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Riassunto de ''I Balcani. Civiltà, confini e popoli'', Sintesi del corso di Storia dei Paesi Balcanici

Il testo è un riassunto completo e molto dettagliato del testo di Egidio Ivetic ''Balcani. Civiltà, confini e popoli''.

Tipologia: Sintesi del corso

2021/2022

In vendita dal 23/06/2023

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Scarica Riassunto de ''I Balcani. Civiltà, confini e popoli'' e più Sintesi del corso in PDF di Storia dei Paesi Balcanici solo su Docsity! PREMESSA Jovan Cvijic (1865-1927) fu il primo ‘’balcanologo’’, o ‘’balcanista’’, termine con il quale indichiamo colui che si dedica a capire e a conoscere i Balcani, a definirli secondo i parametri scientifici e culturali della propria epoca. Nella casa-museo dedicata a Cvijic a Belgrado è presente, nella sala da pranzo, una grande mappa geografica dell’area balcanica, dove sono annotati gli anni dei viaggi che lo studioso serbo compì nell’area tra il 1888 e il 1925. Il senso della carta, corredata con fotografie e immagini, secondo l’autore è quello di voler ribadire l’importanza del viaggio, del contatto diretto con la popolazione locale, per studiare i Balcani. Questi ‘’presumono qualcosa di più della freddezza analitica dello scienziato’’; si pensi agli studi dell’esperto di Islam nei Balcani Sasa Popovich, secondo cui era indispensabile parlare con gli anziani seduti nelle piazze dei villaggi. Studiare i Balcani significa insomma ricercare dei frammenti di un mondo che sta scomparendo. I Balcani sono diventati tali attraverso la sovrapposizione della civiltà ottomana a quella bizantina, contrapponendosi dal Medioevo al Novecento con l’Europa cattolico-occidentale. Volendo offrire una periodizzazione, possiamo indicare quattro fasi della storia balcanica: 1) L’Antichità nel segno omologatore e unificatore di Roma (I-V secolo d.C.). 2) Il Medioevo e le interazioni tra i regni balcanici (Serbia e Bulgaria) con la realtà dell’Impero Bizantino (476 d.C.-1453). 3) L’età ottomana, avviatasi con la conquista di Costantinopoli e terminata con la vicenda delle due guerre balcaniche (1453-1912). 4) Il Novecento, caratterizzato dalla sperimentazione delle diverse modernità (1912-1989). 5) La fase attuale. I Balcani vengono considerati un’espressione specifica dell’Europa meridionale, in quanto sarebbero uno dei tre ‘’meridioni europei’’; non sono dunque, come vogliono cliché statunitensi e francesi, ‘’Europa orientale’’ o ‘’Sud-Est dell’Europa centrale’’. Essi sono di fatto inseriti all’interno dell’orizzonte mediterraneo, che ha lasciato molte tracce nel mondo balcanico (si pensi all’influenza esercitata da Bisanzio e dagli Ottomani). I Balcani e il Mediterraneo condividono molti aspetti simili: in entrambi si confrontano fedi diverse per esempio; questo aspetto di compresenza di civiltà era sottolineato già da Traian Stoianovich. I Balcani ancora oggi risentono molto dell’essere stati zona liminale dell’imperialismo euroasiatico (tedesco, austriaco, russo e ottomano). Tuttavia oggi i Balcani sono coinvolti come parte europea all’emergere di una nuova centralità dell’area che dalla Cina arriva all’Egitto, e che comprende Russia, Afghanistan, Iran, Siria e Giordania. A vent’anni dai bombardamenti della NATO su Belgrado i Balcani possono apparire come una delle tante periferie sconfitte dall’Occidente, tuttavia ancora oggi essi rimangono un crocevia di interessi e di calcoli geopolitici. Di ciò sono coscienti i ceti dirigenti dell’opinione pubblica locale, che insistono oggi sulla varietà e differenza culturale balcanica, non sentendosi dunque frustrati dall’essere stati esclusi da quella che l’autore definisce ‘’l’Europa che conta’’ (riferendosi al periodo compreso tra il Rinascimento e la stagione dell’Illuminismo). Turquie d’Europe’’). Il termine ‘’Balcani’’ venne coniato invece dal geografo tedesco August Zeune (1778-1853) nel 1808; egli riteneva che il Balkan (‘’montagna’’ in turco), la catena che si trova in Bulgaria fosse un tutt’uno con la catena dei monti Dinarici, che arrivavano fino a Trieste e Gorizia. Questo errore divenne regola sino dal 1880 in poi, quando subentrarono i concetti di ‘’Balcani’’ ed ‘’Europa sud-orientale’’, prova di ciò è il fatto che esso venne accettato anche dal geografo serbo Jovan Cvijic, che parlò di ‘’penisola balcanica’’. Questa improbabile espressione (il territorio sarebbe infatti più largo che lungo) ha forse avuto successo poiché anche gli altri due meridioni, Italia e Spagna, sono penisole; oggi il termine ha assunto però numerosi significati storici e culturali. Chiamiamo Balcani un’area che nel Medioevo era frammentata tra aree slave e aree bizantine, che venne unito amministrativamente solo dagli Ottomani. Nacque così la ‘’Rumelia’’, la terra dei ‘’Rum’’, dei Romani/cristiani, che nel Settecento sarebbe stata chiamata per l’appunto ‘’Turchia in Europa’’. I Turchi ripristinarono le strade romane, urbanizzarono le valli deserte, ricomponendo così una terra, su cui venne imposta la centralità di Istanbul (‘’A Stambol’’, letteralmente ‘’sul Bosforo’’) come capitale politica e religiosa e di cui omogeneizzarono i ceti dirigenti e le economie. I Balcani vennero così proiettati verso l’Ungheria e Vienna, divenendo così un avamposto di attacco e di difesa in cui l’eredità bizantina si unì ai secoli della civiltà ottomana. I tre meridioni d’Europa sono dunque complessi, ma allo stesso tempo indefiniti; relazionarsi ad essi significa andare oltre l’apparenza e arrivare ad un terzo livello di comprensione, quello della verità, ed infine ad un quarto, quello della disillusione. Se in Spagna e in Italia questi furono coperti dall’omologazione cattolica e nazionale, questo non si può dire per i Balcani, dove il permanere delle contrapposizioni religiose, dell’importanza attribuita ai clan e il ruolo del familismo continuarono (e per certi versi continuano) ad avere grande importanza. Il Mediterraneo (quello dell’Atlante e della Calabria) di fatto continua dentro i Balcani, che di fatto rispetto ad Italia e Spagna restano ancora oggi più isolati e defilati. I Balcani non sono presenti nei manuali canonici sulla storia moderna d’Europa, quelli che trattano dunque del periodo compreso tra il 1500-1850. L’interesse è per le scoperte geografiche, il rapporto Europa-mondo, le lotte e le dispute religiose, la nascita dello Stato, la Rivoluzione Industriale e la nascita dello Stato moderno. In questi manuali i Balcani sono solo accennati, soprattutto perché gli Ottomani non contribuirono all’emergere della Modernità; solo l’islamizzazione dei Balcani sembra oggi degna di menzione nei testi più aggiornati, soprattutto in parallelo alla de-islamizzazione della Spagna. Il destino di ciò che è al confine di qualcosa è dunque proprio quello di non essere qualcosa; anche la prospettiva prodotta dall’ottomanistica non appare poi tanto piacevole, in quanto anche essa condanna i Balcani ad essere solo l’Oriente d’Europa. I Balcani, che hanno un loro percorso storico, divennero tali solo durante la lunga dominazione ottomana, tra il fatidico 1453 e il biennio 1912-1913. Nei Balcani occidentali, tra Adriatico e Danubio, si incontrarono in maniera assolutamente originile la cristianità cattolica, quella ortodossa e l’Islam: Venezia, Asburgo e Ottomani si affrontarono ripetutamente lungo questo complesso limes. Fu in quest’area che Europa e Oriente tracciarono i loro confini, e fu proprio in risposta a questa relegazione a periferia che nacque carica di volontà egemonica la Jugoslavia (‘’Slavia meridionale’’). I termini ‘’Balcani’’ e ‘’Europa Sud-orientale’’ non sono intercambiabili, né sono sinonimi. Il termine Europa Sud-orientale nasce in riferimento alla Mitteleuropa, l’Europa centrale di stampo culturale tedesco (o almeno così era al tempo in cui questa espressione fu coniata, intorno al 1840-1850) in cui sono raggruppate popolazioni e regioni poste a Sud-Est dello spazio storico e culturale tedesco (ovvero a Sud-Est del Sacro Romano Impero prima e della Confederazione Germanica del 1815-1866 poi). La Mitteleuropa comprende dunque anche le odierne Ungheria, Slovacchia, Slovenia e Repubblica Ceca; l’Europa Sud-orientale arriva oggi a comprendere anche la Moldavia e la Romania, ma a volte è ascritta ad essa anche la Slovenia. A differenza della Spagna e dell’Italia i Balcani non hanno un preciso confine settentrionale, infatti non ci sono rilievi che demarcano la regione. Quando nel 1918 i costituì la Jugoslavia, la Slovenia, il paese più a Nord, divenne il confine dei Balcani, tuttavia i Balcani propriamente detti sono situati tra i corsi fluviali Danubio-Sava-Kupa e sono delimitati dai mari Ionio, Adriatico, Egeo, di Marmara e Nero. Questo spazio ha una superficie di 474.351 km2 e una popolazione di circa 41 milioni di abitanti (contando anche la parte europea di Istanbul), numeri che sono inferiori in entrambi i casi a quelli della sola Spagna. Qui vi sono addirittura dieci Stati: Croazia, Bosnia ed Erzegovina, Macedonia del Nord, Croazia, Montenegro, Serbia, Turchia, Albania, Grecia, Bulgaria, Kosovo e Romania. Le lingue sono molte (croato/rumeno/serbo/turco/albanese ecc…), mentre sul piano confessionale l’Islam prevale in Albania, Kosovo, Bosnia ed Erzegovina e Turchia; il resto della popolazione segue la fede cristiano-ortodossa, divisa tra la Chiesa bulgara, greca, serba e rumena. Oggi si assiste anche alla formazione di una Chiesa macedone e di una montenegrina; tutte queste chiese autocefale ortodosse riconoscono l’autorità morale del patriarca di Costantinopoli. Si tratta evidentemente della regione più frammentata e complessa d’Europa e del mondo, che ha ricevuto innumerevoli interpretazioni. Una situazione che in Italia, nonostante le secolari divisioni, non si è mai verificata, e lo stesso vale per la Spagna, nonostante la crisi di identità del 1898, che portò alla riflessione ‘’sull’essere Spagna in Europa’’ portata avanti da José Ortega y Gasset e Miguel de Unamuno. Per i Balcani negli ultimi centocinquanta anni i punti di vista esterni si sono sommati a quelli interni. Gli studi sui Balcani nacquero nell’Ottocento, inizialmente commissionati da istituzioni esterne all’area, si pensi al lavoro di Ami Boué, La Turquie d’Europe (1840), considerato il lavoro iniziale per il filone balcanistico. Il nome Turchia venne meno come detto tra il 1870-1880, sostituito da Balcani o Europa Sud-orientale. I primi studiosi si occuparono soprattutto della dimensione linguistica e filologica; nel 1849 sorgeva presso l’Università di Vienna la cattedra di filologia slava. Il filone positivista investì anche il mondo degli studi balcanici, e così nacque presso l’Accademia austriaca delle Scienze a Vienna una Balkan Kommission, che aveva lo scopo, nemmeno troppo velato, di raccogliere informazioni su una regione di grande interesse geopolitico per l’Impero asburgico. Il voler conoscere i Balcani divenne una costante del mondo di lingua tedesca, ancora oggi i migliori esperti dell’area provengono proprio dal mondo tedesco. Tra fine Ottocento e inizio Novecento venne così elaborata l’idea per cui la II) TERRE BALCANICHE Partendo da una citazione del celebre romanzo di Agatha Christie ‘’Assassinio sull’Orient Express’’ è possibile recuperare quello che l’autore evidenzia come un motivo di confusione relativo ai Balcani: cosa geograficamente essi sono. Storici, geografi, illustratori e letterati ‘’hanno visto i Balcani ovunque’’, e questo perché bastava andare al di là del confine austriaco/italiano. L’indeterminatezza geografica dei Balcani rivela molto anche delle difficoltà che si hanno nel conoscere culturalmente e storicamente la regione; a riprova di ciò il fatto che essa sia stata definita ‘’area culturale’’ e non ‘’regione storica’’ (e geografica), cosa che dovrebbero essere. L’idea di area culturale, prodotta nell’alveo degli area studies, emerse in quanto si era evidenziato il fatto che esistesse una ‘’mentalità balcanica’’ comune a tutte le popolazioni che abitano la zona. Si tratta però di una generalizzazione che asseconda le generalizzazioni un pubblico che non conosce, e in questo modo non può conoscere, la storia e la geografia di quest’area. Spesso si tende a considerare balcanica anche la Romania, anche se di fatto l’unica sua regione ascrivibile alla cornice dei Balcani è la Dobrugia (il resto del paese è certamente mitteleuropeo). Ad onor del vero si deve osservare che non è facile definire dove inizino i Balcani, anche se di certo non possiamo sostenere l’affermazione di Metternich, secondo cui essi avevano inizio nella Landstrasse (un celebre quartiere viennese). Il limite di Nord-Ovest è quello più problematico, e questo perché è posto al confine Sud-Est dell’Europa centrale, che senza dubbio è il cuore del continente (si tratta dell’area che va dal Reno all’asse Odessa-Danzica). Il confine settentrionale corrisponde ancora quello proposto dal geografo tedesco Theobald Fischer alla fine del XIX secolo: dalle foci del Danubio sul Mar Nero sino a Belgrado, poi verso le sorgenti di un affluente, il Kupa, poste in Croazia ; da qui si traccia una linea immaginaria che arriva sino al golfo di Fiume. La linea Fiume-Karlovac-Belgrado-foci del Danubio delimita i Balcani a Nord; sul Danubio e il Sava, anticamente frontiere romano-bizantine, vi sono in realtà diversi dibattiti. Il tratto Nord-occidentale è stato molto discusso per la presenza delle Alpi Dinariche, che arrivano sino all’Istria e al Carso triestino; è indiscutibilmente un paesaggio dinarico ance quello della conca di Lubiana. Unita a questa massa calcarea è anche l’Istria, che geograficamente sarebbe una penisola, ma che oggi viene definita come un’isola adriatica. Il Carso, tra Gorizia/Trieste/Fiume, rievoca in effetti i Balcani, tuttavia la sua non è una storia balcanica. Un confine storico è quello collocato tra Fiume e Karlovac, dove è situata la cosiddetta ‘’soglia croata’’. Qui si trova il fiume Kupa, che però fu soprattutto un confine antico, che nell’843 d.C. separava la Croazia dal Sacro Romano Impero, poi questo dall’Ungheria e sino al 1918 le terre austriache da quelle magiare. Questo è stato un confine politico molto sentito: il Kupa fu infatti il limite Sud-orientale del Sacro Romano Impero e fu poi l’antico limes austriaco. Per quanto riguarda la storia della Juguslavia (1918-1991), questa è ovviamente una