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Riassunto del libro "delinquenza giovanile" di Bandini e Gatti, Sintesi del corso di Criminologia

Riassunto del libro "delinquenza giovanile" di Bandini e Gatti per esame di Criminologia Minorile unimore

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

Caricato il 29/09/2020

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Scarica Riassunto del libro "delinquenza giovanile" di Bandini e Gatti e più Sintesi del corso in PDF di Criminologia solo su Docsity! DELINQUENZA GIOVANILE, analisi di un processo di stigmatizzazione ed esclusione. BANDINI E GATTI Capitolo 1. La delinquenza come costruzione sociale DINITZ individua 5 categorie di devianti: 1. Deviante come individuo che si allontana dai prevalenti modelli fisici/fisiologici definiti normali, quindi i nani, deformi, sfigurati, ecc.. 2. Deviante come individuo che infrange le norme religiose e rifiuta l’ortodossia, quindi gli eretici, apostata, ecc.. 3. Deviante come individuo che infrange le norme giuridiche, quindi ladro, omicida, ecc.. 4. Deviante come individuo il cui stato mentale non è in salute, quindi psicotico, nevrotico, ecc.. 5. Deviante come individuo che rifiuta i valori culturali dominanti, quindi hippy, bohemien, ecc.. Alla base di queste categorie vi è una “indesiderabile differenza”. Queste differenze, comunque, non hanno importanza in sé, ma è IL VALORE INDESIDERABILE che la società gli attribuisce a renderli tali. BECKER definisce devianti colori che si discostano dalla media della popolazione. Per giungere alla definizione di devianza, egli parte dal presupposto che non è un fatto riguardante un singolo individuo MA E’ CREATA DALLA SOCIETA’, IN QUANTO E’ LA SOCIETA’ CHE CREA LE NORME LA CUI INFRAZIONE COSTITUISCE DEVIANZA. Risposta sociale a certi comportamenti: CLASSIFICAZIONE DI DEVIANTE ATTRIBUITA DAL GRUPPO SOCIALE A UN DETERMINATO ATTO. C’è differenza tra un individuo che commette un reato e un individuo stabilmente deviante, infatti non vanno mescolati e unificati i due concetti. Nell’ambito degli individui che infrangono le norme, vi sono 4 principali categorie: 1. Individui che mettono in atto un comportamento deviante 2. Individui che sono etichettati come devianti 3. Individui che infrangono le norme giuridiche 4. Individui che infrangono le norme giuridiche e sono etichettati come devianti La devianza e delinquenza arrivano dall’incontro tra un comportamento e la reazione della società, QUINDI LE NORME sono strettamente legate alle diverse organizzazioni sociali. RELAZIONE STRUTTURA SOCIALE-NORME-DEVIANZA: I gruppi sociali possiedono un diverso grado di potere (=conflitto). Il gruppo che ha maggior potere impone (attraverso le istituzioni sociali) un sistema di norme finalizzate al mantenimento del potere stesso. I membri appartenenti ai gruppi sociali più sfavoriti quindi si trovano maggiormente esposti alla devianza. La devianza, comunque, non può essere considerata solo un fenomeno distruttivo ANZI spesso la devianza diviene utile per il buon funzionamento della società. DURKHEIM aveva osservato che il crimine serve a rinforzare la coscienza collettiva, per tale motivo è funzionale al sistema sociale. COHEN ha sottolineato: 1. come la devianza può diventare utile nei casi di eccessivo formalismo burocratico: infatti esistono spesso delle norme troppo rigide, formulate senza tener conto delle diverse esigenze della società e dei diversi gruppi sociali. Mettendo in atto un comportamento deviante si cerca di dare un segnale per un cambiamento di alcune norme. 2. Funzione della devianza: facilitare l’integrazione del gruppo. Il deviante è considerato un nemico e una minaccia al benessere sociale; i sentimenti derivanti dalla frustrazione e dall’ingiustizia sociale vengono indirizzati tutti verso quel nemico (campo espiatorio) e stimolano il sentimento di solidarietà all’interno del gruppo. La reazione sociale delle persone devianti: sostanziale rifiuto ed esclusione sociale. Ciò che conta non è tanto il loro comportamento (omosessualità, prostituzione, furto, ecc..) MA L’INTERPRETAZIONE CHE VIENE DATA DI TALE COMPORTAMENTO, SULLA BASE DI NORME, RELATIVE SIA AL COMPORTAMENTO, SIA ALLE CARATTERISTICHE SOCIALI DELL’INIDIVDUO. NON È IMPORTANTE SOLO IL COMPORTAMENTO, MA ANCHE E SOPRATTUTTO, IL CONTESTO NEL QUALE SI VERIFICA, E IL SIGNIFICATO CHE LA SOCIETA’ DA A QUESTO CONTESTO. Il processo attraverso il quale un individuo arriva al ruolo di deviante è comprensibile attraverso lo studio della reazione sociale: INSIEME DELLE RISPOSTE CHE IL SISTEMA SOCIALE, MEDIANTE I SUOI MEMEBRI E ISTITUZIONI, METTE IN ATTO NEI CONFRONTI DI DETERMINATI COMPORTAMENTI E INDIVIDUI. La reazione sociale è condizionata dai rapporti di potere tra i gruppi sociali e per tale motivo agisce in modo differenziato nei confronti di persone dotate di maggiore o minore potere. Per ciò che riguarda i devianti COHEN sottolinea come l’età, il sesso, la razza, lo status economico e sociale, sono le variabili che più incidono sulla possibilità di essere perseguiti dalla polizia e magistratura. Lo stereotipo del criminale secondo CHAPMAN. I gruppi con maggior potere utilizzano il criminale come campo espiatorio sul quale deviare la critica della collettività, imponendo uno stereotipo criminale tipico delle classi più deprivate: • La delinquenza è definita legalmente come una caratteristica delle classi inferiori • Stereotipo del delinquente: povero. • Le classi inferiori hanno molta meno privacy • I loro reati sono legati ad azioni materiali (invece quelli delle classi superiori sono simboli e quindi anche meno scopribili) • Immunità differenziale La delinquenza, sia adulta che minorile, non è una realtà in sé, ma è una realtà costruita socialmente. È il risultato di un processo di stigmatizzazione e selezione, che viene operato ai danni delle classi inferiori e povere. Capitolo 2. La diffusione della delinquenza giovanile Statistiche della delinquenza = strumento del criminologo. Vi è bisogno di supporti oggettivi di dati, e non informazioni dedotte da mezzi di comunicazione, di massa, ecc.. Organizzazioni che elaborano e pubblicano le statistiche sulla delinquenza = magistratura, polizia e amministrazione penitenziaria. Esse inviano all’ISTAT le statistiche giudiziarie. MA queste statistiche sono in continuo aggiornamento, quindi è impossibile paragonare dei dati a quelli di anni precedenti. Vi è anche il problema del NUMERO OSCURO. Esiste, infatti, una grande divergenza tra i reati reali e i reati che risultano ufficiali. Il numero delle persone registrate come delinquenti non indica il numero esatto delle persone che hanno commesso un reato, ma il numero degli individui per i quali si è espressa una reazione sociale. WOLFGANG = Un metodo di indagine utilizzato per rilevare la diffusione e le caratteristiche della delinquenza giovanile, in modo più approfondito e articolato delle statistiche ufficiali è = STUDIO DI COORTI. Questo studio prende in considerazione tutti i soggetti nati in un determinato anno, in una città o regione; e segue i soggetti di anno in anno, per un lungo periodo, addirittura, in alcuni casi, per tutta la vita. Per ogni soggetto vengono considerati, anche, i dati desunti dargli archivi della polizia, dei tribunali, dei tribunali, varie interviste, ecc.. Attraverso questi studi è possibile CONFRONTARE I GIOVANI IDENTIFICATI COME DELINQUENTI E QUELLI CONSIDERATI NON DELINQUENTI. Gli studi riguardo la distribuzione dei reati nelle diverse fasce d’età hanno dimostrato che vi è uno stretto rapporto tra la delinquenza rilevata ed età giovanile. Si è dimostrato, infatti, che dopo un picco di massima frequenza nell’adolescenza e prima età adulta, le azioni criminali tendono a decrescere costantemente, per arrivare ad essere quasi irrilevanti ad una certa età. Riteniamo che le teorie bioantropologiche non siano utilizzabili per spiegare un fenomeno come quello della delinquenza, la cui definizione e la cui esistenza sono in rapporto con variabili normative e sociali, mutabili nel tempo e nello spazio. In effetti possiamo ritenere che vi siano dei legami tra la struttura fisica ed alcuni aspetti psicologici dell'individuo, come ad esempio l'intensità di determinate pulsioni. Tali caratteristiche psicologiche sono tuttavia di tipo indifferenziato e la connotazione sociale che esse assumono non può essere determinata da fattori biologici. Ad esempio, un noto grado di aggressività può esprimere ugualmente bene in un comportamento deviante, nella competitività commerciale, nella lotta politica, eccetera, e la scelta fra questi tipi di condotta è condizionata dai fattori esterni all'organismo. Molti autori hanno tentato di individuare le cause della delinquenza in alcuni fattori, in genere relativi all'ambiente familiare, che, soprattutto nell'infanzia, incidono sullo sviluppo di un soggetto e sulla formazione della sua personalità. Per studiare tale processo, questi autori hanno trasferito il loro interesse dagli elementi organici e costituzionali della personalità, alle caratteristiche dell'ambiente nel quale l'individuo si sviluppa. La personalità delinquente sia diversa da quella del soggetto normale. Le peculiarità della personalità delinquente vengono però fatte derivare da situa zioni familiari patogene, relative all'infanzia del soggetto; il comportamento delinquenziale è considerato, quindi, come l'espressione sintomatica di questi disturbi, anche se i particolari modelli interpretativi utilizzati si differenziano a seconda delle diverse correnti di pensiero. La disgregazione familiare. Numerose ricerche sullo sviluppo psicoaffettivo del giovane delinquente riguardano la disgregazione familiare nel suo complesso, intendendosi con questo termine l'assenza di almeno uno dei genitori; anche se non continua e definitiva (morte, abbandono, separazione, divorzio, istituzionalizzazione di almeno uno dei genitori). Tali studi sono centrati innanzitutto sull'effetto criminogeno generale della disgregazione familiare, discriminando talvolta tra i differenti effetti conseguenti alle diverse cause della disgregazione