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Riassunto de PER L'ITALIANO SAGGI DI STORIA DELLA LINGUA NEL NUOVO MILLENNIO - Riccardo Gualdo, Sintesi del corso di Storia della lingua italiana

I saggi raccolti in questo volume vogliono essere un contributo alla discussione sull'italiano contemporaneo e riguardano alcuni fenomeni dell'oralità e della lingua dei media, la scrittura degli studenti universitari, i rapporti tra italiano quotidiano, italiano regionale e lingua inglese, i linguaggi specialistici e l'italiano letterario.

Tipologia: Sintesi del corso

2018/2019

Caricato il 27/06/2019

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Scarica Riassunto de PER L'ITALIANO SAGGI DI STORIA DELLA LINGUA NEL NUOVO MILLENNIO - Riccardo Gualdo e più Sintesi del corso in PDF di Storia della lingua italiana solo su Docsity! PER L’ITALIANO - Riccardo Gualdo 1. “Oi? Ciao, ciao!”. Apertura e chiusura di conversazioni al telefono. Interiezioni sono interessante spia evolutiva di comportamenti linguistici dell’italiano contemporaneo. Perché? • per l’importanza che hanno assunto negli ultimi 15/20 anni il potenziamento o l’ingresso ex novo di mezzi e forme di comunicazione (televisione, internet, telefonia mobile). • per l’incubazione di un neo italiano ibridato e trasversale in cui barriere un tempo molto rigide si sono dissolte o sono diventate assai più permeabili. Intero sistema delle interiezioni in uso potrebbe rivelare importanti movimenti in atto. Contesto → comunicazione mobile via telefonino; Paolo d’Achille osserva che la nascita del telefono cellulare ha cambiato alcuni aspetti della conversazione telefonica; apparecchio è personale → elimina o abbrevia le frasi di avvio e di identificazione, il costo della comunicazione riduce le ridondanze e i convenevoli. Conversazione fortemente condizionata dal mezzo ed è trasversale a qualsiasi contesto sociale, sembra disporre di una gamma più ridotta di variazioni, semplifica e linearizza le mosse tra gli interlocutori ed enfatizza il momento dell’identificazione. OHI/OI Fenomeno abbastanza recente è uso dell’interiezione “ohi” come segnale d’apertura e di saluto in conversazioni telefoniche. Maggior parte dei casi derivano da parlanti romani, ma è comunque tipica di parlanti giovani e giovanissimi, nati tra gli anni 60/70. Prime principali grammatiche non registrano la formula → Serianni registra “ohi/oi” per esprimere sofferenza fisica e combinato con “ohimè”; nemmeno della Grande grammatica di consultazione di Isabella Poggi, che lo riferisce a richieste di azione, di attenzione. Preminente funzione relazionale dell’interiezione, piuttosto che fàtica. È sovraregionale → confermato dall’esame delle numerose opere generali dedicate alle varietà regionali e dialettali. Ricerca nei testi in prosa degli ultimi due secoli → Verga, De Roberto • “ohi” diatopicamente localizzato nel parlato meridionale, come richiesta di attenzione che stinge facilmente nel comando; in una fase storica più recente → a “ohi” si affianca “oi”, tutte attestazioni in testi di autori meridionali o comunque messe in bocca a parlanti centro-meridionali • Carlo Levi, Morante, Pasolini, Rea. Più attesta resta variante “ohi”. Due ricorrenze in Landolfi → una di polemica, protesta, l’altra più vicina al lamentoso rammarico. Presenza di ohi/oi in testi di autori non centro-meridionali parrebbe contraddire l’ipotesi di una iniziale estraneità di quest’uso nell’area centro-settentrionale → nel Novecento sporadiche apparizioni anche in altre aree. Corpus del parlato → nel LIP riportato all’interno di una comunicazione di tipo A registrata a Milano → scambio comunicativo bidirezionale con presa di parola libera faccia a faccia → richiamo con richiesta di attenzione. Lo troviamo anche nel parlato trasmesso (es: pubblicità). Trasposizioni scritte di una modalità comunicativa tipica del parlato; trasposizioni spontanee, nate in un contesto molto simile a quello di una conversazione telefonica. CIAO CIAO Saluto di commiato, nella conversazione al telefonino spesso ripetuto due o più volte. Ripetizione non esclusiva della telefonia mobile; la pragmatica del saluto presenta numerose variabili: • caratteristica