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Riassunto de Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa, Appunti di Letteratura

Trama e analisi storica del romanzo di Tomasi di Lampedusa

Tipologia: Appunti

2019/2020

Caricato il 07/12/2020

Daniela_-
Daniela_- 🇮🇹

4.5

(33)

26 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Riassunto de Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa e più Appunti in PDF di Letteratura solo su Docsity! IL GATTOPARDO Il Gattopardo è l’unico romanzo completo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, pubblicato nel 1968 dopo la morte dell’autore, nonostante l’autore ci tenesse moltissimo a questo romanzo come evidenziano le lettere testamentarie destinate ai parenti nelle quali raccomanda più volte di cercare di far pubblicare questo romanzo, egli dunque non seppe mai dell’enorme successo che ebbe il romanzo anche all’estero, successo accresciuto grazie anche alla trasposizione cinematografica (Gattopardo di visconti). In seguito alla pubblicazione furono trovate tra le carte dell’autore anche altri racconti e l’abbozzo di un altro romanzo, delle elioni di lingua straniera (francese e inglese). Uno di questi racconti è La Sirena, anch’esso pubblicato postumo. Si sa anche grazie alla testimonianza della moglie di Tomasi Di Lampedusa, che l’autore gia da molti anni aveva in mente l’idea di scrivere un romanzo ispirato alla figura del nonno, un aristocratico vissuto nell’epoca dello sbarco i Garibaldi in Sicilia dunque in pieno Risorgimento, ma lo scrive soltanto negli ultimi anni di età, tra il 55 e il 56, poi lo ricopia (vi è una copia scritta a mano dallo stesso autore e un'altra ricopiata a stampa da uno degli allievi di Tomasi, Francesco Orlando, uno dei più importanti critici letterari del filone psicoanalitico). Lo scrittore propone il romanzo a più case editrici: prima alla Mondadori, che lo rifiuta, e all’Einaudi che rifiuta a sua volta; sarà poi pubblicato dalla Feltrinelli piu precisamente d Bassani che lavorava nella casa editrice. Il rifiuto della casa editrice Einaudi ha anche un importanza storica poiché coinvolge una personalità intellettuale non secondaria del panorama culturale italiano dell’epoca, Elio Vittorini, il quale fa capire nella lettera di rifiuto che il suo romanzo non è adatto alla sua collana perché ha delle caratteristiche nn in linea con il progetto di rinnovamento culturale che la casa editrice si proponeva negli anni del dopoguerra, definendo Il Gattopardo un libro anacronistico “non sufficientemente equilibrato nelle sue parti” e inserito in un filone, quello del romanzo storico, che ha il suo grande successo alla fine dell’800 che ormai secondo Vittorini è superato negli anni 50 del Novecento, criticando non solo il carattere estetico ma anche la narrazione, considerata schematica e prolissa. Al contrario Giorgio Bassani deciderà di pubblicare questo romanzo, colpito dalla qualità stilistica del romanzo ed effettivamente lo stile dell’opera è una delle caratteristiche che ha contribuito al suo successo, la prolissità che vedeva Vittorini è dovuta alle diverse digressioni nei vari momenti della vita quotidiana, che son però fondamentali per lo scopo ultimo dell’opera che è quello di descrivere un mondo, la vita quotidiana dell’aristocratico permettendo al lettore di entrare meglio in quest’atmosfera. La trama è molto simile a quella de I Viceré, infatti un romanzo che racconta le vicende dei componenti di una famiglia aristocratica siciliana borbonica, più precisamente del capostipite della famiglia (Don Fabrizio di Salina) nel momento del risorgimento e dell’epoca post rinascimentale. Si assiste alla decadenza di questa nobiltà e al fallimento post risorgimentale. Infatti il romanzo viene spesso accomunato ai Viceré, Spinazzola li definisce, insieme a I vecchi e I Giovani di Pirandello, romanzi anti-storici poiché raccontano e denunciano il fallimento del risorgimento in Sicilia, da prospettive diverse , dimostrando come la stoia possa talvolta “fare un passo avanti e due indietro”, portando non al progresso ma ad un peggioramento delle condizioni di vita, causato anche dalla delusione delle speranze dell’isola nel processo risorgimentale. L’unificazione d’Italia aveva infatti portato il meridione a sperare che potesse esserci una svolta, la quale però non avviene e il nuovo mondo non è di certo migliore agli occhi degli stessi cittadini. Altro