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Riassunto de "La Vita di Alfieri" - Parte 1, Sintesi del corso di Letteratura

Riassunto della biografia di Vittorio Alfieri per il corso di Letteratura Italiana (corso avanzato)

Tipologia: Sintesi del corso

2018/2019

Caricato il 11/10/2019

matteo_gatti
matteo_gatti 🇮🇹

4.6

(19)

38 documenti

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Scarica Riassunto de "La Vita di Alfieri" - Parte 1 e più Sintesi del corso in PDF di Letteratura solo su Docsity! VITA DI ALFIERI Parte prima – Introduzione Nello scrivere la propria vita, ciò che lo induceva a farlo era l’amore di se stesso, quel dono che la natura concede a tutti seppur in diversa misura (a un livello sicuramente più alto a scrittori e soprattutto poeti). Scriverà di propria mano una sua autobiografia poiché se qualcun altro l’avesse scritta al posto suo, di certo non sarebbe risultata ugualmente veritiera. Promette di dire di se stesso tutto il vero, e di ripartire la sua vita in 5 epoche, corrispondenti alle 5 età dell’uomo: Puerizia, Adolescenza, Giovinezza, Virilità e Vecchiaia. Si dilungherà particolarmente sulle prime tre età e mezzo, mentre, soprattutto sulla quinta, vedrà di farla il più breve possibile, anche se non è certo che ci riuscirà. Non ha nemmeno intenzione di nominare mai nessun altro, le cui azioni possano interferire con l’andamento della sua storia. Lo scopo dell’opera è diretta allo studio dell’uomo: di se stesso. Epoca prima – Puerizia (abbraccia 9 anni di vegetazione) Cap. primo – Nascita e parenti Nacque nel 1749 ad Asti, Piemonte, da una famiglia di nobili, e proprio questo sottolinea, poiché gli permetterà di vivere in un modo propizio alla sua volontà, ma anche per disprezzare la nobiltà stessa in ogni particolare (abusi, vizi, ridicolezze). Il nascere nobile lo rese libero e puro. Suo padre, Antonio Alfieri era un uomo purissimo di costumi, senza ambizione. Sposò la madre di Alfieri, Monica Maillard di Tournon a 55 anni. Alfieri aveva una sorella più grande di due anni. Morto Antonio, la madre di Alfieri, già vedova precedentemente si trova un altro uomo, ovvero il Cavalier Giacinto, anch’egli nobile. Nella sua vecchiaia a Monica rimaneva come figlio sopravvissutole solo Alfieri, che però non poteva starle vicino, e di questo se ne pente. Cap. secondo – Reminiscenze dell’infanzia 1752 – Ricordo di uno zio quando lui era piccolissimo, che gli dava dei confetti, il cui sapore e ricordi riaffiorarono in lui solo anni e anni dopo, quando lo zio già era morto, grazie alla visione di un paio di scarpe. 1754 – Ricordo del momento in cui la sorella Giulia andò in monastero quando lui aveva 7 anni, e del dolore che provò nonostante potesse facilmente andarla a trovare ogni giorno. 1755 – Rimasto solo venne dato in custodia a un buon prete, don Ivaldi, che gli insegnò a scrivere, ma che a lungo andare si dimostrò limitato per quanto riguarda gli insegnamenti e Alfieri ringrazia il fato in merito al fatto che se fosse rimasto oltre i 9 anni da lui, non avrebbe imparato nulla. Cap. Terzo – Primi sintomi di un carattere appassionato Iniziò sempre più a trascorrere più tempo in solitudine, e sempre più di rado andava a visitare la sorella. Pian piano giorno dopo giorno frequentava sempre più spesso la chiesa del Carmine vicina a casa sua. 1756 – Tra i sette e gli otto anni stava sempre più sperimentando in sé una forma di malinconia, che lo dominava, e questa malinconia che lo vinceva sempre di più lo spinse, un giorno, senza esser visto da nessuno, ad andare a brucare nel prato fuori casa, nel cortile. Questo perché aveva sentito dire da qualcuno che c’era un erba chiamata “cicuta” che avvelenava e faceva