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Riassunto de "LA STORIOGRAFIA GRECA DALLE ORIGINI ALLA FINE DELL’ELLENISMO" di Klaus Maister, Sintesi del corso di Storia

Riassunto manuale per storia greca

Tipologia: Sintesi del corso

2016/2017

Caricato il 17/06/2017

giacomob95
giacomob95 🇮🇹

4.6

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Scarica Riassunto de "LA STORIOGRAFIA GRECA DALLE ORIGINI ALLA FINE DELL’ELLENISMO" di Klaus Maister e più Sintesi del corso in PDF di Storia solo su Docsity! Autore: Klaus Maister LA STORIOGRAFIA GRECA DALLE ORIGINI ALLA FINE DELL’ELLENISMO Introduzione Nel V secolo a.C., considerato come l’età classica, la Grecia ha vissuto il suo massimo splendore. Nei diversi campi dell’arte e della scienza si sono sviluppate che hanno influenzato lo sviluppo culturale dell’occidente. La fioritura culturale greca del V secolo si sviluppa soprattutto nel campo della letteratura. Nella poesia verranno portate alla massima perfezione la tragedia e la commedia. La storiografia greca nasce nella seconda metà del V secolo. Erodoto (485-425) già nel mondo antico ne viene considerato il padre. Tucidide (455-395) il fondatore della storiografia antica. L’invenzione della storia è esistita fin dall’invenzione della scrittura (sumeri ed egiziani), sotto espressione monumentale , giornali di corte o cronache sacre. La storiografia greca si differenzia da questa coscienza storica. 1. La storiografia greca non si preoccupa di analizzare i singoli avvenimenti ma al corso degli avvenimenti nella loro totalità. 2. Gli storici greci indagano sulle cause e gli avvenimenti, non elencando semplicemente i fatti. 3. Gli storici greci eseguono i loro scritti come opere d’arte soggette a precise categorie estetiche e letterarie. 4. Gli storici greci rivendicano un’indagine critica del passato Capitolo 1 Le radici e le origini della storiografia greca La storiografia greca non fu l’invenzione di un uomo ma il risultato di un complesso processo storico. Sono state le seguenti radici ed origini 1. L’epos (significa parola ma in senso più antico narrazione/racconto) come forma letteraria precorritrice della storiografia: Omero, il poema ciclico, Esiodo Già con Omero (VIII secolo a.C.) e le sue opere, l’Iliade e l’Odisseda, si può dire che ha messo in ordine un pezzetto di storia greca. Le opere, infatti, non contengono solo un nucleo storico, ma presentano una serie di elementi storici quali: la consapevolezza della continuità cronologica di eventi e personaggi come principio fondamentale del pensiero storico. La consapevolezza tra passato e presente. E il fondersi insieme degli aspetti etnografici, geografici e storici. Una generazione dopo Omero abbiamo Esidio che tentò nelle sue opere di dare ordine e sistematicità e a fissare una successione cronologica. E dal quale venne formulata la teoria ciclica nella quale domina l’idea di una sempre maggiore decadenza dell’uomo. E che avrà un’importante ruolo nella storiografia greca e romana. 2. L’ampiamento dell’orizzonte geografico e storico dei greci nell’epoca della colonizzazione (650-550 a.C. circa) e dei grandi viaggi di esplorazione ( 650-450 a.C. circa) Nell’epoca dal 750 al 550 a.C. circa i greci fondarono ,nel bacino del Mediterraneo e sulle coste del Mar Nero, un gran numero di insediamenti e colonie ( Sicilia e Sud Italia, la Gallia meridionale e la costa orientale della Spagna, a Nord i lidi del Mar Nero, a sud la Cirenaica e Naucrati in Egitto). Furono inoltre intensificati i rapporti con il vicino Oriente e l’Asia Minore, fino ad allora rimasti praticamente sconosciuti ai Greci. Questa grande colonizzazione ha portato a innumerevoli contatti con tra i greci e le popolazioni locali. Anche l’esplorazione fu un fenomeno che permise la conoscenza di territori ben più distanti di quelli del bacino del Mediterraneo. Come Eutimene di Marsiglia (VI secolo) che navigando lungo la costa occidentale dell’ Africa aveva raggiunto la foce di un grosso fiume ( probabilmente il Senegal), o come Scilace di Carianda il quale partito dalla città di Caspatrio sul fiume Kabul veleggiò lungo l’Indo fino alla sua foce, da dove arrivò in 30 mesi al Mar Rosso. Questi grandi viaggi per mare diedero vita alla cosiddetta letteratura dei perpli. Periplo, letteralmente significa circumnavigazione ovvero la forma tipica con cui i greci svolgevano questi viaggi per mare. Essi portarono informazioni di carattere tecnico quali la distanza tra le città,le foci, i fiumi, le zone pericolose, le fonti d’acqua potabile e molte altre notizie. E successivamente notizie di natura più descrittiva come gli usi dei popoli stranieri o la natura dei singoli territori esplorati. La letteratura dei peripli costituisce un’ importante antecedente della storiografia greca. 3. La formazione di una concezione razionale del mondo ad opera della cosiddetta filosofia della natura ionica nel VI secolo Se l’epos conteneva elementi storici, non è però riuscito a creare dal mito e dalla leggenda la storia. La storiografia è potuta nascere solo sotto l’impulso di una nuova concezione razionale del mondo elaborata nel VI secolo dalla filosofia della natura ionica. In terra ionica (Asia Minore) sono nate prima l’antica filosofia greca, la matematica e l’astronomia. Talete di Mileto ( prima metà del VI secolo) fu il primo greco a rifiutare un’interpretazione del mondo fondata sul mito per sostituirla con una visione razionale. Anassimadro di Mileto (610-540 a.C.), scolaro di Talete. Come il maestro si è sforzato di dare una spiegazione fisica del mondo, ma a differenza del suo maestro ha visto Proviamo ha definire la vita di Erodoto dalle fonti che ci vengono fornite. Erodoto figlio di Lixo, era di origine aristocratica e originario di Alicarnasso (Anatolia meridionale). La sua famiglia non apparteneva alla nobiltà del luogo ma era di origine caria. A causa della sua partecipazione per deporre il tiranno Ligdami , Erodoto dovette andare in esilio a Samo. Ritornato ad Alicarnasso si impegno attivamente per deporre Ligdami, avvenuta all'incirca nel 454. Più tardi Erodoto lascio nuovamente la città per alcune divergenze con isuoi cittadini e si diresse a Turii sul golfo di Taranto dove vi erano altre importanti personalità come Ippodamo di Mileto. A Turii Erodoto e morto nel 425 circa e sepolto. Sappiamo inoltre che aveva circa 53 anni allo scoppio della guerra del Pelopponeso e che pubblia la sua opera nel 425 circa. Importante per la comprensione dell'opera di Erodoto son stati i suoi lunghi viaggi. Come Mar Nero ( si stabilì a Olbia, fece una spedizione nella terra degli Sciti, Tracia e Macedonia). Soggiornò in Egitto ( circa 4 mesi), Cirene, Vicino Oriente (Tiro e Babilonia). Inoltre viaggiò molto anche in madrepatria. Di fondamentale importanza per la valutazione dell'opera di Erodoto è che narra delle imprese dei greci e dei barbari, analizzando le sue cause ed escludendo l'epoca mitica. E' il primo scrittore a fare della storia dell'uomo il tema principale della propria opera. Erodoto chiama la sua esposizione historìes apòdexis. La parola hisrorìes ha come significato “ricerca”. Erodoto afferma l'esigenza di scrivere ciò che è stato fatto dagli uomini, ciò significa che alla base della sua esposizione storica universale c'è al centro il conflitto tra Oriente e Occidente. Analizzando quello che è stato fatto dagli uomini, come la descrizione della terre e genti, usi e costumi, culti religiosi, di stranezze e curiosità e ovviamente fattori politici e militari. Erodoto vuole spiegare la ragione o la colpa del grande conflitto. ((( DA INTEGRARE CON LA STORIA DEL RAPIMENTO DO IO ECC.. CON APPUNTI E PAG LIBRO 26-27 ))) ((( ))) Il distacco dal mondo mitologico e l'interesse per la storia degli uomini manifestato da Erodoto potevano realizzarsi solo in presenza di certe condizioni storico-politiche che vanno qui di seguito analizzate. 1. La guerra contro i Persiani hanno dato 'impulso alla nascita della storiografia greca, essendo stata la vittoria dei Greci sul gigantesco Impero persiano, porto alla necessità di un confronto tra i contemporanei su come fosse stato possibile un simile successo. 2. Un rapporto di tipo concettuale e cronologico tra la nascita della storiografia e la democrazia Ateniese alla metà del V secolo. Nel quadro di una costituzione in grado di garantire uguaglianza ai cittadini dinanzi alla legge, la diretta partecipazione di un gran numero di persone alla gestione della polis non poteva non obbligare a una vasta comprensione dei rapporti olitici storica. 3. La specifica situazione politica che si era venuta a creare al termine delle guerre persiane, con lo sviluppo della lega delio-attica Atene rompe gli angusti imiti della polis per uno scenario di politica in grande. 4. L'interesse dell'uomo come animale politico avviene con la nascita dei sofisti ( V secolo a.C.) i cui scopi principali erano quelli di insegnare agli uomini l'arte politica e d farne dei bravi cittadini. ESAME DELLA STRUTTURA DI ERODOTO Erodoto comincia la sua storia con l'uomo che per lui ha dato inizio alle ostilità contro i greci, il re della Lidia Creso. La successione dei re barbari che hanno creato cercato di assoggettare la Grecia diventa così un filo cronologico conduttore dell'esposizione ( Creso, Ciro, Cambise, Dario e Serse). A questa narrazione principale c'è da sommare una notevole quantità di excursus più o meno lunghi di carattere etnografico, geografico, storico . Alla fine dei quali riprende la narrazione principale esattamente dal punto in cui l'aveva lasciata. Erodoto parla dei Persiani e della loro storia e dei popoli da essi assoggettati. La storia della madrepatria Grecia, specie Sparta e Atene, non è trattata in un unico excursus, ma in più momenti coordinati tra di loro. Così, accanto alla storia Persiana è individuabile una una linea a sé stante la storia greca. Il grande conflitto tra Greci e Persiani viene raccontato da Erodoto con una tecnica narrativa parallela, alternando la narrazione degli eventi nell'uno e nell'altro campo fino allo scontro finale. Alla spedizione di Dario che si conclude con la sconfitta di Maratona, segue la grande campagna di Serse: dalla proclamazione della guerra alla rassegna delle truppe, dalla battaglia delle Termopili, dell'Artemisio, di Salamina, alle vittorie di Platea e Micale. L'opera termina con il passaggio dei Greci dalle posizioni difensive a quelle offensive, con la conquista d Sesto nel 479-78. ((((Un altra questione discussa è se l'opera sia compiuta o meno nell'opera in cui la conosciamo, infatti Erodoto promise e non mantenne il racconto della morte di Efialte e una storia sui re assiri. Si è fatto presente inoltre, il carattere aneddotico del capitolo finale che, non si adatterebbe a concludere nel modo adeguato un opera cosi vasta. Anche se )))) Un'altra questione discussa dagli studiosi riguarda la genesi del opera, i quali affermano che Erodoto all'inizio interessi di tipo geografici ed etnografici come Ecateo e avrebbe intrapreso i suoi lunghi viaggi con questo spirito. Solo sotto l'influsso dell'Atene periclea Erodoto avrebbe deciso di parlare delle guerre persiane. Il Meister ritiene inaccettabile la presunta trasformazione di Erodoto da geografo a storico per i seguenti motivi: 1. In primo luogo gli excursus, non sono affatto concepiti come opera autonoma, ricucita alla meno peggio, ma costituiscono fin dall'inizio parte integrante dell'opera: ➔ << La mia opera ha cercato fin dall'inizio le aggiunte >> è perciò un pregiudizio moderno non considerare queste digressione non inserite fin dall'inizio nel complesso dell'opera. ➔ Gli excursus inizino sempre quando al tronco della narrazione principale si innesta la descrizione di un altro popolo. Non sono inseriti in modo più o meno opportuno, ma con u principio strutturale ben preciso. ➔ Il principio compositivo di Erodoto, con un ampia esposizione e una successiva narrazione non consiste affatto in un'anomalia ma è riconoscibile anche nella letteratura arcaica greca specie Omero. 2. In secondo luogo ci sono ragioni contenutistiche che il materiale geografico e storico fosse unitario: ➔ Se Erodoto ha inserito nell'opera tutto questo materiale geografico ed etnografico può essere spiegato con l'aspirazione di Erodoto di correggere le idee del suo predecessore Ecateo e per il desiderio di dare informazioni al suo pubblico. Inoltre e capibile anche dai logos egizio e persiano dimostrano che Erodoto non è stato, prima di diventare storico, un geografo o un etnografo, ma che fin dall'inizio a lavorato da storico. Essendo che dei 182 capitoli del logos egizio 80 sono da lui dedicati alla storia e al passato degli Egiziani. Indica il grandissimo interesse storico che lo ha guidato nella raccolta del materiale. ➔ Gli excursus minori dell'opera di Erodoto non vanno considerati come corpi estranei ma bensì perfettamente inseriti nella sua concezione del mondo della storia. 3. Per alcuni storici rivela un atteggiamento astorico e anacronistico obiettare esplicitamente o implicitamente che Erodoto avrebbe dovuto puntare con molta maggiore coerenza al suo vero e proprio tema, le guerre persiane. Ma riprendendo Meister, il vasto impianto dell'opera ha piena giustificazione anche dal punto di vista storico moderno. Va ricordato che Erodoto non narra solo le guerre greco-persiane ma all'intero conflitto tra l'Oriente e l'Occidente. Erdoto vede nella politica espansionistica dell'impero persiano la prima causa del conflitto tra Oriente e Occidente In conformità con questa impostazione, l'attacco dei Persiani contro la Grecia nel V secolo non viene considerato isolatamente, ma inserito in un contesto generale dell'espansionismo Persiano. 4. E' priva di solide basi l'ipotesi che sia stata la sola coscienza di Pericle dell'Atene periclea a influenzare Erodoto a narrare le guerre persiane, trasformandolo in uno storico. 5. Erodoto applicherà un principio storico corrente da lui formulato con le stesse parole : << Sono tenuto a riferire ciò che mi è stato detto, ma non a credere a tutto; e questo principio deve valere per tutta la mi opera>> Per quanto riguarda le fonti bisogna fare due considerazioni, la prima e che non poteva prendere in esame i testi egiziani e antico-orientali in quanto non conoscendo le lingue. E in secondo luogo è necessaria una un'estrema cautela, nei confronti degli autori greci ritenuti i modelli di Erodoto. Nella prima parte dell'età moderna, all'epoca dell'umanesimo, Erodoto era considerato per lo più come un inattendibile novelliere. Fatta eccezione per P. Melntone secondo la sua opinione di Erodoto << vince su tutti per stile e contenuto>>. Anche nel XIX secolo, con la nascita della storiografia scientifica, Erodoto non riuscì di norma a superare il rigido vaglio di un'esposizione critica e conforme ai fatti. Ciò vale entro certi limiti, ancor oggi Erodoto soffre il paragone con Trucidide venendo considerato per così dire retrospettivamente in base al metodo critico di quest'ultimo. Sembra peraltro delinearsi ultimamente la tendenza a sottrarre Erodoto dall'ombra di Trucidide e darne una considerazione più favorevole. Ragioni: negli ultimi anni si sta manifestando un disagio nei confronti di un interesse limitato ai fatti politici e militari e dunque una storiografia orientata solo alle vicende del potere che, sulle orme di Tucidide e stata fino ai nostri giorni. Di conseguenza trova oggi di nuovo maggiore attenzione la cosiddetta dimensione antropologica della storia. Ciò implica un concetto notevolmente allargato di storia, com'è predelineato in Erodoto . E proprio questa nuovo approccio alla storia ha portato alla ribalta Erodoto, ovvero il creatore di questa impostazione. Anche il metodo erodoteo del relata refero (riporto cose riportate), generalmente svalutato dagli studi di impostazione trucidea, trova sempre maggiore considerazione. La letteratura storica specialistica nell'ultimo venticinquennio del V secolo a.C. Erodoto aveva rivendicato l'aspirazione a scrivere storia universale. Dopo l'apparizione della sua opera nel 425 circa, si sviluppò subito un << movimento della consorteria storico-scientifica>> (Strasburger) che cercò di sfruttare più a fondo le possibilità tematiche da lui offerte e di colmare le lacune da lui lasciate. Mentre Erodoto, di fronte alla gran quantità di materiale da trattare ha dovuto spesso necessariamente imporre dei severi limiti alla trattazione dei singoli temi, i suoi successori hanno mirato a superarlo con indagini specialistiche. Questo fu un progresso metodologico che condusse alla nascita di nuovi generi storiografici e di una letteratura storica specialistica. Il più importate esponente fu Ellanico di Lesbo, di qualche anno più giovane di Erodoto. Egli ha scomposto il groviglio delle tematiche erodotee nei suoi elementi costitutivi, senza però rinunciare a nessuno di essi, ma anzi, sulle orme di Ecateo, aggiungendone di nuovi e trattenendo ogni argomento in una monografia separata: mitografia,storia locale greca e “barbara”, etnografia e cronologia. Sono noti i titoli di non meno 23 opere, tutte però andate perdute, tranne pochi frammenti. Basandosi su Ecateo, Ellanico si è occupato anche di mitologia, sintetizzandone la trattazione in quattro ( Phoronís, Deukalioneía, Atlantiás e Asopís) monografie dedicate ognuna a una singola stirpe mitica. Nel