tema importante è quello della classe dirigente e del mancato cambiamento dell’esercizio del potere, al quale però si affianca il tema dell’ascesa dei “nuovi ricchi” cioè della borghesia. Innanzitutto notiamo gia dal nome (Giuseppe Tomasi Principe di Lampedusa) che l’autore fa parte di questa classe sociale di cui racconta, un nobile molto colto che si dedica al classico otium letterario, tiene delle lezioni private in casa sua. Lo stesso Tomasi era ben consapevole che i suo romanzo sarebbe stato immediatamente paragonato al romanzo I Viceré e per questo si premura di sottolineare la differenza tra la prospettiva che lui propone e quella di De Roberto in una lettera al barone Merlo (pag.9) al quale spiega che a differenza di De Roberto, il suo non è un atteggiamento di astio nei confronti della classe sociale raccontata nel romanzo, astio che emerge nella descrizione grottesca dei personaggi e nel suo fare di questi l’incarnazione di disvalori umani, ma anzi è assolutamente contrario: egli si avvicina alla narrazione con partecipazione (lui stesso è un aristocratico) e senza quella rabia che possiamo leggere in de Roberto. In tutto il libro, il mondo della nobiltà viene descritto sotto una duplice luce, da una parte ne viene messo in evidenza il disfacimento e la decadenza fisica (la stessa voce narrante nota come secoli e secoli di matrimoni interni alle casate abbiano prodotto dei veri e propri mostri) economica, dunque una decadenza simbolica nel prestigio che queste famiglie aristocratiche rappresentavano nel territorio. Decadenza dovuta a varie ragioni: prima di tutto il fatto che i latifondi, enormi distese di terra su cui si fondava la ricchezza dei nobili, ad un certo punto cominciarono o a non dare più frutti o. dal momento che i nobili non erano dei bravi amministratori dei loro beni, venivano derubati dai loro stessi contadini e di questo il principe Fabrizio di Salina è ben consapevole e non è capace di amministrare con intelligenza dei propri feudi perché non è questa un’attività degna di un aristocratico, abituato a basare il suo potere sul diritto di nascita. Questo assenteismo da parte della classe nobiliare nelle sue terre ha fato si he il patrimonio della nobiltà venisse meno facendo arricchire coloro che seppero ben amministrare e terre e accumularle; i nuovi borghesi possono ricordarci mastro don Gesualdo, persone che venute dal nulla, grazie all’intraprendenza economica riescono a fare fortuna. Il protagonista del romanzo guarda con ammirazione a questo “homo novus”, rappresentato da Don Calogero Sedara che al contrario del principe non fa altro che occuparsi delle sue terre, evitando cosi di essere derubato dai contadini. Questi nuovi ricchi riescono ad accumulare patrimoni pari a quelli dei nobili, proprio grazie a questa loro intraprendenza e prudenza nel gestire i latifondi: il momento in cui Don Fabrizio si rende conto che la sua classe è ormai andata incontro ad un’inevitabile decadenza è quando gli si dice che nel feudo di Donna Fugata il patrimonio di Don Calogero Sedara eguaglia quasi il suo, inoltre Don Fabrizio si rende conto che mentre il suo patrimonio andrà diviso tra i vari figli, Don Calogero Sedara potrà lasciare tutta la sua eredità alla figlia Angelica e dunque nella prossima generazione, anche se i suoi figli manterranno il nome nobile, Angelica Sedara, una borghese venuta dal nulla, sarà più ricca: ecco lo squilibrio che va a crearsi, causa della decadenza della vecchia nobiltà. Gli esponenti di questa borghesia arricchita andranno inoltre a sposare gli ultimi aristocratici, questo un altro tema che viene affrontato anche nei Viceré con i Giulente, quello della mescolanza tra le classi sociali. Mentre i Vicerè si presentano come un romanzo corale, al contrario Il Gattopardo ha un unico protagonista che is taglia su tutti gli altri grazie alla sua superiorità morale e intellettuale, Don fabrizio Salina che abita a palermo, città sede dell maggior parte della narrazione. Questa superiorità è anzitutto una superirotà fisica, fin da subito ci viene detto come egli sia massiccio, alto, imponente, le sue mani vengono spesso definite come zampe e quando cammina fa tremare il pavimento, queta sua stazza intimorisce gli altri. Questa sua carateristica è forse dovuta anche alle origini diverse da i suoi compatrioti, egli ha infatti origini tedesche (la madre era tedesca) e per questo si differenzia anche