morire. Seza esser visto da nessuno si liberò di tutta quell’erba ingoiata, per poi tornarsene in camera sua, afflitto da un doloruzzo di stomaco e corpo. Venne scoperto dalla madre mentre era a tavola, alla quale si 1 confessò pienamente non resistendo alle minacce. Venne quindi medicato e messo in castigo per giorni, ove si ritrovò a contorcersi nella malinconia. Cap. Quarto – Sviluppo dell’indole indicato da vari fatterelli Nei suoi primi anni egli era taciturno e placido il più delle volte, ma in altre occasioni anche loquace e vivacissimo, ostinato e restio contro la forza pieghevole agli avvisi amorevoli ecc… Capitarono, nel corso di quel tempo, vari avvenimenti a lui fastidiosi, come quando andava a messa con una reticella da notte in testa. Reticella, che, tra l’altro, veniva usata come minaccia per farlo obbedire quando egli mostrava segni di opposizione agli adulti. Tempo dopo non solo la reticella gli venne ancora messa, ma venne anche portato a frequentare la chiesa di San Martino, ubicata in centro città e frequentatissima, cosa che andò a sconvolgere il piccolo Alfieri, che temeva di esser visto in pubblico con quella cosa in testa. Condotto verso la chiesa, dopo aver pianto e gridato per tutto il tragitto, iniziò a tranquillizzarsi e camminare; tuttavia, per tutta la durata della messa e anche durante il viaggio di ritorno, si sentì disonorato per sempre. Una seconda storiella riguarda il giorno in cui arrivò sua nonna ad Asti, signora fieramente nobile, a cui lui non riuscì ad affezionarsi nel poco tempo in cui stette lì, e che, alla domanda da lei postagli in merito al fatto che qualunque cosa egli voleva lei gliela avrebbe data, lui rispose con “niente”. Domanda che venne lui posta più e più volte, ma la sua risposta mai cambiò. Questo suo atteggiamento di ostinazione lo portò a far sì che i suoi parenti lo chiusero in camera sua a godersi il “niente”, finché sua nonna partì definitivamente. 1757 – prima confessione spirituale. Don Ivaldi lo preparò per l’evento quasi suggerendogli i peccati da dire in confessione. Durante essa sembrava quasi che il frate facesse la confessione per lui. Alla fine il frate disse lui che una volta rientrato a casa doveva, prima di sedersi a tavola, chieder perdono per tutti i peccati commessi, cosa che non fece però poi presentatasi l’occasione, nonostante tutti si aspettassero questo da lui. Cap. Quinto – Ultima storietta puerile Un giorno giunse ad Asti suo fratello maggiore, il Marchese di Cacherano, che aveva 14 anni. Egli, a quel tempo, si stava educando a un collegio di gesuiti a Torino. Essendo più grande, il piccolo Alfieri vedeva com’egli possedesse più soldi di lui, più libertà, più esperienze, ecc… In tal senso ecco che Alfieri sperimentò, forse per la prima volta, l’invidia, seppur non feroce com’egli stesso sottolinea. Non lo odiava per causa di quel sentimento, ma provava un gran desiderio d’aver le sue stesse cose senza però toglierle a lui. Passò comunque una bella estate con questo suo fratello, però un giorno caldissimo, mentre tutti facevano una siesta, e loro due stavano praticando esercizi alla prussiana, Alfieri a un certo punto cade, batte la testa su un alare del camino, si rialza minimizzando la cosa non sentendo lì per lì alcun dolore, ma una volta realizzato che stava perdendo molto sangue, si mise a urlare, anche se, secondo un suo parere, più di sbigottimento, mentre il dolore sopraggiunse solo quando arrivò il chirurgo. Dovette stare per molti giorni al buio, finché la ferita non guarì almeno minimamente. 