stessa rischia di diventare linearmente l’immagine. La responsabilità dell’uomo nei confronti del visivo è profonda > é lui a creare le immagini ed è sempre lui, in forme indirette indirette, a stabilire che cose esse significano, a che cosa servono, dove e come possono presentarsi circolare Eccezione delle raffigurazioni archeotipiche = non fatte da mano umana > oltre all’uomo solo Dio può creare immagini. Questi oggetti autogeni rimuovono dall’immagine proprio la qualità di artificio e per questo si pongono senza alcun'ambiguità come rappresentazioni non problematiche in ottica religiosa e fideistica > canali si comunicazione con il divino. A parte per queste eccezioni le rappresentazioni coniche sono un affare essenzialmente umano > strumento indispensabile di conoscenza lungo la strada dell’evoluzione > prime immagini rupestri delle proprie mani (grotta di Chauvet in Francia) > gli consentirono di conoscersi e costituirsi come soggetto e conoscere il proprio sguardo su sé stesso e il mondo > nascita dello sguardo Analizzare da una prospettiva socioculturale e antropologica la presenza e l’azione delle immagini equivale a sbrogliare una matassa assai intricata Ciò che accade tra un osservatore e una rappresentazione visiva nel momento in cui gli sguardi si incrociano e solo l’apparenza un dialogo lineare. Comprendere che il potere delle immagini è culturalmente socialmente dato a esse non significa poterlo amministrare contenere né tantomeno poterselo riprendere > autonomia iconica (Bredekamp, Immagini che ci guardano) Fascino delle immagini > una volta prodotte diventano autonome e incutono ammirazione e paura > possiedono sempre qualcosa di perturbante > l’immagine è sempre diversa dalla visione stessa dell’uomo (non è mai l’eco della sua stessa visione) Idea di immagine come qualcosa che non sta semplicemente difronte all’osservatore ma che gli va incontro > esercita un potere solo in parte controllabile dall’uomo, sul piano percettivo, del pensiero e del comportamento >efficacia latente Gottfried Boehm > principale rappresentante della ricerca visuale tedesca affermatasi negli anni ‘90 Il potere e l’efficacia delle immagini è pensato come una specie di surplus qualcosa che non può essere interamente ricondotto alla dimensione storia e contestuale e che dipende dalla natura linguistica dell’immagine in quanto tale e dal suo funzionamento > differenza e comunica: potenza insieme visiva e logica che appartiene inevitabilmente alla cultura materiale; eppure, lascia apparire un senso che supera ogni fatticità. La presenza dell’immagine è più che fisica > è spirituale oltre che materiale e supera le sue funzioni storiche preferenziali o documentarie. Il superamento della fatticità tocca anche il pino della rappresentazione > capacità dell’immagine di rappresentare secondo i propri codici e mezzi specifici, la realtà. L’immagine per Boehm è veramente nel momento in cui rende esplicita la sua differenza visiva con il mono sensibile > opposizione fra factum e fictum >si comporta da non-immagine quanto più tenta di copiar la fatticità della realtà in modo impeccabile. Per Louis Marin l’immagine finisce per dissolversi nella realtà, non più rappresentazione ma presentazione nella forma del doppio. Azione quasi iconoclasta dell’immagine Inter se stessa che smette di essere tale e diversa la mondo che riproduce per sostituirsi ad esso > estetica del simulacro > logica che sminuisce la vitalità dello guardo e il potere e valore delle immagini. L’immagine per poter funzionare deve essere riconosciuta in quanto tale. David FreedBerg propone una prospettiva differente > il potere delle immagini non è insito nella loro natura, ma è un’attributo esclusivamente dato dall’esterno, dal contesto storico, sociale e culturale. Il potere delle immagini dipende interamente da ciò che una società, in un determinato momento, pensa e crede in merito alla loro essenza e alla loro potenza. La ricerca si basa sull’analisi delle azioni e reazioni umane alle immagini > ricerca sulle modalità della visione > regimi scopici > vedere nelle reazioni alle immagini il prodotto di un’esperienza visiva sempre storicamente e culturalmente determinata. Il potere delle immagini sono accertate di volta in volta e non postulate come una condizione a priori e latente della loro esistenza. 1.6 I confini del visibile Attentato dell’11 settembre non è scatenato soltanto uno scontro fra religione e culture ma anche una guerra di immagini il visivo ha giocato un ruolo strategico sia in quanto sfondo concettuale e riferimento interpretativo sia in quanto dimensioni comunicative linguistiche ed esperienziale. Ciò che ancora oggi da un punto di vista visuale sorprende maggiormente dell’attacco è proprio lo svolgimento narrativamente perfetto degli eventi > un’ora e 40 minuti scanditi da una successione regolare di colpi di scena inframmezzati da una serie di pause riflessive. Il primo evento innesca ex abrupto il racconto > coincide con lo schianto dell’American Airlines 11 contro la Torre Nord del World Trade Center > 8.46 > ogni tv americana apre un collegamento in diretta per seguire gli eventi. Del primo schianto non esistono immagini ma del secondo alle 9.03 ne emergono di innumerevoli tutti sono sintonizzati > urto in diretta > le testimonianze finiscono per essere del tutto inseparabili dalle reazioni sconvolte incredule dei giornalisti Inizia a farsi strada l’ipotesi di un attentato terroristico, anche a causa di movimenti sospetti di altri aerei. 9.59 la Torre Sud collassa su sé stessa e la segue alle 10.28 la seconda implodendo e polverizzandosi. Taming narrativamente perfetto e costruzione visiva impeccabile > l’orchestrazione dell’attacco punta a produrre effetti di persistenza visiva (fuoco, uomo, implosione ritardata) e punta su una programmazione che tiene conto della risposta mediale che il primo schianto avrebbe immediatamente innescato. Tragedia visiva creata ad opera d’arte da un manipolo di terroristi appartenenti ad una religione e cultura aniconica > io durante quella che prese il nome di guerra del terrore il movimento guidato da Osama Bin Laden avrebbe dimostrato una notevole perizia nella mediatizzazione delle proprie azioni e del proprio messaggio. Il termine aniconismo per David FreedBerg è un concetto molto variegato e complesso. Il termine nasce a metà dell’ottocento per dare conto dell’assenza di rappresentazioni figurative nell’arte delle origini dovuta all’impossibilità e non al divieto di rappresentare il divino in quanto non dotato di forma umana. Una qualità neutra che nel tempo si trasforma in una posizione dogmatica ed è all’origine dell’ipoteca culturale e morale che ancora oggi pesa sulla parola e della trasformazione dell’astensione dalle immagini in un indice di sviluppo della spiritualità e della libertà di una cultura. L’ aniconismo permette di puntualizzare un terzo aspetto nella riflessione sull’agency: La parola ci ricorda che l’immagine può essere assente o non del tutto fumata. Un determinato sistema sociale non stabilisce soltanto che cosa sono le immagini e che cosa possono fare reagendo ad esse e alla loro differenza, ma definisce anche forme implicita o esplicita dei confini di visibilità ossia la possibilità stessa che il visibile si faccia immagine si scriva cioè materialmente su qualche tipo di supporto. Aniconismo non significa semplicemente assenza di immagini ma traduce un orientamento ben preciso