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riassunto del libro "da bentham a kelsen", Sintesi del corso di Filosofia del Diritto

riassunto del libro "da bentham a kelsen" pagine 2-74, 109-199, 233-288, 297-308, 337-371.

Tipologia: Sintesi del corso

2022/2023

Caricato il 04/09/2023

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cecilia-morabito-1 🇮🇹

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Scarica riassunto del libro "da bentham a kelsen" e più Sintesi del corso in PDF di Filosofia del Diritto solo su Docsity! La filosofia del diritto positivo è ciò che hanno fatto e fanno gli studiosi, i qual per designare il loro lavoro e i suoi prodotti letterari, abbiano usato o usino tale denominazione, oppure denominazioni sinonime. Pone le sue radici in due modelli disciplinari ottocenteschi: 1. General jurisprudence, o giurisprudenza analitica, proveniente dalla cultura inglese 2. Allgemeine rechtslehre, o dottrina generale del diritto, proveniente dalla cultura tedesca I due modelli hanno tra loro molte somiglianze: - Il modello inglese, nella configurazione offertane da John Austin, combina l’ideologia riformista favorevole alla codificazione del diritto, l’epistemologia empiristica, e il metodo analitico di Bentham con oggetti e finalità usuali della “parte generale” della pandettistica tedesca - Nella seconda metà del XIX, la stessa “parte generale” costituì il punto di partenza per l’elaborazione del modello germanico di filosofia del diritto positivo e della c.d. enciclopedia giuridica - Nella configurazione difesa da Hans Kelsen nel corso del novecento, il modello germanico viene ad assumere i connotati epistemologici e metodologici del modello inglese: al punto che Kelsen presenta la sua dottrina come erede e continuatrice della tradizione austiniana. Nel secondo dopoguerra, la tradizione austiniana trasse nuovo vigore negli indirizzi del neopositivismo logico e della filosofia del linguaggio ordinario oxo-cantabrigense.  il modello di filosofia del diritto positivo che prevale nella cultura giuridica del 900 risulta essere inglese Un dato accomuna il modello originario austiniano e quelli di Kelsen e dei filosofi (neo)analitici del diritto: l’adesione ai valori di razionalità, dell’empirismo, del rigore metodologico, della precisione terminologica, della chiarezza concettuale, dell’avalutatività, dell’onestà intellettuale .  tali modelli si possono considerare frutto di una stessa utopia della ragione nel diritto. Una ragione prudente e terrena, amante delle distinzioni e del dettaglio, che antepone la scomposizione meticolosa dei problemi e l’articolazione delle soluzioni alle sintesi, specie se grandiose, ed è una ragione analitica in forza di ciò la filosofia del diritto positivo appare un portato dell’illuminismo. E invero, dietro agli scolari, si può scorgere l’ombra di Bentham. THOMAS HOBBES In un passo del leviathan, Hobbes distingue due modi radicalmente diversi di conoscere il diritto positivo con ciò contestando la pretesa dei giuristi di essere gli unici depositari della vera sapienza giuridica: 1. Modo specialistico: proprio dei giuristi 2. Modo non specialistico: proprio di qualunque individuo Hobbes offre al lettore il prototipo di una teoria generale del diritto positivo tra i cui elementi figurano: - Una concezione positivista, statualistica, normativistica del diritto inteso come insieme delle regole che lo stato ha comandato di usare per distinguere il lecito e l’illecito. - Una concezione imperativistica delle norme giuridiche caratterizzate come i comandi che lo stato rivolge a coloro che si siano previamente obbligati ad obbedirli. - L’idea secondo cui ogni stato produce le regole giuridiche per mezzo di un rappresentante che Hobbes identifica con il sovrano, titolare esclusivo della funzione legislativa. - Una concezione volontaristica delle fonti del diritto, che Hobbes ritiene applicabile non soltanto al diritto scritto ma anche a quello giurisprudenziale e consuetudinario. - Una concezione disincantata dell’interpretazione giuridica secondo cui ➢ Tutte le leggi hanno bisogno di essere interpretate per poter essere fatte valere ➢ L’interpretazione si presta tuttavia a errori e abusi ➢ Per rimediare a tali inconvenienti è necessario adottare alcune misure normative : ▪ Si deve attribuire valore di “interpretazione autentica soltanto alle interpretazioni formulate da soggetti autorizzati dal sovrano e, segnatamente, alle interpretazioni giudiziali ▪ La rilevanza giuridica delle interpretazioni autentiche deve essere circoscritte alla singola decisione ▪ Nell’interpretare le leggi, i giudici devono sempre presumere che l’intenzione del legislatore sia l’equità JEREMY BENTHAM 1 CONSIDERAZIONI PRELIMINAR I Storicamente, l’influenza di Bentham sulla nascita del diritto positivo fu un’influenza indiretta che si esercitò tramite l’operare dei suoi seguaci. Gli scritti di Bentham sul tema costituiscono tuttavia un punto di partenza imprescindibile per chiunque voglia dare conto delle origini della filosofia del diritto positivo nella cultura inglese e nella cultura occidentale in genere. L’interesse di Bentham per il diritto si può far risalire agli anni in cui, giovane studente ebbe modo di assistere alle lezioni di Blackstone e di leggere la sua opera. Tali esperienze fecero maturare in Bentham alcune idee: 1. L’idea che il diritto inglese fosse del tutto inadeguato a servire gli interessi del popolo inglese, assicurando la “più grande felicità per il più grande numero, che è la misura del giusto e dell’ingiusto”, essendo invece un complesso macchinismo assai efficiente nel tutelare gli interessi di particolari gruppi di individui 2. L’idea che la partigianeria e la dannosità sociale del diritto inglese fossero occultate sotto una spessa coltre di riti e false credenze 3. L’idea che lo studio dottrinale del diritto inglese fosse del tutto inadeguato a metterne in luce la vera realtà e contribuisse invece a dissimularla 4. L’idea che lo studio dottrinale del diritto positivo secondo il metodo di Blackstone fosse di ostacolo a quell’esatta comprensione dei fatti che doveva precedere ogni consapevole e razionale riforma del diritto per asservirlo all’interesse generale. 5. L’idea che occorresse demistificare il diritto inglese e fosse necessario adottare strumenti idonei ad assicurarne una veridica rappresentazione e una utile esposizione condotta secondo un metodo naturale che tenesse conto del fatto che: a. Le norme giuridiche hanno ad oggetto azioni umane o forme di condotta commissive o omissive b. Le azioni umane tendono all’utilità generale o al suo contrario, essendo in tal caso dannose 6. L’idea che la mappa del sapere giuridico dovesse essere ripensata, introducendo discipline statutariamente dedite alla disincantata esposizione e all’ottimale riforma del diritto positivo. 2 LA MAPPA BENTHEMIANA DEL SAPERE GIURIDICO Bentham disegnò una mappa del sapere giuridico, di cui ricordiamo tre distinzioni al fine di rintracciare le origini della filosofia (analitica) del diritto positivo. I. Giurisprudenza espositiva accerta quale sia il diritto = essere II. Giurisprudenza censoria accerta quale debba essere il diritto = dover essere A essa corrisponde la distinzione tra A. Espositore che si occupa del diritto che è/che è stato B. Censore che si occupa del diritto quale deve/dovrebbe essere per essere conforme al “criterio del giusto o dell’ingiusto” o del moralmente lecito e illecito. All’interno della giurisprudenza espositiva si ha una distinzione tra la redazione di un documento normativo da parte di un’autorità investita da tale potere, e la redazione di un manuale giuridico volto ad illustrare il diritto vigente: I. Autoritativa: quando è scritto da colui che fa si che il diritto sia cosi = dal legislatore II. Non autoritativa: quando è opera di qualunque altra persona Qui Bentham traccia la distinzione tra le due “giurisprudenze” sulla base della diversa funzione linguistica dei discorsi che ne rappresentano il risultato:  Funzione costitutiva nel caso del discorso del legislatore  Funzione constativa nel caso del discorso di una qualunque persona non investita di poteri nomotetici All’interno della giurisprudenza non autoritativa si divide poi tra lo studio/esposizione dello specifico contenuto normativo delle norme giuridiche vigenti un una nazione determinata e lo studio di concetti/nozioni comuni a qualunque insieme di leggi positive: I. Giurisprudenza locale: ciò che viene detto a proposito delle leggi di una nazione II. Giurisprudenza universale: ciò che viene detto riguardo a leggi di tutte le nazioni I compiti dell’ espositore non autoritativo consistono nel ripercorrere la storia del diritto e fornire un resoconto del diritto attualmente esistente. La descrizione di un determinato diritto positivo vigente costituisce il risultato di tre operazioni distinte: 1. Narrazione = esporre il diritto che di suppone sia «esplicito, chiaro e stabilito» esso è, deve dare conto dei fenomeni giuridici mediante un apparato concettuale che sia moralmente neutro, avalutativo, non compromesso con una qualche dottrina morale STRUMENTI PER L’ANALISI DEI DISCORSI GIURIDICI I principali strumenti per l’analisi del linguaggio giuridico benthemiani sono 4: 1. Distinzione tra forma grammaticale (la forma visibile e accidentale, che un emittente in carne e ossa ha dato a un enunciato nel formulario con la parola o con lo scritto ≈ M è P) e forma logica (la forma che per ipotesi corrisponde esattamente al presunto significato dell’enunciato ≈ Esiste un M, e tale M è P) degli enunciati 2. Distinzione tra termini ed espressioni valutativi (che veicolano per lo più nascostamente, apprezzamenti positivi o negativi delle cose su cui vertono) e termini ed espressioni neutri (che permettono di parlare delle cose in modi spassionati e imparziali): l’espositore deve saper riconoscere le espressioni valutative e disinnescarne la carica emotiva servendosi di espressioni neutre/ridefinite in modi che non incorporino valutazioni pratiche 3. Distinzione tra termini reali (che denominano e designano entità reali) e termini fittizi (nomi di strumenti concettuali indispensabili per conoscere e agire). Occorre che l’Espositore sappia individuare quei termini che non designano alcunché e metta in luce gli eventuali abusi degli stessi, consistenti nel trattarli inconsapevolmente come se essi designassero davvero delle entità reali 4. Distinzione tra discorsi in funzione descrittiva (che si addicono all’opera dell’Espositore) e discorsi in funzione prescrittiva (che si addicono all’opera del Censore). La distinzione trova rilevanza teorica nella Legge di Hume STRUMENTI PER UN APPARATO CONCETTUALE PERSPICUO E MORALMENTE NEUTRO Nella pars costruens è chiamato a elaborare un apparato di concetti giuridici universali utili a conoscere e a rappresentare il diritto, quale esso è, nelle più diverse esperienze. Occorre aggiungere due strumenti: - Metodo dicotomico: consiste nel dare conto del fenomeno indagato mediante un apparato di concetti articolato in classi e sottoclassi reciprocamente esclusive e congiuntamente esaustive, secondo lo schema dei diagrammi ad albero Metodo della parafrasi: serve a determinare il significato dei termini fittizi METODO DELLA PARAFRASI Presupposti: - Concezione referenziale del significato delle parole: hanno significato le espressioni in lingua che designano direttamente un qualche oggetto nella realtà empirica => le espressioni fittizie no - Concezione parassitaria e riduzionistica del significato dei termini fittizi: anche se non hanno significato non vuol dire che si possa farne a meno, al contrario sono indispensabili. Occorre pertanto continuare a utilizzarli, a patto però di non scambiarli per termini reali e di chiarirne il significato collegandoli a fatti sociali e ad altre entità reali ➢ Parassitaria perché essi non hanno un loro significato, indipendente dal significato dei termini reali che compaiono negli enunciati con cui si traducono gli enunciati che contengono termini fittizi ➢ Riduzionistica perché Bentham assume che il significato dei termini fittizi coincida indirettamente con quello referenziale di un qualche insieme di termini reali Il procedimento in tre operazioni: 1. Fraseoplerosi consiste nella contestualizzazione dell’espressione fittizia: occorre individuare un enunciato ricorrente nei discorsi dei componenti di una comunità linguistica, in cui compaia l’espressione fittizia che si intente definire e tale da esprimere un significato che possa essere giudicato vero o falso. Ciò in forza della tesi secondo cui il significato delle espressioni fittizie è una variabile dipendente degli enunciati in cui esse tipicamente occorrono. 2. Parafrasi: consiste nella traduzione riduzionistica dell’enunciato in cui comprare l’espressione fittizia: nella sua sostituzione con uno o più enunciati che si assumono congiuntamente equivalenti rispetto all’enunciato sostituito, e tali da contenere unicamente termini reali 3. Archetipazione: consiste nel rendere esplicito il più o meno confuso insieme di immagini associate all’uso corrente delle espressioni fittizie. Ad esempio nel caso della parola “obbligo” mettendo in luce le immagini del peso, gravame, legame, o vincolo che tale parola solitamente richiama nella mente dei profani. 6 VARIETÀ DI IMPERATIVISMI L’imperativismo è il modo di vedere secondo cui il diritto è essenzialmente un insieme di comandi o imperativi: è essenzialmente fatto di norme, regole o leggi che comandano o vietano comportamenti. 