stessa. RACAMTER, Conducendo una rassegna bibliografica che ricopre 7.500 casi di ragazzi antisociali, ha trovato una percentuale media del 57% di disgregazione del nucleo familiare di origine (l'escursione va dal 40 al 90%). Occorre ricordare che tale racconto comprende sotto la denominazione generica di famiglia disgregata sia l'assenza di un coniuge che la presenza di gravi perturbazioni, quali possono derivare ad esempio da condizioni che rendono una delle figure parentali del tutto inadeguata da un punto di vista affettivo ed educativo. SUTHERLAND e CRESSEY, in base a ricerche su famiglie di delinquenti, bene che esiste una percentuale di dissociazione del nucleo familiare che varia dal 30 al 60%. I GLUECK hanno trovato che il 60,4% delle famiglie di origine dei delinquenti era anormale, mentre lo era soltanto il 32,4% delle famiglie dei non delinquenti. L'alta percentuale di anormalità sia nei delinquenti che nei non delinquenti è stata spiegata considerando che i GLUECK comprendevano in tale categoria non soltanto le famiglie disgregate, ma anche famiglie caratterizzate da scarsa coesione. MERRILL, su 300 antisociali, trovò una percentuale di disgregazione familiare del 50,7% mentre tale percentuale era del 26,7% nel gruppo di controllo. Molti autori fecero un'analisi più dettagliata delle relazioni tra famiglia disgregata e delinquenza, osservando l'incidenza differenziale che avevano alcuni fattori, quali l'età, il sesso, la razza. - tra i delinquenti i negri più dei bianchi - le donne più degli uomini avevano famiglie di origine disgregate - la più bassa percentuale di famiglie disgregate si trovava tra ragazzi il cui caso era risolto in via informale - una più alta percentuale si trovava nei ragazzi il cui caso preso in considerazione dal tribunale - alta percentuale caratterizzava i ragazzi posti in probation. - la famiglia disgregata ha maggior effetto criminogeno per le ragazze che per i ragazzi e per i preadolescenti che per gli adolescenti. La carenza di cure materne. Alcuni autori fanno risalire il comportamento delinquenziale alle carenze affettive subite nell'infanzia. Sono stati soprattutto gli psicanalisti a occuparsi in modo profondo delle relazioni tra genitori e figli nei primi anni di vita ed a trarre conclusioni sulle negative influenze delle carenze di cure materne. SPITZ descrisse una sindrome che chiamò “depressione anaclitica” che si verificava allorché un bambino, che aveva sperimentato un buon rapporto con la madre fino allo svezzamento, veniva privato della figura materna nel corso del primo anno di vita. La carenza totale vale a dire la privazione materna già dai primi mesi di vita, aveva invece effetti più gravi. Come afferma SPITZ «la carenza di rapporti oggettuali rende impossibile la scarica delle pulsioni aggressive, il lattante ribolle l'aggressione su di sé, cioè sul solo oggetto che gli rimane. Il lattante diventa incapace di assimilare il cibo; subentrano disturbi del sonno; più tardi questi bambini si arrecano danno attivamente, sbattendo la testa contro le sbarre del letto, picchiandosi la testa con i pugni, tirandosi i capelli. Il deterioramento progressivo cd inesorabile conduce fino al marasma ed alla morte». SPITZ afferma che l'integrazione dell'Io si attua principalmente tra l'8 ° e il 18 ° mese di vita e che per il suo conseguimento devono essere soddisfatte le seguenti condizioni: • necessario un clima di sicurezza esente da pericoli. Questo clima può essere assicurato solo dall’oggetto libidico; • Le tendenze aggressive e le tendenze libidiche devono poter costantemente scaricarsi, con libertà. Questo scarica si realizza in forma di stati affettivi diretti verso l'oggetto libidico, e vengono scambi attivi fra il bambino e l'oggetto stesso; • in questo clima di sicurezza, si avrà un'interazione di processi psichici solo dopo la formazione dell'lo. Sottolineiamo che il termine processi psichici comprende fra l'altro i meccanismi di difesa nel senso più largo della parola. Dopo la formazione dell'Io, il bambino elaborerà questi meccanismi in modo crescente, e se ne servirà sia per l'adattamento, sia per la difesa, sia per la formazione della sua personalità che per la formazione del carattere. Bisogna tener conto che per il bambino nella prima infanzia è importante non soltanto l'assenza o la presenza della madre, ma anche il modo in cui sono fornite le cure fisiche. Nell'essere accudito il bambino riceve la prima possibilità di formare il confine dell'Io: cioè di formare una identità. BOWLBY confrontò un gruppo di 44 ladri minorenni con un gruppo di 44 ragazzi che presentavano disturbi di altro tipo, di egual età e sesso. BOWLBY osservò che il 40% dei ladri (17 soggetti) aveva avuto, nei primi cinque anni di vita, un periodo di separazione duraturo e molto lungo dalla madre o dalla figura materna sostitutiva. Soltanto il 5% (2 soggetti) dei ragazzi del gruppo di controllo aveva avuto il medesimo tipo di esperienza. Una correlazione ancor maggiore BOWLBY trovò tra la e privazione materna e il tratto <indifferenza affettiva> (14 soggetti tra i ladri; nessun soggetto nel gruppo di controllo. Tale tratto, spiegabile secondo BOWLBY col fatto che la perdita fabbricato d'amore porta a rifiutare ogni legame affettivo per timore di perderlo nuovo, condiziona una grave difficoltà di rapporti interpersonali e molto spesso una evoluzione in senso antisociale. Anche BOWLBY affermò anche che tanto maggiore è il danno quanto più precoce è l'età alla quale avviene la separazione tra il bambino e la madre. Nel 1950 BOWLBY fu incaricato dall'Organizzazione Mondiale della Sanità di compiere uno studio internazionale, sulla salute mentale dei bambini senza famiglia. Da questa ampia analisi trasse una conferma dell'importanza delle prime esperienze del bambino nel suo ambiente familiare e dell'effetto nocivo della carenza di cure materne. Come sottolinea DEBUTST, il rapporto madre- bambino determina in parte le infrastrutture della vita morale e la maniera in cui il bambino si legherà agli altri e sarà capace di riconoscerli come valori indipendenti da lui. Gli psicanalisti hanno dato un notevole contributo alla spiegazione dei legami tra privazione materna e caratteristiche di personalità che si ritrovano più facilmente tra i delinquenti. A tale proposito BOWLBY afferma che per tollerare le inevitabili frustrazioni che subisce nel soddisfacimento dei suoi desideri il bambino ha bisogno, nei primi anni di vita, di una “buona madre, della figura cioè che non solo lo nutre, ma che anche lo protegge e lo ama in modo stabile e duraturo. Nella vita affettiva del bambino, infatti, la madre viene vis suta in un primo momento in modo ambivalente: da un lato è la buona madre”, che nutre ed ama, dall'altro è la «cattiva madre», che si allontana frequentemente e che non è disposta a soddisfare immediatamente i bisogni del bambino. Sotto l'influsso di impulsi aggressivi il bambino distrugge, nelle sue fantasie, la «cattiva madre», e soltanto la presenza di una madre affettuosa è in grado di ristabilire un buon contatto tra il bambino ed il mondo esterno, rappresentato dalla madre. Come afferma DEBUYST, BOWLBY introduce un'interpretazione originale del concetto di Super Io, il quale sarebbe una funzione e che mira a mantenere e proteggere i primi abbozzi di una relazione oggettuale stabilita dal bambino con la buona madre. Al fine di preservare il clima di accoglimento e di benessere che gli derivano dalla presenza materna, il bambino deve poter sospendere le sue reazioni aggressive ed egoistiche. Attraverso questo continuo controllo, possibile solo in presenza di una madre affettuosa, il bambino potrà inserire nella sua vita psicologica la nuova dimensione della “durata” ed avrà una certa immagine dell'altro da preservare. Quando tale madre non esiste il bambino sarà incapace di dare un senso a tali rinunce, non avendo nulla da preservare. Attraverso l'esame della letteratura sull'argomento DEBUYST ha individuato tre tratti di personalità, che sarebbero collegati in modo caratteristico all'assenza materna: 1. il sentimento di abbandono, 2. l'insensibilità affettiva 3. l'aggressività. Il primo tratto spesso si esprime, nel giovane che ha subito un'esperienza di privazione, in una ricerca, talvolta rivendicativa, di un clima di affetto e di sicurezza. Tale tratto è caratterizzato da un sentimento di privazione e di abbandono attraverso il quale molte esperienze vengono percepite in modo di storto. Questi soggetti esigono sempre più amore di quanto è loro donato, e ciò li porta a disconoscere le reali manifestazioni di affetto di cui sono oggetto. L'insensibilità affettiva è stata enfatizzata soprattutto da BOWLBY, Secondo il quale il bambino che ha subito una separazione materna non è in grado di collegare le sue soddisfazioni libidinali al suo normale oggetto, e cioè alla madre ed attraverso ad essa agli altri. Come ricorda DEBUYST e il bambino non può identificarsi con l'immagine materna, e vivere questa dipendenza indispensabile in tale stadio della sua evoluzione. Questo bisogno insoddisfatto porterà verso gli oggetti in quanto questi possono essere posseduti. In effetti il rifiuto di cui è oggetto da parte della madre lo porta un ricercare una sicurezza relativa nel mondo delle cose, che gli apportano un certo piacere e compensano in tal modo le frustrazioni risultanti dall'assenza materna. Il contatto umano ha un valore molto scarso ed essi sono portati, secondo BOWLBY, a soddisfare le loro tendenze ad un livello narcisistico, attraverso il furto. L'indifferenza affettiva facilita anche l'aggressività, che è concepita come una ripetizione delle reazioni alla «cattiva madre». La privazione paterna. La relazione padre-figlio può apparire meno importante, nei primi anni di vita, in quanto i bisogni diretti di nutrizione e di cura fisica sono, in genere, soddisfatti dalla madre. Per questo motivo le carenze paterne più raramente sono state oggetto di studio. ANDRY, ad esempio, confrontando 80 ragazzi delinquenti con altri 80 non delinquenti ed analizzando contemporaneamente un campione rappresentativo di ogni