fondato su due aspetti:  Volontà di mantenere delle porzioni di esistenze e pensiero nell’indivisibilità e nell’immaterialità  Diffidenza nei confronti della rappresentazione figurativa basata su un principio di somiglianza L’aniconismo anche nella sua versione più neutra e laica manifesta una preoccupazione nei confronti del potere delle immagini rispetto al quale utilizza la strategia del divieto e della sottrazione Il concetto non si pone come opposto ad iconismo ma delinea una condizione sempre pronta ad emergere nella gestione sociale del visibile e nell’articolazione delle condizioni di esistenza e possibilità dell’immagine > il suo potere di far vedere e far fare. Conseguenza dell’attacco dell’unici settembre fu la rimozione delle torri gemelle da un gran numero di film e il riferimento nei dialoghi a bombe crolli di grattacieli e attentati terroristici. Questa operazione toccò la rappresentazione della violenza > un esempio esempio di temporanea proibizione della fabbricazione di certi tipi di immagini e di contrazione dei limiti del visibile, allo scopo di proteggersi dalla rappresentazione di contenuti socialmente presenti. L’immagine con la sua esplicitezza referenziale e il suo potere potere di impressionare costituisce una traduzione dannosa e intollerabile poiché troppo simile alla realtà. L’aniconismo di traduce in un programmatico non far (ri)vedere e di una consapevole tutela dallo spettacolo del visivo > atteggiamento dovuto a un eccesso di attrazione nei confronti delle immagini. L’ avvenimento mostra la costante mobilità dei confini del visibile le implicazioni dell’attribuzione alle immagini di una troppa capacità di offendere ma anche di una troppa capacità di curare. Simili atteggiamenti pro e contro il visivo sono accomunati da riconoscimento di un’efficacia dell’immagine tale da poter modificare l’ordine della realtà > il potere assume un ruolo cruciale nell’interpretazione delle immagini. L’aniconismo in quanto negazione ab origine di certi tipi di immagine intercetta due questioni  I confini del visibile  Il ruolo attribuito all’immagine figurativa > riproduzione mimetica della realtà Per la società occidentale sembra quasi impensabile ragionare in termini di confini, non di meno l’atteggiamento aniconico è sempre pronto a riemergere anche se solo localmente temporaneamente. L’apparire dell’immagine è sempre il risultato di una duplice legittimazione culturale e cognitiva (anche nelle società più visuali e iconiche): di ciò che, della realtà, può farsi immagine e di ciò che l’immagine può fare alla realtà. 1.7 Operational Images Tipologia di pictures per le quali l’agency diventa azione e la loro relazione con noi si traduce in un concreto assisterci nell’operare sul mondo. Le immagini operative si distinguono da tutte le altre perché non sono state create affini edificanti o istruttivi come dice Harum Farocki Le immagini operative si affacciano sulla scena del mondo durante la prima guerra del Golfo. Farocki, che ha sempre lavorato sulla non neutralità dell’atto di fedele riconfigurato di continuo dalle tecnologie, ricava il concetto di immagine operativa da un oggetto visivo radicalmente nuovo che appare davanti ai nostri occhi nel 1991 durante la diretta televisiva da Baghdad della guerra appena iniziata. Video del video del bombardamento di un obiettivo strategico dal punto di vista dell’arma che lo sta eseguendo > l’offensiva statunitense si incentrava sulle espressioni armi intelligenti e sulle illustrazione di questo concetto attraverso la ripresa in soggettiva della traiettoria di un missile. Inquadratura del bombardamento ci dice che ciò che stiamo vedendo non è una rappresentazione bensì un’azione. L’immagine così ha degli occhi ed un’intenzione Da interlocutore degli umani l’immagine diventa il suo surrogato lattante di una catena di operazioni sempre più automatizzate L’immagine in questione era doppia > il primo frame in bianco e nero a bassa risoluzione, il secondo a colori reso attraverso un software incluso nella bomba Queste immagini aprono il film di Farocki War at a Distance (2003) > immagine operativa come immagine necessaria per compiere una determinata azione. Le due inquadrature associate rappresentano il processo duale che avviene all’interno della bomba intelligente: il suo software immagazzina da dati ottici, come una comune videocamera, ma poi li confronta con i calcoli memorizzati nel proprio database, i quali vengono visualizzati nell’immagine schematica del ponte colori, quando lo schema generato dal database e la ripresa del video dal vivo coincidono avviene il riconoscimento e viene intrapresa l’azione di guerra. Un’immagine perfetta e inaccessibile ai nostri nostri sensi essendo nascosta in una frazione di secondo troppo piccola per essere processata da un occhio umano. Immagine capace di concentrare l’evento nella sua unicità e metterlo in scena come simbolo > il dramma di un individuo si trasforma in un emblema il suo corpo mortale diventa una freccia puntata verso il basso basso in direzione contraria allo slancio verso l’alto delle torri che da sempre indicano l’ascesa della nazione americana. La luce nella fascia superiore delle immagini attira lo sguardo verso l’alto mentre la testa dell’uomo punta a terra. Lo scatto è possibile grazie alla capacità percettiva della macchina che supera quella dell’uomo. La fotografia cosi si pone fra realtà e immaginazione perché accede ad una dimensione temporale che all’uomo è preclusa. Forma documentale nuova rispetto alla testimonianza. 2.2 Alle spalle: mistica dell’immagine fotografica In vari modi la fotografia può collegarsi al mondo e diverse parole per esprimerlo > documento, traccia, testimonianza. Pietro montani insiste da tempo sulla differenza fra autenticità e autenticazione, cioè fra la capacità dell’immagine di costituirsi a frammento del mondo e il processo attraverso cui viene assunta quale testimonianza veridica di un fatto. Documento fotografico: riproduzione autentica più o meno completa di un fenomeno. Quelle di Drew e McCurry sono immagini foto giornalistiche destinate ai canali di informazione e dunque non documenti ma atti di documentazione. Il documento visivo può avere un carattere involontario e quando non è così esso non è comunque costituito in funzione della sua efficacia comunicativa, bensì della registrazione di ciò che accade. Un documento viene di solito scandagliato verificato preservato ed archiviato ma non assume un valore storico se non viene iscritto all’interno di un discorso e non viene completato da atti di immaginazione e la sua frammentarietà di condotta un tutto. Un documento visivo può essere usato come prova, per esempio in tribunale, ma anche come traccia nel caso in cui, all’interno della pratica della costruzione dell’evidenza visiva, siano utilizzate immagini che non descrivono un fatto ma si riferiscono senza rappresentarlo. Questa continuità fra immagine e il mondo ha prodotto una sorta di mistica della fotografia, nella quale le potenzialità scientifiche giuridiche del mezzo si sono intrecciate a un vissuto quasi sacrale delle immagini. Il sentimento di fiducia in condizionata nei confronti della capacità produttiva della fotografia cresce in modo esponenziale a partire dal secondo dopo guerra momento in cui hai materiali foto-cinematografici viene affidata alla difesa del vero contro la spinta negazionista > sistematico utilizzo nei contesti giudiziari