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Analisi della funzione sintattica del soggetto e dell'oggetto diretto in italiano, Sintesi del corso di Linguistica Generale

Una dettagliata analisi della funzione sintattica del soggetto e dell'oggetto diretto in italiano. Esplora la concordanza delle forme verbali finite con il soggetto grammaticale, la differenza tra le proposizioni intransitive e quelle transitive, la sovrapposizione funzionale tra soggetto e oggetto diretto, la riflessività interpretativa e la convergenza funzionale tra soggetto e oggetto diretto in proposizioni antipassive. Inoltre, viene esplorato il concetto di complemento predicativo e la sua relazione con il soggetto o l'oggetto diretto.

Tipologia: Sintesi del corso

2021/2022

Caricato il 23/02/2024

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Scarica Analisi della funzione sintattica del soggetto e dell'oggetto diretto in italiano e più Sintesi del corso in PDF di Linguistica Generale solo su Docsity! COMPENDIO DI SINTASSI ITALIANA. Capitolo 1. Sintassi: cos’è? La sintassi è il livello di analisi che si occupa della struttura delle frasi; nel particolare, è il processo organizzatore di nessi di relazioni manifestate da parole. Nessi sintattici sono le proposizioni, con le loro parti e le loro composizioni. Ogni elemento prende parte al sistema e diventa parte dello stesso. È definito dai rapporti con gli altri elementi, in funzione di essi. L’insieme di questi rapporti fa di un elemento una parola italiana effettiva. A partire delle interdipendenze che manifesta, cioè dalla sua funzione nel tutto, diventa attribuibile a una categoria grammaticale: articolo o pronome, nome o verbo, e in quest’ultimo caso forma del presente indicativo o dell’imperativo. Stabiliamo a che categoria appartiene una parola in base alle relazioni che intrattiene. Le parti del discorso sono dunque dei valori relativi (nome, verbo, aggettivo, ecc.), non assoluti. La parola non è quindi un’entità assoluta. I valori che rappresenta emergono dagli insiemi sistematici in cui essa si qualifica come parte. La sintassi è dunque il processo di composizione che crea un sistema, o un nesso di relazioni. I termini sono creati per reciproca interazione come parti del sistema e hanno l’aspetto di parole dotate di una specifica forma e di una specifica interpretazione, solo in ragione della loro integrazione in un sistema. Nella sua dimensione sperimentale ottimale un nesso sintattico di relazioni può chiamarsi proposizione. Una proposizione è individuata come un insieme sintattico coerente e sistematico, dotato di una sua complessiva autonomia formale (significante) e interpretativa (significato). Capitolo 2. Vedere la sintassi. La sintassi, in quanto processo compositivo di relazioni, opera nell’ombra ma è manifestata dalle forme e dalle interpretazioni con cui si presentano i nessi. Attraverso queste manifestazioni è possibile vedere la sintassi. In particolare, è possibile vedere: a) come essa determina i rapporti d’ordine sequenziale con cui si presentano nei nessi gli elementi; b) come determina gli elementi dal punto di vista formale; c) come determina in modo correlativo i fenomeni di concordanza e di armonizzazione di tratti grammaticali cui gli elementi possono andare soggetti. 1. Ordinamenti. L’ordine sequenziale con cui si presentano gli elementi che compongono i nessi sintattici è una manifestazione formale della sintassi. Affinchè ci sia sintassi ci deve essere un ordine lineare. Una delle caratteristiche del segno linguistico è, appunto, la linearità. Quando parliamo di linearità pensiamo allo spazio, ma la linearità della lingua non è iscritta nello spazio, bensì nel tempo. In base al modo in cui disponiamo gli elementi di una frase, quest’ultima può variare di significato, poiché l’ordine determina il valore delle parole. Alla differenza d’ordine, che è differenza di significante, si correla una differenza di significato: attraverso la correlazione dei due livelli, le relazioni sintattiche si rendono manifeste. 2. Forme. Le parole si presentano sotto diverse forme, con pertinenti regolarità in funzione della parte del discorso. Lo studio di tali forme è compito della morfologia. Le ragioni che determinano la forma di una parola quando essa ricorre in un nesso dipendono spesso dal fatto che essa è sempre il termine di una relazione sintattica. Nelle determinazioni formali delle parole si manifesta dunque la sintassi dei nessi. Per questi fenomeni si parlerà dunque di morfosintassi. Al mutare dei rapporti, gli elementi che entrano in rapporto prendono una forma e non una diversa. Quanto al verbo vanno, per esempio, considerate determinazioni formali le diverse guise con le quali una forma verbale perifrastica dispone il suo ausiliare. 3. Concordanze. Le concordanze sono determinazioni formali di speciale natura correlativa. La determinazione formale è sensibile a circostanze che vanno al di là dal contesto immediato di ricorrenza. Le forme sono sensibili al ---- - Œ - --- - - --- ⑪I ï⑤ - - - - - --- -- - x - x ⑪ Âï ïx rapporto con elementi che le precedono anche di molto. La determinazione comporta che i suoi termini siano armonizzati rispetto a tratti definiti di persona e di numero. L’armonizzazione è detta appunto concordanza. La concordanza non comporta necessariamente contiguità tra gli elementi concordati. In tutte le concordanze si rende visibile la sintassi. Capitolo 3. Pensare la sintassi. 1. Costituenti. I nessi sintattici possono essere analizzati dal punto di vista formale con una procedura di tipo meccanico. In questi termini, l’organizzazione sintattica è prospettata come un ordine gerarchico di costituenti, rilevati con prove successive di segmentazione di sequenze e di commutazione (cioè, di sostituzione) degli elementi segmentati con altri equivalenti dal punto di vista combinatorio. (metodo che segmenta e sostituisce di Bloomfield). Chomsky, il linguista più noto della seconda metà del ‘900 e allievo di Bloomfield, basa la sua analisi della sintassi su questo metodo. L’analisi dei costituenti mediati ha un principio alla base: si ha un costituente che deve essere diviso in due, dando dei costituenti inferiori. Il rapporto che esiste tra i costituenti è di concatenamento fra costituenti di medesimo rango, e di inclusione del costituente di rango inferiore nel costituente di rango superiore. In ogni costituente di rango superiore sono contenuti due costituenti di un rango inferiore, tra di loro concatenati e quindi del medesimo rango, detti costituenti immediati del costituente di rango superiore a cui appartengono. I costituenti sono ritenute entità coese e dotate di confini entro i quali si strutturano le relazioni sintattiche. (vedere esempio nel libro). Costituenti e ambiguità. Ci sono delle sequenze ambigue, che hanno, cioè, più di un significato, poiché alcuni dei significanti che entrano a farne parte sono correlabili a più significati. Esempio: “L’impresa edificò la sala”. a) La ditta di costruzioni costruì il locale. b) L’azione notevole fu tale da elevare moralmente gli spettatori riuniti nel locale. Esistono, tuttavia, sequenza ambigue senza che ad alcuna delle singole forme che le compongono si possa correlare più di un’interpretazione. L’analisi per costituenti permette di dare una descrizione di grande semplicità di questa circostanza. I nessi sono combinazioni organizzate in costituenti. Ma i confini tra i costituenti spesso non sono superficialmente evidenti, ciò comporta che possono essere intesi e valutati in modo differente. Esempio: “Un’insegnante e la madre di Lia erano sul luogo del delitto.” C’è da chiedersi se l’insegnate sia un insegnate di Lia o un insegnante che con Lia non ha nulla da spartire. “Ester osserva il ragazzo col binocolo”. C’è da chiedersi se Ester sia osservando un ragazzo che ha il binocolo o se Ester stia osservando il ragazzo per mezzo di un binocolo. In entrambi i casi si tratta di capire se i costituenti (di Lia) e (col binocolo) siano costituenti mediati o immediati. 2. Reggenza. Si individuano anche relazioni sintattiche asimmetriche: la reggenza, che è un rapporto asimmetrico tra elementi reggenti ed elementi retti. Un elemento reggente fa sì che esistano le condizioni sintattiche per la presenza nel nesso dell’elemento retto, che dunque dipende dal reggente. Il rapporto di reggenza non va confuso con la circostanza che vede come necessaria la presenza dell’elemento retto. Capitolo 4. Capire e descrivere la sintassi da una prospettiva funzionale. Capita che, come predicati, aggettivi e nomi siano combinati con supporti verbali. La forma più comune in proposito è fornita dal verbo essere, che dal punto di vista sintattico rappresenta sempre un puro valore relazionale. La forma di essere che accompagna un aggettivo o un nome con funzione di predicato è tradizionalmente detta copula. Essa è il supporto morfologico del nome del predicato o parte nominale del predicato. Al nome del predicato e a nessun altro elemento bisogna attribuire la legittimazione degli argomenti. Complessivamente, si parla di predicato nominale quando si fa riferimento all’insieme composto da copula e parte nominale del predicato. Oltre che in forma semplice i predicati verbali si presentano in forma composta, costituita da una forma non-finita del verbo (nel caso più comune un participio passato) e da un elemento verbale che svolge la funzione di ausiliazione, cioè un ausiliare. I participi passati stanno a fondamento dell’intera coniugazione passiva e sono coinvolti nella costituzione di una vasta gamma di perifrasi verbali. Le forme ausiliarie, che insieme con i participi costituiscono queste perifrasi verbali, hanno un carattere di mero supporto morfosintattico. Il participio passato è formalmente comparabile con un aggettivo, ma funzionalmente resta una manifestazione verbale e non nominale della funzione predicativa. In combinazione con l’ausiliare, il participio non è considerato in isolamento, ma visto come parte di perifrasi verbale; la forma composta di una perifrasi verbale è ritenuta, tutta insieme, un predicato verbale. Participio, aggettivo. Può capitare di confondere il participio con un aggettivo. Se mai un dubbio sorgesse, c’è un modo pratico per risolverlo: chiedersi se sia possibile sostituire una di queste composizioni “voce semplice del verbo essere + qualcosa che pare un participio ma che potrebbe essere un aggettivo” con una composizione “voce composta del verbo essere + qualcosa che pare…”. Ad esempio, è possibile sostituire con “è impazzita” con “è stata impazzita”? Se la risposta è negativa sapremo di essere in presenza di un participio. Gli aggettivi si combinano con forme composte di essere, dando quindi luogo a manifestazioni super- composte della funzione predicativa (esempio: Enzo era – stato – famoso ai tempi dei Beatles). Ma l’incertezza classificatoria può continuare a porsi. Nel caso del passivo la verifica con lo strumento della forma super – composta non è disponibile, dato che il passivo comporta forme super – composte. Vediamo che i nomi del predicato e i participi di forme passive possono riflettersi allo stesso modo nella particella invariabile “lo”. Questa particella rinvia a un predicato, non a un argomento. Infatti, mentre gli argomenti sono dotati in proprio dei tratti di persona, di genere e numero, i predicati hanno persona, genere e numero solo di riflesso, per concordanza. Il rinvio predicativo procurato dalla particella invariabile “lo” intercetta la funzione, non la sua concreta manifestazione. La particella “lo”, anche se in apparenza di maschile singolare, non ha né genere né numero. 3. Semantica delle manifestazioni della funzione predicativa e ruoli semantici degli argomenti. Dal punto di vista semantico, la manifestazione della funzione predicativa può designare azioni, eventi, attività, stati. Gli argomenti, correlativamente, copriranno ciascuno un ruolo semantico. Tra i ruoli semantici si parla comunemente di Agente, Sperimentatore, Tema, Paziente, Strumento, ecc. Capitolo 6. Soggetto. Insieme con un predicato, nel sistema di un nesso, ricorrono argomenti. Gli argomenti non sono valori funzionali tutti identici. Non tutti gli argomenti sono eguali. Il nesso funziona anche in dipendenza delle differenze tra argomenti e non solo in dipendenza delle differenze tra predicato e argomenti. Gli argomenti vanno differenziati dal punto di vista sintattico, cioè dal punto di vista dell’organizzazione funzionale dei nessi. 