campo dell'etnografia ci sono tramandati diversi titoli che dimostrano come venissero utilizzati monograficamente alcuni temi affrontati da Erodoto ed Ecateo: Storie della fondazione di popoli e città, Sui popoli, Denominazioni di popoli ( Contenuti forse in un'unica opera) e infine Storie dei barbari. L'opera più importante è l'Atthís, una storia di Atene e dell'Attica, apparsa dopo il 406-7. Nell'opera Ellanico ha descritto la storia ateniese dagli inizi mitici all'età della guerra peloponnesiaca. Ha redatto una lista di re ateniesi e ha completato quella degli arconti risalendo indietro nel tempo fino a trovare un collegamento con l'età reggia. Con essa Ellanico ha fondato un genera letterario, la cosiddetta attidografia, che nel IV e nel III secolo ha trovato un largo numero di seguaci. Di fatto Ellanico è stato il primo attidografo ma anche il primo cronografo. Sta dunque all'inizio di uno sviluppo che in epoca successiva ha acquisito grandissima importanza, arrivando a concludere solo nella tarda antichità con l'ampia Cronaca di Eusebio (IV secolo d. C.). A tale proposito vanno menzionati due scritti: Le sacerdotesse di Era e Argo e i Vincitori nelle Carnee. Essi rappresentano il primo tentativo di creare un'intelaiatura di supporto per la storia greca, facendo ricorso alla durata in carica delle sacerdotesse argive e alla cronaca locale della festa spartana. Nella storiografia si è però imposto un altro sistema cronologico, il conteggio in base alle Olimpiadi. Ne creò le premesse il sofista Ippia di Elide alla fine del V secolo , compilando un lista dei vincitori delle Olimpiadi essendo che i giochi olimpici erano gare a cui potevano prendere parte tutti i Greci, questo conteggio aveva grande il grande vantaggio di essere inteso da tutti. Ellanico è generalmente considerato come l'ultimo rappresentante della più antica storiografia. Fra gli scrittori successivi a Erodoto e precedenti Tucidide va ricordato Antioco di Siracusa . Dato che Erodoto si è occupato marginalmente dalla storia dei Greci di Occidente, Antioco , certamente si può definire il più antico storico della Magna Grecia con le opere: Storia della Sicilia e Sull'Italia. Sappiamo da Diodoro che Storia della Sicilia era composta da nove libri, ci è arrivato solo qualche frammento, che partivano con l'epoca mitica del re Cocalo arrivando al congresso di Gela. Inoltre in un altro libro ha narrato la storia dell'Italia arcaica. L'importanza dell'opera di Antioco di Siracusa sta soprattutto nel fatto che molto probabilmente la sua opera utilizzata da Tucidide nel racconto della storia della Sicilia arcaica, la cosiddetta <<archeologia di Sicilia>>, in cui sono fissate le date di fondazione delle più importanti colonie greche nell'isola. Antioco ha raccolto diverse tradizioni orali sulla storia d'Italia e della Sicilia e le ha registrate in base alla loro affidabilità e chiarezza. E' quanto aveva fatto in sostanza Ellaico. All'incirca nello stesso periodo in Antioco di Siracusa scriveva la storia della Magna Grecia abbiamo un altro autore creava, almeno per quello che possiamo intuire oggi, la biografia greca: Stesimbroto di Taso e alla sua opera Su Temistocle, Tucidide e Pericle, scritta dopo la morte del figlio di Pericle, Santippo, nel 429 a.C. L'idea comune è che si debba annoverarla tra le opere di attualità politica e che costituisca una sorta di opuscolo di carattere satirico finalizzato a diffondere fra i membri della simmachia ( alleanza di tipo militare nella quale tutti i componenti avevano gli stessi diritti. Durava solitamente solo per il periodo necessario, veute meno ogni polis recuperava la propria piena libertà d'azione) delio-attica sentimenti avversi alla democrazia ateniese. Shachermeyr ritiene invece che lo scritto non abbia alcun carattere politico ma si tratti prevalentemente di pettegolezzi. Meister sostiene una tesi la quale è a metà strada tra le due precedenti affermando che si tratta della prima biografia greca in assoluto. Sono qui già presenti i caratteri essenziali rimasti a fondamento di questo genere. L'autore offre un quadro generale relativamente dettagliato dei fatti e persegue fini politici ed etici. Dà inoltre particolare risalto all'educazione e al carattere degli statisti ateniesi. Lascia ampio spazio all'aneddotica, ai pettegolezzi e ai fatti privati. Nello stesso periodo in cui nasce la biografia nasce anche l'autobiografia con Epidemíai ( racconti di viaggio) di Ione di Chio che visse nel 490-22 circa. Autore eccentrico noto come poeta, filosofo e autore di testi storici. Accanto alla storia di Chio ha redatto le già ricordate Epidemíai che possono essere considerate come <<la prima opera memorialistica della letteratura mondiale>> ( Stoessl). I frammenti a noi pervenuti attestano che vi erano scritti gli incontri con personalità come Eschilo, Sofocle, Pericle e Socrate , cui ritratt balzano in modo vivo dal racconto aneddotico. Il primo saggio politico della letteratura mondiale è la Costituzione degli Ateniesi (12 pagine) dello Pseudo-Senofonte. Pseudo-Senofonte deriva dal fatto che questo breve scritto è tramandato nel corpo delle opere di Senofonte. Anche se non si sa chi possa essere il vero autore. Anche l'attribuzione di questo testo a un preciso genere letterario può risultare essere un problema, dato che si è visto in esso ora un pamphlet, ora un trattato, ora una lettera, ora una tradizione di un discorso. In realtà si tratta di un saggio politico che contiene violente accuse contro gli abusi della democrazia ateniese e che è opera di una convinto esponente del partito aristocratico. Tucidide di Atene Tucidide è il più importante storico dell'antichità. La sua trattazione della guerra del Peloponneso segna l'inizio della storiografia critica e allo stesso tempo il primi esempio di monografia storica. Tucidide figlio di Odoro, aveva discendenza in Tracia, e apparteneva all'alta aristocrazia Ateniese. Inizia la sua opera subito dopo lo scoppio della guerra del Peloponneso. Si sa che è andato in esilio vent'anni avendo perso la città di Anfipoli, sconfitto dal generale spartano Brasida. Poté tornare ad Atene solo per decreto popolare in seguito alla proposta di un certo Enobio. Si può più o meno approssimare una sorta di linea del tempo. Nasce nel 455 nel 424 diventa stratega e probabilmente nel 395 muore muore di peste. L'epoca in cui visse Tucidide cade nella seconda metà del V secolo. Da punto di vista politico questa è l'epoca della cosi detta democrazia radicale ateniese, della crescente sopraffazione degli alleati nell'ambito della Lega delio-attica e del grande conflitto su Sparta. Dal punto di vista storico è il periodo delle grandi rivoluzioni e innovazioni, determinata principalmente dalla scuola sofistica affermatasi dalla metà del V secolo tendente a una nuova visione realistica del mondo. L'atteggiamento fondamentale dei sofisti è caratterizzato dallo scetticismo e dal relativismo dei valori tramandati. Punti che per Meister dimostrano che Tucidide è stato influenzato dalla sofistica: • tratto peculiare della sofistica è l'orientamento pragmatico. I sofisti tendono in molti campi alla sistematicità e alla didattica e dicevano si saper insegnare l'arte politica che portava alla saggezza. L'individuo doveva apprendere come diventare un buon cittadino ed avere successo nella politica. Un aspetto simile lo troviamo in Tucidide, quando alla fine del suo capitolo ci sottolinea lo scopo didattico della sua opera; • i sofisti hanno rotto con le concezioni tradizionali religiose. Anche Tucidide elimina totalmente dalla storia il divino e si sforza di dare una spiegazione radicale delle cose; • i sofisti sostenevano la dottrina del diritto naturale del più forte. Per Tucidide la cosa certa è che l'intera storia sia una lotta di tutti contro tutti, dove il più forte cerca di sopraffare il più debole; 3. Senso e scoppio della guerra: Le affermazioni di Tucidide sul significato e lo scoppio della guerra sono rivolte di nuovo contro Erodoto. Per Tucidide l'opera di Erodoto è un sfarzoso racconto da ascoltare una volta, mentre il suo scritto va visto come un'acquisizione perenne. Mentre Erodoto si sente il rispettoso custode della storia della tradizione, a Tucidide interessa insegnare. Leggendo la sua opera il lettore deve capire gli sviluppi storici e riuscire meglio a diagnosticare l'evoluzione politica. La sua adesione alla verità storica è stata rispettata da tutti i suoi successori e rimasta u punto fermo fino ai nostri giorni. Un'altra importante distinzione metodologica arrivata fino ai nostri giorni è quella dei motivi occasionali e le ragioni profonde di una guerra . Da quello che ci riporta Tucidide la guerra è cominciata con lo scambio di accuse pubbliche tra Atene e Sparta. Ma la vera causa come ci viene detto da Tucidide è la crescente potenza di Atene che spaventò gli spartani e li costrinse alla guerra. Tucidide descrive la guerra del Peloponneso nello svolgimento dei singoli anni, applicando così un principio analitico e ponendo alla fine di ogni rispettivo anno di guerra la locuzione stereotipa: << E cessò l'anno(..)di guerra, descritto dall'ateniese Tucidide.>>. Tucidide raggiunge la massima esattezza nel descrivere il susseguirsi cariche politiche e l'alternarsi delle stagioni negli anni di guerra. Queste condizioni rivelano che Tucidide ha aperto la strada della cronologia. L'opera di Tucidide non è terminata lo rende evidente uno sguardo agli otto libri: ➔ Tucidide afferma di voler descrivere tutta la guerra, ma sebbene essa sia durata fino al 404, la narrazione di Tucidide si interrompe nel bel bezzo di una frase agli avvenimenti dell'anno 411. ➔ Già la critica antica ha constatato che il libro VIII è “stilisticamente non limitato”. ➔ Nei libri V e VIII mancano i discorsi diretti che caratterizzano le altre parti dell'opera. ➔ Nei libri IV, V e VIII i documenti sono riportati nel loro testo originale, il che rappresentante per la sensibilità antica una frattura stilistica. Per quel che riguarda la struttura dell'opera possiamo distinguere le seguenti parti: 1. Il libro I contiene l'introduzione. Al proemio fanno seguito l'<<archeologia>> della Grecia e osservazioni sul proprio metodo storico. Tucidide tratta gli eventi precedenti la guerra, descrivendone prima i motivi occasionali e poi le ragioni profonde, l'ascesa di Atene nella Pentecontetia. In questi capitoli si riallaccia dal punto di vista cronologico ad Erodoto. 2. Nel libro II segue la narrazione della guerra archidamica del 431-421. Vanno messe in evidenza le seguenti parti: • La descrizione della peste di Atene; • L'orazione di Pericle sui caduti del primo anno di guerra; • L'elogio funebre di Pericle. 3. Nel V libro è narrata l'epoca della <<pace marcia>>. 4. I libri VI e VII contengono la descrizione della spedizione ateniese in Sicilia negli anni 415-413. 5. Nel libro VIII racconta la guerra delecio-ionica a partire dal 413, interrompendosi nel mezzo degli eventi del 411 a.C. Come nel caso di Erodoto anche la genesi dell'opera Tucididea è fortemente controversa. Franz Wolfgang Ullrich, trae queste conclusioni. Bisogna partire da due nuclei distinti: il primo abbracciava la narrazione della guerra archidamica del 431-421 nei libri I alla metà del IV; Tucidide aveva iniziato a raccogliere materiale subito dopo l'inizio delle ostilità, ma fu solo dopo la pace di Nicea del 421 che poté cominciare a scrivere e rielaborare i suoi appunti. Quando, sei anni dopo nel 415 la guerra era riesplosa Tucidide aveva interrotto la sua redazione per attendere nuovi sviluppi. Dopo il ritorno dal suo Esilio nel 404, aveva scritto il resto fino a che la morte non lo raggiunse. A Ullrich non è sfuggito che in quello che egli definisce primo nucleo non mancano alcuni riferimenti e accenni all'epoca successiva il 404. Lo studioso ha perciò qui supposto la presenza di inserti precedenti. Si da così vita a quella corrente analitica che ha ipotizzato la presenza di nuclei diversi nell'opera di Tucidide e che è andata sempre più affinandosi nell'opera seguente. Si tentava a Differenza di Ullrich, e della sua concezione unitaria dell'opera tucididea, a dimostrare un'evoluzione del pensiero dello storico. Esempi: • Ed Schwartz: In analogia alla corrente analitica affermatasi con Omero, ha creduto di individuare contraddizioni e ripetizioni. Schwartz vedeva nella catastrofe degli ateniesi del 404 la ragione fondamentale che aveva portato al rimaneggiamento di ampie parti dell'opera. Solo dopo questo evento Tucidide caapì che la disfatta ateniese era dovuta all'abbandono del piano di guerra e della politica di Pericle. Sotto l'impressione di questo fatto, egli si lanciò in un'appassionante giustificazione della politica di Pericle. Riscontrabile soprattutto nel primo libro. • M.Pohlenz: E' giunto a distinguere due nuclei. Il primo riproduceva i discorsi come erano stati effettivamente tenuti, mentre il secondo era caratterizzato da orazioni liberamente inventate in cui trovavano espressione le personali riflessioni e convinzioni di Tucidide. Pohlenz non supponeva un brusco ribaltamento nelle concezioni di Tucidide, ma un grande sviluppo che lo avrebbe portato a una “profonda interpretazione della storia”. Non sono mancati esponenti della corrente untaria, cioè studiosi convinti dell'unità dell'opera Tucididea. • Patzer: l'opera Tucididea è nata in sostanza dopo la dine della guerra del Peloponneso e non costituisce affatto una combinazione di diversi nuclei. Rappresenterebbe anzi un tratto unitario imperniato su precise concezioni basilari. • H. Finley Oggi c'è Prudente cautela, quasi scetticismo nei confronti dei tentativi troppo audaci e disinvolti degli analistici quanto le facili armonizzazioni degli unitari. ( von Fritz e Lesky) . PROBLEMA DELLE TENDENZE E AFFIDABILITA' DI TUCIDIDE Nell'antichità il suo amore per la verità è stato messo in risalto soprattutto da Dionigi di Alicarnasso. In epoca moderna lo si è definito come genio dell'obiettività (Lesky) o storico di estrema imparzialità (Bengtson). In effetti si può riconoscere nell'opera di Tucidide un forte impegno della ricerca della verità storica e lo sforzo di rendere giustizi a tutte le parti. D'altro canto no si può negare che ache in lui ci sono certe inclinazioni soggettive: 1. Nonostante la sua origine aristocratica, Tucidide provava grande ammirazione per il “democratico” Pericle e nella linea politica da lui identificata. Per conto non fa alcun mistero della sua avversione al demagogo Cleone. Una certa parzialità la si può notare nell'atteggiamento che lo storico ha verso la sua patria Atene. Anche se non si può rimproverarlo per il fatto di sentire maggiore dolore per gli errori del suo popolo e sei suoi governanti, peraltro condannati con più intransigente vigore di altri. Tucidide va troppo oltre nel sentirsi coinvolto e partecipe del destino della propria città, giudicando tutti gli avvenimenti con gli occhi di un ateniese. 2. La figura di Pericle rivela un altro limite all'oggettività di Tucidide. Essendo che emerge che il giudizio su Pericle non tiene conto dell'ampiezza della sua persona. Viene valutato solo come statista e condottiero geniale nella sua lungimiranza. Trascurando nella valutazione complessiva tutti i meriti di Pericle nella costruzione della democrazia ateniese e nello sviluppo culturale, che per gli storici contemporanei concorrono a farne una figura storicamente importante, tanto come gli altri. La riduzione della storia all'aspetto politico e militare e ravvisabile anche altrove nell'opera di Tucidide (Strasburger). Che questo rappresenti rispetto a Erodoto un notevole impoverimento del concetto di storia, è innegabile: si ha certo torto ad aspettarsi da Tucidide nel suo compendio della Pentecontetia ( periodo di pace e progressione civile compreso tra il 479 a.C. , fine seconda invasione persiana, al 431 a.C, inizio guerra del Peloponneso), fornisca una completa elencazione degli eventi accaduti in quel periodo. Ma chi , come lui stesso annuncia, vuole descrivere l'ascesa di Atene in quell'età e trascura lo sviluppo della democrazia e cultura ateniese, che in quell'epoca conoscono il loro massimo splendore, deve rassegnarsi ad essere tracciato in una certa ristrettezza di vedute. 