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Riassunto de “L’ Agnese va a morire”, Sintesi del corso di Letteratura Italiana

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Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

Caricato il 26/11/2020

giorgia_noviello
giorgia_noviello 🇮🇹

4.6

(19)

13 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Riassunto de “L’ Agnese va a morire” e più Sintesi del corso in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! L’Agnese va a morire ​di ​Renata Viganó parte prima •​capitolo 1: Una sera la signora Agnese tornando da lavoro incontra un giovane soldato malandato, mentre si incamminano verso casa incontrano le figlie della Minghina, che si misero a parlare tra di loro (=donna con cui non va d’accordo). Arrivati a casa, vedono Palita (=marito di Agnese)e la gatta vicino alla finestra. Si misero a tavola e Palita disse al giovane di raccontargli qualcosa, ma alla fine parló solo lui. Raccontando della sua infanzia e dei suoi problemi di salute dovuti ad una malattia che lo costrinse a passare del tempo in sanatorio e a poter lavorare solo con i vimini, non più nella terra della sua famiglia (che fu poi venduta). Poi raccontó di lui e Agnese, dicendo che lei lo aveva scelto perché era più istruito degli altri, descrisse poi l’aspetto bello e giovanile che un tempo aveva la moglie, tutto il contrario di quello attuale. Lei lo rimproveró con gli occhi ridenti e uscì a prendere l’acqua al pozzo, mentre il giovane continuava a mangiare. Bussarono alla porta, lei andó ad aprire e trovò la Minghina, venuta per avvertirla dell’arrivo dei tedeschi (visti dalle sue figlie), consigliandole di mandare via il soldato. Ma lei la chiuse fuori, accese il lume e vide il soldato addormentato. Appena si fece giorno, preparò la colazione e invitò il soldato a partire, avvertendolo dell’arrivo dei tedeschi; gli diede delle provviste e gli consiglió un posto per nascondersi fino alla sera, solo allora sarebbe potuto tornare da loro. I tedeschi arrivarono, controllarono la casa in cerca di disertori, ma poi portarono via Palita per lavorare, nonostante fosse malato, senza dire dove sarebbe andato e per quanto. Lei gli corse dietro, si fermó stanca e senza fiato, lasció stare come le consigliò il marito e tornó a casa, prese da mangiare e si avvió verso il paese. Dove vide altre donne in lacrime, davanti alla casa del fascio pensó che non avrebbe più rivisto suo marito e cominció a piangere. •capitolo 2: Si mise ad aspettare, non sperava che Palita tornasse. La gatta le dava fastidio e così la scacció. Quando sentì un rombo, erano 4 aerei, che bombardavano il ponte. Vide un branco di persone che correvano, che scappavano dalle bombe e alla fine si lanciarono in casa sua e lei lo fece passare. Ci fu il segnale di cessato bombardamento e invitó ad andarsene, ma alcune donne vollero rimanere, dichiarando che anche loro avevano visto qualcuno a cui tenevano che veniva portato via dai tedeschi. Era ricomparsa anche la famiglia della Minghina. Più tardi decise di andare a vedere se il giovane si stesse nascondendo dove lei aveva suggerito, ma non trovó nessuno e suppose che ce l’avesse fatta. Non incolpó il giovane per ciò che era successo, infondo non ne aveva motivo ( anche lui soffriva la guerra), ma maturó un odio verso i tedeschi che facevano i padroni. Tornó a casa in tempo per sfamare il maiale (cosa che il marito le aveva raccomandato) e trovó la gatta a dormire su una camicia di Palita. Dopo qualche giorno arrivó una lettera dal marito, ma lei non sapeva leggere, la tirava fuori di tanto in tanto e piangeva. Vennero a trovarla tre uomini amici di suo marito (erano dello stesso partito comunista), le parlarono di alcune cose e lei si offrì di aiutarli se avessero avuto bisogno di lei, senza farsi scoprire. Le chiesero chi potesse aver fatto il nome di suo marito e allusero che fosse stata la Minghina e lei confermó il loro sospetti ma non ne fu ancora sicura. Ora che Palita non c’era più, pensó di smettere di lavorare perché reputava che i suoi risparmi fossero sufficienti a mantenerla. Ma alla fine decise di continuare, ebbe ancora più lavoro di prima e questo suscitó l’invidia della Minghina e delle sue figlie, che si tormentavano su quanto fosse alto il suo guadagno. Una volta, addirittura, vedendola in difficoltà, si offrirono di aiutarla e la Minghina le chiese anche se potesse assumere una delle sue figlie ma lei rifiutó sia l’aiuto che la proposta. Nonostante avesse le mani distrutte e fosse stanca, tornó casa e si mise a dormire. •capitolo 3: In paese, in inverno, cominciarono ad arrivare dalla Germania le lettere dei deportati. Agnese non ricevette nulla, continuó a pensare che Palita fosse morto, di giorno riusciva a distrarsi perché aveva il cervello impegnato in altre cose, di notte invece non faceva che piangere, con la gatta accoccolata nella parte vuota del letto. Una sera tornó a trovarla lo sconosciuto