per colorito di pelle dagli altri abitanti olivastri, essendo biondo e con gli occhi azzurri. Questa diversità sé specchio di una dversità anche morale e intellettule, Don F è particolarmente intelligente e risce a capire cose che i suoi familiari e amici non colgono, comprende le persone, una sorta di inclinazione al pensiero astratto, si chiede spesso il perché delle cose, e la maggior parte delle volte non trova il senso, soprattutto difronte agli eventi storici che si succedono, per questo ilromanzo puo esseere definito antistorico, poiché denuncia, attraverso il senso critico di Don Fabrizio, la mancanza di senso della storia. Il fatto che sia un intellettuale è inoltre una caratteristica insolita per i nobili, che ritengono superfluo questo interesse intellettuale (come abbiamo visto ne I Vicerè) egli al contrario si interessa in particolare ad una disciplina insolita e complessa come l’astronomia, possiede un osservatorio e ha scoperto anche due stelle alle quali ha lui stesso dato de nomi, ricevendo degli importanti premi da parte di accademici e scienziati. Questo lo rende uno stravagante agli occhi degli altri nobili e gli viene perdonata questa bizzarria semplicemente perché ha altre caratteristiche che lo fanno apparire “adeguato” agli occhi degli altri nobili, per esempio la caccia o l’essere un donnaiolo. La passione per la matematica e l’astronomia ha un significato più profondo: Don Fabrizio ha una diventare Senatore, Don Fabrizio Salina rimane attonito e risponde di no, chiedendo se questa nomina è un titolo che comporta anche l’esercizio del potere, poiché diventare senatore implicherebbe partecipare attivamente a quella rivoluzione che lui si era limitato ad osservare, da borbonico, e si trova ad essere fedele alla casa dei Savoia solo perché le circostanze lo hanno richiesto, ma non saprebbe attivarsi concretamente per la sua terra. Quando Chevalley insiste per convincere Don F. ad accettare, quest’ultimo fa un famoso discorso in cui descrive il carattere dei siciliani, che non potrà mai essere cambiato dai nuovi eventi storici: la Sicilia è sempre stata oggetto d dominazione da parte di sovrani stranieri, mai i siciliani hanno avuto la possibilità di autogovernarsi e la vera occasione per i siciliani di dire la propria, ovvero il plebiscito, era stata sprecata .dice poi “il peccato che noi siciliani non perdoniamo mai è quello di 2fare””, nel corso del romanzo si notano speso riferimenti all’ozio, alla pigrizia dei siciliani, descritta come una razza voluttuosa dedita ai piacere e amante dell’ozio: il fare non piace ai siciliani, che non sono mai stati chiamati a decidere del proprio destino, e nemmeno nell’occasione dell’unita di Italia è stato così. questi tratti del carattere dei siciliani sono tratti che derivano dalla storia dell’isola e dalla geografia dell’isola stessa, si danno delle motivazioni quasi deterministiche a questi atteggiamenti, questa parte tra l’altro, viene citata da Sciascia che parlerà proprio di 2sicilitudine2, carattere intrinseco dei siciliani risultato di eventi storici favoriti dalla posizione geografica dell’isola. Secondo Don Fabrizio sono anche il clima e il paesaggio della regione a renderla tale [p.179], spesso nel romanzo viene fatto riferimento infatti al sole siciliano, un sole violento che prosciuga tutte le forze e rende difficile qualsiasi movimento, e le piogge tempestose che fanno impazzire i torrenti asciutti. Questo clima violento, insieme a tutti i governi che non hanno fatto altro che imporre tasse da spendere altrove 8proprio come si prospetta di fare il nuovo governo sabaudo) hanno formato il carattere della Sicilia, il quale però è caratterizzato anche da un certo orgoglio, che li porta ad allontanare le novità n quanto credono di essere già perfetti [p.183] “la loro vanità è piu forte della loro miseria”. Tutto questo discorso è una giustificazione per il suo non voler partecipare alla nuova vita politica, della quale non si sente parte; suo malgrado invece si riconosce con quel popolo che conosce fin troppo bene, lo si capisce quando parla con Chevalley, o da quell’ultima frase pensata da principe quando il messo sta per congedarsi [pag.185], gli sciacalli e le iene sono animali che si nutrono delle carcasse degli animali morti, e così si nutriranno del gattopardo morto ma tutti continueranno a credersi “il sale della terra”, a credere che quel momento storico sia il