coppia di genitori, considera tre possibili tipi di separazione fra i genitori e il bambino: - separazione psicologica e contemporanea separazione fisica; - separazione psicologica senza separazione fisica; - separazione fisica senza separazione psicologica. Distinse inoltre: 1. separazione dalla madre e non dal padre (separazione materna); 2. separazione dal padre e non dalla madre (separazione paterna); 3. separazione da entrambi i genitori (separazione doppia). RECKLESS ha formulato la cosiddetta «teoria dei contenitori». Egli non si è proposto di spiegare tutta la delinquenza, ma soltanto quella parte di essa che non deriva da disturbi psichiatrici, ovvero da elementi sottoculturali. Questo autore considera l'uomo come un sistema binario (individuo-ambiente), nel quale agiscono fattori in grado dedurne la vulnerabilità nei confronti della delinquenza, che egli denomina “contenitori interni” e “contenitori esterni”. Come riporta RECKLESS, i contenitori interni consistono principalmente in componenti dell'Io «come autocontrollo, buon concetto di sé, forza dell'Io, super-Io ben sviluppato, alta tolleranza alla frustrazione, forte resistenza agli stimoli disturbanti, profondo senso di responsabilità, orientamento verso fini precisi, abilità a trovare soddisfazioni sostitutive, razionalizzazioni che riducono la tensione, e così via. Questi sono i regolatori interni. I contenitori oltre esterni costituiscono il freno strutturale che, operante nell'immediato contesto sociale del soggetto, gli permette di non passare i limiti normativi. È composto di alcuni elementi come la presentazione al soggetto di una linea coerente di condotta morale, un rafforzamento istituzionale delle norme, fini ed aspettative, esiste un ragionevole insieme di aspettative sociali, una sorveglianza e disciplina efficaci (controlli sociali), l'offerta di una ragionevole prospettiva d'azione (limiti e responsabilità) nonché sfoghi alternativi, opportunità di consensi, identità e senso di appartenenza. Il funzionalismo. La teoria dell'anomia, elaborata da DURKHEIM (1858-1917) e sviluppato, in seguito, da MERTON, sì oppone alle concezioni che considerano il reato come una realtà patologica, abnorme, e rifiuta le spiegazioni della delinquenza come fatto individuale. DURKHEIM introduce il concetto di delinquenza come e fatto sociale, intendendo con ciò che la delinquenza non è un fenomeno patologico o abnorme, ma è connaturata con un particolare tipo di società, in un determinato momento storico, ed è tale da poter essere considerata in qualche modo funzionale al miglioramento ed allo sviluppo della società. Per spiegare l'incidenza e la diffusione della devianza DURKHEIM si rifà al concetto di anomia, una situazione della società in cui le norme vengono a decadere o ad essere scarsamente considerate dagli individui. Tale autore ha ipotizzato che nelle condizioni descritte vi sia uno squilibrio tra le aspirazioni degli individui e le loro possibilità di realizzarle. Nel primo caso perché la povertà impedisce agli individui il soddisfacimento di quei bisogni sociali che vengono considerati normali, nel secondo caso poiché l'improvviso benessere provoca uno di eccessive aspirazioni, che non tutti possono realizzare. In queste situazioni si avrebbe quindi l'anomia e la diffusione di quel particolare tipo di suicidio che DURKHEIM definì suicidio anomico. MERTON ha elaborato ulteriormente la teoria dell'anomia. Egli ritiene che il comportamento deviante sia il risultato di uno squilibrio tra la struttura culturale, che comprende le mete sociali prescritte e le norme che regolano l'accesso a tali mete, e la struttura sociale, che comprende la distribuzione empirica delle opportunità per conseguire le mete in modo compatibile con le norme. MERTON sostiene che nella società americana, alla quale egli fa riferimento, è molto importante la meta del successo in particolare del successo economico. Tale successo viene considerato accessibile a tutti i membri della collettività tutti coloro che raggiungono un merito che deriva direttamente dalla ricchezza e dall'ascesa sociale. Soltanto pochi possono raggiungere il successo, e questi pochi appartengono in genere a gruppi favoriti in partenza. Chi appartiene a classi sociali elevate ha notevoli possibilità di raggiungere il successo, mentre chi appartiene a classi sociali inferiori è quasi completamente escluso da tale possibilità. Quando la struttura culturale richiede ciò che la struttura sociale impedisce, si ha uno stato di tensione, che provoca anomia (assenza o violazione di norme). L'anomia, quindi, per MERTON non è relativa soltanto a periodi di depressione o di improvviso benessere economico, ma è una caratteristica stabile e costante del sistema sociale americano, Secondo MERTON vi sono cinque tipi di adattamento a tale situazione, a seconda che le mete culturali ei mezzi istituzionalizzati per raggiungerle accettati o rifiutati. - Il conformismo è caratteristico di chi accetta le mete culturali e i mezzi istituzionalizzati per raggiungerli e il tipo di adattamento più diffuso ed è tanto più diffuso quanto più una società è stabile. - L'innovazione comporta l'accettazione delle mete culturali del successo e il rifiuto dei mezzi ammessi istituzionalmente, e cioè delle convenzioni e delle norme sia legali che di altro tipo. Il successo è quindi ricercato attraverso l'utilizzazione di mezzi illegittimi. Tale di soggetti comprende una buona parte di coloro che sono chiamati delinquenti, ed in particolare di coloro che comunicano reati contro il patrimonio. Pur essendo presente ad alti livelli economici l'innovazione è più frequente, secondo MERTON, nei gruppi economici più sfavoriti. - Il ritualismo consiste nell'abbandono delle mete culturali, con l'accettazione dei mezzi istituzionalizzati e delle norme, che vengono sopravalorizzati. Il ritualista, secondo MERTON, è un'ultra conformista che ha subito ripetute frustrazioni nel tentativo di raggiungere un lungo accarezzate. Egli proviene in genere dalla classe medio-inferiore, classe nella quale sono presenti modeste opportunità sociali, associate ad un tipo di educazione che preme intensa- mente sui figli affinché si adeguino agli imperativi morali della società. - La rinuncia viene definita come l'abbandono sia delle mete culturali che dei mezzi istituzionalizzati (mendicanti, vagabondi, drogati, ecc.). La rinuncia è più frequente nei soggetti che hanno interiorizzato profondamente sia le mete culturali, sia le norme, che sono state permeate di valore affettivo. Il rinunciatario non riesce a raggiungere il successo con mezzi legittimi ed è incapace di usare mezzi illegittimi, a causa delle proibizioni che ha interiorizzato. Egli si trova in una situazione di conflitto, dal quale evade abbandonando sia le mete che i mezzi. rinunciatario è fortemente disprezzato dalla società ed ha una funzione di conservazione sociale in quanto, come esempio negativo, incentiva i valori del successo. - La ribellione comporta il rifiuto dei valori dominanti e la adesione a nuovi valori. Tale tipo di adattamento si verifica quando un soggetto prende coscienza che il fallimento non dipende da carenze individuali, ma dalla struttura sociale, che si frappone al soddisfacimento di mete legittime. Il problema affrontato dalla teoria di MERTON non è tanto quello di comprendere perché un dividuo diviene delinquente, bensì di spiegare perché, in una determinata società o in determinati gruppi sociali, siano pre- senti una certa quantità e un certo tipo di delinquenza. La teoria ecologica. I precursori di tale corrente di studio possono essere considerati il belga QUETELET e il francese GUERRY, che nel secolo XIX condussero interessanti ricerche sulla distribuzione della delinquenza in relazione a fattori fisici e geografici. Le ricerche più importanti sulle aree criminogene iniziarono con gli studi di SHAW e MCKAY, Sociologi della scuola rilevarono il luogo di residenza di un alto numero di delinquenti giovani e adulti della città di Chicago e studiarono anche le variazioni nel tempo della distribuzione della delinquenza. Questi autori divisero la città in cerchi concentrici e, sulla base del tasso di delinquenza nelle varie zone, giunsero ai seguenti risultati: 1. il tasso di delinquenza è diverso da una zona all'altra; 2. il tasso di delinquenza diminuisce progressivamente dal centro alla periferia della città (ipotesi del gradiente); 3. nelle aree delinquenziali sono contemporaneamente elevati i tassi di delinquenza adulta, maschile e femminile; 4. le caratteristiche delle aree tendano a rimanere stabili nel tempo per quanto riguarda il tasso di delinquenza; 5. la delinquenza non è correlata direttamente con le caratteristiche etniche della popolazione, in quanto la percentuale di delinquenti di un particolare gruppo etnico aumenta quando questo gruppo si inserisce in un'area ad alto tasso di delinquenza e diminuisce quando lo stesso gruppo si trasferisce in un'altra arca; 6. le aree delinquenziali, e cioè le aree in cui la delinquenza è particolarmente alta, sono caratterizzate da sovrappopolazione, deterioramento fisico delle abitazioni, vicinanza del- le zone industriali, mobilità della popolazione. Secondo SHAW e MCKAY il fattore maggiormente associato con la delinquenza non è costituito dalle caratteristiche etniche o razziali della popolazione, ma dalle caratteristiche dell'area in cui la popolazione vive. Altro importante contributo allo studio ecologico della delinquenza è stato fornito da LANDER, Questo autore prese in esame zone urbane meno estese e più omogenee ed utilizzò tecniche statistiche quali la regressione multipla e l'analisi fattoriale. LANDER identificò alcune variabili che sono correlate con la delinquenza, quali la percentuale di abitanti di colore, l'occupazione degli alloggi da parte del proprietario, la proporzione di immigrati, la sovrappopolazione, la scolarità media. In conclusione, LANDER mise in evidenza due fattori, il fattore anomico, dalla definizione percentuale di delinquenza, dalla percentuale di proprietà della casa e dalla percentuale di neri in una data area, ed