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Riassunto del Discorso sull'origine della disuguaglianza di Rousseau, Sintesi del corso di Filosofia Politica

Riassunto del Discorso sull'origine della disuguaglianza di Rousseau

Tipologia: Sintesi del corso

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Scarica Riassunto del Discorso sull'origine della disuguaglianza di Rousseau e più Sintesi del corso in PDF di Filosofia Politica solo su Docsity! DISCORSO SULL'ORIGINE DELLA DISUGUAGLIANZA TRA GLI UOMINI Nel 1753 l'Accademia delle scienze, delle arti e delle belle lettere di Digione indice un altro concorso letterario, il cui quesito è “Quale è l'origine della disuguaglianza fra gli uomini e se essa è autorizzata dalla legge naturale”. Come Rousseau scrive nelle Confessioni egli si reca a meditare sul tema nella foresta di Saint-Germain, alla ricerca dell'immagine dei primi tempi. Il Discorso che Rousseau presenta ai giudici non viene per niente apprezzato (a differenza del primo Discorso, che nel 1750 era stato premiato dall'Accademia) e nella seduta del 21 giugno 1754 essi ne sospesero la lettura “par sa longueur et sa mauvaise tradition”. Il Discorso non viene apprezzato né dal punto di vista formale né da quello dei contenuti. Già il primo Discorso rappresentava in parte una critica alla società, critica ad alcuni tratti (scienza e arte) che i philosophes illuministi invece mettevano al centro della nuova cultura francese. Questo secondo Discorso rappresenta la rottura definitiva con l'ambiente illuministico: se l’illuminismo era rivolto al futuro, al progresso e allo sviluppo della società, Rousseau guarda indietro al passato quasi con nostalgia. Voltaire leggendo l’opera disse indignato: “non si è mai impiegato tanto ingegno a volerci rendere bestie; leggendo la vostra opera viene voglia di camminare a quattro zampe”. I due Discorsi di Rousseau rivolgono una critica alla società moderna, un attacco radicale alle istituzioni per le mancate promesse di uguaglianza mai realizzate. Rousseau vuole smascherare l'intero tessuto dei criteri di valore nella società, vuole mostrare le catene che si nascondono sotto i fiori. La società moderna infatti ha causato e nasconde il vuoto che sussiste dietro i presunti progressi di scienze, lettere, arti (I Discorso), la perdita delle virtù e la perdita della libertà naturale (Il Discorso). Il Secondo Discorso rappresenta la prima opera di antropologia culturale, in cui Rousseau tenta di comprendere le originarie caratteristiche della natura umana, caratteristiche ormai corrotte e rese invisibili dalla società moderna. Per Rousseau la conoscenza umana più importante è quella di sé stessi (R. cita l'iscrizione del tempio di Delfo). Tuttavia l’uomo, allontanandosi attraverso i suoi progressi dallo stato primitivo, accumulando nuove conoscenze, ha finito per nascondere a sé stesso la sua natura originaria. Per comprendere se la disuguaglianza fra gli uomini sia naturale egli ha bisogno di ritornare alla condizione originaria di vita dell’uomo, a quello che per i contrattualisti è lo stato di natura. A differenza dei contrattualisti lo stato di natura non ha quindi lo scopo di stabilire la condizione di partenza per fondare e giustificare l'autorità sovrana, ma di illuminare i tratti originale della vita umana. Poco importa quindi se lo stato di natura non sia mai esistito, esso è semplicemente un espediente per comprendere la natura umana. Il Discorso ha quindi carattere prevalentemente descrittivo, anche se nel comprendere come gli umani originariamente sono si gettano le basi per la parte normativa (Contratto Sociale), si comprende anche poi quali leggi è giusto che essi abbiano, quali si adattano alla sua costituzione. Mentre gli autori contemporanei a Rousseau riconoscono, sotto il nome di legge, sola una regola prescritta da e ad un essere