2 diverse concezioni: 1. John Austin 2. August Thon Entrambi esponenti dell’ imperativismo ingenuo che considera il diritto come un complesso di comandi rivolti dal sovrano ai cittadini, senza ulteriormente analizzare la struttura dell’imperativismo giuridico. 7 CODIFICAZIONE DEL DIRITTO, SCIENZA DELLA LEGISLAZIONE, TEORIA DELLE NORME GIURIDICHE Si è visto che Bentham aveva assegnato alla giurisprudenza non autoritativa due compiti distinti: - Carattere demolitorio o decostruttivo che consiste nel demistificare il diritto - Carattere ricostruttivo consistente nell’elaborare un apparato di concetti e di tesi esplicative che offre una visione realistica del diritto Orbene: tra i concetti meritevoli di un’attenta analisi teorica, Bentham riteneva dovesse prioritariamente includersi il concetto di “legge” o “norma giuridica” per una serie di ragioni: 1. La riforma del diritto in vista della massimizzazione della felicità e della giustizia sociale esige la codificazione. Codificare il diritto è un’attività complessa, che consiste nel redigere documenti nei quali sono formulati insiemi relativamente ampi e ordinati di norme giuridiche 2. Nessun codificatore può svolgere il proprio lavoro in modo consapevole e accurato, se non gli sono chiari i limiti tra il settore civile e penale del diritto, le differenze tra una legge civile e una legge penale. 3. Le soluzioni reperibili nella letteratura giuridica per i problemi non sono soddisfacenti poiché si tratta di problemi che occupano “un angolo insospettato del labirinto metafisico” e non possono essere risolti 4. Per fornire a questi problemi una soluzione che sia “tollerabilmente soddisfacente” occorre invece elaborare una compiuta teoria delle norme giuridiche. Bentham ritiene infatti che sia necessario accertare in cosa consista l’identità e la completezza di una norma giuridica dando conto più precisamente • Della natura delle norme giuridiche: che tipo di cosa è una norma giuridica? • Della struttura delle norme giuridiche: di quali parti si compone una norma giuridica? • Delle proprietà definitorie del concetto di norma giuridica: quali proprietà si devono rinvenire in un oggetto per poterlo considerare appropriatamente una norma giuridica? • Della nozione di completezza di una norma giuridica: che cosa deve contenere una norma giuridica per essere una norma completa e non un semplice frammento di norma? Bentham ritiene che l’idea di una norma giuridica è connessa in modo inseparabile con l’idea di un corpo completo di norme giuridiche => sono domande tali per cui non si può rispondere all’una senza rispondere all’altra.  La nozione di norma giuridica completa debba prioritariamente essere fissata affinché il legislatore possa in ogni caso sapere che cosa deve fare, o quando la sua opera sia terminata. Un tale compito appartiene alla giurisprudenza espositiva non autoritativa universale 8 CONCETTO BENTHEMIANO DI NORMA GIURIDICA Il quesito che sta alla base delle indagini benthemiane: che cosa è opportuno intendere per “norma giuridica” qualora se ne voglia offrire una nozione ancorata alla realtà sensibile?  Una norma giuridica può essere definita come una combinazione di segni dichiarativi di una volizione, concepita o adottata dal sovrano in uno stato, concernente la condotta che deve essere osservata in un certo caso da parte di una certa persona o di una certa classe di persone, che nel caso in questione sono, o si suppone siano, soggette al suo potere: la quale volizione affida la propria realizzazione all’aspettativa di certi eventi rispetto ai quali la dichiarazione stessa s’intende che debba costituire una condizione del loro verificarsi e la possibilità dei quali s’intende che debba agire come un motivo su coloro della cui condotta si tratta Le norme giuridiche sono quindi entità reali semiotiche medianti le quali il supremo reggitore politico di uno stato esprime o dichiara la propria volizione concernente la condotta di persone soggette al suo potere, la cui efficacia vidne fatta dipendere dalla probabilità di eventi dotati di forza motivazionale. QUATTRO TESI FONDAMENTALI La teoria benthemiana delle norme giuridiche si caratterizza per quattro tesi fondamentali : 1. Di carattere terminologico-concettuale: consiste nella proposta di una ridefinizione del termine inglese “law” 2. Mette in luce il carattere teorico della nozione di norma giuridica: sostiene che la nozione di norma giuridica dev’essere intesa come una nozione squisitamente teorica; le norme giuridiche non sono entità fittizie ma entità reali la chi natura non è affatto evidente potendo essere afferrata soltanto in esito a laboriose investigazioni. Valgono per esse le considerazioni formulate per qualunque “verità” nel campo delle scienze morali. Bentham ritiene quindi che il compito del filosofo che si occupi delle norme giuridiche consista nell’elaborare nozioni e tipologie di norme giuridiche che possano essere usate da “modelli” per comprendere la realtà del diritto 3. Sostiene l’opportunità di distinguere tra testi legislativi (gli enunciati usati dalle autorità legislative per esprimere norme giuridiche) e norme (norme giuridiche espresse mediante tali segni linguistici). La differenza presuppone che non vi sia necessariamente una corrispondenza biunivoca tra gli enunciati legislativi e le norme da essi espresse; suggerisce inoltre l’esigenza di elaborare dei modelli ideali di norme giuridiche complete, da utilizzare per analizzare e riformulare il discorso delle fonti. 4. Sostiene la dipendenza teorica del concetto di diritto rispetto a quello di norma giuridica: il diritto non essendo altro se non un insieme di norme giuridiche legate tra loro da relazioni di vario tipo. Bentham ritiene che il diritto sia un’entità fittizia, un insieme di norme, tra le quali sussistono tipicamente delle relazioni che permettono di configurare l’insieme stesso come un sistema. La 1 e la 3 = tesi di teoria della norma giuridica, la 2 e 4 tesi meta teoriche, sulla teoria della norma giuridica TESI NUMERO 1 In tempi di diffuso e dominante normativismo appare naturale concepire il diritto come un insieme di norme giuridiche  La norma è l’elemento primario, costitutivo del diritto e degli ordinamenti o sistemi giuridici positivi Al tempo, i principali termini con i quali si era soliti riferirsi agli elementi costitutivi del diritto erano “law”, “order” e “command” anche se vi erano molti altri termini utilizzati e utilizzabili a tal fine. Riflettendo sul significato di tali termini Bentham arriva a due conclusioni: 1. l’unico eleggibile per ragione pratiche a denominare l’elemento costitutivo del diritto sia il termine “law”: i. Command risulta troppo generico o troppo specifico ii. Order sembra limitato a quei comandi che sono considerati o come non molto generali o tali da non emanare direttamente dell’autorità sovrana, o per poro natura non perpetui 2. Il termine “law” se utilizzato per designare l’elemento costitutivo del diritto positivo, non possa però essere usato nel suo significato tradizionale e corrente ma debba essere usato in un significato nuovo, più generico venendo così a fungere da nome per qualunque prescrizione che promani direttamente o indirettamente dal sovrano di uno stato. TESI NUMERO 3 Presuppone una duplice distinzione 1. Norme giuridiche contenuti di significato volitivi e prescrittivi espressi da un insieme discreto di segni I. Norme giuridiche reali: contenuti prescrittivi di testi legislativi II. Idee di norme giuridiche complete, prodotti della riflessione filosofica sul diritto positivo 2. Testi legislativi comunemente utilizzati dalle autorità normative per veicolarle Le due distinzioni permettono di fissare alcuni punti centrali della teoria benthemiana delle norme giuridiche ❖ Le norme giuridiche sono entità linguistiche ❖ Si tratta in particolare delle proposizioni prescrittive espresse da un certo insieme di segni linguistici che costituiscono il significato di segni dichiarativi di atti di volontà del sovrano o dei suoi delegati ❖ In quanto proposizioni prescrittive, le norme giuridiche possono essere espresse dai detentori di potere normativo medianti segni dichiarativi non necessariamente linguistici ❖ Nella realtà del diritto, ciò che può essere immediatamente percepito sono i segni dichiarativi provenienti dalle autorità legislative che si assume esprimano norme giuridiche ❖ Quando i segni dichiarativi consistono in enunciati legislativi sarebbe incauto presumere a priori una corrispondenza biunivoca tra gli enunciati legislativi e le norme legislative da essi espresse. Al contrario gli enunciati legislativi non corrispondono mai a norme giuridiche complete : queste ultime devono pertanto essere ricostruite a cura degli Espositori a partire dagli atti legislativi ❖ Il compito peculiare della filosofia del diritto positivo consiste nell’elaborare modelli di norma giuridica sulla base dei quali i giuristi possano reinterpretare e ricostruire i materiali giuridici positivi 9 ANALISI DELLE NORME GIURIDICHE Una norma giuridica è «una combinazione di segni dichiarativi di una volizione concernente una condotta che dev’essere tenuta in un certo caso da una persona o da una classe di persona» Vengono richiamate le parti di una norma che attengono a ciò che Bentham chiama soggetti, oggetti, caso, parti interessate, e la sua estensione personale e materiale ESEMPIO N1 “NESSUN UOMO CAGIONI LA MORTE DI UN ALTRO UOMO” Il supremo potere di produrre norme giuridiche è inteso da Bentham come un potere normativo di fatto: un potere di produrre norme che non è ascritto/ascrivibile da alcuna norma positiva. Consiste nella capacità, da parte di Rex, di influire sulla volontà dei membri della comunità politica e dunque sulle loro azioni, mediante l’emanazione di prescrizioni accompagnate dalla prospettazione di una futura sofferenza o ricompensa NORME CONCEPITE E NORME ADOTTATE. Il sovrano non è però la fonte immediata o diretta di tutte le norme giuridiche. Sotto questo profilo, Bentham distingue due tipi di norme: - Le norme concepite quelle che il sovrano produce direttamente - Le norme adottate quelle prodotte da soggetti diversi dal sovrano, alle quali quest’ultimo attribuisce però “validità giuridica” Bentham esamina l’adozione di norme da parte del sovrano sotto quattro profili PROFILO TEMPORALE - Adozione successiva ha per oggetto norme già prodotte dal sovrano precedente o dai suoi delegati. La recezione può essere tacita o espressa. Nel primo caso il sovrano si limita a non produrre alcuna norma incompatibile con quelle prodotte dai suoi predecessori e i loro subordinati. Nel secondo caso il sovrano recepisce la norma precedente emanando un’apposita “norma di ricezione”. La recezione espressa può diventare opportuna qualora sorgano dubbi, nei sudditi, circa la continuità delle norme del sovrano precedente: in tali casi, la norma si recezione è una norma sopravvenuta iterativa. - Adozione preventiva consiste nel conferire un potere normativo a certi individui o classi di individui, i quali, in virtù di tale conferimento, agiscono da “nomoteti subordinati”. Si distingue quindi ➢ Conferimento a titolo di beneficio investe il nomoteta subordinato di un potere normativo da esercitarsi nel suo esclusivo interesse ➢ Conferimento a titolo fiduciario investe il nomoteta subordinato di un potere normativo da esercitarsi nell’interesse di terzi. Se si tratta dell’interesse di individui determinati, il potere normativo fiduciario è privato: se si tratta invece di un potere normativo da esercitare nell’interesse della comunità nel suo complesso, il potere fiduciario è pubblico o costituzionale. Coerente con tale imposizione Bentham distingue, pertanto, tra magistrati privati e pubblici. GRADI DI FORZA DELLE NORMA Per quanto concerne “il grado di forza che una norma acquista in virtù dell’adozione” questo può variare tra il grado minore corrispondente al nudo permesso e il grado massimo assicurato da un coacervo di norme punitive e procedurali. Il nudo permesso si ha ogni qual volta il nomoteta subordinato “non è destinatario di una norma che gli prescriva di non emanare la norma subordinata in questione”. Potrebbe dunque essere configurato, alternativamente - Come permessi in senso debole - Come permessi in senso forte impliciti, desumibili sia dal comportamento concludente del sovrano, che consiste nel non vietare certi atti nomotetici, pur potendolo fare, sia, a contrario, dalle norme con le quali il sovrano abbia vietato quegli stessi atti nomotetici alla maggior parte degli altri membri della comunità MODI DI CONFERIMENTO DELL’ESERCIZIO DEL POTERE NORMATIVO Per quanto concerne i modi in cui il sovrano può conferire preventivamente l’esercizio di un potere normativo a nomoteti subordinati, Bentham distingue apparentemente tre ipotesi: I. Il nudo permesso conferito mediante una norma permissiva implicita, che introduce un permesso forte implicito II. La produzione di una norma permissiva esplicita indirizzata immediatamente al nomoteta subordinato, che gli permette di emanare le norme che il sovrano si propone di adottare III. La produzione di una norma imperativa che prescriva a una persona, o a una classe di persone, di obbedire alle norme che saranno emanate, in una certa materia e con certe procedure, dal nomoteta subordinato contestualmente indicato Bentham ritiene che questi due ultimi modi di conferire un potere normativo siano del tutto equipollenti dal POV del risultato; e che la forza di entrambi i tipi di norma di competenza dipenda dall’emanazione di norme sussidiarie corroborative 11 NORME IMPERATIVE E NON IMPERATIVE Bentham ritiene: - Che le norme imperative