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Riassunto del libro ''Che cos'è un'organizzazione?'' di Lavinia Bifulco, Sintesi del corso di Psicologia del Lavoro

''Che cos'è un'organizzazione?" - Sintesi del libro di Lavinia Bifulco

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

In vendita dal 08/08/2021

Valecobi
Valecobi 🇮🇹

4.5

(8)

4 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Riassunto del libro ''Che cos'è un'organizzazione?'' di Lavinia Bifulco e più Sintesi del corso in PDF di Psicologia del Lavoro solo su Docsity! Che cos'è un’organizzazione? 1. MODELLI SECOLARI Da Weber in avanti l’organizzazione tende a indicare uno strumento razionale per conseguire obiettivi prestabiliti. La concezione razionale/strumentale dell’organizzazione non solo è alla base dei modelli teorici classici, ma è anche radicata nei nostri modi di fare e pensare l’organizzazione. Nella prima tappa del percorso, rintracceremo nella teoria organizzativa le versioni principali di questa concezione. 1.1 La burocrazia Quando parliamo di burocrazia, pensiamo agli uffici e ai servizi pubblici, quindi tendiamo a usare il termine burocrazia come sinonimo di un’organizzazione poco capace di rispondere alle esigenze che fronteggia. In realtà l'equivalenza tra la burocrazia e le organizzazioni pubbliche rischia di portarci fuori strada. Per fare chiarezza su questo punto bisogna approfondire il modello della burocrazia elaborato da Weber. Weber su questo oggetto di analisi costruisce un idealtipo, cioè uno schema concettuale che accentua uno o più elementi della realtà empirica e li collega fra loro. La formulazione di un idealtipo avviene tramite l’astrazione di alcuni aspetti dalla molteplicità dei casi concreti e la loro combinazione in un quadro unitario. L'idealtipo quindi non esaurisce la varietà dei fenomeni empirici ma è uno strumento per compararli fra loro. Nel suo idealtipo, la burocrazia ha le seguenti caratteristiche tra loro collegate: à alle regole: un corpo di regole stabilisce i doveri dell'ufficio ‘zata delle competenze: a ciascun addetto è assegnata una posizione 3. La gerarchia di ufficio: il disegno è quello della piramide e i diversi livelli al suo interno sono collegati da linee verticali che stabiliscono chi impartisce gli ordini e chi le esegue 4. Gli addetti: non sono proprietari né del posto di lavoro né dei mezzi che usano, sono sottoposti a prove che ne verificano la preparazione e sono singolarmente ricompensati con uno stipendio Queste caratteristiche costituiscono l'articolazione di due principi del modello burocratico che si compenetrano: 1. Impersonalità: fornire prestazioni standardizzate e uniformi (prestabilite e uguali per tutti). Assicura un trattamento uguale a tutti e poggia sull’elaborazione di regole espresse, formalizzate e astratte che prescindono dalla particolarità dei casi 2. Competenza: conoscenza specializzata (deriva dall’impersonalità) che consiste nel saper applicare le regole trattando la molteplicità dei problemi. Questa competenza è indifferente alla particolarità dei casi La burocrazia è quindi il modello che corrisponde di più ai requisiti alla base del sistema amministrativo tipico della società moderna. Innanzitutto, essa incarna il tipo razional-legale del potere che fonda lo stato moderno (leggi come fondamento della legittimità delle forme di potere) e la burocrazia è la forma più adeguata di altri modelli alle esigenze dell’amministrazione di massa, che interviene su grandi quantità di beni e di persone (calcolabilità e prevedibilità). Se ci spostiamo sul piano dell'esperienza concreta, cogliamo subito un’ambivalenza: quando ci rivolgiamo ad un ufficio pubblico le regole cui gli impiegati devono attenersi ci mettono al riparo dall'incompetenza, ma capita anche che un addetto invochi il regolamento per giustificare una complicazione a noi incomprensibile. | tratti della burocrazia non riguardano solo il sistema amministrativo pubblico perché anche le imprese private possono essere organizzate così, quindi: 1. La burocrazia riguarda organizzazioni eterogenee (sia pubbliche che private) 2. Burocrazia contraddistinta da una forma di razionalità 3. Questa stessa razionalità ha degli aspetti problematici 1.2 L'organizzazione scientifica del lavoro Facciamo ora un passo indietro e parliamo dell’organizzazione scientifica del lavoro di Taylor. Innanzitutto, partiamo dalla standardizzazione. Secondo Taylor, bisogna scomporre il processo di lavoro nelle sue operazioni più elementari e misurare i tempi e i metodi che consentono di svolgere