1. Proprietà del soggetto. Prima proprietà: c’è un argomento che si qualifica appositamente determinando la concordanza per persona e numero della forma verbale finita e che lo si indica con la designazione di soggetto. Il soggetto determina la concordanza per persona e numero del predicato verbale e la concordanza con la copula nel predicato nominale. Il soggetto non è introdotto da una preposizione come può succedere di esserlo ad altri argomenti. Quando a manifestare il soggetto è un pronome personale che si può presentare in forme diverse, la forma con cui si presenta quando è soggetto della proposizione è diversa da quella con cui si presenta quando non lo è. L’ordine con cui ricorrono i diversi argomenti nella proposizione tende a differenziare il soggetto facendogli precedere il predicato. Accade quindi che questo apra la proposizione. Tuttavia, l’italiano è una lingua che tratta l’ordine sequenziale della proposizione con una certa variabilità. Le variazioni d’ordine modulano l’espressione per ragioni comunicative e di messa in rilievo. Il soggetto è l’elemento topico della proposizione, cioè l’elemento di cui il resto della proposizione si pone come un commento, come ciò che ne viene detto. Funzione di soggetto e carattere topico non coincidono necessariamente. Il topico di una proposizione può avere anche un’altra funzione sintattica. C’è forte coincidenza tra valore di topico e posizioni di rilievo nell’ordine lineare di concorrenza degli elementi della proposizione. L’iniziale e la finale sono posizioni di rilievo. Solitamente la posizione di apertura di una proposizione è riservata al topico. In una proposizione il topico può realizzarsi persino nell’elemento che manifesta il predicato. 2. Soggetto apparentemente privo di manifestazione. A determinate condizioni il soggetto può anche apparire come privo di manifestazione. La manifestazione del soggetto consiste spesso nell’aperta ricorrenza di una specifica parola nella proposizione, quella che, per esempio, in funzione dell’ordine prende una posizione di rilievo. Quando il soggetto è un pronome personale, salvo il caso di una particolare ricerca di enfasi, l’italiano lo omette, lasciando che sia la concordanza verbale ad alludere al valore funzionale privo di altra manifestazione. 3. Soggetto fantoccio. Proposizioni che contengono predicati meteorologici, predicati riferiti agli eventi che accadono nell’atmosfera, che hanno relazione con il clima o che si riferiscono a eventi astronomici, non è legittimato un argomento. A dire di tale assenza è appunto la mancanza della relativa manifestazione interpretativa. Manca la funzione grammaticale e non c’è nulla che un ruolo semantico possa o debba manifestare. Il soggetto potrebbe anche ricorrere, ma solo al prezzo di una sua valorizzazione figurata. Proposizioni in cui la funzione predicativa è manifestata da verbi di tal fatta possono comportare una forma verbale flessa per numero e persona. La forma verbale finita ricorre alla terza persona, di norma singolare. Della terza persona si è parlato talvolta come di una non – persona, essendone il valore molto diverso da quello della prima (che si riferisce a chi parla) e della seconda (che si riferisce a chi è posto come proprio interlocutore da chi parla). Le proposizioni con predicati meteorologici sono dunque dette proposizioni impersonali e sono contrapposte alle personali, in cui la funzione di soggetto è un argomento a tutti gli effetti e non un fantoccio grammaticale. Anche nelle proposizioni con predicati meteorologici è possibile la presenza di una funzione argomentale, la cui manifestazione assolve apertamente ai compiti grammaticali del soggetto. In questo caso non si tratta di proposizioni impersonali (esempio: le solite piccole gocce di pioggia piovevano come ogni sera sulla città). 4. Basta un soggetto? Bisogna distinguere tra due tipi di soggetto: - Soggetto grammaticale: determina la concordanza delle forme verbali finite; - Soggetto nozionale o logico: chi compie l’azione legittimata dal predicato. Questi due tipi di soggetto possono coincidere. Legittimando gli argomenti, accade che il predicato ponga restrizioni sulla loro realizzazione. In riferimento al soggetto, un caso è particolarmente interessante. Ci sono verbi che istituiscono per il soggetto che legittimano ciò che si può chiamare un contesto ristretto (ideare), in cui possono ricorrere solo certe espressioni e non altre. Altri invece ne istituiscono uno non – ristretto (provocare). Capitolo 7. Oggetto diretto. Per opposizione con il soggetto e con le sue proprietà di manifestazione è facile individuare una seconda funzione, l’oggetto diretto. 1. Proprietà dell’oggetto diretto. L’oggetto diretto è manifestato da forme che non sono introdotte da preposizioni, ma che non determinano la concordanza del verbo finito (esempio: Bice ha lucidato le maniglie). Ma l’oggetto diretto non è escluso da ogni fenomeno di concordanza con la manifestazione verbale del predicato; la morfologia verbale serve a rendere negativamente e positivamente la sua opposizione con il soggetto. I contesti rivelatori sono quelli in cui i due argomenti sono presenti e il verbo, oltre alla parte finita, la cui concordanza è determinata dal soggetto, presenta un participio passato, secondo il modello delle perifrasi perfettive (aspetto verbale che indica azioni o situazioni compiute; passato prossimo e remoto). Il participio passato mette a disposizione una concordanza per numero e genere: il soggetto è radicalmente escluso dal suo controllo. L’oggetto diretto vi è ammesso ed è quindi la funzione che determina la concordanza del participio passato delle perifrasi verbali. Sempre per contrasto col soggetto, che non dispone di tale proprietà, abbiamo la seconda proprietà oppositiva. L’oggetto diretto ha la caratteristica di fungere da termine correlativo della particella narrativa “ne”. I contesti che consentono la prova sono quelli che contemplano nessi nominali quantificati (esempio: tre bistecche, due ragazze). Nei casi in cui un nesso nominale quantificato ricorre come oggetto diretto, corrisponderà una variante con ne partitivo (esempio: Una ragazza ha mangiato tre bistecche; una ragazza ne ha mangiate tre). Nei casi in cui, invece, il nesso nominale quantificato ricorre come soggetto, non avremo una corrispondenza con ne partitivo (esempio: Tre ragazze hanno mangiato spaghetti; Tre ne hanno mangiato spaghetti). Terza proprietà oppositiva. C’è un particolare costrutto subordinato in cui la manifestazione del predicato è affidata a un semplice participio passato e che è caratterizzato dal fatto che, tra esso e la proposizione principale cui si connette, non si dà condizione, per rinvio, di elementi argomentali. Per questa ragione tale costrutto viene identificato come participiale assoluto (esempio: Ucciso l’arciduca Ferdinando, la situazione politica internazionale precipitò). Se un argomento ricorre in una costruzione participiale assoluta lo fa in virtù del fatto che è un oggetto diretto e non un soggetto (I senatori hanno esautorato l’imperatore/Esautorato l’imperatore, a Roma è scoppiato il caos). 2. Altre proprietà formali e interpretative dell’oggetto diretto. Dal punto di vista dell’ordine, di norma, l’oggetto diretto segue il predicato, a differenza del soggetto che lo precede. Naturalmente le cose possono presentarsi diversamente, se si ricercano effetti contrastivi, di enfasi, e così via. Nell’orale, particolari intonazioni marcano quello che eventualmente l’ordine non marca in modo standard (esempio: la buona musica amano i vicini di Eva, non il chiasso). Quanto ai pronomi personali tonici, un oggetto diretto non evidenzia la stessa forma di un soggetto per prima e seconda singolari (io/me; tu/te); l’opposizione formale non riguarda la prima e la seconda plurali (noi/noi; voi/voi). Per le terze persone non è la forma tipica del soggetto a prevalere, ma quella tipica di altre funzioni argomentali. Vediamo infatti che le particelle pronominali atone riservano un’importante evidenza formale all’oggetto diretto con forme specifiche (la polizia lo interrogò a lungo; topolino mi annoia). In questi casi possiamo vedere che “mi, ti, ci, vi” sono oggetti diretti, come si evince dalla corrispondenza con i pronomi tonici, non introdotti da preposizioni, che li possono sostituire. L’esistenza di particelle pronominali riservate alla manifestazione dell’oggetto diretto è utile risorsa. Infatti, se si tratta di terze persone, si potrà determinare con certezza qual è l’elemento che funge da oggetto diretto, cioè quello sostituibile con una particella della serie “lo, la, li, le” (esempio: Eva detestava il ragazzo di sua sorella/Eva lo detestava). 3. Da oggetto diretto a soggetto. Un oggetto diretto e un soggetto possono avere rapporto combinatorio, con le due funzioni presenti contemporaneamente nel livello sintattico pertinente per l’osservazione, oppure commutativo, con le due funzioni correlate ma non compresenti. In linea di principio si osserva infatti che un oggetto diretto che ricorre in combinazione col soggetto è in grado di commutare la sua funzione con quella di soggetto. I nessi che hanno un soggetto grammaticale in cui si riconosce un oggetto diretto che ha commutato la sua funzione sono detti passivi. Un nesso passivo segnala la sua particolare natura con forme predicative specifiche e diverse da quelle dei nessi attivi. La distinzione è considerata in termini di diatesi, la categoria grammaticale attribuita ai verbi e che li differenzia in funzione della relazione che essi hanno con il soggetto. Si parla quindi di diatesi attiva, in un verbi transitivi. Il modo più immediato per capire a quale classe appartiene un verbo intransitivo è la scelta dell’ausiliare nella formazione dei tempi composti: i verbi inergativi hanno avere (ho lavorato, avete camminato), e sono, cioè, simili alle proposizioni transitive, mentre i verbi inaccusativi hanno essere (sono arrivato, sei caduto), e sono perciò differenti dalle transitive, ma anche dalle altre intransitive. I soggetti delle proposizioni intransitive del gruppo con ausiliare avere determinano la concordanza della forma verbale finita, ma non determinano la concordanza del participio passato (*I tifosi hanno gioiti, *Pia ha tossita); hanno quindi le stesse proprietà a quelle dei soggetti delle proposizioni transitive. I soggetti delle proposizioni intransitive del gruppo con ausiliare essere determinano la concordanza della forma verbale finita e determinano la concordanza del participio passato (Erminia è svenuta). Questi due tipi di soggetti hanno qualcosa in comune e qualcosa che li differenzia. Il contesto ideale per valutare le differenze tra due funzioni è quello in cui, essendo ambedue presenti, le proprietà risaltano per contrasto. Nelle proposizioni transitive, presenti soggetto e oggetto diretto, determinare la concordanza del participio passato di una forma verbale spetta all’oggetto diretto. Se il participio si accorda con una funzione argomentale lo fa con l’oggetto diretto (Perpetua aveva rifiutati tutti i partiti). Si è d’altra parte osservato il caso di un soggetto che manifesta questa medesima proprietà: il passivo (la congiura fu ideata dai Pretoriani); in questo caso si tratta di una proprietà formale che tale soggetto possiede per il fatto di essere un oggetto diretto che ha commutato in soggetto la propria funzione. Dato un livello sintattico inaccusativo, non c’è nessuna funzione abilitata a determinare la concordanza di un predicato manifestato da una forma verbale finita. Tale proprietà spetta al soggetto e un livello sintattico inaccusativo non dispone appunto di un soggetto. I rapporti tra le funzioni non sono però solo sintagmatici. L’oggetto diretto di un livello sintattico inaccusativo entra in un rapporto commutativo con la funzione di soggetto: diventa esso stesso soggetto grammaticale. Acquisisce così la proprietà di determinare la concordanza delle forme verbali finite, senza perdere quella di determinare la concordanza del participio passato di tali forme. Si tratta dunque di proposizioni intransitive paradigmaticamente composte da un livello inaccusativo, cui si sostituisce un livello inergativo, nel momento in cui l’oggetto diretto commuta la sua funzione in soggetto grammaticale. La differenza di ausiliare, da un lato avere, dall’altro essere, è a questo punto determinata nel suo valore funzionale. Essa si correla e manifesta la differenza dei soggetti grammaticali delle proposizioni. Proposizioni con soggetto grammaticale che non ha rapporto paradigmatico con l’oggetto diretto hanno l’ausiliare avere, senza riguardo al fatto che esse siano transitive o intransitive. Si tratta di proposizioni il cui soggetto grammaticale è un soggetto e basta, e ha solo le proprietà del soggetto: si tratta di proposizioni intransitive inergative. L’altro gruppo, invece, è costituito da proposizioni il cui soggetto grammaticale è in rapporto paradigmatico, di sostituzione, con la funzione di oggetto diretto e, di conseguenza, manifesta e cumula caratteri tanto dell’una quanto dell’altra funzione. Si chiameranno intransitive inaccusative, e avranno un livello sintattico inaccusativo, commutato però con un livello sintattico inergativo, quello in cui si costituisce il loro soggetto grammaticale. 