costituiscano, da un POV funzionale l’elemento essenziale, imprescindibile, del diritto positivo - Che il diritto possa essere, e sia di fatto, costituito anche da norme giuridiche di diverso tipo, le quali sono espressione di volizioni di diverso tipo: e segnatamente, da quelle altre norme che chiama “non imperative” “non coercitive” “non direttive” - Che le norme non imperative svolgano e possano svolgere un ruolo importante nella disciplina giuridica dei comportamenti; sebbene lo stesso Bentham suggerisca che tali norme siano tipicamente sussidiarie e parassitarie rispetto alle norme imperative Ciò permesso, Bentham elabora la distinzione tra norme imperative e non imperative. Si considerino le 4 norme giuridiche seguenti: 1. N1 tutti i cittadini portino armi: norma di comando: comanda ai cittadini di tenere il comportamento commissivo consistente nel portare armi 2. N2 nessun cittadino porti armi: norma proibitiva, di divieto o proibizione: vieta ai cittadini il comportamento commissivo di portare armi o conversamente comanda loro il comportamento omissivo di astenersi dal portare armi. 3. N3 i cittadini possono astenersi dal portare armi: norma di non comando: permette ai cittadini di tenere il comportamento omissivo che consiste nell’astenersi dal portare armi 4. N4 i cittadini possono portare armi: norma permissiva, di non divieto e permesso: permette ai cittadini di tenere il comportamento commissivo che consiste nel portare armi Gli aspetti che la volizione nomotetica può assumere rispetto a uno stesso atto sono dunque 4 ai quali corrispondono quattro tipi di norme giuridiche  N1 e N2 sono norme imperative che riflettono la decisione del nomoteta di produrre norme che influiscano sulla condotta dei destinatari, incidendo sulla loro libertà di autodeterminazione  N3 e N4 sono invece norme non imperative le quali riflettono la decisione del nomoteta di assumere un atteggiamento neutrale rispetto alla condotta dei destinatari 12 NOTE FINALI SULL’IMPERATIVISMO BENTHEMIANO Due forme di imperativismo: 1. Imperativismo ingenuo che concepisce il diritto come un insieme di comandi del sovrano, indirizzati ai comuni cittadini, ed è disattento rispetto alla struttura degli imperativi giuridici 2. Imperativismo critico che sostiene che i destinatari degli imperativi giuridici siano i giudici e gli altri organi dell’applicazione del diritto, e riflette sulla struttura degli imperativi giuridici, pervenendo alla conclusione secondo cui si tratterebbe, tipicamente, di enunciati condizionali, o ipotetici, del tipo “se A, deve essere B” ove B simboleggia una qualche sanzione coercitiva ELEMENTI COSTITUTIVI DEL DIRITTO Per quanto concerne gli elementi costitutivi del diritto, bentham si rivela esponente di un imperativismo coazionistico. Ritiene infatti: - Che gli ingredienti essenziali dei diritti positivi siano costituiti dalle norme imperative principali - Che la funzione di tali norme consista nell’imporre obblighi giuridici ai loro destinatari - Che tuttavia non vi siano obblighi giuridici in assenza di norme sussidiarie che stabiliscano sanzioni negative per la violazione delle norme principali, nonché in assenza di una probabilità che tali sanzioni saranno effettivamente irrogate dagli organi giuridici competenti - Che i diritti soggettivi siano posizioni giuridiche soggettive non indipendenti, ma sempre correlate a obblighi giuridici in capo a persone o classi di persone determinate Ciò posto, tuttavia, bentham sostiene che nel diritto vi siano anche norme di tipo diverso, equiparate alle norme giuridiche in populum. Tra queste: - Le norme costituzionali in principem con le quali un sovrano assume l’obbligo giuridico di non emanare norme che incidano negativamente sulle libertà e i diritti fondamentali dei cittadini, la cui efficacia viene fatta dipendere da sanzioni ausiliarie, non giuridiche, religiose o morali - Le raccomandazioni costituzionali con le quali un sovrano invita i propri successori ad assumere l’obbligo giuridico di non emanare norme che incidano negativamente sulle libertà e i diritti fondamentali dei cittadini - Le norme premiali le quali per la realizzazione del loro scopo, fanno affidamento sulla corresponsione di ricompense per i comportamenti socialmente desiderati - Le norme puramente direttive in populum le quali fanno affidamento unicamente su sanzioni ausiliarie, religiose o morali - Le norme permissive non imperative originarie in funzione propedeutica emanate al fine di accompagnare la produzione di norme coercitive che limitino la libertà naturale dei singoli - Le norme permissive non imperative originarie in funzione asseverativa-limitativa - Le norme permissive implicite ascrittive di una competenza normativa con le quali il sovrano permette a determinati soggetti di esercitare un certo potere normativo, senza corredare però tale permesso di disposizioni coercitive volte ad assicurare l’osservanza di queste norme subordinate da parte dei loro destinatari - Le norme permissive esplicite ascrittive di una competenza normativa che attribuiscono espressamente poteri normativi a individui o classi di individui - Le norme permissive non imperative sopravvenute in funzione revocatoria che invalidano totalmente norme imperative previamente emanate - Le norme permissive non imperative sopravvenute in funzione restrittiva che invalidano parzialmente delle norme coercitive previamente emanate, introducendo delle limitazioni o eccezioni al loro operare.  Imperativismo temperato o Non ontologico: non crede esista un unico tipo di norme giuridiche, le norme imperative o Non essenzialistico: non ritiene che vi sia un vero concetto di sapore platonico di “norma giuridica” o Funzionalistico: o Non riduzionistico: non è interessato a ridurre tutte le norme giuridiche a un solo tipo: preferisce adottare l’idea della necessaria implicazione tra norme imperative e norme permissive o Coazionistico debole: non configura la sanzione giuridica come condizione necessaria della giuridicità delle norme imperative DESTINATARI DELLE NORME GIURIDICHE Per quanto concerne i destinatari delle norme giuridiche si distingue: - Di alcune norme sono destinatari i comuni cittadini, di altre i detentori subordinati di potere normativo, altre sono destinate al sovrano e i suoi successori - I comuni cittadini sono i destinatari indiretti delle norme sussidiarie punitive o premiali, che permettono o prescrivono agli organi dell’applicazione di punire o premiare certi comportamenti in certi modi STRUTTURA DELLE NORME GIURIDICHE Bentham ha svolto molte indagini circa la struttura degli imperativi giuridici: - Analizzando gli elementi costitutivi delle norme - Distinguendo tra norme incondizionate e condizionali - Delineando una tipologia dei diversi gradi di completezza delle norme - Caratterizzando ogni norma come composta di due elementi fondamentali: il carattere normativo e il contenuto normativo RELAZIONI TRA NORME GIURIDICHE Ritiene che tra le norme giuridiche intercorrano relazioni di diverso tipo, di cui ogni legislatore dovrebbe tenere conto qualora intenda operare razionalmente. 1. Alcune sono relazioni statiche: quelle tra norme giuridiche se considerate sotto il profilo del loro carattere deontico e del loro contenuto normativo; quelle tra le norme sussidiarie punitive e le corrispondenti norme imperative semplici 2. Altre sono relazioni di implicazione funzionale ad esempio tra le norme permissive e quelle imperative sanzionatorie 3. Altre ancora sono relazioni dinamiche tra norme originarie e sopravvenute provenienti da una stessa fonte ovvero da fonti diverse e gerarchicamente ordinate, di cui una inferiore o delegato e una superiore o delegante. 4. Importanza delle norme di competenza: delle norme mediante le quali il sovrano ascrive poteri normativi ad agenti subordinati. 2 METODO ANALITICO DELLA GIURISPRUDENZA GENERALE I principali strumenti del metodo analitico: 1. Principio della periodica ignoranza lessicale secondo cui il teorico austiniano deve assumere di non conoscere il significato dei principali termini giuridici in uso 2. Rudimenti di analisi del linguaggio per cui a. Il teorico austiniano deve innanzitutto essere consapevole della tipica ambiguità semantica dei principali termini giuridici: del fatto che essi possano essere usati, sovente, a denotare cose eterogenee b. Deve saper distinguere due usi radicalmente diversi del linguaggio e di discorso: da un lato vi sono i discorsi descrittivi che si propongono di chiarire che cosa sia una certa cosa; dall’altra i discorsi valutativi nei quali si formano giudizi circa i meriti o i demeriti di una certa cosa, assumendo che ne siano note le proprietà. c. Deve saper riconoscere quelle espressioni in lingua che sono fittizie, essendo prive ddi un immediato referente empirico d. Deve saper distinguere tra i ragionamenti compiutamente formulati e quelli ellittici (senza alcune premesse fondamentali) 3. Teoria delle definizioni e dei loro limiti: il teorico austiniano: a. Deve saper riconoscere e censurare le definizioni viziate da circolarità, nelle quali il termine che si tratta did definire ricorre nella formula definitoria b. Deve saper riconoscere e censurare gli abusi del metodo definitorio, i quali vengono tipicamente commessi nei discorsi in cui si pretende di risolvere problemi teorici complessi mediante semplici definizioni, per genere e differenza specifica, di certi termini isolatamente considerati, confondendo così un problema di definizione reale con uno di definizione verbale c. Deve saper utilizzare queste conoscenze per elaborare una filosofia del diritto positivo fondata su di un apparato di concetti chiari e correlati tra loro, a comporre un discorso coerente UN IMPERATIVISMO RADICALE Quali caratteristiche presenta il fenomeno sociale “diritto positivo” ?  Esso è l’insieme delle leggi poste da uomini che sono i superiori politici in una nazione, o società politica, indipendente. Austin osserva peraltro come nel linguaggio ordinario, la parola law fosse usata per designare cose diverse e talora eterogenee. Ma quindi di che tipo di leggi si tratta? Per rispondere a tale domanda elabora una teoria del diritto che si caratterizza per un imperativismo coazionistico radicale e procede all’analisi dei concetti e alla ridefinizione dei termini solitamente usati per riferirsi al fenomeno giuridico e a fenomeni contigui e affini Il punto di partenza dell’indagine austiniana è costituito da una ricognizione dei sensi della parola law che può riferirsi: 1. A una legge positiva di una società politica indipendente 2. A una legge divina espressamente o tacitamente statuita da un essere soprannaturale 3. A una legge della morale positiva 4. A una legge in senso metaforico o figurato Di questi tipi di leggi, soltanto le leggi divine e positive sono leggi in senso proprio. Delle leggi morali positive, alcune sono leggi in senso proprio, altre in senso in proprio: in particolare sono leggi in senso proprio le regole morali poste da individui determinati nei confronti di altri individui, rispetto ai quali non siano, però, nella posizione di superiori politici. Si tratta ad esempio: A. Delle regole poste da un individuo ad altri individui nello stato di natura B. Delle regole poste occasionalmente da un sovrano a un altro sovrano C. Delle regole poste da privati ad altri membri della stessa società, ma al di fuori dell’esercizio di diritti soggettivi attribuitagli dal diritto positivo Sono invece leggi in senso improprio ma affini alle leggi propriamente dette, le regole morali fondate sull’opinione nonché una buona parte delle regole del diritto costituzionale Infine, nessuna delle leggi in senso metaforico è vuoi una legge in senso proprio, vuoi una in senso improprio, m affine alle leggi in senso proprio A quali condizioni tuttavia, una legge appartiene alla classe delle leggi in senso proprio? Deve essere una legge imperativa configurabile come una regola posta per la guida di un essere intelligente, da parte di un altro essere intelligente che ha potere su di lui 3 LA TEORIA AUSTINIANA DEI COMANDI Austin, riflettendo sulla nozione comune di comando, reputa 5 elementi disgiuntamente necessari e congiuntamente sufficienti, a indicare un comando: 1. Un desiderio rivolto all’altrui comportamento 2. La volontà di nuocere 3. La capacità o il potere di nuocere 4. La manifestazione del desiderio 5. La manifestazione della volontà di nuocere Dei 5 elementi, i primi due hanno carattere interno, psicologico; gli ultimi tre rappresentano invece dei dati esterni, in linea di principio suscettibili d’immediata rilevazione empirica  La nozione austiniana di comando è di tipo rigorosamente empirico-psicologico del tutto depurata sia da comportamenti di carattere valutativo che di carattere normativo DESIDERIO RIVOLTO ALL’ALTRUI COMPORTAMENTO Perché vi sia comando occorre innanzitutto che in un individuo intelligente o razionale si formi un desiderio rivolto al comportamento di un altro individuo parimenti intelligente o razionali. 