della prima volta, venuto a chiederle aiuto per una consegna che lui non sarebbe riuscito a fare. Lei accettó (“se son buona..”), lui le diede tutte le informazioni: le spiegó che percorso avrebbe dovuto fare per evitare gli appostamenti dei tedeschi e le diede alcune raccomandazioni sullo strano contenuto della consegna, molto simile ad sapone, che doveva consegnare, raccomandandosi di non tenerlo vicino al fuoco, altrimenti poteva scoppiare. Agnese che ultimamente stava guadagnando molto grazie alle sue consegne coperte dal lavoro del bucato, decise di dare parte dei suoi soldi per la causa, poiché a lei non sarebbero serviti. Infine, la salutó e le raccomandó di stare attenta, ma lei non sembrava aver paura della morte. Al mattino, si prepara per la consegna da fare in bicicletta, facendo attenzione a tutti i suggerimenti. Giunse vicino ad un paese, dove suonava una campana, sospettando di essere in ritardo, poi si accorse che la campana suonava a morto. In lontananza vide una folla e dei tedeschi vicino ad un albero, da cui pendeva un corpo impiccato, che recava la scritta “partigiano”, udì che quello sarebbe stato il trattamento riservato a tutte le spie e ai traditori. Spaventata si affrettó ad ultimare la sua consegna, arrivata nel luogo esatto, diede alle persone che l’accolsero le stesse raccomandazioni che aveva ricevuto lei. Questi le affidarono altri incarichi, cioè riferire ad altri che i tedeschi avrebbero fatto un rastrellamento, e quindi, di tenersi all’erta. Così subito partì, riferì il messaggio a tutti coloro che le erano stati segnalati, dopodiché avvertì uno scoppio in lontananza, probabilmente anche a detta degli ultimi avvertiti, coloro a cui aveva fatto la consegna avevano fatto esplodere il ponte. Stanca e distrutta, tornó nel suo paese, dove l’avvertirono che il figlio di Cencio la stava cercando. Tornó di corsa a casa, per parlare con il ragazzo che era stato deportato insieme a suo marito, per avere notizie. Trovandolo, lo fece accomodare, scaldare e mangiare. Lui inizió a raccontare, quando ad un certo punto, Agnese chiese notizie di suo marito, affermando di saperlo morto, quando il ragazzo confermó i suoi timori, scoppió a piangere, perché avrebbe tanto voluto sbagliarsi. Allora lei volle sapere tutto, lui le raccontó di come erano stati messi in una caserma e poi spostati su un treno nonostante Palita avesse la febbre, di come quel treno fosse così pieno da non riuscire nemmeno a sdraiarsi, di come nessuno sapeva distinguere i giorni dalle notti, di come non spostarono mai i morti dal vagone finché un ufficiale dopo vari giorni gli ordinó di farlo appena fermi, di come le persone provassero a dividere il cibo senza che fosse mai abbastanza per sfamarli pienamente tutti, di come una madre disperata volle far cadere fuori il corpo della figlia morta (facendola uscire dal finestrino), di come Palita non parló più e non gli lasció mai la mano finché non morì. Fu proprio quando fecero scaricare i cadaveri che il ragazzo approfittó del momento per scappare, in prenda alla foga, si mise a correre e poi riuscì a tornare a casa. Quella notte Agnese dormì e sognó Palita che le diceva di star tranquilla, che sarebbe stata bene e che era contento che avesse saputo cosa gli avevano fatto i tedeschi (: cosa che Palita aveva raccomandato al ragazzo di raccontare ad Agnese prima di morire). •capitolo 4: Quando facevano sosta in paese i nuclei di forze tedesche, i fascisti repubblicani stavano quieti e pronti agli ordini. Ma quando se ne andavano, non si fidavano di nessuno, nemmeno di loro stessi. Passavano il tempo ascoltando le notizie su Hitler e le sue armi segrete e passandosi le ragazze. Tra queste vi erano le figlie della Minghina: giovani belle, che tolte al lavoro dei campi erano felici di portare a casa il più possibile, per persuadere la madre, il padre invece contro tre donne veniva messo a tacere. Accendevano sempre la radio; quando qualcuno passava di là, si fermava un po’ per ascoltare ma mai più del dovuto, anche chi doveva sbrigare delle faccende con loro andava sempre di fretta, senza mai trattenersi. Un giorno, la Minghina disse all’Agnese che erano tutti invidiosi, ma lei ribattè dando la colpa alla radio, “affare dei tedeschi e dei fascisti”, che le ragazze si erano portate a casa. La Minghina affermó che le sue ragazze erano state chiamate e che quando loro chiamano non si può mai dire no, a quel punto Agnese le disse che lei invece l’aveva fatto (dicendo di essere malata). Infatti, non andava più al lavatoio per non lavare gli abiti dei tedeschi. Molte volte si chiedeva se i compagni avrebbero approvato il suo comportamento. Quando vennero a sapere che aveva rifiutato il lavoro, le dissero che aveva fatto bene. Inoltre, da quando aveva saputo che Palita era morto se lo sognava tutte le notti, vedendolo sempre sereno, pronto a consigliarla e a rassicurarla. Ma ai compagni questo non lo raccontava; avevano provveduto a