il fattore socio-economico, misurato in base alla rendita e all'istruzione. Al di là di alcune differenze di metodi e di risultati, vi è una certa concordanza circa il fatto che la delinquenza si concentra nelle aree caratterizzate da basso livello economico, da alta percentuale di minoranze etniche e razziali, da deterioramento delle abitazioni ed in generale da scarsa coesione ed integrazione sociale. Le associazioni differenziali. Secondo i teorici della «trasmissione culturale», la delimitazione non deriverebbe tanto da una tensione relativa alla struttura sociale, quanto da una sorta di apprendimento differenziale, analogo all'apprendimento del comportamento socialmente accettata. Nell'ambito, di questa corrente, ha assunto particolare rilievo l'opera di SUTHERLAND, il quale ha elaborato una delle più conosciute teorie criminologiche, da lui perfezionata, in seguito, con la collaborazione di CRESSEY. La teoria delle associazioni differenziali di SUTHERLAND sostiene che la delinquenza è il risultato di un apprendimento differenziale, analogo all'apprendimento del comportamento socialmente accettato. Secondo questo autore, quindi, la criminalità non è il prodotto di una patologia personale, né il risultato di un insufficiente processo di socializzazione. La teoria afferma che i delinquenti ei non delinquenti perseguono gli obiettivi e la scelta dei mezzi per raggiungere questi obiettivi avviene attraverso un processo di associazione con modelli preesistenti di comportamento criminale, attraverso interazioni, scambi, comunicazione, imitazione, ecc. La teoria delle associazioni differenziali è articolata nei nove assunti: 1. Il comportamento criminale è appreso 2. ll comportamento criminale è appreso in contatto con altre persone, mediante un processo di comunicazione, che può essere sia verbale, sia non verbale. 3. Il comportamento criminale si apprende soprattutto all'interno di un gruppo ristretto di relazioni personali. I mezzi di comunicazione impersonale, come il cinema e i giornali, svolgono un ruolo relativamente poco importante nella genesi del comportamento criminale. 4. Quando la formazione criminale è appresa, essa prende: a) l'insegnamento delle tecniche attraverso le quali si commette l'infrazione, talvolta molto popolari e talvolta molto semplici, b) l'orientamento dei motivi, delle tendenze impulsive, dei ragionamenti e degli atteggiamenti 5. L'orientamento dei motivi e delle tendenze impulsive è funzione dell'interpretazione favorevole o sfavorevole alle disposizioni legali. Il tipo di atteggiamento nei confronti delle norme, favorevole o sfavorevole alla legge, si trova variamente distribuito nei vari gruppi sociali e ciò dà luogo a importanti conflitti di cultura. 6. Un individuo diviene criminale quando le definizioni sfavorevoli al rispetto della legge hanno il sopravvento sulle definizioni favorevoli. Questo è l'assunto principale della teoria, e spiega l'importanza dei modelli criminali come fattori criminogeni. Come affermano SUTHERLAND e CRESSEY cogni individuo assimila invariabilmente la cultura dell'ambiente che lo circonda, a meno che altri modelli non riescano a contrastarla 7. Le associazioni differenziali possono variare quanto a frequenza, durata, anteriorità e intensità. Per quanto riguarda l'anteriorità è da notare come le esperienze dell'infanzia possono avere influenza determinante su tutta la vita e soprattutto possono influire sulla scelta delle associazioni successive. L'intensità invece è collegata a problemi quali il prestigio del modello col quale si è in contatto e la reazione emotiva legata alle diverse associazioni. 8. La formazione criminale, per associazione con modelli criminali, mette in gioco gli stessi meccanismi che sono implicati in ogni altra formazione. Quello che differenzia, quindi, il delinquente dal non delinquente è ricercarsi nel contenuto di ciò che viene appreso e non nelle modalità con quali avviene l'apprendimento. 9. Mentre il comportamento criminale è l'espressione di un insieme di bisogni e di valori, esso non si spiega attraverso questi bisogni e questi valori, poiché il comportamento non criminale è l'espressione degli stessi bisogni e degli stessi valori. In una società in cui l'uomo viene misurato sulla base della ricchezza che riesce ad accumulare a spese degli altri, esisteranno sempre individui che tenteranno di procurarsi il denaro in forme sanzionate come illecite, e che, per che in realtà li accomuna agli altri membri della società, i vengono stigmatizzati vengono indesiderati e pesantemente puniti. Queste nuove teorie derivanti dalla premessa che le norme la loro applicazione non costituiscono una realtà oggettiva e neutrale, ma configurano un sistema di controllo culturalmente e socialmente determinato. Partendo da questa premessa, le teorie criminologiche non si pongono più l'obiettivo di comprendere perché gli individui violino le norme, ma tentano di comprendere i meccanismi attraverso i quali la delinquenza viene definita, prodotta, utilizzata. I nuovi teorici rifiutano, inoltre, una netta separazione tra delinquenti e non delinquenti. La delinquenza è vista come un processo di progressivo coinvolgimento ed è considerata come un comportamento ampiamente diffuso, non limitato a quella categoria di trasgressori che la società identifica e punisce, isolando all'interno della collettività, diffusamente permeata di conformismo e di deviazione, un gruppo ristretto di persone che si vogliono diversi, malvagi, pericolosi. L'interazionismo. L'interazionismo ha profondamente mutato l'impostazione della ricerca delle cause della delinquenza, spostando l'interesse dagli individui che compongono reati, al corpo sociale e alle istituzioni che definiscono e sanciscono la delinquenza. Più che il comportamento deviante in sé, è importante l'interazione tra l'individuo che mette in atto questo comportamento ed i membri della società che vengono a conoscenza di questo comportamento, in particolare modo gli organi di controllo sociale. Secondo l'approccio interazionista il comportamento che viola norme è estremamente diffuso in tutti i gruppi sociali, ma soltanto una piccola quota di questi comportamenti viene definita, etichettata e punita nell'ambito di un processo di interazioni sociali. L'interesse principale dell'interazionismo è quindi quello di studiare il processo di attribuzione di definizione negativa, cioè l'azione di etichettamento (labeling), i meccanismi del rifiuto sociale che conseguono all'etichettamento, i processi di stigmatizzazione e di esclusione. L'interazionismo, quindi, sposta l'interesse dal delinquente e dalle condizioni sociali (anomia, povertà, sottocultura, ecc.) che produce delinquenza, alla reazione sociale ed alla definizione della devianza, con una operazione che tende a relativizzare tale fenomeno. Altro importante contributo dell'interazionismo è quello di non considerare la devianza come una realtà statica, ma come il risultato di processi dinamici di interazione sociale. In una visione dialettica della realtà, l'interazionismo attribuisce importanza da un lato agli organi di controllo sociale, che applicano le norme secondo determinati stereotipi, attribuiscono etichette, appesi (polizia, magistratura, servizi sociali, ecc.), e dall'altro lato alle trasformazioni che si si trova esposto a questo tipo di misure e che ad esse reagisce. Secondo MEAD l'individuo cresce e si sviluppa attraverso un processo di interazione sociale all'interno di un gruppo, processo che si realizza soprattutto mediante il linguaggio. È da tener presente che secondo MEAD l'uomo non interagisce soltanto con un particolare ambiente naturale, ma anche con uno specifico ordine culturale e sociale, che gli è mediato dalle persone per lui importanti, che lo condizionano. Secondo MEAD l'individuo biologico, tramite l'uso di simboli significativi, assume il “ruolo altrui”, e regola così la sua condotta. Per questo autore una fase decisiva nella socializzazione degli individui sarebbe rappresentata dalla formazione nella coscienza, dell'altro generalizzato, secondo un processo di astrazione e di generalizzazione degli atteggiamenti e dei ruoli delle persone vicine all'individuo stesso. Dopo questa fase l'individuo allarga il suo campo di interazioni e, con un processo di astrazione, riconosce che alcune aspettative culturali appartengono non soltanto ai suoi genitori, ma alla società in generale. In tale modo l'individuo interiorizza la cultura di cui fa parte ed in essa si situa in modo coerente. Per MEAD, quindi, così come per i suoi allievi che nell'ambito della scuola di Chicago hanno sviluppato quella corrente di pensiero che è stata chiamata «interazionismo simbolico», l'identità che l’uomo ha di sé stesso e il comportamento che ne consegue sono determinati dai suoi processi di interazione, attraverso atti di riconoscimento sociale. L'altro teorico al quale si contrasta gli studiosi dell'etichettamento è ALFRED SCHUTZ. Questo autore sostiene che noi tutti siamo guidati da una concezione che egli definisce «il mondo dato per ovvio», con la quale viene fatta coincidere la realtà, che in effetti è una costruzione sociale. Il mondo dato per ovvio è cioè «il sistema di rappresentazioni del mondo apparentemente evidenti di per sé e valide di per sé, che ogni società produce nel corso della sua storia». L'ordine sociale si realizza allorquando le persone si accorgono che gli altri stanno definendo le situazioni nello stesso modo. Anche il deviante è il prodotto di e tipizzazioni, per cui è indispensabile comprendere la natura e le modalità di questo processo. Sia per MEAD che per SCHUTZ, quindi, la realtà è una costruzione sociale e gli uomini agiscono sulla base di questa costruzione e ad essa adeguano il proprio comportamento. Un'importante idea forza dell'interazionismo è che la delinquenza non va vista in modo statico, ma come ciò è stato particolarmente sottolineato da Becker, per il quale i momenti in cui un individuo inizia, continua ed infine si stabilizza nella devianza vanno considerati in modo differenziato ed interpretati alla luce di differenti