4 distinti problemi 1. Problema dell’intelligenza dell’emittente: è necessario che l’emittente sia un essere umano effettivamente capace di intendere e di volere? Austin non fornisce una chiara risposta 2. Problema dell’intelligenza del destinatario: è necessario che il destinatario sia un essere umano effettivamente capace di intendere e di volere? Si, quindi oggetto di un comando non può essere il comportamento di un infermo di mente o di un minore 3. Problema dell’oggetto del desiderio: un comando è un desiderio rivolto all’altrui comportamento 4. Problema della persistenza del desiderio: affinché vi sia un comando è necessario che il desiderio dell’emittente rivolto all’altrui comportamento persista anche successivamente alla sua manifestazione? Austin non formula alcuna specifica risposta. VOLONTÀ DI NUOCERE La volontà di nuocere è la volontà di colui che esprime un desiderio rivolto alla condotta altrui, di infliggergli del male, contestualmente prospettato, qualora costui non si conformi a tale desiderio Il sostrato psicologico di Austin sembra consistere nei seguenti elementi: 1. Il formarsi di un desiderio rivolto a un comportamento determinato, ancorché non necessariamente previsto in ogni dettaglio, di terzi 2. Il formarsi di una connessa volontà di nuocere, qualora i terzi non si conformino a tale desiderio 3. La sussistenza del desiderio e della volontà di nuocere al momento della loro manifestazione 4. La persistenza del desiderio e della volontà di nuocere, successivamente alla loro manifestazione, in un arco di tempo nel quale il destinatario del desiderio possa effettivamente scegliere se conformarvisi oppure no CAPACITA DI NUOCERE La capacità di nuocere è la possibilità effettiva, da parte di colui che manifesta un desiderio rivolto all’altrui comportamento, di infliggere a quest’ultimo il male espressamente o tacitamente prospettato, qualora costui non tenga il comportamento desiderato. Si tratta del requisito della superiorità dell’emittente nei confronti del destinatario del comando. Austin si domanda se sia opportuno estendere la denominazione di sanzione anche ai premi e alle ricompense. Opta tuttavia per l’inopportunità di una stipulazione siffatta, ritenendola “gravida di confusione e perplessità” poiché elide la distinzione tra cosa, a suo modo di vedere affatto eterogenee, quali sono i comandi e le promesse. Il requisito della capacità di nuocere solleva due distinti problemi: 1. Il problema della persistenza della superiorità dell’emittente: perché vi sia un comando è sufficiente che la superiorità sussista al momento della sua manifestazione o è invece necessario che tale superiorità persista anche successivamente? 2. Il problema dell’entità della sanzione: perché vi sia sanzione è necessario che sia minacciato un male di particolare gravità oppure è sufficiente la minaccia di un male purchesia, anche di lievissima entità? Secondo Austin l’entità del male minacciato e della probabilità di incorrervi non hanno alcuna rilevanza sulla presente questione. Così per la sanzione, sarà pur tenue o inadeguata ci deve essere. Si mette in luce la connessione concettuale tra le nozioni di comando, sanzione, obbligo dimodochè in virtù di tali stipulazioni, data una qualsiasi situazione, non è possibile affermare la sussistenza di una cosa designabile mediante uno dei tre termini senza con ciò affermare la sussistenza di cose designabili con gli altri due termini. Nella teoria austiniana la “ability and willing-ness to harm” costituiscono le condizioni della normatività di una qualsiasi comunicazione prescrittiva formulata in una lingua naturale e pertanto anche della normatività del diritto.  Il problema della normatività del diritto viene solitamente posto con “perché ci si deve comportare così come prescrive il diritto?” Nella prospettiva della giurisprudenza generale la risposta consiste nel fare esclusivo riferimento all’effettiva possibilità di subire una sanzione, ovvero a situazioni in cui si è indotti all’obbedienza dalla minaccia di subire un male a opera di un superiore politico  La normatività giuridica delle norme giuridiche viene concepita in termini di dati di esperienza, tra cui l’efficacia dell’apparato sanzionatorio statale Austin distingue nell’ambito dei doveri tra i doveri giuridici, doveri morali positivi e doveri trascendenti imposti dalla divinità: tali dover sono congeneri, dipendono tutti dai comandi di un superiore MANIFESTAZIONE DEL DESIDERIO E DELLA VOLONTÀ DI NUOCERE Perché vi sia un comando occorre anche che il desiderio e la volontà di nuocere siano espressamente o tacitamente manifestati con la parola o con altro segno percepibile dal destinatario. Austin ritiene che le caratteristiche grammaticali delle espressioni in lingua medianti le quali gli individui manifestano i loro desideri rivolti all’altrui comportamento siano del tutto irrilevanti al fine di distinguere i comandi dalle comunicazioni d’altro tipo. Sostiene infatti che l’uso del verbo al modo imperativo non sia condizione né necessaria, né sufficiente, affinché si abbia un comando.  Se ci si pone nella prospettiva della filosofia del linguaggio contemporaneo la nozione austiniana di “comando” pertanto non è una nozione sintattica, né una nozione semantica, ma è piuttosto una nozione pragmatica. Invero per stabilire se un enunciato abbia valore di comando bisogna tenere conto anche del contesto di enunciazione: in particolare della reciproca posizione in cui si trovano l’emittente e il destinatario MACCORMICK VS AUSTIN Sostiene MacCormick che un comando è il risultato di un atto linguistico di comandare e che sussiste in particolare se ma solo se vi sia oltre a un atto imperativo anche un intenzione imperativa  L’atto imperativo consiste nel proferimento di certe parole “fai x” da parte di un soggetto A all’indirizzo di un altro soggetto B in grado di percepirle.  L’intenzione imperativa consiste, invece, apparentemente, nella congiunzione di tre elementi: 1. Il desiderio di A che B faccia x 2. L’intenzione di A che B faccia x per il fatto che x è desiderato da A 3. L’intenzione di A che B percependo la comunicazione del desiderio di A, riconosca l’intenzione di A che B faccia x per il fatto che A lo desidera  Per il contesto imperativo: osserva che i primi due requisiti possono essere comuni anche ad altri atti linguistici. Atto e intenzione sebbene necessari non sarebbero sufficienti a fare di una comunicazione direttiva di un comando. Perché ciò avvenga, occorre altre si che A sia, rispetto a B, in una posizione di comando. Ma in cosa consiste una posizione di comando? Austin distingue tra: ➢ A può trovarsi rispetto a B, in una posizione di superiorità coercitiva: A dispone della forza fisica sufficiente a piegare B alla propria volontà, costringendolo a fare x/a patire un male qualora non faccia x ➢ A può trovarsi rispetto a B, in una posizione di superiorità normativa, o autorità: ciò accade allorquando, in virtù di qualche norma di un’organizzazione sociale alla quale A e B appartengono , A sia autorizzato a rivolgere delle prescrizioni a B e a pretendere che quest’ultimo le osservi per il solo fatto che esse provengano da A ➢ La posizione di comando di A rispetto a B può consistere in una combinazione dei due casi precedenti: in tale caso, A, rispetto a B, è un’autorità e gode al tempo stesso di una superiorità coercitiva su quest’ultimo. Tra la nozione di comando di Austin e quella di MacCormick intercorrono due differenze. A. Attiene alla ricostruzione del sostrato psicologico dei comandi: MacCormick dà conto dell’atto linguistico del comandare utilizzando la nozione di significato intenzionale dell’emittente B. Attiene alla ricostruzione del requisito della posizione di comando: MacCormick ritiene che sia opportuno distinguere nel modo più reciso i comandi fondati sulla superiorità puramente coercitiva dell’emittente e quelli che si fondano sull’autorità dell’emittente SOVRANO E PRODUZIONE DI NORME GIURIDICHE Austin sostiene che il sovrano produce regole giuridiche o in modo diretto o indirettamente per il tramite di autorità politiche subordinate, da esso espressamente o tacitamente investite di poteri nomotetici. Come per i comandi in genere, anche per le leggi positive valgono i requisiti della persistenza del desiderio e della volontà di nuocere, costituiti da un presunto idem sentire tra il sovrano precedente e quello attuale. LIMITI DEL POTERE SOVRANO Nella teoria austiniana, il potere del sovrano è per definizione “incapace di limitazioni giuridiche”: - Austin ritiene che solitamente il potere di un sovrano sia limitato sia dalle leggi divine sia dalle norme della morale positiva: l’assenza di limiti giuridici non comporta quindi l’assenza di qualsivoglia limite normativo. - Le disposizioni con cui il sovrano pone dei limiti al proprio potere o a quello dei suoi successori non esprimono delle regole giuridiche: sono delle “massime, raccomandazioni” sorrette talvolta dalla morale positiva - La non limitabilità giuridica del sovrano vale unicamente per il corpo sovrano considerato come un soggetto unitario - La titolarità del potere sovrano sia ripartita tra soggetti diversi, i titolari dei diversi poteri possono essere destinatari di veri e propri doveri giuridici: possono essere soggetti a sanzioni giuridiche. Non è possibile non configurare quella antinomia irriducibile tra sovranità e diritto che si riassume nell’idea che “sul piano del diritto interno degli ordinamenti avanzati la sovranità è in contrasto con il paradigma dello stato di diritto e della soggezione alla legge di qualunque potere” - Sostiene che gli atti ultra vires dei singoli membri o delle singole componenti collettive del corpo sovrano possono risultare del tutto inefficaci, e ciò quale conseguenza del dovere giuridico, che può essere imposto agli organi dell’applicazione, di disapplicarli. Accanto ai vincoli imposti dalla morale positiva, questo meccanismo costituirebbe un ulteriore modo di impedire a un individuo giuridicamente irresponsabile o a un gruppo di individui giuridicamente irresponsabili di dare luogo a un esercizio incostituzionale del loro potere giuridicamente illimitato. Austin poi considera il diritto internazionale non già come diritto in senso proprio, bensì come un coacervo di regole appartenenti alla morale positiva. Dimodochè egli affermerebbe la supremazia dello stato sul diritto internazionale nel modo più reciso giungendo addirittura a negare al diritto internazionale il nome di diritto. NORME DI COMPETENZA Ci si è interrogati su quale sia la natura e/o forma logica delle norme di competenza, pervenendo a risultati divergenti. Con riguardo a una stessa norma di competenza come: N1 “LA FUNZIONE LEGISLATIVA E ESERCITATA DALLA CAMERA DEI DEPUTATI” Si è sostenuto infatti alternativamente: A. Che si tratti di una norma permissiva B. Che si tratti di una norma imperativa C. Che si tratti di una norma definitoria o concettuale che contiene una definizione di “legge” D. Che si tratti di una norma thetico-costitutiva che pone una condizione necessaria ma non sufficiente di esistenza di cose come le “leggi” E. Che si tratti congiuntamente di due o più cose dette sopra NORME SULLA PRODUZIONE GIURIDICA Austin considera la situazione in cui un individuo, facente parte del corpo sovrano di una società politica indipendente, pretenda di emanare un comando che non ha il potere di emanare conformemente alla sua quota costituzionale di sovranità. Per Austin il diritto positivo è un insieme o sistema di norme generali imperative, che comandano o vietano comportamenti accompagnate o implicate da norme sanzionatorie. Le norme che conferiscono tali poteri normativi però non sembrano riconducibili a norme imperative sanzionate  La teoria del diritto di Austin risulta viziata da un’incongruenza. La replica di Austin: “il diritto positivo propriamente inteso è un insieme di regole generali imperative e sanzionate del sovrano di una SPI”. La giurisprudenza deve occuparsi: - Dei comandi particolari emanati dai giudici o da altri superiori politici subordinati, in esecuzione di comandi generali del sovrano - Di certi tipi di leggi o norme, apparentemente non imperative, né riconducibili a leggi o norme imperative, = leggi accessorie, tra cui figurerebbero ad esempio le norme sulla produzione giuridica. La replica però non può ritenersi soddisfacente: per sfuggire alla contraddizione, occorre modificare, alternativamente la concezione austiniana del campo della giurisprudenza, oppure la concezione del diritto positivo o entrambe, 6 LEGGI ACCESSORIE Austin individua tre tipi di norme che sono leggi accessorie alle leggi imperative. 