morale libero e intelligente, limitando di conseguenza al solo animale dotato di ragione la competenza della legge naturale, per Rousseau la legge naturale, conforme all'ordine naturale e derivante quindi dallo stato naturale delle cose (compreso l'animo umano), parla all'uomo con la voce della natura, ovvero attraverso i sentimenti. Per comprendere la legge di natura che agiva sull'uomo bisogna quindi comprendere la natura originaria dell’uomo. A partire dallo stato di natura, grado zero dell'umanità (assenza di morale e di socialità), Rousseau traccia una storia congetturale che arriva fino alla sua contemporaneità, storia in cui si vedono svilupparsi gradualmente tutte le acquisizioni sociali, morali e politiche dell'uomo. Rousseau, con questa sua fine analisi che si pone sulla tipica linea francese, è gradualista (analogamente a Hume) e si distanzia dalle impostazioni contrattualiste in cui l'umanità compie un unico grande salto da stato di natura a stato civile. Rousseau ripercorre la storia umana seguendo un doppio binario: quello delle condizioni materiali dell’esistenza umana e di come esse si sono evolute; quello delle condizioni concettuali e di pensiero, di come si sono trasformati l’anima e gli schemi concettuali dell’uomo nel tempo. Rousseau osserva polemicamente che tutti coloro che si erano fino ad allora occupati di stato di natura avevano compiuto, in modo diverso, uno stesso errore: avevano attribuito all'uomo naturale caratteristiche (bisogni, passioni, idee) appartenenti all'uomo civile. L'esempio è quello di Hobbes con la ricerca dell'onore e la vanagloria, oppure Locke e la proprietà privata. Non si tratta solo di un errore teorico poiché l'esito di tali teorie è quello poi di fornire una giustificazione per lo stato di cose esistente. Per ritornare allo stato di natura non è dunque sufficiente spogliare l’uomo soltanto delle acquisizioni politiche, sociali e culturali (per esempio le istituzioni e le leggi civili), ma anche di tutte le facoltà e bisogni artificiali che egli ha acquisito con il tempo grazie a lunghi processi. L'uomo naturale di Rousseau comincia quindi con funzioni puramente animali. | due principi (anteriori alla ragione e a conoscenze morali) sono l’amore di sé e la pietà. L'amor di sé è quell’inclinazione che ci spinge l’uomo alla cura della propria conservazione, un sentimento sano di soddisfazione dei propri bisogni necessari per la sopravvivenza (corrisponde alla security di Hobbes, alla vita di Locke). L'amor di sé non rappresenta un elemento negativo della natura umana, a differenza di quanto ritiene la morale cristiana: in Agostino l'amor sui rappresenta il grande peccato/colpa degli uomini, e ad esso va opposto l'amor dei. La pietà consiste nel ribrezzo nel vedere o nel procurare dolore agli altri, grazie alla capacità di identificarsi con i sofferenti. Rousseau la definisce anche impulso interno alla compassione. La pietà modera la cura dell’autoconservazione, concorrendo quindi a preservare l’intera specie: l’uomo infatti non farà mai del male a un altro uomo e a nessun altro essere sensibile, a meno che non sia messa a rischio la sua autoconservazione. La pietà assomiglia alla simpatia di Hume, ma non si limita a essere un meccanismo neutrale di trasmissione di passioni ma comprende anche un sentimento di benevolenza verso il prossimo. Sentimento che Hume, avendolo separato dalla simpatica, chiama approvazione morale e frutto di un lavoro di riflessione della mente, ma che Rousseau invece considera intrinseco alla natura umana e che quindi agisce naturalmente, prima dell'uso della riflessione. Amor di sé e pietà non sono quindi due inclinazioni che si scontrano e che lacerano l'animo umano, ma si tratta di due principi conciliabili. La semplicità e la purezza d'animo dell’uomo naturale non sono più presenti nell'uomo incivilito, che è invece