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Le emozioni nello sviluppo, Sbobinature di Sociologia dell'Infanzia

Due teorie sullo sviluppo emotivo: la teoria differenziale e le teorie funzionaliste. La prima teoria considera le emozioni come stati discreti, universali e innati, mentre la seconda teoria le concepisce come strumenti di adattamento. i diversi livelli di sviluppo emotivo del bambino e come le emozioni siano funzionali all'adattamento dell'individuo all'ambiente. Il testo è utile per comprendere il ruolo delle emozioni nello sviluppo umano.

Tipologia: Sbobinature

2022/2023

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Scarica Le emozioni nello sviluppo e più Sbobinature in PDF di Sociologia dell'Infanzia solo su Docsity! LE EMOZIONI NELLO SVILUPPO Capitolo 1. Capire le emozioni: teorie e modelli a confronto 1)Teoria differenziale: emozioni come stati discreti, universali e innati La teoria differenziale delle emozioni deriva dalle prime intuizioni di Darwin sull’importanza e sul valore evoluzionistico delle espressioni facciali delle emozioni e della successiva teoria di James- Lange che tematizzano le emozioni come stati di attivazione fisiologica (arousal) precisi e distinti. Es sentiamo che siamo tristi perché piangiamo. Tutti gli esseri umani fin dalla nascita sono dotati di un repertorio di emozioni di base innate che sono in grado di evolversi e adattarsi alle circostanze. Esse sono: felicità, rabbia, paura, sorpresa, tristezza e disgusto. La teoria mette in luce che: - Alcune emozioni sono di base e costituiscono il nostro sistema motivazionale primario - Ogni emozione di base è unica e funzionale ad organizzare specifici processi cognitivi, percezioni, azioni e strategie di coping - Ogni emozione di base corrisponde a specifiche espressioni facciali presenti fin dalla nascita che ci consento di avere un canale immediato e intuito per esprimere le emozioni. - Le emozioni hanno un potere di autoorganizzazione e lo dimostrano tutte le situazioni in cui sostengono o accompagnano i comportamenti che contribuiscono allo sviluppo della personalità. - Ciascuna emozione ha dei livelli di attivazione (stato di arousal) e intensità diversi, contribuendo a definire le differenze interindividuali. La teoria differenziale ci dice che molto precocemente il bambino esprime e organizza le sue emozioni di base come stati discreti e biologicamente fondati, grazie alla maturazione di specifici circuiti neurali. Ciascuna emozione è unica e distinta dalle altre nel modo attraverso cui si esprime grazie alle espressioni del volto. Ogni emozione è distinta rispetto al modo con cui motiva l’azione e sostiene l’esperienza soggettiva. A questo proposito si possono trovare tre distinti livelli di sviluppo emotivo: 1. Fino ai 2 mesi: le emozioni (interesse, conforto e sconforto) consentono al bambino di comunicare i propri bisogni e sono prevalentemente di natura sensoriale. 2. Fino ai 9 mesi: il bambino vive le emozioni a un livello percettivo-affettivo sperimentando le nuove emozioni come la collera, la tristezza e la paura. 3. Dai 9 ai 24 mesi: l’esperienza del bambino si arricchisce di emozioni più complesse, come un’esperienza cognitiva-effettiva grazie al crescere della consapevolezza del sé. Dopo i 2 anni il compito di sviluppo principale diventa la regolazione emotiva 2)Teorie funzionaliste: le emozioni come strumenti di adattamento Le teorie funzionaliste si rifanno alla domanda “a cosa servono le emozioni?” piuttosto che come sono fatte o quale sia la loro struttura. La visione funzionalista concettualizza l’emozione come un processo psicologico orientato verso scopi di natura adattiva. La prospettiva funzionalista condivide con quella differenziale l’assunto per cui le emozioni servono obbiettivi discreti e specifici. Differisce invece nella definizione di emozione in termini della relazione tra individuo e ambiente. Es la rabbia esprime il tentativo di ambiare qualcosa nella 1 relazione con l’ambiente o di affrontare un ostacolo che si frappone con il proprio obbiettivo. La felicità esprime il tentativo di cambiare o di mantenere la relazione con l0ambente in funzione die proprio obbiettivi. La paura riflette il tentativo di terminare la relazione con l’ambiente, di mettere fine ad una minaccia che viene da esso. Questa definizione dell’emozione di natura relazione implica che l’emozione sia un processo dinamico e continuo di valutazione dell’ambiente (appraisal) in funzione di un adattamento ottimale ai propri interessi e bisogni. Si tratta di un processo non necessariamente consapevole. Lo sviluppo emotivo implica cambiamenti nell’organizzazione e nella dinamica funzionale del processo psicologico collegato all’emozione. 1. Primi mesi di vita: natura comunicativa dell’emozione (Saarni, Mumme, Campos, 1998)  il piccolo comunica e esprime al proprio ambiente chiari segnali relativi allo stato soggettivo di benessere o malessere 2. 2-3 mesi ca: vede il riorganizzarsi di numerose capacità emotive in funzione delle relazioni tra bambino e il suo ambiente (es. Sorriso con funzione sociale e non più solo come una funzione di risposta a stimoli endogeni) (Emde, Gaensbauer, Harmon, 1976) 3. 6-7 mesi ca: i bambini rivolgono il sorriso esclusivamente ai caregiver e non più a tutti (Sroufe, 1977). Anche i caregiver dei bambini cambiano perché adattano modalità comunicative funzionali a definire per il bambino cosa è sicuro e cosa costituisce un pericolo 4. 1 anno e mezzo ca: grazie alle interazioni con l’ambiente di riferimento i bambini hanno imparato ad usare i segnali emotivi del caregiver per riorganizzare il proprio comportamento. La teoria funzionalista, quindi, evidenzia come la maggior parte delle azioni e dei piani umani si basi su scopi. Con il mutare delle relazioni tra bambino e il suo ambiente, il primo costruisce una serie di aspettative sui comportamenti del secondo e in particolare sui comportamenti del care giver, di cui il bimbo rileva regolarità e violazioni, rispondendo con espressioni emotive congruenti. È grazie alle continue e dinamiche interazioni con l’ambiente che il bambino svilupperà il senso di sé, e le emozioni complesse come orgoglio, colpa e vergogna. Gli scopi di natura adattiva rappresentano il motore fondamentale dello sviluppo emotivo e fanno sì che le diverse emozioni provate ed espresse dal bambino facciano parte delle relazioni tra questi e il proprio ambiente sociale di crescita. Es. se il piccolo fa esperienza di rabbia collegata all’attenzione dei genitori tenderà ad usarla più frequentemente per soddisfare il suo scopo adattivo di tenere viva l’attenzione su di sé da parte degli adulti. Quindi ogni emozione comporta una rapida forma di processamento dell’informazione (appraisal) che consente di valutare le circostanze in cui si verificano le emozioni e di preparare una corrispondente azione che mantenga o respinga o realizzi gli obbiettivi individuali. 3)Emozione e cognizione: le teorie dell’appraisal (teorie cognitive) Una questione a lungo dibattuta è stata il rapporto fra emozione e cognizione: l’emozione è l’antitesi della cognizione e dei processi razionali o in ogni stato emotivo è contenta una forma di valutazione cognitiva? Le teorie dell’appraial sostengono la seconda ipotesi. Esse affermano che tra processi cognitivi ed emozione c’è un rapporto stretto e imprescindibile, in quanto nono ci può essere emozione che non implichi una qualche forma di valutazione dell’ambiente. 2 “Affective neuroscience”: locuzione proposta dallo psicobiologo Panksepp (1998) per denominare un nuovo campo di studio sulla vita socio emotiva che ha come oggetto di studio i meccanismi neurali alla base del fenomeno emotivo e la loro evoluzione. Le neuroscienze affettive si pongono domande come: Cosa succede nel cervello quando proviamo paura, amore, tristezza o rabbia? Cosa succede quando le proviamo così intensamente da non riuscire a controllare i nostri comportamenti? Il sistema neurale creato dall’evoluzione svolge un ruolo nel modo in cui proviamo le emozioni? L’approccio che adottano integra lo studio del cervello, del comportamento e della mente attraverso un’ittica interdisciplinare e si basa su psicologia, psichiatria, sociobiologia e filosofia, attraverso prospettiva evolutivo-evoluzionistica la cui base è l’approccio darwiniano. Un primo aspetto che questa prospettiva mette in luce è l’importanza dei sistemi sottocorticali e delle loro funzioni. Infatti, è in questi sistemi che hanno origine le sinapsi che danno origine agli stati affettivi di base. Quindi queste aree sottocorticali hanno un ruolo primario nel nostro sentire emotivo, mentre la neocorteccia ha un ruolo secondario. Quindi i meccanismi delle esperienze emotive e dei comportamenti connessi ad esse hanno origine in queste aree del cervello che sono le più antiche dal punto di vista evoluzionistico. Esso sono: mesencefalo, talamo, ipotalamo e sistema limbico. Ruolo differenziato dei due emisferi cerebrali Emisfero sinistro: - Logico - Sequenziale e lineare - Comunicazione verbale - Emisfero destro - Spaziale, deputato al processamento emotivo, cioè è deputato a provare a sentire le emozioni - Intuitivo (non sequenziale e lineare) - Comunicazione non verbale 6)Modello di Sroufe: l’emozione in sviluppo La visione di Sroufe incorpora in modo costitutivo la dimensione dello sviluppo nella concettualizzazione della vita socio emotiva. Lo sviluppo sociale è associato allo sviluppo cognitivo e per essere compreso devono essere considerati sia i meccanismi prossimali che distali che ne stanno alla base. Quindi lui ha integrato le teorie dell’emozioni di base con gli aspetti evolutivi e costruttivi delle emozioni. L’emozione è un processo dinamico, complesso e integrato che si esprime in risposta a eventi salienti e comporta cambiamenti fisiologici, essenziali e comportamentali. Riprendono la teoria a due fattori di Schachter e Singer (1962), Soufre concepisce l’emozione come il frutto di due fattori: - Uno di natura psicofisiologica, cioè lo stato di attivazione (arousal) - Uno di natura valutativa /esperienziale (appraisal) L’attivazione (arousal) genera stati di tensione individuali che sono valutati (o meglio si combinano con processi cognitivi di valutazione dell’evento generatore) a seonda del momento dello sviluppo in cui si trova il bambino, 5 Secondo Soufre i bambini sono dotati di 3 sistemi emotivi di base, ossia tre meccanismi innati che consentono loro di fare esperienze emotive: 1. Sistemi di piacere/gioia 2. Sistemi di frustrazione/rabbia 3. Sistemi di circospezione/paura Ciascun sistema matura in sincronia con gli altri e cambia con l’età e con le acquisizioni cognitive, motorie e comportamentali. I cambiamenti evolutivi sono qualitativi e non linearie sono il prodotto di una logica maturativa che vede svilupparsi nel tempo progressive capacità di autorganizzazione grazie all’interazione con più domini evolutivi. L’emergere delle emozioni segue una logica di progressiva organizzazione e differenziazione che avviene in relazione a momenti specifici e critici dello sviluppo, che comportano veri e propri salti che coincidano con una riorganizzazione della risposta emotiva. Le emozioni cambiano e si trasformano con l’evolvere della capacità di regolazione dello stato di attivazione. 7)l’emozione è un fenomeno complesso a più componenti L’emozione nella sua visione multi-componenziale e complessa si connota come un importante indicatore di cui disponiamo per segnalarci il valore che certe situazioni rivestono per il nostro benessere e per consentirci sulla base di queta valutazione di adottare una strategia di azione funzionale all’adattamento. Risulta prezioso per una riflessione sullo sviluppo delle emozioni, poter far riferimento alla peculiarità dI tutte le componenti dell’azione e al risultato della loro reciproca interazione. Attraverso questo schema possiamo vedere l’alimentarsi dell’esperienza emotiva grazie al contributo congiunto dalle sue diverse componenti Es. incontro una persona che mi minaccia (evento elicitante). Le due componenti che si attivano sono stato di arousal (aumento battito, sudorazione, …) e di appraisal (valutazione situazione). A questi stati si collega l’atteggiamento corporale che assumerò, l’espressione del viso, poi si collega anche un’esperienza soggettava e la tendenza a fare qualcosa (scappare o affrontare la minaccia). L’insieme di tutte le componenti nei loro collegamenti reciproci, possono dar luogo ad almeno due emozioni distinte: paura o rabbia. Il ruolo che le emozioni giocano sul piano dell’organizzazione della conoscenza e della comprensione sociale ha fatto sì che assumesse rilevanza il concetto di competenza emotiva. 6 8)Competenza emotiva e processi di socializzazione Il concetto di competenza implica anche quelli di abilità, conoscenza, efficienza, padronanza e soprattutto organizzazione. Per questo motivo, parlare di competenza emotiva significa comprendere che la persona riesce a realizzarla in forma più o meno compiuta a seconda del livello di integrazione e buon funzionamento raggiunto da ciascuna componente del fenomeno emotivo (comprendere, esprimere, regolare le emzioni) e a seconda della adeguata interdipendenza e collegamento fra le varie componenti. Compromissione competenza emotiva= alcune componenti funzionano in modo non ottimale e in questo modo influenzano le altre compromettendo il bon funzionamento emotivo. È importante capire come i bambini sviluppano la loro cultura emozionale, cioè una serie di conoscenze, metafore e concetti inerenti alle emozioni che si apprendono all’interno di specifiche situazioni relazionali che costituiscono i loro contesti di socializzazione emotiva, ossia i contesti in cui i bambini apprendono i significati, i comportamenti e le regole associate alle emozioni. La competenza emotiva implica dunque sia la conoscenza delle emozioni sia l’abilità di comportamento e in particolare comporta saper esprimere e interpretare le azioni e i comportamenti emotivi, saper controllare l’espressione di emozioni inadeguate (es. Impulsive) ed esprimere le emozioni adeguate in modo spontaneo. Inoltre, comporta saper riconoscere i termini che compongono il vocabolario emotivo e saper fronteggiare le emozioni dolorose senza perdere la propria organizzazione. Secondo Denham (1998) sono tre gli elementi centrali per comprendere la qualità della nostra competenza emotiva: l’espressione, la comprensione e la regolazione delle emozioni sia positive che negative. Secondo Asaarni (1999) il legame tra componente emotiva e componente sociale è essenziale per concettualizzare in modo adeguato lo sviluppo. Pr capire come un bambino può diventare un soggetto emotivamente competente dobbiamo fare riferimento a un insieme di componenti. Ecco qui sotto le componenti della competenza emotiva 1. Consapevolezza del proprio stato emotivo 2. Capacità di riconoscere e discriminare le emozioni altrui 3. Capacità di utilizzare il lessico emotivo (solitamente disponibile nella propria cultura), e la capacità di acquisire script emotivi legati ai diversi ruoli sociali 4. Capacità di coinvolgimento empatico nelle esperienze emotive dell’altro. Attraverso il coinvolgimento capiamo le emozioni di chi ci sta introno. 5. Comprendere che lo stato emotivo interiore non corrisponde necessariamente alla manifestazione emotiva esteriore (sia in sé stessi sia nelle altre persone). Questo porta alla consapevolezza dell’impatto sociale che i propri comportamenti emotivi possono avere sull’altro. 6. Affrontare in maniera adattiva le emozioni negative e angoscianti. Anche le emozioni negative devono essere provate per avere una certa competenza emotiva, però dobbiamo imparare a manifestare quelle negative in senso adattivo. Es. La rabbia porta con sé una serie di attivazioni fisiologiche soggettive e reazioni comportamentali che possono essere più o meno adattive (picchiare è disadattivo). 7. Comprendere che le relazioni sono definite essenzialmente dal modo in cui le emozioni sono espresse e dalla reciprocità delle emozioni al loro interno 8. Capacità di autocontrollo emotivo (cioè avere controllo e padronanza delle proprie esperienze emotive e saperle accettare. 7 Abbiamo detto che a livello espressivo quando comunichiamo qualcosa attraverso le parole piuttosto che attraverso le espressioni o il linguaggio del corpo, abbiamo una maggiore capacità di controllare i messaggi comunicativi. L’intenzionalità è un requisito importante per la comunicazione verbale e si costruisce nel corso dello sviluppo a partire dai primi scambi non verbali fra bambino e caregiver. La possibilità di avere gradienti diversi di intenzionalità nello scambio comunicativo dipende da anche dai canali espressivi usati. Es. sul volto possiamo esercitare un controllo maggiore rispetto alla voce. - Canale verbale: consente una comunicazione dell’informazione emotiva discreta, puntuale e parzialmente controllata. In questo le emozioni sono potenzialmente identificabili e discriminabili e assumono un significato in base al riferimento ai segnali non verbali. - Canali non verbali: non consentono sempre una facile identificazione dell’emozione provata, perché ognuno ha delle risposte fisiologiche comportamenti soggettive. Essi sono piuttosto indicatori del generale livello di attivazione dell’organismo e ne segnalano l’intensità raggiunta. Ad eccezione delle espressioni del volto che sono in grado di esprimere la qualità dell’esperienza emotiva, ossia che tipo di emozione sta provando la persona. Emerge a necessità di una congruenza tra questi due canali espressivi per valutare il significato di un’emozione. Quando non c’è congruenza facciamo maggiore affidamento al volto. I programmi espressivi innati interagiscono nel corso dello sviluppo e attraverso partiche di socializzazione con meccanismi appresi che specificano chi può manifestare una certa emozione, in quale situazione e in quale intensità. A questo proposito, Ekman e Friesen (1969) parlano dell’esistenza di una serie di regole, chiamate display rules, che permettono di attenuare, intensificare, neutralizzare o dissimulare un’espressione emotiva in funzione del contesto socioculturale di occorrenza e delle regole di socializzazione apprese. A partire dall’età prescolare i bambini iniziano ad apprendere le regole implicite che regolano l’esibizione emotiva e ad esercitare un controllo volontario e sulle espressioni facciali. 2)la regolazione delle emozioni tra corpo e cervello: il sistema nervoso centrale e l’asse intestino-cervello La regolazione emotiva è un processo che consente agli individui di attingere alle loro risorse psicologiche per rispondere in maniera adattiva e flessibile alle richieste dell’ambiente. Secondo Gross (2015) la regolazione emotiva è il processo che inconsciamente o consciamente, esercita un’azione di monitoraggio, valutazione, modificazione e in generale mediazione della risposta emotiva. Attraverso la regolazione le persone sono in grado di valutare le domande dell’ambiente e le proprie risorse, e di conseguenza, riuscire a rispondervi in modo adattivo e flessibile. 