1758 – circa un anno dopo i fatti appena raccontati, suo fratello con cui passo quei giorni era già tornato al collegio di Torino, ma accusò ben presto un malanno che lo portò alla morte nel giro di pochi mesi, ad Asti, dove venne riportato affinché passasse gli ultimi tempi nella sua città. Tuttavia Alfieri non lo rivide mai più. Di lì a poco suo zio paterno giunto ad Asti convinse la madre di Alfieri a mandare il figlio all’Accademia di Torino, affinché imparasse a studiare per davvero, con serietà. La sua partenza coincise con la morte del fratello. Nonostante condividesse i pensieri dello zio, Alfieri si sentì quasi male nel momento in cui dovette partire, perché voleva dire abbandonare tutto, abbandonare don Ivaldi. Fine prima epoca della Puerizia. 2 1763 – Alla filosofia succedette l’anno dopo o studio della fisica e dell’etica, alla quale preferì la prima anziché la seconda, pur capendoci poco. E dato che studiava molto e bene, lo zio promise lui di fargli un regalo, cosa che lo spronò a studiare ancora meglio. Alla fine però, nonostante venne a conoscenza di quello in cui consisteva il regalo (spada d’argento ben lavorata), non la ottenne mai, perché per difetto personale non riuscì mai a trovare il coraggio e la voglia di porre una domanda. Cap. Sesto – Debolezza della mia complessione (costruzione fisica) ; infermità continue; ed incapacità di ogni esercizio, e massimamente del ballo, e perché Passò in tal modo anche quell’anno di fisica, e mentre lo zio si spostò in sardegna, essendo stato nominato Viceré, Alfieri venne affidato a un tutore, un Cavaliere amico dello zio, che gli dava anche una sorta di paghetta mensile, cosa che, invece, lo zio non faceva. Sul finire del 1762 essendo passato a diritto civile e canonico, della durata di 4 anni, che conduce poi alla laurea avvocatesca. Ricadde nella stessa malattia già avuta due anni prima (quella delle ragadi alla testa). Questa volta, dopo un mese, ne uscì da quella malattia imparruccato. Questo incidente fu uno dei più dolorosi provati nella sua vita, forse più per lo scherno subito dagli altri che per la perdita dei capelli, i quali in qualche modo lo bullizzavano andando a togliergliela… infastidendo molto Alfieri, il quale, se da prima cercò di controbattere, poi arrivò a togliersela da sé, al fine di far passare la voglia agli altri, cosa che riuscì a fare. In quell’anno iniziò anche altri studi, tra i quali Geografia: il più apprezzato di Alfieri. Ebbe modo anche di leggere libri francesi in francese che andava sempre più capendo, anche grazie al suo madre che era di origine valdostana e prestava lui tali libri, come, per esempio Les mémoires d’un homme de qualité!, che rilesse varie volte. Tra gli insegnamenti v’era anche quello del Clavicembalo, che, seppur egli avesse una passione smisurata per la musica, non riuscì mai a fare progressi, anzi. Allo stesso modo scherma e ballo erano infruttuose… comunque sia, già da quell’anno Alfieri iniziò a nutrire un particolare sentimento nei confronti dei francesi. Cap. Settimo – Morte dello zio paterno. Liberazione mia prima. Ingresso nel primo appartamento dell’Accademia Dopo 10 mesi di soggiorno a Cagliari, ivi morì a sessant’anni. Egli ebbe fama di ingegno ed era una persona severa, soprattutto verso Alfieri, come lui stesso racconta, ma non fu mai ingiusto. Era anche uomo adatto a gestire un ruolo di potere e responsabilità, come Governatore e Viceré. A 14 anni le leggi del Piemonte permettono al giovane di avere propria tutela, e questa possibilità fece viaggiare ampiamente la fantasia di Alfieri. Gli venne anche tolto l’Assistente di dosso, Andrea, che ormai era diventato un ubriacone e donnaiolo; questa perdita dispiacque molto ad Alfieri, nonostante Andrea mai si comportò generosamente verso di lui. Addirittura per vari mesi Vittorio andò a trovarlo due volte alla