L’accumulo di evidenze foto cinematografiche contro gli accusati di crimini di guerra inaugura una nuova nuova epoca del visibile > fatto come immagine > l’immagine tecnica smentisce la parola in virtù del suo complesso legame mimetico e ontologico con la realtà. Le fotografie dell’apertura dei campi di concentramento hanno l’oggettività del fatto ma anche la stabilità della reliquia, per Susan Sontag le immagini dei campi sono come epifanie negative, rivelazioni dell’orrore estremo, la loro visione per le diventa uno spartiacque esistenziale. Sono l’orrore che rappresentano. Georges Didi-Huberman, esamina un particolare gruppo di fotografie dei campi di sterminio che non rientrano nella categoria di documento ma piuttosto in quella di traccia > Immagini malgrado tutto: analizza quattro foto fotografie scattate nel 1944 dai membri della resistenza polacca nel crematorio V di Auschwitz, addetti alla pulizia e alla gestione delle camere a gas. Le prime due fotografie nel frammento ritrovato furono scattate dall’interno di una camera a gas puntando l’obiettivo verso l’esterno e ci mostrano gli altri componenti della squadra intenti a rovesciare i cadaveri nella fossa di incenerimento. La terza e la quarta sono state realizzate nel bosco > mostrano soprattutto cielo fronde ma in una delle due in un angolo a malapena in campo si vede un gruppo gruppo di deportate verso i forni crematori. I quattro fotogrammi strappati all’inferno non hanno un grande potere informativo ma un enorme miracoloso portato esperienziale > non documentano l’accaduto riproducendolo ma sono una traccia. Le loro imperfezioni rinviano alle azioni compiute dal fotografo e la loro capacità di attestazione non consiste in un atto di messa in visibilità bensì nella testimonianza umana concretamente corporea, quelle fotografie hanno preso forma Per Serge Daney, i primissimi filmati realizzati dagli statunitensi ad Auschwitz da parte del regista George Stevens, La forma delle immagini che creavano un discendeva propriamente dal suo occhio, cioè da una pratica del fedele ancorata alla memoria perché non esistevano precedenti immagini di quanto sta osservando > innocenza dello sguardo posato > incapacità di utilizzare il linguaggio cinematografico in maniera compiuta a causa dello shock causato dal reale sull’operatore Un film al grado zero: mero contenitore di documenti (i singoli fotogrammi) pronti per essere utilizzati come prove giudiziarie. Dalla semiotica dell’immagine si passa ad un’ontologia e fenomenologia dell’evento fotografico > Andrè Bazin in Ontologia dell’immagine fotografia, nell’opera Cos’è il cinema? Il cinema come l’ultima delle arti plastiche > risolve definitivamente il complesso della mummia Cinematica questa capacità di imbalsamazione della fotografia che beneficia di un transfer t’di realtà dalla cosa alla sua riproduzione > non imitazione ma prolungamento del reale. Per Bazin, vicino a William Hanry Fox Talbot, la fotografia è un mezzo attraverso cui la natura può mostrarsi, senza essere né un prelievo né un’aggiunta la realtà. Es. Sacra Sindone > non riproduce ma incarna le proprietà del divino > la fotografia non riproduce il reale ma lo incarna > modello incarnazionista L’icona sacra rappresenta un prolungamento dell’incarnazione primaria (Dio in Cristo) Tra i fenomeni visuali del secondo dopoguerra ci sono anche le fotografie naturali > prodotte dalle esplosioni atomiche del 1945 su Hiroshima e Nagasaki > i corpi degli abitanti furono impressi sul pavimento > impronte dentro le quali gli individui implosero > i profili di Hiroshima non sono raffigurazioni di corpi, bensì la loro trasformazione in immagini > prolungamento del reale. La fotografia diventa il simbolo della sparizione dell’uomo, un atto che si compie anche senza bisogno dell’uomo (soprattutto nell’era digitale a fronte della crescente e sempre più radicale autosufficienza tecnologica) 2.3 Qualche passo oltre (ma ancora alle spalle): la questione dell’indessicabilità Nella serie di saggi inaugurati da Note sull’indice la storia dell’arte Rosalind Kraus offre una famosa interpretazione dell’esperienze artistiche di quegli anni, come la bodyart e l’arte concettuale, sostenendo che la loro sperimentazione consiste nel rifiuto dell’arte come territorio della rappresentazione e nella apertura di di uno ambito estetico basato sulla presentazione del reale. Questa modalità creativa è sostenuta da una particolare classe di segni > indici Gli indici vengono utilizzati per la prima volta da Marcel Duchamp i cui ready made impiegano un segno che non media più verso il simbolico, bensì indica come un dito puntato, il reale stesso. Nell’arte del tardo Novecento si passa da un’estetica classica della misi a un’estetica della continuità residenziale INDESSICALITA’ > termine che viene ripreso da Pierce il padre della semiotica cognitiva nata fra Otto e Novcento. Teoria peirciana > tripartizione segnica > indice icona simbolo Pierce presenta la fotografia come un campo di problemi aperti che ruotano attorno al segno indessicale senza risolversi in esso. Per lo studioso la fotografia ha avuto un ruolo cruciale costituendo uno dei motori della sua semiotica. Pierce la praticava e ne seguiva gli sviluppi tecnici e presso l’osservatorio astronomico di Harvard il suo compito principale era interpretarlo > fra il 1865 e il 1875 realizzò migliaia di fotometria delle stelle e le analizzò con metodi scientifici > Photometric Researches Il filosofo utilizzava il fotometro di Zollner > dispositivo applicato al telescopio in grado di concentrare la luce emessa dai corpi astrali > e permettere un confronto con una luce artificiale di intensità nota > macchie prodotte dalle luci siderali e artificiali sull’asse di vetro > le macchie erano proporzionali alla brillantezza della fonte luminosa e quindi l’emissione energetica della stella diventava misurabile. Per divertirsi la fotometria è fotografia ridotta alla sua essenza di impronta > priva della dimensione iconica che normalmente possiede Il record fotometrico non è in alcun modo somigliante alla stella a cui si riferisce, non la descrive ma gli invia essa in quanto reazioni fisico chimica alla luce che emette > fotografia come segno reazionale che prova l’esistenza dell’oggetto da cui discende e produce dati utilizzabili per la sua misurazione. La fotografia è perciò un perfetto esempio della mescolanza inestricabile di indice e icona : è un indice perché è frutto delle radiazioni provenienti da un oggetto (perciò con estro ci dice he l’oggetto esiste), allo stesso tempo la sua accuratissima somiglianza alla realtà la rende anche icona. Viene definita “icona indicale” oppure “indice iconico” La natura della fotografia è ambigua e questo porta ad una serie di contributi teorici in area francofona. Distinzione proposta da Henri Van Lier:  Indici > caratteristiche formali dell’immagine con funzione deittica  Indizi > il segno interpretato ex post …..????? 