10 Gli effetti della regolazione riguardano sia il tipo di emozione esperita che l’intensità con cui si è manifestata (cioè la dinamica processuale), il tempo di latenza, la sua durata e il suo recupero. Le aree in cui ha luogo il processo di regolazione emotiva corrispondano alle componenti emozionali che sono: - L’esperienza emozionale (il modo in cui viene vissuta l’emozione) - I correlati neurali e fisiologici: Le aree del cervello corticale e sottocorticale implicate sono il nucleo accumbens (area sensibile agli stimoli ambientali che comportano una ricompensa, un premio o una gratificazione), l’amigdala (struttura sensibile a reagire alle situazioni negative/ pericolose) e la corteccia prefrontale (specializzata nella comprensione e regolazione delle conseguenze a lungo termine dei comportamenti); alcune risposte fisiologiche sono invece l’aumento del battito cardiaco o della conduttanza cutanea. - Gli indici espressivi e comportamentali - I correlati cognitivi (i pensieri associati e la qualità dell’attenzione) - Il tipo di azione o comportamento che ne discende Ciascuna di queste aree può essere regolata o resa ottimale in funzione di un incremento del valore adattivo della riposta emotiva. La regolazione emotiva consente dunque di modulare e gestione la risposta emotiva in modo flessibile. Questo non vuol dire che sia necessariamente un processo intenzionale e consapevole. Le componenti del SNC implicate nella regolazione emotiva Esistono specifiche aree del cervello deputate sia al processamento che alla regolazione delle emozioni. In particolare, esistono circuiti delle emozioni che risiedono nelle aree più antiche del SNC, ovvero le regioni sottocorticali che vengono regolati anche dai processi neocorticali. Quindi la regolazione emotiva implica il sistema psichico di natura comportamentale e cognitiva, il SNC con i circuiti corticali e sottocorticali, il sistema immunitario e il sistema endocrino (ormoni). Le moderne tecniche di imaging hanno messo in luce che meccanismi cerebrali alla base della vita emotiva sono associati al sistema limbico, all’interno del quale l’amigdala svolge un ruolo fondamentale in quanto attraverso un sistema complesso di afferenze e di connessioni reciproche con la corteccia prefrontale svolge il ruolo di centralino per l’esperienza e la regolazione dei nostri stati emotivi e motivazionali. La regolazione emotiva dello stress è uno degli aspetti più rilevanti della regolazione emotiva legata al benessere individuale. Il meccanismo deputato alla regolazione dello stress prende il nome di dall’asse ipotalamo-ipofisi-surrene, anche detto asse HPA (Hypothalamic – Pytuitary - 11 Adrenal Axis). Esso coordina i sistemi di risposta neuroendocrina dello stress in seguito all’esposizione a stressor. L’interazione tra queste componenti e gli eventi di vita è un elemento chiave del successo o del fallimento nell’adattamento a eventi di vita avversi (McEween, 2013) Una componente del sistema nervoso autonomo è il sistema nervoso enterico (SNE) che è collegato al SNC tramite il nervo vago. Siccome i neuroni del SNE sono analoghi ai neuroni cerebrali per quanto riguarda inibizione7eccitazine e neurotrasmettitori, l’intestino è definito come il nostro secondo cervello (Mayer, 2011). Quindi anche l’intestino è coinvolto nella risposta a stimoli stressanti ed è in grado di agire sul sistema immunitario. Fra intestino e stress emotivo c’è una connessione bilaterale perché uno stress emotivo può avere ripercussioni sull’intestino e a sua volta, lo stato di salute di quest’ultimo ha influenza sul benessere emotivo. Il ruolo del temperamento Il temperamento è un fattore innato e di natura biologica ed è fondamentale per capire la vita socio-emotiva di bambini, adolescenti e adulti (Thomas e Chess, 1977). Tra le diverse definzioni i fattori ampiamente riconosciuti vanno da tre a cinque: Modello a 3 fattori del temperamento - Nevroticismo (emotività negativa in forma di irritabilità, preponderanza di emozioni negative) - Estroversione (emotività positiva, attività/dinamismo) - Disinibizione (impulsività) Modello a 5 fattori per il temperamento: - Estroversione (dinamismo, dominanza) - Amicalità (cooperatività/empatia, cordialità/atteggiamento amichevole) - Coscienziosità (scrupolosità, perseveranza) - Stabilità emotiva (controllo delle emozioni, controllo degli impulsi) - Apertura mentale (apertura alla cultura, apertura all’esperienza) Lo studio del temperamento ci permette di comprendere come si definiscono le differenze individuali della risposta emotiva nel corso dello sviluppo. Infatti, esso rappresenta un sottodominio della personalità individuale e influenza l’intensità e le modalità di espressione e di regolazione delle emozioni. Sviluppo atipico 4)Temperamento e disturbi comportamentali La psicopatologia dello sviluppo distingue all’interno della categoria di disturbi del comportamento, fra disturbi internalizzanti (comportamenti problematici rivolti verso il sé) e esternalizzanti (comportamenti problematici rivolti verso gli altri). I disturbi internalizzati e esternalizzanti sono associati con frequenza certi tratti temperamentali. 12 - Macrosistema: è il contesto più esterno che comprende la politica sociale dei servizi (comunità). Es covid e lockdown Lo sviluppo del bambino avviene grazie all’interazione reciproca fra tutti questi sistemi al cui intrno si trova il bambino Es. bambina i cui genitori fanno un lavoro flessibile e vive in una zona di livello medio-alta con tante strutture che aiutano i genitori ad accudirla vs bambino che vive co genitori che fanno lavori a turno e vive in periferia dove non ci sono strutture, per cui il bambino vive dai nonni e viene ripreso dai genitori solo quando ormai già dorme. Variabile fondamentale: Il tempo  non solo i contesti di crescita mutano nel tempo in funzione dei bisogni del bambino, ma anche in funzione dell’età che è un fattore determinante per capire come i diversi elementi in gioco nei contesti esercitino la loro influenza. 2)Il periodo prenatale Il periodo prenatale non è un periodo silente dal punto di vista della vita emotiva ma guida e definisce alcuni precursori dello sviluppo successivo. La vita emotiva e relazionale inizia prima della nascita e sappiamo dagli studi sul periodo prenatale (Trevarthen & Aitken, 1994) che il bambino che si sta formando ha precocemente la capacità di sentore e usare la sensorialità peer comunicare con il proprio ambiente intrauterino. Le aree deputate alla sensorialità occupano parti della corteccia che iniziano a svilupparsi molto precocemente. Al sesto mese di gestazione, l’orecchio è già formato, e comincia la sua funzione di ascolto recependo i suoni, in particolare la voce materna che da subito può avere una funzione calmante o attivante. Infatti, fin dalla nascita la voce materna sarà uno dei segnali comunicativi che il piccolo discrimina in maniera precisa e puntuale, anche tra altre voci femminili. Questo è stato misurato in termini di sguardo preferenziale e orientamento della testa + misure psicofisiologiche. Alla nascita i bambini riconoscono anche l’odore della madre in quanto seguono l’odore del latte materno che è simile a quello del liquido amniotico. Sempre durante il periodo prenatale si formano anche i circuiti dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene che sono strutture essenziali e funzionali al processamento emotivo. È importante notare che lo stress prenatale vissuto dalla futura madre (per esempio dovuto a un lutto o una separazione o in generale a un evento stressante) comporta un aumento del livello ematico di ormoni glucorticoidi con un effetto di trasmissione al feto attraverso la placenta. C’è un’associazione significativa tra stress prenatale materno ed esisti di sviluppi infantili (cioè conseguenza sul nascituro), in termini di: - Prematurità alla nascita - Nascite sottopeso  fattore di rischio per lo sviluppo del neonato - Circonferenza cranica infantile - Riduzione delle difese immunitarie (più suscettibili ad ammalarsi) - Propensione all’ansia - Qualità dello scambio diadico tra madre-bambino con una compromissione nei primi scambi comunicativi faccia a faccia. 3)Lo sviluppo precoce Per sviluppo precoce si intende lo sviluppo nei primi mesi di vita ed esso avviene in modo privilegiato nella diade genitore-bambino. È grazie allo scambio diadico che il bambino apprende e sviluppa tutte le competenze. 15 Nel giro di poche ore dalla nascita il bambino (Oster, 1978): - Può mostrare preferenza per la voce della madre, rispetto a quella di un’altra donna - Orientarsi verso l’odore della madre - Esprimere, attraverso il volto, emozioni distinte e discriminabili Questi orientamenti innati sembrano attestare una predisposizione infantile naturale (innata) ad evocare comportamenti di cura nella madre, consentendo di impostare quella che viene chiamata “comunicazione diadica”, che sta alla base dello sviluppo emotivo. Sequenza evolutiva delle capacità precoci dei bambini nei loro primi mesi di vita < Soufre che sottolinea l’interconnessione tra i piani di sviluppo cognitive, emotivo, relazionale e sociale. Sviluppo emotivo che avviene nella sua relazione con la madre, es: sorriso sociale. Sviluppo sociale: capacità della mamma di entrare in contatto con il bambino e quella del bambino di sintonizzarsi con lei. Dal punto di vista dello sviluppo neurologico sappiamo che, pur essendo il cervello del neonato più piccolo di 1/3 rispetto a quello dell'adulto, esso possiede tutti i principali sistemi già localizzati e capaci di operare in maniera funzionale e specializzata, incluse le mappe sensoriali e motorie necessarie per la comunicazione socio emotiva. Il periodo di sviluppo neonatale e infantile inoltre è caratterizzato da due processi: - Sinaptogenesi creazione di connessioni neurali. Picco a 9-24 mesi quando la densità delle connessioni sinaptiche raggiunge circa il 150% di quelle osservate nell' adulto. - Mielinizzazione costruzione della guaina mielinica intorno alle fibre che consente agli impulsi di scorrere più velocemente. Le aree sensoriali sono quelle a più elevato livello di mielinizzazione. I neuroni creano sinapsi ad un ritmo molto elevato, costituendo così la base dei numerosi momenti di apprendimento dei piccoli. Cosa consente al bambino di sviluppare nuove connessioni neurali e di apprendere ad un ritmo così prodigioso? Un elemento molto importante è rappresentato dalla comunicazione face to face, ossia dalla comunicazione diadica in cui il piccolo e il genitore si negli occhi e scambiano informazioni emotive tramite il volto. 16 Nella nostra cultura è molto importante la comunicazione faccia a faccia, anche per esempio l’allattamento nei momenti di pausa la madre spesso cerca lo sguardo del bambino. In altre culture non è così importante, infatti in certe tradizioni i bambini vengono portati sulle spalle oppure lasciati da soli nelle culle. All'interno di questi scambi a due il genitore da una parte risponde ai segnali del bambino e dall’altra lo guida e lo regola attraverso i propri segnali. Così si creano le prime protoconversazioni emotive con contenuti e ritmiche ne definiscono la qualità (Chiaramente la conversazione non avviene attraverso i contenuti.) Fin dai primi mesi di vita il bambino ha un insieme di competenze che lo orienta a interagire e comunicare con gli altri  protoconversazioni innate, che assumono la forma di un vero e proprio dialogo sociale. Secondo Trevarthen il bambino possiede una motivazione innata a comunicare che si esprime molto precocemente attraverso l'uso di segnali: lo sguardo, le vocalizzazioni, la mimica facciale e la capacità di utilizzare regole conformi a quelle che governano le conversazioni (es. l'alternanza dei turni). Le recenti scoperte in ambito neurobiologico mettono in luce come la coordinazione intermodale, l’intersoggettività e la memoria implicite in queste prime forme di regolazione poggiano su un substrato organico chiamato neuroni specchio. Il sistema senso motorio svolge una vera e propria impalcatura per lo sviluppo sociale. Inoltre, hanno un ruolo importantissimo anche le funzioni di: - Mirroring  rispecchiamento da parte della madre. - Marcatura  rinforzo al gesto del bambino da parte della madre che si conclude con un sorriso. Queste due funzioni permettono di amplificare le richieste e i bisogni del bambino Su questi primi scambi si costruisce lo sviluppo delle capacità relazionali future del bambino. È nello scambio diadico che si definiscono le prime connessioni emotive e il senso di sé in relazione all'altro. Un’altra attività che illustra bene questo punto è l’imitazione di cui i bambini sono capacità già fin dalle prime ore dopo la nascita. In particolare alla nascita riescono ad imitare alcuni movimenti del volto come la protrusione della lingua o sbattere le palpebre. Poi, intorno a: Il pianto è un altro segnale comunicativo di primaria importanza. Esso è il segnale con cui si esprimono i propri sentimenti (e richiamare vicinanza) e raggiunge il suo picco espressivo tra le 6 e le 8 settimane dopo la nascita. 17  è un processo di scambio reciproco e di mutualità in cui genitore e bambino si co-regolano attraverso incontri comunicativi che hanno luogo nel dialogo faccia a faccia. Il sistema di co-regolazione emotiva tra caregiver e bambino procede attraverso sia stati affettivi coordinati che non coordinati, che costituiscono in tal senso errori di sintonizzazione reciproca. Quindi la comunicazione non procede attraverso sintonizzazioni perfette, ma attraverso errori e riparazioni delle stesse. Non tutti i bambini sono uguali e si possono trovare precocemente delle differenze individuali nel modo di reagire e di sapersi autoregolare. Una differenza di genere vede una maggiore abilità e precocità delle femmine nelle capacità autoregolazione rispetto ai maschi, soprattutto nelle prime fasi dello sviluppo. Questa co-regolazione trova riscontro a livello neurale dove lo scambio di emozioni fra genitore e e bambino favorisce la costruzione di una rete neurale tra cervelli  Inter-brain network. Per cui le regioni limbico-frontali di genitore e bambino trovano una forma di mutua coordinazione sono associate alla formazione del legame di attaccamento. 6)Costruzione del legame, dell’attaccamento e dei legami familiari Dobbiamo distinguere due concetti: - Bonding/legame: il sentimento genitoriale di essere connesso con il proprio piccolo e di sentire un senso di amore e di vicinanza incondizionati. Non è immediato, bensì richiede tempo perché si instauri ma la maggior parte dei genitori lo sviluppa. - Attaccamento Il cambiamento nelle relazioni è sostenuto da cambiamenti a livello ormonale. L’ossitocina, che aumenta in gravidanza e si mantiene alta nel periodo dell’allattamento, amplifica la salienza dei segnali sociali rendendo così la madre più sensibile ai segnali emotivi e comunicativi provenienti dal proprio figlio, aumentando il senso di connessione. Grazie alla qualità degli scambi comunicativi precoci avvengono progressi e trasformazioni che portano alla costruzione del legame di attaccamento. Nel primo anno di vita, attraverso la relazione diadica con la madre, il bambino raggiunge una serie di risultati rispetto alla propria capacità di scambiare emozioni e di regolarle: Se la madre imposta su questi eventi un'interazione sensibile, regolare e prevedibile, il bambino avrà i mezzi per poter anticipare gli eventi in senso positivo, calmando l'intensità dei suoi stati emotivi Stern (1985) per quanto riguarda la seconda metà del primo anno di vita parla della capacità di «tenere il genitore nella mente» come base per la competenza regolatoria, che si alimenta grazie all’attenzione condivisa e la sintonizzazione emotiva. Cosa intendiamo per attaccamento? 20 La teoria dell'attaccamento (John Bowlby, 1969; 1973; 1980)  sostiene che il piccolo sia dotato di un sistema motivazionale a ricercare prossimità e vicinanza protettiva con i propri conspecifici riconosciuti come capaci di offrire una cura, autoregolandosi in funzione di questo obbiettivo. La figura di attaccamenti avrà quindi la doppia funzione di: - Porto sicuro (safe haven): per assolvere alla funzione di calmare il piccolo nei momenti di disagio o stress. - Base sicura (secure base): per assolvere alla funzione di promuovere e consentire l'esplorazione e l'iniziativa. L'attaccamento si definisce attraverso tre aspetti principali: 1. La presenza di una motivazione a base innata, riscontrabile in tutti gli esseri umani e connotata dalla spinta a mettere in atto comportamenti specifici (es. ricerca di prossimità allo scopo di ottenere protezione da un conspecifico. 2. Il fatto che tale propensione comportamentale avvenga in precise circostanze, ossia con persone affettivamente significative e quando il bambino vive particolari vulnerabilità (es. separazione, paura, perdita, fatica, malattia o disagio). 3. I comportamenti di attaccamento sono specifici, hanno una sequenza specifica e terminano una volta conseguito l'obiettivo della vicinanza o prossimità protettiva. Al compimento del primo anno di età l’attaccamento è consolidato e il bambino ha acquisito un suo modo di sperimentare il senso di protezione e di aiuto da parte del genitore. Questa forma di apprendimento che si mantiene abbastanza stabile per l’intero arco di vita assume una specifica fisionomia in funzione della sensibilità e responsività ei genitori. Le differenze individuali tra i bambini sono già identificabili a partire dal primo anno di ita e sono valutate attraverso alcuni metodi, tra cui la procedura della Strange situation (Ainsworth et al., 1978). Si tratta di una seduta di osservazione strutturata, che permette di valutare la qualità dell’attaccamento madre bambino. Questa è la procedura: 1. Madre e bambino vengono accompagnati nella stanza 2. Lasciati soli e il bambino è libero di esplorare liberamente l'ambiente per 3 minuti 3. Entra un estraneo, si siede, parla con la madre e si mette a giocare con il bambino (3 minuti) 4. La madre esce dalla stanza. Il bambino e l'estraneo restano soli per 3 minuti 5. Prima riunione: la madre torna e l'estraneo esce in maniera discreta. La madre, se necessario, consola il bambino, e cerca di rimettersi a sedere (3 minuti) 6. La madre esce nuovamente dalla stanza e il bambino rimane solo per 3 minuti 7. L'estraneo entra e cerca, se necessario, di consolare il bambino. Poi si accomoda sulla sedia (3 min) 8. Seconda riunione: la madre ritorna e l'estraneo esce dalla stanza in maniera discreta. La madre consola il bambino e cerca di tornare sulla sedia (3 min) Ci sono quattro categorie attraverso cui i bambini esprimono il loro bisogno di vicinanza protettiva con il genitore, cioè il loro attuamento: categoria dell’attaccamento sicuro insicuro-evitante, insicuro-ansioso-ambivalente-resistente e attaccamento disorganizzato. 21 Il legame di attaccamento costituisce una pietra miliare della costruzione del legame sociale infantile e ne segna le qualità spontanee e involontarie con cui il piccolo si rivolge all'altro per cercare conforto e sicurezza, così come per sperimentare la propria autonomia, con differenze ben definite a partire dal compimento del primo anno di vita. 7)Temperamento, socializzazione primaria e comportamenti genitoriali Come mai bambini che appartengono allo stesso nucleo familiare ricevono cure genitoriali diverse? Perché non contano solo i processi estrinseci come l’attaccamento ma anche i fattori intrinseci ovvero il temperamento infantile. Quali sono i fattori in grado di influenzare la vulnerabilità emotiva infantile? <Schaffer, 1996 Ogni contesto ha un proprio linguaggio di significati emotivi condivisi attraverso cui le persone che vi appartengono sono in grado di comprendersi a vicenda di mettere in atto pratiche di interazione sociale condivise. Il processo di socializzazione ha come esito l'acquisizione da parte del 22 Alcune condizioni di sviluppo atipico, come l’istituzionalizzazione (orfanotrofi) indicano cosa può succedere in caso di compromessa co-regolazione emotiva, qui quando siamo in una condizione di trascuratezza emotiva.  bambini istituzionalizzati: lo scambio faccia a faccia è deficitario o assente L’alternanza di più caregiver e l’assenza di uno dedicato non consente un sufficiente scambio emotivo diadico regolato e comporta un necessario adattamento del bambino alla condizione ambientale in cui si trova. Dalle ricerche di rene Spitz sappiamo che questi bambini entrano progressivamente in uno stato di apatia in cui non solo si ritirano dall’ambiente entrando in un mondo a sé, ma rinunciano a creare attivamente stimoli emotivamente significativi nell’ambiente che li circonda. I piccoli non entrano direttamente in questo stato di ritiro, ma passano attraverso degli stati in cui cercano di ripristinare la connessione emotiva, nella cosiddetta fase di protesta la protesta rappresenta un tentativo attivo di connettersi emotivamente con il caregiver. Se quest’ultimo non risponde in modo sintonizzato allora avviene progressivamente il ritiro. Se il periodo in orfanotrofio dira più di sei mesi le capacità relazionali ed emotive del bambino sono deficitarie rispetto ai bambini cresciuti in situazioni normative. Tuttavia, è una condizione non necessariamente irreversibile. Infatti, i bambini che accedono all’adozione possono trovare nella nuova famiglia adeguate occasioni di scambio emotivo. Spitz ha condotto degli studi sui bambini istituzionalizzati e descrive che c’è un rallentamento dello sviluppo successivo alla separazione dalla madre. Elabora la teoria sulla depressione Anaclitica, sindrome rilevata nei bambini sotto i 6 mesi ospedalizzati e deprivati della madre. Si hanno delle differenze e perdite sul piano fisico, psicologico e cognitivo. I bambini adottati, tolti dallo stato di deprivazione, recuperano in termini di crescita fisica ma si possono comunque presentare difficoltà e disarmonie che contribuiscono alla fragilità → questo dipende dalla tardività dell’adozione. Un’altra condizione di sviluppo atipico sono i casi di disturbi del neurosviluppo, come i disturbi dello spettro autistico, le sindromi genetiche tipo Sindrome di Williams e Sindrome di Down o i disturbi da deficit di attenzione e iperattività (ADHD). Le abilità nell’iterazione sono determinato dalle capacità di ciascun partecipante. In questi casi per i genitori sono gravati da un carico emotivo importante e dall’altra il bambino è meno responsivo, meno capace di attenzione focalizza, emette un minor numero di segnali vocali, è più agitato ed è meno capace di produrre segnali sociali chiari. Inoltre, i bambini con disturbi del neuro sviluppo hanno minori capacità regolatorie e quindi necessitano di un intervento più consistente e direttivo da parte del genitore. Questi fattori sono quindi in grado di compromettere lo sviluppo funzionale delle abilità di co- regolazione diadica. C’è quindi la necessità di un intervento più consistente da parte del genitore. 11)Comportamenti genitoriali (atipici) ed effetti sui bambini nella depressione post partum Abbiamo detto che il sistema di co-regolazione e sintonizzizioni madre-bambino procede attraverso stati emotivi coordinatine e non coordinati., in cui entrambi i partener possono far emergere errori interattivi. Negli stati non coordinati avviene una rottura comunicativa che se protratta o non riparata, può avere conseguenze sulle qualità del coinvolgimento sociale. È la madre che attraverso il suo ruolo di guida e di co-regolatore esterno, organizza queste evenienze e in condizioni normali gli errori vengono riparati rapidamente. 