settimana, dopo che venne licenziato. Il primo vantaggio che ebbe dalla morte dello zio fu quello di andare alla scuola di cavalleria, opportunità fino a quel punto sempre negatagli. Il priore gli propose come premio l’equitazione qualora avesse ottenuto il primo grado all’Università, cosa che avvenne senza troppi patemi, permettendo così di divenire un “Maestro delle Arti”. Divenne sempre più un individuo fiero di se stesso, a tal punto da arrivare a dire al priore che trovava odiosi gli studi di legge, e che gli facevano perdere tempo. Il priore dunque lo fece spostare nel Primo Appartamento dell’Accademia. Vi fece il suo ingresso l’8 Maggio del 1763. I capelli gli erano ricresciuti e avendo ereditato dei soldi, poteva permettersi di spendere; con i soldi giunsero anche amici, compagni ecc. Non avendo idea di cosa fare nella sua vita e indaffarandosi nel combinar pur qualcosa, la lettura di molti romanzi francesi, il conversare con forestieri e il non aver mai occasione di parlare e sentire italiano, lo fecero allontanare del tutto da quelle che erano le sfumature linguistiche toscane apprese durante gli studi di Umanità e Retorica. Come da lui stesso ammesso si avvicinò soprattutto al francese, leggendo delle opere e appassionandosi di queste in questa lingua, come i trentasei volumi della Storia ecclesiastica di 5 Fleury, che lesse con furore, e dei quali fece estratti in lingua francese, fino al volume 18, fatica che poi definì noiosa e sciocca. Cap. Ottavo – Ozio totale. Contrariamente incontrate, e fortemente sopportate 1764 – Senza dire nulla iniziò a uscir da solo dal primo Appartamento, poiché comunque anche gli altri facevano così, ma venne più volte “arrestato”, e altrettante se ne andò come prima. Venne una volta in cui subì un arresto molto lungo, in cui ci stette per 3 mesi o più. Visse in modo solitario all’intero di quella camera, comportandosi come un “ragazzo selvatico”. Cap. Nono – Matrimonio della sorella. Reintegrazione del mio onore. Primo Cavallo Con il matrimonio della sorella, egli venne liberato da quella sorta di prigionia, dal vivere come una bestia. E ne venne reintegrato anche l’onore. In questo periodo comprò anche un Cavallo, il primo, era un Sardo, di mantello bianco, che egli si ricorda come lo amasse con furore, a tal punto da togliergli fame, sonno e quiete, poiché essendo un cavallo di razza era molto fragile e propenso alle malattie. Questo spaventava Alfieri. In meno di un anno la passione per i cavalli fece sì che ne arrivò a possederne 8. Spendeva anche molti soldi nell’acquisto di vestiti, poiché aveva amici inglesi che spendevano tanto in quelli e lui voleva superarli, ma mai si mostrava davanti a loro con abiti migliori, perché non voleva soverchiare chi non poteva competere per mancanza di denaro. Cap. Decimo – primo amoruccio. Primo viaggetto. Ingresso nelle truppe 1765 – fu questo l’anno in cui provò il suo primo amore, e ce lo descrive come un sentimento di malinconia profonda e ostinata, e un generale imbarazzo nelle varie situazioni in cui lui doveva parlare con lei. Nell’autunno del 1765 fece un viaggetto di 10 giorni a Genova con il suo curatore, e questa fu la sua prima uscita dal paese, e ciò che lo colpì fu la prima vista del mare. Da qui in poi, la sua voglia di viaggiare iniziò a manifestarsi sempre più. 1766 – Passarono ben presto gli ultimi 18 mesi in cui stette nel PA, poi entrò nelle Truppe, ma non nella Cavalleria come aveva chiesto inizialmente, ma in un Reggimento Provinciale, come Portainsegna, perché è meno impegnativo. Nel Maggio di quell’anno egli lasciò l’Accademia, dopo esserci stato per 8 anni. Organizzò anche un raggiro in quest’anno, al fine di poter viaggiare senza