3. Si è già parlato, della tendenza di Tucidide, non esente da pecche metodologiche, di presentare nella sua narrazione solo quella versione che gli In teoria Ctesia non ha abbandonato gli gli livelli di indagine di Tucidide. Nell'introduzione di Persiká presenta il so procedimento metodologico dicendo di essere stato un testimone oculare di ciò che racconta e di aver udito dai Persiani ciò che non ha potuto vedere di persona. Si potrebbe pensare che Ctesia, avendo vissuto molti anni in Persia, fosse destinato a scrivere una storia persiana e che sia una fonte preziosa per l'epoca da lui vissuta. Ma come si presenta realmente la sua opera? Ctesia credeva di migliorare l'opera di Erodoto, che aveva già parlato dei Medi, dei persiani e degli indiani. A tale proposito Fozio osserva: << Ctesia riferisce quasi solo le cose che sono in contraddizione con Erodoto, definendolo anzi per molti versi un bugiardo e declassandolo al rango di narratore di favole>>. Va detto che già in epoca antica Ctesia, era considerato un autore molto inaffidabile. Plutarco :<< egli aveva inserito nei suoi libri un confuso miscuglio di storie inattendibili e insulse>> . Notiamo che egli ha tratto da Erodoto i nomi, i fatti e cause ma gli ha stravolti a suo arbitrio con elementi fantastici. Nelle sue opere i regni dei re persiani (Ciro,Cambise e Dario)sono una serie di intrighi, rivolte omicidi, storie di harem e di cuore, mentre gli affari politici e soprattutto di grande conflitto con i greci trova poca attenzione. E' innegabile che Ctesia abbia scritto in una lingua molto plastica e scritto fantasiosi racconti di grande effetto. Che non hanno niente in comune con l'indagine storica ma che ne fanno il fondatore del romanzo storico. Altro fattore da considerare è che, nella storiografia greca (Erodoto-Tucidide) era rimasta in gran parte anonima la scrittura verso i predecessori, Ctesia con i suoi attacchi ha Erodoto fu il primo storico greco in assoluto a criticare per nome il proprio antecessore, cosa che non gli impedì di utilizzarlo come fonte senza menzionarlo. GLI <<HELLENIKÁ>> DI OSSIRINCO E CRTIPPO DI ATENE. Gli Helleniká di Ossirinco consistono in due gruppi di frammenti papiracei del II secolo d.C. che in base al loro contenuto e allo stile devono appartenere alla medesima opera storica. Contengono all'incirca venti pagine di storia greca, ma presentano alcune lacune. Nel papiro di Firenze troviamo brani riferenti agli avvenimenti della cosiddetta guerra deleica, per l'esattezza la battaglia navale presso Nozio del 407-06. In quello di Londra narra alcuni avvenimenti degli anni 397-95; la guerra navale tra i Persiani guidati da Conone e gli spartani, il conflitto tebano-focese e infine le operazioni di terra degli spartani in Asia monore sotto Agesilao. Gli Helleniká di Ossirinco contengono una preziosa tradizione parallela a Senofonte ma indipendente da quest'ultimo. Gli Helleniká di Ossirinco forniscono una cronaca oggettiva e imparziale in cui sono in primo piano gli avvenimenti bellici. Lo stile è semplice, i discorsi mancano del tutto, gli excursus frequenti (es. costituzione della Lega beota).L'autore segue le orme di Tucidide, basando in suo lavoro sulla visione diretta dei fatti e sull'indagine personale; ha recepito anche la struttura tucididea riguardo ai singoli anni di guerra, suddivisi ciascuno in estate e inverno Ancora in analogia con Tucidide, che fa iniziare il computo degli anni con lo scoppio della guerra nel 431, l'autore degli Helleniká data gli eventi successivi alla fine della guerra peloponnesiaca prendendo come termine di riferimento la conquisa dell'egemonia Spartana nel 403-2. Si deduce che è un prosecutore di Tucidide che, partendo dal 411, arriva oltre la fine della guerra fino almeno l'anno395. L'opera è stata redatta dopo la cosiddetta pace del re del 387- 86 e prima della fine della guerra sacra del 346. Gli studiosi hanno spesso cercato di dare un nome all'autore del''opera. L'autore degli Helleniká hasenza dubbio buona conoscenza della Beozia, non ha però molta simpatia per la politica di Tebe. Lo stretto rapporto con Tucidide e la simpatia per il generale ateniese Conone fanno di Cratippo il principale indiziato. L'ateniese Cratippo rappresenta per gli storici un problema non minore dell'autore degli Helleniká: mentre i questo caso abbiamo un'opera senza autore, per Cratippo abbiamo un autore senza opera. Da Dionigi di Alicarnasso venamo a sapere che Cratippo è all'incirca coetaneo di Tucidide e un prosecutore della sua opera. Inoltre Cratippo ha criticato l'introduzione di discorsi testuali in un'opera storica e ha sostenuto la tesi che Tucidide abbia di proposito rinunciato ad essi nell'ultima parte della sua narrazione << perché non solo intralciano il racconto degli eventi, ma risultano anche faticosi da ascoltare>>. Cratippo era convinto che Tucidide fosse morto in Tracia. Questo ha fatto affiorare dubbi negli studiosi che il presunto coetaneo di Tucidide non fosse in realtà un <<tardo mistificatore>>, in falsificatore. Considerazioni: • in primo luogo il giudizio di Cratippo sui discorsi d Tucidide appariva sospetto, come suo prosecutore avrebbe dovuto sapere che questi aveva rinunciato ai discorsi testuali nell'ultimo libro perché la sua opera era rimasta incompiuta. • In secondo luogo si faceva presente che Tucidide era morto ad Atene e in quanto parente di Cimone era stato sepolto in un terreno di quest'ultimo. • In terzo luogo Cratippo, così si argomentava era citato solo da autori tardi (Dionigi di Alicarnasso e Plutarco) e non dai suoi “contemporanei”. Gli studi recenti si sono però sempre più discostati dalla tesi del <<mistificatore>>, considerandolo l'autore degli Helleniká. • Plutarco enumera in ordine cronologico i seguenti autori: Tucidide, Cratippo, Senofonte, Clidemo, Diilio, Filocoro e Filarco. Ne deriva che anche Plutarco ha considerato Cratippo all'incirca coetaneo di Tucidide. • Per quanto riguarda la morte di Tucidide, la discussione era certamete iniziata gia pochi decenni dopo la sua morte( o Atene o Italia meridionale o Tracia). Se Crattipo si pronuncia per la Tracia, vuol dire che egli preneva posizione in questa controversia. • Di fondamentale importanza per l'inquadramento di cronologico e il giudizio di Cratippo è una notizia relativa al contenuto di una sua opera. Plutarco in essa osserva come molti storici non sarebbero esistiti se non ci fossero state grandi personalità. La notizia di Plutarco è molto interessante perché emerge la presenza in Cratippo di una certa tendenza filoateniese, del tutto antitetica al racconto parallelo negli Helleniká di Senofonte, che hanno un carattere marcatamente filospartano Già da tempo gli studiosi avevano notato, sulla base di un confronto contenutistico tra gli Helleniká di Ossirinco e la narrazione di Eforo/Diodoro, che gli Helleniká erano stati di fonte a Eforo; or consideriamo che il racconto di quest'ultimo coincida con quello di Cratippo: di conseguenza diventa quasi inevitabile supporre che Cratippo sia l'autore degli Helleniká di Ossirinco. A favore di questa identificazione parlano inoltre le tendenze filoateniesi,Cratippo era nativo di Atene, e le sue polemiche contro i discorsi in un'opera storica: negli Helleniká di Ossirino non se ne trova neanche uno. Perciò Cratippo non è affatto un mistificatore, ma uno storico molto importante del IV secolo. Filisto e gli altri storici della Magna Grecia. Filisto di Siracusa fu il più grande storico greco-occidentale del IV secolo ed ebbe un ruolo importante come uomo politico e militare. Nel 406-5 aiutò Dionisio il Vecchio ad arrivare al potere e ricoprì per lungo tempo la carica di comandante della rocca del tiranno a Ortiglia. Bandito intorno al 386 dalla Sicilia per motivi sconosciuti, dopo la sua riabilitazione gli venne affidato da Dionisio I l'incarico di fondare un territorio coloniale lungo le coste adriatiche. Anche sotto Dionisio II continuò ad essere un influente consigliere politico e militare del sovrano. Cadde in battaglia nel 356 come ammiraglio della flotta del tiranno contro i Siracusani guidati da Dione. Filisto scrisse Sikeliká una Storia della Sicilia che ca dagli inizi mitici al 363-62. La prima parte dell'opera, comprende sette libri, arriva alla conquista di Agrigento da parte dei Cartaginesi nel 406-5 a.C., la seconda trattava in quattro libri dalla storia di Dionisio il Vecchio fino al 367-66; seguivano altri due libri su Dionisio il Giovane fino al 363-62. In linea con la sua vita, la sua opera era caratterizzata da tendenze fortemente filotiranniche. Pausania: <<[ Filisto] ha taciuto le azioni più empie di Dionisio>>. Altro esempio , secondo Filisto il dominio di Dionisio sulla Sicilia era stato annunciato già molto tempo prima da evidenti presagi. Ma nonostante la sua faziosità, Filisto può essere considerato uno storico molto importante la cui cometenza nelle questioni politiche e militari è fuor di dubbio. Gli antichi hanno incluso Filisto tra gli imitatori di Tucidide. Dei 76 frammenti a noi pervenuti non meno di 41 si limitano a riferire nomi di località siciliane. Secondo Ed Meyer la completa scomparsa di quest'opera e perciò una delle più dolorose perdite subite dalla letteratura storica antica. Altri: • Atani di Siracusa: Secondo Diodoro, ha perseguito l'opera di Filisto e ha narrato in complessivi 13 libri la storia di Dionisio II, la spedizione di Dione e le vicende di Timoleonte fino al ritorno di questi nel 337-36. • Ermina di Metimna: Secondo Diodoro una Storia della Sicilia in 10 o 12 libri che giungeva fino al 376-75. Fu dunque il primo straniero a scrivere una storia dell'isola. Purtroppo non ce ne rimasto neppure un frammento. • Policrito di Mende: medico di professione scrisse intorno al IV secolo una Storia di Dionisio e una Storia della Sicilia in versi. Della sua opera ci sono arrivati solo tre frammenti. • Alcimo: Ad eccezione di cinque frammenti sono interamente perduti anche i Sikeliká di quetsto autore siciliota vissuto forse all'incirca nello stesso periodo di Policrito. • Timonide di Leucade: Fu membro dell'Accademia e uno degli amici più intimi di Dione alla cui spedizione in Sicilia ha certamente preso parte come ufficiale. In Nel suo tentativo di analizzare le ragioni degli eventi Senofonte resta spesso alla superficie o chiama in causa perfino gli dei: es. il tramonto di Sparta dovuto alla punizione divina per la rottura della pace del re. Innegabile differenza qualitativa tra Tucidide e Senofonte. Bisogna considerare l'opera di Senofonte nelle sue specifiche qualità. Bisogna tener conto dei seguenti elementi: • La narrazione di Senofonte non mira alla completezza, ma rivela una visione paradigmatica della storia ; • Senofonte non persegue in genere un'indagine sistematica delle fonti, i suoi informatori sono anzi non di rado casuali. • Gli Helleniká hanno talvolta un carattere moralistico, Senofonte si sofferma ampiamente sulle proprie esperienze. • Senofonte rivela un'ottima conoscenza delle cose militari. Di conseguenza le sue descrizioni delle battaglie sono molto efficaci. • A Senofonte interessano in primo luogo le grandi personalità storiche e la loro analisi psicologica. Lo si può perciò chiamare il primo psicologo e pedagogo militare della storia. • Senofonte sa rappresentare con vivezza singole scene ( es. Il ritorno di Alcibiade). • La sua opera si caratterizza per la sua chiarezza infine per una lingua semplice e disadorna, ancora esente da quella retorica che andava sempre più prendendo piede. Altre opere: ➔ Ciropedia, l'Educazione di Ciro: Mescola finzione e realtà. Descrivendo in otto libri l'infanzia, la giovinezza, la maturità e il regno del gran re persiano, nel quale vede incarnato l'ideale del monarca. Senofonte insieme a Cnito diventa dunque il fondatore del romanzo storico e al tempo stesso ha scritto il primo romanzo pedagogico della storia. ➔ Agesilao: Basato su parti dei libri III e IV dell'Helleniká, contiene un encomio del sovrano amico di Senofonte. ➔ La Costituzione degli Spartani: Senofonte è intervenuto sulla discussione intorno allo stato ideale. Ha considerato ideali l'ordinamento statale creato da Licurgo e le sue istituzioni. Nel capitolo conclusivo però ammette l'attuale degenerazione della costituzione spartana. ➔ Gerone: Dialogo tra i tiranno di Siracusa Gerone I di Siracusa e Simonide. Incentrato su un problema teorico-istituzionale, sulla questione di come si possa trasformare una tirannide illegale in una monarchia legittima. ➔ Equitazione e Trattato sulla caccia: Autenticità dubbia. Entrambi questi testi possono essere considerati scritti specialisti. ➔ Opere socratiche come: Ricordi di Socrate, piene di dialoghi e aneddoti socratici. Apologia di Socrate , un Simposio e un Economico, dialogo socratico sull'amministrazione e l'incremento dei propri beni. A differenza dell'immagine idealizzata di Socrate, offertaci da Platone, in Senofonte il grande filosofo appare un maestro di saggezza pragmatica. ➔ Entrate: tratta il risanamento delle finanze statali ateniesi. Primo e singolare caso nell'antichità. Senofonte ha goduto d molta fortuna nel mondo antico (stimato da Cesare e Cicerone). Stilisti e grammatici lo hanno considerato il principale rappresentante dello stile semplice. Solo il XIX secolo ha portato una netta svalutazione della sua figura: si è visto in lui all'improvviso il piatto moralista, l'uomo dalla religione farisea, il traditore della patria e storico inadeguato. Sono in anni recenti Senofonte ha avuto una più equa valutazione. L'attidografia intorno alla metà del IV secolo e lo scritto di Aristotele sulla <<Costituzione degli ateniesi>> ATTIDI Sono storie locali di Atene e dell'Attica di carattere più antiquario che storico. Queste opere hanno fornito informazioni sul mito, la storia, il culto, la religione, la letteratura e la topografia, abbracciando in genere l'epoca dagli inizi mitici all'età attuale. Già alla fine del V secolo Ellanico di Lesbo aveva scritto a prima storia locale di Atene, conosciamo però Attidi di autori ateniesi solo a partire dall'epoca di Demostene. I cosiddetti attidografi ricoprivano spesso la funzione di sacerdoti esegeti (interpreti del diritto sacrale), il che spiega la grande attenzione alla religione e al culto. Clidemo: Tramandato anche come Clitodemo, ci riferisce Pausania, è il più antico attidografo. Intorno al 350 a.C. ha scritto un Attide in quattro libri, citata anche come Protagonía, cioè storia del popolo primogenito che andava dalla dalla creazione mitica del mondo fino all'epoca della guerra del Peloponneso. L'evento più tardo si riferisce al 415. Clidemo, lui stesso esagista, ha redatto anche un Exeghetikón, cioè un Trattato di interpretazione e ha dunque espresso il suo particolare intessesse per le cose naturali. Androzione: Scrisse un'Attide di dieci libri arrivata fino all'anno 344-43. E' stato il primo attidografo a svolgere attività politica iniziata nel 387 e finita nel 343-42 dopo aver ricevuto l'ostracismo a causa delle sue posizioni antipersiane. Fanodemo: Comunemente considerato come il padre di Diillo e identificato con il fautore di una politica di restaurazione delle leggi di Licurgo. Diede nella sua Attide, composta da nove libri e probabilmete apparsa prima del 330, spazio alle questioni di culto. LA COSTITUZIONE DEGLI ATENIESI DI ARISTOTELE (ATHENAÍON POLITEÍA) Nel 1890 il British Museum di Londra acquistò quattro rotoli di papiro di origine ignota che contenevano il testo di una storia della costituzione ateniese e che vennero pubblicati solo un anno dopo. Mancavano sia l'inizio che la fine del testo , il papiro non riportava né il titolo dell'opera né l'autore. Doveva trattarsi della Costituzione degli Ateniesi di Aristotele. Si è già ricordato che gli attidografi più antichi soprattutto Androzione, sono stati fonte principale dello scritto di Aristotele sulla Costituzione degli Ateniesi. Dato che quest'opera è di fondamentale importanza per la nostra conoscenza dello sviluppo della costituzione ateniese e della democrazia antica di età classica, è necessari soffermarci su di essa. Nel catalogo alessandrino degli scritti aristotelici era inclusa sotto il nome di Aristotele una raccolta di non meno 158 Costituzioni di città greche (es. Sparta, Corinto, Mileto, Siracusa, Agrigento) ma anche non greche (es. Cartagine). Mentre tutte sono andate perdute ad eccezione di scarsi frammenti, ci è rimasta L'Athenaíon politeía redatta tra il 329 e il 322. Sulla paternità dell'opera si sono avanzati dubbi per diversi motivi. Oltre alla generale considerazione che Aristotele per redarre una gigantesca opera collettiva come quella delle 158 Politeíai doveva contre sull'appoggio di collaboratori e scolari, si sono avanzati soprattutto i seguenti argomenti: • L'Athenaíon politeía si differenza in parte notevole nello stile e nella lingua dalle restanti opere di Aristotele. • Non è possibile rinvenire collegamenti formali o contenutistici con la Politica di Aristotele. • Lo scritto e puramente descrittivo, mancano le riflessioni filosofiche di carattere generale, tanto tipiche nelle altre opere di Aristotele. • L'opera contiene errori e imprecisioni, inconcepibili per Aristotele. Altri studiosi, impermeabili tali argomenti, restano fermi sulla paternità dell'opera di Aristotele. Anche se non è possibile superare tanto facilmente queste perplessità, pertanto permangono notevoli dubbi. L'Athenaíon politeía per quanto riguarda il contenuto si divide in due parti, una storica e una sistematica. ➔ La prima parte contiene una narrazione cronologica dello sviluppo della costituzione ateniese e dei suoi mutamenti dai tempi mitici fino al ripristino della democrazia ad Atene dopo la caduta dei cosiddetti trenta tiranni nel 403- 2. Da allora osserva Aristotele non ci sono più stati cambiamenti. La parte a noi pervenuta inizia con il tentativo di colpo di Stato da parte di Cilone, databile all'anno 636 o 632. Alla fine della prima parte è collocato un quadro riassuntivo dei complessivi 11 mutamenti che secondo Aristotele la costituzione ateniese ha subito. EFORO DI CUMA Eforo di Cuma non è importante perché stato il fondatore e il rappresentante principale dell cosiddetta storiografia retorica, ma perché secondo Polibio, va considerato il primo e fino alla sua epoca unico storico universale. Eforo, tramite Diodoro, il quale ha largamente attinto alla sua opera, è la nostra unica fonte continuativa per la storia della