2. Passivo e attivo (o non – passivo). Se lo si osserva nel suo livello sintattico superficiale, un passivo è da considerare intransitivo: tale livello ha un soggetto grammaticale, ma non ha un oggetto diretto. Le due funzioni non hanno un rapporto sintagmatico. Se lo si considera nella stratificazione dei suoi livelli, un passivo ha però anche un livello sintattico transitivo, in cui oggetto diretto e soggetto sono in rapporto sintagmatico. Del resto, un passivo è l’esito di un processo di detransitivizzazione. Passiva è quindi una proposizione che ha sì un soggetto grammaticale in rapporto paradigmatico con un oggetto diretto, a condizione che questo oggetto diretto abbia nel livello pertinente un rapporto sintagmatico col soggetto tradizionalmente detto nozionale. Quindi abbiamo due condizioni che una proposizione deve rispettare per essere passiva: - Rapporto paradigmatico tra soggetto grammaticale e oggetto diretto; - Rapporto sintagmatico tra oggetto diretto e soggetto non – grammaticale. Basta che una di queste due condizioni non sia soddisfatta per fare di una proposizione una proposizione non – passiva, o attiva. Il passivo è sintatticamente più complesso dell’attivo, poiché le funzioni che lo compongono non si fanno solo per via di rapporti combinatori e sintagmatici, ma anche per via di rapporti commutativi e paradigmatici. Quanto agli aspetti formali, se nell’attivo si hanno forme verbali semplici o composte, la forma verbale che funge da predicato di una proposizione passiva non è mai semplice. È costituita da un ausiliare (essere e venire sono i principali, ma con importanti differenze) e dal participio passato del verbo o da due participi in caso di forme super – composte, il primo dei quali è quello dell’ausiliare (resta escluso da questa possibilità l’ausiliare venire con cui si costruiscono solo forme composte e non super – composte). La manifestazione del soggetto nozionale può essere omessa e in effetti lo è spesso, considerato appunto che il passivo è dal punto di vista comunicativo proprio una strategia di celamento dell’elemento che in linea di principio sarebbe deputato a riempire tale funzione (i colpevoli sono sati identificati; il documento è stato tradotto). In casi come questi si parla di passivo senza agente. Quando il soggetto nozionale di un costrutto passivo ha una manifestazione, essa ha la forma di un complemento introdotto da preposizione da, in forma semplice o articolata, o dalla locuzione preposizionale da parte di. La tradizione grammaticale chiama appunto complemento di agente questa forma, se a trovarsi designato è un essere animato. Lo chiama complemento di causa efficiente in casi diversi (agente naturale, concetto astratto, sentimento, ecc.). Le proposizioni passive hanno rilevanti peculiarità. I valori dei diversi ausiliari del passivo possono essere così differenziati: - Essere può presentarsi con una forma semplice e composta in passivi con e senza agente, che dal punto di vista interpretativo valgono soprattutto come indicazioni di stati (Le barche furono/sono state ormeggiate dai pescatori); - Venire, sempre in forma semplice, ricorre in passivi con e senza agente, che dal punto di vista interpretativo valgono soprattutto come indicazioni di eventi (Il ladro venne arrestato dalla polizia); - Restare o rimanere, in forma semplice o composta, ricorrono soprattutto in passivi senza agente, per stati risultativi (Alcuni passeggeri sono rimasti/rimasero feriti nell’incidente) - Andare, in forma semplice o composta, ricorre soprattutto in passivi senza agente che valorizzano la prospettiva eventiva (La foto della nonna Isotta è andata/andò dispersa durante il trasloco). - Andare, solo in forma semplice ricorre in passivi con e senza agente che valorizzano un’interpretazione modale e deontica, in particolare espressioni di un obbligo, di un dovere (Il capitolo va/andava ripassato da tutti gli studenti). Le proposizioni passive sono particolari anche dal punto di vista dell’aspetto verbale. Frequentemente esse sono caratterizzate da un aspetto perfettivo: colgono l’azione designata dal predicato dalla prospettiva del suo compimento (gli imputati sono assolti dal tribunale, è lo stato finale dell’azione a ritrovarsi in primo piano). Molti caratteri del passivo sono utilizzati opportunamente a scopi comunicativi. Se di un’azione, di un evento interessa sottolineare più l’aspetto compiuto che il processo di svolgimento, il passivo sarà molto probabilmente preferito all’attivo. Allo stesso modo, il passivo è preferito all’attivo se l’oggetto diretto nozionale è ritenuto più rilevante del soggetto nozionale. 5. Medio e non – medio. L’opposizione attivo – passivo, non è però l’unica evidenziata dalla morfosintassi. Si pensi a come si distribuiscono le forme degli ausiliari. Nelle proposizioni con forme verbali perifrastiche finite (struttura perifrastica: espressione composta da più costituenti, che nel loro insieme convogliano un significato unitario), gli ausiliari danno ricetto alla concordanza con il soggetto grammaticale. La loro presenza non si limita però solo alle perifrasi finite e si estende anche agli infiniti e ai gerundi composti (Gianni giura di avere controllato la posta; Avendo controllato la posta…). Quindi anche in una vasta area di costrutti non – finiti l’alternativo ricorrere dell’uno o dell’altro ausiliare dà visibilità a relazioni e differenze funzionali. Forme dell’ausiliare essere sono infatti condivise tanto da proposizioni passive, quanto da proposizioni attive. Al contrario, le forme dell’ausiliare avere sono ristrette solo alla fattispecie dell’attivo: si presenti esso come transitivo o come intransitivo inergativo. Ove è facilmente verificabile, la differenza funzionale codificata dall’opposizione tra le forme ausiliare è allora sufficientemente chiara. Hanno essere come ausiliare le proposizioni il cui soggetto grammaticale ha convergenza funzionale (commutativa o non – commutativa) con la funzione di oggetto diretto: si definiranno medie queste proposizioni e medio il loro soggetto grammaticale. È questo il caso delle proposizioni passive, intransitive inaccusative, in cui la convergenza tra le due funzioni è commutativa. Hanno avere come ausiliare le proposizioni il cui soggetto grammaticale non ha convergenza funzionale con la funzione di oggetto diretto: si definiranno non – medie queste proposizioni e non – medio il loro soggetto grammaticale. Capitolo 10. Proposizioni riflessive e reciproche. Oltre al tipo di sovrapposizione funzionale di ordine commutativa che si verifica tra soggetto e oggetto diretto, abbiamo un altro tipo di sovrapposizione funzionale: quella di ordine sintagmatico, che si riconosce nelle proposizioni tradizionalmente chiamate riflessive. 1. Convergenza funzionale. Il perno intorno al quale ruotano le proposizioni riflessive è il soggetto. Con il soggetto, nello stesso livello funzionale, possono convergere e sovrapporsi alternativamente l’oggetto diretto e l’oggetto indiretto. Quando c’è convergenza tra soggetto e oggetto diretto avremo le proposizioni riflessive dirette; quando c’è convergenza tra soggetto e oggetto indiretto avremo le proposizioni riflessive indirette. Una proposizione che disponga di tutte e tre le funzioni, in cui a convergere col soggetto è l’oggetto diretto sarà una riflessiva diretta; una proposizione che disponga di tutte e tre le funzioni, in cui a convergere col soggetto è l’oggetto indiretto sarà una riflessiva indiretta. Tutte le proposizioni riflessive sono caratterizzate da alcune proprietà formali, che si addensano tutte intorno alla o nella manifestazione della funzione predicativa. La prima caratteristica è la presenza di una marca posta sulla manifestazione del predicato, a prescindere dal fatto che questa manifestazione comporti una forma verbale semplice o composta. Si tratta di una particella variabile in funzione della persona grammaticale, come lo sono appunto le desinenze delle forme personali del verbo: mi (prima singolare), ti (seconda singolare), si (terza singolare), ci (prima plurale), vi (seconda plurale) e ancora una volta si (terza plurale), (esempio: io mi lodo, tu ti lodi, egli si loda, ecc.). come le desinenze personali del verbo, la particella non è sensibile al genere grammaticale, e alla terza persona essa è anche insensibile al numero: la medesima particella si è adoperata nel caso di un soggetto di terza persona maschile o femminile, singolare o plurale. La seconda caratteristica riguarda le forme verbali composte: il loro ausiliare è essere, mentre l’ausiliare delle corrispondenti costruzioni non – riflessive è naturalmente avere (il portiere ha denigrato i compagni – il portiere si è denigrato). L’ausiliare essere marca superficialmente le proposizioni il cui soggetto grammaticale è anche un oggetto diretto in un diverso livello della configurazione. Nelle riflessive dirette, il soggetto grammaticale è anche un oggetto diretto: che vi ricorra l’ausiliare essere è quanto ci si attende. Nuovo è invece il fatto che esso ricorre anche nelle riflessive indirette, dove la convergenza funzionale sembra limitata al caso di soggetto e oggetto indiretto. Una terza caratteristica delle riflessive, sempre in riferimento alle forme verbali composte, concerne la concordanza del participio passato, che è determinata dal soggetto. Come nel passivo e nelle costruzioni inaccusative, sono soggetti grammaticali che si sovrappongono all’oggetto diretto che dispongono della proprietà di determinare la concordanza del participio passato. Nei costrutti riflessivi diretti il soggetto converge con l’oggetto diretto, dunque il soggetto determina la concordanza. Nel caso di riflessive indirette l’un l’altro). Ciò avviene quando la funzione sintattica coinvolta nella reciprocità insieme con la funzione di soggetto è la funzione di oggetto indiretto. Le proposizioni reciproche nel formato con pronome reciproco, cioè in un formato privo di convergenza funzionale, possono coinvolgere, con il soggetto, la funzione di oggetto indiretto. In tal caso nessuna marca si applica al predicato verbale: né la particella, né l’ausiliare essere, né la concordanza del participio passato. Quando una proposizione reciproca indiretta presenta tali marche, accade allora perché la convergenza funzionale “soggetto e oggetto indiretto” è divenuta “soggetto e oggetto diretto”. 4. Antipassivo. Le proposizioni antipassive hanno al loro interno un livello di composizione transitivo. Una proposizione passiva è l’effetto di un processo che rende intransitiva la proposizione facendo convergere paradigmaticamente il soggetto grammaticale con la funzione di oggetto diretto. Una proposizione antipassiva è l’effetto di un processo che rende intransitiva la proposizione facendo convergere sintagmaticamente la funzione di soggetto grammaticale con la funzione di oggetto diretto (I bambini si sono divorati i pasticcini; Ti sei bevuto il mio succo d’arancia). La situazione sintattica è identica a quella delle riflessive: le manca il correlato di un’interpretazione riflessiva, ovvero la proprietà di essere parafrasabile da una proposizione riflessiva con operatore d’identità me, te, se stesso ecc. (*I bambini hanno divorato i pasticcini a se stessi). La ragione è che la convergenza funzionale non è, nel caso dell’antipassivo, effetto di legittimazione da parte del predicato. “Gianni si è pettinato” il predicato manifestato dal verbo legittima Gianni come soggetto e oggetto diretto, come dimostra la corrispondente “Gianni ha pettinato sé stesso”. “I bambini si sono divorati i pasticcini” il predicato manifestato dal verbo legittima i bambini come soggetto e i pasticcini come oggetto diretto. Un processo sintattico indipendente, poi, senza correlato interpretativo, produrrà la convergenza funzionale che attribuisce le due funzioni a i bambini togliendo quella di oggetto diretto a i pasticcini. Le costruzioni antipassive hanno un uso molto frequente nella lingua parlata. Capitolo 11. Altre proposizioni con particella. 1. Proposizioni inaccusative con e senza particella: classificazione. Le proposizioni inaccusative con particella hanno le seguenti caratteristiche: - Il predicato è corredato da una particella della serie mi, ti, si, ci, vi, si (L’affare si complica per l’arrivo di Eva – inaccusativa con particella; L’arrivo di Eva complica l’affare – transitiva); - Nelle forme verbali composte l’ausiliare è essere (Il lago si è prosciugato); - Nelle forme verbali composte il participio passato concorda col soggetto (Le vele si erano gonfiate per la burrasca); - Alle costruzioni inaccusative con particella non corrisponde una costruzione con pronome – operatore d’identità o di reciprocità (L’affare si complica non equivale a L’affare complica sé stesso). Nelle costruzioni inaccusative con particella ricorrono quei verbi, numerosissimi, cui i dizionari attribuiscono un uso transitivo e un uso intransitivo pronominale, tra essi accendere, accordare, gonfiare, riempire, vuotare, aprire, ecc. Le proposizioni inaccusative con particella non sono tuttavia le uniche proposizioni inaccusative che vantano una correlazione con costruzioni transitive. Esistono coppie, l’una transitiva, l’altra intransitiva con un predicato verbale senza particella e sono anch’esse inaccusative: Il fondale affonda il battello (costruzione transitiva) – Il battello affonda per via del fondale (costruzione inaccusativa). Anche qui i verbi che ricorrono sono numerosi, tra essi migliorare, aumentare, diminuire, invecchiare, ecc. In alcuni casi c’è anche una doppia possibilità. Alla proposizione transitiva fanno da contraltare due diverse costruzioni intransitive, una con e una senza particella, senza apprezzabili differenze interpretative, ma ovviamente con differenze sintattiche: Lo smog anneriva le facciate dei palazzi (costruzione transitiva) – Le facciate dei palazzi annerivano per lo smog (costruzione inaccusativa senza particella) – Le facciate dei palazzi si annerivano per lo smog (costruzione inaccusativa con particella). Esistono poi un certo numero di costruzioni intransitive il cui predicato verbale è dotato di particella, ma alle quali non fa da corrispettivo nessuna proposizione transitiva: Il vigile si arrabbiò, Maria si pente della sua decisione. Appartengono a questo gruppo di costruzioni verbi come arrabbiarsi, vergognarsi, ammalarsi, ostinarsi, ecc. Sono parallele a queste le proposizioni intransitive e prive di corrispondenza tra le transitive in cui ricorrono forme verbali prive di particella. Vi compaiono verbi come rimanere, tornare, cadere, scoppiare, esistere, scappare, ecc. Complessivamente, le costruzioni inaccusative possono essere classificate in quattro gruppi. La tassonomia si ottiene valorizzando due caratteri: correlabilità/non – correlabilità con una proposizione transitiva il cui predicato verbale sia morfologicamente simile; presenza/assenza di particella. 