motivazioni e di differenti situazioni sociali. In questo modo lo studio del comportamento delinquenziale diventa lo studio delle varie fasi in cui si articola una carriera criminale e lo studio di quei fattori che spiegano il passaggio da una posizione all'altra all'interno di una carriera. La prima tappa di una carriera deviante consiste nel compiere un atto che viola una certa norma. La seconda tappa viene evidenziata da BECKER nell'esperimento che il soggetto che ha compiuto un atto deviante deve subire una volta che sia arrestato o considerato pubblicamente deviante. L'etichetta di deviante, lo stigma sociale, come lo chiama GOFFMANN, determina un drastico cambiamento nell'identità pubblica dell'individuo, portandolo a ricoprire un nuovo status, costringendolo a un diverso ruolo sociale: egli si è rivelato diverso da come era considerato, per questo non è più meritevole di far parte della società, viene rigettato da essa, gli vengono vietati gli accessi alle occupazioni legittime e viene spinto di necessità a continuare nella strada appena iniziata. La terza tappa si in assenza di altre possibilità, entra in una parte lontana di un gruppo deviante organizzato, o accetta il fatto di esserne già parte. Anche LEMERT, attraverso i progetti di devianza primaria e di devianza secondaria, ha analizzato il processo secondo il quale un individuo viene coinvolto nella devianza. - La devianza primaria rappresenta quel comportamento in contrasto con le norme che il soggetto non riconosce come proprio, o meglio considera estraneo al suo vero individuo. - La devianza secondaria investe, invece, i casi nei quali il soggetto 'deve riorganizzare le sue caratteristiche psicosociali attorno al ruolo deviante. Il deviante secondario, in sostanza, sarebbe, per LEMERT, una persona la cui vita e la cui identità sono organizzate intorno, ai fatti della devianza. Secondo i teorici dell'etichettamento, quindi, la devianza emerge da un processo di interazioni, costituito da definizione di persone e di situazioni e da reazioni e controreazioni a queste definite. Come afferma LIPPMANN tutti noi “non vediamo prima e poi definiamo, ma definiamo prima e poi vediamo; immaginiamo cioè una grande quantità di cose e di situazioni prima di averle sperimentate, e quando ne abbiamo una qualche esperienza la interpretiamo secondo parametri già presenti nella nostra mente. Per tale motivo sono stati introdotti i progetti di stereotipo e cioè di immagine nelle nostre menti”. Il compito dei teorici dell'etichettamento è quello di comprendere con chiarezza il perché della presenza in noi di tale immagine, delle sue caratteristiche, dei processi di interiorizzazione. La prospettiva dell'etichettamento, cioè, più che da studiare il perché di un comportamento, è di studiare perché quel comportamento viene definito in un certo modo. Si ha un etichettamento quando nel corso dell'attività sociale (interazione) esiste un interesse particolare ad etichettare una persona in qualche modo. Infatti, è da notare che vi è uno stretto rapporto tra etichettamento e controllo sociale e che in molti casi per ottenere il controllo sociale si riordinano le relazioni umane attraverso la ridefinizione di una persona o di una situazione. L'interazionismo ha costituito un notevole passo avanti nella comprensione della delinquenza, in quanto ha avuto il merito di mettere in luce l'azione di rinforzo e di amplificazione della delinquenza da parte delle istituzioni preposte alla prevenzione, al trattamento ed al controllo della devianza, opponendosi alla tradizionale convinzione che considerava tali istituzioni capaci di limitare e frenare la delinquenza. Le statistiche sulla criminalità, ad esempio, dopo la critica dell’interazionismo, hanno perso quel carattere di neutralità e di oggettività che veniva loro attribuito, in quanto si è che i tassi differenti di delinquenza erano pesantemente condizionati dall'azione di reperimento e di selezione messa in atto dalla polizia e dalla magistratura. L'interazionismo ha quindi avuto il merito di demistificare tutta una serie di convinzioni, fortemente radicato anche in ambito scientifico, e di dimostrare la natura complessa e relativa del fenomeno delinquenziale. La prospettiva marxista e la criminologia critica. Uno dei primi tentativi di elaborare una sistematica teoria marxista della criminalità è stato compiuto da BONGER, studioso olandese (1876-1940), autore di una vasta serie di opere finalizzate ad interpretare la delinquenza secondo un ortodosso e rigido modello marxista. Seguendo MARX, e soprattutto ENGELS, BONGER afferma che la delinquenza è determinata dallo stato di demoralizzazione presente negli individui appartenenti ad una società capitalistica. Lo scontro tra proletariato e borghesia è determinante, secondo BONGER, nello sviluppo della delinquenza. Per BONGER i conflitti di classe e la diversa disponibilità acuto il conflitto fra le persone e quindi l’aggressività; tutti i tipi di reati riflettono i rapporti fra le classi e si manifestano con maggior frequenza fra il proletariato solo in funzione del maggior sfavore nelle condizioni di vita e di un atteggiamento rivendicativo nei confronti dei ceti più agiati. Secondo BONGER la delinquenza deriva dall'attuazione del “pensiero criminale”, il quale, a sua volta, è il risultato della tendenza del capitalismo a creare egoismo e mancanza di socialità. L'opera di BONGER costituisce il più vasto e sistematico tentativo di applicare la teoria marxista allo studio della criminalità. Un rappresentante significativo della criminologia radicale americana è CHAMBLISS, il quale formula una teoria criminologia direttamente ispirata all'ideologia marxista. Secondo la teoria marxista, ricorda CHAMBLISS, il punto di partenza per comprendere la società è costituita dal riconoscere che caratteristica fondamentale del vivere dell'uomo è il suo rapporto con il modo di produzione. Il modo di produzione è dato sia dai mezzi di produzione (i processi tecnologici), sia dal rapporto che le diverse classi intrattengono con i mezzi di produzione possedendoli o lavorando per chi li possiede. Nella società capitalistica i mezzi di produzione sono posseduti da privati e per tale motivo si crea una divisione netta tra la classe dominante (che possiede i mezzi di produzione), e la classe che è dominata (coloro che lavorano per la classe dominante). Questa situazione produce, secondo CHAMBLISS, una elevata criminalità, come risultato delle contraddizioni insite nei rapporti sociali propri del sistema capitalistico. La prima di queste contraddizioni, secondo CHAMBLISS, risiede nel fatto che per il rafforzamento e per l'espansione del sistema è indispensabile che la popolazione sia spinta verso il consumo. D’altra parte, la produzione dei beni, necessari per l'accumulazione del capitale e per il mantenimento della classe dominante, richiede che buona parte della popolazione svolga lavori ripetitivi, alienanti e scarsamente retribuiti. Un mezzo per indurre le persone a svolgere tali lavori è quello di mantenere una parte della forza lavoro in condizioni di povertà e di disoccupazione, in modo tale che qualora si manifestassero forme di rifiuto o di lotta da parte della manodopera impiegata sarà possibile lontano ricorso al cosiddetto «esercito industriale di riserva». La delinquenza femminile. Uno dei primi autori che si è occupato in modo sistematico della delinquenza femminile è Cesare LOMBROSO, che nel famoso saggio «La donna criminale» sostiene come, una differenza dei delinquenti maschi, le donne delinquenti siano scarsamente caratterizzate da segni di atavismo. LOMBROSO considera le donne delinquenti geneticamente più vicine al sesso maschile che al sesso femminile, in quanto del tutto prive di istinto materno. Egli ritiene che la criminale nata abbia tutte le caratteristiche criminali dell'uomo, unite alle peggiori caratteristiche della donna, quali la falsità, l'astuzia, il rancore. Altra importante tesi sostenuta da LOMBROSO è quella di considerare la prostituzione come una tipica manifestazione della struttura criminale della donna e come l'equivalente, nei soggetti di sesso maschile, della violenza criminale maschile. In particolare, i giovani hanno assunto una notevole importanza come consumatori e per tale motivo sono divenuti l'oggetto di intense campagne pubblicitarie, che sfruttano i problemi e i conflitti tipici dell'adolescenza. Per i giovani il possesso di beni rilevati è diventato un mezzo di affermazione, un termine di confronto con i coetanei, uno strumento di inserimento nel gruppo, un punto di riferimento per la propria identità. Altro significativo elemento della struttura economica della nostra società è l'ineguale distribuzione delle risorse. Il progresso economico e l'aumento della produzione non sono accompagnati da una più omogenea distribuzione della ricchezza. Permangono, e spesso si accentuano, squilibri economici tra gruppi sociali e tra differenti regioni. A ciò consegue una notevole conflittualità, che trova una particolare risonanza tra i giovani, e determina differenti tipi di reazione. Le migrazioni interne. In Italia, in questi ultimi decenni, ha avuto una particolare incidenza il fenomeno delle migrazioni interne, dovuto al crescente sviluppo industriale di alcune regioni del Nord, accompagnato dal sempre maggiore divario del reddito medio degli abitanti del Nord e del Sud. Le caratteristiche sociali degli immigranti, in grande percentuale braccianti, manovali od operai generici, non forniti di una qualificazione professionale. Questa condizione li costringe ad accettare qualsiasi tipo di lavoro, bassi salari e condizioni di vita scadenti e precarie. I problemi di fronte ai quali si trova l'immigrato sono molteplici: inizia quando egli arriva per la prima volta in una grande città del Nord e deve, con urgenza, trova un'abitazione e un lavoro, per poi accendere quando egli deve ricostituire il suo nucleo familiare ed adattarlo ad un ambiente così diverso da quello di origine. I bassi salari e l'alto prezzo degli alloggi costringono l'immigrato a risiedere nelle zone della città maggiormente