2.4 Predigitale, postanalogico: il ruolo della tecnica Fred Richtin suggerisce di dotare da contrastare l’accettazione e la legittimazione di ogni tipo di intervento collettivo sulle immagini, anche documentaristiche della nostra epoca. La contemporanea fauxtographie considera lo scatto come bozza fatto per essere modificato e trasformato (anche generando fake), non più traccia de reale. Post fotografia e l’etichetta con cui da tempo si trova a definire la nuova condizione dell’immagine > termine utilizzato dallo storico dell’arte Geoffrey Batchen > il dilagare del fotografico nell’arte contemporanea non come affermazione dell’estetica del ready made, ma come perdita di specificità della fotografia che si infiltra nel pittorico, scultoreo e nel performativo. Fin dall’inizio la svolta postfotografica viene ricondotta a tre ustioni precise:  Relazione fra immagine e realtà  Relazione fra occhio umano e occhio della macchina  Relazione fra memoria e network culture Temi rispetto ai quali non sempre si evidenzia uno strappo rispetto al passato, ma anzi si ha l’impressione di un rafforzamento di caratteri già presenti. Rapporto fra immagine realtà (centrale nel volume di W.J. Mitchell che porta il sottotitolo di La verità visuale nell’era della Postfotografia) Se l’indessicalità è l’essenza del fotografico, l’operazione che si compie con le fotocamere digitali rischia di non essere più fotografia. La fotocamera digitale l’esposizione ai raggi luminosi resta primaria ma non è più possibile considerare l’immagine prodotta come un’impronta della luce almeno non nel senso materia che siamo abituati a dare all’espressione > Con le fotocamere analogiche la luce toccava la pellicola creando una specie di calco del corpo fotografato > ogni atto fotografico quanta stacca e consuma una delle sottili membrane di cui ogni corpo è composto > teoria degli spettri ottocentsca. Nelle fotocamere digitali la luce viene raccolta da un sensore e attraverso i fotodiodi tradotta in flusso elettronico > l’azione della luce a una materialità più sfuggente Per permettere al tribunale di capire cosa stesse davvero succedendo in quelle immagini scioccanti, ogni fotografia fu ricostruita come atto > Brent Pack lavorò per due mesi riordinare i fatti avvenuti procedendo a scaglioni di due per volta fino alla creazione di una lunghissima striscia di PowerPoint nella quale ogni programma si trasformava in un’azione documentata (dotata di un prima e un dopo). Il potere di autenticazione del mezzo è sopravvissuto al di là delle differenze tecniche. Forensic Architecture > ramo di studi interdisciplinare e campo di pratiche per l’investigazione creato nel 2010 da Eyal Weizman. Utilizzo di tecniche moderne come la modellizzazione 3D, analisi dei dati e studio delle fotografie, perlopiù raccolte sul campo ma anche cercate in rete allo scopo di integrare le informazioni fornite dalle immagini satellitare e dalla documentazione ufficiale. Molte delle sue investigazioni riguardano il Medio Oriente > presupposto: la copertura iconica di ogni giorno di guerra è talmente massiccia da permettere la ricostruzione di qualunque azione militare. Campo di intervento fondamentale dell’agenzia > oceanografia forense > indaga il confine militarizzato imposto dagli stati europei sulle frontiere marittime > reazione al flusso di migranti illegali I numerosi casi l’agenzia approvato le responsabilità di paesi europei in specifici incidenti di mancato soccorso, attraverso lo studio dei sistemi di tracciamento dell’imbarcazioni e le immagini satellitari Marchio di fabbrica dell’agenzia è il recupero della fotogrammetria, utilizzato ai fini della modellizzazione 3D che permette una completa ed esatta visualizzazione degli eventi. I software di fotografia analizzano l’immagine in 2D e calcolano le distanze al suo interno attraverso un processo di triangoloazione e utilizzando i metadati. In questo modo creano nuovi pixel facendo combaciare molte immagini in 2D nello spazio 3D > la ricostruzione virtuale viene infine confrontata con il mondo reale > ground truthing Le modelli utilizzazioni in realtà il virtuale permettono di determinare con esattezza deposizione dei corpi e il loro orientamento nello spazio e dunque anche la visuale specifica dei singoli soggetti e di conseguenza il loro grado di responsabilità in un’azione. Raccolta di filmati e fotografie di ogni genere e nella loro trasformazione in un racconto attendibile degli eventi, fondamentale è la ricerca di nessi di montaggio che mettono sistematicamente in rapporto le immagini e le contro immagini. Il lavoro della Forensic Architecture aggiorna la questione della traccia nell’era digitale > utilizza materiali degradati, di bassissima risoluzione e definizione, e quindi scarsamente iconici, e ne valorizza invece la funzione indessicale attraverso le risorse offerte dalle nuove tecnologie (computer graphics, pattern recognition fatta dai computer e modellizzazione) 2.6 Dalla Postfotografia alla postimmagine Il lavoro dell’artista Thomas Ruff, uno dei massimi esponenti della fotografia contemporanea ci aiuta a chiudere il problema della referenzialità dell’immagine digitale. Dopo decenni di sperimentazione sull’oggettività fotografica > frontalità nitidezza soprattutto in riferimento al soggetto umano, Ruff abbandona l’uomo per occuparsi di eventi impersonali > catastrofi In tutte le loro varianti causali > utilizzo di immagini già esistenti raccolte in archivi di vario tipo. Nella serie jpegs (2004-2009) l’archivio è internet da cui preleva immagini con metodo e intento catalografico >cerca icone foto giornalistiche del secondo novecento e nevo il file attraverso un processo di riduzione e ipercompressione > sfruttando il massimo della decompressione possibile realizza stampe in ampio formato. Fondamentale è il pixel > unità minimale del linguaggio digitale, scheletro matematico del visibile contemporaneo, solitamente nascosto ma nella sua opera esibito Nelle sue opere i pixel sono visibili > su ampie tavole espositive la tecnica della compressione e della decompressione sgretola la struttura stessa dell’immagine. L’indagine sul pixel è un esame diagnostico sul legame fra fotografia e realtà, un’osservazione al microscopio delle particelle inscindibili che compongono la trama del visibile contemporaneo fino alla ricerca di un nesso fra mondo ed immagine. Per fare ciò Ruff sostiene che sia necessaria una ripulita dell’immagine dal superfluo, per captare l’essenziale. Nel caso della fotografia jpeg ny02 l’essenzialità non è la singolarità dell’evento dell’11 settembre > la ripulita lo rende quasi il riconoscibile. Il procedimento annebbia ulteriormente lo sguardo già offuscato dallo sbriciolarsi degli edifici > forme e colori si impastano, i contorni si indeboliscono e se ci si avvicina alla tavola si perde la figurazione > l’indimenticabile icona shock di quel quel giorno diventa riconoscibile e solo da lontano riconquista la sua sagoma. La percezione resta sospesa in un limbo > fra rivelazione e finzione, vero e falso, realtà e sogno e ogni a ogni passo è costretta a rimodellarsi. Ruff in immagine l’essenza della visualità di quel momento storico ma insieme la trascende portandola verso una matrice concettuale, creando un modello di catastrofi create dagli uomini. Attraverso la perdita di specificità informativa Ruff trova una classe di appartenenza generale un’idea o uno schema astratto. La tecnica utilizzata da Ruff assomiglia ad una tecnica che appartiene alla storia della fotografia scientifica, anche se dal punto di vista operativo, si basa su una soluzione inversa a quella individuata dal Ruff (l’accumulo anziché la sottrazione di dati nell’immagine) > fotografia composita (ideata fra Otto e Novecento dall’antropologo Francis Galton) Nota per le sue applicazioni razziali e di servizio all’eugenetica la fotografia composita mira ugualmente a spogliare l’immagine del superfluo, in questo caso