2. Proposizioni col cosiddetto “si impersonale”. La costruzione con il “si impersonale” è una costruzione con particella in cui ricorre soltanto la particella “si” (e non il si come esponente della serie mi, ti, si, ci, vi, si): Si rinviano gli esami, si lavora per vivere, ecc. Ciò che determina e caratterizza complessivamente questa costruzione è il fatto di presentare un soggetto indefinito, genericamente costituito da esseri umani (o assimilabili). Dal punto di vista dell’uso, una proposizione con si impersonale corrisponde in molti casi a una proposizione il cui soggetto è un pronome indefinito: La commissione rinvia gli esami diventa qualcuno rinvia gli esami. Essa può corrispondere a una proposizione passiva senza agente: qui vengono vendute uova fresche – si vendono uova fresche. Può risultare appropriata per enunciare una prescrizione di legge, che in quanto tale ha applicazione generale, o una indicazione/prescrizione di comportamento non riferita in linea di principio a una persona in particolare. Nella costruzione impersonale può trovare posto, talvolta, anche un complemento di agente: si mormorava da parte di tutti che il fornaio avesse celato la farina; si ignorava da parte delle autorità la vera cagione del fatto. La costruzione con il si impersonale presenta molte particolarità: - Nelle costruzioni con il si impersonale possono ricorrere forme verbali semplici. Tuttavia, quando per qualsiasi ragione vi ricorre una forma verbale composta, l’ausiliare è essere. In questo, la costruzione con il si impersonale, si comporta in modo identico a ogni altro costrutto italiano con particella. L’ausiliare è essere senza alcun riguardo all’ausiliare eventualmente assegnato alle costruzioni corrispondenti senza si. - Nelle costruzioni con si impersonale la concordanza delle forme verbali di modo finito segue regole in apparenza particolari. La ragione di questa particolarità è che in italiano le forme verbali di modo finito concordano con il soggetto della proposizione, e in questo caso il soggetto ha caratteri di indefinitezza tali da non potere dare in modo sempre chiaro un riferimento per l’accordo. Vi sono quindi regole particolari:  La costruzione contiene un oggetto diretto e l’oggetto diretto è manifestato da un sostantivo o da un pronome tonico di terza persona. In questo caso la forma verbale finita concorda per persona e numero con tale oggetto diretto: Si estendono i benefici della legge; si gettano i rifiuti, ecc. Quando si è in presenza della forma verbale composta la concordanza può verificarsi anche con un oggetto diretto costituito da un pronome atono di terza persona: Le si sono emanate.  La costruzione non contiene un oggetto diretto, oppure lo contiene ma si tratta di un pronome di prima o di seconda persona, tonico come atono, o di un pronome atono di terza persona. In questo caso la forma verbale finita si coniuga alla terza persona singolare, senza riferimento alla persona e al numero dell’eventuale oggetto diretto: In Ispagna si mangia tardi; Si moriva in giovane età; In tal modo si ostacola noi/in tal modo ci si ostacola; Con questa decisione si mortifica te/con questa decisione ti si mortifica. Quando il predicato della costruzione con si impersonale contiene participi (nel caso di forme verbali composte attive o passive) o contiene parti nominali del predicato (aggettivi o nomi, nel caso di costruzioni con copula e predicato nominale), i participi e le forme nominali si conformano alle seguenti regole generali di concordanza:  La costruzione contiene un oggetto diretto di qualsiasi tipo. Il participio passato si accorda con l’oggetto diretto: Si sono gettati i rifiuti, si è provocata la guerra, ecc.  La costruzione non contiene un oggetto diretto. In questo caso si produce una biforcazione: a) La corrispondente costruzione non impersonale avrebbe l’ausiliare avere: nella costruzione impersonale, il participio passato resta nella sua forma non accordata, cioè al maschile singolare: si è mangiato bene, si è sempre mentito ai doganieri. b) La corrispondente costruzione non impersonale avrebbe l’ausiliare essere (compresi i predicati di costruzioni passive e i predicati nominali): nella costruzione impersonale il participio e la parte nominale del predicato si pongono al plurale (maschile nel caso non – marcato, femminile nel caso marcato): dopo che si fu fuggiti…; si viene visitati dal medico di guardia, ecc. In modo molto largo, soprattutto in alcune aree linguistiche italoromanze, la costruzione impersonale può essere anche adoperata per riferirsi a una predicazione che ha come soggetto la prima persona plurale: Si va? = Andiamo?; Alle dieci si prende il treno. In casi come questi la particella si può anche esplicitamente essere preceduta dal pronome personale noi: noi si preferisce il blues, noi si torna a casa. L’artificio stilistico di adoperare una costruzione impersonale per riferirsi a qualcuno di ben definito può peraltro provocare anche qualche deviazione rispetto alle regolarità osservate. Per esempio, la regolarità che vuole la parte nominale del predicato al plurale nelle costruzioni con si impersonale trova qualche eccezione se qualcuno adopera questa costruzione per alludere a sé medesimo o a qualcun altro di ben definito: Si è magistrati per applicare le leggi (regolare); Quando si è un genio della matematica certe pensate vengono naturali (eccezione). Alcuni aspetti della concordanza differiscono tra scritto e parlato. La forma verbale finita e il participio sono accordati con l’oggetto diretto, quando questo è presente. Nel parlato, però, capita che si odano proposizioni con il si impersonale come qui si incontra molti ragazzi carini; in difesa si è corso alcuni rischi di troppo; quest’anno si è visitato le Eolie, ecc. Sono proposizioni in cui la forma verbale resta alla terza persona singolare anche in presenza di un oggetto diretto plurale. Nelle costruzioni con il si impersonale le particelle si presentano in un ordine diverso da quello che si incontra, per esempio, nel contesto di una costruzione riflessiva, reciproca, antipassiva, inaccusativa. In questi casi le particelle con funzione di oggetto diretto e il ne seguono sempre il si e le altre particelle apparentate, che diventano nell’occasione me, te, se, ce, ve: I ragazzi se le scambiano, i clienti se la bevono, ecc. Nella costruzione con il si impersonale tutti i pronomi atoni precedono il si con la sola eccezione del ne: In aereo ci si arriva in sei ore; come sempre li si vende a peso; secondo l’ordine del giorno se ne discuterà domani. Se la costruzione con si impersonale è tale da comportare la presenza di un secondo si comunque motivato, la sequenza si presenta come ci si: Allora la gente si pettinava ancora all’Umberta (riflessivo)/Allora ci si pettinava all’Umberta (riflessivo e impersonale); In quegli anni la gente si querelava senza pensarci due volte (reciproco)/In quegli anni ci si querelava senza pensarci due volte (reciproco impersonale), ecc. La combinazione delle due particelle è giustificata dalla stretta correlazione tra indefinitezza di un soggetto umano generico e valore altrettanto generico della prima persona plurale, cui la forma ci è pacificamente attribuibile. Quando ricorre la sequenza impersonale ci si le particelle pronominali che precedono di norma il si impersonale si collocano tra ci (che diventa ce) e si; il pronome ne si colloca nella sua posizione ordinaria: La versione di greco ce la si scambiava fraternamente; Le mani ce le si lava prima di ogni pasto; I vecchi ci se ne dimentica sempre. Capitolo 12. Proposizioni con più predicati. L’articolazione in livelli della configurazione sintattica consente l’esistenza di proposizioni in cui predicati diversi si uniscono a comporre infine un unico complesso predicativo, che dota l’insieme di tutte le relative (ri-)legittimazioni argomentali. Ci si riferisce a tale configurazione funzionale con la designazione di unione. Un’unione è un nesso semplice, in particolare una proposizione, in cui diverse istanze della funzione predicativa si integrano. 1. Costruzioni con complemento predicativo del soggetto e dell’oggetto. Per tradizione, i grammatici hanno riconosciuto l’esistenza di proposizioni semplici con più di un predicato, definendo in proposito la nozione di complemento predicativo, articolata poi in funzione della distinzione dell’argomento implicato da tale predicato complementare: il soggetto o l’oggetto diretto. legittimato dal predicato causativizzato compare quindi preceduto dalla preposizione da: Eva coglie la mela/Il Creatore ha lasciato cogliere la mela a Eva/Il Creatore ha lasciato cogliere la mela da Eva. Al formato dell’unione causativa va attribuita anche una costruzione che coinvolge verbi di percezione come vedere o sentire, con il medesimo ruolo di fare e lasciare: La nave partì/Antonio vide partire la nave/Antonio la vide partire. Le dinamiche cui soggiacciono le funzioni argomentali coinvolte sono le medesime che si sono viste con fare e lasciare. 5. Composizioni di proposizioni che condividono un argomento. Tanto lasciare, quanto i verbi di percezione ricorrono tuttavia in una configurazione funzionale che, sebbene si presenti (talvolta) come superficialmente identica all’unione predicativa, resta invece ancorata al modello di un nesso non – semplice, costituito cioè da due proposizioni autonome, tra loro connesse dalla condivisione di un argomento, che nell’una svolge la funzione di un oggetto diretto, nell’altra quella di soggetto. Un’unione è, ad esempio, Il creatore lasciò cogliere la mela a Eva; Anna sentì sgridare le reclute dal sergente. Con significato simile, ma in forma diversa, abbiamo Il creatore lasciò Eva raccogliere la mela; Anna sentì il sergente sgridare le reclute. La prova della particella è capace di dire con precisione quali argomenti fanno parte di quali nessi e con quale funzione. In Il Creatore lasciò Eva raccogliere il frutto proibito, l’interpretazione dice che Eva è “chi raccoglie” e che quindi rispetto al nesso che ha in cogliere il suo predicato si tratta del soggetto. La prova della particella mostra tuttavia possibile Eva, il Creatore la lasciò cogliere il frutto proibito: la particella riferita a Eva ci dice quindi che come argomento esso è anche nell’orbita di lasciò e vi è come oggetto diretto. Ci si può quindi chiedere se si tratta di un’unione, ma la risposta sarà negativa: il Creatore lasciò Eva coglierlo, il frutto proibito, con la particella relativa a Il frutto proibito nell’orbita di cogliere, è perfetta; è invece impossibile *Il Creatore lo lasciò Eva cogliere, il frutto proibito. La particella relativa a il frutto proibito non può insomma esorbitare dal nesso di cui fa parte, e evidentemente lasciò non è il predicato di tale nesso. In questa costruzione complessa costituita da una proposizione reggente e da una subordinata e detta, secondo le diverse terminologie grammaticali, con ascensione o con sollevamento, c’è un argomento che, soggetto della subordinata e rimanendo tale, ascende o si solleva, prendendo la funzione di oggetto diretto della reggente. Le due proposizioni restano autonome, a differenza di quanto accade nell’unione, dove la proposizione è unica. Ritornando all’esempio di prima, la proposizione A Eva, il Creatore glielo lascia cogliere, il frutto proibito, con tutte le particelle in opera, è la variante unione; Eva, il Creatore la lascia coglierlo, il frutto proibito, con tutte le particelle in opera, è la variante ascensione. La sorte del soggetto interno è chiaro segnale della differenza tra le due costruzioni, ma solo nel caso di transitività. Nell’unione tale soggetto è destinato a comparire come oggetto indiretto o come soggetto degradato e preceduto dalla preposizione da. Nell’ascensione esso è destinato a comparire come oggetto diretto di lasciare o del verbo di percezione. Per il soggetto interno di un nesso o livello intransitivo, unione e ascensione non fanno differenza: esso compare in ogni caso come oggetto diretto. L’ordine con cui si presentano gli elementi diventa allora determinante: Il giudice ha lasciato Gianni tornare a casa; Il giudice ha lasciato tornare a casa Gianni. All’apparenza queste due proposizioni, che hanno lo stesso significato, sembrerebbero non avere differenze rilevanti. Tra le due proposizioni, invece, c’è una differenza sintattica radicale. Nel primo caso abbiamo due proposizioni, messe insieme dal fatto che un argomento, cioè Gianni, è il soggetto dell’una e oggetto diretto dell’altra; la seconda, invece, è un’unione causativa di due diverse predicazioni, e tutti gli argomenti sono argomenti del medesimo complesso predicativo. Lo si può constatare tramite la prova della particella: *Il giudice ci ha lasciato Gianni tornare è una costruzione impossibile; Il giudice ci ha lasciato tornare Gianni è una costruzione perfetta. Una particella, infatti, non può esorbitare dalla proposizione nella quale manifesta una funzione sintattica: ci manifesta una funzione rispetto a tornare, ma non rispetto a ha lasciato, nel primo caso; manifesta una funzione rispetto al complesso ha lasciato tornare nel secondo. Capitolo 13. Nesso nominale: generalità e determinazione. Il nesso nominale può presentarsi sotto innumerevoli fattispecie che, integrandosi modularmente nella proposizione, vi costituisce un ambito funzionale di larga autonomia. Nel nesso nominale si articola e si arricchisce ciò che va considerato il suo nucleo funzionale, tanto dal punto di vista della determinazione, quanto da quello della modificazione. La determinazione consiste nell’articolazione argomentale interna del nesso nominale. La modificazione nel suo interno arricchimento predicativo. In linguistica, la determinazione è una relazione grammaticale o semantica che lega un elemento (detto determinante) gerarchicamente sovraordinato ad un altro elemento (detto determinato). 