disagiate, carenti di servizi pubblici, caratterizzate da abitazioni deteriorate, spesso sovraffollate. Gli immigrati passano inoltre da una cultura tradizionale, rigida, patriarcale, ad una cultura che si evolve in continuazione, spesso a loro incomprensibile e che allo stesso tempo li bombarda di messaggi per indurli ad adeguarsi a nuovi modelli di vita. Il conflitto culturale si esprime anche in un sostanziale rifiuto da parte della popolazione nella quale l'immigrato deve inserirsi; alle obbiettive difficoltà di vita degli immigrati si associa spesso un atteggiamento di pesante pregiudizio nei loro confronti, che li può spingere ad isolarsi o ad assumere comportamenti reattivi. La maggior parte degli studiosi che si sono occupati dell'argomento afferma che la criminalità degli immigrati è percentualmente superiore a quella delle testate autoctone. Particolarmente importante è il problema della delinquenza tra i giovani immigrati. In una ricerca condotta nella città di Genova si è potuto evidenziare uno stretto rapporto tra immigrazione e devianza giovanile. La ricerca ha dimostrato che soltanto la metà dei minori presi in esame è costituita da soggetti nati in Liguria e che tra gli immigrati prevalgono i soggetti provenienti dalla Sicilia, dalla Calabria e dalla Sardegna. Nei quartieri più colpiti dalla delinquenza giovanile, nei fatti, più della metà degli immigrati proviene dal Sud e dalle Isole, mentre nei quartieri meno colpiti dall'immigrazione viene in grande prevalenza dalle regioni del Nord Italia. I giovani immigrati sono sottoposti a particolari situazioni di conflitto e di frustrazione; essi, attraverso il mondo del lavoro, della scuola e dei coetanei, sono maggiormente influenzati dai nuovi valori e dai nuovi modelli di comportamento che vengono loro imposti dalla società che li riceve. D’altra parte, le istituzioni che si occupano dei giovani, come ad esempio la scuola, invece di appianare o in qualche modo ridurre queste difficoltà, finiscono per accentuarle. La nostra scuola è piuttosto rigida e selettiva. Non si mo- della sulle reali esigenze dei ragazzi, ma pretende da tutti gli stessi risultati e gli stessi comportamenti, escludendo e rifiutando coloro che hanno problemi e patrimoni culturali diversi. In questa situazione il giovane si sente escluso dalla società ufficiale e cerca una affermazione con quei mezzi che sono disponibili a tutti, come la violenza e le attività devianti. Talvolta questi comportamenti hanno una caratteristica di occasionalità e di temporaneità, ma anche in questo caso spesso gli organi di controllo sociale in luogo di risolvere il problema lo aggravano. I servizi sociali, la Polizia ed i Tribunali, tenendo a perseguire con maggior facilità i comportamenti devianti dei giovani immigrati, in quanto considerano come primo sintomo di una delinquenza futura anche forme di disadattamento relativamente lievi. Questa azione di etichettamento e di stigmatizzazione finisce per indirizzare molti dei giovani che ne sono oggetto verso comportamenti illeciti più stabili e più gravi. Il processo di urbanizzazione, lo sviluppo urbano si è realizzato in modo caotico e disorganizzato, sotto la pressione di una richiesta sempre crescente di abitazioni ea causa della speculazione edilizia, che ha portato ad una edificazione non programmata, rispondente unicamente un criterio di profitto, del tutto diverso dai bisogni abitativi della popolazione. Molti quartieri, caratterizzati da forti tensioni sociali, sono sorti alla periferia delle grandi città. Tali quartieri si sono sviluppati in breve tempo, sotto la spinta dell'immigrazione, in assenza di una programmazione che organizzasse la struttura urbana ed i servizi indispensabili alla comunità. In questi quartieri mancano spazi verdi, asili nido, attrezzature sportive e creative per i giovani. Tali quartieri sono caratterizzati da un'alta mobilità degli abitanti, che non permette il formarsi di solide relazioni tra individui e tra gruppi. Alcune attività illegittime sono considerate normali in queste aree, e tacitamente accettate e tollerate da tutti. Si realizzano, cioè, vere e proprie zone “franche”, che attirano molte di quelle persone che non possono emergere con mezzi legittimi. In questi vari tipi di quartieri disagiati esistono, seppur in forme diverse, pressioni verso la delinquenza, ed è da tali quartieri che proviene la maggior parte di delinquenti arrestati dalla polizia e condannati dalla magistratura. In particolare, i provvedimenti amministrativi del Tribunale dei minorenni si riflettono, nella quasi totalità dei casi, situazioni in cui i genitori non sono in grado di fronte al comportamento dei propri figli. Il ricorso al tribunale, quindi, è da considerare, più che l'indice specifico di un disadattamento giovanile, il segno manifesto di una complessa patologia familiare, patologia che trova le sue origini nella mancanza delle risorse economiche, culturali e sociali indispensabili ai genitori per affrontare e risolvere i problemi dei propri figli. La famiglia. Nella nostra società esiste un tipo particolare di organizzazione familiare, la famiglia coniugale, e cioè quella costituita dall'unione di genitori e figli, che abitano insieme e che mettono in comune le proprie risorse economiche, che derivano principalmente dal reddito del padre. In tale famiglia esistono ruoli ben precisi, che hanno una funzione determinata nell'ambito della più vasta società. I ruoli e il sistema di parentela seguono determinati leggi, ma talvolta la struttura familiare è in contrasto con valori sociali più generali, quali ad esempio l'uguaglianza tra tutti i membri della comunità, che viene impedita dalle caratteristiche dell'istituto. In questi ultimi anni le sempre più rapide trasformazioni della società, in tutti i suoi settori, hanno condizionato un mutamento dell'istituto familiare, dal quale sono conseguiti problemi e difficoltà per il bambino che in esso si sviluppa. Un tempo i genitori educavano i loro figli secondo modelli semplici e privi di gravi conflitti, riproponendo le stesse modalità con le quali erano stati allevati loro stessi. Tutto ciò è impossibile oggi, poiché molti dei vecchi valori e delle vecchie strutture sono stati ampiamente criticati e spesso distrutti. Molte volte i genitori non sono in grado di ottenere il rispetto e l'obbedienza dei figli a causa della loro posizione sociale, che nella società moderna finisce per condizionare il processo educativo. È chiaro che nella società moderna i rapidi mutamenti sociali, l'occupazione lavorativa di entrambi i genitori non compensati adeguatamente, la fragilità e l'isolamento della “famiglia nucleare”, l'urbanizzazione, la frequente mobilità delle famiglie, i conflitti di valori e la loro sostituzione con nuove mete e nuove aspirazioni, condizionano uno sviluppo del bambino che presenta nuove e profonde difficoltà rispetto al passato. Le trasformazioni sociali sempre più rapide si rendono estremamente complesso il compito della famiglia, la quale, nel mondo d'oggi, deve porsi come obiettivo prioritario quello di preparare l'individuo, fin dall'infanzia, ad affrontare i cambiamenti. Quando le trasformazioni sono rapide e radicali (mobilità geografica, mutamento di condizione professionale, ecc.) Può accadere che soltanto i giovani riescano, seppur con difficoltà, ad adatti alle nuove condizioni, mentre i genitori permanenti in uno stato di confusione e di incertezza, talvolta facendo riferimento proprio ai figli per l'interpretazione del mondo circostante. La psicoanalisi ha attribuito una grande importanza ai rapporti del bambino con i genitori, mettendo l'accento sulle modalità attraverso le quali le figure parentali incidono sulla norma o sull'anormalità dello sviluppo psichico di un individuo. FROMM considera la famiglia come il veicolo psichico della società. È l'istituzione che ha la funzione di trasmettere le istanze della società al fanciullo in fase di sviluppo. La famiglia - secondo racconto autore - e adempie a tale funzione in due modi: 1. attraverso l'influenza che il carattere dei genitori ha sulla formazione del carattere del fanciullo in crescita; poiché il carattere della maggior parte dei genitori è un'espressione del carattere sociale, trasmettono in racconto modo al bambino i tratti essenziali della struttura del carattere che è opportuna da un punto di vista sociale; 2. oltre al carattere dei genitori i metodi di educazione infantile utilizzati in una cultura hanno anche la funzione di formare il carattere secondo l'orientamento opportuno da un punto di vista sociale. Tuttavia, le caratteristiche di tali aspettative non sono de terminate, in modo prevalente, da problemi inscritti nel semplice ambito familiare, ma dipendono in larga misura dai rapporti che il nucleo familiare ha con il tessuto sociale. Per valutare l'influenza della dinamica familiare sullo sviluppo complessivo del figlio, è quindi indispensabile sottolineare l'importanza dei rapporti tra la famiglia e l'ambiente e comprendere come tutte le carenze di tipo familiare siano legate alla realtà sociale di cui la famiglia fa parte e ha avuto un effetto completamente diverso sull'individuo a seconda dell'interazione delle diverse variabili sociali. Nell'analisi della genesi e della dinamica del comportamento deviante si deve in primo luogo centrare l'attenzione sulla storia dell'individuo deviante, in quanto storia delle sue relazioni con la famiglia e con la società. Analizzando tali relazioni si osserva generalmente un pro fondo di disturbo dell'equilibrio familiare, in cui tutti i membri della famiglia sono coinvolti. Tale squilibrio familiare comporta conseguenze negative di vario tipo, su ogni membro della famiglia, ma per motivi relativi alla dinamica familiare, o per motivi sociali esterni alla famiglia, spesso determina in un solo individuo una spinta verso il comportamento deviante. Bisogna tener conto dell'azione di feed-back del comportamento del figlio sui genitori, il tutto tenuto presente che la famiglia non è una entità isolata, ma che è strettamente collegata col resto del tessuto sociale