nascondere il figlio di Cencio, che Successivamente partirono in barca, la Rina non riusciva a dormire quando Tom era via e così si mise a vegliare insieme all’Agnese. Quando ad un tratto scoppió un clamore sulla strada affianco al canale, erano i tedeschi che stavano dando fuoco alle case dell’argine. Arrivó di corsa un partigiano avvertendo tutti di andare via, mandandole per ordine del Comandante ad A L a chiedere di Walter che si sarebbe occupato di loro. La Rina inizió a piangere perché avrebbe voluto che fosse tornato Tom, ma L’Agnese le spiegó che non esistono mogli e mariti quando si è in guerra e si deve seguire solo l’ordine del Comandante. E salutarono i partigiani che prima facevano la guardia. Erano rimaste da sole nella valle, il giorno stava arrivando e si sentiva più forte l’odore dell’incendio. A quel punto L’Agnese senza pensare ulteriormente ai dolori privati della Rina, decise di nascondere tutte le provviste su una vecchia barca che poi avrebbe nascosto fra i canneti, era abbastanza lontana, e anche se non erano quelli gli ordini del Comandante, anche la Rina, inizialmente riluttante, decise di darle una mano. Appena finirono di sistemare tutto, sentirono uno scoppiettio arrivare dalla capanna vicino all’albero, stava prendendo fuoco: ma L’Agnese decise di andare a controllare per sapere se l’incendio fosse causa dei tedeschi o di un proiettile scoppiato per il caldo. Scoprì una tanica di benzina, e capì che fu opera dei tedeschi. Corse verso Rina e insieme andarono via da lì, dirigendosi nel luogo indicato dal Comandante. •capitolo 4: Finalmente erano arrivate al fiume, lo passarono e si fermarono a mangiare e riposare dietro una casa, perché non potevano andare a quell’ora nel luogo sicuro, a causa del coprifuoco. Si sdraiarono a terra e si coprirono con un coperta, improvvisamente sentirono l’avvicinarsi di un rumore, ripetuto regolarmente; erano i tedeschi che si avvicinavano alla valle. L’Agnese disse alla Rina di star ferma e zitta, nel frattempo i soldati si erano stesi a terra e iniziarono a sparare in tutte le traiettorie verso la valle, in direzione del canneto. Dopo aver finito, si alzarono in piedi e si avvicinarono per dare fuoco a quello che prima era l’accampamento dei partigiani. L’Agnese sperava con tutto il cuore che arrivassero gli aerei alleati a bombardare quella zona, attirati dal fuoco; alla fine arrivarono, ma era troppo tardi e sganciarono inutilmente le bombe in quella distesa di fuoco. La Rina, ormai, impaziente volle alzarsi ma L’Agnese la fermó in tempo, poiché non se n’erano ancora andati i tedeschi. Restarono tutta la notte sveglie, attendendo che i tedeschi se ne andassero. Ma appena inizió a diventare chiaro il cielo, un soldato le vide e si avvicinó a loro. La Rina parló usando un linguaggio infantile per farsi capire, e dopo aver dato da mangiare al soldato, quest’ultimo si accordó per farle passare. Ma quando proseguirono il cammino, vennero bloccate nuovamente, questa volta da altri soldati che le trattennero, sospettando che avessero informazioni sui partigiani, poiché erano sporche di fango e provenivano dalla valle. Altre persone passarono di lì, dopo il rastrellamento, ma furono lasciate andare. La Rina e L’Agnese continuavano ad essere trattenute; la Rina si chiese, allora, se il motivo fosse che la donna che aveva ucciso quel tedesco fosse L’Agnese e una volta confermato da quest’ultima, decise che non avrebbe voluto morire e che alla prima buona occasione sarebbe scappata. L’occasione si presentó quando i soldati abbassarono le armi, poiché ritenevano che fosse abbastanza semplice tener ferme due donne, in quel momento di distrazione la Rina corse, piena di paura, più veloce che potè e nessun proiettile o tedesco riuscì a prenderla. Puntarono le armi contro L’Agnese a cui un soldato continuó a chiedere informazioni sui partigiani, dicendole che se avesse parlato, l’avrebbe lasciata andare. Ma lei non parló, stanca decise di sedersi e nessuno la rimproveró o le disse nulla. Fino all’arrivo di un ufficiale a cui il soldato comunicó tutto quello che sapeva, l’ufficiale innervosito se ne andó e dopo L’Agnese fu rilasciata. Si avvió finalmente verso il luogo sicuro, che raggiunse dopo 4 ore, facendo attenzione a non farsi riconoscere e a passare per una normale contadina anziana. Arrivata alla casa di Walter, trovó anche la Rina. Le due si abbracciarono in silenzio. L’Agnese mangió e dopo tanto tempo finalmente dormì in un letto. •capitolo 5-6-7: Arrivó una staffetta di Biagio a portare notizie dal Comandante: nella notte dell’incendio la compagnia era entrata in azione, ma purtroppo durante la lunga lotta, ci furono 3 feriti e un morto. Era il Cino, il più giovane della brigata, che stava sempre vicino all’Agnese quando cucinava, era allegro, saltava e cantava, era ancora un bambino. Tra i feriti vi era il Comandante, ma avevano tutti ferite leggere. La staffetta consegnó una lettera di Tom alla Rina, dove