della chiusura di conversazione, • non è ammesso in apertura o nel caso di un incontro, • normale quando ci si lascia. I due “ciao” sono ravvicinati quasi senza pausa e l’intonazione è discendente. Anche al saluto reiterato le grammatiche non dedicano particolare attenzione, nella lingua letteraria tra Otto/Novecento → Fogazzaro. Bisogna comunque dividere i casi in cui i “ciao” sono separati da virgole e quelli in cui non lo sono (che sono più numerosi e più difficili da valutare, es: Pasolini). Tante occorrenze anche di “ciao ciao ciao”, sempre in chiusura e seguito da un nome o dello scrivente che si firma; “ciao” semplice è prevalentemente d’apertura, seguito da formula presentativa o da un verbo; chiusura è spesso sottolineata da una serie di punti esclamativi o magari da una formula più complessa. Non è facile attribuire un valore preciso alla scelta di stampare con o senza virgola. La connessione con un gesto è significativa per cogliere l’evoluzione del saluto nella sua versione contemporanea e legata al nuovo mezzo di comunicazione a distanza → idea è quella della presenza o almeno vicinanza fisica con l’interlocutore, che viene salutato quasi come se % 2 fattori di natura pragmatica e contestuale sono sempre più indispensabili, tanto da prevalere sui vincoli richiesti dalle regolarità sintattiche. Altissima percentuale nel corpus di gerundi irrelati rispetto al soggetto della principale o a referenza ambigua. Manca quasi ovunque la virgola. In molti casi se il costrutto fosse stato verbale l’ambiguità si sarebbe evitata, anche senza inserire la virgola. Impressione è che questi costrutti siano condizionati dal modello del parlato. Alcuni casi rientrano nella tendenza allo sbilanciamento/attrazione verso il nucleo tematico più vicino. Diffusissima ambiguità nelle strutture modali: la posposizione rispetto al verbo principale rende ammissibile il soggetto nullo nei cosiddetti gerundi di predicato, cioè strumentali, di maniera e di tempo. In questi esempi la mancata esplicitazione del soggetto o l’impersonalità della reggente costringono il lettore a un faticoso lavoro inferenziale, lasciano un certo margine di incertezza interpretativa. Un effetto di rifrazione si ottiene quando la principale e i suoi argomenti sono seguiti da gerundi “in serie”, che svolgono funzioni diverse o possono essere riferiti a soggetti diversi, recuperabili solo grazie al contesto. Molto fortunata anche la struttura gerundiale conclusiva per evitare una coordinazione (o un connettivo esplicito) che porrebbe problemi di accordo morfosintattico. In periodi non molto complessi il gerundio sembra quasi svolgere il ruolo demarcativo di fine periodo. CONCLUSIONI E IPOTESI INTEPRETATIVE Corpora di struttura giornalistica (sia a stampa, che internet, che tv) testimoniano una tendenza alla destrutturazione dell’organismo logico del discorso e offrono conferme di un proliferare di moduli monoproposizionali che incoraggia una frammentazione del periodo che è stata definita in vario modo: triturazione sintattica, spezzettamento periodale, prosa sminuzzata. Tra i fattori che sembrano favorire lo scollamento logico-argomentativo → gerarchie dei ruoli semantici/tematici, ordine delle parole e i condizionamenti pragmatici e contestuali. Ruoli tematici → incidenza di costrutti marcati dell’italiano parlato non sorvegliato che abbondano nel trasmesso e tendono per inerzia ad essere accolti anche nei testi giornalistici a stampa, può essere incentivo ad una gestione non controllata della logica e della sintassi. Sfondo pragmatico e contestuale ha assunto rielievo, nel passaggio dall’oralità alla scrittura viene virtualmente rievocato senza però tener conto della necessità di colmare la sua assenza attraverso adeguati strumenti testuali. Influenza anche dei mezzi di comunicazione non alfabetici → paratassi disordinata, frasi autonome, susseguirsi di scene slegate tra loro, tendenza a lasciare al lettore l’onere di ricostruire il senso profondo del testo + animazione della struttura giornalistica tramite costrutti marcati e strutture mosse, oltre che parlano brillante della tv e forme di narrativizzazione che invadono i telegiornali. Parlato televisivo è lo specchio dell’italiano che viene parlato nel Paese e il dibattito sulla televisione “cattiva maestra” è ancora aperto, così come quella sulle pecche del linguaggio giornalistico. Ascolto televisivo consolida e conferma usi che sono variamente dubitativamente accolti nell’opinione comune. 