Grecia dal 480 al 340. Eforo era originario di Cuma in Asia minore. E' identificabile solo con approssimazione l'epoca in cui visse. Potrebbe essere dunque vissuta dal 400 al 330. Opere minori: • Storia locale: Raccolta economistica delle tradizioni della sua patria Cuma. • Sulle invenzioni: Questo scritto recepisce, nell'otica del proprio tema, il pensiero sofista. • Sullo stile: Questo titolo dimostra quanto Eforo fosse interessato alle questioni stilistiche. La grande opera di Eforo probabilmente il titolo HistorÍai. Si tratta di una storia universale di 29 libri in cui Eforo ha descritto, rinunciando all'età mitica, tutti gli eventi dal ritorno degli Eraclidi fino alla propria epoca, più esattamente fino all'inizio della cosiddetta guerra sacra del 356. Il XXX libro che conteneva gli anni dal 356 al 340, fino all'assedio di Pernito da parte di Filippo II, è stato scritto dal figlio di Eforo Demofilo. Eforo fu del resto il primo storico a suddividere di persona la propria opera in libri e a permettere a ciascuno di essi un proemio. In Eforo emerge chiaramente una caratteristica valida per tutta la storiografia greca. La storia contemporanea occupa rispetto alle epoche precedenti uno spazio insolitamente ampio. Nel proemio della sua opera Eforo afferma che è assai difficile narrare con dovizia di particolari eventi molto rilassanti nel tempo, e adduce alle seguenti ragioni. Eforo attribuiva grande importanza nella sua opera alla forma stilistica e un linguaggio artistico. Tuttavia il suo stile era considerato nell'antichità << fiacco, pesante e senza nerbo>> a differenza di quello di Teopompo considerato << potente, conciso e vivo>>. Ciò dipendeva dal fatto che il Eforo aveva rinunciato in larga parte alle figure retoriche gorgiane, cercando di eliminare anche gli elementi << raccapriccianti>>. Inoltre la narrazione era caratterizzata da una certa mancanza di Pathos e di impegno politico e piattezza morale. Anche questo in contraddizione con Teopompo il quale prendeva nettissime posizioni politiche e di carattere etico. Per quel che riguarda l'aspetto moralistico della storiografia di Eforo, si trova infinite variazioni e ripetizioni il concetto che il racconto delle buone azioni non può non indurre tutti i popoli e tutti gli uomini ad emularle, mentre la narrazione delle imprese cattive li trattiene dal farsene imitatori. Non c'è più quell'atteggiamento didascalico, sobrio e sobrio di un Tucidide; compare piuttosto una dimensione didattica nella forma di una morale casalinga che ha pronta per tutti i comportamenti umani l ricetta giusta. In un'opera storica di tale ampiezza e di argomento tanto vasto non si può porsi il problema della articolazione interna della materia. Eforo si distacca dunque dalla disposizione annalistica che suddivide per anno gli eventi accaduti in posti diversi; egli narra invece di seguito gli avvenimenti accaduti in uno stesso luogo in un arco cronologico abbastanza lungo: così il libro VI abbracciava la storia arcaica del Peloponneso, i libri VIII e IX i fatti accaduti in Lidia e in Persia, il libro XVI l'antica tirannide siciliana e la prima metà del regno di Dioniso I, il libro XVII le guerre di Filippo II nei territori settentrionali, i libri XXI-XXV il crollo del dominio Spartano e l'epoca dell'egemonia tebana. Il metodo di Eforo significa in pratica che il flusso universale degli eventi non è concepito nella sua complessità, ma consiste in un'addizione di singole narrazioni. L'opera di Eforo è caratterizzato razionalistico che si manifesta specie nei seguenti aspetti: • Egli tralascia l'epoca mitica e inizia il racconto dal primo evento <<storico>>, il ritorno degli Eraclidi. • Pratica a volte la critica razionalistica del mito nello stile di Ecateo, come quando considera il pitone delfico , non un essere mostruoso, ma un uomo pericoloso ucciso da Apollo. • Elimina la dimensione divina dalla storia per sostituirla con la tyche, il fato imponderabile. • Costruisce spesso collegamenti che in realtà non esistono, riconducendo ad esempio la contemporaneità delle battaglie di Salamina in Grecia e di Imera in Sicilia a un'alleanza ufficiale tra Persiani e i Cartaginesi. • Ufficializza per la prima volta con grande frequenza il mezzo stilistico del raddoppiamento, cioè la ripetizione degli eventi. Con questo artificio narrativo si potevano agevolmente colmare lacune e vuoti, integrando, allungando e variando a piacimento il racconto delle fonti. Un'altra caratteristica della storiografia di Eforo è in linea con quanto detto finora. Se egli cerca di far poso nella sua opera a materiale di prima man come documenti iscrizioni, epigrammi, ecc.., non li controlla però il più delle volte di persona ed è perciò spesso lontano dall'esattezza documentataria. Menziona così un epigramma votivo panellenico, posto a suo dire, sulla colonna ofitica di Delfi che però di fatto non vi è mai stato. Inoltre la sua versione dell'iscrizione sulla tomba degli Spartani alle Termopili dimostra che egli non ha mai vero epigramma. Sono tutti indizi che dimostrano come Eforo fosse un <<erudito da tavolino>> privo di esperienza politica e senza alcuna conoscenza diretta dei fatti. Il lavoro di Eforo è considerato in sostanza nell'utilizzare per la propria narrazione testi storici e scritti già esistenti. Eforo è il primo storico greco ad abbandonare l'indagine di prima mano, fondata sulla partecipazione diretta e sulla ricerca personale, a favore di un lavoro di seconda mano, incentrato sulle fonti scritte. TEOPOMPO DI CHINO Da una lettera di Speusippo a Filippo II risulta che Teopompo ha all'inizio vissuto a lungo presso la corte di quest'ultimo. Secondo una breve Vita contenuta n Fozio Teopompo è stato bandito insieme con il padre Damasistrato per lakonismós, amicizia verso Sparta, ma nel 333-32, all'età di 45 anni, poté far ritorno in patria per iniziativa di Alessandro Magno. La sua data di nascita cade dunque ne 378-77. Alla morte di Alessandro Magno fu nuovamente esiliato e dopo essere giunto in Egitto alla corte di Tolomeo I, quest'ultimo cercò di eliminarlo perché << fomentatore di disordini>>, ma riusci a fuggire. Per la data di morte, che si riferisce all'anno 324, fornisce un termine post quem: Teopompo sarebbe morto subito dopo il 320. Le fonti antiche indicano concordamene Teopompo come scolaro di Isocrate, un fatto a torto contestato in epoca moderna. Lui stesso sottolinea di aver svolto la all'inizio attività di rettore e di essere stato insieme a Isocrate e Teodette fra i più celebri oratori greci. Ci sono tramandati i titoli di alcuni di sfogii oratorii, incentrati per lo più su temi di attualità politica ad esempio: Evagora, Panathenaikós, Lakonokós, Olympiakós. Teopompo scrisse infine anche un'Inventiva contro Platone e la sua scuola, dove lo scrittore definiva << inutili >> gli scritti del filosofo, chiamandolo plagiatore, ma criticava anche la sua tendenza definire una volta per tutte concetti come << il buono>>, << il bello>>, << il giusto>>. Di gran lunga superiore delle sue orazione è l'opera storica di Teopompo, all'incirca 5000 pagine (150000 righe). All'inizio della sua attività di storico c'è una Epitome di Erodoto, un compendio dell'opera torica di Erodoto , in due volumi. Teopompo è dunque, a quanto ne sappiamo, il primo storico ad aver fato excerpta di un'opera precedente; un uso che da quel momento si afferma nella storiografia e arriva fin nella tarda antichità e nell'età bizantina. Le due opere principali di Teopompo sono: • Helleniká (Storia greca): Ha proseguito l'opera di Tucidide. Ha quindi analizzato dal 441 e ha descritto n due libri gli avvenimenti fino a battaglia navale di Cnito del 394 a.C., che segno la fine della breve egemonia Spartana. La sua narrazione deve essere dunque molto dettagliata, assai più ampia di quella parallela di Senofonte che, apparsa nel 350 circa, ha forse indotto Teopompo a scrivere una propria versione dei fatti. Teopompo, che che ha narrato questo periodo da una distanza di circa mezzo secolo, non poteva dipendere in primo luogo da fonti letterarie. Degli ellenica ci sono rimasti solo 19 frammenti, fra cui alcuni del tutto privi di importanza. Per questo motivo non si può dire nulla di certo o la qualità letteraria dell'opera. • Philippiká (Storia di Filippo): Non è esatto dire che quest'opera tratta solo la storia di Filippo II, come ci riferisce lo stesso Teopompo, il contenuto s incentra piuttosto selle << imprese dei Greci e dei barbari>>. Si può perciò definire l'opera come una sorta universale, la cui al centro ce Filippo II. Si tratta dell'opera più grande opera tarda di Teopompo che, a meno non essere stata pubblicata postuma, è apparsa dopo il 324. Opera composta da 58 libri, di cui ci sono rimasti molti frammenti. E' interessante il seguente fatto: quando Filippo V di Macedonia, discendente di Filippo II, fece trascrivere più tardi dai Philippiká di Teopompo solo le gesta di Filippo, dei 58 libri originari ne rimasero solo 15. I Philippiká sono dunque un'opera molto vasta con un'enorme quantità di excursus relativi non solo alla storia politica, ma anche elementi topografici, geografici,storico-culturali, memorabilia e thaumásia, e perfino racconti mitogrfici. Con quest'amplissima interpretazione del storia concetto di storia Teopompo si poneva in scia di Erodoto. Già gli antichi avevano notato che gli 2. Storia di Agatocle (Tá perí Agathokléa), una monografia in quattro libri sul tiranno siciliano, suo contemporaneo e << collega>>; quest'opera ci è arrivata in parte. 3. Il suo capolavoro storico è costituito dalla Storia macedone (Makedoniká) che, in almeno 23 libri, andava dalla morte del re Aminta nel 370-69 alla morte di Lisimaco nell'anno 281. ed era caratterizzata da una tendenza ostile ai Macedoni. Nel proemio ai Makedoniká leggiamo le seguenti parole: Eforo e Teopompo restavano moltissimo dietro la realtà storica ( tá ghenómena). Essi infatti nel loro racconto non davano pare alcuna né all'immaginazione ( mímesis) né al piacere ( hedoné), ma si preoccupavano soltanto dello stile. Mímesis: Rilievo drammatico, se si aggiunge il genitivo tôn ghenoménon: imitazione della verità storica, narrazione fedele alla realtà, << realistica>>, degli avvenimenti. Questo è il programma di Duride Hedoné: Diletto che ne prova il lettore, si intende il piacere che si prova per una narrazione fedele alla realtà. Mímesis e Hedoné sono strettamente apparentate: è un'esperienza accertata che un racconto alla realtà avvinca e faccia presa sul lettore o l'ascoltatore. E' quindi intento fondamentale di Duride parlare agli uomini in un linguaggio di forte emotività. La struttura di Duride è caratterizzata dalla cura dei dettagli e la tendenza a dare risalto plastico alle immagini messe davanti agli occhi del lettore, che producono l'Hedoné. Al tempo stesso in Duride c'è una vistosa divergenza tra la teoria esposta e la pratica storiografica: nella teoria, come si è dimostrato egli propugna una narrazione dei fatti fedele alla realtà, nella pratica racconta però spesso cose che si rivelano inventate. Per tale ragione già gli antichi esprimevano per lo più un giudizio negativo su credito di Duride. In effetti Duride nella resa dei dettagli fa ricorso spesso agli stessi tópoi e non di rado narra cose che contraddicono la verità storica o addirittura la logica interna. Descrive così ad esempio in modo topico le vesti e le acconciature dei capelli dei suoi protagonisti, ma resa molto lontano da una loro personale caratterizzazione. Ama raccontare episodi fantastici, fra cui mirabolanti storie di animali. Assumono inoltre ampio spazio vicende d'amore che vengono considerate cause di importanti eventi storici (es. guerre). Si Trovano infine numerose rielaborazioni dei miti tramandati. A proposito della teoria e della prassi storiografica di Duride, non è dunque legittimo parlare di una trasposizione della poetica e della dottrina stilistica di Aristotele in campo storico. Per ciò che concerne la teoria, la mímesi di Duride non corrisponde affatto alla rappresentazione aristotelica della realtà potenziale, ma anzi vi si oppone; per quanto riguarda la prassi, dominano in Duride tendenze narrative oriente verso effetti sensazionalistici. Ma, secondo Aristotele, essi non hanno nulla a che fare con la tragedia. Sarebbe perciò preferibile evitare nel caso di Duride l'espressione <<storiografia tragica o drammatica>> e sostiruirla per quel che riguarda la teoria con il termine di <<storiografia mimetica>> e per quel che riguarda la prassi con il concetto di << storiografia sensazionalistica>>. L'uso di questo concetto non è solo imposto da quanto si è fin qui detto, ma risulta anche dal fatto che un'autorità quale Polibio, polemizzando con numerosi storici ellenistici, ha visto nella teratéia ( nel sensazionale) il carattere fondamentale delle loro opere storiche. Il sensazionale usato da Duridide come mezzo narrativo non è tuttavia un'assoluta novit, si trova già in alcuni passi di Erodoto e di Ctesia di Cnito. FILARCO DI ATENE Vissuto nel III secolo. Ha proseguito l'opera di Duride; scrivendo la storia alla maniera di quest'ultimo. Polibio sviluppa una diretta polemica con questo autore la propria concezione dei compiti dello storico e del significato della storiografia, il che ci fornisce l'occasione di accennare brevemente, alla terza e ultima corrente della storiografia ellenistica, quella pragmatica. L'opera più importante di Filarco è una storia dei diadochi in 28 libri dal titolo Storie ce andava dalla morte di Pirro nel 272 a quella del re spartano Cleomeno II nel 22-19. Filarco si riallacciava dal punto di vista cronologico tanto a Duride di Samo quanto a Ieronimo di Cardia. Polibio rimprovera Filarco per una assolutà parzialità per Cleomene e una tendenza nettamente antiachea e antimacedone. Significativo esempio del racconto di Filarco: secondo quest'ultimo la distruzione di Mantea e la riduzione in schiavitù dei suoi abitanti ad opera di Antigono Dosone e degli Achei sotto Arato nell'autunno 224 suscitò presso tutti i Greci commozione e lacrime. Filarco descrive lungamente << le donne che si abbracciavano, si strappavano caelli, se denudavano il seno, e ancora le lacrime e i lamenti di uomini e donne, trascinati via con i loro figli e vecchi genitori>>. Filarco in tutta la sua opera storica ha avuto di mira solo l'orrido; compito dello storico nn è tuttavia scuotere i lettori con una narrazione sensazionalistica e neppure cercare i discorsi che si sarebbero potuti tenere e elencare le possibili circostanze concomitanti agli eventi, come si addice ai poeti tragici. E' piuttosto compito dello storico menzionare soltanto ciò che è stato fatto o detto per davvero, anche se i tratta di cose del tutto ordinarie. Infatti il fine della storiografia e quello della tragedia sono opposti: compito del poeta tragico è scuotere e avvicinare sul momento l'ascoltatore con le parole più verosimili compito dello storico ammaestrare e convincere una volta per sempre con il racconto dei fatti ee dei discorsi realmente accaduti chi è desideroso di imparare. Altrettanto che in Duride, anche nei frammenti di Filarco si trovano molti fatti mirabolanti, strane storie di animai, diversi aneddoti e strane storie di animai, e vicende d'amore di ogni tipo. Anche qui è raccomandabile perciò di usare il concetto di storiografia <<mimetica>> per caratterizzare la teoria di Filarco nel suo complesso e di parlare di una <<storia sensazionalista>> per quel che riguarda la sua prassi storica. Da ciò ne consegue, come nel caso di Duride, che l'attendibilità di Filarco, nonostante il diverso parere di storici moderni, tra cui soprattutto Strsburger, è limitata. Le correnti principali della storiografia ellenistica sono dunque la retorica, la <<mimetica>> e la pragmatica. Gli storici di Alessandro Considerata la personalità di Alessandro Magno e la straordinariato importanza storica della spedizione in Asia non meravigli che molti autori abbiano iniziato a scrivere la storia di Alessandro quando questi era le ancora in vita o subito dopo la sua morte. Essi avevano per lo più partecipato alla spedizione in Asia e spesso narravano eventi che avevano per lo più vissuto in prima persona. Prima di soffermarci sui più importanti storici di Alessandro, occorre menzionare due scritti ufficiali provvedimenti dal quartier generale di Alessandro: ➔ Le Efemeridi (Diari reali): sono state redatte al più tardi dall'inizio della campagna d'Asia nel 334, nello stato maggiore di Alessandro, da Eumene di Cardia e Diodoto di Eritre. I tre frammenti a noi arrivati si riferiscono alla passione per la caccia di Alessandro, alle sue abitudini nei simposi e alla malattia e alla morte del re. Ai diari fu dato per lungo tempo in nome corrente di << giornale di corte e del regno>>. Fra gli studiosi è opinione concorde che le Efemeridi siano state utilizzate soprattutto da Tolomeo. Se ne può cogliere un'eco in diversi passi di Arriano, che ha utilizzato come sua fonte principale Tolomeo. ➔ Gli Hypomnémata di Alessandro sono menzionati esclusivamente in Diodoro XVIII. Si tratta, da quel che possiamo capire, degli ultimi piani di Alessandro. E' controversa l'opinione degli studiosi sull'autenticità degli Hypomnémata, opera di fondamentale importanza per un giudizio complessivo su Alessandro, sui suoi piani di dominio del mondo e