storia balcanica, visto che il 71% del suo territorio era balcanico. Molto importante guardare anche alla definizione che la geografia italiana del XIX secolo diede dei confini nazionali, che nelle narrazioni tardo- ottocentesche combaciavano con le Alpi Giulie, avendo dunque a Fiume il limite ultimo dell’Italia, che dunque avrebbe confinato coi Balcani. Oggi però prevale un altro tipo di visuale, secondo cui il confine naturale non esiste più; una posizione che però non ci permette di capire dove finisca effettivamente l’Italia ad oriente. Per quanto invece riguarda l’Istria, oggi non la si considera più come italiana, ma si guarda ad essa come ad un’isola adriatica a se’ stante in cui convivono un’anima adriatico-mediterranea e una balcanica (Fiume abbiamo visto è il confine estremo dei Balcani). Oggi la Slovenia e la Croazia ribadiscono la loro appartenenza culturale all’Europa centrale, rifiutando la definizione balcanica. I Balcani sono dunque sospinti alla frontiera tra Croazia e Bosnia-Erzegovina, anche se dobbiamo considerare la Dalmazia come un’area mediterranea, nelle cui aree carsiche, contesto chiaramente balcanico, tra 1699 e 1718 vi era il confine veneto-ottomano. Si potrebbe comunque guardare al Mediterraneo come intera chiave di lettura dei Balcani meridionali ed occidentali, dalla costa montenegrina-albanese fino all’intera Grecia (l’autore parla di ‘’Mediterraneo nei Balcani’’). A ridosso dei fiumi Danubio-Sava-Kupa vi è la fascia di transizione verso l’Europa centrale, una fascia di migrazioni/colonizzazioni/spopolamenti. A Karlovac,Sisak e anche nel Banato si può cogliere l’antica essenza della Pannonia, un’area che è circoscritta dai Carpazi; a Zagabria invece si può sentire un’atmosfera propria delle città polacche. La Pannonia ebbe sempre un rapporto diretto coi Balcani, in primo luogo grazie al Danubio, un fiume con ‘’tre anime’’: una tedesca meridionale (sino a Vienna), una pannonica (sino a Belgrado), una valacca (sino alle sponde del Mar Nero). La natura curiosa del corso del Danubio definisce il confine Nord-orientale dei Balcani, quello che era stato anche il limes romano-bizantino (provincia della Scytia Minor), poi abitato a lungo da popolazioni tartare. Oggi è la regione rumena della Dobrugia, oggetto di contesa tra Bulgaria e Romania tra il 1878 e il 1945. Si tratta di un’area in cui si percepisce la presenza di un confine tra mondi, rievocato molto nella letteratura croata/tedesca e anche nei romanzi di Claudio Magris. La forma dei Balcani appare come una specie di τ (tau) con tre corni: uno verso Fiume, uno verso il Peloponneso e uno verso le foci del Danubio. La linea Fiume-Belgrado-basso Danubio-Mar Nero misura ben 1200km, mentre il tratto balcanico più breve è quello dall’Adriatico al Mar Nero, di 650km. La distanza tra Valona e Istanbul, che passa per Salonicco, misura 800km: si tratta dell’antica Via Egnatia, che da Durazzo arrivava a Costantinopoli passando per Tessalonica. Per quanto si voglia guardare ai Balcani come ad un nesso tra Occidente e Medio Oriente, di fatto essi sono una regione isolata, circumnavigata dal Danubio. I Balcani hanno due connotazioni storiche fondamentali (che però non valgono per Croazia del Nord, Romania, Moldavia e Vojvodina, Serbia): la prima è la vicenda bizantina, che ha esercitato una sovranità diretta nel VI e nel XI-XII secolo. La seconda connotazione storica è rappresentata dall’Impero Ottomano, che ha qui dominato per quasi cinquecento anni, introducendo l’Islam e il diritto coranico (sharia), motivo per cui oggi esistono intere nazioni musulmane. balcaniche. La Grecia è senza dubbio un paese mediterraneo e balcanico, anche se secondo Cvijic solo la Grecia continentale (dai promontori del Peloponneso alla Calcidica) sono ascrivibili ai Balcani. Una questione che ha tormentato molto storici riguarda la grandezza della componente mediterranea nei Balcani. Grandi storici del Mediterraneo come Braudel, Horden e Purcell alla fine hanno collocato i Balcani nel ‘’mondo mediterraneo’’, e in effetti secondo l’autore si potrebbe considerarli una sorta ti ‘’entroterra mediterraneo’’. Nei Balcani è presente anche un pezzo di Turchia, che guarda all’area come ad una sua parte storica. Istanbul/Costantinopoli è stata la capitale dei Balcani per secoli, dal IV secolo d.C. sino all’inizio del Novecento. Al promontorio del Bosforo si contrappone l’altra capitale dei Balcani, Belgrado, fortezza situata sulla giuntura tra i fiumi Danubio e Sava; nel testo si parla di una contrapposizione tra Santa Sofia (Istanbul) e i Kalemegdan (la fortezza di Belgrado). I Balcani evocano in qualche modo le montagne: un ambiente in cui si è conservato sino ad oggi un diritto antico e consuetudinario, come quello che sopravvive tutt’oggi nell’Albania settentrionale (il Dukadjin). Per secoli vi fu poi la letteratura popolare, tramandata oralmente tramite aedi e cantori locali. L’Adriatico orientale è contraddistinto da una sorta di muraglia: prima vi è il Carso, poi i 140km del Velebit (che delimitano la Dalmazia, su cui soffia la bora) e infine la dorsale centrale dei Dinaridi, che connota il Montenegro. I monti si perdono poi sul versante albanese, per ritornare poi più ‘’oscuri’’ nell’Epiro. Monti abitati da popoli antichi, che immediatamente rievocano in noi le pagine del poema nazionale montenegrino, Il serto della montagna (1847), scritto da Petar Petrovìc Njegos (1813-1851). Nell’incipit dell’opera immediatamente si descrive una scena in cui i clan montenegrini sono riuniti attorno ai fuochi del monte sacro Lovcén: tutti dormono tranne il ‘’vladika’’, il vescovo-conte Danilio, che riflette sulla sorte del suo popolo soggiogato dai Turchi. Le parole di Njegos riescono a rievocare in noi tutta la forza di alcuni concetti come la famiglia, l’εθνος, la fede ortodossa, l’orgoglio, il coraggio, la virilità. Questi valori si contrappongono ad un’immagine di Venezia come realtà falsa e opposta alla purezza degli uomini della montagna. È innegabile in effetti che tra le città veneziane della costa, come Cattaro, e le realtà di villaggio dell’entroterra vi era una differenza enorme, nonostante vi fossero solo pochi km di distanza. Alla montagna vengono spesso contrapposte le valli, specialmente quelle situate lungo il corso dei fiumi, dove si svilupparono i ‘’Balcani ottomani’’. Le pianure sono spesso nella regione i raccordi con i mondi esterni: una sorge a ridosso del Sava e del Danubio, una nel cuore della Bulgaria, un’altra è posta verso il Bosforo. La Tessaglia e la Tracia sono per lo più pianeggianti, mentre il Kosovo è un altopiano circondato dai monti da cui nascono i fiumi diretti verso l’Adriatico e l’Egeo. Nell’estremo sud vivono i Gorani, una popolazione musulmana di lingua serba che vive tra gli Albanesi; i Gorani furono protagonisti, negli anni Sessanta del secolo scorso, di un documentario in cui sembravano realmente ‘’usciti dai tempi arcaici’’. La percezione di qualcosa di arcaico emerge anche in Dalmazia, nelle doline carsiche dell’Erzegovina e nel Montenegro, soprattutto nel Santuario di San Basilio di Ostrog a Sveti Vasilije Ostrozki. Il vero cuore spirituale dei Balcani è però il Monte Athos, uno Stato monastico autonomo che sorge sul braccio più orientale della Calcidica. L’Antichità emerge un po' ovunque (ma soprattutto in Grecia), mentre il retaggio bizantino si avverte soprattutto nei monasteri ortodossi, presenti in tutta l’area balcanica (dalla Croazia alla Bulgaria, anche se in Serbia ve ne è un numero impressionante). Le città balcaniche rievocano invece l’età ottomana: Sarajevo, Mostar, Prizren, Novi Pazar, Kastoria, Adrianopoli. Costantinopoli/Istanbul presenta invece entrambe le anime: Bisanzio nel corpo, Istanbul nei minareti. III) IL TEMPO BIZANTINO Bisanzio non ha un Medioevo, quella che noi chiamiamo ‘’storia bizantina’’ è in realtà storia dei Romani d’Oriente, che si conclude solo con il 1453, anno della conquista turca. Lo storico Georg Ostrogorsky (1902-1976) ha spiegato come gli elementi che caratterizzavano l’Impero erano lo Stato romano (quella che noi chiamiamo ‘’Romanità’’), la Fede Cristiana e la cultura greca. Dal VII secolo d.C. prevalse però la lingua greca, tuttavia la ‘’grecità’’ non ebbe mai a che fare con l’Impero d’Oriente. Di fatto fintanto che vi fu una Costantinopoli il dominio romano e la romanità aleggiarono sui Balcani. Non si può pensare a Bisanzio come ad un momento a parte rispetto alla storia di Roma, tuttavia a lungo è stato così, almeno a partire dal XVI secolo: lo storico luterano Hieronimus Wolf (1516-1580) nel 1555 parlava di ‘’Byzantium’’ per riferirsi all’Impero d’Oriente. Una Bisanzio bizantina era però la formula migliore per il mondo occidentale, che voleva differenziarsi dalla civiltà bizantina per presentare se’ stessa, anche se si dovrebbe riferire questo atteggiamento in primo luogo alla Chiesa cattolica, come diretta erede di Roma. Questa differenza fu alimentata anche dalla contrapposizione tra Bisanzio e il Sacro Romano Impero: una dicotomia che ha aiutato a costruire l’idea di un Occidente europeo e un Oriente slavo e ortodosso di derivazione bizantina, in cui sono incluse anche la Russia e la Romania. Per le popolazioni slave, specie nel X e nell’XI secolo, ‘’Vizantija’’ (Bisanzio) è stata fondamentale per l’elaborazione di una particolare declinazione slavo- ortodossa/bizantina di Cristianità, priva di legami con l’antichità classica e il passato romano. Il patriarcato di Costantinopoli dopo il 1453, sotto il dominio ottomano, divenne un patriarcato greco, portatore di un’identità greca e referente per quei pochi Greci rimati a Costantinopoli e radunati nel quartiere del Fanar. fu un tracollo, mentre nelle coste il potere romano rimase solido. A Nord dei Balcani si formò il Khanato degli Avari, distrutto poi da Carlo Magno, mentre sull’Illirico e della Dalmazia non abbiamo certezze per il VI e il VII secolo d.C. Un’ulteriore novità fu l’arrivo dei Bulgari, una popolazione di origine turcomanna che si fuse con l’elemento slavo che nel 681 d.C. costituì uno Stato tra i monti Balcani e il Mar Nero che venne riconosciuto dall’imperatore Costantino IV (668-685 d.C.) nel 681 d.C. Il cosiddetto Primo Impero Bulgaro durò fino al 1018, anno in cui il potere bulgaro venne distrutto dall’imperatore Basilio II (976-1025); in precedenza i Bulgari, convertitisi al Cristianesimo nell’865-866 d.C. sotto Boris I, erano riusciti anche ad occupare anche l’area della Macedonia. La conversione dei Bulgari fu lo straordinario risultato raggiunto da uno dei discepoli dei Santi Cirillo e Metodio (827-869 d.C. e 825-885 d.C.), San Clemente, che sviluppò ad Ocrida la liturgia slava ortodossa che ebbe fortuna in tutti i Balcani e si estese fino alla Russia di Kiev. Ad Ovest si stanziarono le popolazioni serbe, riconosciute come tali nell’VIII e nel IX secolo d.C. Queste erano stanziate presso l’Adriatico, dai fiumi Cetina e Narenta; i centri principali erano Pagania, Zahumlje, Travunia e Rascia (il cuore storico della Serbia). Da ciò che rimaneva della Dalmazia romana si costituì la Croazia, vassalla dei Franchi. Le prime notizie certe sui Croati risalgono all’XI secolo; essi, per quanto accettarono la scrittura glagolitica e la liturgia cirillica, furono da sempre più vicini alla Chiesa di Roma. I Serbi invece, anche se più tardi, accettarono l’ortodossia: la chiesa di San Paolo a Ras (odierna Novi Pazar), della metà del X secolo d.C., testimonia questo passaggio. Lo Stato bulgaro fu il centro di una prima cultura slavo-bizantina: l’apogeo politico fu raggiunto al tempo degli zar Boris I (852-889 d.C.) e soprattutto Simeone I detto il ‘’Grande’’ (893-927 d.C.). Al tempo di Simeone I lo Stato bulgaro raggiunse anche le coste adriatiche. La liturgia slavo-bizantina, elaborata da Cirillo e Metodio, si diffuse in tutto l’Impero e arrivò sino alla Russia di Kiev. Al tempo dello zar Samuele (987-1014) il centro del potere bulgaro si spostò verso la Macedonia, tuttavia in seguito alle campagne di Basilio II, detto il ‘’Bulgaroctono’’ la Bulgaria venne annessa al dominio bizantino. Sotto Basilio II l’Impero raggiunse la sua massima estensione medievale: esso andava dall’Eufrate al Danubio, dall’Armenia all’Adriatico. Gli Slavi prevalsero in tutti i Balcani, persino nel Peloponneso, dove rimasero la maggioranza sino all’VIII secolo d.C.; Bisanzio recuperò a se’ solo le regioni marittime. Con l’introduzione dei θεματα (‘’themata’’) si avviò però la riorganizzazione militare e amministrativa dell’Impero; se nel VII secolo d.C., a parte Tessalonica (Salonicco), Bisanzio possedeva solo due themata nei Balcani: la Tracia e l’Ellade (Grecia classica). Questa situazione restò immutata sino alla fine dell’VIII secolo d.C., quando si aggiunsero il thema di Macedonia e quello del Peloponneso; nel corso del IX secolo d.C. sarebbero sorti anche il thema di Nicopoli (Epiro), uquello di Durazzo (Albania meridionale), di Cefalonia (Isole Ionie), di Dalmazia (città e isole). Il mare era l’unica via di comunicazione e, dopo la caduta dell’esarcato di Ravenna (751 d.C.), le Venezie divennero il punto estremo del dominio bizantino. Nei litorali bizantini vi fu un recupero della grecità, come lingua e cultura sociale: nel X secolo d.C., tra Costantinopoli e Durazzo, prevaleva il greco. La slavizzazione della Dalmazia bizantina fu un processo molto lungo, che andò da meridione a settentrione. L’Adriatico fu dunque un mare bizantino e latino, solo le comunità dei Narentani (Serbi) e dei Croati si contrapposero a Venezia, che intorno all’830- 840 d.C. era subentrata come forza navale sussidiaria dell’Impero nell’area. Alla morte di Basilio II nel 1025 l’Impero aveva raggiunto come detto il proprio apogeo medievale, potendo infatti contare sull’egemonia nei Balcani e in Asia Minore. In più c’erano la Crimea, la Puglia e la Calabria e tutto l’arcipelago delle isole adriatiche/egee assieme a Cipro. All’inizio dell’XI secolo sorgevano il thema di Paraistrion, l’antico limes danubiano fortificato da Giustiniano, e il thema di Bulgaria, che corrispondeva invece alla Macedonia settentrionale. Sulla Croazia il controllo fu invece sporadico tra il XI e il XII secolo, solo dal 1102 l’area, antico confine del mondo carolingio, smise di essere una realtà autonoma. L’estremità occidentale bizantina fu dunque adriatica e marittima, compresa tra la Venezia e la Dalmazia. Questa