3. “Guerra civile” e “Resistenza”. Appunti sul linguaggio della storia in televisione IL CONTESTO E L’OGGETTO I diversi modi di parlare della guerra di liberazione sono stati, nella storia repubblicana, un modo utile per misurare il clima politico corrente e il sentimento comune riguardo a temi quali l’identità e la storia nazionali. Analisi del modo in cui i mezzi di comunicazione hanno descritto la Resistenza verso la fine degli anni Novanta. Punto di partenza è programma Guerra civile! (Rai3, 1999), che deve però essere inquadrato in un processo di rilettura delle vicende conclusive del secondo conflitto mondiale che coinvolge non solo gli storici ma anche la politica italiana di quegli anni. Storia della Resistenza in televisione in quattro fasi: 1. anni della Guerra Fredda → fase di rimozione, hanno peso la persistenza di personale e di modelli culturali della fascista EIAR nella nuova Rai e l’atteggiamento assolutorio e pietistico della Chiesa; 2. prima metà anni Sessanta → fase di recupero e di esaltazione retorica, favorita dalla curiosità delle generazioni nate negli ultimi anni della guerra e dall’attivismo delle organizzazioni degli ex partigiani, dei sindacati e dei partiti di sinistra + rappresentazione satirica e grottesca del fascismo; 3. fine anni Sessanta/inizio Settanta → fase di imbalsamazione celebrativa, si accompagna ad un progressivo allontanamento dell’opinione pubblica dai valori resistenziali sospinto dall’avvento del consumismo e dell’urbanizzazione, valori stridenti con l’immagine austera, povera, rurale e montana degli anni della guerra, a questa fase risale la produzione più intensa riguardo la Resistenza; % 3 4. fine anni Settanta/primi anni Ottanta, fino ai primi anni Novanta → fase di rigetto, a vantaggio dell’intrattenimento, corrisponde a definitivo declino della “religione civile” resistenziale, favorito da cambiamenti culturali, dal rifiuto della violenza dopo gli anni di piombo e dalla crisi della sinistra e dell’identità del PCI; rivisitazione della storia in chiave privata e personalistica e messa in discussione dei valori antifascisti. Nella prima metà degli anni Novanta questa ultima tendenza si perfeziona → rigetto della lettura celebrativa è accelerato probabilmente anche dall’invasione dei testi nei programmi d’inchiesta a cavallo del 1980, cui si reagisce col progressivo slittamento della storia verso la fiction. Spettacolarizzazione della storia in televisione si realizza attraverso la messa in onda di programmi ibridi, di dibattiti a tesi contrapposte, di prodotti biografici. Qual è il pubblico di queste trasmissioni? No giovani generazioni, per lo più maschi, 40+, nord, istruito, interessi per storia europea a partire dagli anni Trenta e predilezione per studio dei totalitarismi visti attraverso un’ottica nuova. Sono quindi generazioni più mature ad alimentarsi di revisionismo, a subire gli effetti di un’offensiva politico-culturale che riscrive la storia del Novecento attraverso i giornali e la televisione. Riscrittura della storia attraverso i media agisce su due piani: • rappresentazione drammatizzata dai media è la Storia, incoraggiando identificazione acritica con una sola delle tante possibili interpretazioni degli eventi; • con l’enorme potere del mezzo audiovisivo si sostituiscono parole simbolo con nuove parole simbolo. LA SCENA Elemento centrale della trasmissione (Guerra Civile!) è la riproposizione di documentari dell’epoca, accompagnati dalla lettura dei testi dei testi dei curatori e, in genere, dall’aggiunta di una colonna sonora moderna → generale appiattimento sull’oggi della percezione, in totale assenza della ricostruzione del contesto politico, storico e culturale in cui tali immagini erano state girate. Uso delle didascalie → molta parsimonia, forte valenza simbolica, manca qualsiasi contestualizzazione filologica, scorrono didascalie asettiche, testo letto dalla