e di questo esprime i conflitti e le contraddizioni. La famiglia, quindi, non viene più considerata come la causa del disadattamento o della delinquenza di un membro di essa, ma come il terreno in cui la problematica sociale si esprime e si rivela con evidenza e come il più importante strumento per comprendere il legame tra problematica sociale e problematica individuale. La scuola. Diverse sono le funzioni della scuola: una delle più importanti è quella di favorire la socializzazione degli individui che le sono affidati, al fine di inserirli in modo organico e sufficiente mente differenziato nella società. Oltre a fornire un corredo di nozioni, la scuola prepara per il bambino ruoli sociali ben definiti e cioè fa conoscere e partecipare dal bambino determinato, allo scopo di farlo divenire un “buon cittadino”. Si insegna infatti al ragazzo come si deve comportare, quali devono essere le sue relazioni con i compagni, con l'insegnante C con il resto della comunità. Gli si incomincia a far intravedere quali sono le buone prospettive per il suo futuro, e quali le cattive. A differenza di quanto avveniva nell'ambiente familiare il bambino diviene, per la prima volta, oggetto di esame, secondo un sistema di norme precise. Ogni suo atto comincia ad essere valutato ed in base ad un preciso schema di riferimento viene giudicato buono, cattivo, irresponsabile, insolito, conformista. La scuola socializza il bambino secondo un modello ben preciso, che può essere identificato presente la provenienza sociale degli insegnanti, i quali appartengono, nella grande maggioranza, alla classe media, e perciò propongono, a tutti i bambini, i modelli tipici della loro classe, o quelli della classe superiore, alla quale essi stessi aspirano. Per tali ragioni gli insegnanti tendono a trascurare ed a reprimere quegli elementi culturali caratteristici di classi sociali diversi dalla loro, che costituiscono, per i bambini appartenenti a tali classi, degli elementi essenziali per la vita nel loro ambiente. La banda è quindi una sorta di collettività centrata sul furto o su altre attività illecite, in quale vi è una frequente ridistribuzione dei ruoli ed un alto ricambio. I giovani appartenenti alla banda rubano con gli altri e di fronte agli altri, poche precauzioni per non farsi scoprire, sprecano velocemente o distruggono ciò che hanno rubato. Questi giovani, appartenenti alla classe inferiore, rifiutati dalla scuola, insoddisfatti del lavoro, ricercano nella delinquenza in banda un quadro di relazioni sociali che permetta loro quel l'affermazione della quale hanno estrema necessità e che in realtà non è per tutti disponibile. Il mondo giovanile è sottoposto a campagne pubblicitarie che impongono modelli ed abitudini la cui realizzazione comporta la disponibilità di rilevanti somme di denaro. Il possesso di determinati beni è divenuto un simbolo di prestigio e ciò ha un grande potere di penetrazione tra i giovani, le cui problematiche conducono ad un forte desiderio di affermazione e di appartenenza. La nostra società dei consumi impone degli standard che non sono accessibili a tutti e produce frustrazione e insoddisfazione tra le persone che non possono accedere a determinati beni. Una larga massa di giovani, soprattutto appartenente agli strati più poveri della popolazione, soffre dello squilibrio esistente tra le molte proposte e la vita quotidiana, vissuta come una realtà carica di privazioni. Ciò costituisce una forte spinta all'acquisizione di beni, anche attraverso il furto. Le carriere criminali. i giovani delinquenti attuano diversi tipi di comportamento deviante, in genere contemporaneamente, a volte successivamente, e che è piuttosto raro il caso del giovane che si «specializza» in un solo tipo di devianza. Lo stesso giovane può appartenere ad una banda antisociale, compiere furti, commettere qualche atto violento e magari drogarsi. Il concetto di carriera criminale, che si può definire come una sequenza di ruoli sociali devianti che l'individuo progressivamente ricopre, oppure come un cammino sociale nel quale l'individuo si trova impegnato, o ancora come un comportamento criminale che viene sistematizzato, che viene assunto come modello di vita. Il concetto di carriera criminale, infatti, permette di evidenziare l'importanza del passaggio da un atto deviante isolato ad un sistema di comportamenti devianti, e di differenziare, nell'ambito della devianza globale, quella parte di delinquenza che è attuata da persone per i quali il crimine ha assunto sempre più importanza, fino a divenire l'elemento più significativo della loro vita. Attraverso il concetto di carriera criminale si ha la possibilità di rifiutare una visione statica della devianza, e di considerare da un punto di vista evolutivo il cammino sociale nel quale delinquente si impegna. Al di là dei motivi delle pressioni sociali che hanno indotto un individuo ad iniziare una carriera criminale, esiste una serie di reazioni da parte della società, che spinge l'individuo ad una serie di azioni abbastanza comuni e prevedibili. Il giovane, di un determinato tipo e di una determinata classe sociale, che commette, come del resto quasi tutti i giovani, un atto deviante, viene etichettato, stigmatizzato ed escluso da un determinato contesto sociale. Questo processo avviene sia attraverso una serie di azioni di polizia e giudiziarie, sia attraverso una più globale azione sociale, che si concretizza nell'atteggiamento negativo che viene nutrito nei suoi confronti dal corpo sociale nella sua globalità, e quindi anche da datori di lavoro, operatori sociali, famiglia, conoscenti, ecc. Non avere la possibilità di essere accettato dalla società ufficiale, che gli nega il lavoro, lo costringe nei quartieri ad alta disgregazione sociale, non lo ammette in gruppi sociali valorizzati, il giovane, dopo una prima esperienza carceraria, si trova costretto a rifugiarsi nel mondo della delinquenza, che ben conosce e nel quale si trova a suo agio, In tale ambiente egli sarà valorizzato nella misura in cui la sua attività sarà redditizia da un punto di vista economico, secondo parametri che sono del resto comuni anche a quei gruppi sociali che lo hanno in precedenza stigmatizzato ed emarginato. Passato il periodo della reattività giovanile, i delinquenti cominciano ad avere la consapevolezza del fallimento della loro vita e della inutilità dei loro sforzi per raggiungere il successo attraverso vie legali. Il carcere, il disprezzo da parte della società, l'impossibilità di costituirsi una normale famiglia, il delinquente sempre più angosciato del suo stato. A questo punto la vita delinquente potrebbe orientarsi verso un inserimento sociale, anche se tardivo. Ma tutte le vie sono ormai precluse. Le opportunità di lavoro sono quasi inesistenti per chi è stato in carcere, o per chi, comunque, ha il certificato penale segnato da condanne. Alle difficoltà soggettive di inserimento lavorativo, per una persona che non ha esperienza di lavoro e che non ha una qualificazione, si uniscono difficoltà oggettive ancora più pesanti, costituite dal rifiuto da parte degli imprenditori di assunzioni persone con precedenti penali. Capitolo 7. I giovani e la droga. Per droga si intende ogni sostanza chimica, naturale o artificiale, che modifica l'attività mentale degli esseri umani; esistono i seguenti cinque tipi di droghe: 1. Euforici (sostanze che determinano benessere psichico e fisico): oppiacei, tranquillanti; 2. Fantastici (sostanze che provocano una percezione del- la realtà diversa dal normale): cannabis, allucinogeni; 3. Inebrianti (sostanze che danno eccitazione cerebrale, con successiva depressione): alcool, cloroformio, etere; 4. Ipnotici (sostanze che inducono al sonno): barbiturici e altri sonniferi; 5. Eccitanti (sostanze che eccitano attività cerebrale): caffeina, tabacco, betel, cocaina, amfetamine. Data l'estrema varietà delle sostanze che vengono definite come droga, appare che i danni prodotti da queste sostanze sono molto diversi. Per individuare gli effetti patologici di una droga bisogna tener conto della tossicità della sostanza, e cioè del danno somatico e psichico che produce in modo diretto, della tolleranza, vale a dire della progressiva accessibile degli effetti della sostanza con il passare del tempo e della conseguente tendenza ad aumentare i dosaggi da parte del consumatore, della dipendenza, fisica e psichica che essa induce. La dipendenza fisica, chiamata anche assuefazione, ed in dotta da sostanze quali l'alcool, gli oppiacei ei barbiturici, è il fenomeno per cui dopo un uso più o meno prolungato e frequente di una determinata sostanza, la sospensione brusca dell'assunzione provoca l'insorgenza di disturbi somatici, una vera e propria malattia che viene definita sindrome di astinenza. Quando si instaura una dipendenza fisica, il soggetto è portato ad assumere la droga con continuità, anche al fine di evitare una grave e penosa sintomatologia da carenza della droga stessa. Vi tre categorie di soggetti che usano queste sostanze: 1. Il consumatore, che sperimenta o fa uso di droga in modo saltuario, oppure frequentemente, ma usando dosaggi innocui, contro il controllo della situazione, rimanendo nella possibilità di interrompere, in ogni momento, l'assunzione della sostanza stessa senza conseguenze; 2. Il farmacodipendente, che pur essendo in uno stato di dipendenza, mantiene una serie di legami con la realtà esterna, e può condurre una vita che non si allontana in modo rilevante dalla normalità; 3. Il tossicomane, che è caratterizzato da uno stato dipendenza, da un indebolimento rilevante dei legami con la realtà esterna e di ogni altro interesse, da un bisogno di assumere la sostanza e di procurarsela a qualsiasi prezzo, dall’assunzione di un ruolo sociale, di una immagine di sé, da uno stile di vita tutti centrati sulla droga. La diffusione della droga nel mondo giovanile. La grande diffusione delle droghe psichedeliche, avvenuta dapprima negli Stati Uniti d'America e poi negli altri paesi occidentali, è realizzata nel contesto di grandi movimenti collettivi dei giovani, nell'ambito di quella che è