intoppi, poiché 17enne, che avrebbe voluto dire essere accompagnato. Si unì a un cattolico inglese che doveva guidare un Fiammingo e un Olandese e partì nei primi di Ottobre di quell’anno. Sicuramente questo raggirò gli dispiacque moltissimo, seppur fosse uno dei pochissimi (viaggio a Roma e Napoli per un anno). Epoca terza – giovinezza (abbraccia circa 10 anni di viaggi e dissolutezze) Cap. Primo – Primo viaggio. Milano, Firenza, Roma La mattina del 4 ottobre 1766 partì. Stette per circa 15 giorni a Milano, prima fermata. Di Milano non lo colpì niente, anzi, nella Biblioteca Ambrosiana, datogli in mano dal bibliotecario un autografo di Petrarca, Alfieri lo disprezzò, dicendo che non gli importava nulla. Da sua stessa ammissione ci fa notare come era sempre più vicino al francese, dato che era la lingua che parlava più di tutte, che all’italiano. Dice come avesse visitato Milano come se fosse stato un vandalo. Passando da Bologna disse come non lo colpì. Arrivò a Firenze a fine ottobre e quella fu la prima città che gli piacque da quando se ne partì da Torino, seppur meno di Genova. Una delle poche cose che lo colpirono fu la tomba di Michelangelo in Santa Croce. Si rammarica di come nel mese di soggiorno a Firenze preferì imparare l’inglese da un maestro, anziché il bene più nobile toscano. 6 Ciò di cui si vergogna è la pronuncia della “U” lombarda e francese, che caratterizza anche il suo linguaggio presente, tra le altre, nella parola Nature. Ripartito da Firenze venne colpito dalla bellezza di Livorno, in quanto simile a Torino e perché disponeva anche del mare. A Dicembre fu a Roma che però non trovo magnifica quanto dicevano gli altri, anzi. Imparò ad apprezzare Roma solo molti anni dopo. Cap. Secondo – Continuazione dei viaggi, liberatomi anche dell’ajo (precettore) 1767 – l’inverno stava sopraggiungendo, e Alfieri voleva fortemente arrivare a Napoli. Quando arrivarono, essa si presentò a loro come una città molto popolosa e lieta, ma non fu lieto a ugual modo quando dovette dormire in una bettola. Comunque sia, in pochi giorni andò a visitare molti luoghi, anche grazie al Ministro. Lo divertiva la musica del Teatro Nuovo, ma quei suoni lasciavano comunque molta malinconia a lui. Aveva fatto conoscenza di vari signori napoletani, ma non ne divenne amico per suo volere e non trovò nessuna donna particolarmente interessante. Qui a Napoli egli intavolò un secondo raggiro tramite il Ministro di Sardegna, per ottenere dalla corte di Torino il permesso di lasciare il precettore. Alfieri riuscì nel suo intento e ne fu molto grato al Ministro, il quale, poi cercò di convincerlo a studiare politica per divenire diplomatico, ma Alfieri, seppur attratto da questa idea, non volle mai studiare. Ben presto abbandonò i suoi compagni per dirigersi a Roma e per restar i solitudine. Cap. Terzo – Proseguimento dei viaggi. Prima mia avarizia In questa sua seconda visita a Roma, fu condotta dal papa, che al tempo era Clemente 13° che gli si mostrò molto maestoso. Per mezzo del Conte di Rivera fece un terzo raggiro presso la corte paterna di Torino, per ottenere il permesso di un secondo anno di viaggi per andare in Francia, Inghilterra e Olanda. Anche questo riuscì, e così per tutto il 1768 si trovò in piena libertà. Per questo viaggio gli vennero concessi solo 1500 zecchini, per cui fu colto da una immensa e insolita avarizia, che lo spinse ad arrestarsi dal vedere tutte le cose che lo incuriosivano. Verso i primi di maggio partì per Venezia, e, passando per Bologna, quest’ultima non gli piacque affatto nemmeno al ritorno, e ivi si fermò solo per 1 giorno per poi partire verso Ferrara, disinteressandosi anche di quest’ultima senza ricordarsi che fu la