voce fuori campo è tutt’altro che neutrale. Didascalie annullano il dato storico impedendo un’informazione completa. Colonne sonore → immagini d’epoca accompagnate da musica moderna (es: Madonna), incongrua ma sicuramente conosciuta dallo spettatore. Canzone fascista di sottofondo, anche Bella Ciao, ma in una versione più moderna, lenta e trasognata, non originale. Perché non musica d’epoca? Con musica d’epoca testimonianza moderna risulta potenziata, rinvigorita nel ricordo, stimola lo spettatore più anziano, che scava nei suoi ricordi; sullo spettatore più giovane musica d’epoca funziona come strumento di ridondanza semiotica, garanzia di autenticità. Colonna sonora moderna invece esalta iato temporale, riduce la rievocazione al nostalgico e un po’ patetico ricordo di un vecchio, annulla o attenua l’effetto della ricostruzione documentaria attendibile. IL MONTAGGIO E LA PRESENTAZIONE DEI PROTAGONISTI Montaggio in alcuni casi tende a mettere sullo stesso piano, in modo che si annullino reciprocamente, le rievocazioni contrapposte (fascisti e partigiani), in alcuni casi • Sonorizzazione dell’affricata alveolare nei suffissi -zia/-zione non influenza, invece occasionali incertezze nella realizzazione sorda o sonora della pronuncia di singole parole. • Aspirazione enfatica delle occlusive sorde, specialmente dentali e in particolare modo postnasali, vero indice della pronuncia salentina. • Assenza di apocope vocalica dopo vibrante (professore Quarta, non professor Quarta); abitudine facile da acquisire. • Aggiunta di una vocale d’appoggio nelle parole terminanti in consonante, che tende a rafforzarsi (telecommo per Telecom). L’ARTICOLO CON I NOMI PROPRI DI PERSONA E QUALCHE ALTRA NOTA DI MORFOSINTASSI Fenomeno vistosissimo, accompagna i prenomi femminili e in in misura minore quelli maschili. Fatto isolato rispetto alle varietà limitrofe e alla situazione degli altri italiani regionali estremi. Nomi maschili solo quelli che cominciano con vocale, per femminili è generalizzato. Discendenza dialettale → articoli in dialetto sono lu e la, del tutto incongrui con il. Di questo uso si hanno testimonianze anche molto indietro nel tempo. I TEMPI VERBALI (ASPETTO E AZIONE) • Passato remoto in luogo del passato prossimo → ovunque nel meridione, molto più che nel resto d’Italia. Tendenza contagiosa. Complesso sistema dei rapporti temporali del salentino, che %5 presenta notevoli affinità con la situazione del siciliano. Distribuzione dei vari tempi però dovrebbe essere studiata più a fondo. • Stare + gerundio → perifrasi con verbi di movimento ma anche con altri verbi durativi; ci si riferisce non ad un’azione nel suo svolgersi (perifrasi progressiva) ma ad una che deve ancora cominciare (perifrasi imminenziale), il cui inizio è fissato nel prossimo futuro (stai andando a Otranto domenica?). Corrispondenza resa evidente dal deittico avverbiale temporale, che evita l’ambiguità di quella che sarebbe l’interpretazione naturale (che si sta andando a Otranto in questo momento). Stessa perifrasi con altri verbi → percezione, che si può realizzare anche con stare all’imperfetto, impossibile nella lingua comune, indicherebbe la permanenza dell’azione per un certo periodo di tempo o intenzionalità all’azione. All’origine estensione della perifrasi stare + gerundio sulla base di costrutti con stare tipici del dialetto e a volte affioranti anche nell’italiano regionale. Forme progressive → sta (invariabile) + presente coniugato/ imperfetto coniguato. Completa desemantizzazione del verbo fraseologico, costrutto vale a portare con sé la semantica dell’azione non ancora completata. APPUNTI SU USI E SEMANTICA DEL VERBO, CONGIUNZIONI E PREPOSIZIONI • Uso del predicativo “stare” per “essere” ad ampio spettro, facilmente assimilabile. • Meno assimilabili forme come “ritirarsi” per rincasare, “prendersi” per litigare, che non sono avvertite come regionalismi dai parlanti. • Verbi transitivi usati come intransitivi → “finirsi” per finire. • Verbi intransitivi usati come transitivi causativi→ “cacciare” per tirare fuori, “salire le valigie”, “scendere il cane”. • Contagiosi costrutti ellittici del tipo “voglio spiegata la lezione” → completiva all’infinito