1. Leggi interpretative 2. Leggi abrogatrici delle leggi interpretative: sono leggi che abrogano leggi e liberano da doveri preesistenti. Austin ritiene però che tali leggi siano in realtà degli imperativi dissimulati 3. Leggi imperfette: norme giuridiche prive di sanzione e dunque non vincolanti ma da considerarsi alla stregua di semplici consigli o raccomandazioni che i superiori politici rivolgono ai loro sudditi LEGGI INTERPRETATIVE Sono atti di interpretazione autentica. Austin avverte come occorra avere cura di distinguere le leggi effettivamente interpretative da quelle pseudo-interpretative  Occorre dotarsi di un qualche criterio di interpretatività in base a cui distinguere ciò che è interpretazione da ciò che non lo è Aderendo al cognitivismo interpretativo Austin ritiene che la genuina interpretazione di un documento legislativo sia un’attività conoscitiva, il cui obiettivo consiste nella scoperta del significato che il legislatore ha inteso attribuire originariamente alle parole della legge ≠ l’interpretazione spuria si ha ogni qual volta i giudici effettuano la cosiddetta interpretazione correttiva: quando sotto il pretesto di interpretare le leggi costoro attribuiscano ad esse un significato arbitrario, disattendendo e correggendo il loro univoco significato originario Come si fa tuttavia a scoprire il significato che il legislatore ha inteso attribuire alle parole di una legge? La vera interpretazione è un’attività che è informata a quattro canoni o criteri che funzionano da strumenti euristici: per trovare l’interpretazione corretta di una disposizione 1) Canone letterale secondo cui si deve attribuire alle parole dei documenti legislativi il loro significato letterale, grammaticale, usuale, ovvio 2) Canone teleologico-testuale secondo cui si deve attribuire il significato suggerito dallo scopo del documento legislativo, qual è indicato dal documento stesso 3) Canone teleologico-storico secondo cui si deve attribuire il significato suggerito dallo scopo del documento legislativo, qual è indicato dalla storia del documento stesso 4) Canone sistematico secondo cui si deve attribuire il significato suggerito dai chiari dettami di altri documenti legislativi emanati dallo stesso legislatore in pari materia Austin non chiarisce quali rapporti intercorrano tra i 4 criteri, dando vita a una serie di problemi: ➢ Domandarsi se un interprete deve sempre utilizzare tutti e quattro i criteri, in ossequio a un’implicita direttiva interpretativa in tal senso, oppure no ➢ Domandarsi, qualora si siano usati tutti i criteri e si sia giunti a risultati diversi per la stessa disposizione legislativa, quale significato tra essi sia quello voluto dal legislatore ➢ Qualora si sia stabilito l’opposto come si deve procedere? Con una qualche direttiva interpretativa Oltre a queste lacune la teoria austiniana presenta un altro problema: eccezion fatta per il canone letterale, gli altri possono essere usati per accreditare interpretazioni spurie  La distinzione tra i due tipi di interpretazione è illusoria Austin non dice sulla base di quali criteri queste leggi interpretative possano essere distinte dalle leggi non interpretative. Ipotizzando che i 4 canoni valgano anche per il legislatore che voglia essere un genuino interprete delle sue leggi, si deve concludere che una legge è interpretativa se il significato che essa attribuisce alla legge interpretata sia un significato che può essere individuato sulla base dei 4 canoni. ANCORA SULLE NORME COSTITUZIONALI Ritornando al problema dello status delle norme costituzionali si può osservare: I. Le norme sulla produzione giuridica che il sovrano attuale pone quali limiti a sé stesso o a successori sono leggi imperfette II. Le norme che attribuiscono o riservano una competenza normativa a una componente del corpo sovrano possono essere vere e proprie norme giuridiche a condizione che corrispondano a norme che impongono a terzi l’obbligo sanzionato di non interferire con l’esercizio di tale potestà III. Le norme sulla produzione giuridica indirizzate a singoli componenti del corpo sovrano se non sono sanzionate sono leggi imperfette Nella teoria austiniana l’obbligo di obbedire alle regole giuridiche prodotte dagli organi competenti non deriva dalle norme attributrici di competenza normative ma solo configurabili se: - Qualora le singole norme prodotte prospettino una sanzione - Qualora viga una norma sanzionatrice che prevede in via generale che verrà probabilmente inflitta per la mancata osservazione delle norme prodotte da una certa autorità 7 IMPERATIVI DISSIMULATI Nella tipologia austiniana delle regole giuridiche, vi sono infine tre tipi di leggi imperative dissimulate: i. Le leggi attributrici di diritti soggettivi: sono norme apparentemente permissive che consistono però indirettamente in norme imperative che impongono obblighi correlativi dei diritti stessi ii. Le norme consuetudinarie: acquisiscono lo status di regole giuridiche imperative soltanto per il tramite del loro uso giudiziale. Austin rifiuta la tradizionale teoria della consuetudine secondo cui le consuetudini sarebbero norme giuridiche il cui uso giudiziale avrebbe carattere puramente dichiarativo iii. Le norme giurisprudenziali: leggi imperative prodotte dai giudici e autorizzate dalla tacita volontà del sovrano stesso ▪ Deve individuare le formulazioni più appropriate delle norme giuridiche di ciascun istituto, deducendole mediate un processo artificiale dalla idea completa dell’istituto stesso 4. La scienza giuridica è essenzialmente una fonte di cognizione del diritto, la più importante. Due fattori cospirano a fare dei giuristi i migliori interpreti dello spirito giuridico di un popolo: da un lato essi sono parte integrante del popolo, dall’altro sono dotati di una specifica preparazione tecnica, che li abilita a meglio comprendere e formulare le regole degli istituti giuridici, nel loro divenire. I giuristi svolgono funzioni di primaria rilevanza anche rispetto alla legislazione: ➢ Mediante la predisposizione di progetti di legge conformi alla natura degli istituti del diritto popolare originario ➢ Mediante la formazione dei futuri legislatori, rendendoli edotti circa le appropriate funzioni del diritto legislativo e i limiti oltre i quali la legislazione non può né deve spingersi ➢ Sottoponendo le leggi a elaborazione scientifica e svolgendo un’opera di intermediazione nell’applicazione delle leggi la vita reale. Tale fonti peraltro, non sono basi del diritto nello stesso senso del termine. Savigny distingue tra: - Fonti di produzione = organo o ente che produce diritto ▪ Principali (popolo) ▪ Suppletive (le altre) - Fonti di cognizione = documenti tramite cui il diritto è conoscibile IN MARGINE ALLA FILOSOFIA DI SAVIGNY Superato lo smarrimento che in un giurista contemporaneo può ingenerare l’esoterica terminologia usata da Savigny, la teoria delle fonti del diritto si rivela un discorso composito: - La componente teorica può riassumersi nell’idea secondo cui l’esperienza giuridica non può essere ridotta a un insieme di documenti giuridici autoritativi senza con ciò perdere di vista la dimensione sociale del diritto - La componente ideologica della teoria savignyana delle fonti del diritto, si appalesa in tre mosse ▪ L’introduzione di una fonte normativa metafisica, invisibile, elusiva, qual è il popolo, il suo spirito, la sua coscienza giuridica le cui norme sarebbero norme giuridiche, uniche e vere autentiche. ▪ L’istituzione di una supremazia assiologia tra la fonte normativa metafisica che sarebbe l’unica fonte del diritto propriamente detta e le fonti normative tradizionali degradate al rango di fonti di cognizione ▪ L’attribuzione alla scienza giuridica, di un ruolo fondamentale nell’identificazione del vero diritto, secondo procedimenti che si risolvono in intuizioni sottratte a qualsiasi controllo razionale ADOLF MERKEL La teoria generale del diritto ha per obiettivo la determinazione e la sistematizzazione dei concetti giuridici fondamentali ricavati mediante l’analisi dei principi delle varie branche dell’ordinamento giuridico positivo. Si tratta in particolare di una teoria del diritto 1. Positivistica che verte sul diritto positivo, assume che non vi sia altro diritto suscettibile di una trattazione scientifica al di fuori di esso, configurando il diritto naturale come diritto in senso improprio o metaforico. È opera dei giuristi positivi, studiosi versati nella dottrina e nella prassi del diritto, in contrasto con la filosofia del diritto opera dei filosofi di professione 2. Formale o strutturale: da un lato indaga la forma o struttura logica degli elementi costitutivi del diritto, che individua nelle norme giuridiche, dall’altro indaga aspetti strutturali del diritto complessivamente considerato occupandosi delle fonti del diritto, dei rapporti tra diritto e stato, dell’applicazione del diritto 3. Generale:di tipo settoriale: il suo oggetto è costituito dalle nozioni e distinzioni comuni ai diversi settori della scienza giuridica, che costituiscono la parte generale del sapere relativo ai singoli ordinamenti positivi Merkel ascrive una particolare utilità scientifica alla teoria generale del diritto poiché ritiene che soltanto il superamento dei confini delle singole discipline giuridiche permetta di strappare la maschera che deturpa e nasconde i veri tratti del diritto e impedisce che la sua identità possa emergere nel campo della nostra scienza Tra gli oggetti che la teoria generale del diritto ha il compito di indagare: 1. Il diritto positivo: complessivamente considerato mettendone in luce i tratti distintivi; i rapporti con lo stato, la morale, la religione e il costume; le partizioni dal punto di vista dei destinatari e contenuti; le fonti del diritto 2. I rapporti giuridici: con particolare riguardo alla nozione di diritto soggettivo 3. Applicazione del diritto: con particolare riguardo ai conflitti tra norme e all’interpretazione giudiziale delle leggi 4. Elaborazione di una metodologia prescrittiva della scienza giuridica che deve svolgere le seguenti attività: a. Interpretare il diritto: ponendosi immediatamente al servizio dell’applicazione del diritto b. Disporre i contenuti del diritto: nell’opportuna forma spirituale, la forma del sistema procedendo così alla sua elaborazione sistematica c. Combinare la comprensione dell’esistenza ed efficacia del diritto con le variazioni temporali e spaziali della sua conformazione Occorre osservare come nella prospettiva di Merkel, tutte le attività siano intese come attività conoscitive o scientifiche in senso proprio. Da un lato l’interpretazione giuridica consisterebbe, a seconda dei casi - Nell’individuare l’esatto contenuto delle leggi, andando necessariamente al di la del loro significato letterale - Nello sviluppare la portata precettiva iuxta propria principio, facendo opera d’interpretazione in senso lato, ovvero d’integrazione del diritto Dall’altro la elaborazione sistematica del contenuto del diritto è orientata a mettere in luce quel contenuto in un modo esaustivo e al tempo stesso più facilmente comprensibile come un tutto unitario logicamente correlato di concetti e regole ordinati in base alla loro affinità e secondo il grado di generalità o specificità dei loro contenuti. DUE COGNITIVISMI SEICENTESCHI Secondo un modo di vedere diffuso tra gli studiosi, il cognitivismo interpretativo costituisce uno dei lasciti più importanti della cultura giuridica ottocentesca. Si distinguono due famiglie di cognitivismi: 1. Cognitivismi interpretativi volontaristici: le concezioni cognitivistiche correlate a una concezione volontaristica del diritto. Divisi a loro volta in cognitivismo giusnaturalistico e positivistico 2. Cognitivismi interpretativi organicistici: le concezioni cognitivistiche correlate a una concezione organicistica del diritto. Il più grande esponente di questi fu Savigny Le principali idee comuni ai cognitivismi giusnaturalistici del seicento sono: A. Il comportamento degli esseri umani è regolato da leggi di tre tipi: le leggi naturali, le leggi rivelate, le leggi civili B. Tali leggi sono il risultato di atti di volontà, sono espressioni di una volontà divina nel caso delle leggi e/o diritto naturale, leggi divini rivelate e di una volontà umana nel caso di leggi civili C. Affinché possano essere conosciute e osservate dai loro destinatari, le leggi devono essere pubblicate D. Le leggi naturali sono pubblicate dalla divinità in un senso solo metaforico: per renderle note ai destinatari, la divinità non ricorre a comunicazioni linguistiche ma le inscrive nella natura delle cose e nella natura dell’uomo E. La conoscenza delle leggi naturali può avvenire soltanto tramite l’uso della ragione. Si tratta in particolare di afferrare tramite la ragione quali siano i caratteri essenziali dell’uomo e quindi di individuare quali norme siano adeguate rispetto a detti caratteri essenziali. F. Le leggi civili sono comunicate dal sovrano ai loro destinatari, mediante enunciati, formulati secondo il lessico e le regole grammaticali di una qualche lingua naturale, e resi pubblici secondo certe modalità G. Se, dunque le leggi civili non sono altro che il prodotto di atti di volontà del sovrano, la loro interpretazione: a. È un’attività che verte non solo sulle parole delle leggi, ma anche sulla volontà e/o sulla intenzione del legislatore, che mediante quelle parole si è espresso b. È un’attività conoscitiva, poiché si tratta di conoscere un oggetto ben delimitato: ciò che il sovrano ha voluto comandare, promulgando una certa legge  Per conoscere la volontà del legislatore? Si formulano alcune direttive metodologiche SAMUEL PUFENDORF Samuel pufendorf ritiene che: ➢ Lo scopo dell’interpretazione consiste nello scoprire il vero significato delle espressioni utilizzate dal legislatore ➢ Il vero significato delle disposizioni legislative è il significato che il legislatore ha attribuito a esse quando le ha formulate ➢ Per scoprire la vera intenzione del legislatore, occorre svolgere indagini interpretative di 2 tipi I. Sulle parole utilizzate dal legislatore, considerandole prima isolatamente e poi in connessione con altre parole = interpretazione lessicale II. Formulare congetture a partire dalle parole stesse e da altri indizi della vera volontà legislativa = interpretazione congetturale ➢ Le indagini sulle parole devono accertare quale ne sia il significato proprio, intendendo per tale il significato che la parola ha assunto nell’uso comune, se si tratta di verbum vulgi; se si tratta però di un vocabolo specialistico, occorre fare riferimento all’uso che ne viene fatto dai cultori della disciplina al cui linguaggio la parola appartiene. ➢ L’interpretazione lessicale può mettere in luce alcuni problemi: I. Nell’equivocità dei vocaboli usati dal legislatore II. Nell’apparente assurdità del significato che sembra convenire alla disposizione interpretata III. Nell’eventualità che a una disposizione, sulla base del significato proprio delle parole, sembri convenire un senso che pecca per eccesso o per difetto. ➢ In questi casi, sostiene Pufendorf, la vera intenzione del legislatore