patria di Ariosto. Giunto a Venezia, si sentì molto colpito da quanto ivi vi trovò, anche per quanto riguarda il gergo, che è grazioso e manca solo di maestà. Ma ben presto, nonostante gli spettacoli della città, egli ritrovò nel suo animo, la solita malinconia e l’insofferenza dello stare, che lo fecero stare più giorni a Venezia da solo senza uscire di casa, passando il tempo stando alla finestra o dormicchiando e piangendo senza saperne il motivo. Cap. Quarto – Fine del viaggio d’Italia; e mio primo arrivo a Parigi Si trattenne a Venezia fino a metà giugno, poi se ne ripartì, e, giungendo a Padova ne rimase molto deluso anche in questo caso. Ammette di non essersi interessato a nessuna delle possibili meraviglie esistenti a Venezia architettoniche o meno. Arrivato a Genova, non conoscendo nessuno e non volendo più sentir nulla dell’Italia, con un’imbarcazione partì alla volta di Antibes (città tra Cannes e Nizza), ma dovette fermarsi a Savona per maltempo. Arrivò dopo pochi giorni a Antibes, e, una volta lì, seppur felice di sentire un’altra lingua, non volle fermarsi, e si spostò a Tolone. A Tolone non vide nulla e andò subito a Marsiglia, che trovò esser una città molto pulita e attraente, e presso la quale contava di fermarsi un mese. Uno dei motivi che gli facevano desiderare di andare in Francia era quello del teatro, seppur ancora a quel tempo non stesse affatto pensando che avrebbe potuto scrivere delle composizioni teatrali (e quanto mai poi arrivò a pensarci!). Oltre al teatro uno dei divertimenti in Marsiglia era quello di bagnarsi ogni sera nel mare, dove aveva trovato uno scoglio in cui davanti e intorno a lui non vedeva altro che mare e cielo, e si rammarica perché non 7 1771 – Già dal primo viaggio a Londra gli era piaciuta una signora che ivi aveva visto, a tal punto che volle rivederla quando nel ‘71 tornò in città per la seconda volta. Questa donna era però sposata e il marito era gelosissimo di lei. Una volta scoperto c’è questa minaccia di duello all’ultimo sangue, poi interviene la diplomazia inglese per non creare scandalo, ma Alfieri è già lì con la spada sguainata; alla fine, in realtà, si verifica un duello al primo sangue, dove alla prima feritina si finisce di combattere: alla fine ammette che lui non ha ucciso l’altro perché non ne era in grado, mentre l’altro lo era sì e l’ha graziato. Alfieri fa anche una considerazione di carattere antropologico, per cui noi italiani ci aspettiamo cose tragiche e non burlette di questo tipo. Cap. Dodicesimo – Ripreso il viaggio in Olanda, Francia, Spagna, Portogallo, e ritorno in patria Lasciò l’Inghilterra sul finire di Giugno e così volle ritornare in Olanda dal suo amico D’Acunha, presso cui stette per qualche settimana, il quale provò a consolare Alfieri per ciò che patì, ma la malinconia era troppa. Ripartì dall’Olanda, questa volta diretto in Spagna. Prima di arrivare in quel paese si fermò a Parigi, dove, come da sua parola poteva benissimo venire a conoscere Rousseau, se solo avesse voluto, ma dato che non gli importava, ciò non avvenne; anzi, arrivò a conoscere 6 degli 8 primi uomini d’Italia e del mondo, tramite le loro opere cartacee raccolte in 36 volumetti, che lo accompagnarono per tutti i suoi viaggi. Fu molto soddisfatto di quel suo acquisto che gli permise di avere sempre vicino a sé i famosi Dante, Petrarca, Ariosto, Tasso, Boccaccio e Machiavelli. Con questi partì verso la Spagna verso metà Agosto. Arrivò a Barcellona e qui comprò subito due cavalli, dato che tutti gli altri che aveva erano stati venduti (tranne uno), di razza purissima a cui si affezionò molto. Da Barcellona si spostò a Madrid, impiegandoci 15 giorni di tragitto. Giunto a Madrid si stancò alquanto in fretta di rimanerci e dopo nemmeno un mese se ne andò in direzione di Lisbona, ove arrivò verso fine Dicembre. 