dopo verba voluntatis del “voglio essere fatto un servizio” (Tullio Telmon). All’ellissi di essere possiamo attribuire anche l’uso di “senza” con il participio passato, “non metterti il vestito senza stirato”. Anche ellissi dopo altre congiunzioni, “dopo due anno sposati hanno divorziato”. • Uso pleonastico ed enfatico di che ad apertura di frase, rinviante ad un sostrato dialettale, evidente congruenza con il siciliano. • Che pronome → uso come pronome doppio nelle relative laddove in italiano è richiesto l’antecedente quello. Si può supporre anche qui un sottofondo dialettale, ma la forma è diffusa anche tra parlanti colti. • Formule idiomatiche, avverbi o congiunzioni con valore frasale o testuale, dotate di sfumature diverse rispetto alla lingua comune. • Accusativo preposizionale e uso dell’accusativo per il dativo. • Iperestensione di sopra/su per “in” o “a” di stato in luogo. OSSERVAZIONI SULL’ORDINE DELLE PAROLE • Tendenza di tutto il meridione estremo a porre il verbo alla fine dell’enunciato, soprattutto in frasi interrogative, facilmente suscettibile di imitazione. In casi di ellissi del verbo è l’intonazione a far capire se questo si trovasse prima o dopo il soggetto. • Posposizione dell’aggettivo indefinito altro, probabilmente da confrontare con la collocazione postnominale dell’aggettivo possessivo, diffusa in tutta l’area centromeridionale e forse anche con l’uso sempre postnominale di tanto nel senso di “tanto grande” o di assai. Tendenza anche dell’italiano contemporaneo, preferenza per la proclisi pronominale. NOTE DI LESSICO E FRASEOLOGIA Sfilza non ragionata di singoli lessemi che stanno tra l’italiano regionale e il dialetto e che tendono a penetrare facilmente nell’uso. Alcuni di essi sono facilmente assimilati nel parlato non sorvegliato, perché di più larga diffusione meridionale o perché interferiscono, con lievi estensioni semantiche, con termini del lessico comune, o ancora perché adottati consapevolmente in virtù della loro carica espressiva. Diffusione del voi al posto di lei, voi è radicalissimo nello scambio intergenerazionale. Indirizzi di saluto → carissimo, bell* mi*, fratello mio (in base al grado di formalità/informalità). Signora a titolo professionale (al posto di maestra ad esempio). CONCLUSIONI Fenomeni possono essere vagliati solo avviando un’accurata e capillare indagine condotta con i metodi della dialettologia e della sociolinguistica; ma potrebbe anche essere proficuo rileggere la ricca produzione dialettale riflessa in salentino, che vanta una lunga e solida tradizione, dalla fine del Seicento fino ad oggi, soprattutto testi teatrali e breve stagione del verismo tardo ottocentesco. Non emergono tratti regionali nella letteratura salentina degli ultimi anni e nel cinema. % 7 Tale documentazione è miniera di informazioni per il lessicologo e il terminologo → consistente quota di termini regionali, se non addirittura dialettali; a questi localismi di necessità fanno contrappeso, insieme a inevitabili burocratismi e tecnicismi giuridico-amministrativi, termini della gestione globale dell’ambiente → internazionalismi imposti d’autorità, parole d’ordine e concetti convogliati dalle associazioni ambientaliste. Dalla fraseologia e dall’uso occasionale si passa alla terminologia. STANDARDIZZAZIONE E LESSICALIZZAZIONE DEI TERMINI Efficacia della prospettiva diacronica nello studio del processo di lessicalizzazione dei lessemi complessi → sequenze che non possono essere interrotte e in cui ordine dei costituenti non può essere modificato(es: area naturaleprotetta,valutazione di impatto ambien tale,sviluppo sostenibile che è internazionalismo in cui l’aggettivo si è arricchito di una nuova sfumatura semantica. Lingua legislativa ha da sempre raccolto e ufficializzato la terminologia delle tecniche più disparate, quasi sempre anticipando le attestazioni lessicografiche. Retroterra angusto e sdrucciolevole del neologismo, però, può generare incertezze e sua volta produrre sbavature involontarie. Persistenza di alcuni tratti della terminologia ambientale e di alcune parole relative all’ambiente nel tempo → es: ambiente nei secoli ha avuto diverse accezioni, come lo intendiamo noi è