segnato dal deforme contrasto della passione che crede ragionare e dell'intelletto delirante. Rousseau nell’Emilio individua tre massime della pietà/immaginazione morale che regolano la sua azione nell'uomo: in netta diversità con Hume, non partecipiamo di tutte le passioni altrui, ma ci immedesimiamo solo in chi è da compiangere, in chi sta peggio di noi; compiangiamo negli altri solo quei mali da cui non ci crediamo immuni; compatiamo non il male in sé ma la sofferenza che esso provoca negli altri, quindi sarà più elevato il grado della compassione quanto più elevata è la sensibilità di chi patisce (non compatiamo il lutto ma il pianto, non la disgrazia ma l’effetto a livello emotivo che essa provoca nella persona: ciò rendere il meccanismo di immedesimazione più simile alla simpatica di Hume che a quella di Smith). Per Rousseau la conoscenza umana più importante è quella di sé stessi (R. cita l'iscrizione del tempio di Delfo). Tuttavia l’uomo, allontanandosi attraverso i suoi progresso dallo stato primitivo, accumulando nuove conoscenze, ha finito per nascondere a sé stesso la sua natura originaria. Come Rousseau stesso ammette, a causa della mancanza di documenti e testimonianze che con certezza possano far emergere le primitive condizioni umane, egli deve affidarsi a una congettura razionale. | suoi sono ragionamenti ipotetici e razionali, frutto di un esperimento mentale. Il ragionamento di Rousseau porta quindi a risultati puramente teorici e ideali. L'antropologia che Rousseau delinea è universalistica: egli individua una e una sola natura originaria dell’uomo, identica in tutti gli esseri umani di tutto il mondo. Sempre a causa di un procedimento teorico che non si basa su una analisi storica e culturale lo sviluppo della storia dell'umanità di cui parla Rousseau è uno sviluppo identico ovunque. Le tappe per cui passa la storia dell'umanità sono tappe per cui sono passate tutte le culture, di cui è annullata quindi la diversità. La corrente filosofica tedesca con Herder sostiene che ogni cultura va considerata per sé stessa, ha una sua propria specificità che non la rende né inferiore né superiore rispetto alle altre, ma semplicemente diversa (relativismo culturale di cui Montaigne era stato primo esponente). Nel loro essere diverse, le culture non si possono porre su una traiettoria, su una linea retta universale del progresso socio-culturale. Non si devono considerare i singoli individui ma le caratteristiche di un gruppo di individui (la loro cultura appunto). La prospettiva di Rousseau è totalmente diversa da quella tedesca (che si svilupperà poi anche con Hegel): egli ragiona in termini di individui e non in termini sovra o inter individuali, e poiché tutti gli individui sono uguali allo stato di natura lo sviluppo dell'umanità risulta, almeno in linea teorica, omogeneo. Discorso La descrizione dell’uomo originario di Rousseau non è approfondita dal punto di vista scientifico o naturalistico, ma piuttosto da quello filosofico. Rousseau parte da un uomo fisicamente già formato, identico dal punto di vista anatomico a quello contemporaneo, e si concentra invece sulla questione della il particolare e universalizza. L'esperienza è in grado di cogliere la singolarità del particolare e non i suoi tratti generali, l'immagine fa emergere solo il particolare: solo con il discorso e la parola possono nascere idee e concetti generali e astratti. La ragione, la capacità di pensiero logica-concettuale, non è quindi naturale nell'uomo ma è il risultato di una acquisizione, è una facoltà artificiale che si è sviluppata nell'uomo con lo sviluppo del linguaggio. Il tema dello stretto legame tra linguaggio e pensiero ritorna nel Novecento con il linguistic turn (la svolta linguistica) e con Heidegger. Nel concludere la sua digressione, Rousseau lascia aperta la questione fondamentale: se sia