1. Nucleo del nesso nominale e sua proiezione proposizionale. Il nesso nominale è un sistema funzionale molto compatto. Nuclearmente esso consiste di una configurazione in cui le funzioni di predicato e di argomento convergono: è insomma un predicato che legittima riflessivamente se stesso nella funzione di argomento. Proiettata come rapporto predicativo proposizionale, la funzione predicativa cui ci si sta riferendo è la stessa che si riconosce facilmente a gatti quando ricorre in Tom e Silvestro sono gatti. D’altra parte, sempre nell’ambito della proposizione, la funzione argomentale cui ci si sta riferendo è la stessa che si riconosce altrettanto facilmente a gatti quando ricorre in Gatti miagolavano nella notte. Con la sua quasi assoluta semplicità sperimentale, nel nesso nominale gatti un predicato che si manifesta come gatti non legittima un argomento diverso, legittima invece sé stesso come un argomento, sotto la stessa forma gatti. Il collasso riflessivo delle due funzioni e la loro unica realizzazione, da un lato differenzia il nesso nominale dalla proposizione, in cui il rapporto tra le due funzioni non è riflessivo ed esse si realizzano in maniera separata, dall’altro lo rende modularmente integrabile nella proposizione. Nel suo complesso, esso realizza come modulo del sistema della proposizione un’appropriata funzione, che può essere a sua volta tanto argomentale quanto predicativa. “Ci sono gatti” è una costruzione esistenziale. Si tratta della minima proiezione proposizionale di un nesso nominale. La forma verbale che vi ricorre è un supporto formale della predicazione. Lo è allo stesso titolo della copula quando lo stesso predicato legittima un argomento distinto da sé stesso, appunto: Tom e Silvestro sono gatti. Insomma le tre proposizioni Tom e Silvestro sono gatti/Gatti mangiavano nella notte/Ci sono gatti illustrano in modo elementare le tre guise funzionali sotto le quali va basicamente considerato un nesso nominale: rispettivamente predicato, argomento, predicato e argomento. La particella che ricorre nella costruzione esistenziale è marca della natura funzionale predicativa e argomentale del nome, ed è solo omofona di quella locativa. In una proposizione, la particella locativa non può ricorrere insieme con il complemento locativo cui fa da specchio, senza che tra essa e il complemento non intervenga appunto una frattura sintattica, che nel parlato significa una rottura dell’intonazione. Necessitano di una frattura: Un topo ci abita, in cantina e Ci abita un topo, in cantina. Nella costruzione esistenziale con complemento locativo, particella e complemento locativo non interferiscono funzionalmente. 2. Funzioni e forme della determinazione. L’articolazione e l’arricchimento del nesso nominale si fa, da un alto, per determinazione argomentale, dall’altro per modificazione predicativa. Non sempre ciò che è tradizionalmente attribuito alla determinazione è funzionalmente argomentale: forme definite nelle grammatiche come determinatori e fatti definiti come fenomeni di determinazione sono tipicamente predicativi (meno comune è il caso opposto). Questa situazione può essere addebitata alla rigidità delle categorie poste alla base dell’analisi sintattica e alla considerazione sostanziale di fatti che sono invece manifestazioni di circostanze funzionali e non circostanze funzionali in sé medesimi. Il caso dell’articolo è emblematico, nella sua semplicità. Sotto la categoria dell’articolo sono state fatte confluire tanto le forme dell’articolo determinativo (il, lo, la, i, gli, le) quanto quelle dell’articolo indeterminativo (un, uno, una). La prospettiva categoriale è del resto almeno parzialmente confermata dall’osservazione distribuzionale: articolo determinativo e indeterminativo stanno in rapporto commutativo, non sono combinabili o lo sono molto modicamente. In realtà, articolo determinativo e articolo indeterminativo sono forme che, se dal punto di vista strettamente distribuzionale occupano una posizione identica, obbediscono a logiche funzionali diverse. In il gatto l’articolo determinativo manifesta l’argomento del predicato gatto (quello che è gatto). In un gatto l’articolo indeterminativo manifesta il predicato che nel nome gatto il suo argomento (di gatto, uno). L’articolo determinativo è quindi la forma assunta da una determinazione argomentale della predicazione nominale; l’articolo indeterminativo è la forma presa da una modificazione predicativa del nome come argomento. In un caso, dunque, si ha determinazione, nell’altro caso si ha una modificazione, come mostrano i contesti in cui l’articolazione sintattica interna del nesso nominale può essere osservata sperimentalmente. Gianni ha visto il gatto ha un ovvio parallelismo con Gianni lo ha visto, perché articolo determinativo e particella pronominale sono funzionalmente simili. Si può dire che la particella pronominale sia il nesso nominale il gatto ridotto alla sua semplice determinazione argomentale, una volta che in esso sia stata resa latente la predicazione nominale. Gianni ha visto un gatto ha invece un ovvio parallelismo con Gianni ne ha visto uno. E in questo caso il predicato uno rimane manifesto e il suo argomento è rappresentato dalla particella che identifica gli argomenti di una relazione partitiva: Gianni ne ha visto due, alcuni, molti. 3. Nomi nudi. Sono varie le configurazioni funzionali che soggiacciono al ricorrere dei cosiddetti nomi nudi: nessi nominali, cioè, che mancano almeno superficialmente della funzione argomentale di determinazione. Tra i nomi che più frequentemente ricorrono apparentemente nudi in italiano ci sono i nomi propri personali: Lucia salutò Angelo e Angelo chiamò Antonio. I nomi propri sono essi stessi manifestazione della funzione di determinazione. Essi sono la determinazione dell’argomento di un predicato di denominazione: Lucia è insomma ‘La chiamata Lucia’, Angelo è ‘il chiamato Angelo’. In molte varietà italoromanze i nomi propri ricorrono accompagnati dall’articolo determinativo. In la Gianna, ad esempio, vediamo che è doppiamente manifestata la determinazione dell’argomento della predicazione denominativa: la ridondanza si presta a esprimere una marcatezza del genere femminile in quelle varietà che non dicono il Gianni. Caso diverso è quello che vede spesso ricorrere nomi nudi plurali (soprattutto in elenchi) e nomi di massa (e assimilati): Leoni, zebre e giaguari stanno nelle gabbie; Ho mangiato spaghetti e bevuto birra. Qui la manifestazione della determinazione manca proprio perché non c’è determinazione argomentale o ce n’è una solo virtuale e generica. Terzo caso è quello dei nomi nudi la cui nudità è da correlare alla funzione sintattica che essi manifestano a livello della proposizione: Ugo è architetto è considerata una costruzione predicativa (anche con la variante un architetto), viene opposta al costrutto detto identificazionale Ugo è l’architetto dove a svolgere la funzione predicativa (rispetto all’argomento Ugo) non è semplicemente il predicato architetto, ma la sua determinazione argomentale espressa nell’articolo determinativo (Ugo è quello che è architetto). Altro caso sono i nomi predicativi che ricorrono nelle costruzioni con verbo supporto: Eva aveva paura dei serpenti, Antonio fece segno a Cleopatra. Capita di sentir parlare di effetti della fissità di locuzioni, lessicalmente determinate (aver paura, far segno ecc.). Le cose non stanno così; in questi casi la manifestazione della funzione determinativa è strettamente correlata a fatti sintattici. 4. Relazione partitiva. Una determinazione con valore quantitativo, anche quella cui dà forma il semplice articolo indeterminativo, comporta dunque l’istituzione di una relazione partitiva e la relazione partitiva si fa superficialmente luce con il cosiddetto articolo partitivo, una sorta di plurale dell’articolo indeterminativo: Gianni incontrò delle studentesse afgane; Delle correnti occidentali interessano una vasta aerea del continente. Ciò spiega il ricorrere in questi casi della particella ne, che è appunto la particella che sta in relazione con un elemento introdotto dalla preposizione di: La nonna aveva mangiato solo una fetta di torta; di torta, la nonna ne aveva mangiato solo una fetta. 5. Determinazione come processo di nominalizzazione. La determinazione è la specificazione argomentale di un nesso nominale: il predicato che vi ricorre si applica a un argomento determinato e lo legittima nella funzione. Apposizioni interne sono considerate i termini linguistici e grammaticali, nome, sostantivo, verbo, aggettivo, preposizione, ecc. quando ricorrono come negli esempi che seguono: il nome coraggio è di genere maschile; il verbo correre è intransitivo, ecc. Lo stesso vale per i nomi comuni che accompagnano direttamente un nome proprio o una designazione. È il caso, per esempio, dei nomi di entità astronomiche, geografiche o politico - amministrative come pianeta, stella, mare, fiume, lago, monte, villaggio, quartiere, regione, ecc. quando ricorrono come negli esempi che seguono: il pianeta Marte; il Mar Baltico; il fiume Adige; ecc. Hanno invece un comportamento sintattico differente, città, comune coi quali il nome proprio ricorre come complemento di denominazione, preceduto dalla preposizione di: La città di Enna è il più alto capoluogo di provincia d'Italia; il Comune di Aviano ospitava una base militare. Sono ancora considerate a posizioni interne i nomi di composizioni letterarie e in genere di opere dell'ingegno umano come dramma, tragedia, poema, film, ecc. nei casi di: il sonetto tanto gentile e tanto onesta pare; la tragedia di Edipo a Colono, ecc. Sono considerate apposizioni interne i nomi di istituzioni sociali, culturali, politiche di varia natura quando ricorrono in contesti come: il quotidiano Le Monde ha riferito dell'incontro; il sindacato CISAL ha proclamato un'agitazione. Carattere delle cosiddette apposizioni interne è il collocarsi prima del nome che si ritiene modifichino, come accade con signore o signora, con i nomi di parentela, con i titoli di studio accademici, i titoli religiosi o militari, i titoli nobiliari. In termini funzionali e non categoriali, per tutte queste configurazioni con cui si presenta il nesso nominale, è ragionevole pensare che la cosiddetta apposizione interna costituisca in realtà essa stessa il nucleo nominale e che il nome che la segue sia una modificazione attributiva, di tipo particolare, in quanto denominativa, ma sostanzialmente non dissimile al caso che presenterebbe un banale aggettivo. Vanno sotto la stessa designazione di apposizioni, ma qualificate stavolta come esterne, i casi di: Scelba, il Ministro, fu l'ideatore del Reparto Celere; Peter Sellers, il noto interprete inglese di film satirici, recitò nel ruolo del dottor Stranamore, ecc. Si tratta di nessi nominali, anche complessi, che sempre con valore di modificatori seguono o precedono complessivamente il nesso nominale cui si riferiscono: poeta dalla grande vena civile, Giosuè Carducci fu protagonista di molte polemiche. La natura predicativa dell'apposizione esterna è trasparente: il suo riferimento non è mai distinto da quello del nesso nominale cui va attribuita e in cui trova il suo argomento, come accade appunto ai nessi nominali che fanno da nomi del predicato. L'apposizione esterna va perciò ascritta alla riduzione di modificazioni predicative in forma di proposizioni relative non - restrittive. Come l'attributo, l’apposizione può ricorrere come modificazione di nessi nominali che hanno poi qualsiasi funzione grammaticale nella proposizione. In linea di principio l'apposizione concorda per numero, e per genere ove possibile, con il nome cui si riferisce, rigorosamente quando è interna: Gli architetti Aalto e Saarinen sono importanti esponenti della cultura del Novecento. Quando è esterna la concordanza segue il modello della concordanza del nome del predicato con il soggetto: Laurel e Oliver Hardy, comici del cinema muto, continuarono ad avere successo anche con l’avvento del sonoro. Si trovano definiti come casi di apposizione esterne anche quelli esemplificati in: Da ministro, Scelba, fu l’ideatore del Reparto Celere; Come direttore dell'Istituto, Giovanni Gentile, promosse molte iniziative culturali. In essi il collegamento con nesso nominale che funge da argomento è formalmente assicurato dalla preposizione da e da espressioni quali come, quale, in qualità di, in veste di, in funzione di, ecc., circostanza che induce a ritenere tali casi affini a quelli della modificazione per via di complemento. 