recente (anni ’70), oppure participi in -ato con funzionale aggettivale per qualificare aree su cui l’uomo è intervenuto → sottolinea coerenza e consistenza di questo genere di aggettivi, perché è tipologia che torna anche nella documentazione attuale e che costituisce solo uno dei molti elementi di continuità del lessico giuridico e amministrativo nel tempo. Altro elemento di continuità è articolata terminologia adottata per indicare i danni all’ambiente e gli interventi di risanamento. CONCLUSIONI Urgenza di una cooperazione leale tra terminologia e lessicologia e sarebbe molto importante valorizzare il ruolo di filtro e di consulenza che terminologi e lessicologi possono svolgere nei confronti dell’amministrazione. Buona formazione e prassi terminologica avrebbe anche significative ricadute economiche. 6. Quanto pesa l’inglese? Anglicismi nella vita quotidiana e proposte per la coabitazione SUL BARATRO DELL’ITALIESE Anglicizzazione dell’italiano → dagli anni Settanta più volte hanno risuonato segnali d’allarme, suscitando reazioni di scandalo e sconcerto destinate a dissolversi rapidamente. Tra i linguisti italiano sono prevalsi la sospensione del giudizio e la prudenza, c’è anche chi ha sempre sostenuto la scarsa significatività statistica dell’apporto esogeno nel lessico italiano. Chi sostiene un prudente non interventismo ricorre spesso a due argomenti: 1. carattere occasionale ed effimero di molti anglicismi recenti; 2. la loro scarsa penetrazione diastratica e diafasica, che non comprometterebbe le strutture dell’italiano. Ma penetrazione dell’inglese non è più d’élite, è diventata di massa e coinvolge fasce della popolazione molto diversificate per età e preparazione culturale. Tasso di esotismi non adattati è in aumento, poiché interi settori della comunicazione scientifica (scritta e parlata) appaiono quasi totalmente anglicizzati, anche in zone meno marginali e culturalmente trainanti, come la musica, il cinema, nuove tecnologie, pubblicità, fino al lessico delle nuove professioni, della politica e della pubblica amministrazione. OBIETTIVI SENSIBILI Tre aree della lingua appaiono particolarmente scoperte e quindi esposte alla penetrazione indiscriminata di anglicismi: • la lingua quotidiana → studio sull’incidenza di anglicismi nel palinsesto tv, italiano intaccato soprattutto nell’intrattenimento, ma anche notizie, trasmissioni per la famiglia e sportive. Zona più infestata di tutte è quella della fiction, produzioni angloamericane sono le più trasmesse (quindi titoli, che non sempre vengono tradotti o comunque titolo originale accompagnato da quello tradotto). Presenza dell’inglese nella programmazione televisiva quotidiana è ben più presente di quanto non risulti da repertori lessicografici e dalle statistiche del parlato. Dose massiccia di tv che assimiliamo durante una giornata è veicolo di lingua potente, anche se non di anglicismi attivi, quanto di quelli d’inerzia, terreno ideale per l’attecchire di quote più ampie di vocabolario. Cinema e serie tv sono settori particolarmente esposti. • Computerese e lingua in rete → quota consistente di anglicismi entrati in italiano negli ultimi cinquant’anni appartiene al lessico dell’informatica e delle nuove tecnologie. Necessario % 8 distinguere tra lessico specialistico e la nuova koinè dell’italiano scritto trasmesso attraverso mail e chat. Reazione più diffusa alle meraviglie dell’informatica è soggezione, cui contribuisce non poco l’oscurità del lessico; terminologia informatica in italiano appare spesso guardinga e tende a preferire il prestito anziché il conio di nuovi termini. Versioni italiani sono spesso piene di perifrasi descrittive complesse che si allontanano dall’idea dell’informatica come strumento familiare e quindi destinate all’insuccesso. Trattamento da parte dei vocabolari, due problemi: • novità delle voci, che spesso costringe il lessicografo a glossare con altri anglicismi; • varianti lessicali dei termini, che spesso entrano in conflitto anche nelle glosse e a prevalere è sempre la forma più simile all’inglese. Non ci vorrebbe molto per far sì che la forma italiana scalzi quella inglese, basterebbe tradurre sistematicamente i comandi dei