regione Nord-occidentale dei Balcani fu dunque uno dei confini del mondo carolingio: con il trattato di Verdun (843 d.C.) essa divenne il confine Sud-orientale del dominio di Ludovico il Germanico, uno dei figli di Ludovico il Pio. Nella zona della Carniola e della Stiria trovavano il loro limite anche due grandi centri della cristianità latina: Aquileia e Salisburgo, due centri di irradiamento del Cattolicesimo. La Croazia era dunque rimasta una realtà indipendente tra l’820 d.C. e il 1102; rimase a lungo una realtà cuscinetto tra il Sacro Romano Impero e l’Impero Bizantino. Il centro principale era Nona, luogo da cui partì il processo di conversione al Cattolicesimo. La Bosnia comincia a comparire nelle fonti dal X secolo d.C., e lo stesso vale per ‘’Arbanon’’ (l’Albania). La Bosnia divenne vassalla di Costantinopoli (1014), in seguito passò sotto il controllo del bulgaro Costantino Bodin alla fine dell’XI secolo, signore di Dioclea o Zeta, e in seguito raggiunse una piena autonomia. La Croazia fu resa vassalla di Bisanzio al tempo di Basilio II, divenendo regno nel 1056 sotto il patronato del pontefice romano. Nel 1102 la corona croata passò nelle mani della dinastia ungherese degli Árpàd: gli Ungheresi riuscirono in breve tempo a conquistare Traù, Spalato e Zara (1105-1107), e in seguito raggiunsero anche la Bosnia (1136). Bisanzio ottenne la propria rivincita sugli Ungheresi tra il 1167-1180, quando ottenne nuovamente il controllo sulla Bosnia e la Dalmazia. Questo secondo dominio bizantino fu però effimero; già nel 1181-1183 gli Ungheresi, sostenuti dal capo bosniaco Kulin, riuscirono a riprendersi l’area. In Serbia invece venne nominato ‘’zupan’’ (‘’signore’’) Stefano Nemanja (1117-1199), che riuscì ad approfittare del progressivo ritiro di Bisanzio dall’area. Manuele I Comneno (1143-1180) fu l’ultimo imperatore bizantino a dominare sull’interna area balcanica. Per le compagini politiche balcaniche, oltre all’Ungheria, anche Venezia rappresentò un ostacolo molto duro, tanto per Bisanzio prima, quanto per la Serbia poi. Il Regno d’Ungheria si consolidò prima occupando la Slavonia (la parte slava dell’Ungheria) e poi la Croazia: fu così che la corona magiara divenne il limite politico dei Balcani. Nell’area però è rimasto poco del segno ungherese, se non l’evoluzione di Zagabria , sorta nel 1094 e divenuta città reale nel 1242 con una funzione di Dopo la leggendaria battaglia del Campo dei Merli (1389), nota anche come battaglia del Kosovo, la Serbia fu ridotta ad un semplice principato vassallo degli Ottomani, anche se la battaglia non conobbe di per se’ un vero vincitore (sia il principe serbo Lazzaro che il sultano Murad I morirono nello scontro). Nel 1396 la Bulgaria venne annessa direttamente ai domini ottomani, mentre il principe serbo Stefano Lazarevic fu costretto a seguire il sultano Bayezid I (1389-1402) nella sua campagna contro i Tartari di Tamerlano (1336-1405). La sconfitta e la cattura di Bayezid I aprirono una stagione di crisi per il potere ottomano, una situazione di crisi di cui né i Bizantini né i Serbi seppero approfittare. La nomina di Stefano Lazarevic a ‘’despota’’, massimo titolo al di sotto di quello imperiale, risultò ormai nulla più che una mera formalità; l’Impero era ormai ridotto alla capitale e alla Morea, dove ancora si conservano tracce dell’architettura bizantina quattrocentesca. L’imperatore Giovanni V Paleologo (fasi alterne tra 1341-1391) fu costretto a convertirsi al Cattolicesimo nel 1389 nella speranza di aiuti dall’Occidente, mentre suo nipote Manuele II (1391-1425) fu addirittura costretto a seguire il sultano nella sua campagna contro la città bizantina di Filadelfia in Asia Minore. Costantinopoli venne conquistata il 29 Maggio 1453, la Serbia cadde nel 1459 e nel 1460-1461 anche il Despotato di Morea e l’Impero di Trebisonda, l’ultima sopravvivenza bizantina, cadde in mano ottomana. Il titolo di ‘’despota di Serbia’’ rimase un titolo formale che si avocarono i re d’Ungheria, che così potevano giustificare campagne militari e ambizioni politiche. La Bosnia venne conquistata nel 1463, l’Erzegovina nel 1481; in questo modo gli Ottomani consolidarono il loro dominio sui Balcani centrali. La Zeta, un residuo del Regno di Serbia nelle mani dei Crnojevic, cadde invece nel 1499, venendo associata al sangiaccato di Scutari (parte di questo territorio venne definito dai Veneziani ‘’Montenegro’’). La ‘’Sublime Porta’’ impose il vassallaggio anche al Principati di Valacchia e al Khanato di Crimea nel 1474; il confine con l’Ungheria era presso la Bosnia centrale, mentre quelli con Venezia in Dalmazia, nell’Egeo e in Albania. La caduta di Bisanzio fu un evento traumatico per i Balcani, soprattutto a livello simbolico: la fine dell’Impero rappresentava anche la fine dei conflitti tra Slavi e Romani, che avevano comunque portato ad una simbiosi culturale tra i due elementi. Persa Costantinopoli , rimaneva ancora ciò che essa aveva creato , quello che Ostrogorsky definì il ‘’Commonwealth bizantino’’: una Res Publica spirituale, religiosa e culturale che raggiunse anche la Russia. Bisanzio rimane ancora oggi il grande modello per tutto l’Oriente europeo. Lo scontro romano-slavo si concluse con la comune sconfitta subita ad opera dei Turchi, quindi si può parlare di una parità. Gli Slavi infatti riuscirono a creare un sottosuolo comune in tutti i Balcani, un substrato slavo comune, ma allo stesso tempo la Romanità ha lasciato tracce durature nella concezione artistica e religiosa, oltre che nel modo di guardare il mondo. I Bulgari prima, e i Serbi poi, avrebbero provato a costruire un impero capace di sostituire quello bizantino. Ma la simbiosi bizantino-slava lasciò tracce anche al di là dei Balcani, oltre il limes danubiano. Rispetto all’incostante dominio bizantino, il controllo ottomano sui Balcani fu fin da subito deciso e saldo: l’area divenne il granaio della capitale, ma anche la base di espansione verso l’Europa e l’Italia (presa di Otranto nel 1480). Si parla di ‘’Impero Ottomano’’, anche se sarebbe meglio parlare di ‘’Devlet-i- Osamaniye’’, ovvero di ‘’Stato ottomano’’. Esso non solo intervenne per fondare nuove città, ma riuscì alla fine del XVI secolo, con la presa di Bihac (1592) a completare la conquista dei Balcani: fu così che nacque la ‘’Rumelia’’. IV) LA RUMELIA La ‘’Rumelia’’ fu una terra cristiana dominata dai musulmani, una terra abitata da cristiani nei possedimenti del sultano. Siamo lontani dal concetto di ‘’Turchia in Europa’’ che sarebbe emerso nel corso del Seicento. In realtà molti cristiani erano presenti anche in Anatolia: tutta la costa Ovest era abitata dai Greci, mentre quella interna/orientale era abitata da Armeni; tuttavia questa terra era percepita dagli Ottomani come qualcosa di proprio, un ‘’Heimat’’, differente dalla Rumelia. La Rumelia fu una costruzione ottomana, divenuta alla morte di Solimano il ‘’Magnifico‘’(1520-1566) una parte integrante del ‘’Devlet-i-Osamaniye’’, lo Stato ottomano, detto anche ‘’Sublime Porta’’ dagli Europei. Nel 1453, anno della presa di Costantinopoli, erano già quasi secoli che i Turchi Selgiuchidi avevano occupato l’Anatolia centrale (dalla battaglia di Mantzikert del 1071). La prima turchizzazione dell’Anatolia avvenne dunque grazie ai Selgiuchidi, ma rispetto a questi ultimi gli Ottomani furono qualcosa di differente. Secondo alcune fonti furono i Bizantini ad incoraggiare i Turcomanni al seguito dell’Orda d’Oro a stabilirsi alle frontiere del Sultanato turco di Iconio, e questo alla metà del Duecento. Nel Trecento sarebbe emerso poi il ‘’beylik’’ di Osman (1299-1326), il nucleo fondatore dello Stato ottomano. Simili ai Selgiuchidi, ma diversi nella lingua, inizialmente gli Ottomani dialogarono con questi grazie alla mediazione dei Selgiuchidi cristianizzati, prosperando invece grazie alla pastorizia. Al tempo di Osman gli Ottomani riuscirono ad imporsi sui loro avversari portando dalla loro sia parte dei Selgiuchidi che dei cristiani desiderosi di fare bottino. Di vittoria in vittoria si costituì una comunità alla quale si aggregarono uomini di lettere e di fede; fu così che nacque il popolo ottomano. Tra il 1703-1784 l’Arcipelago fu sotto il diretto controllo del sultano; dopo l’ indipendenza greca (1829-1830) questo rimase però di fatto privato della Morea e dell’Ellade. L’Arcipelago fu dunque una compagine amministrativa a se’, una Grecia nello Stato ottomano. Un incarico molto importante era quello di ‘’dragomanno della flotta’’, creato nel 1701 e ricoperto forse da Greci provenienti da un greco fanariota, ovvero residente dal quartiere del Fanar. Il dragomanno era in primo luogo un interprete, un conoscitore di lingue, soprattutto dell’italiano, lingua diplomatica per eccellenza nell’Impero. Con la conquista dell’Ungheria (1552) venne costituito l’elayet di Buda, il cui territorio riguardava quasi tutta la pianura pannonica; da questo nuovo elayet venne separato poi l’elayet di Timisoara. Nel 1600 venne costituito l’elayet di Kanisza, al confine con l’Ungheria degli Asburgo. I domini ungheresi rimasero in vita sino al 1686, quando avvenne la conquista asburgica, scaturita dopo il fallimentare assedio di Vienna (1683); differente la vicenda del sangiaccato di Belgrado, scomparso dopo la presa asburgica della Serbia (1718-1739). La Bosnia venne separata dalla Rumelia ed elevata ad elayet nel 1580, nel 1600 nacque invece l’elayet di Silistra, odierna Dobrugia, (residenza del pascià sul Danubio) in Bulgaria. Questo elayet divenne una zona di confine, in primo luogo rispetto al Khanato di Crimea, ma in seguito sarebbe stato allargato anche alla costa bulgara e al basso corso del Danubio. All’anno 1600 il 90% dei Balcani era in mano ottomana, suddivisi negli elayet di Bosnia, di Rumelia e dell’Arcipelago; il sangiaccato di Smederevo rientrava invece nell’elayet di Buda. Venezia possedeva le coste e le isole dalmate, compresa Cattaro, le isole Ionie (eccetto Leucade) e l’avamposto di Butrinto di fronte a Corfù. Si considera veneziana anche la Repubblica di Ragusa, che formalmente era però tributaria degli Ottomani. Questa geografia rimase immutata sino al Settecento: l’Ungheria ottomana sparì tra il 1686 e il 1699, mentre la Bosnia rimase in piedi. Nella Rumelia del Quattro-Cinquecento, come in Anatolia, si assistette al consolidamento dello Stato ottomano, che era fondato su due pilastri giuridici: la sharia, la legge coranica ispiratrice prima dello Stato, e l’adattamento ottomano ai diritti consuetudinari (fiscali, penali ecc..) locali. Fiorirono nei Balcani le scuole coraniche, da cui si originava il ceto preposto allo studio e all’interpretazione, gli ‘’ulema’’, che pur avendo la preminenza su molte questioni non rispondeva a tutte le esigenze. Sotto Maometto II avvenne la compilazione del ‘’kanuname’’, l’insieme d leggi dedicate al diritto penale, al regime fiscale, doganale, ai mercati, ai porti e allo status dei sudditi. Il sultano, in quanto sceicco dell’Islam, aveva il diritto di interpretare a seconda delle esigenze il diritto coranico. I sudditi dello Stato ottomano erano di due categorie: i musulmani (a cui andava il privilegio di accedere ai ruoli di governo) e i non-musulmani, che riconoscevano entrambi la volontà divina che muoveva il sultano. Il vertice della società ottomana era rappresentato dalla classe dirigente, rappresentata da: ufficiali preposti alle varie unità amministrative (elayet, sangiaccati e nahiye); militari o ‘’askeri’’; membri dell’ulema, teologi e giureconsulti. Questa terza categoria era composta da: ‘’mufti’’, teologi, e predicatori preposti a moschee e monasteri; ‘’muderris’’, responsabili delle istituzioni scolastiche (‘’madrase’’); ‘’kadi’’, i giudici, che sotto di se’ avevano un ‘’kadilik’’, un distretto giudiziario. Al di sotto di questo ceto dirigente vi era la ‘’raya’’, la popolazione comune, che doveva reggere tutto questo sistema pagando i tributi allo Stato. Per riassumere: non c’è autorità sovrana senza militari; non ci sono militari senza benessere; la raya produce il benessere; il sultano è garante della raya grazie alla giustizia che emana; la giustizia richiede armonia; il mondo è un giardino le cui mura sono lo Stato; il proposito dello Stato è il diritto religioso; il diritto religioso è l’autorità sovrana, ovvero il sultano. Sotto Maometto II Istanbul divenne la capitale di un impero grande come quello di Basilio II, il cui cuore era il palazzo imperiale, il Topkapi, situato all’ingresso del Bosforo. Al suo interno risiedeva il microcosmo dei funzionari, cavalieri (‘’sipahi’’), eunuchi, custodi dell’harem, emissari, corpo dei giannizzeri. Da qui il sultano governava il suo Stato, il cui massimo organo esecutivo era il consiglio di Stato, il ‘’divan’’, a cui partecipavano, oltre al sultano e al gran visir, altri quattro visir: due ‘’defterdar’’, economi (uno per la Rumelia e uno per l’Anatolia) e due ‘’kadi asker’’, i capi della giustizia a cui erano sottoposti i kadi. Vi era poi il nisanci, il capo dell’amministrazione e interprete normativo, che sovrintendeva al rilascio dei vari atti. A quest’ultimo era subordinato il capo della cancelleria, il ‘’reis-ul-kuttab’’, che era il preposto agli affari esteri. Il sultano teneva molto in considerazione il parere dei mufti e degli ulema in materia religiosa e del diritto coranico; l’ultimo sultano a presiedere il divan fu Maometto II. Solo dal 1535 al divan ebbero accesso anche il kapudan pascià, il grande ammiraglio, e l’aga, il capo dei giannizzeri Il consiglio emanava decreti (‘’firman’’), nomine (‘’berat’’) e accordi (‘’ahdname’’), tipi di documenti che scandiscono la storia dell’Impero. Fino alla conquista dell’Egitto nel 1517 vi erano due parti amministrative nello Stato, la Rumelia e l’Anatolia, denominate beylerbelik poiché ciascuna di esse era governata da un ‘’beylerbey’’, un governatore. Ogni elayet aveva i suoi sangiaccati, a capo dei quali vi erano i capi militari, i sancak bey, che si occupavano anche delle attività economiche e dell’amministrazione delle città. Al di sotto dei sancak bey vi erano i ‘’subasi’’, responsabili dei distretti. Nel corso del Cinquecento le istituzioni giudiziarie si organizzarono a partire dalla rete dei kadilik, le circoscrizioni di competenza dei giudici (i kadi), e delle nahiye. Il potere amministrativo ottomano si fermava proprio al livello di nahiya, cosa che dunque lasciava