25 Dal punto di vista del bambino, la sensibilità e l’attenzione della madre nel cogliere i momenti di non sincronia e nel ripararli costituisce il segnale della viva presenza e la condizione per imparare a fare lo stesso. Le riparazioni riuscite costituiscono per il piccolo occasioni di costruire una rappresentazione di sé come efficace dal punto di vista comunicativo (“sono capito), delle sue interazioni come positive e riparabili e della madre come affidabile e raggiungibile/disponibile emotivamente. Ma cosa succede nei casi in cui le interazioni presentano caratteri atipici nei comportamenti del genitore? Dopo la nascita del bambino le madri possono incorrere in stati emotivi con umore deflesso e comportamenti depressivi, che vengono chiamati o “depressione post partum” o “maternity blues” a seconda del periodo in cui si manifestano e della severità dei comportamenti. Maternity Blues o «Sindrome del terzo giorno»: rappresenta una condizione transitoria che può insorgere nella donna dopo il parto che può durare da pochi giorni fino ad un massimo di 10 giorni. Tra i comportamenti atipici è presente la labilità emotiva, che si esprime con crisi di pianto, senso di inadeguatezza per il proprio ruolo con disinvestimento affettivo, irritabilit , ansia e insonnia. à̀ Questa condizione coninvolge circa il 50-80% delle donne e per questo viene considerata semi- fisiologica. La remissione prevalentemente spontanea (spesso proprio grazie alle sollecitazioni del bambino) Depressione post partum (o depressione puerperale): I comportamenti atipici rispetto al caregiving si prolungano oltre i dieci giorni, fino ad un massimo tra i 6 mesi e un anno dalla nascita del bambino. Questa condizione coinvolge “solo” il 10-15% delle donne. I comportamenti atipici sono: pianto frequente, disinteresse, mancanza di voglia di stare con il figlio, senso di astenia o mancanza di energie, sentimenti di colpa e timore di rifiutare o far male al neonato. Legata alla genetica e ad una serie di processi biochimici legati al parto e alla gravidanza, una gravidanza serena è una situazione protettiva legata al benessere e alla produzione di serotonina. La madre a rischio di depressione (genetica) è più probabile che abbia questo tipo di problematiche, occorre attivarsi tempestivamente e valutare una terapia d’ intervento sulla mamma. Importante non trascurare queste situazioni, fondamentale la cura della rete sociale (nonni, padre, ...) che la possano aiutare a recuperare. In conclusione, è lo stato di persistenza e di prolungamento nel tempo che fa la differenza in entrambe le situazioni, ed è responsabile di un eventuale effetto negativo sullo sviluppo sociale ed emotivo del bambino. La sperimentazione ripetuta di rotture della comunicazione e di riparazioni fallite ad opera della madre, può portare il piccolo a costruire un nucleo affettivo negativo di sé, caratterizzato da emozioni negative e fondato sulla rappresentazione di sé come inefficace nel produrre una risposta positiva e di condivisione da parte della madre e una rappresentazione della madre come poco disponibile. Quindi non si realizza quella sincronia comportamentale che si pone alla base dello sviluppo emotivo e sociale del piccolo e che è mediata a livello neurobiologico dal rilascio dell’ormone ossitocina. Il prolungamento nel tempo di questa qualità dei comportamenti materni ha un impatto sugli stati affettivi del piccolo e orientare la regolazione a favore di un’inibizione degli stati eccitatori/allegri e di un’accentuazione di quelli depressi. 26 La somministrazione di ossitocina sintetica nelle madri affette da depressione post partum ha mostrato alcuni interessanti risultati nel ridurre i comportamenti di ritiro e compromissione dell’interazione faccia a faccia tra le madri e i bambini. Genitorialità, attaccamento, interazione e relazione. I disturbi dell’attaccamento sono: 1)Disturbo da assenza di attaccamento: è comune tra i bambini istituzionalizzati o che hanno subito molteplici cambiamenti nelle figure primarie di attaccamento, non riuscendo in questo modo a costruire un legame di attaccamento privilegiato. Per questo non dimostrano alcuna preferenza per una figura adulta in particolare, non protestano alle separazioni o lo fanno in modo indiscriminato, cercando consolazione presso qualunque persona presente. Nella maggior parte dei casi, sono distaccati da tutti ed è difficile coinvolgerli in una interazione. I bambini non hanno sviluppato una relazione selettiva privilegiata con una figura di attaccamento. 2)Disturbo di attaccamento indiscriminato: sono bambini che non fanno riferimento a una specifica figura di attaccamento, ma si aggregano e si avvicinano a chiunque, anche in circostante minacciose o paurose. Fanno uso promiscuo e indiscriminato dell’altro, cercando talvolta conforto e protezione presso persone anche completamente estranee. Questo aspetto li può condurre a mettere in atto comportamenti rischiosi 3)Disturbo di attaccamento inibito: contraddistingue quei bambini che difficilmente si allontanano dalla figura di attaccamento per esplorare l’ambiente. Essi evitano attivamente le relazioni con persone estranee e sono riluttanti a giocare in ambienti estranei, sostituendo al gioco comportamenti di osservazione ipervigile del contesto. Troviamo 2 sottotipi: - Bambini con acquiescenza compulsiva nei confronti della figura di attaccamento perché impauriti da essa. Accondiscendono immediatamente e completamente come risposta a precedenti maltrattamenti o eccessive punizioni fisiche - Bambini con dipendenza eccessiva, impauriti e ansiosi di fronte a persone non familiari, che vivono le separazioni dalla figura di attaccamento con eccessiva angoscia 4)Disturbo di attaccamento aggressivo: si caratterizza per la presenza di una figura di attaccamento preferenziale, con cui la relazione è costantemente aggressiva e piena di rabbia, rivolta contro l’altro e verso il sé. Spesso il bambino ha subito o ha assistito a precedenti violenze domestiche. 5)Disturbo di attaccamento con inversione di ruoli: consiste in una modalità di attaccamento in presenza di genitori molto disturbati, di fronte ai quali il bambino si trova costretto, per sopravvivere, ad assumere egli stesso funzioni genitoriali nei loro confronti, in maniera talora compiacente, talora sadica. L’aspetto responsabile e il comportamento adultomorfo di questi bambini non consentono loro, anche in situazioni extrafamiliari, di trovare quel rifornimento affettivo necessario allo sviluppo. Dopo il primo anno di vita? 27 La sensibilità che i bambini hanno nei confronti dei diversi parametri della valutazione muta nel corso dello sviluppo e di conseguenza muta il loro comportamento emotivo. Soufre (1996) ci dice che si può parlare di emozioni in senso proprio sono dalla seconda metà del primo anno di vita, quando “la comparsa di un’emozione e il tipo di emozione che compare dipendono dal significato che l’evento acquista per il bambino”. Quindi le componenti della comprensione delle emozioni e il loro sviluppo dipendono dallo stadio di sviluppo entro il quale si trova il bambino. Pons, Harris e De Rosnay teorizzano le 9 componenti delle emozioni e il loro organizzarsi nel tempo: Nel periodo che va dai 2 i 5 anni i bambini accrescono la loro capacità di rievocare episodi a valenza emotiva del loro passato e usarli come. Ase della conversazione. A questo proposito Harris sottolinea che le ricerche hanno individuato due stadi dello sviluppo: - Nel primo i bambini di circa 2-3 anni riconoscono il ruolo giocato dagli obbiettivi e dai desideri nella valutazione che una persona dà di un certo evento emotivo - Nel secondo, che va dai 4 ai 5 anni, il concetto preesistente viene integrato con l’inclusione delle aspettative e delle credenze. Un paio di esempi, ci aiuteranno a capire cosa ciò significhi. Un compito che possiamo proporre a un bambino di due-tre anni e che questi risolverà con successo è il seguente: a un elefante peluche viene offerto del latte (bevanda che egli desidera perché gli piace) mentre a un altro peluche scimmia, viene offerto del latte anche se questa vorrebbe del succo di frutta. Se chiediamo al bambino di identificare le emozioni dei due protagonisti egli non avrà problemi a capire che, sulla base dei rispettivi desideri, l'elefante sarà contento e la scimmia sarà triste o arrabbiata. Il bambino è cioè in grado di esaminare la realtà per vedere se essa corrisponde a quanto egli o un altro desidera. Ora proviamo a proporre un compito analogo a un bambino di quattro-cinque anni: raccontiamogli, ad esempio, una storia in cui deve indovinare lo stato d'animo di un protagonista animale, un elefante, il quale crede erroneamente che dentro una lattina ci sia una bibita gassata, quando invece vi è del latte. All'età di cinque anni è pienamente raggiunta la nozione per cui l'elefante prima di scoprire il contenuto della lattina si sentirà felice, mentre dopo aver scoperto che la propria credenza è errata si sentirà triste. 30 Questi dati confermano che il bambino capisce lo stato d'animo di qualcun altro non associandolo meccanicamente a determinate situazioni, ma collocandolo in un più ampio insieme di stati psicologici in cui il ruolo dell'aspettativa e della credenza è essenziale. È dunque lecito attribuire ai bambini una comprensione teorica della mente, ossia una teoria della mente che sarebbe il modo in cui ciascuno di noi comprende e spiega il comportamento degli altri facendo riferimento agli stati interni che lo hanno determinato o che da essi derivano. Essa è guidata dai processi di apprai-al, in quanto essi spiegano e prevedono il comportamento emotivo altrui considerando le relazioni che sussistono tra concetti - come le credenze e i desideri - e non limitandosi a esaminare le associazioni tra situazioni e risposte emotive. Per il bambino significa capire che esistono punti di vista diversi sulle cose, che il comportamento manifesto può non coincidere con gli stati interni e che il comportamento è spiegabile e prevedibile sulla base di ciò che gli altri desiderano, sentono, vogliono, pensano o credono. Questa competenza aumenta gradualmente con l’età. Queste abilità possono essere stimolate dai genitori parlando delle loro emozioni, sollecitando il bambino ad entrare nei panni dell’altro, raccontando fiabe in cui vi è la spiegazione di stati d’animo, intenzioni ed emozioni, ecc. L’abilità di mentalizzazione è importante per comprendere gli altrui stati interni, dare senso ai comportamenti che da questi derivano, sostenere la conversazione, imparare a convincere qualcuno a fare ciò che si desidera (persuader). Una volta acquisite le abilità di metallizzazione si è in grado anche di dissimulare le emozioni. L’abilità di metallizzazione progredisce col tempo in base alla comprensione del bambino riguardo la rappresentazione mentale. Dernett propone la presenza di due sistemi intenzionali (o inferenziali)  Di prim’ordine → il bambino possiede desideri e credenze, ma non credenze sulle credenze degli altri. Utilizzando egli può, influenzare ciò che un altro fa, ma non il modo in cui l’altro pensa.  Di second’ordine → è un sistema ricorsivo per cui il bambino è in grado di riflettere su sé stesso; quindi, possiede le credenze sulle proprie e sulle altrui credenze. In questo caso il bambino è in grado di influenzare ciò che gli altri pensano e non solo ciò che fanno. 31 La complessità di un processo semplice e quotidiano, come quello attraverso cui attribuiamo un senso alla nostra e altrui esperienza emotiva, deriva dalla presenza simultanea di 3 aspetti: 1. Natura della comprensione emotiva che va dal semplice riconoscimento di emozioni di base (gioia, la paura, la tristezza e la collera), fino alla comprensione di emozioni complesse (ambivalenza e il senso di colpa), passando per la comprensione dell’influenza dei ricordi, dei desideri e delle credenze sulle emozioni 2. L’ordine gerarchico che segue lo sviluppo e il definirsi delle differenze individuali in relazione al possesso o meno delle singole competenze 3. Le conseguenze del modo in cui si comprendono le emozioni sulla qualità dei comportamenti sociali del bambino e, in generale, sulle sue competenze sociali. Es. mettere in atto comportamenti prosociali e aggressivi. Nel peridio prescolare inizia la capacità di intraprendere un’azione di cura e sostegno di un altro in difficoltà così come intraprendere azioni aggressivi verso gli altro. ma nel periodo scolare questi comportamenti diventano più frequenti segnalando una più matura acquisizione dei concetti emotivi, sociali e morali che sottendono queste azioni. 3)Regolazione delle emozioni, autocontrollo, attaccamento e legami familiari La regolazione delle emozioni è un processo importante per la nostra consapevolezza emotiva perché ci permette di regolare ed esprimere al meglio i nostri vissuti emotivi. Durante la fanciullezza la sfida evolutiva più importante rappresenta la capacità di acquisire autocontrollo. In questo momento dello sviluppo questa sfida è centrale per via della crescita del cervello: i lobi frontali, responsabili della capacità di controllo, pianificazione delle azioni e gestione delle emozioni, crescono lentamente, inoltre il processo di pruning sinaptico (potatura)che permette di ristruttura re e rendere più efficienti le connessioni inizia solo verso i 9 anni cioè verso la fine della fanciullezza. Esperimento del marshmallow Per studiare come funziona l'autocontrollo nel bambino, Walter Mische e colleghi hanno elaborato a Stanford negli anni Sessanta un esperi mento semplice, denominato "esperimento del marshmallow", che dette. risultati illuminanti.  La maestra dà al bambino un dolcetto e gli dice che può mangiarlo e che lei deve uscire una decina di minuti; aggiunge che, se attenderà il suo ritorno, avrà un altro dolce. Di fronte a questo compito, le differenze tra i bambini diventano evidenti: alcuni sono in grado di resistere, magari a fatica, mangiandone un pezzetto, e di auto- controllarsi per ricevere il premio del secondo dolce, altri non riescono e approfittano del momento per mangiarlo senza riuscire ad aspettare. È interessante vedere cosa succede quando questa comunicazione viene data a una coppia di bambini ed entrambi devono aspettare per avere il secondo dolce: in questa situazione di maggiore rischio, perché ognuno è nelle mani dell'altro, si scopre che l'autocontrollo del bambino aumenta. Grazie al progressivo aumento di autocontrollo con l’aumentare dell’età cambiano anche gli atteggiamenti educative e le aspettative verso i comportamenti dei bambini. Verso la fine della scuola primaria ci si aspetta che sappiamo controllarsi e programmare le azioni in modo più efficiente. Entrambe le figure genitoriali, assumono un ruolospecificoe e durante il periodo prescolare, inoltre, il bambino sviluppa gradualmente la propria capacità di autoregolazione emotiva, acquisendo nuovi strumenti. Le strategie di autoregolazione maturano con l’età e possono essere così riassunte: ➔ 3-6 anni: 32 - costruire una cultura sociale distinta da quella degli adulti, contribuendo in tal senso al crescere della loro autonomia Tipologie di gioco - Gioco libero  in questa rientrano i giochi di esercizio dove i bambini si divertono a correre o rincorrersi, fare giochi turbolenti (es. fare la lotta) - Gioco individuale - Gioco di fantasia o di finzione  Ha un ruolo fondamentale. Costituisce uno dei giochi cardine della fanciullezza che consente al bambino di sviluppare diverse competenze (es. giocare a fare la principessa o il dottore). Intorno ai 4 anni un gioco di fntasia diventa collaborativo nei confronti dei pari che contribuiscono a costruire scenari immaginari e condivisi in cui le abilità di mentalizzazione. Questo gioco consente anche ai bambini di provarsi nel ruolo dell’adulto e sperimentare una sensazione di controllo e comprendere le norme sociali. Esso permette anche di sperimentare la negoziazione e il conflitto che sono parte integrante del giocare insieme. - Gioco finalizzato allo sport  Sono spesso accompagnati dalle emozioni di orgoglio, frustrazione, rabbia e felicità- in genere iniziamo il primo sport nella media fanciullezza. Le emozioni di orgoglio, frustrazione, rabbia e felicità sono le esperienze che accompagnano questi momenti di gioco, facilitando nei bambini l’incontro e il confronto con l’altro. il confronto costante con i pari nel gioco favorisce la conoscenza i sé e degli altri che porta a costruire i legami di amicizia. I bambini cominciano a cercare e riconoscer il valore dell’amicizia intorno ai tre anni. La prima spinta a cercare e trovare un amico è l’affinità di interessi e di attitudini caratteriali, nonché la condivisione di attività di gioco. I bambini più piccoli trovano nella condivisone delle attività la spinta a cercare l’amico, mentre i bambini più grandi integrano queste prime esperienze con attività che rispondono al bisogno di riconoscere ed essere riconosciuti. L’amicizia risponde al naturale bisogno di connessione emotiva e di intimità di questo momento dello sviluppo. È proprio grazie ai legami di amicizia che si scopre e si valorizza il punto di vista dell’altro, alimentando in tal senso quella abilità sociale fondamentale che è la capacità di metallizzazione. Relazione tra fratelli È un’altra palestra importante per sperimentare e sviluppare la regolazione emotiva e la gestione del conflitto. All’interno della relazione tra fratelli si sperimentano le emozioni relative a: gioia, gelosia, confronto, competizione, empatia e senso di supporto. Questa relazione è importatane anche per sviluppare le abilità di metallizzazione; infatti, giocare in modo cooperativo anziché conflittuale con i fratelli offre occasioni preziose per lo sviluppo di tali abilità. Il genere, il rapporto col genitore e l’ordine di nascita sono fattori importanti per la relazione fra fratelli. 35 Nb: L’atteggiamento affettivo ed educativo dei genitori, così come le caratteristiche individuali del bambino (temperamento e genere) fanno la differenza rispetto agli esiti positivi o negativi a cui questi processi potranno andare incontro. 5)Stili genitoriali, socializzazione e implicazioni educative Dal punto di vista affettivo è vitale che i genitori favoriscano un legame di attaccamento, mentre dal punto di vista educativo ciò che conta sono gli stili genitoriali, ossia i modi diversi attraverso cui i genitori si rapportano ai figli per far rispettare le regole e la disciplina. L’analisi di Baumrind sintetizza quattro principali stili genitoriali, ognuno con caratteristiche e poteri educativi diversi. 1)GENITORI AUTOREVOLI Offrono un buon bilanciamento tra l’offrire cure e attenzione al proprio figlio e il saper settare e far rispettare le regole. Danno affetto e calore ai figli lasciando loro un grado di libertà consono all’età, non ricorrendo a comportamenti coercitivi per far rispettare le regole. Usano i loro comportamenti come esempio (modeling) e non si contraddicono fra affermazioni e comportamenti. Effetto educativo sui bambini  sviluppo armonico emotivamente e responsabile educativamente in cui le richieste vengono negoziate, ma non pretese, e lo scambio affettivo sostiene quello educativo. 2)GENITORI AUTORITARI Adottano uno stile coercitivo e non flessibile per far rispettare le regole. Danno priorità al rispetto delle regole piuttosto che allo scambio affettivo e all’ascolto dei bisogni. Le regole sono trattate in senso generale e non personalizzate in base alle situazioni e alle caratteristiche individuali dei bambini. Effetto educativo sui bambini  buona efficacia disciplinare immediata a discapito della qualità emotiva della relazione, con una minore propensione dei figli al senso di responsabilità individuale rispetto ai loro comportamenti. 3)GENITORI PERMISSIVI il principio dell’indulgenza e della priorità della qualità emotiva della relazione passa davanti al principio del rispetto delle regole e soprattutto dei ruoli (sono l’opposto dei genitori autoritari). I 36 genitori permissivi instaurano un rapporto di reciprocità e simmetria con i figli, facendo sì che siano i bisogni dei figli a dettare tempi e modi di rispetto delle regole. Effetto educativo sui bambini  un benessere immediato dei bambini ma non sul lungo termine in cui la scarsa esperienza di frustrazione e dei limiti rende i bambini più vulnerabili e deficitari nell’autostima e nelle capacità di autoregolazione emotiva. La responsabilizzazione è debole e dipende dal clima emotivo vigente nei diversi contesti. 