sulla su politica di fusione dei popoli.Secondo il parere di molti studiosi, gli Hypomnémata sono autentici nella forma che troviamo in Diodoro. L'argomento principale è che da un lato si riconducono queste notizie all'affidabile Ieronimo di Cardia, fonte principale di Diodoro per la storia dei diadochi, dall'altro si considerano tali progetti una coerente prosecuzione della politica fino allora svolta da Alessandro. Secondo altri non sono autentici. Si contesta la dipendenza di Diodoro da Ieronimo e si considerano i progetti megalomani e privi di ogni realtà. E' difficile dare una risposa ala questione dell'autenticità, ma ci sono più argomenti contrari che favore. • Non è sostenibile voler dimostrare l'autenticità dei progetti riconducendoli alla possibile fonte di Diodoro, Ieronimo di Cardia • Diodoro identifica gli ultimi progetti con gli ordini che Alessandro sembra aver dato a Cratero l momento della partenza di questi alla volta della Cilicia. Le due cose non hanno evidentemente a che fare con l'una dall'altra. • Progetti nella forma tramandata da Diodoro sono poco differenti; danno un'impressione di sommarietà e genericità ed hanno anche un carattere molto estremistico, mentre desta meraviglia che non vengano menzionati piani concreti, attestati per altra via, come con la circumnavigazione dell'Arabia • già Arriano fa cenno a importanti differenze nella tradizione riguardo agli ultimi progetti di Alessandro. Il modo in cui li cita dimostra chiaramente che nella tradizione <<ufficiale>> di Alessandro, cioè di Tolemeo e Arriano giudica poco attendibili. • Infine alcuni dei progetti tramandati da Diodoro risultanoassai dubbi, come ad esempio il compimento della tomba di Efestione, termina Come sottolinea Diogene Laerzio, Onesicrito scrisse un'opera dal titolo Come Alessandro fu educato, attenendosi strettamente alla Ciropedia di Senofonte. Era una storia completa di Alessandro che andava dalla nascita alla morte, apparsa evidentemente subito dopo la scomparsa del grande Macedone. Ciò risulta da un lato dal fatto che Neaco ha redatto la sua opera, databile intorno al 315, dopo Onesicrito, e dall'altro dalla circostanza che Clitarco, che ha scritto verso il 310, ha utilizzato l'opera di Onesicrito. Già nell'antichità era messa in dubbio l'attendibilità di Onesicrito. Così Strabone lo definisce << un timoniere non tanto di Alessandro quanto di inverosimiglianza>> e prosegue: << Tutti gli storici di Alessandro hanno preferito il mirabolante alla verità, ma Onesicrito sembra averli superati tutti per ansia di sensazionalismo>>. Solo con Ed. Schwartz ha inizio un giudizio più positivo; questi sottolineò che Onesicrito aveva tratteggiato << con pennello vivace>> un'<<immagine viva e diretta, schizzata in tempi agitati e tumultuosi, del sovrano universale dalle simpatiche ciniche>>. Per una corretta valutazione di di Onesicrito bisogna liberarsi dall'idea che questi sia uno storico nel senso stretto del termine. La spedizione in Asia fu per Onesicrito sopratutto un'impresa di pace finalizzata a fondare e affratellare i popoli, e non una guerra vendicativa panellenica come per Callistene. Onesicrito ha fornito un vivo ritratto della persona di Alessandro e anche nella descrizione dei paesi attraversati ha messo sotto gli occhi del lettore la grandezza del suo sovrano e l'importanza dell'impresa. In questo senso è indicativo che egli spesso ecceda nel raffigurare eventi con accesa fantasia e si compiaccia di superare i racconti di altri storici. Infine ha messo spesso in primo piano la propria persona , specie nella spedizione navale dalla foce dell'Indo al Golfo Persico. Dalle considerazioni esposte risulta che lo scritto di Onesicrito era non tanto un'opera storica quanto un romanzo storico. NEARCO DI CRETA Nato intorno al 360 a.C., e amico d'infanzia di Alessandro, venne bandito nel 337, in un'epoca di gravi disaccordi tra Filippo II e il figlio, ma dopo la morte di Filippo fece ritorno in patria con gli altri amici d Alessandro. Fu uno degli hetaíroi, dei compagni del sovrano nella spedizione in Asia, e nel 334 gli venne concesso il governatorato della Licia e della Panfilia. Nel 329-28 portò al re insieme ad Asandro un esercito di 3500 mercenari a Zariaspa. La sua importante attività inizia con la costruzione della flotta sull'Idaspe nell'autunno del 326. Nel suo scritto Paráplus tês Indikês Nearco ha descritto questo viaggio da lui portato a buon fine nonostante i grandi pericoli e numerosi ostacoli. Nel marzo 324, a Susa Nearco venne insignito, come Onesicrito, di una corona d'oro. Nei matrimoni in massa celebrati a Susa ottenne per moglie la figlia di Mentore e Barsina, venendo così ad imparentarsi con il re. Una volta terminata la costruzione della flotta destinata alla grande spedizione arabica, Nearco ne ottenne, nell'estate del 323 da Alessandro il comando supremo, ma la progettata spedizione non poté mai aver luogo per la morte di Alessandro. Il Paráplus di Nearco costituisce in massima parte la fonte dell'Indiké di Arriano e ci è dunque pervenuto attraverso quest'ultimo. L'opera si articola in due parti : nella prima è fornita una descrizione dell'india, nella seconda il viaggio della flotta dall'Idaspe a Babilonia. In considerazione dei compiti esplorativi, troviamo nell'opera numerose notizie di carattere culturale, naturalistico e geografico-astronomico. Il Paráplus è ovviamente un giornale di bordo rielaborato e ampliata scopi letterari, come dimostrano le numerose indicazioni delle distanze e dei tempi di viaggio ma nonostante la semplicità e la naturalezza non mancano nel vivo racconto , che tradisce ad ogni passo il testimone oculare, brani d'effetto e di forte pathos. L'opera è probabilmente apparsa dopo la morte di Alessandro, nel 315 circa, dato che da essa ha attinto Clitarco che scrive intorno al 310. L'attendibilità di Learco è stata da tutti molto apprezzata, anche dagli studi moderni. << Ma non si ha alcuna vera ragione di dubitare della sua sostanziale sincerità e veridicità>>. Onesicrito, aveva contestato a Nearco nella sua grande opera di Alessandro il merito del grande viaggio di scoperte, rivendicandolo a sé. Nearco nel suo scritto si è invece servito del tono generale della narrazione e di alcune precise frecciate per respingere le asserzioni di Onisicrito. L'immagine che Nearco ha di Alessandro: questi aveva sopratutto a cuore il bene dei suoi compagni e soldati. L'amicizia e la solidarietà caratterizzano il rapporto tra Alessandro e il suo esercito. Inoltre Alessandro appare in Nearco con la personalità di un grande scopritore a cui interessa << (…) far esplorare le cose lungo le quali si passava, perlustrare i posti di ancoraggio, le piccole isole e le baie che si aprivano nell'interno e visitare tutte le città sul marre e vedere anche se una terra fosse fertile o inospitale>>. Lo scritto di Nearco godè di una notevole risonanza: da esso hanno attinto Teofrasto, Clitarco, Aristobulo e Eratostene ed è stato utilizzato anche da Strabone e Arriano. EFIPPO DI OLINTO Presumibilmente nato prima del 348, dato che in quell'anno la sua patria è stata distrutta da Filippo II. Accompagno Alessandro nella spedizione in Asia fin in Egitto, dove venne nominato insieme a Eschilo di Rodi << sorvegliante degli stranieri>> di quella terra. Della sua vita non si conosce altro. Efippo fu l'autore di uno scritto intitolato Sulla fine (o sepoltura) di Alessandro e Efestione. Non si tratta di un'opera storica ma di un breve saggio. Tutti e cinque i frammenti, tramandateci da Ateneo, fanno apparire Alessandro in una luce molo negativa: sono in primo piano la passione del bere e per il lusso, gli smodati banchetti dei Macedoni e le adulazioni della corte. Efippo voleva evidentemente dimostrare, in contrasto con gli onori divini che erano attribuiti a Alessandro e a Efestione dopo la loro morte, come ambedue fossero periti nel modo più comune per i loro eccessi nel bere. Restano oscuri i motivi di questa immagine negativa di Alessandro. Forse Efippo voleva vendicare la morte del suo compatriota Callistene, voluta dal sovrano macedone, ma possono anche esseri ragioni personali. Lo scritto è probabilmente apparso poco dopo la morte di Alessandro. MARSIA DI PELLA Nacque nel 360 circa a.C., e venne educato insieme ad Alessandro. Fratellastro di Antigono Monoftalmo, faceva parte dell'alta nobiltà macedone. I suoi scritti fanno presupporre la sua partecipazione alla campagna d'Asia. Ha scritto diversi anni dopo la morte di Alessandro. Vanno innanzitutto menzionati una Storia della Macedonia ( Makedoniká) che in dieci libri va dai tempi più antichi << alla spedizione di Alessandro (…) contro la Siria dopo la fondazione di Alessandria>> dunque fino al 331. La causa di un'interruzione tanto prematura della storia di Alessandro nei Makedoniká sta forse nella morte dell'autore. Marsia ha inoltre scritto un'opera specifica su Alessandro dal titolo L'educazione di Alessandro. Dato che ha scritto dopo Onesicrito, tendeva a contrapporre all'immagine di un Alessandro <<cinico>> quella di un Alessandro <<macedone>>. Marsia potrebbe essere stato il primo macedone ad aver scritto su Alessandro, ammesso che la sua opera preceda quella di Tolomeo. TOLEMEO Figlio di lago,futuro fondatore della dinastia dei Tolemei in Egitto, apparteneva alla nobiltà macedone e nel 337 fu bandito, insieme ai più stretti amici di Alessandro, da Filippo II, ma non venne richiamato in patria subito dopo la morte di questi dal nuovo sovrano macedone. Tolomeo prese parte alla spedizione di Alessandro, ma sembra che all'inizio non abbia avuto un ruolo importante nella spedizione. Cominciò a mettersi in luce quando Alessandro lo nomina sua guardia del corpo dopo la morte di Filota nell'autunno del 330 al posto di Demetrio. Restò fino ala morte di Alessandro nella cerchia più ristretta degli amici del re e gli vennero affidati a più riprese compiti miliari, ad esempio contro Besso, l'uccisore di Dario, nella primavera del329, ma soprattutto nella marcia dalla Battrina all'India nel 327. Della storia di Alessandro di Tolomeo ci sono pervenute solo poche testimonianze dirette, tanti che non conosciamo né il titolo preciso dell'opera né la sua ampiezza e struttura né l'epoca in cui viene redatta. Probabilmente la sua opera è stata redatta negli ultimi anni di vita di Tolomeo, sicuramente quando era già re d'Egitto, cioè dopo il 305 e dopo Clitarco che ha pubblicato la sua opera su Alessandro nel 310 a.C. Il suo intento principale è stato evidentemente di contrapporre alla tradizione rigorosa e in parte romanzesca fiorita da Alessandro un'immagine sobria e oggettiva delle sue spedizioni militari. Per tale ragione si attiene spesso ai Diari reali e inoltre molte delle sue notizie si basano su ricordi personali, soprattutto quelle relative agli eventi ai quali partecipano con una funzione importante. In Arriano questi brani si distaccano da tutto il resto per la loro particolareggiata precisione. In Tolomeo è evidente la predilezione per i fatti politici e militari, dimostrata dai frammenti ritrovati e dal tono militare di Arriano. L'opera di Tolomeo era quindi in primo luogo una sorta di diario di guerra; ma troviamo attenzione anche agli eventi alla corte reale. Mancavano invece quasi del tutto excursus etnografici, geografici e storico-culturali, tanto numerosi nella maggior parte degli storici di Alessandro finora ha d Alessandro esistono, negli studi moderni, due posizioni contrastanti. La prima pensa che Clitarco è stato un'ammiratone e un celebratore di Alessandro. L'altra opinione è che questi abbia invece nutrito sentimenti ostili. Nel complesso l'immagine di Alessandro delineata da Clitarco possiede tratti scarsamente individuali, anzi, gli stereotipi generici. A ciò si collega anche la mancanza di presa di posizione nei confronti del sovrano macedone. Per quanto riguarda le fonti di Clitarco, bisogna supporre un ampio uso degli storici precedenti, ad esempio Callistene, Onesicrito e Nearco. Tolemeo e Aristobulo hanno invece scritto solo dopo di lui e correggono spesso la sua narrazione, in parte passandola sotto silenzio. IN SOSTANZA... Si può dire in sostanza, e qui c'è in qualche misura un accordo tra antichi e moderni, che né la personalità di Alessandro né la sua spedizione in Asia hanno trovato nella coeva storiografia una adeguata trattazione. A tale proposito meritano attenzione i seguenti dubbi: 1. L'interesse degli storici s rivolge in misura particolare ad Alessandro Magno come persona, cioè la storiografia coeva è tutta concentrata sulla sua individualità. Ciò dipende senza dubbio, da un lato, dalla straordinaria personalità di Alessandro, dall'altro dal crescente influsso della retorica ha esercitato in quel periodo sulla storiografia. Sono invece solo marginalmentre trattati aspetti estremamente importanti del regno., come l'amministrazione dell'Impero, l'organizzazione militare e finanziaria, le fondazioni di città, la politica di fusione dei popoli, il concetto di dominio universale. 2. Gli storici si concentrano sulla personalità di Alessandro, non riuscendo però a coglierla nella sua molteplicità e interezza, ma ne mettono di volta in volta in primo piano solo alcuni aspetti. Per Calistene Alessandro è in primo luogo il capo di una guerra di vendetta panellenica contro i Persiani, per Onesicrito il re filosofo permeato di ideali cinici, per Nearco il condottiero solidale con il suo esercito e grande scopritore, per Aristobulo il re fondatori di nuovi centri urbani e apportatore di civiltà, per Tolomeo il geniale comandante, per Clitarco il sovrano ideale. Appare chiaro che solo dall'insieme di queste caratteristiche emerge un'immagine di Alessandro in qualche misura completa. 3. A un più attento esame risulta che le opere degli storici coevi hanno in genere un carattere tendenzioso. Questi storici che appartenevano per lo più alla ristretta cerchia degli amici del re, fornivano di regola la versione <<ufficiale>> delle azioni di Alessandro e spesso tacevano o alteravano fatti a lui sfavorevoli. 4. Anche gli excursus geografici, etnografici e storico-culturali presenti nelle opere su Alessandro,dove avevano ampio spazio, si sono spesso allontanati da un resoconto fedele alla verità. Ciò può avere la seguente spiegazione: la spedizione in Asia fece entrare in contatto con un mondo fino allora sconosciuto e spesso favoloso e diede modo di conoscere nuove terre, civiltà straniere, costumi e usanze singolari, animali e piante mai viste e molte altre cose esotiche. Tutto questo ha spinto ad esagerazioni ed eccessi, e in effetti gli storici hanno spesso ceduto alla tentazione di dare nelle loro opere tratti ancor più fantastici ad una realtà, che sapeva comunque di favola. 5. A ciò si aggiungeva la circostanza che proprio in quel periodo, cioè verso la fine del IV secolo, le due principali correnti della storiografia ellenistica, quella tragica e quella retorica, andavano sempre più affermandosi. Esse avevano, nonostante le diversità nello specifico, una cosa in comune: ai loro esponenti interessava spesso non una severa analisi delle cause o dei fatti nel senso espresso da Tucidide, ma venivano a patti con la verità storica. 