stata più necessaria la società già stabilità all'istituzione delle lingue, o se le lingue già inventate sono state necessarie alla fondazione della società. Sicuramente linguaggio e gruppo stabile sono due realtà dipendenti l’una dall'altra. Questa tesi trova poi piena espressione in Wittgenstein, il quale afferma che il significato di una parola sta nell'uso condiviso di essa (stabilito da una convenzione) e non nel suo referente. Gli uomini allo stato di natura non conoscono la morale (diversamente da Locke, in c'è la legge di natura), non hanno idea del bene e del male morale, perciò non possono essere considerati né buoni né cattivi, senza vizi e senza virtù. Da un punto di vista non morale il bene e la virtù sono quelle qualità che contribuiscono all’'autoconservazione. Ciò non deve però far arrivare alla conclusione di Hobbes per cui gli uomini, per non avere alcuna idea della bontà, sono naturalmente cattivi e viziosi. Hobbes immagina uno stato di natura in cui c'è un perenne conflitto di tutti contro tutti: questo poiché egli ha fatto rientrare nella natura umana originaria delle passioni (come la vanagloria) che in realtà sono prodotto della società, e che hanno reso necessarie le leggi. L'uomo selvaggio non può fare del male, non può abusare delle sue facoltà naturali poiché è ancora totalmente in balia di esse, per lo stesso motivo per cui non può far uso della sua ragione. La calma delle passioni e l'ignoranza del vizio (ben più giovevole che la conoscenza della virtù) impediscono all'uomo di fare del male. Lo stato di natura, secondo Rousseau, è invece il più adatto alla pace e il più conveniente al genere umano, dato che la cura della conservazione è limitata da un puro sentimento di pietà. Il sentimento, l'inclinazione naturale, è un elemento positivo in Rousseau; negativa è invece la ragione, che soffoca la naturalità, che, consentendo il progresso, è la fonte del deragliamento. La pietà è definita come la ripugnanza a vedere soffrire il proprio simile. La pietà è una virtù del sentimento non dettata dalla ragione, che precede ogni riflessione, moto spontaneo della natura. Non solo gli esseri umani, ma tutti gli animali che hanno una sensibilità possono provare pietà. Tutte le virtù sociali dell'uomo derivano dalla pietà, sono specificazioni o determinazioni della pietà: la generosità è la pietà applicata ai deboli ecc. La pietà è il centro della morale, la ragione da sola non spinge gli uomini a fare il bene. La pietà si basa su un meccanismo di identificazione con il sofferente; la ragione e la riflessione invece tendono l’uomo a isolarsi, a ripiegarsi su sé stesso e a ignorare i mali degli altri. La ragione, assieme alla filosofia, è qui presentata come antagonista della morale: l'uomo naturale, a causa della mancanza di saggezza e ragione, si abbandona sempre al sentimento immediato dell'umanità. La pietà è quindi un sentimento naturale che porta gli uomini spontaneamente in aiuto di coloro che vedono soffrire. Essa modera negli uomini la cura di sé stessi, concorrendo quindi alla conservazione di tutti. Rousseau dice che la pietà allo stato di natura svolge il ruolo che svolgono nella società civile le leggi, i costumi, le virtù, con il vantaggio che però nessuno disobbedisce alla dolce voce della pietà. Le inclinazioni di autoconservazione e pietà regolano l'agire umano in modo tale che esso possa essere schematizzato con la formula: fai il tuo bene con il minor male altrui possibile. Lo stato di natura di Rousseau non è uno stato di guerra. L'uomo selvaggio non ha motivi e occasioni per arrivare al conflitto. Sono rari e brevi gli incontri e le relazioni tra gli uomini. Inoltre l’uomo non conosce la nozioni di male morale, di ingiustizia, e quindi non risponde alle violenze subite da altri come a delle ingiurie da punire o un torto alla propria persona da vendicare, ma