eliminando le specificità individuali contenute nei ritratti fotografici di un gruppo sociale, con il generale intento di giungere al volto “tipo” (criminale, ebreo ecc…) Tecnica: fotografare sulla stessa lastra i volti di una serie di individui colti in espressioni molto simili, facendo coincidere i loro occhi; il tempo di posa viene ridotto al minimo per rendere meno confuse le linee sovrapposte scremare più facilmente le singolarità indesiderate > immagine che non rappresenta un soggetto particolare bensì una figura figura immaginaria > lineamenti risultano dalla media di quelli dei diversi rappresentanti del gruppo. Il lavoro sulle icone è svolto dal Ruff viene aggiornato dai googlegrammi (2005) del fotografo Joan Fontcuberta >punto di confluenza fra la composizione analogica e la decompressione digitale >obbiettivo: decostruzione dell’effetto di verità che la società contemporanea associa alla fotografia > ricrea delle immagini attraverso un fotomosaico > ogni immagine è l’insieme dei frammenti di circa 10.000 immagini diverse raccolte attraverso il motore di ricerca Google. Fontcuberta preleva i quadratini di pixel di un’immagine per sostituirli con altri di identica tonalità cromatica ma appartenenti a documenti storici diversi. Es. l’immagine del muro in Giordania occidentale è formata dalla composizione di 10.000 immagini di muri di concentramento nazisti) Interpreta la fotografia digitale come un’immagine in cui dimensione iconica e indessicale si separano. La fotografia del tutto simile ad un dipinto è oggetto dell’interventi stratificati mirati e potenzialmente infiniti; non del tutto diversi dai trucchi dell’era analogica fra cui filtri sovraesposizione e fotomontaggi > continuità con la prassi fotografica novecentesca Da meccanicità dello sguardo si perde nel gesto classicamente compositivo dell’artista che resta tale anche se automatizzato > il ruolo cruciale della macchina si mantiene nell’uso di un motore di ricerca per l’accumulo di una massa di immagini campione. La separazione fra conico intestinale priva necessariamente la fotografia digitale del suo valore di traccia? Ad oggi esistono forme di autonomia macchimica che sono al contrario garanzia di oggettività e attendibilità, queste qualità derivano proprio dalla quasi totale indipendenza dal fattore umano di alcuni strumenti come le telecamere di sorveglianza > obiettivo che non dipende dalla mano dell’uomo non deriva da una regia ma costituisce un occhio sempre aperto sul mondo. >riprese che prescindono dalla presenza di uno spettatore (probabilmente nessuno vedrà queste immagini) Secondo vari studi, la loro utilità pratica nell'identificazione dei responsabili di un reato è in realtà scarsa, non tale da giustificare il grande investimento di tutti i Paesi occidentali nella loro diffusione massiccia. Dispositivi efficienti soprattutto sul piano del simbolico, non mere tecnologie ma sistemi socio-tecnici. Il mito della loro oggettività macchinica, impassibile, contrapposta alla testimonianza umana, fallibile e condizionata psicologicamente, ha una funzione preventiva, non comprovata da dati statistici, bensì da alcuni effetti culturali > strumento di rassicurazione che incide, quantomeno di riflesso, sulla modellazione del futuro. Le videocamere di sorveglianza mettono in scena il reclamo dello spazio pubblico da parte delle istituzioni e il mantenimento indiretto dell'ordine, producendo dunque solo apparentemente immagini-documento, in realtà immagini operative che servono alla manutenzione del sociale Il vero te machine funziona in base a criteri non umani che non hanno nulla a che vedere con il potenziamento delle tecniche fotografiche > quando si generano fotografie che prescindono dai modelli ottici del percepire umano, oltre che da un soggetto precepiente si entra nel campo della postimmagine Postimmagine: visualizzazione derivata dalle rilevazioni di diversi tipi di sensori: ottici, acustici, termici, infrarossi, elettromagnetici. Queste immagini rispettano il principio di indessicalità nella forma più pura proprio come lo aveva pensato Pierce. Lo sviluppo di sensori e ultrasuoni per l’estrazione delle informazioni di profondità e tridimensonalità permette di costruire ambienti che non si riferiscono più alla posizione di un’osservatore nello spazio e nemmeno nel tempo > profonda liberazione dello sguardo vitale dalla visione umana. Questa visibilità totale e del tutto virtuale del mondo può contribuire a costruire un senso della verità poiché si mantiene come atto del tutto sganciato dalla soggettività testimoniale. La nuova fotografia si colloca all’interno di un regime “postumano” > la rappresentazione del mondo come un processo di visione distribuito a fra diversi agenti, dei quali l’uomo è semplicemente una parte. Di lì a poco, le occasioni, gli strumenti e i linguaggi mediali a disposizione del soggetto per mostrarsi e raccontarsi aumenteranno e di conseguenza la loro possibilità d’intreccio > l’invito ad essere presenti sui social diventa una specie di imperativo sociale Essere presenti sui social e oggi una forma di attestazione esistenziale di sé e tale processo fa leva su una sempre maggiore centralità del visivo > la scommessa dell’autoritratto contemporaneo si gioca sul piano delle immagini > Come osserva Nicholas Mirzoeff, parlare significa mostrarsi Nell’imporre il sé come oggetto, soggetto e stile espressivo della socialità e della comunicazione digitale, questa potente curvatura Self nell’uso dei media finisce per incidere profondamente anche sul significato sociale di nozioni come quelle di soggettività, identità e individuo. Secondo varie letture, il self contemporaneo è una versione ridotta che ha consegnato al governo delle passioni e dell’esibizione sociale la qualità riflessiva del soggetto moderno emerso in epoca illuminista Secondo Frank Furendi, nel momento in in cui permettiamo alle forze esterne di guidarci, di intervenire nella definizione di quella che dovrebbe essere la propria strada, l’effetto è che l’autonomia e la capacità di autodeterminazione si trasformano in una merce volontariamente negoziata in cambio di protezione. Viviamo in un mondo in cui ciò che conta è un sé dipendente dall’approvazione, questo approccio rende il sé passivo. Il fiore del sé dipende ora molto di più dalla validazione esterna che da un atto di autocreazione. Nel rendere sempre più presente, visibile visuale l’individuo, la mediatizzazione del Self finisce per problematizzare il rapporto fra il soggetto e le sue raffigurazioni. La centralità assunta nel corso dell’ultimo ventennio dai social a contribuito ad ampliare arricchire l’orizzonte dei riferimenti culturali, le strategie espressive e la natura dei materiali simbolici a disposizione nei processi di auto rappresentazione > dire “IO” attraverso i social è un esercizio sempre più eterogeneo, complesso e creativo + accentuazione della dimensione del dialogo e del confronto con gli altri. Dall’altro lato queste stesse caratteristiche hanno consegnato l’elaborazione sociale del sé a una condizione di crescenza dipendenza da logiche, modelli sistemi di produzione rispetto ai quali il soggetto ha scarse possibilità di controllo, mentre la quantificazione del principio di visibilità (like, commenti, condivisioni) e la sua trasformazione in parametro di riconoscimento conducono inevitabilmente a qualcosa di simile a uno stato di auto sorveglianza o di vigilanza partecipativa. Nel promuovere tecnologie ad alleato del tutto contiguo al corpo e all’esperienza dell’individuo la selfizzazione mediale finisce per incoraggiare una delega riflessiva e decisionale a queste ultime, problematizzando la componente “auto” nei processi narrativi. 