6. Bisogna non da ultimo ricordare che gli storici coevi ci sono arrivati tutti in odo molto frammentario, mentre le opere pervenuteci risalgono ad epoche molto tarde e hanno spesso carattere meramente compilatorio. Tutte queste ragioni spiegano come i moderni stui su Alessandro si debbano confrontare con una grande quantità di problemi che non troveranno mai una chiara soluzione. Gli storici dell'epoca dei diadochi L'epoca successiva ,ad Alessandro Magno e della sua spedizione in Asia, l'età dei diadochi, suscitò un minor interesse negli storici. Ciò dipende soprattutto dal fatto che si trattava di un'epoca di difficile comprensione, caratterizzata dalle complesse lotte per la successione di Alessandro, dalla graduale formazione dei regi dei diadochi e infine dall'instaurarsi di un certo equilibrio fra le diverse potenze. DURIDE DI SAMO E' da collocare al primo posto fra gli storici dei diadochi. ( SOPRA SPIEGATO). IERONIMO DI CARDIA Nato all'incirca nel 360 a. C., a Cardia una città sull'Ellesponto. Ieronimo fu tra i più stretti amici del suo compatriota Eumene, incaricato come primo segretario di Alessandro, della stesura dei diari reali e fermo assertore nella lotte dei diadochi dell'unità dell'Impero. Nel 320 fu capo di un'ambasceria inviata da Eumene ad Antipatro. Muorì perfettamente sano, di mente e corpo, a 104 anni nel 260 a.C. L''opera di Ieronimo ci è tramandata sotto diversi titoli: Gli avvenimenti dopo Alessandro, o Storia dei diadochi, o semplicemente Storie. L'opera inizia con la orte di Alessandro nel 323 e arriva fino alla morte del re epirota Pirro nel 272. Va sottolineato che Ieronimo ha descritto parlando delle guerra di Pirro in Italia , anche un breve compendio della storia antica di Roma, facendo così conoscere ai suoi compatrioti, primo fra gli storici greci, l'archailoghía romana. Della sua storia dei diadochi ci sono arrivati solo 18 frammenti,e per tale ragione gli studiosi hanno ben presto intrapreso il tentativo di ricostruirla ricorrendo a testi più tardi a noi pervenuti. Si e quindi arrivati alla conclusione, quasi da tutti accettata, che Ieronimo vada considerato lo scrittore principale dell'epoca dei diadochi e che la sua opera abbia fornito la basa più o meno ampia di tutte le narrazioni a noi pervenute. Esiste ampia concordanza nel considerare che Ieronimo abbia costituito la fonte principale di Diodoro per i libri XVIII-XX, i testi di gran lunga più importanti per la storia dei diadochi dal 323 al 302, si discute soltanto se Ieronimo sia stato utilizzato direttamente o per il tramite di una fonte intermedia: la prima ipotesi è di certo quella più verosimile. A far ritenere Ieronimo la fonte principale di Diodoro sono soprattutto le seguenti considerazioni: • E' possibile constatare numerose concordanze tre Diodoro e i frammenti di Ieronimo. • La frequente menzione di Ieronimo nel racconto di Diodoro. Ieronimo è l'unico amico di Eumene ad essere citato per nome. • Infine, il racconto di Diodoro si concentra proprio su quelle persone alla cui corte Ieronimo ha vissuto in quegli anni: Eumene, Antigono Monoftalmo, e Demetrio Poliocrate. Ieronimo, uomo di senso pratico ha avuto scarsa attenzione tanto per le esagerazioni della storiografi <<mimetica>>, e quindi aveva un stile asciutto e disadorno. E' stato influenzato dalla concezione storica di Tucidide. DIILLO DI ATENE Figlio dell'attidografo Fanodemo, non aveva, secondo Plutarco, in posto irrilevante fra gli storici e, sempre secondo Plutarco, scrisse nella maniera tragica. Le Storie da lui pubblicate nella prima metà del II secolo comprendevano 27 libri e avevano un carattere storico-universale. La prima parte, che iniziava con il saccheggio del santuario di Delfi nel 357-356, costituiva un'integrazione della storia universale di Eforo, la seconda, che cominciava dall'anno 341-40 e arrivava alla morte del figlio di Cassandro, Filippo, nel 297, la sua prosecuzione. Fino a poco tempo fa alcuni consideravano Diilo la più importante fonte di Diodoro sia per la storia di Alessandro del XVII sia per quella dei diaconi dei libri XVII-XX (Ipotesi non dimostrabile) DEMOCARE Nipote di Demostene che dopo la caduta Demetrio Falereo nel 307, acquistò ad Atene una notevole importanza politica, ma già nel 303 venne bandito per aver criticato il culto tributato a Demetrio Poliorcete. Sono incerti l'inizio e la fine di questa storia degli eventi coevi all'autore: si parla della morte d Demostene nel 322 e di quella di Agatocle nel 289-288. E' perciò possibile, ma non certo che vi fossero descritti gli eventi dal 322 al 288. Dell'opera sono attestati solo 5 frammenti. NINFIDE DI ERACLE PONTICA Visse dal 310 circa al 240 e trascorse molti anni in esilio prima di poter ritornare in paria nel 281 dopo la fine della tirannide di Clearco e la morte di Lisimaco. Intorno al 250 fu a capo di un'ambasceria che convinse i Galati lasciare il territorio di Eraclea. La Suda ci tramanda il titolo di una sua opera di carattere storico-universale comprendente 24 libri intitolata Su Alessandro, i diadochi e gli epigoni che arriva fino alla presa del potere da parte di Tolomeo III nel 246. Ninfide ha inoltre redatto una storia della sua patria Eraclea in 13 libri di cui ci sono arrivati comunque 16 frammenti. Questa storia locale è stata in seguiti ampiamente utilizzata da Memnone di Eraclea, vissuto in età imperiale romana, per la sua opera dallo stesso titolo: Su Eraclea. Dello scritto di Memnone, Fozio ci tramanda ampi stralci che si riferiscono alla storia di Eraclea negli ani dal 364 al 47 a.C.: essi sono di grande interesse perché offrono un'idea dell'età ellenistica. fondatore nel 358 della città di Tauromenio e da allora suo assoluto sovrano. Dato che la sua opera arriva al 260, a 96 anni. Per quel che riguarda l'opera di Timeo, va innanzitutto menzionata una Raccolta di concetti retorici in 68 libri che la Suda gli attribuisce. Ma per parere concorde degli studiosi moderni è difficile ritenere sua quest'opera. Sono invece di Timeo gli Olympioníkai ovvero Liste cronologiche, anch'essi menzionati nella Suda. Era già stata compilata una lista sugli olimpionici (es. Aristotele) prima di lui, ma la novità di Timeo stava, oltre a una revisione dell'elenco, anche nella registrazione sincronica dei vincitori dei giochi olimpici e di atri eponimi. Con questo scritto che costituiva un lavoro preparatorio alla sua opera storica ha aperto la strada nella storiografia al sistema di datazione bastato sulle olimpiadi. L'opera di Timeo intitolata Storie o Storie Siciliane, iniziava con l'età mitica e arrivava n 38 libri fino alla morte di Agatocle nel 289-88. Ad esse venne ad aggiungersi un'<<opera separata>> sulle guerre di Pirro in Italia meridionale e in Sicilia e un successivo proseguimento fino alla prima guerra punica nel 264. A tale opera si è allacciata cronologicamente Polibio. La struttura dell'opera e conosciuta solo a grandi linee, dato che ci sono state tramandate solo citazioni insieme alle indicazione dei libri cui s riferiscono. In una introduzione che comprendeva cinque libri, Timeo tracciava la geografia dell'Occidente e del Settentrione, raccontava vicende storico-leggendarie e riferiva di colonie, fondazioni e di città, genealogie. Metteva in rapporto certi miti, come quello di Eracle, degli Argonauti o le saghe troiane, con il mondo occidentale, collegando così la storia arcaica dell'Occidente con quella dell'Oriente. Ha posto così anche le basi per la successiva creazione del mito delle origini di Roma. Per tale motivo è considerato il padre della storiografia romana. Nei libi VI-XV era descritta la storia della Sicilia fino alla presa del potere da parte di Dionisio I nel 409-05, mentre nei libri XVI-XXXIII contenevano, a detta di Diodoro la storia di Agatocle. Disponiamo di un numero relativamente alto di frammenti 164 in tutto. Timeo è stato da un lato un indagatore dotato di senso critico che ( e su questo neanche Polibio può criticarlo), sulla scia di Tucidide, ha propugnato la verità come fine ultimo di ogni storiografia, trovando per tale concetto parole incisive. Per altro verso ha subito un forte influsso della storiografia mimetica, ed anche quella retorica ha lasciato profonde tracce nella sua opera. Ma non si può cero negare che in Timeo tra la professione della ricerca della verità come fine ultimo e la prassi storiografica esista spesso uno scarto. Sotto questo spetto hanno rilevanza i seguenti fatti: 1. Va evidenziato il patriottismo siciliano dell'autore (severamente censurato da Polibio). 2. L'odio verso i tiranni ha continuo impedito a Timeo una narrazione conforme alla verità. 3. Il suo odio verso i Cartaginesi, nemici giurati della Sicilia, si opponeva spesso a una imparziale descrizione degli eventi. 4. I discorsi testuali che si trovano i Timeo risultano spesso più o meno del tutto inventati. 5. Infine sottoponeva di frequente i suoi predecessori storici a una critica eccessivamente di parte. Proprio nella narrazione delle guerre contro i Cartaginesi e la sua versione della storia di Agatocle rivelano che Timeo è stato influenzato sotto più riguardi dalla storiografia mimetica. Ha così non solo descritto nei particolari e con numerose esagerazioni i delitti e le atrocità di Agatocle, ma si è soffermato di continuo con accenti pieni di pathos sui dolori disumani di coloro che sono state vittime fanciulli, donne deboli e vecchi indifesi nella conquista delle città. Polibiosi volge contro Timeo anche per la sua superstiziosa paura del divino. Timeo era del parere che e divinità fossero ovunque presente e che prendevano parte agli avvenimenti degli umani e punissero immediatamente ogni fallo. L'immagine di Timeo sarebbe incompleta se non si accentasse alla fora retorica della sua opera. Egli ha così riportato una serie di discorsi testuali, a cui natura è stata criticata da Polibio: Timeo, a suo dire, non ha mirato a ridare né la lettura precisa dei discorsi né il loro sostanziale contenuto, ma li ha liberamente inventati alla maniera di uno scolaro di retorica, impegnato a sviluppare impegnato a sviluppare un determinato tema. Polibio menziona come causa profonda del grave difetto di timeo la sua erudizione libresca e si richiama più volte alla stessa affermazione dell'autore secondo cui per 50 anni egli avrebbe vissuto interrottamente da straniero ad Atene. Ne consegue così necessariamente, secondo Polibio, la sua totale inesperienza pratica nelle faccende politiche e militari e la mancanza totale di autopsia: due requisiti fondamentali, oltre allo studio delle fonti, per il vero storico. Nel suo complesso la tesi dell'erudizione libresca di Timeo è certamente giusta: a causa del suo lungo esilio questi non poteva avere né una conoscenza diretta degli avvenimenti né alcuna esperienza pratica; la sua attività principale è stata quindi quella di vagliare criticamente i testi sull'argomento. Primo fra gli storici greci a sottoporre a una severa critica tutti i suoi predecessori e colleghi (es. Omero,Tucidide, Platone, Aristotele, Callistene, Teopompo). Particolarmente esagerati sono i suoi attacchi a Filisto, il suo immediato predecessore nel campo della storiografia siciliana. Polibio gli rimprovera un eccesso di critica. Il concetto di storia era per timeo molto ampio. Il suo interesse andava ugualmente alla mitologi, alla geografia, all'etnografia, alla cronologia, alla storia politica e militare, alla storia della civiltà, alla religione e non da ultimo numerosi thaumásia. Tutto questo conferisce a Timeo un posto importante fra gli storici greci, tutto questo lo fa diventare l'<<autorità>> principale della storia dell'Occidente greco per quasi cinque secoli. Occorre tenere in egual conto il carattere scientifico,mimetico e retorico dell'opera e, partendo appunto da questa visione complessiva, dare un giudizio più differenziato su un autore che Person ha definito a ragione <<lo storico più importante fra Eforo e Polibio>>. STORICI DI AGATOCLE Timeo negli ultimi cinque libri della sua opera ha narrato la storia di Agatocle, delineando un quadro estremamente negativo del tiranno che lo aveva mandato in esilio. Vanno menzionati altri storici di Agatocle: • Atandro di Siracusa: Fratello di Agatocle. Come storico e citato solo una volta insieme ad altri autori a proposito della durata della vita di Agatocle. Probabilmente scrisse soltanto un necrologio del tiranno fa tanti denigrato. • Callia di Siracusa: Era un favorito di Agatocle di cui scrisse la storia in non meno di 22 libri. Della sua opera ci sono rimasti solo pochi frammenti, che tra l'altro non parlano della persona di Agatocle. Callia avrebbe taciuto le innumerevoli crudeltà e gli illeciti del tiranno, affermando al contrario che <<egli superava tutti per religiosità e umanità>>. • Duride di Samo: Ha redatto una monografia dal titolo Gli avvenimenti intorno ad Agatocle. Nel acconto Duride che era lui stesso tiranno di Samo , sua isola natale, e quindi “collega” di Agatocle, era in primo piano la <<impressionante malvagità del tiranno>> in una narrazione caratterizzata da una quantità di scene brillanti e drammatiche. Autori su paese e popoli stranieri Fin dai tempi antichi i greci avevano scritto su paesi e popoli stranieri ( Erodoto- Ecateo). Dopo la spedizione in Asia di Alessandro Magno e la diffusione a essa connessa della lingua e civiltà greca in Oriente si sono aggiunti due nuovi fenomeni: da un lato i Greci hanno descritto i paese conosciuti in seguito alla spedizione, dall'alto gli autori locali hanno narrato in lingua greca la storia delle loro terre. Ciò ha portato alla fioritura di una ricca storiografia. ECATEO DI ABDERA Scolaro dello scettico Pirrone, ha vissuto sotto Tolomeo I ed è l'autore di un'opera intitolata Aigyptiaká. Pur non essendoci rimasta direttamente, essa costituisce la fonte principale della descrizione di Diodoro dell'Egitto. Si tratta dell'unico resoconto completo, oltre a quello di Erodoto, che l'antichità ci ha tramandato su questo paese. A detta di Diodoro, l'opera è suddivisa in quattro parti: all'inizio c'era una cosmologia e teologia egiziana, seguiva la geografia del paese, poi i re egizi e in fine si descrivevano gli usi e costumi degli abitanti. Per Ecateo, tutte le civiltà avevano la loro origine in Egitto, i costumi e le istituzione egizie ci sono descritte come le uniche degne di essere imitate. Il tutto ha un'apparente veste storica, ma di fatto domina la dimensione astrtto-fiosofica. Inoltre per Ecateo gli egiziani si dividono da un lato nel gruppo degli dei simboli di forze naturali (Iside e Osiride), dall'altro in quello dei mortali divinizzati. Ecateo è il primo storico greco a menzionare gli Ebrei, negli Aigyptiaká si trovano degli excursus sulla cacciata degli Ebrei dall'Egitto. Un giudizio analogo a quello sugli Aigyptiaká va espresso per l'opera Sugli Iperborei. Popolo non reale, ma fittizio, localizzato da Ecateo in un'isola di fronte al paese dei Celti e descritta come molto amica dei Greci. Si tratta di racconti non tanto storici, quanto piuttosto di romanzi filosofici o di utopie etnografiche. Ecateo di Abdera va considerato un storico peudostorico. EVEMERO DI MESSENE Confidente del re Cassandro, per incarico del re intraprese lunghi viaggi in oriente e nel Mediterraneo. Nel romanzo di un viaggio immaginario dal titolo Iscrizione Sacra, Ha scritto da contemporaneo una monografia sulla prima guerra punica di cui ci sono però sconosciuti titolo, le dimensioni e la struttura. Polibio critica a Filino, afferando che quest'ultimo non ha riferito, come sarebbe stato loro dovere, la verità. Aggiungendo che Filino abbia mentito non di proposito, non essendo nella sua indole ma per un atteggiamento simile a quello degli amanti (Filino e filocartagiene). Ciò è in contrasto con alcuni storici moderni che ritengono Filino un cronista imparziale. Secondo Filino erano i Romani i responsabili dello scoppio della prima guerra punica per una manifestata violazione dei patti. Il racconto dei primi avvenimenti di questa guerra era caratterizzato in Filino da una chiara tendenza antiromana e filocartaginese. A ragione la maggior parte degli studiosi suppone che questo sua atteggiamento antiromano sia dovuto per il crudele trattamento riservato da Roma alla sua città natale Agrigento nel 262-61. ANNIBALE / SILENO DI KALE AKTE / SOSILO DI SPARTA Per quel che riguarda la seconda guerra guerra punica, va inanzi tutto ricordato che Annibale stesso, verso la fine della sua spedizione in Italia nel 205 a.C., fece affliggere su tavole di bronzo nel santuario di Giunone Lacinia vicino Crotone una cronaca delle sue gesta in lingua punica e greca, ma di questo scritto autobiografico ci sono solo rimasti due frammenti i Polibio. Sileno e Sosilo, hanno accompagnato Annibale nell'impresa. Sosilo fu anche maestro di greco di Annibale. Sileno e Sosilo hanno quindi fornito la versione “ufficiale” cartaginese della seconda guerra punica. Per quel che riguarda Sileno, i frammenti rimasti ci forniscono un'idea approssimativa del contenuto, del carattere e delle tendenze dell'opera. Il passaggi dell'Ebro e la spedizione in Itala sono presenti addirittura come ordine di Giove, e Annibale nella sua marcia può perfino contare di una guida divina. Questa narrazione, chiaramente filocartaginese,e dove hanno una parte rilevante anche i sogni e i portenti, fa di Sileno il tipico rappresentante della storiografia ellenistica di gusto sensazionalistico. Polibio non si oppone solo all'idea di una simile guida, senza il cui aiuto l'audace impresa non sarebbe mai riuscita, ma anche l'enorme esagerazione delle avversità delle condizioni geografiche e alla presunta eccezionalità del passaggio delle Alpi. L'opera di Sileno non si può considerare un racconto storico imparziale, né si può fare di Sileno il miglior storico di Annibale. Si può riconoscere i Sosilo questa qualifica. A detta di Diodoro Sosilo ha narrato la storia di Annibale in 7 libri. Criticato da Polibio,ingiusta per due motivi: giudizio oggettivamente infondato e dall'altro perché in quattro colonne in cui raffigura con assoluta chiarezza una complicata manovra avvenuta in battaglia navale tra Roani e Cartaginesi e tratta dal quarto libro di Sosilo fa apparire l'opera di quest'ultimo in una luce molto favorevole. La ragione vere della critica di Polibio sta nelle tendenze flocartaginesi e filo annibaliche di Sosilo, in netta antitesi a quelle polibiane. Veniamo ora alla parte dei primi autori romani che hanno scritto la storia di Roma in lingua greca. QUINTO FABIO PITTORE il più antico scrittore romano ad opinione concorde degli storici antichi. Originario di una delle più nobili famiglie romane, visse da contemporaneo la seconda guerra punica, svolgendo per di più un'importante funzione politica: dopo la disfatta di Canne nel 216 a.C., si recò a Delfi, per incarico del Senato romano e come suo rappresentante , per interrogare l'oracolo e sapere quale sacrificio potesse evitare a Roma ulteriori sciagure. Fabio ha efficientemente descritto nella sua opera storica a missione di Delfi, la risposta dell'oracolo e il suo ritorno a Roma. Fabio ha scritto intorno al 200 a.C., una storia romana in lingua greca che andava dalle origini mitiche fino alla sua epoca. Non conosciamo il punto preciso di arrivo dell'opera. Il più tardo frammento a noi pervenuto si riferisce all'anno 217. Il titolo era o Le gesta dei Romani o semplicemente Romaniká. Di quest'opera esisteva ance l'edizione latina, la cui paternità e la cui data di pubblicazione sono però controverse. Timpe ha convincentemente dimostrato che l'opera Fabio era articolata in tre parti: 1. La prima narrava in extenso la storia della formazione di Roma dalle origini mitiche fino a circa la metà del V secolo a.C. Ha descritto innanzitutto la fuga di Enea, i suoi viaggi e le sue gesta nel Lazio. Poi ha parlato di Alba Longa e quindi di Romolo e Remo e della fondazione di Roma da lui datata 748-47. Infine ha trattato anche l'epoca reggia e l'età della prima repubblica. Fabio scrive con uno stile drammatico e vivo nel solco della storiografia mimetica. 