lui le chiedeva di trasferirsi dalla sua famiglia, che l’avrebbe accolta come se fosse una figlia. Restia, voleva restare con L’Agnese, che dopo averla soltanto guardata le fece tornare in mente la paura che le aveva procurato il rimanere sola con lei, vicino ai tedeschi. Così partì il giorno dopo, salutando tutti e abbracciando L’Agnese. La staffetta riferì all’Agnese che avrebbe dovuto incontrarsi con il Comandante, in una strada della “bonifica”. Una volta incontrato le riferì meglio dei morti e dei feriti, e le assegnó il comando dei rifornimenti, che avrebbe gestito lei anche grazie alle staffette e all’aiuto della casa sicura e della famiglia di Walter. Accettó, rispondendo sempre con il suo solito “se saró buona…”. Tornando verso la casa di Walter, insieme alla staffetta, notó della gente sulla strada, che le avvertiva che L.. era stata bombardata e che vi erano stati parecchi morti. Ma essendo la casa di Walter isolata rispetto alle altre le pareva impossibile che l’avessero bombardata, invece, fu proprio così. In lontananza e poi da vicino, videro delle macerie che occupavano quello che una volta era lo spazio occupato dalla casa bianca. Le andó incontro Walter e le avvisó che fortunatamente erano tutti vivi, e che si erano spostati in una capanna là vicino. Due o tre volte al giorno spostavano i rifornimenti dalla capanna alla caserma in cui si erano sistemati i partigiani. Quando L’Agnese arrivó,un giorno in cui le altre staffette erano ammalate, tutti le andarono incontro come se fosse arrivata la mamma, dentro vide volti nuovi, provenienti da parti diverse. Inizió a domandare a Clinto, uno dei partigiani che conosceva già, se avessero da mangiare a sufficienza, se qualcuno fosse malato e se il servizio di rifornimento risultava ben fatto. Tornando verso la capanna, Walter le andó incontro spiegandole che le sue donne (moglie e figlia) non riuscivano più a stare al freddo, alla mercè di curiosi (che sicuramente avrebbero fatto la spia). Così, lei si ricordó di aver visto una baracca più isolata e riparata, e propose di spostarsi lì. Lui accettó, la notte facevano fatica a dormire in quel luogo, poiché dovevano sempre star attenti al rombo di qualche motore, soprattutto se si fosse trattato di auto, perché era certo che sarebbero venute solo per loro; così si rasserenavano quando sentivano quelli degli aerei. Alla caserma L’Agnese stava medicando tutti coloro che avevano preso la rogna, quando il figlio di Walter entró correndo in preda alle lacrime, raccontó a tutti che era stato preso dalle brigate nere e riuscì a calmarsi solo tra le braccia dell’Agnese. Lei decise di andare ad avvertire il Comandante che si trovava a casa di Magón, uno dei loro alleati, così salì sulla bicicletta e ripercorse la stessa strada che aveva fatto quando le affidarono la consegna del tritolo. E intanto pensava, che se Walter era stato preso dalla brigata nera era perché qualcuno aveva fatto il suo nome; loro al contrario dei tedeschi non facevano rastrellamento ma prelevavano solo i sospettati di antifascismo. Arrivata alla casa, era quasi notte e faceva freddo, la salutó la stessa donna della scorsa volta e le raccontó che anche Cinquecento (un altro partigiano), suo fratello e Magón(marito) erano stati presi. Ma visto che il Comandante non era ancora tornato, decise di aspettarlo. Intanto la donna le preparó da mangiare. Appena arrivó, lei lo avvertì subito; tutti mangiarono e si misero a letto, pensando a come avrebbero agito l’indomani mattina. Appena si svegliarono, entrambi tornarono alla caserma, il Comandante decise di formare una compagnia per andare a liberare i prigionieri e disse all’Agnese ad avvertire la famiglia di Walter che lo avrebbero liberato. I partigiani aspettarono la notte per partire, erano in 7 e 4 avevano la divisa dei soldati tedeschi. Quando arrivarono ad X, il luogo in cui la brigata aveva portato i prigionieri, fu Clinto a parlare poiché conosceva qualche parola tedesca. Facendo finta di aver catturato dei partigiani, riuscirono ad entrare. Fucilarono quasi tutti e alcuni li ferirono gravemente, arrivarono giusto in tempo per salvare Walter, a cui avevano rotto i piedi e che avevano quasi picchiato a morte, Magón e il fratello della donna erano salvi ma affamati e stanchi, li aiutarono comunque contro quelli della brigata, ma per Cinquecento era troppo tardi, lo avevano torturato in ogni modo, gli avevano strappato le unghi e altro ma lui non aveva mai detto nulla; gli altri prigionieri si accorsero della sua morte perché non lo sentirono più gridare. Andarono via da quel posto, si caricarono il morto, aiutarono Walter e si avviarono tutti verso la caserma. Una volta arrivati, medicarono Walter e mandarono una staffetta ad avvertire la donna che avevano liberato il marito e il fratello; L’Agnese li aveva aspettati in piedi, addormentandosi un po’ ogni tanto, le dissero di andare a riposarsi ma non lo fece prima di aver controllato che