correttamente ciascuna operazione. Da qui si passa al fissare le procedure, che indicano come svolgere il lavoro in modo efficiente. Infine, ogni operaio deve essere assegnato a una specifica operazione, deve essere addestrato a eseguire le procedure e deve essere controllato nel corso del suo lavoro. La catena di montaggio è una realizzazione di questo principio. Il secondo principio è la gerarchia. La progettazione del lavoro è nettamente separata dalla sua esecuzione: chi lavora sulla linea produttiva non deve pensare, ma solo eseguire. Il terzo principio è la one best one way, per cui esiste una sola soluzione ottimale e non c'è spazio per l'imprevedibilità né per l’arbitrio dei singoli. Ci sono degli elementi di convergenza tra l’organizzazione scientifica di Taylor e la burocrazia weberiana: 1. Sia il sistema gerarchico weberiano sia la separazione tra progettazione ed esecuzione taylorista si concretizzano in una struttura piramidale 2. Entrambi sono permeate sulla standardizzazione: in un caso applicazione di procedure di regole astratte e nell'altro applicazione di analisi scientifica 3. Affini gli aspetti relativi alla frammentazione del processo di lavoro 4. Convergenza del principio di razionalità (prevedibilità e calcolabilità), cioè al grado in cui le persone si attengono a regole e prescrizioni Quindi il modello di burocrazia e l'organizzazione scientifica del lavoro sono due varianti della stessa concezione sull’organizzazione. 1.3 temi, funzio! ruoli Cambiamo ora oggetto e concentriamoci sull’approccio funzionale, che non si occupa di un tipo di organizzazione (es. scientific management), ma dell’organizzazione in generale. Questo approccio è stato sviluppato negli anni Cinquanta negli Stati Uniti ed è legato ai lavori sociologici di Parsons e Merton. Non troviamo un unico modello di organizzazione, ma un repertorio di strumenti e concetti che è difficile mettere in ordine, quindi proviamo a semplificare partendo dal concetto chiave attorno al quale raccogliamo questi modelli: il sistema organizzativo. Il sistema organizzativo è definito dai processi della differenziazione e dell’integrazione. Ogni elemento trova posto nell’organizzazione grazie alle funzioni che esso svolge, ma allo stesso tempo l'organizzazione funziona grazie all'integrazione, cioè a rapporti coordinati e coerenti tra gli elementi. Differenziazione e integrazione hanno a che fare con il problema di chi fa che cosa e i sistemi organizzativi affrontano questo problema assegnando a ciascun addetto un ruolo, cioè un compito che definisce in modo specifico le aspettative che l'addetto deve soddisfare sulla base della posizione che riveste. Così i ruoli rivestono lo stesso significato che le regole formali e le procedure tecniche, insieme alle gerarchie, hanno per la burocrazia e per il taylorismo. compromessi e le negoziazioni fra la pluralità dei soggetti agenti nell’organizzazione e nel suo ambiente 2. Le organizzazioni possono acquisire un carattere proprio e possono diventare la fonte degli impegni e dei riconoscimenti reciproci che i suoi membri vi sviluppano. L'organizzazione resiste perché diventa un fine in sé, indifferente ai programmi e agli obiettivi stabiliti Con questi due passaggi abbiamo imboccato la strada del superamento della concezione razionale/strumentale. 1.6 Appunti: il cambiamento difficile Le organizzazioni che perseguono il miraggio della macchina sono rigide e bloccate, quindi hanno molte difficoltà a correggersi e a cambiare anche quando è evidente che sarebbe necessario farlo. Le difficoltà a realizzare misure e progetti di cambiamento sembrano tanto maggiori quanto più questi ultimi sono basati su una predefinizione rigida della direzione e delle azioni da sviluppare o quanto più questo disegno presuppone che le organizzazioni siano strumenti razionali. 2. PROCESSI In questo capitolo ci occuperemo di processi organizzativi, in particolare di quelli relativi alla soluzione dei problemi, alle decisioni e ai poteri. Cambia l'oggetto e cambia anche la prospettiva: dalle organizzazioni passiamo alle azioni e alle interazioni organizzative, dall'immagine di un’entità fissa passiamo all'immagine di un fluire aperto e incompiuto di processi. Inbocchiamo in questo modo il percorso delineato da una costellazione di filoni e piste di ricerca che, superando l’idea di organizzazione-macchina, convergono nell’accentuare la visione processuale dell’organizzazione, concepita come una realtà emergente e in divenire. Una precisazione. Osservando i processi portiamo alla luce la dimensione mobile, interattiva e dinamica delle organizzazioni, ma allo stesso tempo portiamo in primo piano le molte anomalie e le molte cose che nelle organizzazioni vanno diversamente da come secondo il modello razionale dovrebbero andare. 