margine al governo locale. La terra era invece suddivisa in tre categorie: il ‘’miri’’, la proprietà dello Stato (quindi del sultano); il ‘’mulk’’, la proprietà privata; i vafq o vakif/vakuf, le proprietà delle fondazioni pie. La moneta ufficiale era l’akce, l’aspro d’argento, anche se circolavano molto anche le monete non ufficiali, come quelle veneziane e ungheresi in oro e argento. Le crescenti spese dello Stato imponevano un sistema fiscale, molto efficiente se paragonato ai corrispettivi europei. I non-musulmani dovevano pagare un’imposta personale, la ‘’cizya’’, o ‘’kharac’’, per ottenere la protezione del sultano; si tratta di un tributo riscosso con puntualità e quindi molto documentato. I defterdar, che redigevano i rendiconti delle kharac, hanno lasciato numerose descrizioni analitiche sulla situazione demografica e tributaria; si tratta della fonte più frequente per il mondo ottomano. In generale le fonti ottomane eccellono per la quantità, un’eccellenza che ha come contrappeso la povertà di fonti narrative, cosa che ha costretto ad utilizzare le relazioni veneziane. V) IL SISTEMA OTTOMANO La crescita urbana dei Balcani dimostra che il sistema ottomano funzionava. L’amministrazione turca distingueva i centri abitati a seconda di grandezza e funzione in: città (sehir), cittadine o borghi (kasaba), mercati (bazar) e villaggi (karye). Nel Duecento/Trecento in Serbia non si parlava di città, ma solo di castelli, monasteri, villaggi e borghi; questo ci testimonia come la civiltà balcanica fosse ridotta all’essenziale; solo le strade verso l’Adriatico mantennero una certa rilevanza, mentre le comunicazioni trasversali, tra Rascia e Bulgaria per esempio, erano molto ridotte. Gli Ottomani restaurarono la viabilità romana, si pensi alla cosiddetta ‘’strada imperiale’’ Istanbul-Adrianopoli-Plovdiv-Sofia-Nis-Belgrado, ma anche all’importanza assunta dall’asse Belgrado-Salonicco. Anche il fiume Sava assunse un’importanza che in precedenza non aveva, ora invece era divenuto raccordo tra gli elayet di Kanisza, Buda e Bosnia. Gli Ottomani costruirono anche nuove città, come Sarajevo, o ne potenziarono altre già esistenti, come Belgrado, Skopje e Adrianopoli. Dopo Istanbul, che all’inizio del Seicento raggiunse i 500.000 abitanti, la più grande città dei Balcani era Salonicco. La città ottomana era un insieme di comunità, mahale, distinte in senso religioso e sociale (vi erano le mahale dei musulmani, dei Greci, dei Serbi ecc.). La città, con le sue vie intricate (carsi), era il centro delle attività artigianali organizzate in corporazioni (esnaf), ognuna con il proprio spazio. Nel cuore della città non vi erano piazze come in Occidente, bensì edifici come moschee, alberghi per commercianti e scuole coraniche. In ambito architettonico è ancora oggi aperta la questione sul quanto l’edilizia balcanica sia ottomana o post-bizantina. Il modello era quello del cortile chiuso, con cucine e servizi esterni, e le stanze dell’appartamento al piano superiore. I più ricchi avevano anche stanze per gli ospiti , un piano verande , un’ampia ùstanza principale e la parte per le donne (l’harem). La città balcanica, ottomana in tutta la sua forma, è molto simile alla città anatolica, e così rimase fino alla fine dell’Ottocento. Di grande impatto fu sicuramente l’immigrazione di comunità di Ebrei sefarditi dalla Spagna a partire dal 1492: a Salonicco, la più grande città balcanica oltre ad Istanbul, vi era una maggioranza ebraica. La pace ottomana favorì il consolidamento di una rete di relazioni tra grandi mercanti ebrei risedenti ad Istanbul, Alessandria, Ragusa, Venezia, Ancona; fu la comunità ebraica in Bosnia a favorire l’arrivo in Italia di prodotti locali. Favorendo gli scambi commerciali, gli Ottomani riuscirono anche a favorire l’integrazione nei Balcani. L’integrazione fra campagna e città nei Balcani non raggiunse mai però i risultati a cui si era arrivati in Spagna e Italia: la città era tutta artigianato/ istituzioni/scuole/ moschee, mentre i villaggi restarono ‘’sospesi fra le montagne’’ e vincolati all’allevamento e della pastorizia. Nelle campagne il grosso delle terre (80%) era in mano allo Stato, che le assegnava attraverso il sistema del timar, che nel XVII secolo avrebbe conosciuto una feudalizzazione. Nel corso del Quattrocento e del Cinquecento il numero dei sipahi meritevoli aumentò, rendendo impossibile garantire a tutti delle terre, motivo per cui si cominciarono a ricompensare i meritevoli anche tramite titoli e privilegi. Al timar subentrò così il ‘’ciftlik’’, il sistema grazie al quale le terre divennero ereditarie (inizialmente sono in Bosnia, nella zona di Salonicco e nella piana bulgara tra Sofia e il mare), motivo per il quale vediamo alcuni cognomi ancora all’Ottocento. Un ruolo molto importante va anche attribuito alle vafq, le fondazioni pie ottomane, che avevano pochi obblighi tributari e in cui si poteva investire per ottenere ricavi dai beni terrieri che queste possiedevano; le ‘’hass’’ erano invece ciò da cui il sovrano riscuoteva direttamente le entrate. I Balcani furono organizzati soprattutto sulla rete dei sangiaccati: la nuova topografia amministrativa che si venne a creare in epoca ottomana andò di fatto a cancellare il ricordo del passato. Molta rilevanza venne assunta dalla Bosnia, un elayet di confine che al suo interno, oltre ai sangiaccati, aveva anche dei capitanati e alcune istituzioni militari preposte proprio alla difesa del confine (i primi capitanati vennero indirizzati proprio verso la Croazia e la Dalmazia). Tutti i capoluoghi ottomani avrebbero assunto una notevole importanza anche nelle geografie successiva alla Sublime Porta. Anche la Rumelia aveva numerosi sangiacccati, che riuscirono a costituire un sistema amministrativo e sociale in grado di adattarsi molto velocemente alla situazione nei Balcani. Numerose e continue furono le migrazioni, che portarono ad una situazione di rimescolamento etnico: gli Ottomani incoraggiarono per esempio lo stanziamento dei Tartari lungo il litorale pontico, la colonizzazione dei Turcomanni juruk nei vari sangiaccati macedoni. In tutta la Rumelia vi fu poi una notevole mobilità di popolazioni rom, e a loro volta le popolazioni delle montagne bosniache si spostarono a ridosso della Dalmazia, nella Croazia abbandonata dopo il 1540. Dalla Croazia, tra il 1520 e il 1670, vi fu un continuo flusso migratorio prima verso la Dalmazia veneta e poi verso l’Istria veneta e oltre (per quest’ultima si è parlato di una colonizzazione voluta da Venezia, che voleva risolvere il problema dello spopolamento dell’area). Dalla Serbia vi fu invece, tra il 1460-1520, un notevole spostamento verso il Sirmio. Le migrazioni seguirono in sostanza il percorso verso Occidente, e poi anche da Meridione verso Settentrione; lo stesso concetto di Croazia migrò verso Nord, estendendosi così anche verso Zagabria. Questi spostamenti comportarono continue ridefinizioni sul territorio: in Bosnia per esempio si arrivò alla compresenza di Valacchi epirioti e di contadini Serbi. Non abbiamo notizie su possibili rivolte contadine causate da questi spostamenti. Ogni territorio era strutturato tra ciftlik, la terra ereditaria, vafq, un’autorità quasi pubblica, e hass, i beni diretti del sultano/del sancak bey/del capitano. In tutti i Balcani vi erano poi i villaggi dei derbenci, comunità preposte alla cura delle strade, che rispondevano direttamente al sancak bey e che in caso di guerra partecipavano alle spedizioni. Lungo il corso del Danubio e del Sava venne eretto un sistema di difesa a cui erano preposti i martolosi e anche la milizia valacca/morlacca retribuita. Attorno ai forti si sviluppò poi una rete di servizi, dall’approvvigionamento all’artigianato, inoltre i Turchi incoraggiarono la nascita di comunità fluviali, tra la Sava e il Danubio, in quanto utili per la difesa e le comunicazioni. La flotta fluviale aveva sede proprio a Belgrado, ed era costituita da sajkasi e da sajka, lunghe imbarcazioni a remi con un albero e una bombarda. A parte vi era poi il mondo dei contadini, pressoché liberi, e degli allevatori, nomadi o quasi situati nei vasti territori montuosi come Epiro e Rodopi. popolazioni serbo-bulgare, nonostante la creazione di un autonomo esarcato di Ocrida. Al tempo del trentacinquesimo visir, pascià Sokollu (in serbo Sokolovic, 1506-1579), si arrivò alla ricostituzione del patriarcato serbo (1556). Il patriarcato di Péc ebbe un vastissimo territorio, che comprendeva tutta la Serbia, tutta la Bosnia-Erzegovina, l’Ungheria e la Croazia: uno spazio impensabile per l’antica Chiesa serba. Il creatore del patriarcato, il gran visir Sokolovic, era di nobile origine serba, portato da bambino via da casa ed educato come giannizzero. Dopo essere divenuto comandante della guardia imperiale, poi terzo, secondo ed infine gran visir. Sokolovic guidò lo Stato ottomano alla morte di Solimano il Magnifico, ma operò molto anche nella sua terra natale, mettendo a capo del patriarcato di Péc un suo parente; ormai alla fine del Cinquecento la nobiltà serba era perfettamente inserita nel sistema ottomano. Fu un pascià serbo, Hasan pascià Predojevic, che conquistò nel 1592 l’ultima roccaforte asburgica, Bihac. La posizione della Chiesa cattolica era invece molto differente, in quanto essa, che aveva al proprio vertice un sovrano straniero, il pontefice, non poteva essere riconosciuta. Il sultano fu però costretto a prendere atto di alcune situazioni locali, come nella Bosnia, dove vi era una radicata presenza francescana: Maometto II rilasciò nel 1464, all’indomani della conquista, una capitolazione con cui si permetteva ai francescani di predicare. Nel 1517 si costituì anche la provincia francescana di ‘’Bosnia Argentina’’, la sola istituzione cattolica tollerata nell’Impero, dotata tra l’altro di una notevole estensione territoriale. Qui i cattolici non ebbero comunque vita facile, visto che non c’erano clero e parrocchie e soprattutto era proibita la predicazione, pena la morte. La Bosnia ottomana risulta in effetti essere uno dei casi più straordinari di convivenza religiosa di sempre, divisa tra la provincia francescana, i monasteri ortodossi e l’Islam. In nessuna area del Mediterraneo si poté constatare un tale grado di compresenza tra cattolici, musulmani e ortodossi (si deve poi aggiungere la componente ebraico-sefardita). L’unico altro precedente fu forse l’Andalusia medievale, che però non conobbe la longevità della situazione bosniaca, perpetuatasi sino al tardo Novecento grazie al suo inserimento in realtà multinazionali (prima l’Impero Ottomano, quello asburgico poi ed infine la Jugoslavia). Oggi la Bosnia ha perso questo tratto della sua storia, eppure fu, e rimane nel ricordo, la più ottomana di tutti gli elayet . Esistevano comunque fenomeni di resistenza al modello ottomano, come il brigantaggio dei leggendari ‘’hajduk’’ serbi e dei ‘’klephti’’ greci, un fenomeno che toccò il proprio apice tra il 1670 e il 1750 (era nato invece nel Cinquecento). I briganti agivano in ‘’cete’’, compagnie, che si riunivano dalle montagne nelle valli spostandosi per i boschi. La cattura di questi briganti era di fatto impossibile, sia per la conformazione dei Balcani, sia per il nutrito numero di informatori di cui si servivano i briganti. La violenza dell’hajduk era tutt’altro che eroica, e fu quasi sempre utilizzata nelle rivalità e nelle faide tra clan musulmani e cristiani. Più che ribellione, la ‘’hajducijia’’ (‘’brigantaggio’’) fu un aspetto di fatto complementare del sistema ottomano, che avveniva tra l’altro con cadenza regolare: gli hajduk si riunivano nel giorno di San Giorgio, ‘’Djurdjevdan’’, (6 Maggio del calendario gregoriano, il 23 Aprile di quello giuliano) e agivano fino al giorno di San Demetrio, ‘’Mitrovdan’’ (26 Ottobre giuliano). Dunque dopo aver passato gli inverni nelle case, i briganti, spesso contadini che volevano arrotondare le entrate normali, agivano tra la primavera e l’inizio dell’autunno. Il fenomeno è in realtà osservabile anche in altri contesti del Mediterraneo, dalla Calabria fino alla Sardegna e alla Corsica; si tratta dunque di un elemento endemico e proprio di società conservatrici, sempre sulla difensiva e convinte dei propri valori. Il brigantaggio era dunque tollerabile, e oltre ad esso non vi furono mai reali tentativi di affrancarsi dal dominio ottomano, fatta eccezione per le rivolte bulgare di Tarnovo del 1598 e del 1686. Al contrario per tutto il Cinquecento croato fu caratterizzato da continue rivolte contadine (la più grande quella del 1573). Nei suoi secoli iniziali lo Stato ottomano possedeva dunque una compattezza amministrativa e una forza militare capaci di portare avanti un’esperienza in progressione, un modello che per complessità fu secondo solo a quello romano. VI) L’ANTEMURALE Venezia e l’Ungheria furono a lungo gli antemurali della Cristianità, le ultime linee difensive e i confini con il mondo turco; più a Est invece il potere ottomano trovava i suoi confini nei principati vassalli di Moldavia e Valacchia. A limitare il potere turco furono quasi tre secoli di sforzi diplomatici e militari (1420-1683), al termine dei quali si sarebbe verificata un’inversione di tendenza. I Balcani nel corso di questo lungo periodo furono soprattutto il luogo da cui partivano le campagne militare turche, la base a cui l’antemurale cristiano (la linea Malta-Puglia-Dalmazia, Croazia, Presburgo, Vienna) si poneva come antitetico. Fu in questi secoli che l’Europa, per volontà di differenziazione rispetto al mondo balcanico-ottomano, cominciò a costruire il proprio immaginario e la propria specifica identità culturale. Nel corso della fine del XIV secolo e dell’inizio del XV erano falliti i tentativi di frenare il potere turco: la crociata di Nicopoli (1396) e la crociata di Varna (1444), nate per portare supporto all’Impero Bizantino, si tradussero in delle clamorose disfatte. A riscattare parzialmente l’onore occidentale fu l’assedio di Belgrado (1456), durante il quale il reggente ungherese Janos Hunyadi (1407-1456) riuscì a respingere le forze ottomane. Il despotato serbo, eccetto Belgrado, cadde comunque nel 1459, cosa che spinse papa Pio II (1458-1564,al secolo l’umanista Enea Silvio Piccolomini) a bandire un’ultima crociata nel 1464, un progetto fallito proprio alla morte del pontefice nello stesso anno. Del suo intento restano, oltre all’affresco