stessero tutti bene. Cinquecento venne seppellito di sera prima che spuntasse la luna, per non farsi vedere. In quei giorni gli angloamericani si mossero, rendendo ai tedeschi dura la vita: ogni automezzo veniva mitragliato. Conquistarono alcuni centri importanti per l’offensiva. Ma un giorno la libertà si fermó, non si sentivano più notizie di avamposti conquistati, solo i caccia lasciavano ancora cadere le bombe su strano obiettivi. I tedeschi pensarono, allora, di tagliare gli argini per far allagare la pianura, facendo sì che la bonifica ritornasse valle. Con tutta la pianura allagata il Comandante fu costretto a trovare un altro posto sicuro poiché quello, essendo allagato, non era più adatto ai rifornimenti. Walter partì per primo, insieme alla famiglia, venne nascosto da un alleato, fino alla sua guarigione. parte terza •capitolo 1: Il Comandante, Clinto e L’Agnese dovettero trovare un altro posto dopo l’allargamento della baracca precedente. Scelsero un magazzino vicino ad una casa di contadini, dissero loro che erano sfollati di un paese semidistrutto dai bombardamenti e si inventarono di essere tutti parenti (cugino, figlio e madre). Per rimediare alle risposte difficili, pagarono molto per l’affitto. Il luogo aveva molte qualità negative: era abitato da gente paurosa e tarda; ma anche positive: aveva l’uscita verso i campi e il resto della casa era occupato da una compagnia tedesca di sussistenza. Agnese riorganizzó il servizio delle staffette, che la venivano a trovare fingendosi comari ed intrattenendosi a far la maglia, in questo modo sembrava che si stesse occupando di mercato nero. Nella valle pioveva, gli uomini, a causa di quell’incessante rumore, non riuscivano a dormire e spesso litigavano fra loro per strani rancori. Alla caserma arrivó il Comandante che fece ascoltare a Clinto, agli altri e perfino, all’Agnese cosa dicevano gli alleati nei manifesti lanciati, ovvero, di non arrendersi ma continuare a lottare fino all’arrivo della primavera e quindi, del loro aiuto. Nessuno di loro poteva tornare a casa, per il Comandate, il proclama non era nient’altro che l’ennesima prova che gli alleati se ne fregavano di loro. L’Agnese preparó da mangiare e quando il Comandante le chiese cosa pensasse dei loro piani d’attacco senza gli alleati, lei rispose semplicemente che avrebbero fatto tutto quello che c’era da fare. Andarono a dormire, il mattino dopo, sempre con la pioggia, il Comandante e Clinto partirono sul presto e all’Agnese sembrava che fossero tornati i tempi delle capanne. Fu lei a portare le sporte, poiché alcune staffette non si erano presentate; i tedeschi non le badavano, nonostante potesse essere sospetta la presenza di qualcuno, in un luogo dichiarato deserto. Arrivata al canale, vide arrivare una barca da lontano, era Tom ( a cui non spettava il turno in barca); era venuto a cercarla per chiederle aiuto con un partigiano, Tonitti, che sembrava fuori di se’ e non sopportava più quella situazione. Così accettó di provare ad aiutarlo, ma arrivarono alla caserma troppo tardi, perché si era buttato dal balcone e nella caduta, nonostante fosse in acqua, aveva perso la vita. Quello che successe contribuì ad intristire ancora di più gli animi, al punto che nel cuore della notte, 4 disertori decisero di tradire i partigiani: rubando le armi, tornando dai tedeschi e rivelando la loro posizione. Ma furono fermati in tempo, grazie al tempestivo intervento di Agnese. •​capitolo 2: Arrivó l’alba, finalmente il sole era ritornato e con lui le barche partigiane in formazione. Il Comandante comunicó di aver preso una zona e di aver fatto fuori 200 tedeschi, con la perdita di 15 partigiani, non del suo gruppo. Però, fu subito avvertito di ciò che avevano fatto i disertori. La punizione era una sola: la morte, dopo avergli sparato, i loro corpi e quello del Tonitti avevano bisogno di una sepoltura. Furono scelti 7 uomini di origini diverse per questo compito, ma 6 di loro si rifiutarono di scavare una fossa per i traditori e li buttarono solo in acqua, fu seppellito solo il Tonitti. Il Comandante quando questi furono tornati, decise di andare con L’Agnese ed un’altra donna alla casa, appena arrivarono, usarono come copertura il fatto di essere andati a pesca di anguille e di averle poi gettate nella valle. L’Agnese preparó la cena e pensó a tutti i morti, chiedendosi come faceva il Comandante a non dispiacersene. Lui la invitó a mangiare poiché aveva bisogno di forze e lei vergognandosi, mangió; solo il Comandante sapeva cos’era giusto fare. freddo che nei campi non c’era nessuno, camminando il freddo era passato e la pancia era piena grazie al buon cibo appena mangiato. Era contento di aver trovato una fidanzata insieme alla barca e pensava davvero di sposarla. Mentre camminava, stava sempre attento, pronto a buttare giù la barca e a caricare il mitra se fosse servito, arrivò ad un ponte. Mise a terra la barca per riposarsi e la tirò giù per la scarpata, si