1772 – Quel soggiorno a Lisbona, durato 5 settimane, lasciò in lui un ricordo caro, poiché ivi conobbe l’Abate Tommaso di Caluso, che gli rese delizioso il soggiorno, oltre al fatto che gli insegnò sempre qualche cosa. Verso i primi di febbraio partì alla volta di Siviglia e Cadice, che gli piacquero per clima e costumi. Passò poi da Cordova e si spostò nel territorio di Valencia che trovò maestoso. Tornò poi, dopo aver regalato i suoi due cavalli, in Italia, nella sua Torino. Cap. Tredicesimo – Poco dopo essere rimpatriato, incappo nella terza rete amorosa. Primi tentativi di poesia 1773 – Tornato a Torino ritrovò i vecchi amici, anche dell’Accademia in cui passò otto anni, e con questi passava il più del tempo, radunandosi a casa sua, che era più bella e spaziosa. Da segnalare, in quest’anno, come lui stesso cita nel titolo del capitolo, è la caduta per la terza volta in un innamoramento, dal quale ne uscì poi dopo infinite angosce con l’amore del sapere e del fare. Questa sua terza ebbrezza d’amore fu “sconcia” e fin troppo duratura. Questa donna era galante ma anche molto più grande di lui, di circa 10 anni. Per colpa di questo amore egli trascurò divertimenti, amici e cavalli (ne aveva 12). Cap. Quattordicesimo – Malattia e ravvedimento Nel lungo tempo in cui durò questo amore, egli ebbe anche un peggioramento della salute. Ebbe una malattia non lunga ma forte, che lo colpì allo stomaco, alla testa; soffriva di convulsioni e di forti dolori lungo gran parte del corpo. A un certo punto si pensò potesse morirne di quella malattia, e fra l’altro fu quello che anche lui sperò. Ma non andò così e guarì dopo giorni di digiuno. 1774 – Ripresosi dalla malattia andò dal Colonnello per presentare le sue dimissioni dall’esercito, con allegate condizioni di salute, volontà che venne accolta. Nel frattempo anche la donna da lui amata si ammalò e, mentre questa passava il tempo a riposare nel suo letto, Alfieri, standole vicino, 10 iniziò a scrivere una scena di quella che sarebbe potuta essere una tragedia, seppur egli non scrivesse una parola di italiano da anni e anni. Questa tragedia che stava scrivendo era la Cleopatra, poiché dietro il letto della signora v’era un arazzo che rappresentava la scena di morte proprio della protagonista. Questa signora era la Faletti, che abitava a Torino, e dalla quale lui passava molto tempo a chiacchierare. Nello scrivere questa tragedia, egli un giorno si dimentica i fogli sulla poltrona su cui era solito sedersi. Per un segno del destino questi fogli si infilano tra schienale e cuscino e man mano che i nobili andavano dalla Faletti, questi fogli venivano sempre più spinti verso il fondo. Tali verranno ritrovati dopo un anno: egli ne ride poiché pensa che questo sia stato il contrappasso migliore per le brutte rime: i fogli sono stati covati e intiepiditi dalle chiappe dei nobili per un anno. Cap. Quindicesimo – Liberazione vera. Primo sonetto L’epoca terza finisce con un goffo tentativo di raddrizzamento della Cleopatra: già diversi giorni prima della rottura con la Signora, vedendola imminente, decise di ripescare la Cleopatra. Ne scrive una nuova, snella e la fa rappresentare in Accademia in forma privata. Alfieri prova vergogna poiché non è all’altezza e non passa l’esame del palcoscenico, ma il fatto di essersi calato nei panni di un drammaturgo gli dà orgoglio e gli mette addosso una febbre di tipo performativo. Tale rappresentazione privata segna il suo ingresso ufficiale nel mondo della drammaturgia e quindi l’età adulta. 11
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