5. Complementi del nesso nominale. Nel nesso nominale la modificazione può prendere la forma di un complemento. Il complemento è a sua volta un nesso nominale caratterizzato dalla presenza di una preposizione che assicura il suo collegamento superficiale con l’elemento che modifica. Nella maggioranza dei casi si tratta della preposizione, semplice o articolata, di. È tradizione denominare variamente i diversi complementi del nesso nominale, facendo appello a loro generici caratteri funzionali, o più spesso interpretativi. Si parla allora di complementi di età, di materia, di quantità, ecc. A coprire un gran numero di fattispecie della modificazione nominale sotto forma di complemento è, però, il complemento di specificazione. Tutte le forme che ricorrono sotto questa etichetta sono caratterizzate dalla preposizione di: il complemento di specificazione; la casa del fattore; la panchina del parco. Sotto l’etichetta ricorrono, quindi, modificazioni interpretabili, tra gli innumerevoli altri, come: - rapporti di possesso: la cartella di Gianni / l’oca del contadino; - rapporti tra opera e artefice: le opere di Verga / un quadro di Matisse; - rapporti tra un elemento e l’insieme di cui fa parte o il luogo in cui si trova: le finestre della casa / gli alberi della valle; - rapporti tra eventi o cose e loro determinazioni temporali: le nevicate dell’inverno scorso / gli uomini del Cinquecento; - rapporti tra contenuto e contenente e viceversa: il vino della botte / la bottiglia dell’aceto; - rapporti di parentela e in genere di relazioni sociali: il cugino di Giacomo / il funzionario del ministero. La più ampia gamma di rapporti converge formalmente nel complemento di specificazione. La relazione sintattica di molti complementi di specificazione trova poi un equivalente funzionale nella modificazione attributiva, sotto la forma di un aggettivo che è considerato relazionale: le antenne televisive, la bolletta telefonica. Non poche combinazioni rendono funzionalmente trasparente la relazione sintattica che si instaura tra un nome e il suo complemento di specificazione. Ciò avviene soprattutto quando la natura predicativa del nome modificato è sperimentalmente meglio evidente. Il complemento di specificazione può avere un valore oggettivo (Il racconto dell’infermiere fu raccapricciante) o un valore soggettivo (Il racconto dell’incidente fu raccapricciante). Non di rado, in superficie la differenza non è percepibile e la forma del nesso nominale pur composta esattamente dai medesimi elementi è ambigua; è, in altre parole, la forma uguale di due nessi nominali diversi: il timore dei soldati è ingiustificato, il complemento di specificazione dei soldati può avere valore soggettivo (‘i soldati hanno timore di qualcosa’), come valore non – soggettivo (‘qualcuno ha timore dei soldati’). Solo un contesto più ampio o un’informazione supplementare può aiutare a intendere di quale delle due si tratta: il timore dei soltati per la battaglia imminente è ingiustificato. Quando invece la modificazione si lascia intendere come specificazione di un rapporto di denominazione tra il nome modificato e il complemento che lo modifica si è soliti parlare di complemento di denominazione. Anche il complemento di denominazione è introdotto dalla preposizione di. Il complemento di denominazione ricorre come modificazione di nomi come: - mese, giorno: la scuola è chiusa nel mese di agosto; - nome, cognome, nominativo, soprannome, nomignolo, pseudonimo, appellativo, denominazione, o composti come nome d’arte, nome di battaglia, nome di battesimo: Andrea de Chirico è noto sotto lo pseudonimo di Alberto Savinio; Al figlio di Giuseppe e Maria fu dato il nome di Gesù; - titolo, attributo, designazione, qualifica, diploma: Ida ha ottenuto la qualifica di primo segretario; - i nomi di entità geografiche e politico – amministrative come isola, penisola, catena montuosa, altipiano, città, comune, stato, repubblica, regno, protettorato: L’isola d’Elba si trova nel mar Tirreno; La città di Torino ospiterà la manifestazione; Quanto a espressioni come quel gentiluomo di, quella gran donna di, quell’anima santa di, la buonanima di, quel farabutto di, quel poco di buono di, quella sgualdrina di, quel bel tipo di, ecc. accompagnano un nome, talvolta proprio, talvolta comune, ma sempre con carattere di definitezza, e svolgono rispetto a esso una funzione che cumula caratteri sintattici del determinatore, dell’attributo e dell’apposizione. Ma si noti che il nome si presenta sintatticamente sotto la forma di un complemento di denominazione, introdotto appunto dalla preposizione di: Quel sant’uomo del direttore lo aveva avvertito che con quel comportamento avrebbe finito per essere licenziato; Quel bel tomo di Teo ha infastidito tutta la classe. Il complemento di età modifica un nome con un’indicazione relativa alla sua età. È frequentemente composto da un numerale e da un nome di un’unità di misura temporale (secolo, decennio, lustro, anno, mese, settimana, giorno, ecc.). Si trova introdotto dalla preposizione di e, nel caso di una determinazione approssimativa, da su: Un albero di quattro secoli; un ragazzo sui diciotto anni. Sta in corrispondenza funzionale con appropriate modificazioni attributive: una signora ottantenne, un manoscritto millenario. Quando è invece questione di materia, ci si riferisce al relativo complemento di un nome come complemento di materia, introdotto dalle preposizioni di e in: un lume di carta; una camicia di lana. Ancora una volta si verifica una corrispondenza funzionale con appropriate modificazioni attributive: una statua di legno = una statua lignea. Per tradizione, una specifica etichetta è stata anche attribuita ai complementi del nome interpretabili come qualità, quantità o misura attribuitegli dalla modificazione. Le preposizioni che introducono il complemento di qualità sono di, la più frequente, da e con: un ragazzo di sani principi, un centravanti dal tiro possente. Si prestano superficialmente come complementi di qualità, ma hanno il carattere di aggettivi invariabili e quindi la funzione sintattica di attributo numerose espressioni come a ruota, a portafoglio, a campana, a righe, a quadretti, ecc. Quanto al cosiddetto complemento di quantità o misura, esso è ancora una volta generalmente introdotto dalla preposizione di e, talvolta, dalla preposizione da: una bottiglia di un litro, un contratto da dieci miliardi. Capitolo 15. Composizioni di proposizioni: ipotassi e paratassi. Mettere insieme proposizioni significa organizzarle in un sistema secondo rapporti reciproci gerarchici o non - gerarchici. Si parla di ipotassi o subordinazione nel primo caso e di paratassi o coordinazione nel secondo. Nell'organizzazione ipotattica c'è un elemento sintatticamente indipendente: una proposizione indipendente, detta anche principale. In funzione della proposizione indipendente si articolano le dipendenti che, se direttamente connesse alla indipendente, sono dipendenti di primo grado. Anche alle dipendenti possono poi essere connesse ulteriori dipendenti secondo uno schema gerarchico intuitivo. Le dipendenti subordinate a una dipendente di primo grado saranno dipendenti di secondo grado e così via. Il rapporto di subordinazione è manifestato in vari modi. Esso è di norma formalmente segnalato dalla presenza in apertura della dipendente di una congiunzione di subordinazione. Quando la composizione si fa per coordinazione, il rapporto si sviluppa nel tempo, o per lo scritto nello spazio, per quella caratteristica di linearità, cui è inderogabilmente soggetta alla manifestazione delle relazioni linguistiche. La composizione può avere manifestazioni formali diverse dalla semplice linearità temporale o spaziale. Una proposizione che si coordina a un'altra che la precede può infatti presentare congiunzioni di coordinazione, come ad esempio e. Subordinazione e coordinazione costituiscono così due diversi modelli generali per la combinazione delle proposizioni all'interno dei testi. Esse si mescolano in vario modo, ma la prevalenza dell'una o dell'altra costituisce una differenza di cui chi legge o ascolta non tarda a rendersi conto. La subordinazione ricorre in testi in cui prevale l'aspetto argomentativo e la composizione è, per così dire, affidata alla trasparenza di rapporti predicativi interpretabili e interpretati: causali, temporali, finali e così via. La si trova quindi soprattutto in certi tipi di testi scritti o in un parlato fortemente organizzato. La coordinazione ricorre in testi scritti, o parlati che essi siano, in cui prevalgono aspetti emotivi o conativi, testi che non badano a rendere linguisticamente trasparente la ratio compositiva delle proposizioni e si affidano quasi per intero alla semplice e irrinunciabile caratteristica della linearità espressiva. Il contrasto tra ipotassi e paratassi non è peraltro da intendere banalmente come un'opposizione tra semplicità e complessità. Il contrasto è piuttosto tra modi di manifestazione più o meno impliciti e ambigui, più o meno controllabili e democratici. La piana sequenzialità della coordinazione pare comportare dei vantaggi da questo punto di vista, con la sua immediatezza; ma immediatezza non è necessariamente ragazzo sul tetto. Una subordinata esplicita è di norma introdotta da una congiunzione di subordinazione (come quando), da un pronome, da un aggettivo, o da una congiunzione interrogativa (come che cosa o come se), se si tratta di una proposizione relativa da un pronome relativo (come chi). Una subordinata implicita è una proposizione in cui a manifestare il predicato, o a supportarne la manifestazione, ricorre una forma verbale di modo non finito: Il nonna ha promesso di regalarle un motorino; Riconoscendo il tuo torto, hai meritato il perdono generale. Esistono subordinate implicite infinitive, cioè con verbo all'infinito, gerundivo, cioè con verbo al gerundio, participiali, cioè con il verbo al participio passato. Le infinitive si trovano di norma introdotte da preposizioni che svolgono la funzione di elementi congiuntivi (come di, a, per) e anche, quando si tratta di relative o di interrogative indirette, da pronomi relativi pronomi, aggettivi e congiunzioni interrogativi. Proposizioni subordinate dalle più varie funzioni possono presentarsi sotto forma implicita come sotto forma esplicita. Ciò comporta l'esistenza di costrutti alternativi simili interpretativamente ma diversi formalmente. La preferenza per l'una forma o per l'altra è dettata spesso da criteri stilistici: Ammetto di avere torto e penso di raccontarle la verità = Ammetto che ho torto e penso che le racconterò la verità. Andando da una forma all'altra il passaggio dall'implicita all'esplicita si fa più liberamente del passaggio dell'esplicita all'implicita. Benché siano apparentemente più semplici le subordinate implicite devono infatti soddisfare requisiti sintattici più restrittivi. In esse la manifestazione della funzione predicativa manca del carattere che nelle proposizioni di modo finito palesa uno dei circuiti fondamentali su cui scorre la sintassi del nesso: la concordanza con il soggetto. In modo complementare, per la funzione di soggetto si restringono considerevolmente le possibilità di avere una palese realizzazione. Il modo con cui si determina formalmente la funzione di soggetto di una subordinata implicita si pone così in dipendenza di tre fattori principali: il tipo di forma non – finita della manifestazione predicativa della subordinata (infinito, gerundio, participio), la funzione svolta dalla subordinata, e il tipo di predicato della reggente. Se in relazione a qualcuno dei tre fattori non si danno le condizioni per chiare determinazioni funzionali, una subordinata implicita ricorrerà difficilmente. Capitolo 16. Completive e attributive. Completive e attributive sono proposizioni subordinate che stanno le une di qua dal limite della proposizione semplice, le altre di qua dal limite del nesso nominale. 