come a dei mali da riparare. L'uomo quindi ancora non conosce passioni che sono legate al suo io se non quella dell’autoconservazione: non sente il desiderio di essere onorato o rispettato da altri o di voler primeggiare su di loro. L'uomo di Rousseau non considera gli altri, è indifferente verso gli altri e quindi non si cura di come egli appare a questi e di come essi lo tengono in considerazione. Le uniche dispute che ci possono essere fra individui sono legate al cibo o al sesso. Per quanto riguarda il sesso l'uomo selvaggio prova solo un amore fisico e non morale (che è un sentimento artificiale), ciò tempera la sua passione amorosa. Il desiderio amoroso dell’uomo selvaggio è pacato rispetto a quello dell’uomo civile. Non bisogna quindi immaginarsi allo stato di natura uomini che lottano violentemente tra loro per il possesso delle femmine (cosa che invece avviene in natura, a causa della presenza di periodi di tempo limitati per l'accoppiamento), e anche se questi conflitti ci dovessero essere allo stato di natura non metterebbero a rischio la sopravvivenza della specie. L'uomo naturale è quindi solitario e senza bisogno dei suoi simili, è soggetto a poche passioni e ha pochi bisogni necessari da soddisfare il che lo rende bastevole a sé stesso. Non c'è allo stato di natura alcuna possibilità di evoluzione culturale poiché se l’uomo fa una qualche scoperta o invenzione non può comunicarla a nessuno. In assenza di progresso l'umanità allo stato di natura rimane ferma al punto di partenza: i secoli passano ma l'umanità rimane sempre fanciulla, priva di esperienza e conoscenza accumulate nel tempo. Allo stato di natura esiste una disuguaglianza solamente fisica, stabilita dalla natura, e consiste nelle differenze di forze del corpo, di qualità spirituali, di salute tra gli individui. Questo tipo di disuguaglianza non incide molto sulla vita del singolo e più in generale sulla vita della specie. Anche Hobbes parla di una uguaglianza tra tutti gli individui, nati con facoltà della mente e del corpo presso che identiche. Rousseau sostiene che molte delle disuguaglianze che creano disparità fra gli uomini sono considerate di origine naturale, ma sono in realtà il prodotto dell’abitudine e della vita in società. Nella società si sviluppa un altro tipo di disuguaglianza, quella morale o politica. Si tratta di una disuguaglianza che dipende da una convenzione, stabilita o comunque permessa dal consenso degli uomini. Se nello stato di natura la disuguaglianza è minima, essa aumenta notevolmente con lo sviluppo della società. Allo stato di natura per esempio non si può verificare l'oppressione del più forte sul più debole, non si possono creare gerarchie (come in Hobbes) poiché quella minima disuguaglianza fisica non basta per far sì che un uomo ne assoggetti un altro. L'uomo allo stato di natura ancora non conosce catene e vincoli. Solo con l'interazione sociali si creano dei vincoli fra uomini tali che alcuni sono schiavi di altri. Solo quando gli uomini sono dipendenti mutualmente, legati da reciproci bisogni, legati da una relazione di necessità, possono assoggettarsi tra di loro. Il tema di liberarsi dall’assoggettamento alla volontà di altri uomini, di essere indipendente dagli altri, è alla base dell'idea del Contratto Sociale: la libertà si ha nell'assoggettarsi alle leggi che si ha voluto. L'uomo dispone naturalmente di facoltà che ha però solo in potenza e che non possono svilupparsi da sé: la perfettibilità e il meccanismo di evoluzione si sono potute innescare solo grazie al concorso fortuito di parecchie cause esterne, senza le quali l'uomo sarebbe rimasto per sempre allo stato di natura. Lo stato di natura russoviano non presenta quindi quei tipici difetti delle impostazioni contrattualiste tali per cui è necessario il passaggio a uno stato civile. La nascita della proprietà privata