4)GENITORI TRASCURANTI/RIFIUTANTI Costituiscono il contesto educativo di maggior rischio in quanto sono genitori carenti sia sul versante affettivo sia su quello disciplinare. Il loro atteggiamento è spesso dettato da un loro malessere individuale o condizioni socioeconomiche svantaggiate. Ignorano, trascurano o non considerano i bisogni dei figli che vengono spinti ad una precoce e indebita autonomizzazione per non pesare sui genitori. Le indicazioni disciplinari sono messaggi educativi deboli e poco efficaci. Effetto educativo sui bambini  è diverso, spazia da bambini che assumono attivamente un ruolo simil-genitoriale cercando di essere più adulti della loro età, a bambini che si lasciano andare e assumono comportamenti di rischio. In entrambi casi questo stile genitoriale è considerato una forma di maltrattamento, perché priva il bambino di uno dei suoi diritti fondamentali per la crescita. La suscettibilità all’ambiente I bambini “dente di leone” risentono di meno dell’ambiente e crescono indipendentemente dall’ambiente. I bambini “orchidee” sono più sensibili all’ambiente e traggono massimo beneficio da ambienti positivi e massimo danno da ambienti negativi. Il comportamento educativo dipende anche da componenti biologiche e genetiche del comportamento sia del genitore che del bambino. Infatti, il genitore condivide specifiche predisposizioni genetiche e genetica/temperamento svolgono un ruolo importante nel determinare le caratteristiche degli scambio genitore-bambino. Meccanismi attraverso cui si esplica l’influenza genetica 1)Alcuni geni operano influenzano la suscettibilità all’ambiente. - Es. fenilchetonuria  riduzione di fenilalanina  QI normale. - Es. studi sui comportamenti criminali in Scandinavia Livello di criminalità basso quando genitori biologici ed adottivi erano non criminali; Maggiore se il g. adottivo era criminale; Ancora più elevato se il g. biologico era criminale; In assoluto più elevato se i due genitori (b. e ad.) erano criminali. Fattori ambientali hanno una maggiore influenza se c’è un rischio genetico 2) Il patrimonio genetico contribuisce a determinare l’esposizione al rischio ambientale. Questo avviene in 3 modi: 1. Correlazione passiva tra fattori genetici ed ambiente (genitori offrono un corrredo genetico ma anche un determinato ambiente) 2. Azione dei geni sui comportamenti del soggetto e sulle reazioni degli altri (es. temperamento) 3. Selezione attiva dell’ambiente da parte del soggetto. Influenza genetica ed età Effetti più importanti non alla nascita ma dalla seconda infanzia in poi. Alcune funzioni, per esempio, hanno bisogno di tempo per manifestarsi. 37 Una scarsa o compromessa capacità di regolazione delle emozioni può emergere nel periodo della fanciullezza in maniera più evidente rispetto al periodo infantile e costituire un elemento che contraddistingue le differenze individuali in questo momento dello sviluppo emotivo. Esperimenti sulle scimmie hanno mostrato i principali percorsi evoluivi che questi comportamenti possono seguire a partire dalla prima infanzia. Problemi comportamentali Si tratta di comportamenti che costituiscono un problema sia per il bambino che li mette in atto che per le persone che stanno in quotidiana interazione con lui. Riguardano aspetti di regolazione del comportamento e hanno origine da un insieme di fattori (tra cui anche lo sviluppo dell’ippocampo che contribuisce alla conoscenza di sé e del mondo) che, oltre ad essere responsabile della loro insorgenza, ne agevola anche il mantenimento. Ci sono due grandi gruppi di disturbi: i disturbi da internalizzazione e quelli da esternalizzazione Disturbi da internalizzazione o internalizzanti Costituiscono un valido esempio di compromessa regolazione emotiva. Questi comprendono i disturbi d’ansia e dell’umore e sono caratterizzati da una regolazione emotiva atipica. Le aree della disregolazione che sono più implicate sono quelle relative alle modalità di coping e alla regolazione dei fattori neurobiologici compresi nella risposta allo stress. I bambini a rischio per lo sviluppo di disturbi internalizzanti fanno uso di strategie di coping spesso improntate a: - Repressione dell’emotività negativa, - Al ritiro - All’uso ridotto del supporto sociale - All’attribuzione interna della colpa e della responsabilità - All’idealizzazione di relazioni affettive problematiche L’interiorizzazione della rabbia e dell’ostilità rappresentano i meccanismi principali alla base dello sviluppo di questi comportamenti. Pensieri tipici: «Sbaglio tutti i compiti, non ce la posso fare» «Non ho amici perché sono bassa» «Non riesco a giocare a calcio, sono lento, è meglio che non giochi» Disturbi da esternalizzazione o esternalizzanti/esternalizzati Comprendono il disturbo esplosivo intermittente, i disturbi della condotta, il disturbo oppositivo provocatorio. Le caratteristiche distintive sono: - Tendenza a non rispettare le regole - Facile irritabilità - Frequente uso dell’aggressività come risolutrice dei conflitti interpersonali - Difficoltà di concentrazione - Impulsività - Tendenza all’attribuzione esterna di colpa e responsabilità Pensieri tipici: «Ho preso un brutto voto: è colpa dell’insegnante» «Se gioco a calcio e non vinciamo è colpa dell’arbitro o dei miei compagni» In entrambe le tipologie, i genitori e gli insegnati non devono rinforzare i comportamenti problematici ma devono favorirne una riduzione. Ci sono alcuni elementi che concorrono allo sviluppo delle problematiche comportamentali: - Genere le femmine sono più inclini all’internalizzazione e i maschi all’esternalizzazione - Temperamento e le caratteristiche neurobiologiche in interazione con gli stili genitoriali, 40 - Caratteristiche di attaccamento dei genitori Differenti tratti temperamentali del bambino possono avere diversa sensibilità ai rinforzi che arrivano dall’ambiente educativo. 9)Maltrattamento e abuso infantile Il maltrattamento infantile comprende atti che minacciano il benessere fisico e/o psicologico di un bambino. È un fenomeno più diffuso di quanto si pensi: uno studio statunitense, chiamato Adverse Childhood Experiences (ACE), ha stimato la presenza di almeno un episodio di maltrattamento in metà delle famiglie e dei soggetti consultati. In Italia è un fenomeno in crescita. Le forme attraverso cui si manifesta: - Trascuratezza materiale e/o affettiva (venir meno di supervisione o cure adeguate: incuria, discuria o ipercuria nei bisogni materiali del bambino ad es. l’alimentazione o i vestiti, o nei suoi bisogni affettivi ad es. l’accompagnamento nella fase di addormentamento, consoazione nei momenti di bisogno) - Violenza assistita (assistere a conflitti tra i genitori o familiari, a molestie sessuali o violenze su altri familiari) - Maltrattamento psicologico (critiche costanti, umiliazioni o ironia svalutante) - Patologia dele cure (discuria/ipercuria ossia cure distorte o eccessive) - Maltrattamento fisico (punizioni fisiche ricorrenti, percosse con oggetti, traumi) - Abuso sessuale (esibizionismo, molestie verbali, esposizione all’esibizione di materiali pedopornografici, toccamenti e atti di masturbazione, tentativi di penetrazione e penetrazione). Fattori che possono predisporre a questo tipo di esperienze - Caratteristiche socioeconomiche della famiglia: una situazione di povertà e trascuratezza costituisce un fattore di rischio maggiore. - Personalità dei genitori: presenza di disturbi di natura psicopatologica come depressione, psicosi o disturbi di personalità, dipendenza da alcool o sostanze. - Stress nel rapporto di cura: può predisporre un genitore al maltrattamento in particolare un attaccamento di tipo disorganizzato, unito alla sensazione di impotenza, carenza di abilità riflessiva e scarso supporto sociale. Dalla parte del bambino, alcune caratteristiche individuali sono considerate fattori di rischio: - Temperamento (bambini inconsolabili, irascibili o vivaci) - Prematurità - Disabilità fisica o intellettiva - Fragilità che accompagnano la vita del bambino I bambini che più avrebbero bisogno di cure e attenzioni risultano essere quelli a maggior rischio di maltrattamento. Cosa comporta per un bambino subire abusi o maltrattamenti? Gli effetti sullo sviluppo e sulla compromissione delle risorse individuali possono essere da lievi a gravi a seconda dell’entità del maltrattamento, dalla loro persistenza nel tempo e dalla tipologia di persone coinvolte. I bambini che hanno subito abuso o maltrattamento soffrono frequentemente di: - Problematiche comportamentali esternalizzanti o internalizzanti - Si ammalano più frequentemente per un abbassamento delle loro difese immunitarie - Risultano meno capaci di mentalizzazione rispetto ai pari 41 - Sono spesso rifiutati a livello scolastico - La loro performance subisce una chiara compromissione durante o in seguito agli abusi La risposta psicologica a livello emotivo è quella della vergogna e del senso di inadeguatezza, con una chiusura che a volta può essere erroneamente confusa con distacco o rifiuto. 42 Solo intorno ai 20 anni concepiamo i principi universali di equità e giustizia e riusciamo ad aderire alle norme che facilitano il funzionamento sociale. La presenza di una pluralità di ambiti fa sì che la compressione di un comportamento e la relativa adesione a una regola/norma susciti inevitabilmente una risposta emotiva. Le conseguenze emotive degli interventi educativi volti a far rispettare regole morali sono legate alla correttezza con cui l’educatore dà la sua indicazione rispetto agli ambiti di pertinenza. 4)Emozioni e relazioni familiari Le adesioni ai principi e ai valori morali (e l’azione morale) non hanno un carattere freddo o solo razionale, ma di presentano come delle hot cognition  processi di pensiero accompagnati da sentimenti e da carico emotivo. Le emozioni morali  si configurano come processi veloci e intuitivi e si legano specificamente a momenti di scambio relazionale in cui sono coinvolti giudizio o azioni morali. Queste appaiono rapidamente e in modo automatico. A differenza delle emozioni di base che derivano da percezioni/sentimenti/esperienze che hanno un’immediata rilevanza per il sé, quelle morali sono legate agli interessi e al benessere della società e dei singoli individui. Quindi esse sono evocate da circostanze che vanno oltre. Gli interessi personali e sono fondamentali per la creazione di legami e della coesione di gruppo. Tanto più un’emozione morale tende ad essere attivata da condizioni lontane dagli interessi del soggetto, tanto più essa tende ad essere considerata prototipica. Si creano così diverse famiglie di emozioni morali. Le emozioni morali compaiono intorno ai 18 mesi e si sviluppano in modo completo introno ai 3 anni. Esse comprendono: 45 - Senso di colpa - Vergogna - Imbarazzo - Disprezzo - Timidezza - Orgoglio - Empatia - Disgusto Queste spongono il soggetto, direttamente o indirettamente, al giudizio degli altri e quindi indicono l’individuo a tenere in considerazione l’insieme di regole, norme e standard di comportamento che rientrano nella propria cultura di appartenenza. Vengono anche definite emozioni autoconsapevoli perché i processi mentali implicate nella loro attivazione comportano il mettere al centro dell’attenzione se stessi e richiedono una valutazione personale nei confronti degli altri. Possiamo vedere le emozioni morali lungo un continuum, dove l’imbarazzo (emozione meno forte) occupa il primo posto, al centro c’è la colpa e da ultima la vergogna (caratterizzata da una maggiore intensità). Dobbiamo fare riferimento anche alle relazioni familiari per capire lo sviluppo morale. Nelle regole dell’agre morali sono implicati anche i legami di attaccamento nei loro aspetti di regolazione emotiva e di vincoli imposti dalle diverse forme di insicurezza. Indizi della coscienza morale Il paradigma dell’oggetto rotto: Al bambino viene presentato un oggetto con cui inizia a giocare, improvvisamente l’oggetto si rompe Lo sperimentatore porta un nuovo oggetto riparato ma la reazione del bambino può indicare senso di colpa o meno. 5)Regole e disciplina: il valore dell’obbedire e del trasgredire Educare i figli al rispetto delle regole è uno degli obbiettivi primari del processo di socializziamo perché grazie all’adesione agli standard comportamentali di un determinato contesto familiare/socioculturale è possibile un buon adattamento del bambino. Un passaggio fondamentale nella formazione della coscienza morale è dato dalle esperienze di: - Obbedire - Trasgredire Se nei primi momenti dello sviluppo il genitore esercita un controllo attivo sul bambino, con la crescita esso assume sempre più una funzione di guida e conta su una progressiva interiorizzazione delle norme di comportamento da parte del bambino. Ma come mai ubbidire e disubbidire costituiscono un passaggio importante per il costruirsi della coscienza morale e per l’interiorizzazione di tali norme? Un tempo si pensava che i bambini ubbidissero per paura dei genitori o delle conseguenze di un eventuale trasgressione. Oggi invece sappiamo che l’obbedienza e disobbedienza costituiscono importanti momenti di percezione e riconoscimento del valore dell’altro. Quindi attraverso l’esperienza di ubbidire e disubbidire si presentano occasioni di interiorizzazione di regole e principi morali che trovano espressione in queste circostanze. 46 Tra i 2 e i 5 anni (corrispondenza con lo sviluppo della TDM) i bambini aumentano la partecipazione agli incontri disciplinari, confrontando le loro volontà con quanto viene chiesto ai genitori, e disubbidiscono in una percentuale che va dal 20 al 40 per cento delle volte. Vista questa alta percentuale possiamo considerare fisiologico e funzionale tale comportamento. La disobbedienza/obbedienza non è in contrasto con l’interiorizzazione delle norme ma sono passaggi complementari al raggiungimento della coscienza morale. Infatti, la ricerca mostra che i bambini obbedienti sono quelli che interiorizzano più velocemente e con maggiore efficacia i principi morali. Ma tutti i tipi di obbedienza sono uguali? Vediamoli: - Obbedienza centrata sulla situazione: il bambino risponde positivamente e ubbidisce ma senza una vera partecipazione o entusiasmo.  il bambino limita la sua adesione disciplinare alla situazione specifica con una partecipazione emotiva neutra. - Obbedienza centrata sull’impegno: il bambino rispende positivamente ubbidendo con partecipazione entusiasmo, cercando anche attivamente un rinforzo rispetto alla propria azione. Es. “si lo faccio. Sono stato bravo?”.  il bambino partecipa aderendo ai valori del genitore. In questo caso l’interiorizzazione dei valori morali è più salda e duratura. Anche lo stile genitoriale con cui ci si rivolge al bambino ha un peso. Si rivelano più duratura e fruttuose negli effetti evolutivi quelle condotte improntate a una certa disciplina sensibile, cioè richieste disciplinari portate avanti con sensibilità ai tempi, bisogni e risorse del bambino. Strategie educative dei genitori per favorire l’interiorizzazione delle regole (Hoffman, 2020) - Disciplina basata sul potere Principio di autorità e Non favorisce l’interiorizzazione - Disciplina basata sul ritiro dell’amore Principio ritiro dell’affetto e Non favorisce interiorizzazione principi morali - Disciplina induttiva Si fonda sull’empatia e sul PT che è stimolato a mettersi nei panni dell’altro e a valutare le conseguenze delle proprie azioni e Favorisce l’interiorizzazione dei principi morali 6)Sviluppo empatico e comportamento prosociale Empatia  emozione che riguarda il settore della morale relativo ai comportamenti di cura e aiuto. Hoffman la definisce come “la risposta affettiva più appropriata alla situazione di un’altra persona che alla propria” e che permette di “sentire ciò che sente l’altro”. I processi psicologici implicati nell’empatia fanno sì che i sentimenti di una persona siano più consoni alla situazione di un altro che alla propria. L’elemento distintivo dell’attivazione empatica è l’empathic distress (sofferenza empatica) che fa scattare il comportamento di aiuto o comportamento prosociale. Lazione prosociale di solito imolica un aiuto in favore della persona che soffre o è in pericolo. L’attivazione del distress empatico si attiva in forme diverse tra le persone. Alcune sono elementari e automatiche, mentre altre (mediazione verbale e assunzione di ruolo) sono più complesse e implicano l’intervento di processi cognitivi superiori che consentono di provare empatia anche per persone assenti in quel momento. Vediamole: - Mimicry (mimesi): è la prima forma elementare che avviene negli incontri faccia a faccia e vede una coincidenza immediata e involontaria dei sentimenti espressi dalla vittima e dall’osservatore. C’è un messaggio non verbale rapido e immediato che esprime un senso di compartecipazione e aiuto. 47 - Piaget (1932)  i bambini passano da una considerazione del rispetto basata sull’autorità esterna e paura della punizione, a una basata su una maggiore interiorizzazione della norma e legata ai rapporti reciproci con gli altri. - Husueh, Shwalb (2005/8) nella media fanciullezza (8-10 anni) la maggior parte dei bambini segue la regola per cui il rispetto si basa sulla reciproicità (“fai quello he vorresti fosse fatto a te”). Quindi a partire dalla media fanciullezza e con un consolidamento progressivo nell’adolescenza mostriamo un crescente senso di correttezza e rispetto basato sul senso di reciprocità e orientato alla collaborazione indipendentemente dalla paura della punizione o dall’autorità. Le ricerche più recenti hanno messo in luce che il senso di rispetto si evolve grazie all’impulso delle norme sociali e delle pratiche di socializzazione familiare (stili educativi genitori) o educative (scuola e altre agenzie educative extrafamiliari) che vengono vissute dal bambino. Il modo in cui il senso del rispetto per gli altri si sviluppa si associa a due possibili esiti comportamentali molto diversi: - Di natura prosociale: testimoniano l’affermazione del senso di rispetto - Di natura antisociale: ne testimoniano il fallimento. Sympathy (sentimento simpatetico) disposizione empatica che consente di accorgersi dei bisogni o dei dolori dell’altro e consente di rispandervi positivamente. Questa è un marcatore della differenza tra comportamenti prosociali e antisociali Il legame tra senso di rispetto e sympathy si definisce in modo progressivo nell’adolescenza. Sviluppo atipico 9)Antisocialità minorile Comportamenti antisociali  sono caratterizzati da: - Tendenza a non rispettare le regole - Scarso o nullo senso dell’altro - Frequente uso di aggressività per risolvere i conflitti interpersonali - Impulsività e scarso senso di colpa nei confronti degli altri Questi comportamenti possono essere transitori o possono rappresentare veri e propri disturbi definiti da due categorie diagnostiche: 1. Disturbo della condotta  bambini e adolescenti mostrano comportamento prepotente, minaccioso, intimidatorio, di violazione dei diritti altrui, innescare volontariamente lotte, rubare… 2. Disturbo oppositivo-provocatorio  l’elemento distintivo è l’assunzione di comportamenti provocatori o ostili nei confronti di figure dotate di autorità, in particolare i genitori. Mettono in atto comportamento quali: litigi, perdita di controllo, rifiuto di rispettare regole e richieste, imputazione dei propri errori agli alti, suscettibilità, collera e vendicatività. Entrambi presentano una carenza di empatia, accompagnata da un uso difettuale del senso di colpa. Coté (2006), studio longitudinale sui bambini da 17 a 60 mesi  ha messo in luce che l’aggressione fisica, espressa da morsi, calci o litigi con altri bambini, raggiunga un picco introno ai 3 anni e mezzo e coinvolge il 17 % dei bambini con madri a rischio (giovane età, primo figlio, basso livello di istruzione e redito, tendenze antisociali o depressive). Chi manifesta fin da piccoli comportamenti aggressivi e violenti è maggiormente a rischio di mantenere e incentivare tali comportamenti in seguito? 50 Oggi la ricerca suggerisce che i comportamenti antisociali hanno una matrice multifattoriale e la maggior parte dei giovani antisociali a esordio non progrediscono necessariamente fino a diventare dei giovani violenti, ma piuttosto stemperano questi comportamenti nel corso dello sviluppo. Ci sono però due gruppi di giovani il cui comportamento antisociale a esordio precoce sembrano mostrare specifici tratti di temperamento e problematiche di adattamento nello sviluppo. Sono: 1. Gruppo caratterizzato da tratti callous unemotional  mancanza di rimorso, senso di colpa, empatia e di preoccupazione verso le proprie performance scolastiche.  Hanno difficoltà dl elaborare gli stimoli emotivi, soprattutto quelli empatici.  Sono più sensibili, freddi, calcolati, con un’aggressività proattiva, premeditata e strumentale, funzionale ad ottenere un vantaggio a spese degli altri.  Nel corso dello sviluppo si mostrano più persistenti e con una scarsa propensione a modificarsi rispetto al secondo. 2. Gruppo caratterizzato da una specifica difficoltà nell’area della sfera cognitiva, della socializzazione e della disgregazione emotiva  Bassi livelli di paura e alti livelli di reattività emotiva.  Sono più emotivi e reattivi.  Mantengono una componente di affettività soggetta a modificazioni, anche se contraddistinta da reattività e impulsività. Da cosa dipende lo sviluppo dei comportamenti antisociali? I fattori alla base del comportamento antisociale sono molteplici da quelli di natura biologica a quelli di tipo ambientale e socio-cognitivo. 1. Marker genetici che si associano al comportamento antisociale: alcuni polimorfismi genetici associati a un ambiente sfavorevole possono portare a questi comportamenti i polimorfismi non sono una causa di per sé ma costituiscono un fattore di rischio se associati a erte condizioni ambientali. 2. La qualità delle cure materne associate a modificazioni epigenetiche di plasticità neurale (modello animale). 