1. Soggettiva. La completiva soggettiva è una proposizione che realizza la funzione di soggetto della proposizione che la regge: Che il professore sorrida mi tranquillizza; Passeggiare a lungo e giornalmente fa bene agli anziani. Quando una soggettiva copre una funzione di soggetto legittimata (e non soltanto la funzione di soggetto grammaticale) il predicato della proposizione che la regge è ovviamente tra quelli che determinano per il loro soggetto un contesto non ristretto: Gianni medita è una frase impeccabile; *Che Lia compri bond argentini medita, non è una frase possibile dal momento che meditare impone al suo soggetto le condizioni di un contesto ristretto; Che Lia compri bond argentini fa meditare Gianni, per via dell’aggiunta del causativo, è una frase perfetta. Proposizione soggettiva e nesso nominale sono spesso commutabili senza problemi: Il sorriso del professore mi tranquillizza; Una lunga passeggiata al giorno fa bene agli anziani. In altri casi invece la commutazione non può avvenire: Sembra che il prezzo del petrolio cali. Questo fenomeno è peraltro correlato a un'altra particolarità. Dal punto di vista dell'ordine una soggettiva ricorre spesso dopo il predicato della reggente e in ciò si differenzia dai soggetti manifestati da nessi nominali più semplici: è possibile che l’erogazione dell’acqua venga interrotta; è previsto dagli esperti che il prezzo del petrolio cali. Ciò non esclude la possibilità che il predicato preceda la soggettiva: Che l’erogazione dell’acqua venga interrotta è possibile; Che il prezzo del petrolio cali è previsto dagli esperti. Per rendere ragionevolmente conto di tali apparenti eccezioni si può chiamare in causa la presenza di livelli di legittimazione inaccusativi, con una completiva manifestare dunque una funzione di oggetto diretto, non abilitata a commutare tale funzione con la funzione di soggetto grammaticale e destinata, allora, a comparire in una proposizione personale con un soggetto grammaticale fantoccio. Ciò lascia intendere che ci sono completive che sono solo apparentemente soggettive e sono invece oggettive di livelli non – transitivi. La completiva soggettiva ha forma tanto esplicita quanto implicita. La soggettiva esplicita è introdotta comunemente dalla congiunzione o dalla locuzione congiuntiva il fatto che. Il verbo che vi ricorre va all'indicativo, al congiuntivo, o al condizionale. L'indicativo compare in soggettive dipendenti da una reggente il cui predicato le attribuisce il valore interpretativo di fatto non opinabile: è assodato (il fatto) che il testimone ha mentito; è noto che nessuno ama le tasse. L’opinabilità è al contrario il tratto interpretativo tipico delle soggettive in cui ricorre il congiuntivo e che si trovano rette da principali il cui predicato si manifesta come l'espressione di una credenza, di una volontà, di un dubbio, di un desiderio, di un timore, di un'eventualità: Accade che ci si sbagli; Era probabile che i nostri amici fossero ancora in casa. Il modo congiuntivo è per sé stesso marca formale di subordinazione. Può dunque accadere che una soggettiva al congiuntivo manchi del che introduttivo: è possibile sia fuggito. In uno stile elevato la soggettiva esplicita può presentare il congiuntivo anche priva del tratto interpretativo di opinabilità: Che la lettera fosse stata spedita da molti giorni risultava con certezza alle autorità competenti. Ricorrerà d’altra parte il condizionale in una soggettiva che sia a sua volta reggente di una subordinata condizionale che richiede una reggente al condizionale: è sicuro che lo farebbe, se solo lo volesse; Risultò certo che sarebbe arrivato. Nella lingua parlata il congiuntivo subisce spesso la concorrenza dell'indicativo e subisce gli esiti di tale concorrenza anche il congiuntivo delle completive soggettive: Sembra che il pranzo è pronto; è probabile che i primi uomini erano vegetariani. Quanto allo scritto l'uso dell'indicativo in quelle soggettive che richiedono il congiuntivo è ancora normativamente stigmatizzato e valutato come indice di sciatteria stilistica. Il modo verbale della soggettiva implicita è l'infinito. Una soggettiva implicita è in alcuni casi formalmente introdotta dalla preposizione di: Capita di perdersi nella metropolitana; In altri casi essa è nuda: Bisogna rispettare le regole. Presenza e assenza della preposizione stanno in rapporto con la manifestazione del predicato della reggente. Vi sono manifestazioni che impongono la preposizione; altre che la escludono; altre ancora che autorizzano in ambedue i casi: Duole (di) apprendere tali particolari; Scoccia (di) sapersi in torto. In tutti i casi nella soggettiva implicita non si dà manifestazione esplicita della funzione di soggetto. Il suo soggetto è implicito e per dargli visibilità, quasi fosse un elemento pronominale sottinteso, si può sperimentalmente ricorrere alle sue proprietà di interpretazione. Esso si presenta infatti a essere interpretato opportunamente, in taluni casi come un soggetto generico: Bisogna rispettare le regole; in altri come una correlazione un rinvio a un argomento della reggente: Fare acquisti in centro per ore e ore diverte Maria. 2. Oggettiva e altre completive. Con completiva oggettiva ci si riferisce di norma a quella completiva che funge da oggetto diretto nella proposizione che la regge: Ugo riconosce di avere sbagliato; Il ragazzo desidera che tu lo incoraggi. Esistono poi altre completive indirette rette da predicati il cui rapporto con l'argomento è formalmente mediato da una preposizione, che condividono molte probabilità con l'oggettiva: Pio rinuncia a partecipare alla festa; Ada beneficia del fatto che tutti l’adorano. Un’oggettiva corrisponde a un nesso nominale con funzione di oggetto diretto: Ugo riconosce il suo sbaglio; Il ragazzo desidera il tuo incoraggiamento. Come oggetto diretto un'oggettiva è correlabile con una particella atona. Questa ha nel caso specifico una sola forma possibile non marcata per genere e numero, e formalmente identica al maschile singolare: Ugo lo riconosce (di avere sbagliato); Il ragazzo lo desidera (che tu lo incoraggi). Una completiva con funzione di complemento preposizionale legittimata dal predicato della reggente a correlazione con relativa particella: Tutti erano convinti della malafede di Pio = Tutti ne erano convinti. Anche l'oggettiva può presentarsi in forma esplicita o implicita. In forma esplicita è introdotta dalla congiunzione che, o dalla locuzione congiuntiva il fatto che: Mi hanno detto che l’iscrizione è ancora possibile; Ciò comporta (il fatto) che Pio si dichiari d’accordo. La locuzione è talvolta la preferita nel caso di oggettive indirette, rette cioè da un verbo il cui rapporto con il suo argomento è mediato formalmente da una preposizione: Pia beneficia del fatto che tutti l’adorano. Il verbo dell’oggettiva esplicita può trovarsi in uno dei tre modi finiti indicativo, congiuntivo e condizionale. L'indicativo è il modo tipico delle oggettive rette da proposizioni che ne presentano il contenuto come non opinabile: Il funzionario dice che bisogna completare questo formulario; Il bollettino medico ha annunciato che il paziente è fuori pericolo. Al congiuntivo vanno invece le oggettive che le reggenti presentano come interpretativamente opinabili e oggetto quindi di una credenza, di un desiderio, di un timore: Immaginiamo che gli uomini non siano gli unici abitatori dell’Universo; Ada desidera che i suoi ordini siano rispettati. Anche in questi casi il congiuntivo subisce la concorrenza da parte dell’indicativo, soprattutto nella lingua parlata e nei registri informali. Ma nello scritto e anche nell'espressione orale accurata il congiuntivo ricorre in alcuni casi: Credo che il bambino abbia sette anni; Qualcuno ha avanzato l’ipotesi che gli uomini non siano gli unici abitatori dell’Universo. Il condizionale vi ricorre quando sono allora volta reggenti di una subordinata condizionale: Ritengo che una tua visita sarebbe indispensabile, se il malato si aggravasse. Un'oggettiva esplicita al congiuntivo al condizionale può anche mancare dell'elemento introduttore: Temono (che) sia precipitato; Suppongo (che) Lei abbia già visitato l’appartamento. L’oggettiva implicita ha il verbo all'infinito ed è di norma introdotta dalle preposizioni di e a, con funzione di congiunzioni subordinanti: Progetto di trascorrere le vacanze al mare; Ivo sa di avere torto. Il soggetto di un'oggettiva implicita non ha appunto manifestazione esplicita. Una sua manifestazione è tuttavia sempre presente e recuperabile, come testimoniano i fatti interpretativi. Il valore del soggetto implicito di un'oggettiva implicita è quello di un pronome che rinvia a un argomento della reggente: Progetto di trascorrere le vacanze al mare; chi trascorre le vacanze al mare è lo stesso “io” che enuncia progetto. Il soggetto dell'oggettiva implicita coincide col soggetto della reggente, ma non si tratta, tuttavia, della sola possibilità. Quando la manifestazione della funzione predicativa della reggente è un verbo come dire, ordinare, consigliare, permettere, proibire, impedire, ecc. l'oggettiva implicita ha per soggetto non espresso un rinvio all'oggetto indiretto della reggente: Il vigile disse all’automobilista di fare marcia indietro (è l’automobilista che fa marcia indietro); Il medico consigliava al paziente di smettere di fumare (è il paziente che smette di fumare). Questi sistemi di rinvio sono dunque preziosi per far emergere le differenze in fenomeni che osservati in una prospettiva lessicale potrebbero nasconderle. 3. Interrogativa indiretta. Interrogativa indiretta è la completiva di una proposizione il cui predicato assume la modalità enunciativa interrogativa. È importante osservare da un lato, l'indipendenza delle frasi interrogative dirette: Chi ha preso le forbici? Come si compila il modulo d’iscrizione? e dall'altro, la configurazione di subordinazione sotto la quale esse possono essere riconosciute: Mi chiedo chi abbia preso le forbici; Ugo non sapeva come compilare il modulo di iscrizione. La reggente di un’interrogativa indiretta ha una predicazione manifestata da locuzioni verbali, o verbo – nominali, nomi, aggettivi relativi, che rappresentano insomma la modalità enunciativa interrogativa, anche separata dal nome della reggente che essa specifica e caratterizza per mezzo di un segno di interpunzione nello scritto (la virgola, i due punti), da una breve pausa nel parlato. 6. Prendere le distanza – il condizionale. Quanto al condizionale in una completa oggettiva, si osservi che essere anche un mezzo per segnalare chi non c'ha prende le distanze da quanto altri hanno detto ed egli sta solo riferendo. Sotto questa prospettiva si osservino le sottili differenze enunciative tra: Si dice che egli è il responsabile; Si dice che egli sia il responsabile; Si dice che egli sarebbe il responsabile. La prima, con la subordinata all'indicativo, presenta il fatto come certo, la seconda lo presenta come un'ipotesi, un'affermazione, la terza lo presenta come un'affermazione altrui che chi parla non intende avvalorare. Per questa ragione, subordinate oggettive al condizionale ricorrono con una certa frequenza nella comunicazione giornalistica. Capitolo 17. Supplementi predicativi. Se fossero manifestazioni di funzioni argomentali le cosiddette subordinate avverbiali complementi tradizionalmente qualificati allo stesso modo dovrebbero essere legittimati a ricorrere nei nessi dei relativi predicati, come ogni altro argomento. Se non sono argomenti, la circostanza che possano ricorrere nei nessi senza essere legittimati dice che sono appunto predicati. Sono anch'essi forme di funzioni predicative. Queste funzioni supplementari si collocano al di là del limite del sistema della proposizione semplice. Per questa ragione si è appunto deciso di designarli come supplementi predicativi con realizzazione proposizionale (le subordinate) o nominale (i complementi). 1. Natura delle predicazioni supplementari. La proprietà più rilevante della funzione predicativa consiste nella legittimazione di argomenti. La legittimazione è attribuzione a un argomento delle proprietà formali e interpretative che caratterizzano la sua ricorrenza in un nesso. A prescindere dal predicato che vi ricorre internamente, una subordinazione avverbiale è la manifestazione di un predicato supplementare, con sue proprietà di legittimazione, che nel caso della finale sono evidenti, perché rese visibili dalla reazione diversa di nessi nominali: Il guardiacaccia soffiava violentemente/Il vento soffiava violentemente; Il guardiacaccia attizzava il fuoco/il vento attizzava il fuoco; Il guardiacaccia soffiava violentemente per attizzare il fuoco (subordinata finale)/*Il vento soffiava violentemente per attizzare il fuoco. In altri casi non sono evidenti, ma non perché non ci siano. Potrebbe essere perché accettano ogni tipo di elemento come loro argomento o magari perché non legittimano un soggetto e virgola da predicati di essi in accusativi, legittimano un oggetto diretto. 2. Supplementi causali. Nella sua forma nominale, il supplemento causale è introdotto da preposizioni come per, di, da, a, in, con o da locuzioni come a causa di, per motivo di, in conseguenza di: per la fame, Eva ebbe un mancamento; i prezzi sono diminuiti a causa della crescita dell'offerta. Come subordinata esplicita, quasi sempre al modo indicativo, esso è introdotto dalle congiunzioni perché, poiché, giacché, siccome e da una vasta gamma di locuzioni congiuntive, molte delle quali composte intorno a un nome atto a reggere una completiva, come per il fatto che, per il motivo che, dal momento che, a motivo che: Eva ebbe un mancamento, perché aveva fame; Siccome l'offerta è cresciuta, i prezzi sono diminuiti. La subordinata causale implicita, all'infinito anche passato, è introdotta da per, dalla locuzione per il fatto di e da altre comparabili: Tonino ha riscosso un grande successo per avere vellicato gli istinti peggiori del suo uditorio. Sono considerati subordinatori causali i participi passati dato, considerato, visto, che in compagnia della loro completiva oggettiva compaiono in diversi nessi: Considerato che manca il latte, scendo a comprarlo. 