2.1 Risolvere i problemi Merton parla di incapacità addestrata, ovvero tendenza a replicare risposte apprese che in passato hanno funzionato, anche di fronte a condizioni mutate (detta anche deformazione professionale). Per spiegare questo concetto Merton fa l’esempio dei polli: i polli possono essere addestrati a reagire al suono di un campanello come a un segnale che annuncia cibo, ma con lo stesso campanello possiamo attirare i polli così addestrati verso il luogo dove saranno uccisi. Il paradosso è che sembra che quanto più si pretenda di non essere polli tanto più si finisca con esserlo. Per esempio, dato che la one best way si fonda sulla prevedibilità, quando le circostanze cambiano le soluzioni adottate sono inadeguate. Esempio del quiz di Watzlawick: si tende a pensare che i nove punti formino un quadrato, e per questo non riusciamo a unire tutti i punti con quattro linee senza staccare la penna dal foglio. Risolviamo il problema quando smettiamo di pensare ai nove punti come a un quadrato. Le organizzazioni configurano i problemi sulla scorta dei quadrati che hanno a disposizione, quindi un punto di partenza è quello di rinunciare al principio della one best way che mette al bando l’imprevedibilità. | processi di soluzione dei problemi non sono governati dalla prevedibilità, infatti: 1. Essi risentono della combinazione di fattori variabili (es. tempo che gli attori possono dedicarvi) Questi processi sono intessuti di interazioni e perciò interessati a dinamiche di trasformazione: i problemi vengono riconfigurati man mano che diventano accessibili soluzioni alternative a quelle disponibili. 2.2 Decidere Si possono inquadrare i fenomeni decisionali in due modi differenti. (a) Un modo è legato alla prospettiva per cui l'esecuzione delle procedure dovrebbe essere sufficiente all’assicurare risposte adeguate ai problemi e azioni coerenti con gli obiettivi. Questo è il modello razionalistico delle decisioni che è un modello: 1. Sinottico: presuppone una conoscenza assoluta degli elementi rilevanti per la decisione 2. Aprioristico: la conoscenza precede la decisione 3. Strumentale: le scelte e le azioni devono essere coerenti con gli obiettivi (b) Un modo è legato alle situazioni decisionali concrete, per cui ad esempio un problema considerato prima urgente viene accantonato, gli attori cambiano idea ecc. Il modello razionale (a) ha due problemi: 1. Incertezza: le decisioni vengono prese in condizioni di informazioni limitate sulle alternative d'azione e sulle loro conseguenze 2. Ambiguità: gli obiettivi non sono univoci, i problemi si prestano a più interpretazioni, i collegamenti tra mezzi e fini sono vaghi e incoerenti Quindi le anomalie fanno parte del modo d'essere delle organizzazioni e a dispetto dell'immagine di insensatezza che spesso ricaviamo dall’osservazione le decisioni vengono prese, i problemi affrontati ecc, quindi non è detto che l'insensatezza trascini l’organizzazione al collasso. Per spiegare queste dinamiche, Cohen, March e Olsen propongono la metafora del ‘’cestino dei rifiuti”. Le occasioni decisionali assomigliano a cestini dei rifiuti in cui i decisori man mano gettano i problemi che affrontano e le soluzioni che individuano. La decisione presa dipende da quali e quanti cestini sono al momento disponibili, da quali e quanti rifiuti (cioè problemi e soluzioni) si sono prodotti e accumulati nei cestini o viceversa eliminati, dalla velocità con cui tutto ciò accade. Inoltre, i decisori vanno e vengono a seconda del tempo e dell'attenzione che riescono a dedicare alle occasioni. Sembrerebbe un caos, ma a uno sguardo ravvicinato l'impressione di caos tende a sfumare. | cestini sono i repertori delle competenze apprese in dotazione alle organizzazioni e grazie ad essi i flussi di problemi e soluzioni vengono ordinati in combinazioni di diverso tipo dalle quali possono derivare soluzioni di routine ma anche soluzioni inedite. In queste dinamiche capita di risolvere i problemi sia di individuare nuovi problemi e nuove soluzioni: solo che quanto accade non è guidato dalla logica o dalla coerenza, ma è scandito da variabili quale la simultaneità degli eventi e l’attenzione degli attori. Riferimento empirico di questa metafora è l'università: nonostante le riforme, l'università va avanti. A questo punto è evidente che il modello razionale non spiega tutte le