2. La seconda conteneva uno sguardo sommario alla storia della Repubblica dal 450 al 164 circa. Gli avvenimenti era qui narrati con uno stile cronachistico sobrio e stringato. Si può supporre che Fabio si sia rifatto almeno in tre parti alle cosiddette tabulae pontificum, cioè le tavole annuali che i pontefici massimi redigevano in forma di cronache. Si può vedere nel Fabio di questa parte un precursore della cosiddetta storiografia annalistica. 3. La terza parte, molto ampia, iniziava con lo scoppio della prima guerra punica e arrivava fino ai suoi tempi. Erano qui in primo piano gli avvenimenti politici e militari, caratterizzati, e secondo Polibio da una forte tendenza filoromana. Il quadro rappresenta come non si possa parlare di un opera unitaria ma una giustapposizione di parti molto eterogenee, anche se la grandezza e la virtus romane nonché l'esemplarità del mos maiorum, i costumi dei padri, possono aver fatto da temi conduttori dell'opera. Nella sua opera storica Fabio si è rivolto con decisione contro questo sentimento antiromano, allo scopo di fornire ai Greci un'immagine positiva di Roma e mettere in risalto la lealtà e a correttezza dell'azione e della politica romana. Così, ad esempio, affermava che era stata l'incontenibile espansione Cartaginese a costringere i Romani ad iniziare la prima guerra punica come conflitto preventivo; l'intervento in Illiria nel 229 a.C., era stato imposto , secondo Fabio, dai ripetuti attacchi di quelle popolazioni; e analogamente la causa dei conflitti con i Celti stava nelle loro continue aggressioni, delle quali i Romani avevano dovuto difendersi nella Pianura Padana. In assoluto contrasto con Filino , Sosilo e Sileno, Roma non era dunque secondo Fabio uno stato imperialista, ma si trovava invece nella costante necessità di doversi difendere da attacchi esterni. L'esigenza di garantire la propria sicurezza e gli interessi degli alleati da un lato, le violenze dei trattati e le aggressioni dei nemici dall'altro avevano costretto i Romani a condurre di continuo guerre dichiarate <<giuste e sante>>, che avevano portato a una incessante espansione di Roma, quasi contro il suo volere. Da un punto di vista retrospettivo si può affermare che le intenzioni propagandistiche di Fabio hanno colto nel segno, perché la sua concezione ha influenzato non solo molti autori antichi ( Polibio) ma anche il pensiero di numerosi studiosi moderni fino ai nostri giorni. Fabio ha unito a questo suo intento principale un fine politico interno: ha spesso cercato di proseguire con mezzi per così dire storiografici la politica della sua famiglia, i Fabi. L'opera di Fabio divenne per molti aspetti un modello per la successiva storiografia romana. In essa non solo si trovava già delineato il sostanziale corso degli avvenimenti storici di Roma dagli inizi della seconda guerra punica, ma erano anche fissati numerosi tratti che ricorreranno nella successiva storiografia. Fra questi si possono menzionare la tendenza a narrare ogni volta dalle origini all'epoca dell'autore, appartenenza degli storici alla classe degli statisti, la decisione di perseguire con i propri scritti determinati fini politici, l'aderenza ai modelli ellenistici e l'uso della lingua greca. ALTRI: • Cinzio Alimento: Ha scritto una storia romana in lingua greca che andava anch'essa da gli inizi mitici al presente. Come dimostrano i frammenti Cinzio ha seguito largamente Fabio nella traduzione della storia antica di Roma, differenzia solamente come data di fondazione della città l'anno 729-28 a.C. • Cornelio Scipione: figlio di Scipione l'Africano, scrisse in lingua greca. Cicerone la menziona come una storia redatta in greco, ma con uno stile molto gradevole. Non ci è arrivato nessun frammento. • Acilio: Ha scritto una storia di Roma in lingua greca tradotta in latino all'epoca di Silla da Claudio Quadrigario. Parte dagli inizi mitici, mentre il frammento più tardo si riferisce all'anno 184. Fu soprattutto il suo entusiasmo per la cultura e letteratura greca , e non l'effetto propagandistico come Fabio e Cinzio, a spingerlo a pubblicare l'opera. • Catone: Come è noto, egli aveva un atteggiamento profondamente scettico nei confronti di tutto ciò che era greco, ed era convinto che l'assidua ricezione della civiltà, della filosofia e della letteratura greca implicasse specie per la gioventù romana grandi pericoli. Oltre molte altre opere, ha redatto uno scritto storico dal titolo Origines, utilizzando la lingua latina. Con lui ha inizio la storiografia romana in senso proprio. Ma il suo titolo Origines indica però che Catone con la sua opera che conteneva non solo la formazione di Rom, ma anche quella di molte città italiche, restava nel solco della tradizione ellenistica delle ktíseis, le fondazioni delle città. Il modello ellenistico si rivela anche nel fatto che Catone prende le distanze dalle cronache annalistiche dei pontefici romani e descrive invee gli eventi capitulatium, con la narrazione consecutiva. Proprio l'esempio di Catone perciò ci mostra in modo evidente quanto la storiografia romana debba a quella greca. Nell'età successiva a quella di Catone gli storici si sono serviti della lingua latina, sono chiamati analisti, dato che presentano gli eventi avvenuti nei singoli luoghi distinti anno per anno, al modo delle antiche cronache pontificali. Ma anche in seguito non sono mancati autori che hanno scritto in greco. fine delle Storie di Timeo. Con l'anno 220 inizia nel terzo libro il suo tema vero e proprio. L'opera doveva essere una storia contemporanea di carattere generale, includente in egual misura gli eventi di Grecia, Asia, Italia e Libia, e avente per filo conduttore l'ascesa di Roma a potenza mondiale. Questa ascesa descritta nei libri nei libri III-XXIX arrivava fino al 168 nelle guerre contro Annibale. Contrariamente al piano originale aggiunse più tardi nei libri XXX-XL la storia degli ani 168-145, l'epoca in cui si consolidò il dominio dei Romani. Con il libro VII inizia una narrazione annalistica secondo Olimpiadi che raggruppava anno per anno gli avvenimenti in Oriente e Occidente. Per una più precisa individuazione Polibio aggiunse agli anni delle Olimpiadi il ciclo naturale delle stagioni, i periodi di carica dei consoli romani, degli strateghi della Lega etolica, achea e beota e dei pritani rodii. Solo avvolte viene abbandonato questo ordine annalistico per non smembrare vicende intimamente connesse tra loro. La materia risulta così distribuita che in genere gli eventi di un'intera Olimpiade o di metà di essa, occupano un intero libro, a meno che anni particolarmente ricchi di avvenimenti come 203, 168, 146 non richiedano un libro per intero. A proposito delle condizioni in cui l'opera ci è arrivata, si può dire che ci sono stati interamente tramandati solo i libri I-V; degli altri conosciamo solo degli excerpta, la cui ampiezza è estremamente divisa. Come nel caso di Erodoto o Tucidide, negli studi si cerca di far luce sulla genesi delle Storie di Polibio. Considerazioni: • Egli avrebbe potrebbe aver concepito il pino iniziale dopo il suo forzato ritiro dalla vita politica a causa della deportazione, quindi fin dal 160 circa; il ruolo eminente da lui svolto negli avvenimenti dopo i 150 a.C, specie nella istituzione della provincia romana dell'Acaia, e la sua partecipazione alla terza guerra punica ( 149-146) lo avranno poi indotto a proseguire la narrazione. Mentre i libri I-XXIX sono stati probabilmente redatti negli anni tra il 160 e il 130( il che non esclude aggiunte successive!!), il resto dell'opera sembra risalire a un'epoca posteriore al 129. • La successiva modifica del progetto e i conseguente spostamento del termine finale al 145 hanno portato a incoerenze e contraddizioni che Polibio ha spesso mancato di eliminare con una puntuale revisione dell'opera. • Nella questione della genesi dell'opera polibiana un poso importante spetta alla descrizione della costituzione romana nel libro VI. Si è spesso compreso già da molto tempo che sono qui unite due teorie: da un lato quella del mutamento ciclico delle costituzioni, dall'altro quella delle costituzione mista che secondo Polibio trova la sua ideale realizzazione nella forma romana, contenendo essa in egual misura elementi monarchici, aristocratici e democratici che garantiscono così << a system of checks and balances>> . Sebbene l'accostamento di due teorie costituzionali non possa essere adottato come prova di una genesi dell'opera per nuclei successivi, esistono tuttavia indizi che fanno ritenere che anche nel libro VI ci siano aggiunte posteriori. Possiamo cogliere soprattutto nelle considerazioni pessimistiche sul futuro di Roma. Qui, Polibio, sottolinea, in contrasto con l'asserita stabilità della costituzione mista romana, che anche Roma non sfuggirà alla legge che vede seguire alla crescita e alla fioritura la decadenza. • Per quanto brani delle Storie dovessero essere già noti a circoli ristretti o ampi già durante la vita di Polibio, sembra che l'opera sia stata pubblicata nella sua interezza solo dopo la morte dell'autore. METODO Polibio per tutta la vita ha molto riflettuto sul significato, lo scopo, l'essenza, il valore, i compiti e i metodi della storia-gafica e nel corso del suo lavoro ne ha continuamente parlato, sia con considerazioni generali, sia polemizzando con i suoi predecessori. I principi fondamentali della concezione polibiana della storia sono: 1. La verità come fine della storia (=Tucidide). 2. L'importanza della ricerca delle cause. Polibio sottolinea come una narrazione degli avvenimenti conforme alla verità non possa bastare da sola, e che soltanto l'indicazione delle cause e dei movimenti sia per il lettore di effettiva utilità. Simile a Tucidide. Ma mentre quest'ultimo definisce e usa in modo rigoroso i concetti <<motivo occasionale>> e <<ragione vera>>, la loro individuazione resta sfumata in Polibio. Nell'idea della storia di Polibio assume un ruolo importante l'idea che vi sia uno stretto rapporto casuale tra lo sviluppo dello Stato e la qualità della sua costituzione. Ma Polibio riporta le cause degli avvenimenti non solo all'ambito costituzionale, ma anche ai movimenti, ai piani e agli obbiettivi dei suo capi politici. Subentra così nella sua storiografia un elemento biografico. Oltre a queste cause ravvisabili nella ragione, esiste anche secondo Polibio un forza irrazionale, da lui più volte chiamata Tyche, Fato. Un fato provvidenziale governatrice del mondo, la Tyche invidiosa come un tempo gli dei, un fato forza irrazionale il cui spazio restringe notevolmente, se non addirittura impedisce, una storiografia sulla ragione. La grande importanza che Polibio attribuisce alla Tyche negli eventi storici dimostra che il suo orientamento religioso era caratterizzato da sentimenti agnostici. É suo convincimento che la religione è un invenzione dei governanti per tenere all'obbedienza la massa, per natura senza freni e ribelle, e che una religione così intesa adempie un'importante funzione stabilizzante. 3. L'utilità della storia. Ha Polibio (=Tucidide) interessa innanzi tutto trasmettere giudizi politici, non tanti un insegnamento morale. Ma diversamente da Tucidide, che di norma fa parlae direttamente le cose, Polibio ha “ ritenuto necessario” additare ogni insegnameto che potesse essere tratto dalla sua narrazione. 4. La storia universale e la monografia. I punti precedenti possono essere raggiunti secondo Polibio solo con un'analisi storica universale. Per tale ragione si occupa spesso del rapporto tra storia e monografia. Per tale ragione si occupa spesso del rapporto tra la storia universale e monografica. Sottolinea così subito nell'introduzione all'intera opera che fino alla 140° Olimpiade con cui egli inizia il suo racconto (220 a.C) gli avvenimenti storici si sarebbero svolti sulla terra in modo separato sia per località che per ideazione e attuazione. A partire da quella data la storia sarebbe invece diventato un <<tutto unitario simile a un corpo>>, gli avvenimenti in Italia e in Africa si sarebbero intrecciati con quelli in Asia e in Grecia e tutto si sarebbe orientato verso un medesimo obbiettivo, Roma, la cui ascesa a dominatrice del mondo nel giro di neppure 53 anni è definita da Polibio come <<la più bella Tyche>>. Polibio considera suo predecessore nel campo della storia universale il solo Eforo. 5. La storiografia pragmatica. Polibio distingue i seguenti generi di storiografia, a ciascuno dei quali attribuisce una determinata cerchia di lettori: ➔ Chi ama ascoltare racconti dilettevoli, è attirato dalle <<storie genealogiche>>, cioè dei ed eroi. Epoca mitica. ➔ Chi ha molti interessi è affascinato dal <<racconto delle colonizzaioni, e delle fondazioni delle città e parentele dinastiche>>. Storia antica. ➔ Chi ha interessi politici è avviato dal <<racconto delle azioni dei popoli, delle città e delle dinastie>>. Storiografia pragmatica. 6. I compiti dello storico <<pragmatico>>. Polibio traccia un confronto tra la medicina e la storiografia pragmatica, sottolineando come ambedue risultino suddivise in tre parti. Come la medicina si articola in teoria, dietetica e chirurgica, la storiografia pragmatica si include le seguenti partizioni: ➔ lo studio dettagliato delle fonti; ➔ la precisa conscienza dei dati topografici e geografici; ➔ l'eperienza diretta politica e militare; Con questi requisiti Polibio si distacca nettamente dagli <<eruditi da tavolino>> come Eforo, Teopompo e soprattutto Timeo che ritenevano che solo lo studio delle fonti e dei testi facesse diventare buoni storici. Polibio da parte sua annette la massima importanza all'esperienza politica e all'osservazione diretta degli avvenitemi. 7. La critica storica in Polibio. Va innanzi tutto sottolineato che nessun altro storico dell'antichità a noi pervenuto si è tanto occupato, e in modo così dettagliato , di quanto lo hanno preceduto nel campo della storiografia. Non si può certo contestare che molte critiche su questioni specifiche siano poco fondat, ciò vale ad esempio per i presunti errori geografici di Timeo e per la sua presunta inattendibilità di molte censure rivolte da questo storico ai suoi predecessori. Per contro, le critiche di Polibio sono quai sempre legittime quando si tratta di questioni di principio e di metodo. Per quanto riguarda la storiografia <<mimetica>>, Polibio, in contrasto con Filarco, sottolinea a ragione che questo storico, nella sua aspirazione a un racconto sensazionalistico e ad effetto, ha falsificato la verità e ha confuso i confini tra la storia e tragedia. Per quel che riguarda la critica alla storiografia retorica, Polibio ha anche qui ragione quando ravvisa nell'enfasi che gonfia i fatti un travisamento di verità. Lo dimostra soprattutto la sua critica hai discorsi di Timeo non riportati nel loro stretto tenore e nel loro corretto contenuto, ma da lui liberamente inventati. Va detto a grande merito di Polibio il fatto che con la sua critica metodologica è andato contro corrente rispetto alle principali tendenze della storiografia ellenistic e ai loro più importanti esponenti restituendo alla storia aspirazioni filosofia della storia è l'idea di una progressiva decadenza dell'umanità, che da un punto di vista etico sprofonda sempre più in basso generazione dopo generazione. Gli appariva addirittura irreversibile la decadenza del mondo orientale dal quale proveniva: aveva fallito in politica, era eticamente alle ultime battute e si presentava soltanto come una caricatura di se stesso. Ad esso egli contrapponeva il mondo romano caratterizzato dalla semplicità, dalla giustizia e dalla devozione religiosa. Queste qualità dei romani e il loro ruolo di protettori e apportatori di pace e di ordine gli facevano apparire il loro dominio (in accordo con Polibio) legittimo e necessario. Ma anche tra i Romani le cose cominciavano a mutare in peggio: l'evento di questa svolta è stato per Posidonio la distruzione di Cartagine nel 147. Con l'eliminazione del nemico esterno sarebbero aumentat all'interno il lusso e l'agiatezza e si sarebbe arrivati a divisioni e disordini nelle compagnie statali. Alle riflessioni etiche di Posidono manca il tono morale del predicatore morale. Egli ha scritto in uno stile plastico e vivace e ha cercato al modo degli storici <<mimetici>> di far vivere davanti agli occhi del lettore gli eventi come su un palcoscenico. In considerazione delle sue nobili origini e dei suoi stretti contatti con l'aristocrazia romana non può meravigliare che egli abbia aderito al partito conservatore. Ha così condannato la politica ostile al Senato dei Gracchi, ha criticato Mario il capo dei popolari, ed è stato avverso ai cavalieri romani, hai quali ha addossato (contro la verità storica) la responsabilità dello scoppio della prima rivolta degli schiavi