3. Supplementi finali. Le proposizioni per, a, le locuzioni a fin di, a scopo di, a disegno di virgola in vista di, con l'intenzione di, e numerose altre marcano il supplemento predicativo finale sotto forma nominale: Ada lavorava duro per il sostentamento dei figli; Col capo, Ugo aveva adottato un atteggiamento mellifluo, in vista di un avanzamento di carriera. Perché, affinché, acciocché, a che, e anche il semplice che, fanno da introduttori alla subordinata finale esplicita, come anche locuzioni, costruite intorno a nomi che reggono completive di forma finita o non finita: Sono arrivato a Parigi con l'intenzione di vedere la Gioconda; Gianni ha comperato una casa al mare affinché la moglie sia contenta. Le finali esplicite sono rigorosamente al congiuntivo. Per la forma implicita della subordinata finale, all'infinito, per e a, insieme con allo scopo di, in modo di, fungono da introduttori: Non usciva da mesi per non incontrare il padrone di casa; Studiava psicologia allo scopo di capire sua sorella. Dal punto di vista interpretativo abbiamo una vasta casistica di finali dette atipiche, con articolazioni interpretative sottili: gli alberi hanno le foglie per respirare, per esempio, è considerato un caso di relazione finale oggettiva. 4. Supplementi consecutivi. Le subordinate consecutive manifestano in modo esplicito la natura correlativa del predicato che realizzano grazie alla presenza di un marcatore di correlazione nella reggente, con funzione cataforica. Si tratta di avverbi detti intensificatori come così, sì, tanto, talmente, di aggettivi come tale, siffatto, simile. A tutti fa da corrispettivo una subordinata esplicita introdotta da che. I due elementi possono essere fusi in forme come sicché, cosicché, talché, o dare vita a locuzioni congiuntive come di modo che, al punto che, a tal punto che, a tal segno che, in tale misura che: Pioveva così intensamente, che l'ombrello non è servito a nulla; La situazione economica si è deteriorata a tal punto, che le misure dei governi sono assolutamente inefficaci. Modo del verbo è l'indicativo. Il congiuntivo marca ipoteticità e compare in casi di consecutive negative: Non era tanto stupido che non capisse l'antifona. Se implicita, la consecutiva, all'infinito, è introdotta da o per: Conosce così bene i bar della città da riuscire a dirti i nomi propri di tutti gli avventori; La ragazza è abbastanza intelligente per capire l'antifona. 5. Supplementi concessivi. Il supplemento concessivo di forma nominale è introdotto da nonostante e malgrado: Nonostante l'arrivo di quel grintoso terzino, la difesa del Pratofiorito continua a deludere; Malgrado gli anni, Teo si mantiene in forma. Funzione comparabile hanno anche le locuzioni a dispetto di, ad onta di: Ad onta di ogni previsione Ivo sarà promosso. Un caso particolare è poi quello della preposizione con in combinazione con l'aggettivo tutto: Con tutti gli sforzi non riusciremo a farci crescere le ali; Con tutta la sua fortuna Amedeo non ne verrà fuori indenne. La subordinata concessiva esplicita è introdotta da benché, sebbene, quantunque, nonostante, malgrado, ancorché e dalle locuzioni per quanto, nonostante che, malgrado che, con tutto che, quand'anche, anche quando, anche se: Nonostante il maestro lo rimproveri, Carletto continua a disturbare i compagni. Nella principale, ricorrono talvolta elementi correlativi come tuttavia, non di meno, pure, ugualmente, lo stesso: Per quanto non abbia il sostegno dell'amministrazione comunale, nondimeno proseguirò nella mia battaglia. Il modo della concessiva è generalmente il congiuntivo; Introdotta da anche se, la subordinata va all'indicativo: Anche se non mi credi, ti dirò che ho visto un UFO. La concessiva implicita ricorre al gerundio accompagnato da pur, pure o anche: Pur vivendo in Svizzera da un anno, non ho ancora provato la fonduta. All'infinito combinato con nemmeno a, neppure a, neanche a, manco a, in caso di reggente negativa: Non l'ho convinto a partire, nemmeno a offrirgli il viaggio. All'infinito preceduto da per: Per aver studiato a Pisa, non è poi così malvagio. 6. Supplementi condizionali. La subordinata condizionale è titolare di un'antica attenzione logica e grammaticale. Nella terminologia grammaticale ha essa medesima un nome specifico, protasi, e ha una designazione specifica anche la sua reggente, apodosi. La congiunzione di subordinazione d’elezione della condizionale è se; la affiancano forme come qualora, purché, ove, e locuzioni come posto che, ammesso che, e da locuzioni costruite intorno a nomi atti a reggere completive come a condizione che, a patto che, nel caso che, nel nell'eventualità che, nell'ipotesi che. Queste locuzioni sono atte a dare forma anche a condizionali di forma nominale: Nell'eventualità di pioggia, munitevi di un ombrello; Nell'ipotesi di un attacco svizzero alla Padania, il generoso popolo padano sarebbe pronto a respingerlo. Sotto il segno di se, il modo della protesi è l'indicativo, nel caso di ipotesi reale: Se Sordi era romano, era italiano. Per ipotesi possibili o irreali, la protesi va al congiuntivo: Se passassi a prendere Ugo, ti avviserei; Se gli uomini avessero le ali, volerebbero più volentieri. Nella lingua parlata, l'imperfetto indicativo ha un largo uso al posto del congiuntivo, in forme più o meno codificate dall'uso: Se tacevi, avresti fatto una figura migliore; Se volevate fare gli intelligenti, potevate durare un modo meno stupido di comportarvi. 7. Supplementi temporali. La ricca e articolata serie dei supplementi predicativi temporali presenta una vasta casistica, tanto sotto forma nominale, quanto sotto forma proposizionale. È, tuttavia, d'uso classificare in due categorie molto ampie la multiforme varietà dei complementi di tempo: - Tempo determinato: Claudio arrau nacque nel 1903; - Tempo continuato: bismark governo per quasi 30 anni. Il tempo determinato si presenta spesso con forme nominali appropriate, prive di qualsiasi marca o preposizionali: Ci si vede la sera; Ho chiamato l'idraulico venerdì. Se introdotto da una preposizione o da una locuzione preposizionale, ricorre di norma dopo le preposizioni in, a, di. Queste preposizioni formano inoltre alcune locuzioni preposizionali, combinandosi con nomi come tempo, epoca, periodo e così via: Le rondini arrivano in primavera e ripartono alla fine dell'estate; Marcello Mastroianni in acqua a Fontana Liri nel 1924. Anche la preposizione per si presta a introdurre un supplemento temporale determinato: Troverà l'auto riparata per le 18; Telefonini per l’ora di cena. La determinazione temporale può poi essere specificata come anteriore o posteriore a un altro momento, preso quest'ultimo come punto di riferimento temporale. Queste precisazioni vengono fornite da preposizioni, locuzioni preposizionali e costrutti particolari con funzione e significato specifici. Anteriorità: prima di quale momento? Quanto tempo prima? Quanto tempo addietro?: Ugo aveva chiamato pochi minuti prima; Mio figlio si è laureato un mese fa. Posteriorità: dopo quale momento? Quanto tempo dopo? Fra quanto tempo?: Ivo è partito tre giorni dopo; Atterreremo a Linate fra due ore. Numerosi avverbi temporali e locuzioni avverbiali di tempo svolgono la funzione di supplementi di tempo determinato nella proposizione, e molti di essi hanno come punto di riferimento il momento in cui viene annunciata la proposizione di cui fanno parte: oggi, ieri, domani, dopodomani o domani l'altro, stamani virgola e così via. Per il tempo continuato sono invece da considerare le preposizioni e le locuzioni per, in, durante, da, lungo e fino. Anch'esso può ricorrere però come nesso nominale privo di preposizione, con nomi appropriati: Enzo ha studiato per 8 ore; In 40 anni non l'ho mai visto rifiutare un invito. Tra gli avverbi e locuzioni avverbiali pertinenti si trovano a lungo, lungamente, per molto tempo, 2. Modalità emotiva. Quando l’atto linguistico si fa carico di rivelare in particolare il valore che ciò che viene enunciato ha per il suo enunciatore, quando insomma l’atto linguistico enuncia in modo esplicito qualcosa dell’attitudine del suo enunciatore rispetto all’atto medesimo, si parla di frasi emotive. Nello scritto le si fa seguire dal cosiddetto punto esclamativo. Sono frasi emotive le frasi dette esclamative: Come sono felice di saperti in salvo! Quanta gioia tornare a casa! L’indicativo, il congiuntivo, il condizionale e l’infinito sono i modi verbali tipici delle frasi esclamative, che sono introdotte spesso da pronomi, aggettivi, avverbi, detti anch’essi appunto esclamativi. Anche le frasi desiderative o ottative sono frasi emotive: Voglia il cielo che lei non lo sappia! Non t’avessi mai incontrato! Il desiderio, l’augurio, il rimpianto dell’enunciatore sono così integrati nell’atto enunciativo e manifestati dal modo verbale congiuntivo. In queste frasi ricorrono frequentemente verbi servili e locuzioni introduttive come voglia, volesse il cielo che, Dio (non) voglia che. 3. Modalità interrogativa. Sono frasi caratterizzate da modalità enunciative di un enunciatore che si pone come tale e pone la sua enunciazione in funzione di un enunciatario. Tutte le frasi che ne sono marcate si orientano apertamente verso un’ipotetica reazione dell’enunciatario. Se la reazione ipotizzata è di natura strettamente linguistica, esse sono state tradizionalmente dette frasi interrogative dirette: La trattativa procede? Nel parlato, le interrogative dirette sono manifestate da una particolare intonazione. La curva melodica sale quando ci si avvicina alla fine della frase e termina in crescendo. Nello scritto, alle interrogative dirette si attribuisce il cosiddetto punto interrogativo. Con un’interrogativa l’enunciatore pone la sua enunciazione in uno stato di incompletezza sistematica e rivolge all’enunciatario la richiesta di relativa saturazione. Esistono due tipi distinti di interrogative: totali e non – totali. Le interrogative totali ipotizzano una risposta affidata agli operatori sì o no. Rispondendo sì o no, l’enunciatario di un’interrogativa prende un’attitudine dichiarativa di conferma o di smentita dell’enunciato che gli è proposto. Le interrogative non – totali, dette tradizionalmente parziali, ipotizzano parziali saturazioni di un sistema di frase che l’enunciatore propone all’interlocutore come incompleto sotto qualche rispetto: Chi parla francese? Come si compila questo modulo? La marca intonativa è qui accompagnata da evidenziatori della funzione presentata come manchevole e da saturare. Sono i cosiddetti pronomi, aggettivi e avverbi interrogativi. Frase interrogativa e frase dichiarativa non si presentano nei medesimi ordini. L’elemento da saturare precede tutto il resto e il soggetto, per esempio, finisce per seguire la manifestazione della funzione predicativa: (Che) cosa ha dimenticato il dottore? / Il dottore ha dimenticato l’ombrello. La frase interrogativa può presentarsi come semplice, contiene allora una sola domanda, o come disgiunta, contiene allora più di una domanda e le differenti domande sono tra loro connesse dagli elementi disgiuntivi o, oppure e simili. Il modo verbale che ricorre di preferenza nelle interrogative è l’indicativo. Il condizionale può comparirvi e non solo per le ragioni di attenuazione stilistica di atti discorsivi diversi: Definiresti un errore il mio comportamento? Avresti comprato una simile carretta? Ci sono interrogative in cui la forma del predicato o della copula è l’infinito: Che fare? Come avere sempre ragione? 5. Modalità conativa. Una frase in cui l’enunciatore si pone in funzione dell’enunciatario sollecitandone una reazione non – linguistica è una frase conativa: Parla! Che poi tale comportamento sia un comportamento che si realizza in un’attività di parola o meno, poco cambia. A differenza dell’interrogativa la frase conativa non apre un gioco linguistico. Nelle frasi conative trovano espressione ordini, richieste, ingiunzioni, esortazioni, inviti: Fai i compiti! Mi chiami il portiere. Non calpestate le aiuole. La frase conativa è un dominio privilegiato di ricorrenza della seconda persona grammaticale singolare e plurale. In termini di interpretazione le strategie sono molteplici e giungono persino a mascherarsi dietro la cosiddetta prima persona plurale: Ragazzi e ragazze, facciamo i compiti ogni giorno, mi raccomando. La tradizione grammaticale ha riconosciuto un ruolo verbale tipico delle frasi conative, l’imperativo. L’imperativo italiano manca di un morfema che si possa considerare una desinenza personale e va ascritto di diritto tra le forme verbali non – finite. Non ha infatti uno spettro di variazione formale in funzione delle diverse persone grammaticali, le forme che non sono la cosiddetta seconda, sono quelle del congiuntivo presente, e, se negativo, ha l palese aspetto non – finito dell’infinito: Non parlare, ti ho detto; Non disturbare il conducente, per favore. Ne segue che l’evidenza di una forma priva di riferimento personale è affidata, eventualmente e solo nei cadi che prevedono la possibilità, al ricorrere di una particella: Non sporgersi dal finestrino. Attenzione!
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