dinamiche decisionali: 1. La razionalità su cui si basa l’attività decisionale non è assoluta ma limitata, perché sono limitate le conoscenze di cui è possibile disporre relativamente alle alternative di azione e alle loro conseguenze 2. Le decisioni non sono un'attività di calcolo e di previsione su elementi dati, preesistenti ed esterni, ma sono processi: gli obiettivi si scoprono decidendo, i problemi vengono riformulati, le soluzioni sono il risultato di tentativi ed errori e dell'apprendimento dall'esperienza. Queste cose accadono perché i processi decisionali sono interazioni 3. Ambiguità: i decisori affrontano flussi di informazioni e in queste condizioni sono sfidati a interpretare e creare significati prima ancora che a risolvere problemi o a perseguire obiettivi chiaramente definiti Quindi le decisioni di cui ci stiamo occupando, per quanto appaiano insensate, non sono irrazionali ma incorporano una razionalità di stampo processuale, come tale diversa da quella presupposta nel modello classico. La razionalità processuale è la razionalità del ‘’come’’: oltre al risultato, al problema risolto, alla decisione presa, sono importanti le interazioni attivate lungo il percorso seguito per giungere al risultato, la pluralità di significati che vi viene espressa, la varietà dei modi con cui obiettivi vengono definiti e modificati. Essa opera spesso nell’incoerenza del nesso fra gli obiettivi prestabiliti e gli esiti concreti dell’azione (limite), ma mette in campo la capacità di creare intersoggettivamente nuovi significati e nuove possibilità di scelta e azione (pregio). 2.3 Poteri e strategie Due possibili situazioni: A: bisogna introdurre in una segreteria universitaria una nuova metodologia di lavoro ed è stato creato un protocollo dove si dice cosa, come e quanto ogni impiegato dell'ufficio dovrà fare. Il capoufficio mette a conoscenza degli impiegati della novità B: un giorno si guasta il computer dell’ufficio, quindi il capoufficio chiama il tecnico del computer che però dice che c'è una lista di attesa di giorni. Dopo qualche giorno, il tecnico non si fa vivo e quindi il capoufficio lo richiama adirato, ricordandogli i suoi doveri, ma anche questo approccio non funziona. Allora il capoufficio richiama, ma stavolta cambia strategia: riconosce la competenza dell'altro, cerca di contrattare ecc. Nella situazione A c'è un principio di gerarchia: posizioni e rapporti tra le persone rigidamente collegati tra loro. C'è autorità formale: il capoufficio ottiene obbedienza a causa del ruolo che ricopre. Il potere è impersonale. Nella situazione B il piano formale dell'autorità conta solo in parte. Il capoufficio sa poco di computer e ha bisogno dell'aiuto di un esperto. Per questo, le dinamiche di potere che intervengono tra i due attori prescindono dai ruoli e fanno leva sulle interdipendenze tra i due soggetti. Il potere è interpersonale. 1. Impersonale e interpersonale (Crozier): i sistemi burocratici vorrebbero eliminare i rapporti di dipendenza personale, ma non vi riescono, quindi in questi sistemi i rapporti di potere sono basati su interdipendenza tra le persone (es. B) 2. Prevedibilità/imprevedibilità: il comportamento del capoufficio è prevedibile perché basato su regole scritte (A), quello del tecnico è imprevedibile (B) 3. Esecutività/discrezionalità: l'azione burocratica ha uno stampo esecutivo (A). La discrezionalità è per l'insieme delle posizioni esigua, tranne per le posizioni di vertice che hanno maggior margine di scelta (anche se in uno spazio delimitato). Ma nell'esempio B capoufficio e esperto sono attori strategici (Crozier), cioè possono scegliere e agire a prescindere dagli obiettivi organizzativi Le culture organizzative costituiscono un campo di ricerca difficile da delimitare. Partiamo col ripercorrere i motivi per cui è nato l'interesse tra organizzazione e cultura. Nell'ambito degli studi organizzativi, le culture si affermano come il campo di ricerca comune di una costellazione di approcci orientati a superare il modello razionale. Ma la nascita di queste costellazioni deve molto al modello giapponese di impresa, che ha costituito una doppia sfida: 1. Capacità competitiva del sistema economico occidentale 2. Capacità esplicativa delle teorie organizzative tradizionali L'efficienza dell'impresa giapponese è diversa da quella taylorista e segnala l’importanza di aspetti quali la qualità cooperativa, gli assetti orizzontali e la coesione. Il punto di partenza è la messa a fuoco del rapporto tra organizzazione e il contesto culturale in cui essa opera, infatti oltre