in Sicilia. Ma non dipinge mai un quadro tendenzioso in bianco e nero. Esempio. Delle due rivolte degli schiavi in Sicilia, inizialmente dimostra addirittura una certa compassione per gli schiavi quando osserva che il comportamento crudele dei padroni nei confronti e stata la causa della rivolta. Nel corso della rivolta gli schiavi sono andati sempre più trasformandosi in orde di insensati assassini, saccheggiatori e incendiari. Il racconto delle rivolte siciliane costituiva un punto saliente dell'opera di Posidonio. Le Storie di Posidonio sono state spesso considerate l'opera cardine della storia romana dalla guerra numantina alla morte di Mario. Ma questo giudizio non corrisponde a verità. La sua utilizzazione si è limitata agli storici universali greci e romani del I secolo a.C. E' stato il carattere retorico della narrazione a suscitare la repulsione degli attistici e a far uscire ben presto di moda l'opera. Fra gli storici romani sono stati comunque fortemente influenzati da Posidionio nella loro concezione storica importanti autori come Sallustio e Tacito. Posidonio considerava la vita dei popoli e l'intera totalità cosmica, come un organismo vivente. I singoli eventi o personaggi storici non stanno ognuno per sé, ma rappresentano sempre gli elementi di un tutto organico. Con la sua critica della civiltà e con la sua teoria della decadenza Posidoio è diventato i precursore non solo degli autori latini Sallustio e Tacito, ma anche della moderna critica della cultura . Diodoro di Agyrion Con le conquiste di Cesare e Augusto l'impero romano divenne un Impero universale. Quest'ultimo imponeva un storia unitaria (es. la Cronaca universale di Castore). Sotto Augusto vennero pupplcati anche i 44 libri della storia universale di Pompeo Trogo le cosiddette Historie Philippicae che narravano le vicede di tutto il bacino del Mediterraneo dall'inizio all'epoca dell'autore. Non meraviglia che numerosi autori greci abbiano sentito il bisogno di una narrazione storica universale. Come: • Timagene di Alessandria: Portato a Rome come prigioniero, svolse, sotto l'epoca del triumvirato e soprattutto sotto Augusto, una vivace opera letteraria . Oltre a numerosi scritti, scrisse una storia universale dal titolo Sui re che arrivava fino all'età di Cesare. • Nicola di Damasco: Ha scritto sollecitato da re Erode un storia universale in 144 libri che parlava delle epoche più antiche e terminava probabilmente con la morte di Erodoto nel 4 a.C. • Strabone di Amasea: Il geografo più famoso dell'antichità, ha scritto una storia universale in 47 libri. Di essa i primi quattro libri fornivano un breve compendio degli avvenimenti fino al 145, anno in cui terminavano le Storie d Polibio. I successivi libri proseguivano la narrazione di quest'ultimo fino alla guerra civile nel 27 a.C. • Diodoro di Agyrion: coetaneo di Cesare e originario della sicula Agyrion. DIODORO DI AGYRION Ha scritto nella seconda metà del I secolo la sua Biblioteca storica, una storia universale che andava dalle origini del mondo all'anno 60-59. Per concezione di storia ha preso come modello Eforo di Cuma. Superandolo però sotto due punti di vista: la prima perché aveva trattato anche l'epica mitica. Diodoro era particolarmente orgoglioso di questa inclusione, anche se considerata dagli storici un passo indietro. I realtà Diodoro, come storico universale, si dimostra perfettamente coerente nell'occuparsi del mito essendo che nella vita dell'uomo antico esso costituiva un punto fermo. In secondo luogo diodoro dava alla storia romana uno spazio sempre maggiore via via si avvicinava al presente. In considerazione del fatto che Roma era diventata all'epoca di Diodoro un'importante potenza mondiale, risulta inevitabile la trattazione della storia romana in un'epoca di carattere universale. L'opera comprendeva 40 libri e andava dalle origini del mondo all'inizio della campagna di cesare in Gallia durante l'arcontato di Erode. Riguardo a come ci è arrivata l'opera c'è da dire che ci sono stati tramandati per intero i libri I-V e XI-XX. Dei rimanenti ci sono rimasti frammenti e compendi. Ampiezza e narrazione: Dopo l'introduzione e il racconto della nascita del mondo e della civiltà umana, Diodoro inizia a parlare del paese di più antica cultura, l'Egitto. Il libro II rivolge all'Asia, storia assira e media, racconti etnografici e mitici Indiani, Sciti, Amazzoni, Arabi. Libro III materiale sull'Etiopia, Sud Etiopia, Golfo arabico, Cirene. IV dedicato in primo luogo alla mitologia greca. V descrizione geografica delle delle isole (Mediterraneo occidentale) greche e non greche sui loro miti e la loro storia arcaica. VI (perduto) leggende greche esempio Titani e Dioscuri, e si occupa della spiegazione razionale dei miti. VII-X guerra di Troia,a quest'ultima si ricollegano alcuni elenchi cronologici, ad esempio quello delle stirpi dominatrici dell'Egeo o dei re spartani. Ma anche la lista degli antichi re romani si riconnetteva attraverso Enea al conflitto troiano. In questo modo la storia romana faceva fin dall'inizio una fugace apparizione. VIII, articolazione annalistica della materia, che raggruppava anno per anno gli avvenimenti accaduti nelle principali località della Grecia, Sicilia, Roma. IX particolare attenzione per Solone e il re lidio Creso. X arrivava alla battaglia di Maratona. XI-XV (interamente pervenuti)racconta la spedizione di Serse del 480 fino alla presa del potere da parte di Filippo II di Macedonia nel 360. XVI storia di Filippo di Macedonia. XVII storia di Alessandro Magno. XVII- XX a noi pervenuti tanto quelli perduti XXI-XXII sono quasi del tutto occupati dalla storia dei diadochi e dalla tirannide siciliana, soprattutto Agatocle. Tutto il resto è raccontato solo per inciso fino alle guerre di Pirro, dove per la prima volta venivano ad intrecciarsi entro certi limiti la storia greca e quella romana. Dal libro XXIII i rapporti di equilibrio sono esattamente rovesciati: adesso e Roma in primo piano, mentre la storia degli alti Stati ha un rilievo solo secondario. XXIII e XXIV contenevano la narrazione della prima guerra punica, XXVI e XXVII la seconda. XXXII il arriva fino all'anno epocale 146 a.C., XXXVIII guerra sociale del 91-88 a.C. L'ultimo libro si concludeva con l'inizio della campagna in Gallia di Cesare nel 60-59. Diodoro narra gli eventi dell'età mitica e l'epoca fino alla prima Olimpiade del 776 a.C., per argomenti mentre a partire da quella data dispone la sua materia in ordine annalistico-sincronico, suddividendola anno per anno. Egli procede menzionando, oltre alla relativa Olimpiade e al vincitore della gare dello stadio, l'arconte ateniese e i due consoli romani e narrando quindi gli avvenimenti successi in quel tempo. Per questo piano cronologico Diodoro aveva bisogno di una fonte in cui gli avvenimenti più importanti fossero datati in base alle Olimpiadi, agli arconti ateniesi e ai consoli romani. Non è possibile identificare il nome di questo cronografo. E' possibile ricostruire solo con una certa imprecisione il contenuto della fonte cronologica di Diodoro, dato che il racconto di quest'ultimo spesso non ci fa capire quali delle date da lui fornite derivano dal cronografo e quali sono state trovate nella fonte di volta in volta utilizzata. E' tuttavia certo ce risalgono ad esempio al cronografo gli anni e le durate dei re spartani, dei sovrani persiani e dei tiranni siciliani. Le indicazioni del cronografo si rivelano in sostanza <<molto affidabili>>, e Diodoro ci ha così tramandato una quantità di date esatte. In Diodoro invece, domina di frequente una grande confusione cronologica. L'ordine analitico conteneva molte fonti d'errore, in quanto Diodoro finiva spesso o con il dividere anno per anno eventi che si protraevano nel tempo, o al contrario con il riportarli in toto sotto un singolo anno. Evidentemente il più delle volte giocano un ruolo importante il caso o il l'arbitrio. E' ancora molto diffusa tra gli studiosi la teoria di Nissen di una sola fonte, cioè l'idea che per ampie parti dell'opera Diodoro abbia fatto ricorso a un solo autore. In merito a questa teoria alcuni studiosi moderni hanno visto in Eforo l'unica fonte di Diodoro, altri hanno identificato in Timeo la sola fonte di Diodoro per la storia siciliana, altri ancora in Cardia per la storia dei diadochi. Secondo Schwartz, la Biblioteca storica di Diodoro non potrebbe neppure essere definita un'opera letteraria, ma solo una <<compilazione>>. Schwartz definisce inoltre la storia universale di Diodoro una <<manovra speculativa libraria>>, insinuando così che diodoro è stato spinto a scrivere la sua opera sa un desiderio affaristico e da avidità di guadagno. In particolare gli si rimprovera spesso ancora oggi una totale passività nei confronti delle sue fonti: tagli ai testi da cui attinge che alterano il senso, svagate ripetizioni, gravi contraddizioni e incongruenze, incomprensibili confusioni e inesattezze nel riferire i nomi e colpevoli trascuratezze nelle questioni cronologiche. Ciò però può essere almeno fino a un certo punto scusate data l'ampiezza dell'opera. Non bisognerebbe perciò porre in primo piano solo gli aspetti negativi, ma anche dare il giusto risaltato a quanto di positivo c'è nella storia: La biografia peripatetica si distingue da quella alessandrina: mentre la prima si interessava soprattutto di generali e statisti con una narrazione ampia e stilistica pregevole, destinata a un vasto pubblico e descriveva la vita dei singoli personaggi dalla nascita alla morte in ordine cronologico, la seconda si concentrava su uomini di cultura, dando alla materi una disposizione schematica e una semplice veste formale, non finalizzata alla lettura da parte di numerose persone, ma volta solo a scopi puramente scientifici. La forma peripatetica della biografia si può cogliere, soprattutto nelle Vite di Plutarco, quella alessandrina nelle biografie letterarie di Svetonio nelle sue vite degli imperatori. La forma specifica della biografia ellenistica e la sua diffusione nella filosofia peripatetica da un lato e nella filologia alessandrina dall'altro. Hanno portato inevitabilmente portato a scrivere dapprima sui filosofi , i poeti e gli uomini di cultura, mentre le biografie dei generali e statisti sono rimaste in secondo piano. Ma per chiarire il quadro complessivo bisogna anche ricordare che sono esistite numerose monografie su importanti personaggi politici. (Callistene/Alessandro Magno- Antandro/Agatocle) La cronologia e la geografia Tutte e due queste scienze sono state fondate da Eratostene di Cirene. Eratostene, scolaro di Callimaco, visse, all'incirca dal 295 al 215. Egli trascorse un lungo soggiorno di studio, di circa 20 anni, ad Atene, dove l'accademico Archelisao e lo storico Aristone hanno esercitato un notevole influsso su di lui. Venne chiamato d Tolomeo III Evergete ad Alessandria e gli fu affidata la direzione della famosa biblioteca, fu anche attivo come filosofo, matematico, astronomo, grammatico, poeta, cronografo e geografo. Il suo capolavoro nel campo della cronografia, le Chronographíai, comprendeva almeno 12 libri e andavno dalla presa di Troia da lui datata 1184-83, alla morte di Alessandro Magno. Eratostene escludeva tutta la l'epoca mitica. Per fissare le Date si è servito per il periodo più antico degli elenchi dei re spartani, per quello successivo dei vincitori dei giochi olimpici, i cui nomi egli stesso aveva raccolto in uno scritto a partire dal titolo Olympioníkai, secondo le orme di Aristotele e Timeo. Apollodoro di Atene è avvicinabile ad Eratostene, ma senza l'originalità e la forza innovativa del suo predecessore. Scrisse in egual misura opere filosofiche, teologiche, storiche e cronografiche. I suoi Cronaca, i quattro libri, di cui sono rimasti numerosi frammenti, sono stati composti da Apollodoro, in versi, per ragioni mnemoniche. Elencavano dalla presa di troia fino al 144 a.C. Arrivando all'incirca nel punto dove Polibio si era fermato. Apollodoro utilizzava spesso il calcolo delle generazioni, senza però chiarire quanti anni abbracciasse ognuna di esse. Identificava i singoli anni in base agli arconti attici. Castore di Rodi, viesse nel I secolo a.C. La sua Cronaca in sei libri andava dai sovrani del sovrano assiro Nino all'anno in cui Pompeo terminò il riassetto dell'Asia. Ha tenuto conto dell'epoca mitica e a incluso la storia dell'Oriente e di Roma. È diventato il modello della cronografia sincronica degli autori successivi, non da ultimo Eusebio. L'ampia letteratura cronografica dell'ellenismo sfocia infine nella cronaca a noi arrivata di Eusebio. Scrittore del IV secolo d.C. Nonostante numerosi errori, e confusioni, essa rappresenta il più importante manuale cronografico dell'antichità. La geografia, in età ellenistica, era una disciplina che per molti storici faceva parte integrante nella storia. Eratostene, ha elevato la geografia al rango di scienza considerando i calcoli matematici e astronomici l'imprescindibile premessa di ogni geografia. Essa per Eratostene iniziava con Anassimandro di Mileto che aveva disegnato la prima carta della terra. Grazie a un suo strumento la skaphe, un catino con un lancetta nel mezzo, ha cercato di determinare con esattezza matematica la grandezza della terra. Dato che non si conosce quale misura avesse lo stadio da su cui Erastone basava il proprio computo, non si può dire niente di definitivo sulla esatta grandezza da lui calcolata per la terra; quel che è certo è che è arrivato sorprendetemene vicino alla realtà. La sua opera principale era intitolata Gheographiká e comprendeva tre libri nel primo libro Eratostene forniva un quadro della toria della geografia dagli inizi in Omero fino alla spedizione inAsia di Alessandro. Nel secondo esponeva le sue concezioni sulla grandezza e la forma della terra, sulla sua divisione in zone, sulla questione dell'Oceano, sui cambiamenti della superficie terrestre e sulla misurazione della terra. Nel terzo descriveva la terra sulla base di una carta geografica da lui stesso disegnata nella quale divideva il mondo abitato in una metà settentrionale e in una metà meridionale, al di qua e al di là di un parallelo esteso da Cadice all'Asia centrale e all'interno di queste metà distingueva con le sue misurazioni diverse zone. Laddove le misurazioni non erano possibili, motivava la medesima posizione geografica dei luoghi con la presenza di un'eguale fauna e flora e di un'identica razza umana: un metodo di procedere che gli attirò più tardi da parte di Ipparco di Nicea il rimprovero di mancanza di scientificità. Ipparco di Nicea, visse nella seconda metà del II secolo a.C:, e scrissee tre libri dal titolo Osservazioni contro la Geografia di Eratostene. Ipparco, criticava l'ambigua posizione di Eratostene nei confronti della geografia omerica, metteva in dubbio la tesi di un mutamento della superficie terrestre nelle aree del Mediterraneo e del Mar Nero, aveva da ridire sulla divisione in meridiano di Eratostene e rivendicava una geografia esclusivamente basata sulla matematica e l'astronomia. La campagna di Alessandro in Asia mise storici e geografi di fronte al compito di descrivere i popoli e i paesi scoperti di recente. L'orizzonte geografico si ampliò notevolmente non solo verso Est e Sud, ma anche verso l'Occidente e il Settentrione europeo. Di questo si è soprattutto debitori a Pitea di Marsiglia che, fra tutti i viaggiatori dell'antichità, ha maggior diritto di essere osto accanto ai celebri esploratori dell'epoca moderna. Pitea ha preso da Marsiglia la strada per Gibilterra, h poi navigato lungo la costa orientale portoghese e francese ed è arrivato in Britannica che ha costeggiato in senso antiorario. Ha descritto anche Irlanda e i costumi dei suoi abitanti. Lo scritto sull'Oceano descriveva questo mare sotto l'aspetto fisico, astronomico e geografico, nonché le terre e le isole europee da esso bagnate, che Pitea aveva conosciuto o per averle viste o per averne sentito parlare dai suoi informatori. Egli fra l'altro si è occupato delle misurazioni dell'altezza de sole, della determinazione della lunghezza del giorno, ha fornito indicazioni sulle correnti marine, sul decorso delle maree e sulla loro dipendenza dalle fasi della luna Si trovano in età ellenistica studi localistici, così si riscontrano, accanto ai trattati sulla geografia della terra abitata, le periegesi e i peripli: descrizioni di viaggi e guide per le terre e mari. Servivano soprattutto allo scopo di far conoscere la topografia e i monumenti di una città o di una regione e contenevano un ricco repertorio di dati e notizie preziose sulle antichità pubbliche e sacrali, sull'architettura e la storia dell'arte, sulla religione e il culto, sulla storia politica e privata. Il più antico di questi periegati fu Diodoro di Atene che scrisse tra il 322 e il 308 un'opera Sui monumenti in almeno tre libri e un'alta Sulle file ( le dieci file attiche). Il più antico poliedrico fu Polemone di Ilio. Viaggiò in tutta la Grecia, l'Asia anteriore, Sicilia e l'Italia. I suoi lavori impressionano per la grande quantità del materiale raccolto, per la precisione dell'indagine, per l'indipendenza di giudizio, per il solido senso della realtà e per la semplicità dell'esposizione. Con un pizzico di esagerazione lo si potrebbe definire il fondatore dell'etnologia.
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