3. Variabili ambientali e relazionali: attaccamento, stile di parenting e di disciplina, problemi comportamentali del genitore in adolescenza, carenze nella capacità di metallizzazione e riflessività, nasso reddito, mono genitorialità, trascuratezza emotiva, uso di sostanze o alcol. 10)Altruismo compulsivo Cosa succede quando i comportamenti di altruismo diventano eccessivamente scarificali e non contemplano più un rapporto di rispetto reciproco e libero? Questi atteggiamenti accompagnati dai relativi comportamenti sono chiamati “altruismo compulsivo”. Alturista compulsivo tende a mettere sempre l’alto al primo posto ed è accondiscendente ad ogni richiesta di aiuto, motivata o no. Mette sé stesso in secondo piano o addirittura rinnega le proprie necessità e bisogni. L’atteggiamento nei confronti dell’altro rimane positivo ma si accompagna. A pensieri, emozioni e zioni poco realistiche o eccessive che sfociano in comportamento problematico che crea beneficio a chi lo mette in atto, ma non a chi lo riceve. Questi comportamenti possono manifestarsi nella coppia, in rapporti di amicizia e nei rapporti familiari. 51 Si instaura una dinamica di tipo coercitivo in cui l’altruista compulsivo si sente costretto a comportarsi in modo eccessivamente sacrificale. Dall’altra la parte, la persona che riceve i gesti si sente vincolata a rispondere alle aspettative dell’altro. Quindi, in realtà gli intenti dell’altruista compulsivo sono egoistici. Il profilo dell’altruista collusivo che non consce il senso di reciprocità, è caratterizzato da 5 elementi: 1. La difesa dell’intimità assume una forma peculiare  egli si propone come colui che dà e non riceve, così egli mette una barriera al senso di intimità e vicinanza all’altro 2. Bisogno di mantenere il controllo vincolando l’altro a ricevere. Mantiene il controllo sulla relazione ed evita la pura della perdita. 3. Paura di sentirsi in obbligo se in passato si sono sentiti amati sin quando accondiscendevano o ottenevano certi risultati, il fatto di ricevere oggi qualcosa dall0altro fa sentire giudicati o osservati. 4. Convincimento per cui ricevere vuol dir essere egoisti (e poco consono a un comportamento morale) 5. Timore legato al ricevere qualcosa dall’altro che quindi diventa un comportamento da evitare Slide Vissuto morale: non solo cognizioni ma anche emozioni morali Empatia e prosocialità - Marco ha 8 anni e frequenta la terza elementare. Da alcune settimane assiste alle angherie che Carlo, un suo compagno, commette ai danni di Luigi, da poco arrivato nella loro classe, più mingherlino degli altri e incapace di difendersi. Lo prende in giro, gli sottrae i materiali didattici, non gli dà tregua. Un giorno Marco sente di non poterne più e, rivolgendosi con rabbia verso il compagno, gli chiede di lasciare in pace Luigi. - Luisa, 13 anni, e sua sorella Marta, 15 anni, stanno guardando in televisione un documentario sulle drammatiche condizioni di vita dei bambini in una poverissima regione africana. Mentre scorrono le immagini di bambini denutriti, ammalati, costretti a crescere senza le adeguate cure di genitori o di altri adulti protettivi, Marta avverte un senso profondo di malessere che la spinge ad alzarsi esclamando: «Basta! Non ce la faccio più a vedere queste tragedie!». Torna nella sua camera e riprende le conversazioni interrotte con le amiche attraverso un social network. Luisa rimane invece calamitata dinanzi al televisore e prima di andare a dormire ripensa alle scene che ha visto proponendosi per l’indomani di fare una donazione per un’associazione che si occupa di aiutare quei bambini, il cui conto corrente era stato comunicato durante il programma. EMPATIA = Capacità umana di sperimentare sentimenti e stati d’animo altrui, di comprendere il mondo secondo la prospettiva dell’altro e di rispondervi conseguentemente Termine coniato da Titchener 1909 - in inglese empathy come traduzione del termine Einfuhlung (sentire dentro) – usato per descrivere il godimento estetico. In ambito psicologico termine usato da psicoterapeuti come Kohut, Rogers… 52 Regole e disciplina L’esperienza di obbedire e disobbedire costituisce un passaggio importante per il costituirsi della coscienza morale e per l’interiorizzazione delle norme. Il bambino non obbedisce solo perché ha paura dei genitori ma anche per comprensione della mente e dei desideri del genitore. Tipi di obbedienza - Obbedienza situazionale - Obbedienza centrata sull’impegno - (laddove l’obbedienza si associa all’impegno e alla partecipazione c’è maggiore obbedienza e interiorizzazione della regola) Il valore del rispetto Deriva da una fonte esterna come l’autorità, oppure da una relazione di reciprocità? I ragazzi mostrano crescente senso di rispetto in funzione della reciprocità della collaborazione indipendentemente dalla presenza di una autorità Legame tra rispetto e sympathy che si rafforza in adolescenza. Passando dal riconoscimento di un comportamento di rispetto perché prosociale ad un comportamento di rispetto come senso di correttezza e giustizia con importanti differenze nella direzione di sviluppi atipici. Sviluppo atipico IL DISIMPEGNO MORALE Teoria social cognitiva di Bandura 55 Teoria delle «moral agency», Bandura Elementi fondamentali: - Standards morali e comportamento morale. Facciamo ciò che dà soddisfazione e un senso di valore. Si evita di fare ciò che è in contrasto con gli standards morali perché comporta «l’autosanzione». - Meccanismo di «autoregolazione» - Meccanismo di «disimpegno morale» - La moral agency Esercizio dell’attività morale basata su processi inibitori (evitare azioni riprovevoli) o su processi proattivi (comp. prosociale) - Il disimpegno morale influenza la condotta sia direttamente sia indirettamente diminuendo il senso di colpa e la responsabilità individuale Libro: AFFETTI E RELAZIONI NELL’INFANZIA, la socialità nei contesti 0-6 Capitolo 3: Linguaggi e relazioni Nel 1995 Loris Malaguzzi coniò l’espressione “i cento linguaggi dei bambini” per ricordare agli adulti che i per i bambini non valgono quelle regole e quegli artefatti linguistici che valgono per gli adulti; non c’è separazione tra ragione e sogno, gesto e parola, realtà e fantasia, testa e corpo, gioco e apprendimento. L’esperienza infantile è plurale, mobile, evanescente e concreta al tempo stesso, non ha censure, se non quelle poste dagli adulti. È importante interrogarsi su come gli adulti parlano con e dei bambini per via del fatto che le parole creano mondi, veicolano valori e stereotipi e irrigidiscono identità che vanno formandosi. 2)Pensiero e linguaggio (Vygotskij, 1934) 56 Nessun autore ha chiarito come Vygotskij il rapporto tra il linguaggio delle relazioni interpersonali (che è esteriorizzato) e il linguaggio interiore definito “pensiero connesso alla parola”. La matrice del pensiero, nella visione vygotskiana, è nella connessione tra linguaggio e azione: il bambino conosce la realtà agendo, attraverso l’esplorazione motoria per l’organizzazione dell’ambiente intorno a sé, un’intelligenza del fare che si trasforma in acquisizione dell’uso dei segni. Nel corso dello sviluppo si osserva il cambiamento dell’unità tra percezione, linguaggio e azione perché le parole (che prima accompagnano o seguono l’agire) a poco a poco svolgono una funzione di pianificazione e diventano pensiero che può programmare azioni future. Tuttavia, i rapporti tra pensiero e linguaggio (così come esterno ed interno) non sono rapporti diretto, di semplice trasposizione, ma procedono in un ordine di complessità le parole hanno un senso ed un significato che non sempre coincide, perché al di là del significato univoco della singola parola vi è il contesto che dà senso. Il senso delle parole è inesauribile, è ancorato alla concezione del mondo, di sé e dell’altro e alla struttura di personalità sia dio chi parla che di chi ascolta. Nel linguaggio interiore il senso infatti si estende, si amplifica e si aggrega in tanti significati che dipendono dalla concezione del mondo, di sé, alla struttura di personalità di chi parla e di chi ascolta. Anche il rapporto tra pensiero e linguaggio può essere divergente. Non c’è per forza una coincidenza tra espressione verbale e pensiero. Se è vero che c’è sempre un pensiero latente dietro le parole è anche vero che un pensiero può essere espresso in frasi diverse proprio perché il pensiero rappresenta una totalità più ampia, che non si esaurisce in una o più parole Dietro al pensiero ci sono inoltre le motivazioni, le passioni, i bisogni, gli affetti e le emozioni. Il retroscena affettivo e volitivo rappresenta la chiave di volta che risponde al perché nell’analisi del pensiero. «Se il linguaggio è pioggia e il pensiero è la nuvola da cui origina la pioggia; allora la sfera delle motivazioni è il vento che sposta la nuvola» (Vygotskij, 1966) 3) Dall’interpersonale all’intrapsichico È ancora Vygotskij a fornire una chiave di lettura per spiegare l’evoluzione del linguaggio, cioè come il linguaggio si evolve. Ogni funzione nello sviluppo culturale del bambino si presenta due volte: - Prima a livello sociale, tra le persone (interpsichico) - Poi a livello individuale (intra psichico) Egli usa l’esempio del gesto dell’indicare per spiegare questo processo dall’esterno, dalle relazioni con le persone, verso l’interno, il linguaggio interiore e poi ancora una volta verso l’esterno come atto comunicativo. Il gesto dell’indicare all’inizio è un tentativo di propensione, un’intenzione percettiva e motoria verso un oggetto che cambia segno nel momento in cui viene vista dall’adulto. È la lettura dell’adulto che trasforma un atto in gesto per le persone; infatti, l’azione del bambino non genere una reazione da parte dell’oggetto ma di una persona e cos’ il significato dell’azione si stabilisce all’interno di una relazione interpersonale. Il movimento del bambino, inizialmente rivolto verso l’oggetto, cambia funzione e diventa movimento verso l’altro quindi un gesto comunicativo. Così l’indicare si sta ca dall’origine motoria e acquista una funzione autonoma che lo rende uno dei mezzi più efficaci a disposizione del bambino per comunicare e condividere l’attenzione con un adulto. 57 - Se il linguaggio è complesso, ricco e articolato aumenta il coinvolgimento nelle attività e la motivazione a partecipare, - Se invece la qualità del linguaggio è bassa si verifica maggiore irrequietezza a livello comportamentale (Qi, Kaiser, 2004) Sempre a proposito delle semplificazioni o inerzie comunicative in famiglia/al nido/alla scuola dell’infanzia capita di incontrare le parole valigia (Eginardo, 2022)  parole passpartout da usare indifferentemente in tutte le situazioni. - Es. “bravo” o “brava”: si è bravi quando ci si lava i denti, quando ci si siede a tavola, quando si ripone un oggetto … Ma in quali circostanze si è davvero bravi? - Un'altra locuzione di uso frequente nei servizi educativi è “adesso lavoriamo”: è un modo di dire che segna il confine tra ciò che è serio (il lavoro) e ciò che non lo è (il gioco, le routine, e tutto il resto) 8)Stereotipi di genere e classificazioni Le parole sono i pilastri degli stereotipi, quando si dice “ometto”, “maschietto” o “femminuccia” ( al di là del diminutivo e della banalizzazione) si stanno usando delle designazioni; il mod di ire crea una categoria in cui si è collocati con tutti i correlati relativi al genere, le aspettative ed i valori pertinenti a seconda dell'essere maschio o femmina. Sono termini comuni fra i caregiver, e contribuiscono a creare e irrigidire le identità più o meno fluide entro uno schema che definisce a priori quello che è appropriato o no per entrambi i generi. Questo passaggio dalla parola alla proprietà dell’individuo è un processo molto frequente che non riguarda soltanto il genere ma l'utilizzo di categorie e il verbo essere al posto di fare: “è poco preciso”, “è entusiasta”. In tutte queste espressioni manca la contestualizzazione, mancano le circostanze che generano entusiasmo piuttosto che imprecisione. L'attribuzione specifica di una qualità, positiva o negativa, avulsa dalla sequenza di azioni, rischia di essere reificata diventando ciò che identifica in modo peculiare quel bambino. Formule stereotipate e riduttive come ad esempio “fa così perché vuole attenzioni “o “è capriccioso” sono modi di dire prodotti in automatico, non danno indicazioni su come agire. Il rischio di classificare i bambini è sempre dietro l'angolo perché il bisogno di semplificare fa parte del pensiero umano, ma identificare un bambino con una categoria implica giudizi, confronti con gli altri, attribuzioni statiche poco aderenti ai cambiamenti di chi sta crescendo. 9)Insidie comunicative: le domande La relazione tra adulto e bambino è asimmetrica dal punto di vista del potere e costituisce una condizione all'interno della quale il bambino è portato a credere che l'adulto ne sappia più di lui su tutti gli argomenti. Per cui i bambini tendono ad attribuire all’adulto autorevolezza e competenza. Quindi nel parlare con i bambini è necessario assumere una posizione di ascolto sincero e non strumentale, se davvero si è interessati a ciò che ogni bambino può e vuole comunicare. Il grado più basso di suggestività si ottiene attraverso il rispecchiamento, ossia la ripetizione delle locuzioni infantili senza alcuna aggiunta  rispecchiando e restituendo quanto ha appena detto il bambino si manifesta interesse coinvolgimento e si mette l'interlocutore a proprio agio. 60 All'estremo opposto della massima suggestività si collocano invece le domande retoriche che o non prevedono risposte, oppure quelle a risposta multipla, che creano confusione e disorientamento. Il primo caso si ruralizza quando si chiede qualcosa al bambino senza che vi sia alcun interesse reale verso ciò che risponderà. Es: chiedere “andiamo a letto?” nel momento in cui la decisione è già stata presa dal genitore. In questi casi i bambini non sono trattati come persone in grado di decidere indipendentemente dalla volontà dell'adulto.  pseudo-comunicazioni Si tratta inoltre di domande non prive di manipolazione poiché apparentemente si dà una possibilità di scelta mentre di fatto la si sta negando. Il caso delle domande a risposta multipla nasconde altre insidie comunicative. Ad esempio, domande “come vuoi andare al parco, al cinema o in piscina?” generano confusione perché richiedono attenzione su più idee contemporaneamente. Spesso la risposta è “l'ultima che hai detto” o effetto recency (Bombi et al, 2003). Ma questo non vuol dire che la risposta corrisponda al vero desiderio del bambino. Un’altra trappola consiste nel mettere le parole in bocca ai bambini con espressioni tipo “ti è piaciuta la storia vero?”. In queste situazioni il ruolo del bambino è marginale e qualcun altro sta parlando al suo posto. Anche le correzioni o modificazioni non sono di aiuto. Correggere quello che il bambino ha appena detto sulla base di quello che l’adulto ritiene essere il modo giusto di dire le cose è una strategia comunicativa che contiene alla base un elemento di disconferma che alla fine non incoraggia ma scoraggia. Ciò che i bambini percepiscono è un errore e quindi è l’immagine di sé che implicitamente viene messa in discussione dalla correzione. 10)Minimizzare le emozioni Del linguaggio adulto ciò che pesa negativamente di più è il mancato riconoscimento, la minimizzazione degli stati emotivi. Il linguaggio emotivo adulto, ovvero ciò che viene detto intorno a tutti gli stati interni, può essere una reazione contingente a un'emozione manifestata dai bambini, oppure può essere un linguaggio indipendente dall'esperienza diretta e usato in modo proattivo (ad esempio leggendo un libro illustrato per descrivere, spiegare, fare domande e insegnare parole). Parlare di come ci si sente, di cosa si prova, noi o qualcun altro, da realtà a stati psicologici definiti opachi il linguaggio contribuisce a sostanziare e rendere intelligibili le emozioni, i pensieri, le intenzioni e gli stati interni. La competenza socio-emotiva significa comprendere sé stessi in relazione a una molteplicità di altri, modificare le proprie risposte in funzione dell'agire altrui, essere in grado di riconoscere, esprimere e regolare emozioni e comportamenti. I caregiver hanno un ruolo fondamentale nel processo di costruzione della competenza socio emotiva, che può essere di facilitazione o di interferenza. Interferenza Si verifica quando il caregiver prende le distanze dallo stato emotivo del bambino dando così il messaggio che quello stato emotivo potrebbe essere dannoso e che dunque sia meglio sopprimerlo. È quello che accade quando si agisce minimizzando, non riconoscendo o non dando valore alle emozioni espresse dal bambino. Ignorare, fare finta di niente aspettando che passi quella specifica condizione emotiva; ai bambini viene a mancare la possibilità di comprendere e trovare delle strategie di regolazione del proprio sentire. 61 Un’altra variante di prendere le distanze, altrettanto svalutante ma più attiva, ha la finalità di rassicurare ma on tiene conto dell’emozione che viene espressa. Es:” dai non piangere, non è successo nulla”. Un altro modo di minimizzare è attraverso il controllo che prescinde dalla specificità di ogni situazione: “smettila sei sempre il solito” oppure “dai fate pace ora”. C'è poi la disapprovazione che implica non riconoscimento ma soprattutto giudizio negativo: “non ti devi arrabbiare non ci si comporta così”. Oltre al disinteresse per le cause che hanno provocato con la reazione emotiva, c'è una svalutazione critica abbinata all'assenza di ascolto e ti considerazione. Il tratto comune a queste modalità è quello di non riconoscere la condizione emotiva manifestata e scoraggiandone l’esplorazione. Anche il tono di questi messaggi è significativo. Ma che effetto hanno queste reazioni riduttive sui bambini? Spesso sono messaggi inefficaci (il bambino non si calma; i litiganti non fanno pace). La minimizzazione insegna che ci sono stati motivi che non sono appropriati e vanno evitati e quindi non potendoli accettare dentro di sé, viene a mancare la comprensione e con essa l'acquisizione degli strumenti per affrontare e regolare tali reazioni emozionali. Sul momento c’è una diminuzione della reazione-problema MA in assenza di un contenimento affettivo, i bambini, rimangono emotivamente attivati, e privati dell'opportunità di imparare a modulare l'intensità delle proprie emozioni  si torna all’inizio Sulla competenza socio emotiva pesano anche le convenzioni di genere - La rabbia suscita una reazione adulta se sono i maschi ad esprimerla - La tristezza maschile spesso viene ignorata. - Con le bambine gli adulti rispondono più facilmente alle emozioni che indicano sottomissione, come ansia o paura (Fivush, Marin, 2018) - La minimizzazione delle emozioni nei rapporti con gli adulti è più frequente con i bambini, meno con le bambine Si ipotizza che ai bambini venga insegnato un modo costruttivo di usare la rabbia, come emozione che crea potere, mentre alle bambine si propone la vulnerabilità come strumento di potere e di affermazione di sé (King, 2021) La riflessione sul modo in cui si comunica con i bambini è di grande utilità per tutti i caregiver, in particolare per coloro che operano nei servizi educativi per l'infanzia, al fine di acquisire consapevolezza sui possibili pregiudizi di appropriatezza delle espressioni emotive, ereditati culturalmente, e per liberare il linguaggio dalle tante restrizioni che lo impoveriscono. 62 4)Dimensione del conflitto Indica una relazione insegnante-bambino caratterizzata da disarmonia, resistenza, tensione, percezione reciproca di ostilità. Questo tipo di relazione può erodere: - Il senso di sicurezza del bambino - L’aspettativa che i rapporti sociali siano fonte di soddisfazione - La rappresentazione mentale di sé come meritevole di attenzione - La motivazione a comportarsi in modo conforme alle aspettative e alle regole del gruppo sociale. La presenza di conflitti crea insoddisfazione sia nell’insegnante che nel bambino anche perché si creano dei cicli coercitivi di tipo oppositivo che ostacolano la ricerca di modalità costruttive di interazione. Il conflitto con un adulto così carico di valore non dà ai bambini un modello positivo di sé stessi e del mondo sociale e non favorisce lo sviluppo di modalità adattative di interazione con gli altri, perché indebolisce la funzione di orientamento. Si ipotizza che la relazione conflittuale con l’insegnante rappresenti un predittore di modalità di funzionamento sociale dei bambini sia di tipo oppositivo (esternalizzazione) che di ritiro sociale (internalizzazione). È più evidente il rapporto tra conflitto e comportamenti di topo oppositivo, perché questi comportamenti sono disturbanti all’interno del gruppo classe e costituiscono motivo di stress per l’insegnante. Il conflitto sembra produrre effetti anche a lungo termine, quali il rifiuto da parte dei compagni, problemi di adattamento sociale, difficoltà nell’apprendimento. 