di Pinturicchio nella Libreria Piccolomini presso il duomo di Siena, restano i testi, all’interno dei quali egli utilizza, tra i primi, il termine ‘’europaeus’’ per indicare la differenza rispetto ad un popolo non cristiano. anche quello in cui si verificò la grande stagione dell’umanesimo ungherese. Nonostante gli sforzi però, non si trovò rimedio alle incursioni ottomane, che terminarono in un primo momento solo con la pace del 1483, siglata dopo vent’anni di assalti che avevano totalmente spopolato la Slavonia. Alla morte di Corvino (membro della famiglia degli Hunyadi) la dieta dei nobili ungheresi elesse Ladislao II Jagellone (1490-1516), membro della famiglia reale polacca, che deteneva anche la corona boema grazie ad un accordo siglato nel 1479 con Mattia Corvino. L’elezione di Ladislao II portò ad una divisione della nobiltà ungherese, dei contrasti che degenerarono in dei conflitti interni perdurati sino al 1494. La crisi portò ad un indebolimento militare, dimostrato dalla disastrosa sconfitta subita dalla nobiltà croata nella battaglia del Krbava (1493). Le conseguenze non furono mai irreparabili, almeno fino a quando ressero il banato di Jajce, nella Bosnia centrale, e la fortezza di Belgrado. Nel 1516 salì al trono Luigi II Jagellone (1516-1526), incoronato a soli dieci anni; l’età del sovrano spinse gli Jagelloni ad allearsi con gli Asburgo: Anna Jagellone, figlia di Ladislao II e sorella di Luigi II, sposò Ferdinando d’Asburgo (1503-1564), fratello di Carlo V e in seguito suo erede come sovrano del Sacro Romano Impero. Luigi II si trovò in breve tempo sul piede di guerra con Solimano il Magnifico, che nel 1516-1517 aveva conquistato l’Egitto sconfiggendo il regno mamelucco. Nel 1521 Solimano conquistò Belgrado, aprendosi così la strada per la pianura ungherese, per delle terre che nemmeno Giustiniano e Basilio II erano riusciti a raggiungere. Nella battaglia di Mohàcs (1526) l’esercito ungherese venne fatto a pezzi dai Turchi, che erano riusciti ad accerchiare i nemici dando via ad un vero e proprio massacro, nel quale trovò la morte anche il re Luigi II. La perdita di 15.000 uomini e l’estinzione della dinastia degli Jagelloni spinse la dieta ungherese e quella boema ad offrire la corona a Ferdinando d’Asburgo. Nel 1526 Ferdinando venne acclamato a Praga, in Boemia; in Ungheria la questione fu invece più complicata. Parte della nobiltà ungherese infatti andò a sostenere Giovanni Zàpolya, ‘’vojvoda’’ (‘’principe’’) di Transilvania, una provincia a se’. Alla fine fu Ferdinando a spuntarla, venendo proclamato sovrano a Presburgo (odierna Bratislava) dai nobili magiari, divenendo così il primo difensore del mondo cristiano. Con l’elezione a imperatore del Sacro Romano Impero nel 1526, Ferdiando riuscì a costituire in un certo senso l’Europa centrale, andando ad avvicinare culturalmente il Regno di Boemia (che includeva anche Moravia e Slesia) a ciò che restava dei Regni di Croazia e Ungheria. Nasceva così l’antemurale Christianitas, di cui la casa d’Asburgo diveniva la custode. I Turchi negli anni successivi riuscirono ad impossessarsi di altri avamposti, trasformando province della Croazia storica in nuovi sangiaccati, come quelli di Clissa e Lika. Il territorio denominato ‘’Croazia’’ si spostò come detto più a Nord, arrivando a Zagabria, una città della Slavonia; questo è solo uno dei molti esempi di ridefinizione geografica causata dall’avanzata ottomana. Il biennio 1526-1527 rappresenta dunque un momento cruciale nella storia dell’Europa centrale, una storia che è incentrata soprattutto sul conflitto ottomano-asburgico, che diede vita a ben dieci conflitti passati alla storia come ‘’guerre austro-turche’’ (1529-1791). Il primo di questi conflitti si svolse nel periodo tra il 1529 e il 1593, e fu caratterizzato dall’avanzata turca, che conobbe una prima sosta proprio nel 1593, anno della battaglia di Sisak (in Croazia), in cui l’esercito asburgico riuscì a fermare il nemico. Il secondo conflitto tra le due potenze, la cosiddetta ‘’lunga guerra’’ del 1593- 1606, coinvolse i principati di Valacchia, Moldavia e Transilvania e anche la Polonia; si concluse con un ritorno allo status quo antecedente all’inizio delle ostilità. Seguì una fase di tregua: gli Asburgo erano infatti impegnati nella Guerra dei Trent’anni (1618-1648), mentre gli Ottomani nell’estenuante guerra di Candia (1645-1669). Lo scontro si riaprì nel 1663-1664, e si concluse con la vittoria asburgica nella battaglia del San Gottardo in Ungheria. Vi fu poi l’assedio di Vienna del 1683, conclusosi con la travolgente vittoria austro-polacca nella battaglia del Kahlenberg (1683), svoltasi proprio sotto le mura di Vienna. Questa vittoria aprì alla fase di riconquista cattolica: dapprima venne ripresa l’Ungheria tramite due guerre, quella del 1684-1699 e quella del 1716-1718 e due trattati di pace, il primo quello di Carlowitz (1699) e il secondo quello di Passarowitz (1718); in questi conflitti si distinse il comandante in capo delle forze asburgiche, il principe Eugenio di Savoia (1663-1736). Con Belgrado e Serbia in mano gli Asburgo si trovarono nella posizione di attacco e non più di difesa. L’ultima fase di conflitto, quella del 1718-1791, fu caratterizzata dalla resistenza ottomana: con le due guerre del 1737-1739 e del 1787-1791 vennero ribaditi i confini tra gli Asburgo e i Turchi, che riuscirono quantomeno a riavere Belgrado; questo equilibrio si mantenne fino al 1878. Il Cinquecento era stato segnato però anche dal conflitto tra Venezia e gli Asburgo, causato dagli Uscocchi, i profughi provenienti dai domini ottomani concentratesi a Segna e ostacolare la navigazione e i commerci veneziani. Le tensioni si elevarono a partire dal 1580 e proseguirono nel primo decennio del Seicento. Le scorrerie uscocche colpirono a ripetizione le città istriane, mettendo in crisi l’interno sistema dell’area a seguito degli assalti del 1609/1614/1619. A quel punto la tensione degenerò nel conflitto aperto, la guerra di Gradisca (1615-1617), che si concluse con la pace di Madrid, con la quale veniva riconosciuta l’egemonia veneziana sull’Adriatica e con cui soprattutto vennero eliminati gli Uscocchi. Nel 1684 Asburgo e Veneziani si sarebbero poi trovati alleati nella Lega Santa formatasi all’indomani dell’assedio di Vienna. La Dalmazia veneta era ormai ridotta a Zara, Sebenico, Traù, Spalato, Cattaro e le isole: grosso modo quelle dominata secoli prima da Bisanzio. Venezia e gli Ottomani vissero un periodo di relativa stabilità nei rapporti nel periodo compreso tra il 1540 e il 1645, nonostante la guerra di Cipro (1570- 1573) e la vittoria cristiana nella battaglia di Lepanto (1571). Il periodo di tranquillità si interruppe bruscamente con lo scoppio della guerra di Candia, a cui seguirono la guerra di Morea (1684-1699), un episodio che si colloca nel più ampio conflitto tra Ottomani e Lega Santa, e la ‘’piccola guerra’’ (1714-1718), che per la Serenissima comportò l’acquisizione di tutto il litorale dalmata, ma la perdita della Morea. Il litorale dalmatico era anche la linea ultima del cattolicesimo, cosa che rendeva gli antichi vescovati dalmati (l’arcidiocesi di Zara era sorta già nel 1154) i baluardi della Chiesa di Roma, che trovavano nel mare uno scudo molto efficace. I capisaldi cattolici vissero appieno la riorganizzazione seguita al Concilio di Trento, aiutati dagli ordini religiosi attivi in Dalmazia, quindi dai domenicani e dai francescani. Loreto, situata nelle odierne Marche (allora Stato della Chiesa) e dunque di fronte alla Dalmazia, divenne il centro di formazione del clero illirico. Negli anni del conflitto di Candia (1645-1669), Venezia attuò una strategia che solo in possesso della parte occidentale del Regno, dalla Croazia sino a Presburgo. Nel 1537 Ferdinando però attaccò la Slavonia, costringendo Zàpolya a trattare: si arrivò così al trattato di Nagyvàrad, con cui l’Asburgo riconosceva Zàpolya come sovrano di Ungheria (incoronato da Giovanni I), e secondo cui quest’ultimo avrebbe nominato Ferdinando suo erede. Nel 1540 però, poco prima di morire, Zàpolya ebbe un erede, Giovanni Sigismondo (1540-1559), eletto re Giovanni II dalla nobiltà magiara e riconosciuto da Solimano come suo vassallo. Gli Ottomani giunsero a Buda nel 1540 occupandola velocemente, tuttavia già nel 1541 Ferdinando e Carlo V riavviarono il conflitto: fu a questo punto che Solimano creò l’elayet di Buda e lasciò la Transilvania a Giovanni II. Il conflitto perdurò sino al 1547, quando fu sottoscritto l’armistizio di Adrianopoli. Dal 1555 entrambe le potenze cercarono di portare avviare un dialogo diplomatico, che tuttavia si sarebbe spento nel corso degli anni successivi. Nel 1566, a settantadue anni e dopo quarantasei anni di regno, Solimano organizzò una nuova spedizione verso l’Ungheria (l’anno precedente aveva tentato invano di conquistare Malto). Quando seppe che i Croati avevano ottenuto alcuni successi, Solimano volle attaccare la fortezza di Szigeth, difesa da un veterano dell’assedio di Vienna, il conte e bano di Croazia Nikola Subic Zrinski, che con soli 2000 uomini fronteggiò 100.000 Turchi. Gli Ottomani riuscirono a conquistare la fortezza, ma il prezzo fu altissimo: 20.000 morti, tra cui lo stesso sultano, che morì il giorno prima dell’assalto finale. Nel 1568 il nuovo sultano Selim II e l’imperatore Massimiliano II (1564- 1576) si accordarono stipulando una pace capace di prolungarsi fino al 1593. In questi venticinque anni di tregua tanto i Turchi quanto gli Austriaci si concentrarono sul rafforzamento del confine: i secondi costruirono la città- fortezza di Carlstad/Karlovac, mentre i Turchi rafforzarono Bihac, presa nel 1592. Bihac venne conquistata dal pascià di Bosnia Hasan Predojevic, che cercò di conquistare anche la fortezza di Sisak in Croazia: qui si verificò un grande scontro (1593), in cui le forze cristiane ebbero la meglio. La battaglia di Sisak rappresentò una svolta per la storia dei conflitti austro- turchi. La ‘’lunga guerra’’ (1593-1606) scoppiò proprio a seguito dello scontro a Sisak, e vide coinvolti l’imperatore Rodolfo II (1576-1612) e il sultano Murad III. All’attacco ottomano in Croazia seguì però un’insurrezione tra i Serbi dell’elayet di Timisoara (1594), guidata dal vescovo ortodosso Toedoro Nestorovic (fu l’unica grande insurrezione prima di quella del 1804). La rivolta dei Serbi fu un prova di insurrezione e di consapevolezza nazionale: i rivoltosi combatterono con l’immagine di San Sava, fondatore della Chiesa serba nel 1219. Sbaragliati i ribelli, l’Impero si trovò di fronte ad una coalizione antiottomana formata da papa Clemente VIII, che inviò emissari in Spagna, Venezia e dai principi danubiani per convincerli a partecipare alla crociata. La Lega Santa venne fondata a Praga nel 1595, in essa confluirono: Rodolfo II, il vojvoda di Moldavia Aron Tiranul, Sigismondo Bàthory di Transilvania e Michele il ‘’Coraggioso’’ (1593-1601), vojvoda di Valacchia. Michele si rese protagonista di una campagna militare epica; nel 1595 attaccò le città ottomane sul Danubio e in seguito arrivò anche ad Adrianopoli, la città con le tombe dei sultani, luogo raggiunto solo dai Russi (nel 1828 e nel 1877) e dai Bulgari (nel 1912). Michele in seguito si ritirò in Valacchia, dove si scontrò con gli Ottomani nella battaglia di Calugareni (1595), dove i Rumeni ottennero una straordinaria vittoria. Michele venne in seguito raggiunto dai rinforzi transilvani e asburgici, grazie ai quali vennero riconquistate Bucarest e Targoviste; nel 1595 gli Asburgo riuscirono anche a conquistare Esztergom. L’azione di Michele il Coraggioso istigò la grande rivolta bulgara del 1596, che venne repressa brutalmente e che spinse il sultano Maometto III a lanciare una nuova campagna in Ungheria. L’esercito asburgico, guidato dall’arciduca d’Austria e gran maestro dell’ordine teutonico Massimiliano III (1558-1618), venne sconfitto dagli Ottomani nella battaglia di Keresztes (1596). Michele il Coraggioso continuò a combattere sino al 1599, quando decise di recarsi in Transilvania, dove era scoppiata una crisi dinastica. Nel 1600 Michele attaccò la Moldavia e sconfisse il voivoda locale, che era un vassallo dei Turchi; in seguito il Coraggioso si proclamò voivoda di Moldavia, Valacchia e Transilvania. La nobiltà ungherese in Transilvania si mosse però contro Michele, che nel 1600 venne sconfitto nella battaglia di Miraslau, dopo la quale Sigismondo Bàthory tornò sul trono di Transilvania (a cui aveva abdicato, per ben due volte e senza motivazioni comprensibili, in precedenza). Michele il Coraggioso venne invece ucciso dai boiari (nobili) polacchi, di cui aveva in precedenza cercato l’alleanza. Rodolfo II cercò di colmare il vuoto di potere creatosi alla morte del coraggioso ordinando l’occupazione della Transilvania, regione dotata di molte anime religiose (vi erano cattolici, ortodossi, luterani e anche una minoranza tartara, quella degli Ungheresi ‘’szekleri’’) in cui venne introdotta la Controriforma cattolica. La nobiltà transilvana reagì al tentativo d Rodolfo II (1603), ma venne sconfitta dalle truppe imperiali in battaglia; in questo contesto si colloca il capo locale Istvan Bocskai, che nel 1605 riuscì a sconfiggere per due volte gli imperiali. Con la pace di Zsitvatorok, firmata dall’arciduca d’Austria Mattia e il sultano Ahmed, si chiuse la lunga guerra nel 1606. Seguì poi un lungo periodo di pace (1606-1663), durante il quale rimase comunque aperto il problema della Transilvania, contesa tra i due imperi. Un momento di tensione emerse all’inizio della Guerra dei Trent’Anni (1618- 1648), quando il principe di Transilvania, il nobile calvinista Gabriele Bethlen, attaccò l’Ungheria asburgica, riuscendo ad occupare Presburgo e a farsi nominare re dalla nobiltà magiara di fede calvinista (1620-1621). L’imperatore Ferdinando II (1619-1637) riuscì, dopo la vittoria sui boemi nella battaglia della Montagna Bianca (1620), a rioccupare Presburgo. La situazione cambiò molto soprattutto dopo che ad Istanbul prese il potere la famiglia albanese dei Koprulu, che riaccese le ambizioni ottomane di espansione nell’Europa centrale. Il pretesto per attaccare fu ancora una volta la Transilvania: il principe Giorgio Rakoczy II aveva infatti invaso la Polonia senza il permesso ottomano, dando così modo alla Sublime Porta di agire contro di lui. L’imperatore Leopoldo I (1658-1705) inviò