sedette e fumò una sigaretta, ma subito si mise in piedi per paura di addormentarsi. Ascoltava il silenzio e si guardava intorno, sentì un fragore di passi, erano i tedeschi; non era abbastanza buio affinché loro non vedessero la barca, così appena imboccarono il ponte , corse all’estremità opposta e sparò ai tedeschi, dopo le raffiche e i lamenti, ci fu di nuovo silenzio. Il partigiano aspettò, poi tornò alla barca e se la caricò di nuovo in spalla, si allontanò dal ponte, era stata un’azione inaspettata. Iniziò a sentirsi stanco, la barca era pesante e il freddo violento, pensò ai suoi compagni intrappolati nella caserma e subito il freddo e la fatica sparirono. Appena arrivò, legò la barca sotto il casone, poi bussò alla porta ed entrò in casa. Si mise a raccontare tutto l’accaduto: del fidanzamento, dei tedeschi e del fatto che era stato costretto a sparargli a causa della barca. Il Comandante approvò la sua scelta, poiché erano tedeschi. •capitolo 6: Il Comandante, Clinto e la Disperata lavoravano alla barca, stando nel canneto per non farsi vedere, mentre Agnese faceva la guardia. Ogni volta che passava qualcuno lei dava il segnale e loro si fermavano finché la gente non era passata. Erano lì da tanto tempo ormai, lavoravano dalla mattina presto: una grande sofferenza, però erano riusciti a fermare la barca. Tornarono a casa, con gli arnesi sotto le mantelle, per nasconderli ai tedeschi che incontrarono sul portico, che stavano facendo rifornimento per il fronte. Dovevano trasportarli con le cariole poiché mancavano trasporti. Stessa cosa dovettero fare il Comandante e gli altri, appena i tedeschi partirono, per dirigersi verso la valle. L’Agnese rimase, con l’ordine di raggiungerli più tardi al casone, di portare la carriola e il mannarino per fare un po' di legna; da usare come scusa se l'avessero fermata. Verso sera tornarono, avevano spinto la barca con la lamiera fino alla punta dell’argine. Misero la barca nascosta fra le canne. Clinto, il Comandante e l’Agnese non riuscirono a dormire nemmeno quella notte, mentre la Disperata dormiva come un sasso. Ripartirono il mattino dopo, appena fece chiaro, ma erano ancora stanchi. Ripresero a spingere la barca contro la resistenza del ghiaccio, andando avanti m per m. Ci impiegarono 3 giorni. La casa ormai era vicina, ma sembrava che dentro non ci fosse nessuno. Vi entrarono, arrivó subito Tom dichiarando che erano tutti vivi. Li videro distesi sulle brande, con il fuoco spento. La voce del Comandante li rianimò, portando anche cibo e coperte. Tom lo ringraziò, dicendogli che avevano proprio bisogno di lui, che era stato un inferno tenere a posto gli uomini in quelle condizioni. Disse che la parte più difficile non fu la fame, ma la paura. Accesero la stufa, la casa si scaldò, e mangiarono tutti insieme. Il vino si era sgelato, lo bevvero tiepido. Iniziarono a cantare e ballare, tutta la casa tremava. Stavano bene, caldi e nutriti. Le stanze si erano riempite col fumo delle sigarette, in quell’odore si addormentarono. Il giorno dopo il Comandante fece un discorso a tutti, promettendogli di farli andar via da lì, per andare oltre le linee. Subito i partigiani furono guariti e amici, si dimenticarono tutto, si vollero bene persino quelli che avevano litigato. Il “buco” da cui avrebbero dovuto passare era sul fiume, in una casa dove c’erano altri compagni, che l’avrebbero avvertito nel caso in cui la via fosse stata libera dai tedeschi. Li avvisò che avrebbero dovuto arrangiarsi a rompere il ghiaccio, ma che essendo in tanti ce l’avrebbero fatta, avrebbero dovuto poi fare un tratto a piedi di notte. Avrebbero potuto incontrare dei tedeschi e in quel caso, avrebbero dovuto combattere, correndo molti rischi. Detto ció, li salutò tutti, dispiaciuto di lasciarli e andò via insieme a Clinto e a La Disperata. Scesero nella barca, tutti commossi. Il Comandante rivelò ai due, che se avesse potuto, avrebbe mandato via anche loro, ma per ora ne aveva ancora bisogno. Ma Clinto gli disse che non l’avrebbe lasciato nemmeno se gliel’avesse ordinato. Dal balcone tutti i partigiani, intanto, li stavano salutando. Arrivò la nebbia, i colpi della scure sul ghiaccio, risuonavano spessi. Ad un certo punto il Comandante ordinó di fermarsi. C’era un rumore, erano slitte tedesche. Subito si volsero ad afferrare i mitra. Il primo della fila tastava il terreno per paura che non tenesse il peso e gli altri della fila, gli andavano dietro. I partigiani nella barca guardavano, aspettando l’ordine del Comandante. Dovevano abbatterli tutti alla prima raffica, altrimenti li avrebbero fatti fuori. La barca sembrava un rottame in mezzo a quel ghiaccio, i tedeschi non le prestarono attenzione, così non fu difficile eliminarli tutti. Con i remi, la fatica e molti colpi di scure riuscirono a disincagliare la barca, rimettendola dritta. Presero le armi dei tedeschi caduti e nient’altro, con il carico raggiunsero di nuovo la barca. Si rimisero in