5)La dimensione della dipendenza È l dimensione più controversa e meno esplorata. Viene identificata con un coinvolgimento eccessivo del bambino nei confronti dell’insegnante, evidente soprattutto nelle continue richieste di aiuto anche in assenza di una reale necessitai e nella ricerca continua di vicinanza fisica a discapito dell’esplorazione nell’ambiente fisico e sociale. Questa dimensione sembra essere più soggetta delle altre alle variazioni culturali, quali quelle tra culture individualiste e collettiviste. La dipendenza dall’insegnate, infatti, diventa più saliente e problematiche nella dimensione individualista perché in contrasto con l’idea dell’affermazione fin dall’età precoce. Mentre nella dimensione collettivista queta non assume rilevanza perché vengono maggiormente valorizzati gli aspetti di tutela e protezione nei confronti dei bambini. Al contrario delle altre dimensioni, è meno chiaro il rapport tra dipendenza e benessere dei bambini, in particolare nella scuola dell’infanzia. Qui entrano in gioco variabili come l’età, qualità educative del servizio. Valori e cultura psico- educativa dell’insegnante. Uno studio longitudinale mostra che per bambini di tre anni, inseriti in una ambiente educativo di qualità e ben organizzati, la relazione di dipendenza è associata a una migliore regolazione emotiva, cosa che non si verifica con i bambini di 5 anni. Altre ricerche hanno evidenziato che l’eccessiva dipendenza dall’insegnante ostacola le relazioni o i coetanei generando un’associazione tra dipendenza, isolamento e sofferenza nei confronti dell’ambiente scolastico. 65 Alcune ricerche dicono che i bambini ansiosi troppo legati affettivamente alle insegnanti non riescono a guadagnare autonomia e sicurezza e quindi a lungo termine riscontrano effetti negativi sull’apprendimento. Altre ricerche dicono che bambini con relazioni di forte dipendenza dall’insegnante mostrano criticità nelle are di pensiero logico, abilità matematiche e nella letto-scrittura perché erano meno motivati a partecipare alle attività scolastiche e erano più vulnerabili a livello sociale, essendo più a rischio di essere esclusi dai coetanei. I bambini dipendenti vengono percepiti infatti come poco competenti dl punto di vista sociale, ansiosi e tendenti alla chiusura. Questo insieme di fattori crea le condizioni perché vengano allontanati o ingrati dai compagni.  Non a caso, la dimensione della dipendenza nella relazione con l'insegnante risulta associata ad alti livelli di ansia, ritiro sociale e rifiuto da parte dei coetanei. 6)Come valutare la qualità affettiva della relazione insegnante-bambino? 1. Student-Teacher Relationship Scale (STRS) 2. Child-Report Student-Teacher Relationship Scale (Child-R STRS) 3. Teacher relationship Interview (TRI). 4. CLASS 1)Lo strumento più usato è una scala di autovalutazione, la Student-Teacher Relationship Scale (STRS) creata da Pianta (2001). La scala è compilata dalle insegnati che valutano tramite 28 item a 5 passi, la qualità del rapporto con ogni singolo ambino sulle tre dimensioni appena descritte di: 1. Vicinanza (supporto)  descritto come una sottoscala che comprende 11 item e descrive la relazione caratterizzata da condivisone e coesione. Es. "è facile essere in sintonia con ciò che il bambino prova" 2. Conflitto  descritto da una sottoscala che comprende 12 items e considera la presenza di tensione e rabbia nella relazione. Es. "il bambino si arrabbia facilmente con me" 3. Dipendenza  descritta da una sottoscala che comprende 5 item si riferisce auna relazione in cu i bambini sono percepiti come scarsamente autonomi dall’insegnante. Es. "protesta o si ribella quando ci separiamo" La validità di questa scala è ampiamente dimostrata anche in Italia, sia per la scola dell’infanzia che per quella primaria. La solidità dello strumento è dimostrata dal fatto che quando due insegnanti a parità di ore e di conoscenza del gruppo classe hanno usato la STRS per descrivere la propria relazione con i bambini, i risultati possono anche essere fortemente diversi, cosa che invece non accade quando le stesse insegnati descrivono la competenza sociale dei bambini o il livello di accettazione da parte dei compagni dei diversi gruppi, trovandosi generalmente d’accordo. La divergenza riscontrata nelle valutazioni della qualità della relazione con i bambini è un indice indiretto della validità perché significa che effettivamente la scala misura la percezione e il vissuto soggettivo delle relazioni, in cui rientrano sia elementi propri dell’insegnati che del bambino. 2)Nella scuola primaria si può usare la versione rivolta ai bambini, ovvero la Child-Report Student-Teacher Relationship Scale (Child-R STRS). Essa è sovrapponibile come items e 66 dimensioni alla STRS e attraverso questa è possibile leggere la qualità della relazione sia dal punto di vista del bambino che da quello dell’imsegnante. Da uno studio che ha usato la Child-R STRS è emerso che le valutazioni non sono identiche: bambini e bambine (quindi gli studenti), a differenza delle insegnanti percepiscono relazioni meno supportive ed emerge una differenza di genere. Infatti, risulta maggiore conflittualità nella percezione dei bambini rispetto a quella delle bambine. 3)Un altro strumento molto interessare è un’intervista che si ispira al modello usato con i genitori negli studi sull’attaccamento. L’assunto di base è che mentre i questionari e le scale colgono soprattutto la dimensione cognitiva, le interviste soprattutto in forma narrativa sono più adatte a descrivere i processi emozionali. Stiamo parlando della Teacher relationship Interview (TRI) (Split e Koomen, 2009). Questa assume che all’origine della qualità delle relazioni vi siano rappresentazioni del sé e affetti che influenzano i diversi ruoli (cura, istruzione, disciplina) nel rapporto con i bambini. La dimensione affettiva viene considerata centrale perché è quella che più direttamente influenza il modo di agire. La TRI è condotta attraverso domande aperte sulle sperienze positive e negative vissute con un particolare bambino e ogni risposta è accompagnata da esempi. Le componenti identificate da questa intervista riguardano: - La sensibilità, ovvero la consapevolezza degli stati socio-emotivi del bambino - Le pratiche educative e disciplinari centrate sui bambini e non sull’adulto. - Il decentramento cognitivo e affettivo - L’intenzionalità o progettualità educativa - L’espressione degli affetti - La coerenza narrativa indice di bilanciamento tra esperienze positive e negative - La solitudine e il sentimento di mancanza di aiuto  sono aspetti del vissuto degli insegnati molto interessanti perché sembra che nelle relazioni conflittuali con i bambini (soprattutto in presenza di condotte oppositive) le insegnanti vivano i sentimenti di impotenza dai quali consegue scoraggiamento e rinuncia nel cercare nuove strategie di azione) - Ostilità e rabbia - Il distanziamento - La negazione degli affetti negativi  questo correla con rabbia e conflittualità nella STRS e indica un effetto di soppressione come se in presenza di una relazione conflittuale con un bambino l’insegnate tendesse a evitare le emozioni negative, minimizzandole o negandole. 4)Infine, vediamo CLASS (2022) che è una metodologia di osservazione in classe sempre condotta da Pianta. Questa si basa sull’assunto che, oltre alle variabili di sistema (quali la qualificazione degli insegnati, il rapporto numerico adulti-bambini e l’organizzazione dell’ambiente) ciò che fa la differenza nell’apprendimento e nella crescita individuale è la qualità affettiva delle interazioni insegnante-bambino. L’osservazione sistematica condotta individua alcune dimensioni chiave e per ciascuna di esse dei fattori specifici. Ciò è necessario per conoscere e capire i processi relazionali nel gruppo. Fattori che influenzano il modo in cui i singoli bambini vengono percepiti dagli insegnati sono di natura: temperamentale, familiare, individuale, culturale ma anche fattori che dipendono dalla relazione interpersonale per cui le persone di sottraggono o si respingono. Trattandosi di relazioni bi-direzionali è ovvio che le caratteristiche dell'insegnante come quelle del singolo bambino concorrono insieme nel determinare la qualità di ogni relazione. È la compatibilità 67 I genitori che hanno una relazione calda e supportiva con i propri figli forniscono loro dei modelli di comportamento sociale funzionali, incoraggiano e facilitano una pluralità di occasioni relazionali al di fuori della famiglia, arricchendo così il repertorio di abilità interpersonali dei bambini sia con altri adulti che con i coetanei. 2)Autoregolazione emotiva e comportamentale i bambini che hanno sviluppato sicurezza in sé stessi e negli altri sono capaci di modulare la qualità e l’intensità dei propri stati emotivi, tendendo sotto controllo l’emozionalità negativa. Quando invece questa sicurezza non è presente nelle relazioni primarie, l’autoregolazione risulta molto indebolita e si hanno relazioni problematiche nelle diverse situazioni interpersonali. Particolarmente a rischio diventano i rapporti con le insegnanti che si trovano a dover gestire il deficit di autoregolazione, un compito a volte molto oneroso nel contesto sezione/gruppo classe e che diventa facilmente un terreno favorevole per l'insorgenza di conflittualità. 3)I fattori temperamentali in gioco nei processi di adattamento sociale e scolastico dei bambini consistono nella componente reattiva e in quella regolatoria (esercitare controllo volontario). Reattività nel temperamento  significa minore o maggiore suscettibilità dell’organismo alle stimolazioni provenienti dall’ambiente circostante. Si tratta di risposte involontarie e passive che includono reazioni fisiologiche, le espressioni emotive e la tendenza all’azione. Possono incanalarsi in due direzioni differenti. 1. Una va verso le cose e le persone e si manifesta come tendenza all’approccio e nell’attivazione motoria presente fin dai primi mesi di vita 2. Nell’altra si osservano reazioni di evitamento ed espressioni di sconforto o di paura a fronte di situazioni sconosciute o vissute come troppo impegnative. Un aspetto importante del sistema reattivo è l’emozionalità negativa che si vede in due manifestazioni: 1. La rabbia derivante dalla frustrazione laddove l’approccio del bambino sia ostacolato da qualcosa indipendente dalla sua volontà 2. Timore e ansia che conducono all’inibizione e al blocco comportamentale. L’emozionalità negativa è associata a forme diverse di malessere nel contesto scolastico, evidenti nelle forme di ritiro sociale o nelle condotte oppositive e ostili verso i compagni. Questi sono modi disfunzionali di stare in gruppo che incidono sulla qualità del rapporto con gli insegnanti. I bambini che non riescono a regolare l’emozionalità negativa (che hanno più difficoltà nel mettere in atto il controllo volontario necessario per comportarsi in modo compatibile con le regole di convivenza in gruppo) possono essere considerati difficili o non rispettosi delle regole o incapaci di stare in gruppo, e questo contribuisce alla conflittualità della relazione con le insegnanti. Questa conflittualità si osserva nei moment di transizione da un’attività all’altra o nelle situazioni routinarie, come la merenda o il pranzo e nelle attività all'aperto, contesti più fluidi in termini organizzativi e dunque potenzialmente più difficili da controllare. 9)Gli effetti del gruppo Le componenti individuali o diadiche banno sempre lette alla luce di quello che accade nel contesto più ampio e quindi nell’insieme di bambini e bambine che compongono il gruppo classe. Per comprendere l dinamiche del singolo vs del gruppo usiamo la teoria del dosaggio sociale (hanish, 2008) il funzionamento social del singolo è fortemente influenzano dallo stile relazione del gruppo. Se la modalità sociale prevalente è di natura coesiva, con altruismo diffuso e alta 70 proscialità, i sinoli ne traggono beneficio e aumenta la probabilità di ognuno di agire in modo altruistico. Se il gruppo invece è caratterizzato da impulsività, scarso controllo inibitorio e ostilità interpersonale, l’esposizione ripetuta questi modi di rapportarsi tra pari (il dosaggio sociale appunto) farà si che i bambini più inclini all’impulsività si sentano legittimati ad agire in mod incontrollato e aggressivo. Quindi, il gruppo agisce da moltiplicatore delle attitudini individuali potenziando lo stile di relazione più o meno adattivo di ognuno. Per le insegnati la gestione dei gruppi con alti livelli di eccitazione, malfunzionamento sociale e sregolatezza nelle condotte relazionali si rivela particolarmente difficile. In questi contesti è elevato il rischio che uno o più bambini vengano identificati come “il problema”. 71 Capitolo 5: Bambini e bambine insieme 1)Il gruppo dei pari come risorsa Le relazioni tra coetanei sono una fonte inesauribile di sviluppo fin dai primi mesi di vita. Bambine e bambini si riconoscono tra loro si osservano si imitano si scambiano affetto apprendono a condividere, a interagire con turni e ruoli alternati a tenere conto dei bisogni emotivi altrui a gestire la propria emozionalità in maniera compatibile con gli altri. Ciascuno vive lo stare in gruppo in modo differente a seconda delle diversità temperamentali o di specifiche circostanze. 2) L'ecologia sociale dei gruppi infantili Un po’ di teorie al rigurado Jean Piaget (1972) ha rappresentato una sorta di spartiacque nel modo di concettualizzare lo sviluppo sociale infantile; infatti, è a lui che si deve l’dea delle due modalità dii relazioni interpersonali dello sviluppo sociale: - Una modalità asimmetrica con l’adulto  Si sviluppa lungo un asse verticale del potere e della dominanza in ragione del quale il bambino accetta le regole non necessariamente perché le abbia comprese e fatte proprie ma perché deve ubbidire - Una modalità simmetrica con i pari  Le relazioni con i coetanei si collocano su un asse orizzontale, di parità e di bilanciamento del potere dove i bambini confliggono tra loro, discutono, si confrontano su punti di vista differenti che possono conciliarsi o no e così facendo sviluppano capacità sociali quali il decentramento, la comprensione empatica, la prosocialità Prima di Piaget, nella psicologia sociale era stata avanzata l'ipotesi che nelle relazioni tra pari, in particolare attraverso il gioco, si facesse strada la costruzione del sé tramite processi di rispecchiamento e di differenziazione. Anche Albert Bandura e gli studiosi dell'apprendimento sociale hanno inteso il contesto tra pari è inteso come un luogo normativo all'interno del quale, tramite l'osservazione dei pari in azione, i bambini e le bambine sviluppano un insieme di norme implicite su come si sta insieme, a cui si legano i processi di accettazione o rifiuto all'interno del gruppo, a seconda di come tali norme vengano interiorizzate e messe in atto negli scambi interpersonali. Una nuova prospettiva sulle relazioni tra coetanei è rappresentata dalla teoria etologica che dagli anni 70 ha dato un grande slancio alla rice5ca sul mondo dei pari. In questo filone Strayer e Santos (1996) affermano che l'adattamento individuale è funzione dell'ecologia sociale dei gruppi naturali, cioè dell'insieme di relazioni consolidate osservabili: ogni bambino modifica il proprio agire sociale in base agli aggiustamenti transitori richiesti dalle singole nicchie interpersonali in cui si viene a trovare. Quindi il singolo bambino con alcuni si comporta in un certo modo mentre in altre situazioni interpersonali tra coetanei agirà differentemente. Ciò significa che la competenza sociale non deve essere intesa come una proprietà stabile della singola persona ma rappresenta invece una caratteristica incostante e variabile, funzione delle specifiche geometrie relazionali in cui viene esercitata. infine. Un altro contributo viene da Harris che propose la teoria della socializzazione di gruppo (1995) che sostiene la tesi della gravitazione dei bambini verso i propri simili, ovvero i propri coetanei. Questa teoria andava contro l’idea dominante dell’epoca secondo cui i bambini si identificavano nelle figure di riferimento adulte. 72 - Le relazioni sono oggetto di interesse - Perseguono i propri scopi con modalità cooperative - Il linguaggio è adoperato sia per scopi coesivi che per screditare e allontanare gli altri STILI DI COMUNICATIVI Negli anni 90 sono state condotte ricerche sui diversi stili di interazione verbale e sulle strategie di influenza reciproca. Secondo Maccoby si possono identificare due stili comunicativi: uno restrittivo e uno facilitativo.  Restrittivo  È prevalentemente maschile. La finalità è quella di stare nel gruppo in modo assertivo perseguendo un proprio obiettivo ed è fatto di Comandi, Frasi brevi, Richiami, Interruzioni, Opposizioni, Sarcasmi e Frequenti cambi di argomento.  Facilitativo  È prevalentemente femminile. Esso è ugualmente asserivo ma con strategie comunicative diverse quali: l'accordo, l'attesa, la conferma di quanto detto prima dall'altro, la ripetizione, le domande indirette, i suggerimenti e le proposte di azione I gruppi femminili tendono a chiuderesti difensivamente mentre in quelli maschili i confini sono più labili. Le segregazioni di genere, maccoby a 33 mesi i bambini non cambiano le loro modalità do interazione nei differenti appaiamenti, mentre le bambine sono vivaci e attive con altre bambine ma diventano inespressive e passive con i bambini. I copioni interattivi e i repertori comportamentali, appresi nell'infanzia e consolidati negli anni successivi, possono trascinarsi nel tempo, dall'adolescenza all'età adulta in quello che è stato definito il ciclo della segregazione di genere (Martin, Fabes, Hanish, 2014). Una conseguenza delle pratiche sociali segregate è che si rinforzano gli atteggiamenti a favore del proprio gruppo e contestualmente aumenta il pregiudizio negativo verso l'altro gruppo (la contrapposizione noi-loro, in questo caso basata sui sessi). Le scelte precoci si rinsaldano in un mondo in cui prevale una visione binaria del genere, non bilanciata in termini di potere e di valori. A scuola, spesso inconsapevolmente, il genere viene reso particolarmente saliente ogni qual volta si sottolineano le differenze nel linguaggio, nell'organizzazione dell'ambiente, nell'uso dei colori, di tutto ciò che veicola l'idea che esistano attitudini, talenti, competenze, preferenze naturali legate al genere. Es. idea dell’incapacità femminile nello studio della matematica. La segregazione di genere non è un dato né l'esito di un processo naturale. Se lasciati a loro stessi, bambini e bambine tenderebbero a segregare, è importante dunque che genitori ed educatori, consapevoli di questa tendenza, agiscano attivamente per contrastarla e incoraggiare l'esposizione sociale trasversale tra maschi e femmine tramite specifiche strategie finalizzate. Vediamo le strategie: 1. Ipotesi del contatto: promuovere l'integrazione di richiede un'azione culturale che renda possibile la comprensione delle "sub-culture" dei gruppi, incoraggiando il rispetto ma anche il benessere intergruppo, l'utilizzo di strumenti di genere problem solving comuni, la preparazione di un territorio di base "neutrale", non connotato per genere, nel quale far co- agire bambini e bambine per accrescerne il contatto diretto (Pettigrew et al., 2011). 