contro il gran visir ottomano Mehmed pascià Koprulu il suo miglior generale, l’italiano Raimondo Montecuccoli (1609-1680). L’esercito di Montecuccoli (composto da un contingente imperiale, uno croato e uno francese inviato da Luigi XIV) incontrò l’enorme armata ottomana, ben 100.000 uomini, presso San Gottardo (Sud-Est dell’Austria). La battaglia del San Gottardo (1664) fu un trionfo per le forze cristiane, che annientarono l’esercito ottomano, travolto dalla tattica del fuoco continuo (sperimentata con successo nel conflitto dei Trent’Anni). La pace di Vasvar (1664) stabilì una tregua di vent’anni e confermò lo status della Transilvania come realtà vassalla degli Ottomani. provveditore generale Antonio Zeno (1628-1697). La campagna veneziana iniziò nel 1685, con gli sbarchi a Santa Maura (Leucade) e in Morea, dove le azioni ebbero successo. Morosini riuscì a conquistare il Peloponneso, puntando poi verso l’Attica, dove venne assediata Atene (evento purtroppo molto infausto in quando portò alla devastazione dell’Acropoli). Nel 1688 Morosini, che ottenne il titolo di ‘’Peloponnesiaco’’, venne nominato doge (governò tra il 1688-1694) e ordinò di proseguire la campagna per conquistare Negroponte (quest’ultima operazione si rivelò però un fiasco). In Dalmazia le cose andarono ancora meglio: gruppi di Morlacchi erano giunti sino alla Bosnia. Gli Ottomani cercarono l’appoggio del capo del clan Mani, Limberakis Gerakaris, per organizzare una resistenza anti-veneziana in Morea; la Serenissima cercò invece l’appoggio dei clan albanesi per combattere i Turchi. Nel 1687 venne conquistata Castelnuovo, cosa che rese Venezia sovrana sulle Bocche di Cattaro; nel 1690 venne conquistata anche Mostar, un successo compensato in negativo dalla morte del Morosini nel 1694. Nel 1684 cominciò anche la campagna ungherese, condotta da Carlo di Lorena, che prese subito Esztergom con un esercito di 80.000 uomini e in seguito attaccò Pest e assediò Buda (anche se gli Austriaci in seguito desistettero). Nel 1686 vi fu il secondo assedio di Buda, che stavolta cadde in mano alle truppe della Lega: in città si assistette a massacri e violenze di ogni sorta contro la popolazione musulmana ed ebraica. Nella seconda battaglia di Mohàcs (1687) Carlo di Lorena colse una grande vittoria su Sari Suleyman pascià, gran visir ottomano, che per la sua disfatta venne punito con la morte. In breve tempo furono recuperate alla Cristianità la Slavonia e il Sirmio, mentre la Transilvania si dichiarò vassalla degli Asburgo. Ad Istanbul si verificò una crisi interna senza precedenti: il sultano Maometto IV venne spodestato da una rivolta dei giannizzeri (1687), che proclamarono sovrano il fratello Solimano II. Gli imperiali nel frattempo presero Belgrado (1688), ottenendo il supporto anche della popolazione e della chiesa serba: in breve tempo gli asburgici furono a Skopjie. Ma proprio quando sembrava possibile arrivare ad Istanbul, Luigi XIV, per paura che il tracollo ottomano rafforzasse troppo gli Asburgo, decise di dichiarare guerra all’Impero, costringendo Leopoldo I ad organizzare la difesa sul Reno. Ciò diede ad Istanbul il tempo necessario per riorganizzarsi: il nuovo gran visir Mustafa Koprulu (1637-1691), che riuscì a riprendere Skopje e sconfisse gli Austriaci nella battaglia di Prizren (1690). La popolazione serba si trovò abbandonata alla riconquista ottomana, cosa che costrinse 30.000 individui a migrare dal Kosovo, una vicenda cruciale per la storia successiva (ed odierna). Gli imperiali, messi in difficoltà dai problemi logistici e da un’epidemia di peste, subirono la controffensiva ottomana. Alla fine del 1690 Mustafa Koprulu guidò un esercito di 120.000 uomini da Adrianopoli verso Nord, recuperando velocemente anche Belgrado. Quando anche in Bosnia le cose volsero a favore dei Turchi, gli imperiali decisero di puntare ad una battaglia decisiva, affidando questo compito a Luigi Guglielmo margravio di Baden Baden (1655-1707). Il 19 Agosto 1690 si giunse allo scontro: nella battaglia di Slankamen gli imperiali colsero un altro successo decisivo, reso ancora più grande dalla morte di Koprulu sul campo. Nel periodo successivo alla battaglia, tra il 1690 e il 1694, si mantenne una situazione di stallo sul confine, con i due contendenti impegnati su altri fronti (contro Luigi XIV l’Impero, la crisi interna per gli Ottomani). Nel 1695-1696 gli Ottomani ripresero le iniziative: il sultano Mustafa II condusse una spedizione di successo nel Banato, cosa che costrinse gli imperiali ad intervenire nuovamente. Fu così che si arrivò alla battaglia di Zenta (1697), oggi Vojvodina in Serbia, dove le truppe asburgiche, comandate dal principe Eugenio di Savoia (1663- 1736), colsero una nuova grandissima vittoria nonostante la netta inferiorità numerica. Per le truppe ottomane, sorprese mentre tentavano di attraversare il fiume Tibisco (Tisa), si parla di centinaia di migliaia di morti, compreso il gran visir Mehmed Elmas. Il principe Eugenio portò avanti una trionfale spedizione in Bosnia: Sarajevo stessa venne presa e bruciata nel 1697. La vittoria a Zenta portò ad una ridefinizione dei confini tra Europa e Turchia in Europa, ora la prima era arrivata sino al basso Danubio. La guerra della Lega Santa si concluse con la pace di Carlowitz (1699), siglata da Asburgo, Veneziani e Ottomani. Gli Asburgo ottennero tutta l’Ungheria, la Croazia , la Slavonia, la sovranità sulla Transilvania e sulla Moldavia; Venezia ottenne invece la Morea e l’interno dalmata; la Moscovia si accordò separatamente con la Porta, con cui siglò il trattato di Istanbul (1700). Nel 1714 scoppiò la seconda guerra di Morea (1714-1718), che degenerò in un nuovo grande conflitto austro-turco quando la Serenissima, messa in difficoltà dagli Ottomani, ricercò l’alleanza degli Asburgo. Ancora una volta l’esercito imperiale venne affidato al principe Eugenio, che ottenne un nuovo immenso successo nella battaglia di Petrovaradino (1716), dopo la quale vennero conquistati il Banato e Timisoara. Nel 1717 Eugenio cominciò anche l’assedio di Belgrado (1717) con un’armata di 100.000 uomini, che riuscì a prendere la città proprio prima che il contingente di soccorso ottomano di 120.000 uomini arrivasse sul campo. La guerra si concluse con la pace di Passarowitz (1718), con cui Venezia riconobbe il dominio turco in Morea in cambio di un’ulteriore espansione in Dalmazia, mentre agli Asburgo andarono il Banato/Belgrado/la Serbia/un pezzo della Valacchia minore. Si formò dunque la nuova provincia asburgica di Serbia, in cui vennero introdotte norme amministrative-fiscali poco apprezzate dalla popolazione. Venne istituita anche una milizia serba per la difesa dei confini, ma non si fece nessuna politica in favore del Cattolicesimo, essendo questa una terra fortemente ortodossa. Nel ventennio di dominazione austriaca si assistette comunque ad un incremento demografico (la popolazione raddoppiò, arrivando ai 400.000 abitanti). Le cose cambiarono negli anni Trenta del Settecento: nel 1736 morì il principe Eugenio, e proprio l’anno prima i Turchi avevano ricominciato a spingere, questa volta però contro i Russi. Nel 1737 questi erano giunti in Crimea, ed essendo alleati degli Asburgo nella guerra di successione polacca (1733-1738), ottennero che questi ultimi portassero avanti una spedizione in Bosnia, dove però gli imperiali vennero battuti nella battaglia di Banja Luka (1737). Le truppe austriache ripiegarono in Serbia, ma anche qui vennero sconfitte nella battaglia di Grocka (1739), dopo la quale i Turchi arrivarono ad assediare Belgrado (1739). Alla fine il reggente di Serbia, il conte Wallis, fu costretto ad arrendersi: si arrivò così al trattato di Belgrado (1739), con cui gli Asburgo furono costretti a rinunciare a tutta la Serbia, compresa Belgrado; questi risultati spinsero i Russi a ricercare la pace con la Porta. culturale successivamente a Passarowitz (1718). Vennero costruite le strade che portavano da Karlovac a Fiume, che divenne un prospero porto franco, in cui vennero anche costituiti stabilimenti industriali (produzione dello zucchero). In generale possiamo affermare che tutto il litorale croato conobbe una prosperità senza precedenti. Anche i centri del litorale albanese, come Antivari/Scutari/Dulcignolo/Valona/ Durazzo, si svilupparono; Ragusa conobbe invece una fase di ricostruzione, dopo il terribile terremoto del 6 Aprile 1667, che la distrusse completamente. La fine del Settecento significò anche la fine della Serenissima, che collassò a seguito del trattato di Campoformio (1797) tra Napoleone e gli Austriaci, dopo il quale si impose una prima fase di dominio asburgico sull’Adriatico (1797-1806). Tra il 1806 e il 1809 vi fu invece la dominazione napoleonica (la Dalmazia fu inclusa nelle Province Illiriche, una parte della Francia Metropolitana); nel 1808, sempre ad opera di Napoleone, avvenne lo smantellamento della Repubblica di Ragusa. Con il Congresso di Vienna (1814-1815) venne riconosciuto all’Austria il dominio sulle terre tra Fiume e le Bocche di Cattaro, mentre alla Turchia rimasero la costa albanese, la Morea e l’Epiro. Nel 1816 l’Austria costituì il ‘’Regno di Dalmazia’’, confermando la propria egemonia militare, che ricevette un notevole smacco durante la Rivoluzione continentale del 1848-1849, durante la quale gli Asburgo furono costretti a combattere in Italia e Ungheria. Alla vittoria del 1849 seguì la fase del cosiddetto ‘’neoassolutismo’’, durante il quale si verificò una nuova fase di modernizzazione: sviluppo di viabilità e porti soprattutto. La Terza Guerra d’Indipendenza Italiana (1866) segnò la fine dell’egemonia asburgica sull’Adriatico e anche la nascita della doppia monarchia di Austria-Ungheria. Il ‘’lungo Ottocento’’ fu caratterizzato, nelle città della costa adriatica (Fiume, Zara, Spalato), dallo sviluppo amministrativo e dalla modernità nella maniera austriaca. La realtà imperiale permise la convivenza tra cattolici e ortodossi, tra Croati e Serbi e Italiani, almeno fino al 1878. Il confine militare croato rimase intatto fino al 1881, e non agì solo come argine difensivo, ma anche come cordone sanitario, capace di impedire la diffusione di quelle epidemie di peste che colpirono la Bosnia nel Settecento. La Croazia divenne un’immensa caserma da cui reclutare i soldati utilizzati in guerra contro i Prussiani, contro Napoleone e gli insorti milanesi del 1848. Si creò così una nuova realtà sociale, quella degli ‘’Grenzer’’ o ‘’Granicari’’, gli uomini della frontiera (cattolici e ortodossi), di cui si parlava già nel 1630, all’interno degli Statuta Valachorum di Ferdinando II. Si costituì un intero sistema militare, quello della ‘’Militargrenze’’, retto da contingenti militari ripartiti sul territorio e retti da colonnelli. La nuova stabilità ai confini ebbe un effetto anche nel commercio con il mondo turco: la costituzione di un asse diretto tra Timisoara e Fiume fece sì che anche l’estremità balcanica venisse a contatto con l’Occidente europeo. Nel Settecento, nelle regioni riconquistate (Sirmio, Baranjia, Banato, Slavonia) si verificò un forte aumento demografico, dovuto alla colonizzazione organizzata di comunità serbe/tedesche (quelle degli ‘’Svevi’’)/croate. Crebbero anche le cittadine poste sui fiumi, che cominciarono ad assumere una struttura simile l’una con l’altra: palazzi neoclassici e barocchi, campanili a cipolla ecc… Sorgeva dunque una nuova Europa, che spazzava via l’idea di un Oriente immutabile. Parlando di Balcani invece, per il Settecento è necessario distinguere tra Istanbul e il resto della regione. L’alterità turca cominciò ad esercitare una fascinazione sempre più grande sugli Europei, che smisero di temere il mondo turco, cominciando invece ad appassionarsi ad esso in quanto realtà esotica. Nel cosiddetto ‘’periodo dei tulipani’’ (1718-1730) Istanbul cercò di sviluppare un proprio illuminismo, che però conobbe vita breve: con la rivolta dei giannizzeri di Patrona Khalil del 1730 il processo di avvicinamento all’Europa cominciato dal sultano Ahmed III (1703-1730) fu bruscamente interrotto. I suoi successori, Mahmud I (1730-1754) e Osman III (1754-1757), non condivisero lo slancio trasformatore del loro predecessore; si deve comunque ricordare che proprio in quegli anni ad Istanbul cominciò a sorgere un quartiere occidentale. Selim III (1789-1807) tentò di riformare le forze armate, ponendo le premesse per la successiva epoca del ‘’Tanzimat’’ (1839-1878), cominciata con la proclamazione del ‘’khatt-i serif’’ nel 1839, una carta imperiale che riguardava la materia giudiziaria. I successori di Selim III, Abdul Mecid I (1839-1861)/Abdul Aziz (1861-1876)/ Murad V (1876)/ Abdul Hamid II (1876-1909). La crisi del 1876 portò alla promulgazione di una costituzione ottomana , che però ebbe vita breve, in quanto con il Congresso di Berlino (1878) si arrivò alla drammatica fine dell’epoca del Tanzimat. La capitale rimase una realtà a parte e straordinariamente moderna rispetto al resto della periferia balcanica, eccetto Salonicco, che conobbe anch’essa un notevole sviluppo commerciale, raggiungendo a fine Settecento anche 80.000 abitanti. Negli elayet balcanici, accanto ai funzionari imperiali, esistevano anche gli ‘’ayan’’, un ceto di notabili musulmani che di fatto deteneva il potere e godeva del massimo prestigio sociale. La mancanza di un ordine ben definito di potere diede però molto slancio alle mire dei giannizzeri, che nel corso del tempo si erano trasformati in una casta. La situazione era divenuta particolarmente confusa e tendente all’anarchia, un terreno in cui si verificarono tre differenti situazioni, paradigmatiche ognuna per vari motivi: 1) La rinascita della Serbia e la vicenda del Montenegro. 2) Le vicissitudini dei Greci del Fanar e la guerra d’indipendenza greca. 3) La vicenda della Bosnia. Queste dinamiche fecero sì che lo Stato ottomani divenisse qualcosa di importante solo per i musulmani. 