viaggio, arrivarono a casa mentre iniziava a piovere. In un momento tutto fu acqua. Arrivati, entrarono in casa, dove faceva molto caldo, mangiarono la minestra che gli aveva preparato “mamma” Agnese. La avvisarono che i partigiani sarebbero andati via da quel posto terribile, per attraversare le linee. Appena mangiarono, disse a Clinto di prendere la bicicletta, poiché sarebbero andati a L… a parlare coi compagni, per il “buco”. La valle sarebbe sgelata quella notte e avrebbero dovuto approfittarne. E disse a La Disperata di andare a trovare la sua ragazza, e di comprare la barca da suo padre, così gli diede i soldi per pagarla; ma in ogni caso l’avrebbero tenuta. Disse poi, sempre a lui e all’ Agnese di portare le armi del caso al nascondiglio di Cappùcc. La Disperata prese la bicicletta e raggiunse la sua ragazza, che non fu affatto felice di vederlo. Poiché la sera che si incontrarono, suo padre e i suoi fratelli, di ritorno da una casa vicina, trovarono i tedeschi che aveva lui eliminato. Così per la paura che se fossero arrivati i tedeschi avrebbero dato fuoco al paese, seppellirono i corpi. Suo padre le disse che era stato la Disperata e che non avrebbe mai creduto che un bravo ragazzo come lui potesse essere un partigiano. Lui, deluso, le disse che avrebbe dovuto capire che la sua famiglia andava bene solo in tempo di pace e che non sarebbe più passato di lì, se non dopo la guerra, per chiederle se lo voleva ancora. Cercò di abbracciarla, ma sentendo il fucile, lei si tolse di scatto. Così, la Disperata le disse di dire a suo padre che a lui non importava, ma che avrebbe dovuto mantenere il silenzio su ciò che era successo sul ponte. Li minacció dicendo che non erano solo i tedeschi ad ammazzare e che la barca era stata requisita dal comando della brigata. Rimontó in bici e se ne andò, senza voltarsi. Gli venne voglia di vedere l’Agnese, la sua faccia buona, che rischiava la vita tutti i giorni facendo cose pericolose. Chiuse un momento gli occhi per immaginarsela da giovane. •capitolo 7: La Disperata tornò alla caserma, insieme ad una guida, per rivedere i compagni prima della partenza, li salutò frettolosamente poiché il vero distacco c’era già stato prima. Andò via subito, doveva raggiungere con il Comandante e Clinto, un’altra base. Durante i preparativi, vi furono molte liti, era il nervosismo da reclusi. Anche la guida non vedeva l’ora di andar via: era un partigiano addetto al servizio delle linee, pratico del “buco” e del suo funzionamento. Gli uomini erano pronti. Ciascuno aveva preso tutto ció che possedeva. I tedeschi, con tanti camerati scomparsi, intanto si preparavano a molti rastrellamenti, per distruggere i nidi della guerriglia per sempre. Ritornò il freddo a far battaglia contro i partigiani, la guida propose di aspettare, ma Tom al comando di quella brigata, diede l’ordine di andare. La guida capì che sia restare che andare avrebbero costituito un pericolo di morte. Scesero per dividersi nelle barche, ognuna guidata da un barcaiolo esperto. Erano ormai definitivamente pronti ad andare via. Era tanta la voglia di salvarsi, che avrebbero remato persino con le mani. La notte fu nera, piena di vento, e le barche procedevano con fatica, i partigiani remavano con il pericolo di rovesciarsi. Ognuno restava in silenzio, uniti insieme contro tutto, si erano rassegnati a soffrire, poiché sapevano che il viaggio non sarebbe durato molto. Finalmente dopo ore, arrivarono all’argine. Il vento si fermò, ma cominció a nevicare. La guida salì sull’argine, lo percorse e trovò i paletti che indicavano la via; era contento di non aver sbagliato rotta in mezzo alla tempesta. Chiamó i compagni, la neve continuava a cadere, ma gli uomini si sentivano bene. La guida camminava in avanti, cercando di orientarsi con il ricordo, ma senza successo; il paesaggio era mutato, c’era solo una distesa bianca. Gli uomini procedevano dietro l’unico che doveva conoscere la strada. Le gambe erano pesanti sopra quella terra indurita dalla neve. Facevano fatica a stare in piedi, tutti vicini si tenevano per mano. La guida si accorse di non trovare la strada, di non riuscire ad arrivare alle linee, ormai aveva perduto tutto. Taceva e tastava l’aria con le mani, finchè trovó un cartello su cui c’era scritto “Minen”, voleva urlare, ma non aveva più voce: era sordo, cieco, muto, già morto sulle mine prima che scoppiassero. Qualcun altro urlò al posto suo, correvano tutti nella tormenta, sparsi sulle mine e non. Si calmarono solo quando furono lontani da quell’argine. Si strinsero in gruppo e cominciarono a fare l’appello, chiamavano ogni nome che veniva in mente, quando le persone non rispondevano, quell’appello di faceva angoscioso. Ma se la voce rispondeva, Tom e gli altri, tiravano un sospiro di sollievo. Si accorsero così che mancavano 4 uomini, tra cui la guida. Si misero a gridare forte, senza curarsi che qualche tedesco avrebbe potuto sentirli. Di sicuro quei 4 si misero