coincide con la nascita della società civile. La proprietà privata non da parte dell'ordine naturale, non è un diritto che si fonda su una legge naturale come in Locke, ma nasce nel momento in cui qualcuno recinta un terreno. La nascita della proprietà privata rappresenta l’ultimo termine dello stato di natura e deriva da molti precedenti progressi che sono stati trasmessi di generazione in generazione. Rousseau attribuisce alla proprietà privata un danno enorme, anche se nel Contratto Sociale non parla di una sua abolizione. La critica di Rousseau alla proprietà concerne l'assenza di un regolatore dell’appropriazione, il che ha permesso la nascita della disuguaglianza politica. L'uomo selvaggio si occupa solo della sua conservazione e inizialmente ciò che la natura gli offre gli basta a soddisfare i suoi pochi bisogni. Ma a un certo punto si presentano delle difficoltà che l'uomo deve imparare a vincere per sopravvivere. Queste circostanze obbligano l’uomo a doversi migliorare: a darsi agli esercizi del copro, rendersi agile, rapido nella corsa e vigoroso nel combattimento. L'uomo comincia anche a usare armi rudimentali per combattere altri animali o per lottare per la sopravvivenza contro altri uomini. La scarsità di cibo e le rigide condizioni di vita costringono l’uomo a nuove industriosità. L'uomo diventa quindi pescatore, cacciatore, comincia indossare abiti e, dopo averlo conosciuto fortuitamente e dopo aver imparato a gestire, a usare il fuoco per cuocere. L'uomo ingegnandosi perfeziona il ragionamento e le sue capacità intellettuali. L'uomo comprende di primeggiare come specie su tutti gli altri animali e nasce in lui il primo moto d'orgoglio, cosa che lo porterà a voler primeggiare anche come singolo individuo. Grazie alle occasionali interazioni ripetute nel tempo gli uomini cominciano a riconoscersi come simili, dotati di un modo di pensare e di sentire comune, e a seguire tra loro delle migliori norme di condotta. Mosso dall’interesse e dalla ricerca del benessere l'uomo comprende quali sono le occasioni in cui condivide un interesse comune con altri uomini e gli conviene fare affidamento sulla loro assistenza e quali sono le occasioni in cui la concorrenza deve fargli diffidare di loro. Si formano quindi le prime associazioni tra esseri umani: in ottica utilitaristica l'uomo collabora con altri uomini per raggiungere un fine comune, facendo nascere delle temporanee associazioni libere che non obbligavano nessuno. È grazie a queste prime associazioni che gli uomini comprendono a poco a poco l'idea degli impegni reciproci e del vantaggio di mantenerli. Poiché lo sguardo dell’uomo è ancora rivolto al presente immediato queste associazioni e questi impegni non sono duraturi ma hanno come obiettivo un bene vicino (es. cacciare un cervo). Queste relazioni non esigono un linguaggio particolarmente raffinato, ma si fondavano su una rudimentale forma di comunicazione attraverso gesti, grida e qualche rumore imitativo. Questi primi progressi permettono all'uomo di farne di più rapidi: il progresso dell'umanità segue una curva esponenziale. L'uomo diventa ora sedentario: si costruisce una abitazione, istituisce la famiglia. Nasce in questo modo una specie di proprietà. È da notare che anche in Locke e in Hume la famiglia costituisce il primo nucleo sociale stabile, ma mentre Locke parla di relazioni familiari già allo stato originario, considerandole quindi naturali, Rousseau e Hume invece parlano di famiglia come un primo stadio di socialità, in cui lo stato di natura l'uomo lo ha ormai lasciato alle spalle. La famiglia è il primo nucleo sociale, la prima piccola società, e grazie a essa si sviluppano negli uomini dei nuovi sentimenti, i più dolci che essi hanno mai conosciuto: l'amore coniugale e l’amore paterno. Come in Hobbes alla differenza biologica tra i due sessi si aggiunge solo