momento ideale; ma soprattutto nel capitolo del ballo in cui si rende conto di aver vissuto a cavallo tra due mondi, senza appartenere ne all’uno (borboni, aristocratici, vecchi) ne all’altro, quello post-risorgimentale, a tal proposito ricordiamo il romanzo di verga i vecchi e i giovani dove appunto viene trattato questo tema; Don Fabrizio si sente ormai di appartenere alla vecchia classe dirigente, per questo suggerisce il nome di Don Calogero Sedàra, un uomo abile nell’aver saputo scegliere da che parte stare. I capitoli dal Primo al sesto sono ambientati tra il 1960 e il 1962, caratterizzati da un continuum cronologico; invece le ultime due parti sono ambientate nel 1983 e nel 1910, a cinquant’anni dallo sbarco di Garibaldi in Sicilia. Nella penultima parte vediamo la morte del Principe Fabrizio, unico avvenimento che occupa tutto il capitolo, morte preannunciata e corteggiata da Don Fabrizio con continui riferimenti alla morte e alla caducità della vita. Qui, pensando all’ultimo Salina, Fabrizietto, Don Fabrizio giumge alla conclusione che il nome dei Salina sarà accomunato a quello degli altri suoi coetanei, non ci sarà più quel ricordo di un’aristocrazia raffinata, vera, fatta di tradizioni e ricordi, ma anzi di una nobiltà attenta al prezzo, abituata ai matrimoni di interesse. E conclude questa riflessione realizzando che aveva avuto torto pensando che 2i salina sarebbero sempre rimasti i Salina” e dunque che la famosa frase di Tancredi (se vogliamo che tutto rimanga com’è bisogna che tutto cambi) era stata smentita dal tempo, poiché tutto era e sarebbe ancora cambiato [242]. L’ultimo capitolo, ambientato nel 1910, vede come protagonista assoluta Concetta, Don Fabrizio penserà infatti in punto di morte che lei è l’unica figlia che conserverà l’eredità dei Salina, l’unica vera Salina e in quanto vera salina si è rifiutata, come il padre si rifiutò di adattarsi ai nuovi tempi, di volere alcun partito. È infatti ormai una zitella di 70 anni. Questo capitolo si conclude con un resoconto della vita delle tre sorelle zitelle che vivono insieme nella casa di Salina, con una visita di Angelica a Concetta – le due sono diventate infatti molto amiche tra di loro, Tancredi è morto- e si ha un’ultima decisiva rivelazione: Concetta scopre in alcune conversazioni con dei vecchi amici che Tancredi, il tanto odiato cugino che l’aveva respinta, le aveva voluto veramente bene e pensava spesso a lei, forse era anche innamorato di lei ma non aveva potuto sposarla poiché non conveniva. Concetta allora si rende conto di aver passato tanti anni rimproverando il cugino e il romanzo si conclude con le celebrazioni del 50°anno dello sbarco di Marsala e in questa occasione viene invitato un nipote di casa Salina a ricordare le imprese di Tancredi, di cui la moglie Angelica ricorda il passato garibaldino, nonostante avesse poi rinnegato questo suo passato, entrando nell’esercito regolare piemontese e poi divenuto deputato: ancora una volta dimostrazione della facilità con cui questa gente cambia partito pur di stare dal lato dei vincitori. Infine concetta mette da parte il suo rancore nei confronti del cugino e del padre ma decide di mettere da parte anche ogni ricordo e reliquia, il corredo da sposa e Bendicò - cane di don Fabrizio imbalsamato che le ricordava suo padre, significativamente un alano, possente come il padrone-. A molti critici è sembrato che l’ideologia del romanzo fosse fortemente conservatrice, un romanzo ancorato al passato come dice Vittorini, reazionario e conservatore, perciò Vittorini non potè accettare di pubblicarlo in quanto intellettuale d sinistra che operava con idee progressiste e comuniste; in realtà non è così, Tomasi di Lampedusa non difende uno stato di cose passato contro il presente, il regime borbonico contro l’unita di Italia, ma mostra come tante speranze e auspici che gli intellettuali avevano riposto in questo processo risorgimentale furono delusi dall’incapacità della nuova casse dirigente di approfittare del momento per migliorare le cose. Bisogna inoltre ricordare che il romanzo fu scritto negli anni 50, nel periodo del dopoguerra, periodo di passaggio dall’Italia monarchica all’Italia repubblicana accompagnato anch’esso da speranze che sono state disattese, e per questo possiamo leggere questo romanzo come un romanzo che parla del passato rifacendosi però al presente.
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