che alla gerarchia, ai ruoli e alle regole che disegnano la struttura, la forza del legame organizzativo attinge a valori e significati condivisi. Un secondo punto è la specificità delle culture organizzative, cioè sulle forme in cui ogni organizzazione filtra ed elabora a modo suo il rapporto con la cultura del contesto. Quindi, le culture organizzative sono i sistemi di significati che orientano le (e sono riprodotte nelle) interazioni organizzative. Le dimensioni di significato sono: 1. Dimensioni cogi è la propria realtà 2. Dimensioni prescrittive: grazie ad essi vengo stabiliti i corsi di azione appropriati. Con esse hanno a che fare sia i valori, che indicano i fini ultimi dell’azione, sia le norme e i modelli di azione che vincolano gli attori al perseguimento di questi fini 3. Dimensioni simboliche: attraverso esse il sistema di significato si produce, si fissa e si trasforma ive: modi di vedere e di pensare attraverso cui le organizzazioni stabiliscono qual Esperimento Rosenhan: otto persone sane che si presentano in ospedali psichiatrici. Viene loro diagnosticata la schizofrenia e non appena sono dentro la struttura si comportano in modo normale. Obiettivo: riuscire a farsi dimettere senza essere scoperti. | più vengono dimessi per ‘’remissione della malattia”, nessuno viene scoperto dallo staff. La malattia è una realtà costruita e la diagnosi iniziale è la cornice cognitiva alla quale il personale riconduce tutte le informazioni, anche se sono dissonanti. Inoltre, il contesto degli ospedali psichiatrici è molto ambiguo. Si deve parlare anche della profezia che si autoavvera, nel senso che gli ospedali costruiscono i malati: c'è una diagnosi e la vita organizzativa incorpora questa diagnosi iniziale (somministrazione farmaci, colloqui, uso degli spazi. 3.3 Organizzare Due concetti di Weick: 1. Attivazione (enactment): processo con cui l’organizzazione costruisce l’ambiente a cui essa in seguito risponde. Es. ospedale attiva il malato mentale nel momento in cui lo rappresenta come tale 2. Creazione di senso (sense making): imposizione di ordine ad un ambiente che ne è privo. L'attivazione si intreccia a processi di selezione (cioè riduzione dell’ambiguità). Es. la diagnosi è una cornice che orienta l'interazione con il malato Bisogna soffermarsi su due punti: 1. Organizzazione e ambiente: i confini tra organizzazione e ambiente sono ambigui e queste due entità sono interdipendenti tra loro. | confini sono anche frutto di una scelta e perciò tracciati in modo arbitrario. L'ambiente che viene creato è solo uno dei tanti possibili ed è per questo che esso è modificabile 2. Quando parliamo di sensemaking, non si deve pensare a processi mentali, ma a interazioni fra soggetti (es. creazione di senso negli ospedali è guidata dalla diagnosi) 3.4 Mappe cognitive Esempio di Weick: tenente manda un distaccamento ungherese nelle alpi per una ricognizione. | giorni successivi, c'è una tempesta di neve e il tenente è preoccupato perché i suoi uomini non tornano. Il terzo giorno gli uomini ritornano e uno di loro dice che si sono salvati perché uno aveva una mappa... ma il tenente guarda la mappa ed è dei Pirenei, non delle alpi. In questo caso la mappa che uno dei soldati aveva in tasca ha aiutato i soldati a salvarsi (buon risultato), ma nel caso dell'ospedale la mappa cognitiva per gli ospedali ha portato a risultati negativi: mentre il personale degli ospedali ha confermato l'errore di partenza, i soldati sono stati in grado di trasformare la mappa agendo. Quindi: i repertori culturali delle organizzazioni hanno un risvolto ambivalente, cioè sono alla base della creazione della realtà ma anche nella sua autoriproduzione in assetti immodificabili. Ad esempio, negli ospedali lo staff è cieco rispetto ai propri modi di vedere e agli effetti concreti che ne conseguono. 3.5 Processi generativi e capacità negativa L'azione dei soldati è generativa, perché crea una nuova mappa e un nuovo sentiero, cioè un nuovo modo di vedere la realtà e una nuova realtà, mentre quelli dell'ospedale sono conservativi. | soldati ci sono riusciti grazie: 1. Alla resilienza o flessibilità organizzativa Alla capacità negativa, cioè la capacità di generare dall’indeterminazione possibilità di senso e di azione non ancora pensate e radicate. Si tratta di una sospensione non passiva, ma generativa che avviene in un contesto destrutturato. Esempio: dopo il terremoto che ha devastato la Campania nel 1980, un ragazzo si mette in piazza con un banco a fare i caffè da offrire agli abitanti e ai soccorritori. Un elemento di routine (fare i caffè) viene trasferito in un contesto destrutturato (paese distrutto). Nasce così una connessione tra attività privata (fare caffè a casa) e servizio pubblico (fare caffè per gli altri). Le persone si riuniscono vicino al bar improvvisato, intessendo relazioni (nuovo ambiente da azione generativa) 3.6 Perché le organizzazio solvono? Disastro di Mann Gulch (Weick): nel 1949 tredici vigili del fuoco paracadutisti (smokejumpers) morirono mentre erano impegnati nello spegnimento di un incendio in Montana. Il caso indagato aiuta a capire come migliorare la capacità di resilience, cioè di interagire in modo adeguato con l’ambiente. Il disastro di Mann Gulch fu l’esito di una successione di eventi: 1. Gli smokejumpers si erano convinti di trovarsi di fronte ad un incendio di routine 2. Una volta giunti sul posto, il comandante disse al suo vice di portare la squadra verso il fiume e lui si fermò a mangiare. Questo convinse ancora di più gli smokejumpers che si trattasse di un incendio di routine 3. Poco dopo il comandante raggiunse la squadra e vide che l'incendio stava aumentando. Solo dalla sua posizione poteva capire l'intensità dell'incendio 4. Il comandante fece invertire la direzione di marcia e ordinò di gettare gli attrezzi, ma gli smokejumpers non capirono l'ordine e continuarono ad avanzare verso il fuoco con gli attrezzi 5. Si salvarono solo il comandante e altri due. La commissione stabilì che i ragazzi si sarebbero salvati se avessero eseguito gli ordini del loro comandante Il gruppo era guidato dal vice, mentre il comandante si era fermato a mangiare e che solo il comandante dalla sua posizione poteva capire l'entità dell'incendio. Quest'intreccio portò alla disintegrazione del gruppo e questo creò il panico: ciascuno rimase solo di fronte a eventi e ordini nel quale non si riconosceva alcun senso. Quando il comandante urlò di gettare gli attrezzi, i suoi ordini risultarono incomprensibili, perché in quelle circostanze gettarli per i vigili del fuoco significava perdere la propria identità organizzativa. Il disastro è quindi legato al cedimento della struttura dei legami organizzativi nei suoi due livelli: 1. Livello dei ruoli, delle regole e della gerarchia 2. Livello della comunicazione e dell’elaborazione intersoggettiva e di senso Nella realtà i due livelli sono connessi e si influenzano a vicenda. L'analisi di Weick mette quindi in luce che qualità comunicativa e la disposizione cognitiva verso ambienti indeterminati (vd. Capacità negativa) sono elementi cruciali per la creazione di contesti dotati di senso. 3.7. Appunti: processi generativi e cambiamento Creare nuovi significati talvolta non è solo possibile, ma anche necessario per non far scomparire l'organizzazione. Ci sono due ostacoli al cambiamento: 1. Gliattori organizzativi devono avere apertura cognitiva che permette la capacità negativa 2. processi generativi avvengono nel tessuto intersoggettivo di significati, azioni e comunicazioni che i soggetti organizzativi costruiscono o dissolvono 4. ARTEFATTI SIMBOLICI In questo capitolo parleremo degli artefatti simbolici e approfondiremo due problemi: 1. Qualità dei legami organizzativi 2. Ambivalenza delle culture organizzative (conservazione e cambiamento) 4.1 Sulle tracce delle culture organizzative Artefatti simbolici: modi in cui le culture si rendono visibili. (Artefatti: scaturiscono dalle interazioni e Simbolici: non sono cose, ma segni che possono cambiare nel tempo) Partiamo dal linguaggio. Ogni organizzazione ha un suo vocabolario che esprime e contribuisce a creare i significati che orientano le interazioni fra i suoi membri. Es: Van Maanen scopre che una frase tipica dei poliziotti è ‘’è uno che ruba le chiamate”, perché i poliziotti ci tenevano al proprio territorio. La centralità 3. Non devono essere condivisi i significati, ma i processi con cui avviene la costruzione di questi significati Quindi comunicare e condividere significati in modo generativo significa essere riconosciuti e agire come attori, come soggetti che hanno la capacità e il potere di prendere parte alla creazione di ambienti organizzativi. Una comunicazione-cantiere fa leva sul riconoscimento di queste capacità e di questi poteri. 