dev’essere accertata per via di congettura tenendo conto di: ▪ La natura del fenomeno regolato assumendo che il legislatore sia rispettoso della natura delle cose e che, pertanto, abbia voluto porre una regola “conforme a natura” ▪ Le conseguenze pratiche, gli effetti concreti che deriverebbero dall’una o l’altra delle interpretazioni lessicalmente possibili, assumendo che il legislatore sia ragionevole ▪ Le altre statuizioni che il legislatore ha formulato in diverse parti dello stesso documento legislativo, o in diversi documenti legislativi, assumendo che il legislatore sia sistematico 5. Cognizione cognitivistica dell’applicazione giudiziale delle leggi: la subordinazione dei giudici alla legge è un fine attingibile se l’applicazione giudiziale delle leggi può essere svolta in modo da essere un’attività di carattere puramente conoscitivo in cui il giudice accerta i fatti rilevanti della causa e poi deduce la decisione corretta da tali premesse date. 6. Completezza della legge: idea secondo cui le leggi positive costituirebbero un insieme completo di norme dimodochè: ✓ Non vi sarebbe caso per il quale non offra una soluzione, che il giudice deve trovare ✓ L’art 4 del titolo preliminare del Code Napoleon attribuisce ai giudici un obbligo, il quale possa essere effettivamente osservato, senza andare al di là della legge stessa I CODICI INTERPRETATIVI DEI GIURISTI ESEGETICI Il code Napoleon non contiene alcuna disposizione espressamente dedicata all’interpretazione e integrazione delle leggi. Di solito pertanto, nei grandi commentari al codice civile francese, il tea dell’interpretazione viene specificatamente affrontato nel commento agli art 4 e 5 del titolo preliminare: 1. ”il giudice che rifiuterà di giudicare, sotto il pretesto del silenzio, dell’oscurità, o dell’insufficienza della legge, potrà essere perseguitato come colpevole di diniego di giustizia” 2. “È fatto divieto ai giudici di pronunciare, per via di disposizioni generali o di regolamento, sulle cause che sono loro sottoposte” Data l’assenza di qualsiasi indicazione esplicita nel discorso legislativo, le pagine che i giuristi esegetici dedicano all’interpretazione prendono solitamente spunto da una serie di disposizioni sull’interpretazione in generale che i redattori del Code Napoleon intendevano inserire nel titolo V del libro preliminare al codice civile. I giuristi della scuola ritenevano quindi: A. Che occorra distinguere tra l’interpretazione dottrinale e quella autentica B. L’interpretazione autentica è formulata dallo stesso legislatore mediante un documento legislativo prodotto successivamente al documento interpretato; ha valore obbligatorio per tutti i destinatari della legge interpretata, e la sua adozione è rimessa alla discrezionalità del legislatore stesso. C. L’interpretazione dottrinale è invece l’interpretazione che sia offerta dai giudici, avvocati, giuristi, comuni cittadini, quindi del tutto priva di forza obbligatoria tranne che se formulata dai giudici (sarà obbligatoria solo per le parti nel procedimento concluso dalla sentenza nella quale è stata resa). Sui caratteri di tale interpretazione le opinioni dei giuristi si dividono a. una sostanziale convergenza nell’affermare la natura essenzialmente conoscitiva dell’attività b. Circa il carattere necessario o puramente eventuale dell’attività. Come per i giusnaturalisti seicenteschi l’interpretazione dottrinale verte su due oggetti distinti: c. Se verte sulle parole delle leggi consiste in un interpretazione grammaticale dei documenti legislativi d. Se verte sulla volontà del legislatore storico consiste in una interpretazione logica dei doc legislativi Per i giuristi esegetici il vero significato di una disposizione legislativa non è un oggetto misterioso e metafisico: si tratta del significato che può essere attribuito alla disposizione attenendosi ad alcune semplici direttive interpretative DIRETTIVA 1 DOVERE FONDAMENTALE DEGLI INTERPRETI Ogni codice interpretativo riposa su una qualche direttiva assiologica fondamentale, consapevolmente o inconsapevolmente sottoscritta dai giuristi. Tale direttiva appartiene, di solito, a una qualche ideologia circa il diritto e il ruolo dell’interpretazione, e influisce sulla selezione delle altre direttive del codice DIRETTIVA 2 FORME DELL’INTERPRETAZIONE TESTUALE L’interpretazione testuale consiste ✓ nel ricavare da disposizioni norme esplicite ✓ Nel tradurre gli enunciati dei legislatore in uno o più enunciati che si assumono sinonimi dei primi e rappresentano altrettante norme legislative esplicite DIRETTIVA 3 INTERPRETAZIONE GRAMMATICALE L’interpretazione grammaticale verte sulle parole delle leggi. Si compone di tre prescrizioni correlate: 1. I vocaboli ordinari o d’uso comune devono essere intesi nel significato registrato nei migliori dizionari della pertinente lingua naturale 2. I vocaboli tecnico-giuridici devono essere intesi nel significato stabilito dal legislatore, mediante apposite definizioni legislative o nel senso che sia stato consacrato dalla tradizione giuridica 3. Se un vocabolo possiede entrambi i significati, dev’essere preferito il tecnico-giuridico DIRETTIVA 4 INTERPRETAZIONE LOGICA L’interpretazione logica verte sullo spirito della legge, sul pensiero del legislatore, sull’oggetto e/o scopo del legislatore, e sulla sua volontà in quanto contrapposta al testo della legge. Si deve ricorrere a questa in vista di tre fini diversi: 1. Al fine di vivificare o animare il chiaro significato grammaticale di una disposizione, facendo opera dell’interpretatio declarativa 2. Al fine di chiarificare il significato grammaticale di una disposizione, ogniqualvolta esso si sia rivelato indeterminato facendo opera d’interpretazione suppletiva 3. Al fine di correggere il chiaro significato grammaticale di una disposizione, qualora si sia rivelato incompatibile con la volontà del legislatore, facendo opera d’interpretazione correttiva DIRETTIVA 5 STRUMENTI DELL’INTERPRETAZIONE LOGICA Secondo Laurent, lo spirito di una legge dev’essere identificato sulla base di tre risorse interpretative: A. Lavori preparatori includono l’intero complesso dei materiali parlamentari che precedono l’emanazione di una legge. Essi debbano avere un valore secondario e corroborativo nell’interpretazione di testi di legge indeterminati, trattandosi di materiali dotati di una semplice autorità di ragione B. Storia e tradizione la storia debba essere usata soltanto come una risorsa utile a superare le difficoltà nell’interpretazione di disposizioni oscure, dubbie, insufficienti e quindi non debba essere mai usata per accreditare interpretazioni che correggano il significato grammaticale delle disposizioni. Con riguardo alla rilevanza della dimensione cronologica, Laurent elabora due direttive volte a cristallizzare la legge: a. Prescrive di evitare di ricorrere acriticamente all’ipotesi del legislatore conservatore e al corrispondente argomento storico, sostenendo che il legislatore avrebbe conservato, sia pure con nuove formule b. Divieto di interpretazione evolutiva: non bisogna scartare le antiche dottrine in nome delle nostre idee moderne, introducendo nei testi uno spirito che è loro estraneo. Se l’interprete non si tiene in guardia contro il bisogno di progresso, esso finirà a farsi legislatore; esso deve solamente segnalare le lacune e non colmarle. C. Principi costituiscono la risorsa più affidabile per afferrare lo spirito di una legge. Possono essere: a. Espliciti immediatamente formulati nei codici b. Impliciti derivabili dalle disposizioni di legge Traggono la loro ultima “spiegazione e giustificazione” dalla “ragione e tradizione”. Si deve pertanto presumere che la volontà del legislatore sia sempre conforme ai principi del diritto, che costituiscono altresì il banco prova finale della praticabilità delle interpretazioni suggerite dai lavori preparatori e dalla storia DIRETTIVA 6 INTERPRETAZIONE DISSOCIATIVA L’interpretazione dissociativa è un tipo d’interpretazione correttiva. Consiste nell’arricchire il discorso legislativo di distinzioni non espressamente tracciate: è pertanto un tipo d’interpretazione restrittiva, solitamente giustificata facendo appello all’intenzione del legislatore e/o allo scopo oggettivo della legge. È anche la via per la quale s’introducono eccezioni a una regola generale DIRETTIVA 7 AUTORITÀ DELLA GIURISPRUDENZA Per quanto concerne l’argomento autoritativo o, ab exemplo, con particolare riguardo alle opinioni giurisprudenziali, Laurent suggerisce una direttiva del seguente tenore: “occorre sempre utilizzare con spirito critico le precedenti interpretazioni giudiziali”. È infatti un’attività razionale, pertanto l’autorità di una qualsiasi interpretazione è sempre subordinata alla sua verità o razionalità DIRETTIVA 8 LACUNE NORMATIVE Il termine lacune è notoriamente ambiguo. Con esso ci si può riferire: ➢ A situazioni di casus omissus dove per ipotesi non vi è alcuna norma che regoli specificatamente un caso ➢ A situazioni di casus male inclusus dove la norma c’è ma è una norma cattiva, che non ci dovrebbe essere Con riguardo alle lacune normative Laurent sostiene che i giudici dovrebbero procedere nel seguente modo 1. Ragionamento analogico a partire da precise disposizioni del codice stesso, vietato qualora la disposizione di partenza esprima una norma eccezionale (intesa sia come norma di diritto straordinario, sia una che deroghi a una norma generale), a meno che non sia giustificata da un’altra norma generale 2. Argomento a contrario può farsi solo se esso risulti conforme ai principi generali e non dia luogo ad assurdità 3. Norme del diritto antico pertinenti: se le disposizioni fanno riferimento alla tradizione giuridica, richiamando ad esempio qualche istituto del diritto romano 4. Equità DIRETTIVA 9 ANTINOMIE Secondo Damante in presenza di un’ antinomia si deve procedere così: 1. L’interprete deve cercare di superare l’antinomia in via strettamente interpretativa 2. Qualora la reinterpretazione correttiva non sia praticabile, si deve valutare se una delle norme non costituisca eccezione rispetto all’altra, facendo riferimento al criterio della lex specialis 3. Se nessuno dei due è utilizzabile, si deve ricorrere alla lex posterior 2 METODO DELL’ESEGESI ▪ Secondo un persistente luogo comune, la scuola si caratterizzerebbe per un codice interpretativo incentrato sul criterio del senso letterale delle parole e quello della volontà del legislatore storico ▪ Il bagaglio degli strumenti interpretativi: la littera legis e i lavori preparatori non hanno un ruolo esclusivo o privilegiato rispetto all’identificazione dell’intenzione del legislatore => l’interpretazione soggettiva non si risolve con la sola ricerca della volontà effettiva del legislatore storico, ma anche della volontà presunta e ideale. Ciò comporta di oltrepassare i labili confini al di là dei quali si aprono i domini nebulosi dell’interpretazione oggettiva e dell’intentio interpretis. ▪ I giuristi si dividono grosso modo in due indirizzi metodologici: ✓ I partigiani di un codice esegetico rigoroso incentrato sull’interpretazione letterale e sull’interpretazione sistematico-codicistica che configurano come i modi più appropriati per un interprete di assolvere il dovere costituzionale del rispetto per le leggi positive ✓ I partigiani di un codice esegetico liberale incentrato sul predominio dello spirito delle leggi, che configurano come risorsa pienamente legittima per accreditare interpretazioni non sono suppletive ma anche correttive ▪ I codici ermeneutici dei giuristi esegetici non offrono agli interpreti ferree direttive metodologiche, ma lasciano agli interpreti ampi margini di manovra, di cui costoro possono approfittare secondo le rispettive ideologie e abilità ▪ La divisa interpretativa viene solitamente riassunta dai critici e dagli storici della cultura giuridica: “i metodi generali d’interpretazione possono essere considerati come i modi più semplici e naturali per pervenire a conoscere il significato delle leggi”, anche se alcuni giuristi della scuola non erano d’accordo. 