1) La Serbia era stata per vent’anni un dominio austriaco, un periodi di tempo sufficiente a lasciare un segno forte sul rinato pascialato di Belgrado. Il passaggio di domini permise la nascita di un nuovo modello di mercante ortodosso, capace di sviluppare reti commerciali tra Vienna e Belgrado, tra Timisoara e Trieste (qui la comunità serba fu molto rappresentativa). L’ampliamento della geografia commerciale generò un notevole dinamismo socio-economico, una fioritura che strideva con la difficile situazione politica interna al pascialato. Una vicenda molto importante fu l’abolizione del patriarcato di Péc nel 1766, un atto fortemente voluto dai Greci del Fanar, che ebbero un ruolo decisivo anche nell’abolizione delle prerogative dell’arcieparchia di Ocrida (1767). Per rimediare venne costituito un nuovo vertice della chiesa serba, l’eparchia di Sremska Mitrovica, in territorio asburgico. L’ascesa della Russia di Pietro I il Grande non poteva però più essere ignorata dal mondo ortodosso , che nel 1710 fece un appello i suoi fratelli ortodossi a ortodossa. Lo Stato ottomano era un enorme affare per i Greci del Fanar, che di fatto erano quasi uno Stato nello Stato; quindi pare giusto chiedersi come si arrivò all’insurrezione contro gli Ottomani. Le motivazioni ideologiche di questa vanno ricercate nell’organizzazione massonica della ‘’Filikì Eteria’’, fondata nel 1814 ad Odessa da Alexandros Ypsalantis (1792-1828), membro di una ricca famiglia fanariota e già ussaro dell’esercito imperiale russo. Nel 1820 egli elaborò un primo piano di insurrezione, che doveva coinvolgere anche Serbia e Montenegro, e che aveva come fine quello di mettere i Greci al vertice dello Stato ottomano, non di distruggerlo. Ypsalantis cercò di avviare la sollevazione in Valacchia, a cui fece eco quella dei Greci del Fanar, entrambe però represse con violenza dagli Ottomani. A questo punto però entrò in gioco un nuovo personaggio, quello di Ali pascià di Giannina (1744-1822), che riuscì a costituire un regno semi- indipendente tra Grecia e Albania. Fu l’azione di quest’ultimo, più che quella dell’Eteria, ad avere un ruolo decisivo: Alì si proclamò infatti ‘’liberatore dei Greci’’, cosa che spinse il Peloponneso (vero cuore dell’insurrezione nazionale) a ribellarsi. Fu così che ebbe inizio la guerra d’indipendenza greca (1821-1830), che fino al 1825 rimase una faccenda esclusivamente ottomana, e che solo in seguito ai massacri compiuti dagli Ottomani, cominciò ad attirare l’attenzione delle cancellerie europee. In realtà le atrocità erano compiute anche dagli stessi rivoltosi, che nel 1821 arrivarono a massacrare le comunità musulmane del Peloponneso; si parla di 15.000 morti tra i musulmani, una cifra a cui vanno aggiunti i morti Ebrei, che erano percepiti come affini agli islamici. Il numero di vittime civili causato dalle azioni dei rivoltosi arriva sino a 25. 000 unità se si sommano anche i morti della Grecia continentale. Il patriarca ortodosso Gregorio V condannò ufficialmente le violenze, ma le autorità ottomane decisero comunque di impiccarlo. Seguirono poi le rappresaglie ottomane nel Peloponneso, che fecero strage tra la popolazione; una violenza che come detto non turbò la coscienza degli Europei. A Chios dopo i massacri rimanevano solo 20.000 abitanti, dei 100/120.000 che abitavano l’isola prima della repressione turca. Le potenze europee non si mossero nemmeno quando le truppe egiziane di Ibrahim Pascià (1789-1848) cominciarono ad agire maggiore violenza contro i ribelli peloponnesiaci (1824). L’atteggiamento delle potenze europee mutò a partire dal 1826, quando Nicola I di Russia (1825-1855) cominciò ad avvicinarsi alla causa dei rivoltosi. La svolta avvenne solo con la battaglia navale di Navarino (1827), dopo la quale avvenne una nuova guerra russo-ottomana (1828-1829) che si concluse con un rapido successo russo. Con il trattato di Adrianopoli (1829) venne riconosciuta l’indipendenza della Grecia, che fu una repubblica sino alla morte del presidente Giovanni Capodistria (1776-1831), assassinato nel 1831. Le potenze europee allora imposero alla Grecia un sovrano, Ottone di Baviera (1832-1864), con il quale cominciava una nuova era, definita dalla riscoperta con il passato classico. Su queste fondamenta si costituì la ‘’Μεγαλι ιδεα’’, elaborata per la prima volta da Ionannis Kolettis (1773-1847) e basata sul sogno neobizantino. Questo ideale venne irrobustito dall’attività dei primi storici nazionalistici e dall’apertura dell’Accademia Nazionale e dall’Università di Atene; in questa nuova realtà era inevitabile che il mondo ottomano fosse percepito come obsoleto. 3) Il terzo caso paradigmatico è quello della Bosnia, in cui fu determinante la questione agraria, ovvero la relazione tra la consistenza e la diffusione dei ciftlik, la grande proprietà terriera, e le motivazioni dei contadini. Da un lato dunque i bey, i grandi proprietari terrieri americani, dall’altro la raya, composta dai contadini cristiani. In Bosnia l’élite musulmana mal sopportava le novità occidentali, introdotte dal tentativo di modernizzazione voluto da Istanbul e visibile per esempio nei vestiti; a questo processo era totalmente disinteressata la massa contadina cristiana. Le tensioni scoppiarono nel 1831, quando il katepan Husein Gradascevic (1808-1834), divenuto rapidamente signore di fatto della Bosnia, venne chiamato da un altro bey ribelle, Mustafa Bushati, per marciare sul Kosovo con 25.000 uomini. Il progetto di Gradascevic alla fine fallì, tuttavia il suo esilio suscitò un enorme scontento tra la raya bosniaca, i cui membri erano ormai ridotti alla condizione di servi nella gleba. Si entrò dunque nella stagione del Tanzimat (1839-1878) con un forte clima di tensione , che si cercò di attenuare andando ad eliminare le differenze tra la raya e i musulmani (nel 1856, dopo la guerra di Crimea, vennero totalmente equiparate, mentre alcuni anni prima era stata eliminata la ciziya, la tassa personale per i cristiani). Nel 1849-1850 scoppiò però una nuova rivolta musulmana, che venne sedata da Omer pascià Latas, che riuscì militarmente a ristabilire l’ordine nel 1850- 1851. Nonostante il rinnovamento portato dal Tanzimat in Bosnia si mantenne una situazione di ordine precario, fino a che non si arrivò nel 1875, quando divampò l’ennesima rivolta. Questa stavolta non avrebbe semplicemente aperto un problema locale, ma avrebbe aperto addirittura la cosiddetta ‘’questione orientale’’. A parte rimasero le vicende dei principati danubiani (Valacchia e Moldavia), dove l’autogoverno romeno ebbe modo di rafforzarsi attraverso le varie tappe delle crisi balcaniche, che offrirono di volta in volta occasione per i principati di dialogare con Istanbul per ottenere ciò che volevano. Fu lo stesso sultano ottomano a riconoscere l’unione personale di Moldavia e Valacchia nel 1861; da qui si arrivò poi al riconoscimento dello Stato di Romania nel 1878 con il Congresso di Berlino. Il caso del Montenegro e della sua secessione è anche esso molto complesso, in quanto è difficile dare una data precisa per la fine della dominazione ottomana. L’unica data certa è il 1878, anno in cui venne proclamata l’indipendenza del Regno del Montenegro. Prima di questa però vi era una situazione strana: da un lato la lega dei clan montenegrini con a capo il vladika, il principe-vescovo, si considerava come autonoma; dall’altro lo Stato ottomano guardava al Montenegro non come ad un vassallo, ma come ad un dominio diretto. L’appoggio della Russia fu ancora una volta determinante, in quanto la diplomazia di San Pietroburgo introdusse il Montenegro nell’alveo della più grande questione d’Oriente. Vi è infine l’Albania, che si distaccò dall’Impero passivamente, come esito della prima guerra balcanica. I clan albanesi ottennero una grande dose di autonomia da Istanbul nel 1912, una concessione che però ebbe vita breve, visto che la regine venne occupata dagli eserciti dei neonati Stati balcanici. Anche nel caso albanese dunque il modello dell’ autonomia nella cornice imperiale venne sconfitto da quello dello Stato-nazione , e ancora una volta della guerra d’indipendenza greca. A seguito degli scontri in Bosnia si verificò un congresso tra Italia, Germania, Gran Bretagna, Francia, Russia e Austria-Ungheria per l’autonomia della Bosnia-Erzegovina, della Bulgaria occidentale e di quella orientale. Il gran visir ottomano Midhat pascià rifiutò però questa proposta, spingendo la Russia a dichiarare guerra alla Porta. Il conflitto si rivelò particolarmente complesso per i Russi, anche se alla fine l’esercito dello zar riuscì ad entrare nei Balcani e a spingersi a pochi km dalla capitale ottomana. Venne così sottoscritto il trattato di Santo Stefano (1878), con cui la Russia impose agli Ottomani una grande Bulgaria indipendente, che si estendeva da Ocrida al Mar Egeo. Questo risultato non venne però accettato dalle altre grandi potenze europee, che, su iniziativa del cancelliere tedesco Otto von Bismarck (1815-1898), si riunirono in un congresso a Berlino. La situazione geopolitica che emerse dal congresso si sarebbe mantenuta sino al 1912. Emerse dunque questa nuova geografia: - La Serbia e il Montenegro divennero realtà indipendenti. - La Bulgaria venne ridimensionata e divisa in tre parti: il Regno di Bulgaria; la Macedonia, dominio diretto ottomano; la Rumelia orientale, dominio semi- autonomo ottomano. - Il Regno di Romania ottenne uno sbocco marittimo tramite l’acquisizione della Dobrugia. - L’Austria-Ungheria ottenne il diritto di occupare la Bosnia, che rimase comunque una provincia ottomana. Dopo aver ottenuto la Bosnia, l’Austria-Ungheria cominciò ad avviare una politica balcanica, inizialmente andando a stringere degli accordi economici e diplomatici con la Serbia, con cui vennero create anche delle connessioni ferroviarie. Nel 1881 Serbia e Austria-Ungheria sottoscrissero una convenzione segreta, e l’anno seguente la Serbia si proclamò Regno (1882), cominciando in maniera neanche troppo velata a rivendicare per se’ le regioni originarie dell’antica Serbia medievale, la Macedonia e il Kosovo. Sotto Milan Obrenovic (1869-1889) venne promulgata una costituzione più liberale e democratica (1888) , cosa che spinse il sovrano ad abdicare nel 1889 in favore del figlio Alessandro I (1889-1903), che venne però assassinato assieme alla sua consorte Draga nel 1903. Il nuovo sovrano, Pietro I Karadjordjevic (1903-1918) iniziò ad avvicinarsi alla Russia e ruppe con Vienna, con la quale si giunse addirittura ad una guerra doganale tra il 1906-1911 (la cosiddetta ‘’guerra dei maiali’’). La Grecia invece non ebbe nulla al Congresso di Berlino, nonostante le sommosse indipendentiste scoppiate in Tessaglia, a Salonicco, a Creta e in Epiro. Le trattative con l’Epiro saltarono a causa del mancato accordo con i capi tribù albanesi; in Tessaglia si giunse ad uno stallo di fronte alla minaccia di una crisi bellica nel 1880, che spinse gli Ottomani, minacciati dalle potenze europee, a cedere ai Greci la regione. Questa piccola espansione non bastò a reggere l’incremento demografico del paese, né a placare le insurrezioni cretesi del 1889 e del 1895-1897. Dopo le prime Olimpiadi moderne (1896) si arrivò alla guerra di Creta (1897) con l’Impero Ottomano, che si concluse con una grave sconfitta greca in Tessaglia e che dimostrò che nessuno Stato balcanico da solo sarebbe stato in grado di sconfiggere i Turchi. Di fronte alle difficoltà sul fronte aperto, si scelse di finanziare la guerriglia terrorista portata avanti in Macedonia dalla ‘’Etnikì Etheria’’. La Bulgaria dipendeva dalla Russia in tutto e per tutto, e così, istigata da questo, il principe di Bulgaria Alessandro I di Battenberg (1879-1886) riuscì a riunificare il suo Regno alla Rumelia orientale. A questo punto l’Austria-Ungheria spinse la Serbia ad attaccare la Bulgaria nel 1885. L’attacco serbo fu un disastro, e il contrattacco bulgaro si spinse addirittura dentro il territorio serbo, cosa che spinse Vienna a farsi garante della pace. Il conflitto rivelò ulteriormente la natura vassallatica degli Stati balcanici e rivelò un qualcosa di inconcepibile al tempo del dominio ottomano, ovvero l’ostilità tra protestanti. La Bulgaria in seguito si avvicinò per qualche anno all’Austria-Ungheria e alla Germania, per poi ritornare verso la Russia quando venne incoronato zar Nicola II (1894-1918). Nel 1908 il principe bulgaro Ferdinando I (1887-1918) si fece incoronare zar e proclamò l’indipendenza del Regno di Bulgaria da Istanbul. L’indipendenza non significò però sviluppo economico, anzi, ad essa seguì una fase di profonda stasi, di chiusura doganale e di orientamento della produzione cerealicola che portarono all’indebolimento del mercato interno. I neonati Stati balcanici dovettero affrontare il problema dell’autogoverno, della subalternità (a Russia/Istanbul/Austria-Ungheria), la difficoltà nell’avviare il processo costituzionalista, il difficile rapporto tra sovrano ed élites sociali. Incoraggiati dal fallimento del Tanzimat ottomano, Serbia/Bulgaria/Grecia scaricarono sulla società tutti i costi delle amministrazioni e della rapida urbanizzazione che erano necessari al raggiungimento della modernità. Questo processo fu accompagnato dall’alfabetizzazione delle masse contadine e dallo sviluppo delle capitali, oltre che dall’irrobustimento delle strutture militari. Fu proprio il motore ideologizzante della ‘’guerra di liberazione dei fratelli oppressi’’ a rendere possibile il passaggio ad una prima fase di modernità. L’Impero Ottomano riuscì a conservare la sua parte europea, la Tessaglia e la Rumelia orientale, fino al 1912, 35 anni dopo Berlino. La Turchia in Europa sopravvisse per tutto il lungo regno del sultano Abdul Hamid II (1878-1908), organizzata in sei vilayet (Adrianopoli, Salonicco, Kosovo, Scutari, Giannina, Monastir). I vilayet centrali corrispondevano alla Macedonia; nella penisola Calcidica vi era invece una maggioranza greca; metà della popolazione di Salonicco era di origine ebraica; comunità turco-tartare erano sparse un po’ ovunque. Nel 1911 il 51% della popolazione della Turchia in Europa era di religione islamica, questo forse grazie anche alla politica di risveglio culturale- religioso portata avanti da Abdul Hamid II. Questo tipo di progetto andò però a contrapporre nettamente cristiani e musulmani all’interno dei vilayet; la presenza di questa contrapposizione fece sì che all’interno dei quadri militari si arroccassero nel nuovo ottomanismo proposto dal movimento dei ‘’Giovani Turchi’’. Particolare era la situazione degli Albanesi: i capi clan avevano infatti accettato l’iniziativa di Istanbul, tuttavia esisteva una notevole comunità ortodossa all’interno del Peloponneso, comunità che tra l’altro non parlava la stessa lingua degli Albanesi. Durante la riunione di Prizen (1878) i capi albanesi chiesero il