4.6 Una metafora Metafora dell’organizzazione come teatro formulata nell’ambito del filone narrativo. Una precisazione preliminare è che una rappresentazione teatrale è sia fittizia sia reali. Gli eventi rappresentati sono immaginari, ma i processi da mettere in scena, allestire, fare le prove sono reali. Le azioni del rappresentare prendono impulso da un copione, cioè da un testo scritto con ruoli prestabiliti. Anche la riproduzione più fedele e stringente dei ruoli prestabiliti è un processo creativo in cui si mettono a punto le scene, i ritmi e i registri interpretativi che danno vita ai personaggi e alle storie. Non avremo mai una rappresentazione uguale all'altra: ogni rappresentazione è sempre una riscrittura del modello originale. L'azione teatrale è fatta di comunicazione, linguistica e non solo. Oltre che con i dialoghi, il copione viene riscritto attraverso i movimenti e le posizioni dei corpi, le luci, le immagini, gli arredi e i colori. La storia rappresentata prende forza da tutta la gamma dei registri comunicativi usati che colpiscono le nostre emozioni e i nostri sensi. Riprodurre è una miscela di ‘copiare’ e ‘’ricreare’’ ed essa può avere diversi es a seconda di tre elementi: 1. La riproduzione organizzativa è il frutto dell'esperienza specifica che fanno gli attori dell’organizzazione. Secondo Schein le culture organizzative sono radicate nell'esperienza che i membri fanno nel fronteggiare i due problemi di integrazione e rapporto con l'ambiente 2. Capacità dell’organizzazione di imporsi sull'ambiente 3. Gradi di flessibilità nell'interazione con l'ambiente, cioè capacità di modificarsi reagendo attivamente alle trasformazioni ambientali È importante trovare la giusta combinazione tra l'esigenza di stabilità e l'esigenza di sperimentare e in questo è decisivo il modo in cui la leadership blocca o tiene aperti i processi comunicativi: la regia è importante. 5. L’APPRENDIMENTO ORGANIZZATIVO L'apprendimento serve alle organizzazioni per essere flessibili con l'ambiente. In questo capitolo approfondiremo le caratteristiche dell’apprendimento organizzativo per poi mettere in luce il rapporto tra apprendimento e cambiamento. 5.1 Come apprende l’organizzazione Un'organizzazione apprende quando modifica i suoi repertori delle competenze, cioè le conoscenze, i modelli di azione, le strategie e le procedure operative condivisi e stabilizzati nel tempo. Ci sono diversi tipi di apprendimento (Argyris e Schon): 1. Apprendimento a circuito singolo (single-loop): è sollecitato da un errore e corregge le procedure operative ma lascia invariate le premesse di fondo, cioè le cornici cognitive che prestrutturano conoscenza e azione organizzativa (Quadrato di Watzerlack: vedere i nove punti come un quadrato) 2. Apprendimento a circuito doppio (double-loop): sperimentazione di metodi alternativi e modificazione cornici cognitive (Mettere in dubbio che i nove punti siano un quadrato) 3. Apprendere ad apprendere (deutero-learning): modificare modo in cui si apprende e creare occasioni di apprendimento (Uscire dal quadrato) Il quadrato mette in chiaro alcuni criteri importanti dell’apprendimento organizzativo: 1. Esso si avvale di azioni ricorsive 2. L'apprendimento fa leva sul problem setting (configurazione dei problemi) e problem solving (spinta alla soluzione dei problemi), perciò è aiutato dalla capacità negativa 3. Registro riflessivo dell’apprendimento (vedere i propri modi di vedere, es. il quadrato) 5.2 Esempi Test di intelligenza. Durante le prime somministrazioni del test Stanford-Binet i ricercatori osservarono che le donne ottenevano risultati migliori degli uomini. Non era possibile che le donne ottenessero migliori risultati, quindi fu cambiata la batteria per riequilibrare i risultati: le domande in cui le donne risultavano migliori vennero sostituite con altre in cui gli uomini riuscivano meglio Programmi di edilizia abitativa in America Latina. Negli anni 50 in America Latina vennero avviati programmi di edilizia abitativa, ma inizialmente furono un insuccesso perché neanche i più poveri potevano permettersi quelle case. Gli interventi futuri fecero tesoro dell’insuccesso e riqualificarono le aree già edificate allineandosi ai bisogni dei più poveri Gli orologi e l'ora esatta. C'è un paese talmente sperduto sui monti che nessuno vi arriva. Un giorno arriva un turista che comincia a guardare il campanile dicendo che l'ora è sbagliata perché segna un'ora avanti rispetto al suo. Chiede in giro, e si rende conto che tutti gli orologi del paese sono perfettamente regolati con quello del campanile Microaree: programma pilota ‘’macroaree’’ realizzato a Trieste nel 2005 dall'Azienda sanitaria per fare interventi legati alla salute. In ogni microarea ci sono vari referenti e varie attività, e in una di queste il corso di ginnastica dolce ha così successo che diventa autogestito, così come in un'altra microarea viene organizzato un corso di