3 LA DOTTRINA DI SAVIGNY La teoria dell’interpretazione di Savigny è essenzialmente un discorso di metodologia normativa, elaborato in stretta connessione con la sua filosofia olistica, organicistica e storicistica del diritto. Si articola in tre parti: 1. Interpretazione di leggi isolatamente considerate non difettose 2. Interpretazione di leggi difettose 3. Interpretazione delle fonti del diritto nel loro complesso INTERPRETAZIONE DI LEGGI ISOLATAMENTE CONSIDERATE NON DIFETTOSE Il punto di partenza delle riflessioni ermeneutiche di Savigny è costituito da un concetto d’interpretazione: “L’interpretazione è la libera attività intellettuale mediante la quale si (ri)conosce la legge nella sua verità, si scopre il vero pensiero espresso dalle parole della legge” caratterizzando l’interpretazione come “libera attività individuale” Savigny allude alla c.d interpretazione dottrinale, un’attività scientifica che ha come risultato la conoscenza delle leggi “nella loro verità” ovverosia la conoscenza del vero pensiero in esse racchiuso Come si fa tuttavia a ricostruire il vero pensiero espresso nelle parole della legge? Tramite tre direttive fondamentali: DIRETTIVA 1 LA DOTTRINA DEI QUATTRO ELEMENTI Secondo Savigny l’interprete deve tener conto, in ogni caso, di quattro elementi che denomina elemento grammaticale, elemento logico, elemento storico ed elemento sistematico a cui corrispondono quattro tipi di interpretazione: ▪ interpretazione grammaticale: verte sulle parole usate dal legislatore per veicolare il pensiero ▪ Interpretazione logica: analisi dell’organizzazione del pensiero e perciò del rapporto logico in che stanno tra di loro le singole parti di esso ▪ Interpretazione storica: verte sullo stato della disciplina giuridica di un certo rapporto, al momento della promulgazione della legge oggetto d’interpretazione BERNHARD WINDSCHEID Windscheid adotta come punto di partenza delle sue riflessioni una nozione cognitivistica di interpretazione: ➢ “Dichiarazione del contenuto del diritto” Distingue inoltre, la vera interpretazione, una libera operazione intellettuale di natura investigativa, da un lato e l’interpretazione spuria a opera del legislatore, che consiste nella produzione di nuovo diritto positivo con efficacia retroattiva, dall’altro. Sostiene che la vera interpretazione sia operazione necessaria: non eludibile per chiunque voglia conoscere quale sia il diritto a fini pratici o scientifici che siano. Il contenuto del diritto può essere chiaro o no: nelle situazioni del primo tipo, l’interpretazione è comunque necessaria, anche se ha un compito meno importante che nei casi in cui il contenuto del diritto si sia rivelato indeterminato. La nozione iniziale d’interpretazione si rivela essere una stipulazione che costituisce la base concettuale di una metodologia prescrittiva concisa e bene-ordinata o, in altri termini la base concettuale del codice ermeneutico elaborato e proposto da Windscheid. DIRETTIVA 1 DICHIARARE IL VERO CONTENUTO DI UNA NORMA GIURIDICA Per dichiarare il vero contenuto di una norma giuridica, gli interpreti devono svolgere in ogni caso una triplice indagine ermeneutica: 1. Devono procedere alla “interpretazione grammaticale” della disposizione 2. Procedere alla “interpretazione logica” della disposizione, sulla base del pensiero effettivo del legislatore 3. Procedere all’interpretazione logica sulla base del pensiero ipotetico del legislatore, quale può essere congetturato con l’ausilio di ipotesi controfattuali DIRETTIVA 2 INTERPRETAZIONE GRAMMATICALE L’interpretazione grammaticale consiste nell’accertare il significato espresso dalle parole usate dal legislatore nel formulare una norma giuridica, tenendo conto delle regole linguistiche. Il risultato è il significato letterale di una formulazione normativa: tuttavia questo può essere indeterminato o viziato, rendendo necessaria la prosecuzione con altre indagini interpretative DIRETTIVA 3 INTERPRETAZIONE LOGICA FATTUALE L’interpretazione logica fattuale è intesa ad accertare ciò che il legislatore ha effettivamente e consapevolmente voluto dire. Il suo obiettivo è il pensiero effettivo e consapevole del legislatore. In tal caso, l’interpretazione logica propriamente detta si presenta come un’indagine storico-psicologica, che si distingue dall’interpretazione logica controfattuale, il cui obiettivo è invece il pensiero inconsapevole del legislatore. Si pone i seguenti obiettivi: ▪ Superare le oscurità del significato letterale di una disposizione, trasformandolo in un contenuto di senso chiaro e applicabile ai casi da decidere ▪ Selezionare il significato letterale corretto tra due o più significati alternativi messi in luce dall’interpretazione grammaticale ▪ Emendare il chiaro significato letterale di una formulazione normativa, ogniqualvolta esso sia incompatibile con il pensiero effettivo e consapevole del legislatore, procedendo così a una reinterpretazione correttiva della formulazione normativa Si distinguono tre forme di interpretazione correttiva. Si ha: 1) Estensione quantitativa: quando il legislatore abbia detto meno di ciò che consapevolmente intendeva dire 2) Restrizione quantitativa: quando il legislatore abbia detto più di ciò che consapevolmente intendeva dire 3) Modificazione qualitativa: quando il legislatore abbia detto qualcosa di qualitativamente diverso da ciò che consapevolmente intendeva dire Quanto alle tecniche per scoprire il pensiero effettivo e consapevole del legislatore ne enumera 4: 1. Interpretazione sistematica: dove il sistema è costituito dalle altre parti non controverse della stessa legge e/o da altre leggi dello stesso legislatore e/o di altri diversi legislatori, se legate alla legge da interpretare da unità intenzionale 2. Interpretazione storica: a partire dalla situazione del diritto positivo al tempo dell’emanazione della legge da interpretare, poiché si deve ritenere che tale stato fosse presente al legislatore 3. Interpretazione teleologica: a partire dal fine che il legislatore intese conseguire per mezzo della legge da interpretare 4. Interpretazione consequenzialistica: a partire dal valore del risultato presumendo che il legislatore abbia voluto dire qualcosa di sensato e conveniente, piuttosto che un qualche nonsenso privo di utilità DIRETTIVA 5 LACUNE Le lacune sono essenzialmente lacune della legge: situazioni che il legislatore non ha espressamente considerato nell’emanare le sue leggi. Di conseguenza, la posizione dei giuristi e dei giudici di fronte alle lacune è analoga a quella in cui si trovano quando si sia verificata una discrepanza tra il pensiero effettivo del legislatore circa il contenuto di una legge e il vero concetto di quella legge. Windscheid formula le seguenti istruzioni per un trattamento appropriato delle lacune legislative: a. Le lacune non devono essere colmate ricorrendo al cosiddetto diritto naturale b. Devono essere colmate ricorrendo allo spirito del tutto giuridico stesso: in questa prospettiva, la decisione corretta, è quella confortata dall’analogia a partire dalle norme di legge e dal corpo di concetti giuridici da esse presupposto DIRETTIVA 6 ANTINOMIE Sotto l’influenza della tradizione giuridica della scuola storica, Windscheid mostra di ritenere che i conflitti normativi siano apparenti. Non esclude tuttavia, che si possano anche verificare casi di vere antinomie. In ogni caso, le istruzioni che fornisce agli interpreti sul modo di affrontare le antinomie sono volte a indicare loro la via per scoprire, di volta in volta la soluzione corretta. 1. Le contraddizioni devono anzitutto essere attentamente esaminate, al fine di stabilire se non siano meramente apparenti 2. Una contraddizione è apparente in due diverse situazioni: a. Le due norme apparentemente contraddittorie vertono su situazioni diverse. Ciò può essere accertato sulla base di indagini interpretative svolte secondo le direttive 3 e 4 del codice di windscheid b. Le due norme apparentemente contraddittorie vertono sulle stesse situazioni, ma appartengono a differenti livelli. Può accadere infatti: i. Che una delle due norme in conflitto sia una norma di diritto comune e l’altra una di diritto singolare: non vi è alcuna reale antinomia, perché si può risolvere il conflitto con il criterio della lex specialis ii. Che una sia più risalente dell’altra: non vi è una reale antinomia poiché può essere risolto con il criterio della lex posterior 3. Quando un conflitto normativo non possa essere risolto con questi modi, gli interpreti ricorrono al criterio logico-assiologico dove prevale la norma che si può provare sia maggiormente in linea con il vero pensiero del legislatore 4. Infine, quando un conflitto non sia apparente, gli interpreti devono concludere che le due norme in conflitto abbiano esattamente lo stesso valore e quindi ciascuna abroghi l’altra, in modo che la questione deve essere decisa come se non esistesse nessuna delle due norme. Nel novecento, l’utopia della ragione analitica fu propugnata anzitutto da Hans Kelsen e poi da altri studiosi che si posero sulle sue orme e su quelle di Bentham e Austin. HANS KELSEN 1 LA MAPPA KELSENIANA DEL SAPERE GIURIDICO La riflessione epistemologica di Kelsen ha tra i suoi risultati il disegno di una mappa del sapere giuridico che può essere letta come continuazione e affinamento delle mappe dei tre illustri predecessori e della sua precedente mappa. In essa, ha valore cardinale la distinzione tra scienza e politica: quando ci si occupa del diritto da giurista, teorico, filosofo, si possono fare scienza o politica. La principale critica che Kelsen muove al pensiero giuridico tradizionale di aver fatto politica in modo clandestino, pretendendo invece di fare scienza. Si può fare politica del diritto in due modi distinti: A. A livello generale: esempio sono i discorsi di carattere ideologico sovente molto articolari, sui principi di giustizia che devono essere recepiti dagli ordinamenti giuridici positivi, affinché essi siano così come devono essere. B. A livello particolare: esempio nella formulazione da parte dei giuristi di proposte circa il vero significato di particolari disposizioni costituzionali poiché il vero significato delle norme è una finzione ideologica della dogmatica tradizionale Per quanto concerne la conoscenza del diritto questa può essere di due tipi: A. Conoscenza normativa: è propria della giurisprudenza normativa. Vi sono due rami: la teoria generale del diritto e la dottrina giuridica. I compiti della teoria generale del diritto sono caratterizzati da Kelsen in termini che richiamano deliberatamente la general jurisprudence austiniana. In quanto conoscenza normativa formale e strutturale, che prescinde dal contenuto degli ordinamenti giuridici, la teoria generale del diritto si contrappone alla dottrina giuridica, che è la conoscenza del contenuto delle norme valide di particolari ordinamenti giuridici positivi mediante proposizioni giuridiche B. Conoscenza sociologica: è compito della giurisprudenza sociologica che deve realizzare una serie di obiettivi: a. Osservare i comportamenti dei membri di una società descrivendoli mediante leggi analoghe alle leggi delle scienze naturali, nelle forma di giudizi ipotetici vertenti su connessioni causali, tra eventi- condizioni ed eventi-conseguenze b. Constatare la conformità dei comportamenti osservati rispetto alle norme giuridiche vigenti formulando giudizi circa l’efficacia delle norme giuridiche singolarmente prese o dell’intero ordinamento giuridico. c. Sulla base di tali descrizioni e constatazioni, formulare previsioni circa i futuri comportamenti giuridicamente rilevanti dei membri di una comunità giuridica d. Indagare e mettere in luce i fattori causali che hanno influito sull’osservanza, la produzione, l’applicazione di norme giuridiche. Tra questi fattori, kelsen include le ideologie dei comuni sudditi del diritto, dei giudici e dei legislatori di cui fanno parte le loro concezioni della giustizia Circa i rapporti tra giurisprudenza normativa e sociologica, Kelsen sostiene la tesi della complementarità secondo cui e si vuole davvero conoscere il diritto positivo occorre servirsi di entrambe ≠ parità —> la giurisprudenza sociologica è semore tributaria alla normativa sotto il profilo dell’apparato concettuale 2 LA TEORIA PURA DEL DIRITTO I principali componenti della teoria pura del diritto sono: ▪ Una teoria dei rapporti tra diritto, morale, religione, forza volta a fornire una definizione scientificamente adeguata dei pertinenti concetti, tra cui del concetto di diritto positivo ▪ Una teoria delle norme giuridiche, inclusiva di una concezione della loro forma logica ▪ Una teoria dei concetti giuridici fondamentali ▪ Una teoria delle relazioni tra norme giuridiche o teoria della struttura degli ordinamenti giuridici ▪ Una teoria dei rapporti tra diritto e stato ▪ Una teoria dei rapporti tra ordinamenti giuridici ▪ Una teoria dell’interpretazione giuridica DIRITTO, MORALE, RELIGIONE La condotta sociale degli uomini costituisce solitamente l’oggetto di norme di tre diversi tipi: norme giuridiche, norme morali, norme religiose. Volendo riassumere il concetto kelseniano si può dire che è diritto Qualsiasi ordinamento normativo, caratterizzato dalla tecnica della motivazione indiretta dei comportamenti mediante sanzioni coercitive immanenti e organizzate, dotato di una struttura essenzialmente dinamica non sia oggetto di alcuna norma positiva: in particolare né di una norma proibitiva, né di una permissiva. In entrambi i casi appare in luce la parassitarietà delle norme giuridiche permissive e delle situazioni di permesso in senso negativo. Nella prospettiva di kelsen infatti: ▪ Le situazioni permesse negativamente sono situazioni di assenza di norme imperative ▪ La principale funzione delle norme permissive consiste nell’annullamento e sostituzione di preesistenti norme imperative. ▪ Le norme che ascrivono diritti soggettivi sono in molti casi norme in funzione permissiva correlative di norme imperative: “ l’essere permesso del comportamento di B è soltanto il riflesso dell’essere prescritto del comportamento di A. questo permettere non è una funzione dell’ordinamento normativo diversa dal prescrivere”. Un comportamento permesso in negativo è un comportamento libero; tuttavia essendo libero in relazione a un ordinamento giuridico positivo, deve ritenersi regolato dal diritto, ancorché si tratti di un caso di regolamentazione negativa. Come può tuttavia uno stesso comportamento essere al tempo stesso non regolato e regolato? 