5.3 Immagini di Sé La stragrande maggioranza delle timeline di Facebook e dei profili e delle storie di Instagram mostrano come le persone usano i media prevalentemente come strumenti di documentazione, messa in scena e condivisione della propria vita > veicoli attraverso i quali disseminare quotidianamente costantemente tracce del sé > pratica di carattere additivo: l’autorapresentazione non mira a consegnare un “intero” ma si frammenta Journal, In Progress di Suzanne Szucs > l’artista dal 1994 al 2009 ha scattato un autoritratto Polaroid al giorno, impiegando in termini idealmente digitali un dispositivo fotografico analogico che 15 anni dopo diventa desueto in maniera esplicita > stile Polarod 5500 autoritratti che dal 2010 l’artista ha cominciato ad esporre e che ha trasformato in un cortometraggio. La dimensione espositiva restituisce il paradossale carattere comulativo ed elusivo di questo minuzioso processo di autorappresentazione. Viste da lontano le fotografie scompaiono per rivelare la temporalità dell’operazione, il rito, il gioco, considerate da vicino e singolarmente gli autoritratti consegnano istanti emotivi rivi di autonomia > frammenti di un rapporto intimo fra Suzanne e la fotocamera. Duplice chiusura del soggetto > non dice semplicemente Eccomi ma prende parola per parlare di Sé e per fare di questo autoracconto il punto di snodo della sua esperienza e della sua relazione con gli altri. Prendere parola plandid > in bilico fra costruito e spontaneo I social non sono semplici amplificatori del bisogno narcisistico di raccontarsi ma strumento di una costante messa in scena della rappresentazione di se stessi. Sul piano formale e visuale la società digitale complica le cose > le attuali pratiche di esternalizzazione mediale del Sé possono essere ricondotte, almeno in parte, sia a un bisogno antico (=bisogno di raccontarsi) sia a tradizioni consolidate con il ritratto o il diario, è indubbio che esternalizzare il sé è oggi una dimensione dell’esperienza > modo di essere prima che modo di fare, componente organica del vivere digitale Automatismo che dipende probabilmente anche dall’automazione dei processi tecnologici di produzione e condivisione, che hanno arricchito le possibilità auto narrative dell’individuo. Automatismo che contribuisce a orientare complessivamente il dire “IO” verso una dimensione autoritrattistica in cui il proprio fattore “auto” passa da “fare di sé da sé” al “fare dà sé” ??? 5.3.1 Il selfie Nessun “genere” visuale esemplifica gli aspetti citati meglio del selfie, una modalità di autorappresentazione ormai dilagante tanto da meritarsi la definizione di poster child (prima forma visiva dell’epoca contemporanea) Il selfie comincia a diffondersi a partire dal 2010, quando sull’iPhone 4 viene collocata una fotocamera anteriore di alta qualità, per andare incontro a una popolarità globale soprattutto nei primi anni 10. L’esemplarità e la complessità culturale del selfie vanno aldilà del fatto di essere a tutti gli effetti un autoritratto. Il rapporto ha una storia della rappresentazione soggettiva si deve riconoscere come il selfie abbia contribuito a trasformare una modalità un tempo appannaggio di poche persone in una pratica quotidiana, del tutto banale > fra le forme ritrattistiche l’autoritratto è sempre stato la meno comune, pur riproducendo una condizione che l’invenzione e la diffusione degli specchi adesso via via abituale > prerogativa degli artisti, l’autoritratto è stato semplificato dall’avvento della fotografia e del cinema come testimonia il ritratto allo specchio. Solo in adolescenti i dispositivi di ripresa hanno raggiunto un’automazione e una semplicità d’uso tali da privatizzare completamente l’interazione tra immagine, corpo e mezzo > Mini DV (prime videocamere consumer) Eccezione: cabina per fototessere o Photomatic > figlia delle tradizioni ottocentesche del ritratto burocratico- scientifico e della carte de visite, a partire dagli anni 20 del ‘900 la Photomatic (grazie alla totale automazione del processo fotografico, scatto e stampa), consentito a chiunque di escludere la mediazione del fotografo. Fin dall’inizio la natura di dispositivo di riconoscimento della Photomatic non ha scoraggiato usi alternativi, nel segno dell’evasione > giocare con facce buffe ed accessori evocando identità immaginarie Dal punto di vista di una storia dei media e della cultura visuale il selfie deve essere letto come una forma di rappresentazione che democratizza due impulsi all’autorappresentazione > autoritratto pittorico e allo specchio > coniugazione di due diversi modi di consegnarli all’immagine (posa pittorica e immediatezza del riflesso) e due diversi registri visivi (rappresentazione e riproduzione) e due diverse relazioni del Sé con l’immagine (pubblica e privata) Nella totale sovrapposizione tra le due operazioni, nella semplicità del gesto e nell’immediatezza del risultato è iscritto un altro livello di rimediazione > tra l’autobiografia e l’automatismo Il selfie è considerato l’emblema della selfmedialità contemporanea esso ha origine, materiale e ideologica, da una radicale integrazione tra corpo e tecnologia. La selfizzazione del nostro rapporto con i media non può del resto non poggiare su una contemporanea selfizzazione delle tecnologie > tecnologie del sé > si trasformano in componenti organiche dell’individuo, biotecnologie del tutto conformi al corpo umano > l’evoluzione del telefono cellulare negli ultimi anni anni lo dimostra: dispositivo palmare e tecnologia che può essere naturalmente manovrata a partire dalla conformazione e dalle proprietà strutturali e di movimento della mano umana. La forma, la funzione e il significato delle immagini in quanto rappresentazioni sono largamente influenzate dalla dimensione materiale dei mezzi impiegati per produrle e dei supporti in cui essa si inscrivono. Nel caso del selfie la sua fenomenologia È profondamente determinata proprio dall’apporto con un dispositivo di riproduzione visiva e audiovisiva mobile, quotidiano, per performante che sta in una mano e che, idealmente, si sostituisce ad essa > per metà piccolo specchio, per metà macchina fotografica. Il selfie scarta la dimensione finita dell’autoritratto > autoracconto additivo contemporaneo. Farsi un selfie oggi è un gesto di attestazione della propria presenza prima ancora della propria identità > ciò che conta è la facoltà e il potere di autoritrarsi in qualsiasi momento > appropriazione visuale del mondo a partire da sé stessi > ancorare visivamente la percezione e l’esperienza della realtà al racconto del sé è ciò che caratterizza l’autoritrattismo contemporaneo. Se la cronaca minuta di quotidianità individuale si è fatta narrativamente culturalmente centrale e perché farsi un selfie non equivale a farsi un autoritratto > natura transmediale del selfie Il selfie circola tra tutti linguaggi e mezzi espressivi diversi > scatto fotografico, film, opera d’arte utilizzato sia in quanto autoritratto sia quanto modalità ritrattistica/di sguardo sul mondo (rimanendo il volto della persona in quadro) > es. di questa duplice capacità del selfie è l’omonimo film di Agostino Ferrante del 2019. 