cucina sociale 5.3 Incoerenza ed evidenze contrarie Nel primo esempio la correzione delle procedure operative, su cui si basa l'apprendimento singolo, è all'origine del mancato apprendimento. La premessa di base è che le donne non possano essere più intelligenti degli uomini e ciò ha una forza tale che i risultati incoerenti vengono corretti cambiando le procedure di rilevazione. Ricavare dalle incoerenze nuove conoscenze e nuovi territori dell’azione è un processo che avviene grazie all'apertura cognitiva che definisce a sua volta la capacità negativa. A sua volta, questa capacità non è prerogativa di un soggetto isolato ma avviene in azioni e interazioni. Il rapporto tra apprendimento è incoerenze getta luce sull'inadeguatezza dei modelli e delle pratiche concrete di apprendimento che enfatizzano le visioni più strumentali di problem solving: 1. La dominanza di un registro strumentale e la spinta alla coerenza ad essa associata tendono a bloccare o impoverire la riflessività: le premesse diventano indiscutibili 2. Le versioni più strumentali del problem solving poggiano su concezioni riduttive e semplificate dell’apprendimento. L'apprendimento non è solo un processo per risolvere i problemi, ma è un processo intersoggettivo 5.4 Le interazioni di confine Dall’episodio degli orologi che segnano l’ora sbagliata si notano dinamiche di tipo circolare, cioè che riproducono all'infinito le premesse (sbagliate) di base. Il turista esterno riconosce l'errore e può promuovere l'apprendimento, a due condizioni: 1. Non deve essere troppo esterno, cioè deve riuscire ad orientarsi in quel mondo ed essere interessato a venire a capo dell'errore 2. Egli deve essere ascoltato, suscitare interesse, essere legittimato Essere esterno non significa solo essere fuori dall’organizzazione, ma anche farne parte avendo punti di vista diversi. Le organizzazioni possono fare un passo indietro quando ci sono incoerenze o quando ci sono interazioni di confine, cioè interazioni con altre realtà e prospettive (es. Quartieri Spagnoli). 5.5 L'apprendimento è un processo intersoggettivo Wenger parla di comunità di pratiche, cioè gruppi di persone informalmente legate da esperienze e abilità condivise e dalla passione per una impresa comune. Le interazioni che si sviluppano in gruppi di questo tipo sono basate sull’impegno reciproco e su un repertorio collettivo di strumenti, linguaggi, valori. Grazie a queste interazioni, le comunità pratiche sviluppano approcci creativi ai problemi, producendo nuove conoscenze che hanno dimensione pratica e sono situate, cioè sono radicate nei contesti in cui vengono prodotte e socializzate. Apprendere implica quindi condividere e modificare conoscenze nell’ambito delle comunità pratiche cui si partecipa. Le interazioni da sole però non bastano (es. Stanford-Binet), servono connessioni e ponti sia dentro l’organizzazione che verso l'esterno. L'apprendimento organizzativo ha bisogno di essere condiviso, ma questo non è sempre facile perché nel discorso organizzativo alcune voci sono più dominanti di altre. La condivisione dell’apprendimento non è quindi un presupposto ma è il risultato di un processo (es. Scuola di Napoli). Un'ultima indicazione la si può ricavare dal programma Microaree. Questo esempio è utile per comprendere l’importanza di condizioni organizzative che favoriscono l'attivazione delle persone, cioè l'esercizio di poteri e libertà di azione e la loro iniziativa in attività collettive. 5.6 Apprendere, conoscere e organizzare Alcuni studiosi hanno proposto il termine ‘’apprendere nell'organizzare’ (learning-in-organizing) per sottolineare l'equivalenza fra organizzazione e apprendere, entrambi concepiti come processi generativi di conoscenze. Ciò implica il superamento della distinzione fra conoscenza e azione: la conoscenza ha natura pratica, scaturisce dall'azione e dall'interazione, che a loro volta sono imbevute di processi di creazione e trasformazione della conoscenza. E' importante sottolineare che stiamo parlando di un sapere non tanto formale, ma informale (o tacito) in cui contano gli oggetti, e gli artefatti fisici e tecnologici che partecipano anche loro ai processi sociali dell’organizzare e dell'apprendere. 5.7 Apprendimento e cambiamento organizzativo L'apprendimento organizzativo è importante per il cambiamento perché: 1. Favorisce i processi di trasformazione. Le dinamiche dell’apprendimento a circuito doppio incrementano la resilience organizzativa, cioè la capacità di interazione flessibile con l'ambiente
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