grazie a processi sociali anche la differenza di ruolo, che è quindi artificiale. La vita in gruppo rende più molli gli uomini, che perdono la loro ferocia e vigore. Gli uomini perdono la loro forza da individui, ma acquistano la maggiore forza derivante dalla cooperazione. Questo nuovo tipo di vita facilita la sopravvivenza e gli uomini, godendo ora di agio e tempo libero, si procurano comodità prima sconosciute. Queste comodità, oltre che a rammollire l’uomo nel corpo e nello spirito, si trasformano nel tempo da superflue piacevolezze a necessità, rendendo l’uomo schiavo di nuovi bisogni (questa volta non bisogni naturali, ma bisogni artificiali che egli stesso si è creato). Avanzando il graduale sviluppo della società i diversi gruppi formati dagli uomini cominciano a caratterizzarsi, a formare una propria identità fatta da consuetudini e abitudini (non ci sono ancora leggi). Dal confronto fra diversi oggetti di desiderio si acquistano idee di merito e di bellezza, che fanno nascere dei sentimenti di preferenza. L'amore, da solamente fisico, diventa anche morale. La nascita dell’amor proprio fa sì che l'impulso sessuale rivolta a tutte le femmine diventi un amore che è possesso esclusivo della donna. Da questo tipo di amore più forte sorgono gelosia e discordia: nascono i conflitti per amore. In società nasce pian piano l’uso di radunarsi e di divertirsi con il canto e la danza, in questo modo ci si espone costantemente allo sguardo e al giudizio altrui. L'uomo comincia a considerare gli altri e a voler essere considerato a sua volta: gli uomini cercano il consenso e l'apprezzamento dagli altri. Nasce l’idea di stima pubblica e chiunque vuole averne accesso. In questa logica di preferenze nascono nuovi vizi: la vanità, il disprezzo, la vergogna e l'invidia. Grazie all'idea di stima pubblica si sviluppa una morale. Ogni individuo vuole essere stimato e rispettato e così non è più possibile mancare di rispetto a qualcuno o commettere dei torti. Se allo stato di natura il torto subito era considerato solo come un male fisico e chi lo aveva subito aveva come obiettivo primario quello di riparare a esso, ora il torto diventa un oltraggio, un'offesa alla persona e alla sua rispettabilità. AI male fisico del torto si aggiunge anche il male morale, derivante dal vedere il disprezzo nei confronti della propria persona e spesso più insopportabile del male stesso. La moralità trasforma quello che era una percezione (male fisico) in un concetto sociale (male morale). Nascono in questo contesto i primi doveri delle civiltà e le vendette terribili per chi non li rispettava. Questo primo stadio dello sviluppo sociale (societè commencèe), per quanto la natura umana fosse già stata alterata, rappresenta secondo Rousseau l'epoca più felice e più durevole. Solo un caso funesto ha fatto uscire l'umanità da questo stadio. L'esempio dei nuovi popoli selvaggi scoperti, che si trovano ancora a questo grado dello sviluppo, testimonia che il genere umano è atto a rimanerci per sempre. Tutti gli ulteriori progressi nella storia dell'umanità rappresentano un progresso di decadenza, hanno portato alla decrepitezza della specie. Finchè gli uomini rimangono indipendenti, producono e lavorano individualmente, essi sono liberi, buoni, sani e felici. Ma nel momento in cui nascono la divisione del lavoro e la proprietà, la libertà e l'uguaglianza scompaiono lasciando spazio alla miseria e alla schiavitù. Il passaggio al secondo stadio avviene con l'invenzione della metallurgia e dell'agricoltura. Gli uomini arrivano a conoscere e ad impiegare il ferro per un caso fortuito (Rousseau ipotizza l'eruzione di un vulcano). Ma ciò che permette agli uomini di dedicarsi all'arte della metallurgia è il fatto di non essere più rivolti unicamente al presente e ai beni immediati, ma di
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