a gridare di rimando, anche la guida, malgrado la responsabilità del suo tragico sbaglio. Quando si muore si grida, anche con la paura dei vivi. Urla di aiuto e di richiamo, si cercavano nella notte, senza incontrarsi. Decisero di aspettare, ma il freddo li stava assiderando. Così Tom diede l’ordine di andare, si mossero tutti insieme. Ormai, stava per sorgere il sole. Avevano camminato tutta la notte, tornarono alle barche e rifecero la rotta sull’acqua, ritornando alla caserma. •capitolo 8: Si misero a dormire, buttati sulle grande, mentre Tom decise di restare di guardia. Ma dopo poco, s’addormentò. Il suo corpo dormiva, ma la coscienza era sveglia per la responsabilità. Sognò di tornare a casa, di vedere la Rina e la guerra finita. Poi si svegliò di soprassalto, con un gran chiasso nel cervello. C’era il rumore di un motore e di passi di corsa sulla scala. Gridò che erano arrivati i tedeschi. Saltarono tutti giù dalle brande, cercavano le armi e infilavano i caricatori. Vladimiro, un enorme russo, aprì la porta e afferrò il primo tedesco scaraventandolo nell’acqua, il secondo venne colpito da Tom, mentre gli altri due cercarono di fuggire. I partigiani si erano precipitati fuori, e sparavano alla motobarca, colpendola. Un tedesco finì in acqua senza riemergere, mentre l’altro riuscì a nuotare fino a riva. A quel punto Tom ordinò di mangiare e prendere tutto, perché se il tedesco fosse sopravvissuto, la valle si sarebbe riempita di uomini. Decisero di andare alle linee inglesi, e di combattere nel caso in cui avessero incontrato i tedeschi. Si divisero in 5 barche, con 2 rematori ciascuna. Trovarono subito una strada, sbarcando ad est, quella per A… Non incontrarono nessuno, in quella bella giornata, marciavano allegri e riscaldati dal cognac. Procedevano lentamente, impugnando le armi, erano vicini al fiume e a giudicare dal frastuono, gli alleati avevano cominciato a sganciare le granate . Entrarono nei rifugi scavati nella terra, vicini alle case di chi resisteva ai bombardamenti. Ma c’era qualcuno di quei civili che nonostante il freddo e la paura, rischiava con coraggio la vita pur di dare informazioni ai tedeschi sui partigiani. Proprio ad A…, una di queste spie venne mandata via dal comandante tedesco, che chiamò gli altri ufficiali e comunicó ciò che gli era stato riferito. I tedeschi erano molti e armati fino ai denti, sembravano persone senza un’infanzia, nate giá pronte a fare la guerra. Si mossero poiché erano in maggioranza e in quel modo non temevano i partigiani. Si fermarono nella valletta, dove si trovavano i rifugi. Li accerchiarono e aspettarono che venissero fuori. I partigiani non se n’erano accorti, guardavano campi sgombri e pensavano al da farsi. Gli inglesi continuarono a buttare le granate, e loro si decisero ad andar via, ora che nei campi non c’era nessuno. Decisero di attraversare il fiume a nuoto, quando ce ne sarebbe stato bisogno. Tutta la compagnia si lanciò lungo il pendio, dove la prima scarica li colse a metà. Nessuno venne colpito, tutti si fermarono e videro i campi che si popolavano di tedeschi. I partigiani si gettarono a terra, scomodi per sparare e poco riparati. I colpi tedeschi ripresero, la risposta partigiana si fece sentire. I tedeschi gridavano di arrendersi, a quel punto un partigiano si lanció contro di loro e altri sei/sette lo seguirono, riuscendo a farsi un largo tra i tedeschi e a scappare. Il nemico rinunció all’inseguimento, vendicandosi su quelli rimasti. Allora si alzò Vladimiro, che guadagnó il ciglio, lo seguirono gli altri russi e tutti quelli della compagnia rimasti vivi. I partigiani continuavano a diminuire, ne rimasero una ventina dei quaranta che erano partiti da quella caserma. Dalla sponda opposta, si svegliarono le mitragliere alleate, che non badarono a quei pochi partigiani che combattevano per non morire. Volevano solo colpire i tedeschi, così il numero dei partigiani continuava a calare. La valletta venne battuta palmo a palmo, una grossa ondata di proiettili. Nessuno poteva scampare, i partigiani sparavano l'ultimo colpo e morivano, questo fu quello che accadde anche a Tom. Vladimiro si alzò ancora, seguito dal russo rimasto e dall’ultimo vivo degli italiani. Si gettarono in acqua e nuotarono aiutati dal gigante russo. A quel punto gli inglesi decisero di dare una mano a tutti quelli che sarebbero riusciti a raggiungere la riva. Poi fecero cessare il fuoco delle mitragliatrici che ormai sparavano sui morti. •capitolo 9: Partita la compagnia, il Comandante, Clinto e la Disperata, l’Agnese si mise a pensare ai ragazzi, alle storie raccontate, ai rischi a cui erano sfuggiti grazie alla loro bravura e coraggio. Si consolava un po' con quei pensieri. Forse la compagnia era già sbarcata, e la mattina seguente sarebbe stata sicuro in salvo con gli inglesi. Immaginava di vederli ritornare, insieme agli alleati, per liberarli tutti. Il giorno
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