menù e incoraggiare l’uso dell’italiano nei siti. Settore molto sensibile all’uso dell’inglese che va tenuto sotto controllo, con maggiore attenzione al dato sociolinguistico; necessario monitoraggio attento + documentazione fondata su dati scientificamente controllabili, sostenuti da interventi istituzionali e non lasciati all’iniziativa individuale. • Italiese degli scienziati → italiano scientifico si sta deteriorando, impoverito nel lessico e nella sintassi e schiacciato dal predominio dell’inglese. Due questioni principali sono i motivi del diffuso disinteresse per le sorti della lingua italiana nella lingua scientifica e l’acquiescenza verso il declassamento dell’italiano a lingua di tipo domestico, destinata a un rapido disfacimento. Al centro delle iniziative non c’è protezionismo linguistico, ma amorevole manutenzione e attenta valorizzazione della nostra lingua, che deve partire dalla consapevolezza della potenza dello strumento lingua, non riguardante solo il piano comunicativo, ma padroneggiata in tutte le sue sfaccettature + riflessione sulla lunga durata dei fatti linguistici. Scienza ha un compito essenziale come luogo di elaborazione e di promozione della lingua nel suo insieme; lingua comune è sottoposta grazie alla scienza a intensi processi di arricchimento e specializzazione. Inglese ha assunto ruolo di lingua franca della scienza internazionale, ma non esistono lingue più adatte di altre alla scienza. Tullio de Mauro riconosce come motivazione alla fortuna mondiale dell’inglese il functional shift con il quale le diverse categorie grammaticali possono intercambiarsi, la proliferazione dei verbi sintagmatici, ma soprattutto la facilità con cui nuove parole possono essere coniate a partire dalle vecchie. In più anglofoni hanno alle spalle tre secoli di allenamento alla divulgazione delle scienze. Per l’italiano c’è ancora qualche spazio di azione, soprattutto nei settori della divulgazione e della didattica. A spaventare gli scienziati non sono tanto gli anglicismi integrali, quanto gli adattamenti e i calchi che, sull’onda imitativa dell’inglese semplificato e ibridato della comunicazione internazionale, infestano anche l’italiano scientifico. Problemi della lingua delle scienze → netto predominio dell’inglese nella comunicazione scritta della ricerca più avanzata + specializzazione e parcellizzazione delle discipline scientifiche, ciascuna delle quali, dotata di una propria tradizione terminologica, procede spesso in modo autonomo rispetto alle altre nella coniazione di neologismi e nella definizione dei propri concetti. Difficoltà di uniformazione e standardizzazione sono enormi, unica soluzione praticabile è il trattamento terminologico di singoli, circoscritti settori della ricerca. Percorso lungo e difficile, ma necessario per restare al passo delle altre nazioni europee, che a differenza dell’italiano traducono termini inglesi, hanno termini propri. Per didattica e divulgazione le cose sono più semplici → è possibile individuare diversi livelli di coabitazione tra termini inglesi e italiani: • convivenza quasi pacifica → termini inglesi che hanno traduzioni italiani sinonimiche, univoche e accettate dalla comunità scientifica (anche se poi nell’uso prevale il tecnicismo); del dialetto potrebbe sembrare anacronistico e aristocratico → improponibile in una società che tende all’unità linguistica e col passare delle generazioni questo lessico e questa grammatica tendono comunque a perdere parte della loro forza evocativa. Forse vuole solo invitarci a riflettere sulla nostra lingua materna, sulle lingue con cui entriamo in contatto. 