1. La prima via d’uscita consiste nel configurare la regolamentazione negativa come regolamentazione potenziale: un comportamento regolato negativamente è, da questo punto di vista, un comportamento libero, non positivamente regolato da un ordinamento, che è tuttavia suscettibile di futura regolamentazione positiva; è insoddisfacente 2. Oppure si può far collassare la differenza tra regolamentazione positiva e negativa. La soluzione del paradosso viene offerta infatti invocando un principio di stretta legalità sanzionatoria in virtù del quale i comportamenti negativamente regolati divengono positivamente regolati: diventano infatti condizioni di una conseguenza giuridica che consiste nel dovere negativo di non irrogare alcuna sanzione coercitiva. Ciò equivale quantomeno alla incompetenza degli organi dell’applicazione rispetto all’irrogazione di sanzioni coercitive per i comportamenti non regolati NORME CHE CONFERISCONO POTERI Il carattere dinamico degli ordinamenti giuridici positivi si manifesta nella presenza, accanto alle norme primarie virgola di norme in funzione autorizzatrice: in forza di ciò, Kelsen ritiene necessario Combinare l’elemento dinamico e quello coercitivo nella formulazione standard della norma fondamentale, vuoi degli ordinamenti giuridici statali, vuoi dell’ordinamento internazionale. La teoria kelseniana delle norme di competenza si caratterizza per tre tesi fondamentali: 1. Tesi dell’eterogeneità rispetto funzione permissiva 2. Tesi della non autonomia: Al pari delle norme permissive, anche le norme di competenza sono norme non autonome: sono più precisamente frammenti di norme primarie. 3. Tesi dell’implicazione imperativa: Sostiene che che il conferimento del potere di produrre norme implichi il comando, per i destinatari delle norme di obbedirle. Di che relazione di implicazione si tratta? È apparentemente una relazione di implicazione concettuale: dipende dai concetti stipulati e usati da kelsen. TESI DELL’ETEROGENEITÀ RISPETTO ALLA FUNZIONE PERMISSIVA Eminenti cultori della filosofia pratica hanno configurato le norme che conferiscono poteri come norme permissive, negando ogni distinzione concettuale tra permettere e autorizzare. Kelsen ritiene invece che le due funzioni debbano essere distinte nell’ambito di una ricostruzione teoricamente appropriata della tipologia delle norme giuridiche. Le norme autorizzatrici non sono norme permissive. La produzione e applicazione di norme giuridiche da parte di legislatori, giudici e funzionari amministrativi non è permessa ma autorizzata. Ne le norme permissive né le norme di competenza possono essere violate: si tratta di norme che possono essere utilizzate o non utilizzate dai loro destinatari virgola che possono essere applicate o meno. Dove sta allora la differenza che kelsen sostiene esservi? ▪ Le norme di competenza sono metanorme: sono in particolare norme che attengono alla produzione di altre norme; a seconda dei casi, norme generali o norme individuali, norme primarie, norme secondarie, norme permissive, norme di competenza, norme interpretative ecc. ▪ Le norme permissive non sono metanorme, ma norme di primo livello. E se possono funzionare da norme abrogatrici, ma non sono direttamente norme abrogatrici. NORME ABROGATRICI I punti salienti della riflessione kelseniana sulle norme abrogate sono i seguenti: A. Le norme abrogatrici sono metanorme: vertono direttamente ed esclusivamente su altre norme e in particolare sulla loro validità; sono norme relative alla validità-obbligatorietà di altre norme, ne stabiliscono il non dovere, l’inesistenza B. In quanto metanorme, la forma logica appropriata delle norme abrogatrici, è una forma assertiva del tipo: “ la validità della norma N è annullata” C. In quanto metanorme non vi può essere conflitto tra una norma provocatrice e la norma primaria su cui essa verte; le due norme hanno infatti oggetti eterogenei. Una norma abrogatrice può tuttavia essere creata e utilizzata da un organo giuridico per risolvere un conflitto tra norme di condotta. D. Le norme abrogatrice sono norme non suscettibili di abrogazione: cessano di esistere nel momento stesso in cui privano di validità le norme su cui vertono. Ciò ha due conseguenze degne di rilievo: a. Avendo già perduto la loro validità esse non possono a loro volta essere abrogate b. L’emanazione da parte del legislatore di una norma abrogatrice di una norma abrogatrice, non potendo dispiegare un tale effetto, non può nemmeno far rivivere la norma di condotta a suo tempo abrogata. Un legislatore potrebbe peraltro emanare norme abrogatrici con effetto differito: in tal caso fintanto che non sia maturato il termine nel quale produrranno il loro effetto, queste norme possono essere abrogate da norme successive. E. Nel passato si distingueva tra abrogazione totale e abrogazione parziale: la provocazione totale si ha quando la validità di una norma venga totalmente annullata, quella parziale quando la validità di una norma si è annullata soltanto in parte. Kelsen sostiene che questo modo di pensare sia erroneo e meritevole di abbandono essendo legato a una concezione arcaica, ipostatizzante, oggettuale, delle norme giuridiche. Le norme non sono però oggetti materiali né assimilabili a tali.  Di conseguenza abrogazione totale e abrogazione parziale hanno paradossalmente lo stesso effetto: entrambe annullano integralmente la validità della norma su cui vertono.  A differenza tuttavia dell’abrogazione totale, l’abrogazione parziale è operazione complessa che consiste nell’eliminazione di una norma e nella contestuale introduzione di una nuova norma. F. L’abrogazione è un’operazione intra sistematica: “può avere luogo soltanto entro un solo e medesimo ordinamento normativo”. Dal punto di vista oggettivo della conoscenza scientifica del diritto, una norma di ipotetico sistema di diritto naturale non può annullare una norma di ordinamento giuridico positivo; né una norma di ordinamento positivo può annullare una norma di un ipotetico diritto naturale. Una norma giuridica positiva tuttavia può statuire che le norme di un certo diritto naturale possano avere l’effetto di annullare le norme di quell’ordinamento positivo. NORME INTERPRETATIVE Norme definitorie e norme di interpretazione autentica sono norme non autonome: non hanno ragione d’essere vuoi in assenza di norme primarie, nella cui formulazione ricorrano i termini definiti, vuoi in assenza di norme primarie le cui disposizioni si siano rivelate meritevoli di una interpretazione autoritativa da parte del loro autore. Le idee centrali della teoria dell’interpretazione sono: 1. Un modo di pensare inveterato sostiene che l’interpretazione sia o possa essere un’attività conoscitiva. 2. Il cognitivismo interpretativo è una teoria falsa, la cui persistenza risulta motivata dalla convenienza dei giuristi a credere, e a far credere, che, mentre forniscono soluzioni a problemi giuridici reali o immaginari, essi starebbero semplicemente facendo opera di conoscenza. 3. Una teoria dell’interpretazione non può fare a meno di distinguere tra interpretazione che è atto di volontà e quella che è atto di conoscenza 4. L’interpretazione scientifica non può consistere che nel congetturare e prospettare tutti i significati che possono essere attribuite a una disposizione, alla luce dei metodi interpretativi utilizzabili. Kelsen sostiene che questa operazione condurrà fatalmente a identificare per ciascuna disposizione una pluralità di significati alternativi che rappresenta la “cornice” dei significati ascrivibili alla disposizione. 5. L'interpretazione politica consiste nel proporre e/o utilizzare uno dei significati della cornice come il significato giuridicamente corretto di una disposizione. Ciò presuppone una scelta da parte dell’interprete. Poiché tuttavia sul piano conoscitivo tale significati sono pari ordinati e sono tutti giuridicamente corretti, la scelta in favore di uno di essi non può dipendere se non dalla scala di valore adottata dall’interprete, la quale non può che riflettere una qualche esigenza di politica del diritto. 6. Occorre distinguere due tipi di interpretazione politica: l’interpretazione autentica e quella non autentica a. L’interpretazione non autentica è l’interpretazione politica compiuta dai giuristi, dagli avvocati, dai comuni sudditi del diritto, quando interpretano materiali giuridici in vista di un qualche fine pratico, adottando e/o proponendo una certa lettura di una disposizione come la sua interpretazione corretta. b. L’interpretazione autentica è l’interpretazione politica compiuta da organi giuridici in vista della produzione di norme giuridiche. È richiesta in caso di produzione di una legge da parte dell’organo legislativo, di pronuncia di una sentenza da parte di un giudice e di adozione di un atto amministrativo da parte di un funzionario amministrativo. La teoria di kelsen tuttavia colpisce anche quel modo di pensare che va sotto il nome di teoria mista o teoria eclettica dell’interpretazione, secondo cui l’interpretazione giudiziale sarebbe, almeno in alcuni casi, atto di conoscenza e non atto di volontà. Ciò avverrebbe in particolare quando i giudici si limitino ad applicare le disposizioni nel loro chiare univoco significato letterale. Nell’opinione di kelsen tuttavia l’interpretazione letterale altro non è se non uno dei diversi metodi interpretativi utilizzabili dagli interpreti, al quale si suole contrapporre il metodo dell’interpretazione secondo l’intenzione del legislatore.  Il giudice che in una sentenza applichi una norma che costituisce il senso letterale di una disposizione ha altresì compiuto l’atto di volontà consistente nel privilegiare la lettura letterale rispetto alle letture suggerite dai criteri di l’intenzione del legislatore. NORME CHE CONFERISCONO DIRITTI Gli ordinamenti giuridici sono affollati di disposizioni che, a una lettura letterale, ascrivono “diritti” a classi di individui. Analizzando gli enunciati in cui compare l’espressione diritto, Kelsen giunge però alla conclusione che le norme ascrittive di diritti soggettivi non costituiscano un tipo di norme a sé: ritiene che possano assolvere più di una funzione, rivelandosi plurifunzionali. A. Talvolta gli enunciati in termini di diritto non rinviano nemmeno a specifiche norme giuridiche ascrittive B. Un enunciato normativo formulato in termini di diritto può anche essere inteso ad affermare una pretesa. In tal caso l’enunciato in termini di diritto può essere tradotto, senza perdita di significato, in un enunciato in termini di dovere. In questi casi diritto designa un diritto-riflesso: una posizione soggettiva attiva che è nient’altro che il riflesso di una corrispondente posizione soggettiva passiva. Quando le cose stanno così le norme ascrittive di diritti virgola in quanto norme che ascrivono diritti-riflessi, non sono funzionalmente distinguibili dalle norme in funzione imperativa. Kelsen si sofferma a confutare due modi di pensare pacifici nella giurisprudenza tradizionale: a. I diritti sono più importanti dei doveri. Se riferito ai diritti-riflessi questo modo di pensare è del tutto insensato, stante la corrispondenza concettuale tra diritti-riflessi e doveri b. I doveri sono più importanti dei diritti: prova ne sarebbe che, negli ordinamenti giuridici, vi sono innumerevoli doveri ai quali non corrisponde alcun diritto. Se però si parla di diritti-riflessi è insensato. C. Altre volte ancora, un enunciato in termini di diritto può riferirsi alla situazione, determinata da una norma giuridica, in forza della quale qualcuno ha il potere di presentare istanza per far valere un diritto-pretesa o diritto-riflesso in giudizio. In tale caso, il soggetto del diritto è titolare di un potere di partecipare alla produzione di una norma giuridica individuale per il tramite di un’azione specifica. In tali situazioni la norma ascrittiva di un diritto soggettivo non è funzionalmente distinguibile da una norma autorizzatrice, di competenza. Kelsen Ritiene che, in presenza di questi diritti, si possa parlare di diritti soggettivi in senso tecnico o in senso proprio: poiché si tratta di poteri, normalmente concessi a privati cittadini virgola nell’ambito di ordinamenti capitalistici caratterizzati da un’economia di mercato e dalla santità della proprietà e del contratto. D. Un enunciato in termini di diritto può riferirsi alla situazione di colui che abbia ottenuto il permesso, conferito gli da un’apposita norma giuridica individuale, di tenere un comportamento, esercitare un’attività, ecc., altrimenti vietati. In tale caso, la norma ascrittiva di un diritto soggettivo non è funzionalmente distinguibile dalle norme in funzione permissiva; può inoltre contenere un potere giuridico nella misura in cui risulti connessa all’autorizzazione a compiere certi negozi giuridici. Le costituzioni contemporanee contengono tipicamente disposizioni che ascrivono diritti politici e diritti e libertà fondamentali. Anche queste norme non sono distinguibili sotto il profilo funzionale dalle norme di uno dei tipi fondamentali individuati da kelsen. ▪ Le norme ascrittive di diritti politici Sono una specie delle norme che conferiscono poteri: ascrivono il potere di partecipare direttamente o indirettamente alla produzione di norme generali. ▪ Indirettamente partecipando al processo di selezione di coloro che eserciteranno la funzione legislativa ▪ Direttamente in quanto soggetti eletti membri di un’assemblea legislativa. ▪ Le norme ascrittive di diritti e libertà fondamentali Sono dal punto di vista funzionale norme incapacitanti: norme che ascrivono al legislatore ordinario delle incapacità alle quali corrispondono in capo ai sudditi altrettante immunità. La funzione di incapacitazione è davvero una funzione distintiva rispetto alle quattro funzioni differenziate da kelsen? Non pare, almeno non nella prospettiva kelseniana NORME GIURIDICHE, PRINCIPI DI DIRITTO, PRINCIPI MORALI Kelsen tiene ferma la posizione positivistica, principalmente sulla base del seguente argomento: “ la tesi della trasformazione non tiene conto della struttura dinamica e del reale modo di funzionare degli ordinamenti giuridici positivi”.
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