5.3.2 Il first person shot Il serie emerge come principale paradigma dell’attuale vocazione autoritrattistica nella società digitale, però per comprendere al meglio la complessa fisionomia di questa curvatura self della medialità e dell’originalità dell’intreccio tra corpi, imagini e dispositivi è utile considerare una seconda forma espressiva > visuale, transmediale e social > first person shot (completamento e controcampo del selfie)> ipersoggettiva >inquadrature che ad oggi circolano ampiamente tra video virali, videogiochi (First Person Shooter) cinema, video di sorveglianza dinamici, documentari da avventura, riprese sportive realizzate con l’ausilio di una GoPro o un elmet cam, fino ai nuovi occhiali Rayben con telecamera incorporata. Due aspetti la differenziano dalla soggettiva cinematografica:  Collocazione stabile dello spettatore nel punto di vista di colui che effettua la ripresa  Esaltazione della presenza, dell’esperienza e del sentire di un un colpo in azione dell’interfaccia tecnologica che rende possibile tale esperienza > il first person shot è una mobilografia > rende la dimensione corporea della ripresa L’ipersoggettiva rappresenta una figura chiave della visualità contemporanea > l’intima sinergia tra corpo e sguardo e dispositivo su cui si fonda e la rappresentazione indiretta del compiersi di un’esperienza, ne fanno un luogo di realizzazione esemplare sia della qualità intima e privata dell’autoritrattismo mediale sia dei principali indirizzi di sviluppo tecnologico cui sono andati incontro i dispositivi negli ultimi anni > dinamizzazione, miniaturizzazione e virtualizzazione L’ipersoggettiva permette di vivere la propria esperienza mentre la si inscena > interpreta la profonda soggettivizzazione della medialità contemporanea e il valore cultuale e sociale oggi attribuito allo spettacolo dell’esperienza condivisa in diretta. Selfie e First person shot > figure simmetriche, complementari e opposte Il selfie è centrato sulla rappresentazione dell’individuo, il first person shot nega completamente l’identità fisica che può liberarsi per frammenti solo entrando in campo Differenza che problematizza la relazione tra identità, corpo e immagine > il first person shot si risolve nello spettacolo visivo dell’essere un corpo, mentre il selfie esibisce l’avere un corpo. Il first person shot mira a visualizzare e socializzare l’esperienza viva viva il suo di dispiegarsi in diretta nel soggetto, il selfie consegna un’immagine dell’esperienza vissuta, il suo iscriversi nel corpo e in particolare nel volto del soggetto. Il selfie è il reverse shot del first person shot ma anche il suo reaction shot, idealmente. L’ultimo aspetto a direttamente a che fare proprio fonda dimensione enunciati e con le modalità di consegna dell’esperienza del soggetto Questa componente ineliminabile della digitalizzazione dell’auto racconto, filtering e editing, è sempre pronta ad emergere in primo piano > esplorazione del carattere insieme ludico, concettuale e riflessivo del sé in quanto immagine > esplorazione improntata ad operazioni di segno opposto rispetto aduna rappresentazione verosimile. Forma di scrittura del Sé che della dimensione tecnologica e mediale esalta la natura artificiosa e linguistica, additando riflessivamente l’essenza stesa dell’immagine > qualità di superficie pittorica, malleabile Costante curiosità nei confronti dell’essere e del farsi immagine > traduzione del Sé in superficie e materia visiva Il volto ormai è diventato l’interfaccia dell’esistenza sociale come suggerisce Thomas Macho > società facciale (intesa da lui come società che produce e consuma volti senza sosta) > 20 anni dopo può indicare come ad oggi per mezzo della faccia ognuno di noi compie, quotidianamente numerose azioni, come attivare il proprio smartphone, ma anche il fare cose alla mia faccia risulta fondamentale > del volto non viene esaltata la natura di strumento di identificazione e riconoscimento ma di superficie scrivibile e mobile > natura di maschera Nell’analizzare l’intreccio fra nascita dell’autoritratto e storia dello specchio, Thomas Macho suggerisce come la messa in immagine della “forma volto” sia consegnata originariamente ad una doppia funzione: di distorsione (primissimi specchi in oro e argento) + raddoppiamento (somiglianza degli specchi forgiati dal XIV sec in vetro) Con l’avvento della riproduzione fotografia la seconda funzione è trionfata, ma la magia della trasformazione/ distruzione non è scomparsa > l’autoritrattismo contemporaneo rappresenta un momento di prepotente riaffermazione Darsi un volto oggi può tradursi in un’affascinante avventura di immaginazione del proprio volto >operazioni visuali che mettono in campo pratiche di natura essenzialmente artistica Il valore configurativo dell'autoritrattismo contemporaneo non può essere compreso fino in fondo senza implicare questa dimensione di curiosità visuale e un rapporto di duplicazione del proprio volto sottratto a una logica della somiglianza (reale o ideale) e orientato, piuttosto, verso processi ludici e analitici, più pittorici che fotografici, di mascheramento, esplorazione visuale, immaginazione. 5.4 Il sé quantificato Ai processi di social networking e self narratives, in tempi recenti si è aggiunta una terza fase > quantified self-tracking > delega operativa > sono i media stessi a porsi come generatori delle nostre autorappresentazioni Quest’ultima fase di quantificazione tracciamento del sé coincide con la diffusione e la quotidianizzazione di processi di monitoraggio e misurazione dell’agire umano realizzati grazie ai dispositivi ambientali, indossavi oppure attivati dal contatto con il corpo > orologi Smart Non si tratta di un fenomeno del tutto inedito, la misurazione delle proprie attività o delle proprie condizioni fisiche sono infatti procedure a cui l’uomo ha fatto tradizionalmente ricorso. Negli ultimi vent’anni questa procedura è mutata profondamente > la digitalitá ha reso i processi di datificazione estremamente semplici, accessibili e gestibili, mentre lo sviluppo tecnologico (prestazione dei sensori) ha allargato esponenzialmente l’orizzonte della misura abilità e la possibilità di generare dei data selves. Capillare diffusione del self-tracking:  Progressivo imporsi di una cultura della biomedicalizzazione > interpretazione di noi stessi e del mondo basati su saperi di tipo medico, scientifico, biologico  Diffusione del dataismo > ideologia fondata su una generalizzata e tutto sommata a acritica fiducia nei processi di quantificazione oggettiva e nel monitoraggio di tutti i tipi di comportamento umano (ideologia sovrapponibile alla metric power di David Beer) il fenomeno contemporaneo del controllo numerico ha un’ideale punto d’origine nel 2007 quando Gary Wolf e Kevin Kelly di Wired Magazine si resero conto, che grazie a una nuova generazione di dispositivi che rendevano più agevoli il Self tracking, stava prendendo forma una nuova cultura del personal data Quantified Self > Sito in cui tutto ruotava attorno a un’idea tanto semplice quanto perfettamente contemporanea > conoscere se stessi attraverso i numeri Del fenomeno risale al decennio successivo, quando colossi come Apple Samsung e Google hanno iniziato a commercializzare una nuova generazione di orologi basati sul Self tracking a scopo sportivo, ad oggi le applicazioni per l’auto monitoraggio interessano i più diversi aspetti della vita. L’intersezione tra il potenziamento