8. Osservazioni sul linguaggio dei Verdi 1. Organizzazioni ecologiste europee nascono nella seconda metà degli anni Settanta, prima in Francia e Germania ovest. In Italia dopo 1975 → impegno sui temi del disarmo e delle energie alternative da parte di molti gruppi della sinistra. Dalla lotta contro energia nucleare all’interesse per l’ecologia il passo è breve, spinto anche dai successi dei movimenti ecologisti degli altri paesi, nascono nuovi gruppi ecologisti (prima WWF, LIPU, poi Lega Ambiente, Amici della terra). Negli ultimi anni sono apparse numerose riviste di impostazione ecologista, interessanti dal punto di vista linguistico. Analisi svolta sui numeri del 1984/85 della rivista “La nuova ecologia” → domina tono colloquiale quando vengono affrontati argomenti generali della propaganda verde o temi specifici come oggetto di satira o polemica; articoli di carattere scientifico hanno tono più elevato, dominano tecnicismi e collaterali, normalmente termini tecnici vengono glossati e articolo è accompagnato da tabelle che riportano dati derivati da fonti autorevoli. Sintassi tende ad essere %1 0 complessa, ricca di subordinate e di riprese analogiche, ma il senso risulta piuttosto chiaro. Influsso del linguaggio della pubblicità → uso dello stile nominale, soprattutto all’inizio degli articoli e nei titoli. Presente retorica e non sono disdegnati toni elevati, per caratterizzare qualitativamente l’importanza dei temi ecologisti. Modelli → giornali di controinformazione degli anni Settanta, ma ci sono grandi differenze → diversità del destinatario → lettore non è politicizzato, ma dato il tono medio piuttosto elevato deve comunque possedere una cultura superiore alla media. Analisi dell’ideologia del movimento verde e del modo in cui viene caratterizzata linguisticamente • tendenza a proporre nuove categorie di interpretazione della realtà: esistono due mondi, quello della natura e quello degradato dell’uomo industriale → “dissociazione delle nozioni” (Chaim Perelman): procedimento che consente di connotare come antinomici due aspetti di una realtà unitaria. “Vero” mondo è quello della natura, “vero” uomo è quello che sa adeguare le proprie esigenze a quelle dei suoi simili e di tutte le componenti dell’ambiente che lo circonda → frequente uso di coppie antitetiche, fondate spesso sull’opposizione tra realtà e artificio. 2. A livello di propaganda e comunicazione linguistica → valori positivi e obiettivi polemici sono caratterizzati positivamente, si punta nettamente sul carattere originale e sulla diversità del progetto verde, sul suo valore universale e sulla sua semplicità, secondo il meccanismo delle “argomentazioni di plausibilità” (Schultz) che fanno leva sulla reazione emotiva del destinatario. Ricorsività di locuzioni in cui appaiono termini-chiave o loro sinonimi e frequente risemantizzazione alla quale sono soggetti. 3. Creazione di numerosi neologismi → sia neologismi veri e proprio che estensioni semantiche di termini già in uso; serie molto produttiva dei verbi in -izzare, dei sostantivi in -ista e astratti derivati da aggettivi in -a/-e. Alcune forme rientrano nei tradizionali meccanismi formativi dell’italiano, altri presentano notevole arditezza derivativa. Frequenti nuove accezioni di parole già esistenti (animalista, naturalista, alimentarista). Troviamo molti termini non nuovi, ma significativi perché il loro uso è sintomo della tendenza alla proliferazione di determinati suffissi. Uso del prefissoide eco- con il valore di “ecologico, che difende la natura” e dei composti nominali e aggettivali con la parola “ambiente”. 4. Notevoli usi metaforici → metafore tratte dalla natura, relative alla simbologia della nascita; inevitabili le ormai logore metafore belliche, religiose e mediche. Uso più innovativo è sicuramente quello della parola “verde” → per la prima volta si fa un uso così massiccio e generalizzato di un colore come simbolo di un’idea politica. Particolare uso degli aggettivi, soprattutto in senso figurato. Tra le frasi e gli slogan caratteristici troviamo alcuni temi dei movimenti giovanili degli anni Settanta, ripresi con leggere varianti o con mutamenti di senso. Al patrimonio internazionale appartengono calchi e prestiti provenienti dai “fratelli verdi” d’Europa. Non è sempre facile individuare la lingua da cui sono derivati, origine tedesca sempre molto probabile, ma anche francese e inglese. 5. Riflessi linguistici che i Verdi hanno suscitato anche al di fuori dell’ambito strettamente politico o legato all’ecologia → prima ad apprenderne il linguaggio è stata la pubblicità, ma anche politici e partiti di sinistra. Più interessante entrata di immagini, espressioni, concetti tipici nell’uso comune.
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