2. Teoria dell'esposizione tra pari: secondo questa teoria, essendo i coetanei agenti sociali di riferimento fin dalla primissima infanzia, la loro influenza dipende dalla quantità e dalla 75 tipologia di esposizione sociale in cui ciascun bambino si viene a trovare (Hanish et al., 2008) Integrazione di genere Al fine dell’integrazione di genere si parte dall’assunto che incontrare numerosi bambini e altrettante bambine, rimescolando le carte della composizione dei gruppi - fornisce un'ampia gamma di stili efficaci di interazione - mina gli stereotipi - rafforza la comprensione della prospettiva altrui - aumenta la possibilità di sentirsi a proprio agio nelle interazioni sociali cross gender Il target deve essere il gruppo nel suo insieme, con l'obiettivo di modificare il clima educativo. Una strategia efficace nell’ambito dell’integrazione di genere è l’Harmony Program della Denny Sanford School (Arizona State University). Questa proprone l’appaiamento, nel quale vengono predisposte occasioni di incontro e di attività in coppia, ruotando nelle diverse combinazioni tutti i bambini e le bambine facenti parte del gruppo. Un’altra strategia proposta dalla stessa scuola è quella del Meet up (incontriamoci), a livello di gruppi più ampi che mettono a tema il riconoscimento delle similarità e l’apprezzamento delle differenze con l’obiettivo di rafforzare il senso di appartenenza al gruppo nel suo insieme (the groupness) attraverso l’ascolto e il rispetto reciproco. Infine, considerando che il genere spiega il 70-80 per cento della varianza nella scelta del partner di interazione fin dall’infanzia, operare nella direzione dell’inclusione e dell’integrazione di genere risulta essere una scelta non solo opportuna per il PRESENTE, perché amplia l’orizzonte sociale di ciascun bambino, ma anche per il FUTURO, perché rappresenta una strategia di prevenzione dei pregiudizi, dei fenomeni di denigrazione dell’altro, di prevaricazioni e violenze in età adulta, le cui radici sono spesso da rintracciare proprio nelle prime esperienze sociali con i pari. 5) Funzionamento sociale tra cooperazione e conflitto Tradizionalmente conflitto e cooperazione sono stati trattati come poli in antitesi, ma una visione più recente parte dall’assunto che cooperazione e conflittualità siano aspetti tipici, paralleli e coesistenti della socialità infantile. Uno studio longitudinale di Hay e colleghi (2021) ricostruisce nel periodo 1-7 anni l’evoluzione della prosocialità e dell’agire socialmente ostile, sia in ambito familiare che educativo. Questo lavoro consente di guardare nel corso dello sviluppo l’evoluzione co-occorrente di due modalità di funzionamento sociale, una positiva e l’altra potenzialmente negativa, cioè aiutare/condividere e confliggere/dominare (cooperazione e conflittualità). Gli autori so muovono in una prospettiva BINOCULARE che tiene conto dell'interazione tra lo sviluppo individuale e la qualità delle relazioni con gli altri significativi (familiari, coetanei, educatori, insegnanti). In altre parole, la prospettiva evolutiva non può prescindere da quella relazionale. Le domande a cui la ricerca vuole rispondere sono: - C’è una relazione tra agire a favore o contro gli altri? - C’è una continuità comportamentale tra i diversi contesti (es. casa e scuola)? - Le differenze individuali nelle modalità di rapporto sociale persistono negli anni? 76 Gli autori condividono la tesi secondo cui gli atti di aggressione fisica non sono oggetto di apprendimento da parte dei bambini ma rappresentano una tappa dello sviluppo. E quindi diventano negli anni oggetto di apprendimento e regolazione. I ricercatori, quindi, identificano nei primi 18 mesi: un pattern di socialità indifferenziata che si esprime con modalità interattive sia positive che negative. In merito alle tipologie di manifestazioni di rabbia e ostilità interpersonale: tra i più piccoli si osservano soprattutto conflitti e contese (strategie che permettono di esplorarsi reciprocamente, per connettersi, per condividere uno spazio relazionale). L’uso della forza fisica è molto più raro; si manifesta per lo più come reazione di tipo aggressivo che non come azione deliberata quale ad esempio colpire o spingere. Ruolo dei genitori Non è secondario il loro ruolo quando trattano i bambini in modo eccessivamente severo e spesso ingiustificato. Si creano cicli coercitivi tra la punitività degli adulti e la rabbia e/o sregolatezza emotiva dei bambini che generano come esito l'incremento e la persistenza degli atti aggressivi. Per quanto riguarda la prosocilità gli autori adottano una definizione incentrata su azioni rivolte a portare benefico come cooperare e aiutare chi si trova in condizione di stress. L’influenza dei cargiver appare limitata sulle prime manifestazioni prosociali. Un precursore della condizione si può leggere nella tendenza dei piccoli all’attenzione congiunta tramite i gesti deittici. Ma anche in questo caso i rinforzi dell’adulto si mostrano inefficaci. Le conversazioni sulle emozioni da parte dei genitori su bambini di uno o due anni sembrano sostenere lo sviluppo della prosocialità. I tentativi di soppressione del conflitto tramite la distrazione centrata sull'adulto, adottati con bambini di un anno di età, interferivano negativamente con la motivazione di questi ultimi a interagire con altri bambini. A questo proposito, vediamo i risultati dello studio di hay: È come se ci fossero SETTE ANNI a disposizione degli adulti per intervenire preventivamente e aiutare i bambini e le bambine che incontrano problemi nel mondo sociale - 1 anno Nei conflitti per l'oggetto talvolta i bambini mordono, spingono, agiscono fisicamente in modo aggressivo - 2 anni e ½  Conflittualità e gioco cooperativo si equivalgono come frequenza. Declina vistosamente il ricorso al contrasto fisico - fino ai 4-5 anni  Empatia e comportamenti sociali problematici sono parte del repertorio sociale e sono correlati tra loro - 7 anni Le due dimensioni sociali appaiono separate e negativamente correlate soprattutto nelle situazioni di maggiore difficoltà comportamentale. Si osserva (soprattutto nelle situazioni di maggior difficoltà comportamentale) una dissociazione e si stabilizza la problematicità, a discapito della sensibilità verso le altre persone. È come se ci fossero sette anni a disposizione degli adulti per intervenire preventivamente e aiutare i bambini/e che incontrano problemi nel mondo sociale. Il genere entra nella polarità del prendersi cura/confliggere sotto forma di quelle che gli autori definiscono “influenze a cascata”. Infatti, nelle età più precoci sia i bambini che le bambine alternano il prendersi cura alla conflittualità. Mentre a sette anni la polarizzazione delle condotte tra maschi e femmine è più evidente. 77 che vivono esperienze di esclusione sociale presentano livelli più alti di cortisolo se confrontati con chi non subisce questo tipo di esperienza. Inoltre, il livello individuale di cortisolo aumenta anche a seguito di uno specifico episodio di esclusione. 7) Modificare i codici comportamentali Nello stare in gruppo problematico i bambini con problemi di comportamento esternalizzante hanno difficoltà nell’andare contro gli altri, mentre i bambini con problemi di internalizzazione hanno difficoltà riguardanti il sé che esprimono nell’andare via dagli altri. In entrambe le situazioni sono presenti sia problemi di regolazione emotiva e comportamentale che l’ansia derivante dalle frustrazioni o dal timore dell’esposizione sociale. Gli interventi adulti più efficaci sono di natura preventiva, piuttosto che correttiva. Le componenti chiave della socialità, infantile e adulta sono: - La regolazione emotiva - Il controllo inibitorio: dominare latendneza ad agire impulsivamnete (es. aspettare il proprio turno per avere un giocattolo in attesa che il compagno lo alaci, invece che prenderlo con la forza) La regolazione emotiva è un processo che va dal caregiver al sé e dipende in larga misura dalla possibilità di disporre di fonti esterne di regolazione, capaci di leggere gli stati emotivi del bambino, spesso di grande intensità, di accoglierli dentro di sé e di fornire contenimento e modulazione. Con la crescita e il sostegno adulto sensibile, i bambini imparano a usare in autonomia una gamma ampia di strategie costruttive di autoregolazione emotiva, diventano capaci di selezionare le informazioni, di provare e scegliere le risposte più efficaci di rifocalizzare l'attenzione per distrarsi dalle fonti di stress, di usare le parole per chiedere aiuto o trovare conforto e soluzioni indipendenti dagli adulti. 8) L'esercizio del controllo volontario Per sostenere lo sviluppo del controllo volontario (se carente o non consolidato) si possono proporre ai bambini, sotto forma di gioco situazioni ampiamente usate nella ricerca e che richiedono la sospensione di una reazione immediata e il ricorso a duna strategia di azione diversa. Esempi: - Sperimentare l'attesa per ottenere qualcosa di desiderato - Accettare di fare una cosa noiosa invece di una divertente (mettere a posto i giochi dopo averli usati) - Giochi di conflitto cognitivo o categorizzazione inversa (costruire una torre invertendo l’ordine di grandezza dei cubi o mettendoli a caso) - Giochi con le carte appaiate (nominare prima correttamente le figure, "giorno" con il sole, "notte" con la luna, e poi invertire la consegna: dire "giorno" quando si vede l'immagine della luna, "notte" con il sole, creando così la necessità di inibire una risposta per attivarne un'altra) - Giochi motori (camminare lungo una linea prima correndo e poi rallentando, oppure creare dei percorsi) - Leggere le figure esercitando differenti toni di voce Tutte queste diverse attività sono adatte a qui bambini che appaiono poco controllati perché servono a esercitare il controllo inibitorio tramite specifiche sotto-abilità quali: 80 - La flessibilità cognitiva - La regolazione comportamentale - Il processamento delle informazioni - L'adesione a una consegna sia in situazione in cui si chiede di fare qualcosa sia quando si richiede di non fare qualcosa il rispetto delle regole (Hay et al., 2011) All’opposto si colloca invece l’esperienza dei bambini troppo controllati, la cui vita sociale è caratterizzata dal timore elle novità. Uno stato ansioso in un gruppo può essere innescato dalla difficoltà di comprendere e controllare ciò che accade, dal sentirsi inadeguato rispetto alle attese, da sentimenti di solitudine o dal percepire il rifiuto da parte dei compagni. Spesso la composizione del gruppo dei pari può rappresentare l’innesco di reazioni di ritiro sociale. Come agire nei confronti di bambini che mettono in atto risposte sociali di evitamento, soprattutto per favorire l'accettazione sociale all'interno del gruppo? - Avere molta cautela quando si verifica qualcosa di nuovo, di inconsueto o quando si presentano persone sconosciute. - Rispettare lo spazio/tempo personale, della bolla protettiva in cui i bambini si trovano, è la condizione imprescindibile perché la fiducia negli altri possa farsi strada. - Facilitare i contatti sociali, ma sempre in piccole dosi e senza forzature. - Valorizzare i successi, anche quelli apparentemente poco significativi (strategia efficace per l'autostima e per modificare una immagine di sé spesso non benevola). - Mostrare fiducia e tenere sotto controllo l'irritazione che a volte un comportamento troppo pauroso o reticente può suscitare. L’obbiettivo da perseguire è il bilanciamento accurato degli stimoli, evitando la sovraesposizione ma anche l'eccesso di protezione. I caregiver a volte tendono ad essere protettivi verso i bambini di cui si percepisce la paura ma così facendo aumentano la dipendenza dall’adulto e non favoriscono l’accettazione all’interno del gruppo dei pari. È quindi opportuno essere supportivi, sorridenti, incoraggianti, senza rischiare di diventare intrusivi ed evitando un contatto oculare diretto che potrebbe risultare disarmante. Per quanto riguarda i bambini iper-controllati, l’esposizione controllata al contatto sociale può aiutare e la strategia dell’affiancamento con un bambino socievole, protettivo e prosociale può risultare molto efficace. Sarà necessario agire anche a livello del gruppo dei coetanei se vi sono personalità forti e turbolente che, con vantaggio reciproco, potrebbero essere coinvolte in un processo di accompagnamento guidato, ad esempio attraverso l'individuazione di attività che valorizzino l'individuo timido, perché particolar mente congeniali ai suoi talenti ma al contempo coinvolgenti c interessanti anche per i partner più vivaci. 81 Capitolo 6: Lo sviluppo della sensibilità interpersonale 1)Essere gentili e premurosi Essere gentili va oltre la semplice simpatia o le forme primitive di prosocialità perché richiede un’autentica e disinteressata preoccupazione per il benessere altrui. Quando parliamo di gentilezza (kindness) intendiamo un costrutto psicologico complesso, che si sviluppa nel corso del tempo, visto che non si nasce gentili ma si diventa tali tramite processi di interconnessione tra fattori biologici, sociali, culturali e situazionali. I precursori, i meccanismi e i processi precoci, dell'agire prosociale sono osservabili nella prima infanzia. Quali sono gli antecedenti? Essi sono: - Sensibilità interpersonale - Attitudine gentile e premurosa verso le altre persone - Il senso di cosa è giusto e cosa è sbagliato nelle relazioni interpersonali 2)Sensibilità interpersonale: che cosa si intende? La psicoanalisi colloca nelle relazioni con i caregiver l'origine di un sistema di autoregolazione comportamentale che possiamo chiamare coscienza (Kochanska, 1994). Negli anni 50 grazie a Robert Sears nella ricerca psicologica si passa dal singolo individuo alle diadi. Da allora lo studio elle relazioni interpersonali e delle emozioni morali ha visto tantissime evidenze che confermano l’idea che non siano i processi cognitivi a indurre lo sviluppo dell’etica delle relazioni interpersonali (come diceva Piaget), ma piuttosto sono i contesti interpersonali, densi di emotività, a condurre i bambini a sentire i bisogni degli altri e a sviluppare la motivazione a rispondere ad essi. Kochanska (2002) nei suoi studi sulla radice emozionale della coscienza introduce il costrutto di "orientamento responsivo reciproco" (mutually responsive orientation) come forza positiva, sperimentata nella relazione con i genitori, che genera nei bambini uno spirito collaborativo, responsabile e interessato al benessere altrui. Le componenti dell’orientamento responsivo reciproco secondo Kochanska sono due: 1. Responsività: di natura strettamente interattiva è intesa come attenzione, prontezza a cogliere i segnali di disagio e a rispondere con sollecitudine, facendosi reciprocamente del bene, senza perdere la propria autonomia. 2. Condivisione affettiva: consiste nella gioia dello stare insieme, nel " tempo buono" condiviso, nel buonumore, nel piacere dell'incontro e dello scambio, nel provare le stesse emozioni positive. I bambini che vivono con i caregiver primari storie di "comunanza" (communal relationships), di reciproco impegno, di gratificazioni, di adeguamento ai bisogni dell'altro, sviluppano fiducia in sé 82 rispetto interpersonale dettata dagli adulti (Kochanska, 2002), per diventare poi un principio guida a cui attenersi (es. quando i bambini chiedono scusa o cercano di porre riparo a una propria azione aggressiva). Il dispiacere per aver agito in odo offensivo verso qualcuno è una leva emotiva efficace su cui fare affidamento in un'ottica preventiva: sia per il recupero della considerazione di sé che per le relazioni interpersonali, indicare la riparazione e dare supporto ai bambini, se necessario, perché mettano in atto azioni riparative (Malti, Krettenhauer, 2013). - Il rispetto  inteso come riconoscimento delle qualità altrui, rientra nell'ambito della gentilezza, si manifesta più avanti nello sviluppo, sostiene l'autostima quando è riferito a sé stessi e quando ci si rende conto della propria capacità di tenere conto del benessere altrui (Malti, Peplak, Zhang, 2020). 2)LE COGNIZIONI Possono riguardare sé stessi (attraverso le capacità introspettive, il sapersi guardare e il considerare con attenzione i propri stati interni) e le altre persone (mettersi nei panni di un'altra persona, nel sapersi decentrare e nel comprendere l'esperienza psicologica altrui, i desideri, i pensieri, le motivazioni). Senza autoriflessione viene a mancare un ingrediente fondamentale per comprendere gli altri, ovvero il senso profondo di identità (sameness) tra sé stessi e gli altri. L’assumere sé stessi come punto di riferimento è essenziale non soltanto a livello cognitivo ma anche per tutto quello che attiene alla sfera emotiva. Affidarsi al proprio stato emotivo ci permette di osservare il mondo interno degli altri. Da questo capiamo l’importanza di proporre ai bambini fin dalla prima infanzia pratiche di ascolto, meditazione e contemplazione che abbiano come oggetto il proprio sé. 3)LE AZIONI GENTILI L'elenco delle azioni gentili verso gli altri include tutta la gamma dell'agire prosociale: dal condividere, all'aiutare dal confortare. al proteggere dall'essere inclusivi, al difendere attivamente chi è oggetto della prepotenza altrui. Meno noto è il prendersi cura di sé stessi, che risiede prima di tutto nella consapevolezza e nell'apprezzamento della propria unicità, ingrediente di base per la fiducia in sé e, di riflesso, negli altri. La cura di sé inizia dall'identificazione dei propri bisogni, da quelli elementari a quelli più complessi. Una comprensione e una padronanza delle proprie necessità che costituisce il presupposto dell'agire nel mondo in autonomia (Montessori, 1948). Le traiettorie di sviluppo delle tre componenti della gentilezza sono differenti ma interrelate. I fattori che intervengono per favorire oppure ostacolare tale evoluzione sono numerosi e riguardano sia i luoghi di vita dei bambini, sia la società con l'insieme di costumi, tradizioni e culture. 4)Differenze individuali di sensibilità sociale Una disposizione di base positiva verso gli altri di solito caratterizza la socialità infantile; tuttavia, vi sono anche bambini che mostrano scarsa affettività, resistenze, disinteresse verso i bisogni emotivi altrui. Come si manifestano e qual è l'origine di così marcate differenze individuali nell'area della sensibilità sociale? 85 Qual è l'origine? Una prima ipotesi di spiegazione si trova negli stili genitoriali: - Uno stile genitoriale caldo, orientato alla responsività reciproca e al supporto favorisce e sostiene l'espressione degli stati emozionali, sia da parte dei caregiver primari che dei loro figli. Se i bambini sentono che l'emozionalità fa parte del lessico familiare, interiorizzano un modo di stare in relazione con gli altri fondato sull'attenzione interpersonale e sulla comunicazione affettiva, che incoraggia le attitudini empatiche (Waller, Hide, 2018). - Uno stile genitoriale freddo, severo, scarsamente comunicativo e poco attento a fornire ragioni e convincimenti compromette la possibilità di interiorizzare modi e norme di relazione che pongano al centro l'affettività e l'interesse per il benessere altrui. Gli stili genitoriali sono fortemente influenzati dal contesto sociale e culturale, dalle condizioni lavorative ed economiche, dai fattori di stress che agiscono sulle famiglie (Maccoby). Come si manifestano? Gli studi sul comportamento prepotente dei cosiddetti bambini e adolescenti "machiavellici" supportano l'idea che le due componenti dell'empatia, quella affettiva e quella cognitiva, possano scindersi e funzionare separatamente (Lonigro et al., 2014). Sembrano esserci due strade di azione percorrere sia in famiglia che nei contesti educativi: - Da un alto agire sul deficit di controllo inibitorio, allo scopo di sostenere lo sviluppo o l'acquisizione di strategie di risposta non impulsive e conformi alle regole - Dall’altro, favorire l'accesso, la comprensione e la regolazione dei propri stati emotivi e soprattutto delle emozioni negative. Spesso i "machiavellici" sembrano caratterizzati da freddezza emotiva, ma questo potrebbe dipendere dal fatto che non hanno avuto nell’ambito familiare esperienze di alfabetizzazione emotiva. Per questa ragione ogni intervento dovrebbe prevede in primis il coinvolgimento delle famiglie. Azioni preventive di alfabetizzazione emotiva di sostegno nelle situazioni di rischio psico-sociale sono necessarie come anche programmi educativi e culturali di supporto alla genitorialità rivolti alla comunità. 5)Azioni e interventi di potenziamento socio-affettivo La ricerca sullo sviluppo socio-emotivo nell’infanzia ha mostrato con chiarezza i vantaggi dell’essere gentili, interessati e premurosi nei confronti degli altri fin dai primi anni di vita. L’agire a beneficio degli altri presuppone attenzione e interesse verso gli altri, intesi non solo come esseri che agiscono nel mondo ma anche come essere dotati di vita affettiva. 1)Un primo approccio messo a punto da Brackett e collaboratori (2019) è il RULER: (recognize) (understand) (label) (express) (regulate), sviluppato nell’università di Yale. Esso consiste in un insieme di linee guida, principi e pratiche che trovano fondamento nella psicologia dello sviluppo cognitivo emotivo e sociale. Ruler sta per: Riconoscere le proprie e le altrui emozioni, comprenderne le cause, le motivazioni, definirle con un vocabolario ricco e articolato, esprimerle e regolarle. Ruler suggerisce diverse routine, da mettere in atto sistematicamente e finalizzate ad ampliare l'autoconsapevolezza emotiva, la riflessività, l'autoregolazione e la responsabilità verso gli altri. 86 L’obbiettivo di questo approccio è promuovere il cambiamento sulla base del modello processo- persona-contesto-tempo di Bronfebrenner procedendo dalle variabili individuali (il set mentale relativo agli stati emotivi) verso le variabili di contesto prossimali (il clima educativo del gruppo classe, le famiglie) fino alle variabili distali di contesto (la diffusione nella società delle buone pratiche e di valori coesivi). Prevede una serie di ancoraggi fisici quali il "termometro dell'umore" (mood-meter) o la respirazione consapevole. Grande enfasi sul linguaggio emotivo Possedere un vocabolario ricco di sfumature, adatto a descrivere sottili differenze di stato d'animo, aiuta i bambini a diventare osservatori consapevoli del proprio mondo interno, a comunicare efficacemente intorno ad esso e a regolare in modo appropriato non solo le emozioni ma anche i comportamenti a esse correlati. 2)Veri e propri programmi di intervento evidence-based (cioè zioni di cui è stata verificata l’efficacia) sono inclusi nella cornice della Social-Emotinal Learning (SEL). L'apprendimento socio-emotivo definito come un processo di integrazione tra cognizioni, emozioni e comportamenti; il cui obbiettivo è quello di consolidare l'autoconsapevolezza, imparare a gestire le proprie e altrui emozioni, assumere decisioni responsabili e costruire relazioni sociali positive (Brackett et al., 2019). I programmi SEL partono dal presupposto che sia possibile cambiare. Alcuni studi mostrano l’efficacia di questi programmai sia attraverso marcatori biologici, come la riduzione dello stress, sia tramite il consolidamento di abilità sociocognitive. Ad esempio, uno studio con bambini di scuola primaria che hanno partecipato a un programma che include la mindfulness, mostra a distanza di tempo riduzione significativa dello stress, miglioramento delle funzioni esecutive (memoria, attenzione, pianificazione), maggiore ottimismo, empatia e una migliore integrazione nel gruppo dei pari (Schonert-Reichl et al., 2015). Nella versione originaria degli interventi di apprendimento socio-emotivo (Casel) le competenze da sviluppare sono raggruppate in cinque aree (Di Maggio, Zappulla, Izard, 2014): 1. l'autoconsapevolezza che consiste in una percezione di sé stessi accurata e tale da consentire il riconoscimento dei diversi stati emotivi; 2. L'autoregolazione, emotiva e comportamentale, tramite la quale è possibile affrontare lo stress e gestire efficacemente le emozioni; 3. la consapevolezza sociale, ovvero la capacità di entrare nei panni degli altri e di essere empatici 4. le abilità relazionali, che consistono nell'ascolto, nella cooperazione, nella proattività; 5. la decisionalità responsabile, cioè il saper prendere delle decisioni rispettose non soltanto dei propri interessi ma anche di quelli di altre persone L’approccio SEL, dapprima pensato per la scuola primaria e secondaria, è stato adattato anche alla scuola dell'infanzia. 