riconoscimento di una nazione albanese, di cui potessero far parte anche le comunità albanesi presenti anche all’interno del Kosovo, di Monastir e Giannina. Di fronte a quest’ultima proposta però i Serbi protestarono apertamente, cosa che creò un clima di notevole tensione tra i Serbi e gli Albanesi. Il problema principale dei Balcani era però la Macedonia: in ogni suo vilayet XI) LA POLVERIERA I Balcani furono l’ultimo atto della Belle Époque, le due guerre balcaniche (1912-1913 e 1913) e in seguito le vicende dell’estate del 1914 portarono alla svolta cruciale nella questione d’Oriente. Questa volta non fu possibile trovare una soluzione diplomatica rivolta a salvare la stabilità dell’Impero Ottomano: di fatto la fine della Turchia in Europa ebbe come conseguenza principale la crisi austro-serba. I due conflitti balcanici, durati complessivamente dieci mesi, sono di difficile comprensione per diversi motivi: la nascita di una lega anti-ottomana, la partita diplomatica segreta giocata dalla Triplice Alleanza e dalla Triplice Intesa. Esse furono anche l’esperienza che diede fama ai primi inviati di guerra, come Lev Trockji (1879-1940) e Filippo Tommaso Marinetti (1876-1944). L’origine di questo conflitto è da ricercare nello ‘’status coloniale’’ assunto da Istanbul nel corso degli ultimi decenni, durante i quali l’Impero era divenuto un’enorme opportunità economica per le imprese private inglesi, francesi e tedesche (numerose rendite provenivano dal commercio di tabacco e cotone). I ceti dirigenti balcanici si adeguarono a questa situazione, quella che li vedeva in completa subordinazione alle grandi potenze europee. Questa condizione di pseudo-vassallaggio fu la causa che spinse i Giovani Turchi ad attuare il colpo di Stato nel 1908, che portò alla fine del governo fortemente autoritario del sultano Abdul Hamid II. Nell’Ottobre del 1908 l’Austria-Ungheria aveva direttamente annesso la Bosnia, approfittando proprio della situazione di confusione creatasi nello Stato ottomano. Questo gesto portò alla rottura tra Asburgo e Russi, con i secondi che cominciarono allora ad adottare una nuova politica balcanica, basata sull’avvicinare Serbia e Bulgaria. Lo scoppio della guerra italo-ottomana (1910-1911), scatenata dall’invasione italiana della Libia , spinse gli Stati balcanici ad accordarsi diplomaticamente: dapprima si accordarono la Serbia e la Bulgaria, poi la Bulgaria e la Grecia, in seguito la Serbia e il Montenegro ed infine la Bulgaria ed il Montenegro. Tutti questi patti bilaterali erano stati stipulati soprattutto per merito delle trame ordite dalla Russia, che voleva intimorire l’Austria-Ungheria e allo stesso tempo interferire nelle vicende ottomane. La ‘’Lega Balcanica’’ si era dunque costituita per conquistare e spartirsi la Turchia europea. Il 1908 aveva anche innescato la problematica della questione albanese; tra l’altro gli Albanesi erano la comunità maggiormente rappresentate in territori decisamente contesi, come Epiro/Kosovo/Macedonia. Il causus belli fu la rivolta albanese scoppiata nel 1911, questa causata dall’ostilità della popolazione locale alla politica neottomana perseguita dai Giovani Turchi. Nel 1912 i capi albanesi ottennero da Istanbul la possibilità di divenire autonomi, cosa che portò alla nascita dell’Albania autonoma, che andava a compromettere non poco le ambizioni serbo-greche. A questo punto gli alleati balcanici ruppero gli indugi: sulla scorta di re Nicola del Montenegro (1910-1918), che per primo dichiarò guerra alla Porta, tutti gli altri si lanciarono contro la Turchia in Europa: fu così che ebbe inizio la prima guerra balcanica (Ottobre 1912-Maggio 1913). L’estensione territoriale del conflitto fu qualcosa di totalmente differente rispetto a tutte i precedenti conflitti balcanici: fu una guerra lampo in cui gli eserciti bulgaro/greco/montenegrino/serbo riuscirono a sconfiggere quello turco. Nel giro di poco tempo vennero occupate l’Epiro, la Tracia, la Macedonia e il Kosovo; rimanevano comunque alcune sacche di resistenza. Da soli gli alleati riuscirono a replicare l’impresa russa del 1878, forzando i Turchi a chiedere un armistizio nel 1912. Si aprì così nel Dicembre dello stesso anno la conferenza di pace di Londra, che però venne condizionata da novità scoppiate mesi prima: l’occupazione serba della Macedonia e la presa greca di Salonicco, che era ambita dai Bulgari. Il riconoscimento di uno Stato albanese a partire da Scutari frustrò non poco le ambizioni serbe di ottenere uno sbocco sul mare. Nel frattempo ad Istanbul un nuovo colpo di Stato (1913) riportò al potere i Giovani Turchi e riaccese per qualche mese il conflitto, che si spense definitivamente dopo pochi mesi. Le pressioni diplomatiche austro-ungheresi e russe esasperarono però le rivalità latenti tra i membri della Lega; a Londra era intervenuta anche la Romania, che rivendicava la Dobrugia bulgara. Il mancato accordo per la divisione della Macedonia portò alla rottura tra Greci e Serbi da una parte, e Bulgaria dall’altra. Le tensioni aumentarono senza che i Bulgari facessero nulla per sedarle, nemmeno quando si arrivò ad incidenti tra militari: fu così che il 30 Giugno 1930 scoppiò la seconda guerra balcanica (30 Giugno-30 Luglio 1913). I Bulgari vennero pressati da tutti gli Stati confinanti, anche dai Rumeni e dai Turchi (questi si ripresero la Tracia), venendo così forzati alla tregua. Con il trattato di Bucarest (1913) vennero sancite le perdite territoriali bulgare nei confronti di Romania, Serbia e Grecia; con gli Ottomani si arrivò ad una pace separata nel medesimo anno. Le guerre balcaniche avrebbero dovuto in teoria portare alla fine di un ciclo evolutivo apertosi con il Congresso di Berlino (1878), ma lo scontro fratricida dell’estate del 1913 creò delle frizioni irreparabili all’interno dei Balcani: quella tra Bulgaria e Serbia, e soprattutto quella tra quest’ultima e l’Austria- Ungheria. I conflitti del 1912-1913 fecero esplodere la vera ‘’polveriera’’, l’Europa delle grandi potenze. A lungo è stata trascurata l’altra faccia delle guerre balcaniche: le atrocità compiute contro la popolazione musulmana, e più in generale le enormi sofferenze subite dalla popolazione più debole (le donne in primo luogo). Alla fine del conflitto si verificò una feroce deottomanizzazione, che fu molto ben documentata dagli osservatori occidentali. Per quanto riguarda invece l’Impero Ottomano, il suo non fu solo un collasso militare, ma anche civile, economico, demografico e sociale; di fatto le due guerre segnarono il definitivo tramonto del programma multiculturale e multiconfessionale ottomano. Pochi dubbi restano ormai sul fatto che le due guerre furono una prova di modernità per gli Stati balcanici, che erano considerati dalle grandi potenze come delle semicolonie, deboli e incapaci di attuare delle strategie politiche proprie. A Vienna si sbeffeggiava apertamente il Montenegro, definito uno ‘’Stato da operetta’’, e la stessa Francia intervenne solo molto tardi per fermare il conflitto, convinta che la Lega non sarebbe mai stata in grado di sconfiggere gli Ottomani. Grecia, Serbia e Bulgari erano, sin dalla loro indipendenza, vissute all’ombra delle potenze , una condizione che generò tra le élites locali una notevole XII) DOPO BISANZIO Il breve Novecento balcanico fu un susseguirsi di tentativi di prove di modernità. I trattati con cui si concluse la Prima Guerra Mondiale portarono ad una totale ridefinizione delle geografie imperiali e nazionali: venne creato il Regno dei Serbi-Croati-Sloveni nel Dicembre 1918, gli Albanesi riebbero il loro Stato, mentre la Bulgaria sconfitta subì gravi perdite territoriali. L’Impero Ottomano venne smembrato con il trattato di Sèvres (1920), firmato con gli alleati dall’ultimo sultano Maometto IV Vahideddin (1918-1922). In Mesopotamia sorsero i mandati francesi e britannici, nacque uno Stato indipendente in Arabia e uno in Armenia, la Cilicia e Adana andarono alla Francia, Istanbul e gli stretti vennero smilitarizzati e assegnati ad un’amministrazione internazionale. Alcune spoglie dell’Impero finirono anche in mano alla Grecia, che però non si accontentò della Tracia e di Smirne, ma decise di lanciare una serie di campagne verso l’Anatolia centrale che la portarono sino a Bursa. La guerra greco-turca (1919-1922) terminò però con la vittoria dei nazionalisti turchi guidati da Mustafa Kemal (1881-1938), poi detto ‘’Ataturk’’ (lett. ‘’padre dei Turchi’’), il quale sarebbe riuscito a conferire alla Turchia nuova dignità andando oltre l’ideale ottomano. La vittoria nella guerra coi Greci non fu dunque l’ultima successo ottomano, bensì la prima vittoria turca, con cui si sanciva l’inizio di una nuova stagione caratterizzata dall’occidentalizzazione. Venne introdotto l’alfabeto latino, venne abolito il diritto islamico e introdotto un codice penale/civile, venne abolito il sultanato nel 1923 e l’anno seguente fu abolito il califfato (1924): era cominciata una nuova epoca. Con la fine del conflitto sorse anche una ‘’Grande Romania’’ grazie alle annessioni di Bessarabia, parte del Banato, Dobrugia meridionale e Bukovina. La situazione di questa nuova geopolitica era però fragile, tanto a livello economico, quanto a sociale (i tassi di analfabetizzazione erano elevatissimi). La Seconda Guerra Mondiale (1939-1945) fu atroce soprattutto in Jugoslavia, dove fu un insieme di guerre civili e di occupazioni a cui pose fine la presa del potere da parte dei comunisti di Josip Broz detto ‘’Tito’’ (1892-1980). La dittatura comunista riuscì a rilanciare il progetto jugoslavo per qualche decennio fino alla drastica rottura serbo-croata. In Grecia invece si verificò una durissima guerra civile (1946-1949) che arrise alla fazione occidentale grazie al supporto britannico; la Bulgaria finì invece sotto il controllo dell’URSS; l’Albania si legò invece alla Cina. Bulgaria e Albania portarono avanti il modello proposto dai sovietici: economia pianificata, urbanizzazione, industrializzazione di Stato, creazione di una classe operaia e di tecnici. La Jugoslavia visse il suo apogeo politico tra gli anni Sessanta e gli Ottanta, dando la percezione che la modernità potesse davvero andare oltre quel retaggio lasciato dal passato. Lo Stato jugoslavo cercò sempre di presentare se stesso in modo astorico, e questo perché quel passato di dominazione austriaca, ottomana, veneziana e ungherese suonava troppo di marginalità. Il futuro era invece rappresentato dal prestigio mondiale acquisito tramite la vittoria nel secondo conflitto mondiale: Tito nel 1953 venne accolto a Londra da Churchill e dalla regina Elisabetta II, nel 1976 fu alla Casa Bianca dal presidente americano Jimmy Carter. La realtà storica della Jugoslavia andava però superata attraverso con una visione culturale capace di andare oltre le differenze. Solo nel 1984 però Milan Kundera (1929) aprì la questione sul senso dell’Europa centrale, sul fatto che essa fosse stata spartita tra gli alleati e i sovietici. Nei Balcani il folklore era stato minimizzato, e quindi superare le differenze diveniva possibile per esempio nel progetto di Miroslav Krleza (1893-1981), massimo intellettuale e scrittore croato del Novecento. La simbiosi culturale jugoslava, di ciò si parla nel primo volume dell’Enciclopedia jugoslava (1955), voleva porsi a metà strada tra Roma e Bisanzio: essere jugoslavi significava stare nella ‘’terza via’’, quella che stava a metà tra Occidente e Oriente. Quest’idea ebbe un certo riscontro effettivo nell’Esposizione di arte jugoslava del 1950 a Parigi, nelle politiche internazionali perseguite tra il 1954-1956 (di equidistanza da URSS e USA). Il premio Nobel per la letteratura assegnato ad Ivo Andric nel 1961 per il suo capolavoro Il ponte sulla Drina sembrò effettivamente suggellare questo ideale. Alla simbiosi jugoslava si prestò anche Krleza, nella cui opera però i Balcani compaiono pochissimo, mentre è fortemente presente il Mediterraneo; tutto nell’opera dello scrittore croato gravita intorno all’Europa centrale da lui sempre denigrata. Già nei pieni anni Ottanta intorno alla Jugoslavia cominciò ad emergere un’aura di rassegnazione: il progetto di umanesimo culturale proposto dall’AVNOJ (acronimo del consiglio comunista che nel 1943 creò la Jugoslavia) era ormai fallito. Ancora una volta la polifonia che avrebbe dovuto superare le differenze causò la fine di un progetto unificatore; già nel 1974 la Jugoslavia era più una confederazione che una federazione. Le storiografie jugoslave ebbero il demerito di non portare mai a termine una sintesi, nonostante avessero avviato il progetto che portasse a questa: la Storia dei popoli jugoslavi, che si fermò al secondo volume (secoli dal XVI al XVIII, si ferma al 1790) dei quattro previsti. Il crollo della Jugoslavia non solo ricordò all’Europa cosa fosse un conflitto, ma significò un apparente ritorno alla frammentazione medievale, che di fatto si tradusse in un drastico e drammatico passaggio alla postmodernità. La fuoriuscita della Croazia e della Slovenia dalla federazione (avvenuta su forti pressioni tedesche) portò al loro reintegro nell’Europa centrale, a cui i due paesi ritengono storicamente di appartenere, cosa che ha fatto molto riflettere sul significato dei Balcani. La narrazione dell’integrazione europea avrebbe dovuto essere un nuovo appiglio per gli Stati balcanici per avviare un processo integrativo, tuttavia i bombardamenti NATO a Belgrado, il mancato decollo economico bulgaro dopo l’entrata nell’Unione nel 2007 e la dura politica finanziaria di Bruxelles verso la Grecia dal 2010, hanno raffreddato gli animi. I Balcani sono tornati ad essere una periferia marginale dell’Unione Europea, una situazione che ha portato ad un rinnovato interesse per l’Impero Romano d’Oriente. Bizantinismo e ottomanismo sono oggi filoni di studio molto ‘’caldi’’ nelle realtà accademiche balcaniche (Sofia, Atene, Belgrado), ma anche dei modelli per alcuni Stati come Turchia (il rinnovato ottomanismo di Erdogan) e la Russia (si è parlato molto di politica bizantinista russa). Oggi è stata restituita nell’area una maggiore attenzione per la diversità religiosa; in generale però i Balcani restano un’area particolarmente importanti dal punto di vista geopolitica (c’è un forte interesse economico da parte della Cina e della Turchia, una grande base NATO in Kosovo).
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