tecnologico della quantificazione del sé e la diffusione di un’ideologia della biomedicalizzazione estende capillarmente l’auto sorveglianza finalizzata alla cura personale e alla acquisizione di conoscenze e competenze su di sé > tenere traccia dei cambiamenti fisici, razionalizzare la quotidianità, accrescere il benessere psicofisico, per sviluppare comportamenti e abitudini sociali più sane. Aumentando le occasioni di quantificazione dell’esperienza quotidiana au aumenta anche un confronto a tutto campo con standard socioculturali, modelli di riferimento e paradigmi di successo > la pressione esercitata da stimoli esterni appare tutt’altro che scongiurata > in gioco c’è una prospettiva fortemente segnata dal progresso individuale in campi diversissimi > è sacrificabile che le pratiche di automonitoraggio spingano l’individuo a gareggiare con modelli assoluti di normalità > conseguenze psicologiche ed emotive che possono andare dalla frustrazione all’insicurezza, dall’insoddisfazione al rifiuto del Sé Il Quantified Self non è semplicemente un’ulteriore modalità di esternalizzazione mediale del sé ma una variante perfettamente organica ha una cultura della datizzazione, sia le procedure alla base del processo autoritrattistico (il tracciamento, la misurazione biometrica), sia l'output visuale (dati variamente aggregati in forma di numeri, statistiche, grafici ecc.), sia, infine, il ruolo della tecnologia. Sé quantificato > un'ulteriore configurazione di quello che Deborah Lupton definisce il corpo cyborg contemporaneo > il corpo potenziato, aumentato o altrimenti configurato grazie all'uso delle tecnologie digitali indossate o inserite nel corpo, e che interagisce con queste tecnologie in modo dinamico e continuo >nuova dialettica umano-non umano, organico-inorganico che caratterizza la quantificazione del Sé La data visualization è fondamentale perché al pari di altri artefatti come orologi e mappe trasforma il nostro modo di vedere e relazionarci con la realtà > traduzione del soggetto influsso costante di funzioni, numeri, grafici, tendenze, ritmi e frequenze. I data selves non si limitano a "datificare" il soggetto, ma lo interpretano e traducono attraverso un vasto repertorio di risorse simboliche, contribuendo così ad arricchire e, insieme, a complicare ulteriormente le modalità attraverso le quali le persone possono oggi parlare di sé, rappresentarsi e analizzarsi attraverso i media. 5.4.1 Il Sé tracciato Il tema della identificazione del sé possiede numerose sfaccettature, ben più problematiche e potenzialmente perturbanti > sorveglianza digitale > dataveillance > pratica disciplinare basata sul monitoraggio, l’aggregazione e l’ordinamento dei dati dati aspetto del tutto auto evidente dell’attuale cultura partecipativa e confessionale > gli utenti sono generalmente consapevoli del fatto che gli stessi siti o applicazioni che utilizzano per raccontarsi e mostrarsi costituiscono anche dei portali nel regno dei personal data + la loro attività e il loro stesso vivere disseminano insensibilmente informazioni personali. Allora lascia casa se il signor giudice ci ha messo un po’ troppo aceto Di tanto, intanto, uno scandalo rilancia il dibattito, senza però modificare lo status quo > scandalo che ci ricordano come vivere nella società digitale equivalga a lasciare incessantemente una miriade di informazioni in merito alle nostre abitudini personali, ai nostri interessi, alle nostre posizioni civili, religiose, politiche, sessuali > dati sensibili che possono essere acquisiti ed elaborati da società private o enti pubblici per i più diversi scopi In caso Snowden > nel 2013 contribuì a diffondere una maggior consapevolezza civile in merito alla dataveillance dell’organo governativo National Security Agency) Nel 2018 a suscitato grande clamore la notizia che la compagnia di marketing Cambridge Analytica aveva utilizzato le informazioni contenute in 50 milioni milioni di profili Facebook per manipolare il voto alle presidenziali USA di due anni prima > la compagnia aveva utilizzato dati personali che non potevano essere in alcun modo utilizzati al di fuori del sito stesso Il verificarsi di questi eventi non ha tuttavia modificato la situazione perché, di fatto, sono ormai avvenuti sia un mutamento d’opinione in rapporto a cosa debba essere pubblico e a cosa privato, sia un rovesciamento bioptico del nesso visibilità-sorveglianza Impatto della dataveillance sulla relazione fra soggetto e autorappresentazioni > sì le pratiche di monitoraggio del sé favoriscono uno scivolamento dal piano della soggettività a quello dell’automatismo (da sé), la sorveglianza digitale dissociare il Self dal tracking senza però disinnescare il coefficiente autoritrattistica > il tracking di qualsiasi movimento del sé nel web diventa una costante ed ininterrotta pratica di scrittura > Quantified Self non intenzionale o Sé tracciato > formato dalla rielaborazione ritmica finalizzata a scopi commerciali e analisi predittive delle innumerevoli tracce digitali disseminate dall’azione quotidiana delle persone. Sé dividuale > Gilles Delueze > espressione per indicare il destino del soggetto nella società del controllo > descrive sia una modalità di visualizzazione del sé operativamente fondata sulla valorizzazione della sua natura dispersa, frammentaria, dislocata, sia il paradosso di scrittura che individua e insieme deindividualizzare. Data double > i nostri dati contengono una versione virtuale, anche se parziale, che vive sui server di tutto il mondo > “macchie di identità” La nostra esperienza quotidiana è infatti caratterizzata dall’incontro in interrotto con pezzetti di noi tradotti in pubblicità persona, consigli di visione e ascolto, raccomandazioni sul ristorante da approvare e vacanze da programmare, selezioni di prodotti e suggerimenti su chi seguire su Instagram e su Facebook. Rispecchiamento che parla del futuro > ciò che siamo stati e abbiamo fatto (visto, letto, visitato…) alimenta una proiezione di ciò che potrebbe piacerci essere e fare. Il Sé tracciato finisce per funzionare alla stregua di un assistente personale che conoscendoci profondamente ci fa risparmiare tempo e denaro > tema della delega tecnologica che tocca la sfera decisionale del soggetto Di qui l’idea di un sì assistito quale controparte insieme in evitabile e tutto sommato naturale dell’essere se stessi all’interno della società digitale, in cui la dimensione della cura rende operativamente e culturalmente il sopravvento su quella della sorvegli, disinnescando almeno in parte la minaccia spesso associata al self- tracking > il lato negativo coincide con una sempre più progressiva cessione del proprio fare decisionale > Outsourced Self per Arlie Russel Hochschild L’intensificazione contemporanea dei processi di esternalizzazione mediale del sé non si limita a consegnare al soggetto nuovi e più numerosi strumenti e occasioni per raccontarsi, ma questo incessante lavoro di scrittura rappresenta anche un luogo emblematico di ripensamento del rapporto tra soggetto, immagine e media, e di riflessione sul significato stesso della digitalitá in quanto condizione esistenziale, non solo operativa. Questi aspetti fanno dell’autoritrattismo contemporaneo un caso di studio esemplare nella cultura visuale contempo, ma anche una preziosa testimonianza dell’antico insieme sempre sorprendente farsi immagine del soggetto.
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