3)Una proposta interessante adattata anche al contesto italiano, è l’emotion course ideato da Carroll Ellis Izard. Ci interessa la traduzione del modello teorico in un percorso la cui efficacia è stata ampiamente valutata negli Stati Uniti negli Head Starts Centers, ovvero centri che si rivolgono a bambini provenienti da situazioni socio-economiche di particolare criticità. L'intervento educativo di Izard ha natura preventiva ed è finalizzato a ottenere miglioramenti in tre ambiti: 87 Capitolo 7: Nella prospettiva dell’inclusione e dell’interculturalità 1)Bambini con bisogni speciali “La consapevolezza della disabilità nei bambini più piccoli sembra essere saldamente ancorata a elementi percettivamente ed emotivamente salienti; in particolare l’aspetto fisico o evidenti difficoltà nel camminare e nel parlare, oppure bisogni di assistenza come il dover essere aiutati nei movimenti o nelle funzioni, costituiscono le basi sulle quali i bambini costruiscono a loro conoscenza del coetaneo disabile” (Dyson).  Particolare sensibilità dei più piccoli verso coloro che presentano una condizione di disabilità Studio di sofia (Baumgartner, Quagliola, 2008) Danno cerebrale a poche ore dalla nascita: compromesse tutte le funzioni motorie del lato destro del corpo, il linguaggio e parzialmente le funzioni cognitive Sofia frequentava al mattino uno spazio micronido: tramite logopedia e fisioterapia, emergevano piccoli ma costanti miglioramenti nell'autonomia motoria e nello sviluppo comunicativo. Obiettivo dello studio: descrivere le modalità di partecipazione sociale e il grado di inclusione. Gli indicatori: Attenzione, imitazione, manifestazioni di affetto, azioni prosociali (Ogni indicatore è stato considerato in modo bidirezionale: Sofia nei confronti degli altri e viceversa) 1. L'attenzione prestata e ricevuta viene considerata dagli studiosi dello sviluppo sociale infantile una evidenza molto significativa della competenza sociale infantile in cui vengono distinti due aspetti: uno passivo, ossia gli sguardi che ciascun bambino riceve, e uno attivo, che consiste invece nell'interesse mostrato verso gli altri (vaughn et al., 2003) 2. L’imitazione rappresenta una strategia comunicativa molto efficace tramite la quale i bambini riescono a condividere emozioni, informazioni, esperienze motorie e ludiche. la funzione coesiva dell'imitazione nelle relazioni interpersonali è evidente nelle interazioni faccia a faccia con i caregiver fin dai primi mesi di vita 3. Le manifestazioni di affetto gli abbracci, le carezze, il prendersi per mano sono segni evidenti dei legami che uniscono le persone e servono sia a comunicare l'affetto verso l'altro nel qui e ora che a consolidare la relazione nel tempo 4. Le azioni prosociali (aiutare, consolare, condividere) in presenza di una situazione di disabilità è indice della percezione e della consapevolezza delle diverse necessità di un determinato bambino; sono state considerate anche le azioni prosociali di Sofia verso i compagni perché indicative, comunque, dei processi inclusivi all'interno del gruppo. Risultati dall’osservazione Compagni di Sofia - Nei confronti di Sofia l'attenzione aumenta considerevolmente come pure le manifestazioni di affetto e le azioni prosociali, mentre l'imitazione si mantiene abbastanza stabile non soltanto manifesta delle preferenze ma differenzia anche le scelte, riservando al bambino la condivisione di attività e l'imitazione e dedicando invece alla bambina soprattutto le manifestazioni di affetto. - Una bambina e un bambino la monitorano continuamente, si distinguono dagli altri per la protezione e l'affetto che le dimostrano, una selettività delle interazioni sociali (Strayer, Santos, 1996), che viene ricambiata dalla bambina - Tutti i bambini hanno mostrato preoccupazione e simpatia verso Sofia Sofia  non soltanto manifesta delle preferenze ma differenzia anche le scelte, riservando al bambino la condivisione di attività e l'imitazione e dedicando invece alla bambina soprattutto le manifestazioni di affetto 90 Il caso di Sofia si è delineato con le seguenti condizioni (favorevoli): - Un gruppo piccolo - Una struttura di alta qualità educativa - Incoraggiamento e sostegno all'autonomia della bambina da parte delle educatrici - Capacità di rassicurarla nei tanti momenti difficili che si sono presentati - Le peculiarità espressive di Sofia, molto recettiva e partecipe alla vita del gruppo, pur nei vincoli dettati dalla sua condizione Il caso di Sofia non si è trattato di una situazione eccezionale e rara. Il periodo 0-6 è una fase della vita in cui i bambini sono particolarmente recettivi verso le differenze individuali, non avendo consolidato identità soggettive e di gruppo di tipo categoriale, al di là del genere, che, come sappiamo, inizia molto precocemente a essere un carattere di aiuto ed etero-identificazione, psicologicamente molto saliente. Le altre categorie sociali (tra cui provenienza etnica, differenze linguistiche, diversità caratteriali e diversi tipi di disabilità) pur essendo bene presenti dal punto di vista percettivo, hanno ancora un carattere di fluidità agli occhi dei bambini. Le identità sociali non sono etichettate e non sono connotate in termini valoriali, positivi o negativi, come solitamente accade negli anni successivi quando il confronto con gli altri acquista un potere definitorio del proprio sé in relazione alle differenze interpersonali. 2)Condividere o no? Percezione precoce delle differenze individuali La scelta di condividere qualcosa che ci appartiene e che ha un valore per noi è una delle prime e più comuni manifestazioni di prosocialità e presuppone sia la comprensione degli stati interni altrui che la priorità che viene data ai bisogni dell’altro. Quanto contano le caratteristiche dei destinatari? Quali criteri guidano le scelte? Quando la condivisione è motivata? Come cambiano con l’età le motivazioni della condivisione? Le prime ricerche condotte sull’argomento ci dicono che la condivisione non è causale ma fa parte di un processo decisione i cui criteri cambiano con l’età, al netto delle variabili individuali. Fra 3 e 4 anni c’è un bilanciamento tra costi individuali e alcune caratteristiche salienti dei destinatari come età, genere, tipo di relazione. A 5 anni prevale una norma di uguaglianza (“tanto a me quanto a te”). Dai 6 anni in poi intervengono sia valori di equità che di considerazione per i bisogni altrui. Il senso di questi studi è che i bambini condividono in modo intenzionale e motivato fin da età precoci. Dictator game La metodologia adottata nelle ricerche sui processi decisionali altruistici, nota come dictator game, nasce dalla psicologia economica al fine di valutare il senso di equità e la generosità degli adulti. Gli adulti solitamente condividono il 20-30% di quanto è stato loro assegnato, un modo di agire che sembra generato non soltanto dall'altruismo ma anche dall'avversione verso le diseguaglianze Questa procedura è stata adattata per i bambini, per cui comunemente si danno ai partecipanti 10 sticker che possono donare o tenere per sé. La quanti di sticker condivisi cambia nei diversi gruppi di età, dai ter ai 5 anni si passa da 0 alla metà di sticker condivisi. Per quanto riguarda le ragioni sottostanti le scelte di condivisione, è emerso che il numero di sticker condivisi era regolato da un principio generoso di equità, perché indipendentemente dall’età 91 venivano condivisi più sticker con partner ipotetici descritti in condizione di bisogno o moralmente meritevoli. Disuguaglianze etniche e di colore La ricerca più recente sullo sharing riguarda le disuguaglianze etniche e di colore. In particolare, negli stati uniti si stanno conducendo nuovi studi al riguardo. Insegnati, genitori e politici credono in un colorblind approach, tale per cui i bambini non vedono il colore (children do not see color). Ma in realtà non è così perché i bambini tendono a riconoscere le appartenenze etniche e a mostrare favoritismo verso il proprio gruppo, tuttavia, laddove percepiscono condizioni di sfavore o di discriminazione intervengono a sostegno di coloro che vengono marginalizzati (come accade spesso, ad esempio, nel caso degli episodi di vittimizzazione). Su questa ipotesi il gruppo degli studiosi dell’Arizona State University ha approfondito le risposte di natura empatica e le condotte di sharing in funzione delle diverse caratteristiche etniche e razziali dei destinatari partendo dall’assunto secondo cui l’infanzia. Un periodo sensibile per lo sviluppo e la cristallizzazione delle attitudini verso le minoranze. 190 bambini bianchi, non latinx fra i 5 e i 9 anni di età appartenenti alla classe sociale medio-alta. Scopo: esaminare le loro attitudini nei confronti di coetanei white e black per verificare se in queste fasce di età ci siano già segni di pregiudizio delle condizioni di disuguaglianza, tali da innescare empatia e prosocialità. Inoltre, volevano vedere se all'aumentare dell'età si accompagnava una diversa percezione delle condizioni di disuguaglianza, tale da innescare empatia (+ rabbia empatica*) e prosocialità * provare una reazione ostile nei confronti di chi aggredisce Proscocialità misurata tramite condotte di sharing. Risultati i bambini più piccoli mostrano preferenze verso il proprio gruppo nel condividere. Questa attitudine si modifica con l’età visto che i più grandi tendono a essere più attenti ad una distribuzione equa delle risorse. Un dato interessante riguarda proprio l'espressione di rabbia empatica, più forte nei piccoli verso una ingiustizia vissuta da un coetaneo di colore. Quindi, i bambini sanno precocemente fare un uso attento delle informazioni socio-emotive e in base a queste differenziano i tratti salienti, in funzione dei quali regolano il loro agire interpersonale (nel caso della condivisione, ciò che conta è la qualità morale dei destinatari, la condizione di bisogno, il gruppo etnico minoritario). 3)Attitudini verso le disabilità nell’infanzia Che cosa sappiamo in merito alla percezione infantile della disabilità? Vi sono differenze tra le diverse tipologie di bisogni speciali? Come promuovere l'accettazione sociale? La terminologia corrente aiuta? Siccome queste attitudini si sviluppano nell’infanzia e poi si consolidano negli anni successivi, è necessario che la sensibilizzazione verso la disabilità avvenga precocemente, prima che si formino atteggiamenti negativi, più difficili da modificare nel corso del tempo. La terminologia corretta  in Italia come in altri paesi si è cercato di trovare parole che non fossero discriminanti e che ponessero l’accento sulle risorse e sulle potenzialità e non sulle mancanze. 92 Questi partono da una concezione monolitica e aggressiva dell’identità e sentono il bisogno di alzare steccati per marcare la distinzione tra italiani per discendenza e italiani con background migratorio. Nei contesti interculturali e interetnici, le differenze etniche e culturali possono diventare occasioni di incontro e di educazione contro il pregiudizio, ma se non sono oggetto di riflessione e confronto, possono trasformarsi in barriere fra i gruppi. A partite dall’osservazione di similarità e differenze prende forma la categorizzazione del proprio gruppo a cui vengono attribuite specifiche qualità positive (ingroup) mentre facilmente si colora di negatività chi viene percepito come diverso da sé (outgroup). Stereotipi e pregiudizi si generano quando i bambini sono lasciati da soli a trarre conclusioni sulla geografia sociale dei gruppi in cui sono inseriti, senza che gli adulti di riferimento diano una spiegazione delle differenze sociali e culturali che sostenga una visione integrata e inclusiva. Ci sono diversi processi psicologici ma mobilitare nella prospettiva dell’integrazione, come: - A livello cognitivo:  Incoraggiare forme di ragionamento che implicano una classificazione multipla e dinamica in cui una categoria non preclude la coesistenza con altre.  Mettersi nei panni dell’altro e immaginare la mente altrui - A livello emotivo: le differenze non precludono gli affetti Contesti educativi realmente inclusivi promuovono la conoscenza e il contatto tra diverse storie e appartenenze culturali fin dalla primissima infanzia. 7)Teoria del contatto intergruppo e strategie di inclusione Ipotesi del contatto  formulata da Allport nel 1954, nasce nel contesto degli scontri razziai e viene applicata soprattutto negli studi e negli interventi finalizzati al contrasto del pregiudizio. Nel corso del tempo si sono moltiplicati i dati a supporto di quanto inizialmente ipotizzato in concomitanza con la maggiore mobilità delle diverse popolazioni e quindi con al crescente natura interetnica dei diversi gruppi e contesti sociali. In sintesi, secondo questo modello, il contatto fra gruppi diversi riduce o quanto meno contiene ei pregiudizi. L’idea originale enfatizzava soprattutto il ruolo della conoscenza reciproca come mediatrice della riduzione dei pregiudizi. Mentre più di recente è stata sottolineata la funzione delle emozioni, affermando che il contatto fra i gruppi si associa ala contenimento dell’ansia e delle emozioni negative nonché all’aumento dell’empatia. Amicizie cross-culturali (cioè trasversali ai gruppi di appartenenza)  le amicizie creano condizioni ottimali per favorire relazioni armoniose perché implicano cooperazione, scopi comuni, intimità e self-disclosure che è un importante mediatore nel contrasto degli stereotipi negativi verso il diverso da sé. Un assunto della teoria è che dando agli individui, quindi nel nostro caso ai bambini, l’opportunità di interagire positivamente con numerosi altri diversi dal proprio gruppo di riferimento, aumenterà la fiducia reciproca e l’empatia. Così aumenteranno le attitudini intergruppo favorevoli. Per migliorare le relazioni intergruppo dobbiamo tenere presente: 95 1. Gli scambi  ovvero le occasioni di interazione nel che devono coinvolgere diversi altri e non limitarsi a un numero ristretto, perché estendendo lo scambio sociale i bambini hanno la possibilità di sviluppare tante e diverse competenze sociali in funzione delle relazioni in cui si trovano 2. Ruolo dell’adulto  deve essere convinto dell’opportunità di promuovere i contatti all’interno e all’esterno delle nicchie sociali in cui si trovano i bambini, organizzando, guidando e dando supporto alle possibilità di incontro tra pari. Un’applicazione pratica ed efficace è la strategia dell’appaiamento (buddy-up inetrvention) che abbiamo già visto cime strategia al contrasto della segregazione di genere. In pratica, attraverso la rotazione del partner ogni bambino ha la possibilità di stare insieme ad ogni componente del gruppo in coppia per il tempo e per le attività che le insegnati ritengono opportuni. Ogni settimana, per almeno 4 giorni, ognuno ha il suo compagno (buddy) con cui condivide l’attività, gioco, routine alternandosi così da combinare tutti i possibili appaiamenti, rispettando il criterio della diversità di genere. La vicinanza fisica e la proposta di fare qualcosa insieme creano le condizioni per: - La conoscenza reciproca, - L’imitazione - L’apprendimento operativo in un clima affettivo positivo, sostenuto dall’adulto. Questo è particolarmente utile nelle situazioni potenzialmente a rischio, come per i bambini che ancora non sanno l’italiano. L’idea di fondo è quella di prevenire qualsiasi forma di segregazione sociale. Questa strategia porta a risultati positivi nel tempo in quanto si è osservata un’espansione delle reti sociali individuali con numerose iniziative di scambio intergruppo, anche al di là delle occasioni di incontro predisposte dagli educatori. Quindi, il clima emotivo del gruppo è migliorato in una direzione di una maggiore coesione sociale tra i componenti evidenziata da nuovi legami affettivi. In uno studio del 2021 risulta che i bambini 3-6 con background migratorio sono maggiormente a rischi di rifiuto sociale da parte dei coetanei perché, indipendentemente dal genere, tendono al ritiro sociale oppure ad agire in modo oppositivo. Tali modalità di azione sociale sono associate alla dipendenza o al conflitto nelle relazioni con le insegnanti, collocandosi così in una dinamica sociale di ciclo coercitivo. Questa dinamica può essere interrotta solo con interventi consapevoli finalizzati da parte di famiglia e insegnati. 8)Un nido plurilingue Realizzazione nel nido plurilingue dell’università di Torino dove nell’anno 2017/2018 erano presenti 20 lingue. Il presupposto teorico del progetto è che nel periodo 0-3 la comprensione del linguaggio è un fenomeno globale indipendente dalla specificità linguistica perché i bambini comprendono le situazioni comunicative a prescindere dalla lingua usata, come è evidente nel caso della lingua madre in cui il senso del messaggio viene compreso pur non conoscendo tutte le parole. «Spesso nel sistema scolastico italiano [...] la varietà linguistica presente nella classe tende ad essere considerata sotto il profilo delle lacune rispetto alla lingua maggioritaria, l'italiano, e quindi viene vista quasi come un ostacolo» Valorizzando le lingue presenti in un certo contesto e intendendole come una ricchezza invece che un problema, si offre a tutto il gruppo l’opportunità di entrare in contatto con culture, abitudini, 96 storie diverse e si crea nei bambini una motivazione a conoscere chi si esprime con lingue diverse. L’incontro con le varie lingue in questo nido è avvenuto in modi diversi, tutti molto semplici. Ad esempio, cartelloni con animali e piante denominate nelle varie lingue oppure libri illustrati nelle varie lingue, merende in cui ognuno parla sia la propria lingua che l’italiano o ricostruzioni collettive delle biografie linguistiche di ciascuno o Scambi con i genitori in cui l'educatrice cerca di comunicare nella loro lingua. Si tratta di azioni che non hanno l’obbiettivo di insegnare una lingua anziché un’altra ma vogliono stimolare l’interesse dei bambini di tutto il nido verso un mondo multilingue vissuto come risorsa e opportunità. Queste esperienze sono utile per andare oltre i confini rappresentati dalle barriere linguistiche, per superare le preoccupazioni del "non saper parlare bene" la lingua altrui e per educare i bambini alla gioia della comprensione degli altri attraverso la scoperta di nuove storie, di mondi lontani, di esperienze, tradizioni e culture diverse dalle nostre. APPROFONDIMENTI IN PIÙ  non vanno saputi per esame, al massimo puoi approfrondrci le domande se ti capitano nel compito. Slide in più  lo sviluppo morale: le teorie di Piaget, Kohlberg, Rest, Turiel e Nucci Che cos’è la moralità? Esempi di comportamenti morali: - Comportamenti socialmente accettabili - Comportamenti che rispettano le norme di un paese o di una cultura - Comportamenti etici che formano l’identità morale della persona - Norme convenzionali e rispetto della persona e dei suoi diritti Esempio di Nucci 2001 Un uomo sta aspettando il treno alla stazione. Alla sua destra c’è una donna che sta leggendo un giornale. Dà un’occhiata alla sinistra e vede con orrore che c’è un uomo a una decina di metri che punta la pistola contro la donna. È troppo lontano sia per intervenire sull’uomo, sia per spingere la donna. Allora grida «attenta!» e si mette tra l’assassino e la vittima. Ha un braccio ferito per la pallottola ma ha salvato la donna. È un esempio di comportamento morale? Perché? Lo stesso esempio senza intenzionalità, possiamo definirlo morale? Diverse dimensioni delle norme morali L’acquisizione di una norma morale è un processo che contiene diverse dimensioni: 1. Significato affettivo-emotivo: fornisce indicazioni su come sentirsi se si rispettano o meno le norme! sensazione morale. 2. Guida per la condotta: prescrizione di comportamenti socialmente desiderabili e sanzione di quelli non desiderabili 3. Conoscenza delle norme – giudizio morale: comprensione del significato implicito ed esplicito delle norme, favorita dallo sviluppo intellettivo Sviluppo morale Il risultato del processo di socializzazione è un individuo che è in grado di distinguere il giusto dal comportamento sbagliato ed è pronto ad agire conseguentemente. Il modo in cui si verifica l’interiorizzazione morale costituisce un problema centrale nello studio dello sviluppo. 97
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