stata definita la controcultura giovanile. Il consumo di sostanze stupefacenti ha rappresentato una risposta a problemi di adattamento sociale comuni a molti giovani, e si è realizzato in genere in gruppo. Ciò è comprensibile alla luce delle spiegazioni di COHEN circa la formazione delle sottoculture devianti, quando considera tale fenomeno come un processo di conversione reciproca. Gli adolescenti, carichi di tensioni dovute al loro ruolo, tendono spesso ad unirsi in gruppo ei tentativi di soluzione degli uni influiscono su quelli degli altri. L'osservazione, la ricerca, l'esperienza clinica, hanno dimostrato importanza che gli adolescenti attribuiscono al contatto con i loro coetanei. La droga può essere simbolo di gruppi particolari e criterio di appartenenza ai gruppi stessi. La droga può divenire, quindi, un mezzo per raggiungere uno status sociale che viene negato in altri ambienti. Il sempre più diffuso uso di sostanze stupefacenti da parte dei giovani non può essere analizzato, comunque, senza ricordare che la droga è stato uno degli elementi della cultura beat ed hippy, che per molti anni ha rappresentato un importante punto di riferimento per i giovani. Insieme ad un tipo particolare di musica, ad un modo determinato di vestirsi, al gusto per il vagabondaggio e al rifiuto di una partecipazione attiva al lavoro produttivo, la droga è inserita nella cultura dei giovani, che vedevano nel modello hippy un esempio di liberazione da una società che li opprimeva, che se non erano in grado di fare una scelta di vita che li staccasse completamente dal mondo al quale erano radicati. Il fenomeno hippy è sorto come forma di reazione ad una società altamente competitiva, dedita soprattutto alla produzione e al consumo, pilastri fondamentali della nostra società. Il centro degli interessi dell'hippy è il proprio io, la sua esplorazione, la sua crescita ed espansione. A questo fine viene ritenuto utile l'uso di alcuni particolari di droga, come la marijuana e l'LSD. L'analisi fin qui condotta fornisce alcune interpretazioni ed ipotesi circa il diffondersi, dapprima negli Stati Uniti d'America e poi negli altri Paesi del mondo occidentale, di alcuni tipi di droga, in particolare delle droghe psichedeliche. Spiegazioni differenziate, anche se non del tutto indipendenti dai precedenti, devono essere utilizzati per analizzare il diffondersi di altri tipi di droga, ed in particolare dell'eroina, che suscita notevole interesse per la sua pericolosità. L'eroina si diversifica dalle droghe psichedeliche, sia per le sue caratteristiche farmacologiche, sia per il significato simbolico che le viene attribuito. Fu lanciata sul mercato farmaceutico nel 1898, come un sostituto innocuo della morfina, ma divenne ben presto una sostanza usata dagli strati della popolazione più emarginati e de- privati. In Italia l'eroina si è diffusa soprattutto a partire dal 1975, e da allora si è assistito ad un rapido incremento del fenomeno, documentato dall'aumento di ricoveri per tossicomania, dall'incremento del sequestro di questa sostanza, dall’aumento dei decessi di persone dedite all'uso di sostanze stupefacenti. Il funzionamento di sostanze finalizzate ad incidere sulla condizione psichica, ed a risolvere problemi di ordine psicologico o esistenziale, è entrato nelle abitudini di molte persone e ciò è stato stimolato dagli enormi interessi delle industrie farmaceutiche. Si ricorda che negli USA circa i due terzi della popolazione adulta fa uso di psicofarmaci e che in Italia gli psicofarmaci rappresentano un terzo delle vendite del mercato farmaceutico È evidente che la diffusione massiva degli psicofarmaci ha creato un costume che potremmo definire “tossicofilo” ed ha preparato la diffusione delle droghe illegali ed in particolare dell'eroina. I mezzi di comunicazione di massa hanno proposto, tra l'altro, una immagine indifferenziata della droga, facilitando quindi la confusione tra droghe psichedeliche ed eroina, ed isolando in uno stesso campo di significati i consumatori dei vari tipi di sostanze. Occorre inoltre ricordare l'importanza che assumere il fattore economico nella diffusione dell'uso dell'eroina. Gli alti profitti illeciti collegati al traffico e lo spaccio di tale droga hanno infatti determinato la creazione di un mercato vasto e capillare. La facile disponibilità nel reperimento della droga ha amplificato la richiesta, aumentando sia il numero di giovani che sperimentano tali sostanze, sia il numero di soggetti che continuano in modo sistematico ad usare l'eroina, giungendo ad uno stato di vera e propria tossicomania. Il fenomeno della tossicodipendenza. È importante segnalare che i diversi tipi di droga hanno una capacità molto differenziata di portare alla tossicodipendenza. Il recente fenomeno della tossicomania tra i giovani è da imputarsi soprattutto all'eroina, alla morfina ed a farmaci, quali il metadone, utilizzati, anche a fini terapeutici, come sostitutivi degli oppiacei. Questo fenomeno ha assunto particolare rilievo negli ultimi anni, ed è stato preceduto da fenomeni di tossicomania dovuti soprattutto alle amfetamine, liberamente vendute in Italia fino al 1972 e particolarmente pericolosi. Per quanto riguarda le altre droghe che si sono recentemente diffuse nel mondo giovanile, occorre ricordare che quasi unanimemente i ricercatori ritengono che non esistano alterazioni dannose croniche da uso di marijuana e di hashish, mentre i pericoli derivanti dall'assunzione di LSD sono principalmente rappresentati, da psicosi prolungate, acting-out, disturbi del carattere, inclinazioni suicide, attivazione di preesistenti psicosi latenti. Utilizzo della cocaina, che è particolarmente diffuso in questi ultimi anni, può condurre ad uno stato di intossicazione, che comporta notevole ansia, iperestesia, dismnesia, impotenza sessuale, insonnia. Nei casi più gravi si può giungere ad allucinazioni visive ed uditive, a deliri, à volte alla morte. L'esperienza clinica di molti ricercatori sottolinea l'importanza del ruolo svolto da gravi problemi che sono presenti nelle famiglie dei tossicomani, spesso associati a gravi situazioni di emarginazione sociale. I negativi fattori familiari che fanno da sfondo allo sviluppo della personalità dei tossicomani sono stati evidenziati in una ricerca riferita da CHEIN, riguardante 30 famiglie di consumo di droga e 29 famiglie di controllo. Una certa differenza si nota solo nel modo in cui i soggetti percepiscono le caratteristiche affettive dei propri genitori, in quanto in misura maggiore i tossicomani insieme di non essere stati amati. Capitolo 8. Il minore vittima di reato. Il contributo della vittimologia. Tradizionalmente la criminologia ha centrato il suo interesse sull'autore del reato, sulle caratteristiche psico-sociali dello stesso, sulle misure da adottare per il trattamento e la risocializzazione. A partire dalla fine degli anni '40 alcuni studiosi hanno affrontato sistematicamente lo studio della vittima del reato, dando origine ad una nuova disciplina, la vittimologia, che all'inizio si è occupata prevalentemente di comprendere, attraverso l'analisi del rapporto autore-vittima, le origini dei reati. I primi criminologi che hanno affrontato questo tipo di studi sono partiti dall'ipotesi che i reati non colpiscono gli individui in modo casuale, ma che alcune caratteristiche della vittima possono facilitare il reato. In questa nuova prospettiva si è studiato l'impatto dell'apparato giudiziario sulla vittima del reato e si è rilevato che si verifica un doppio processo di vittimizzazione, il primo dovuto ai danni causati dall'autore, il secondo (vittimizzazione secondaria) dovuto all'intervento del sistema penale. Per tali motivi sono stati realizzati numerosi programmi di riforma, finalizzati a ridurre i danni subiti dalle vittime di reato. In generale le riforme che sono state attuate hanno riguardato l'organizzazione di contributi economici alle vittime di reato, sia sotto forma di compensazioni da parte dello Stato, sia sotto forma di risarcimento da parte dell'autore. D’altra parte, la ricerca dimostra chiaramente che un gran numero di vittime di reati violenti esprime l'esigenza di poter fruire di interventi psicologici e sociali articolati. La consapevolezza delle violenze nei confronti dei minori è stata ed è piuttosto limitata: mentre le violenze comunicano dai giovani spesso suscitano un notevole allarme sociale e vengono divulgate dai mezzi di comunicazione, le violenze nei confronti dei minori sono, in genere, nascoste. I dati delle statistiche e delle ricerche consente di verificare come il minore sia più spesso vittima che autore di violenza. Attualmente vi è la tendenza, da parte degli esperti, di considerare il maltrattamento dei bambini in una accezione piuttosto allargata, che comprende, oltre alle violenze fisiche, anche l'incuria (relativa all'alimentazione, all’igiene, alle cure mediche, ai pericoli fisici e sociali), gli abusi sessuali (molestie, corruzione, incesto, sfruttamento, ecc.), il maltrattamento (rifiuto affettivo, violenza psicologica, ccc.), la cosiddetta sindrome di MUNCHHAUSEN (patologia inventata o pro vocata nel figlio, per richiamare l'attenzione e per ottenere le cure del medico). Le modalità attraverso le quali i bambini possono subire una violenza fisica sono le più varie. In molti casi i bambini vengono percossi ripetutamente e violentemente; talvolta vengono buttati sul pavimento o sbattuti contro i muri; a volte vengono colpiti con i mezzi più disparati, quali cinghie, fili elettrici, bottiglie, bastoni; a volte vengono lesi con liquidi bollenti, ferri da stiro, mozziconi di sigarette, ecc. In una percentuale non esigua di casi, i maltrattamenti sono seguiti dalla morte del bambino. SMITH valuta che il 5% dei bambini sottoposti a gravi maltrattamenti fisici giunga alla morte e che il 25-30% vada incontro a modificazioni peggiorative permanenti. Le conseguenze a lungo termine del maltrattamento dipendono dal tipo, dalla frequenza e dalla durata degli eventi dannosi; secondo questo autore, oltre alle lesioni direttamente collegate con il maltrattamento o con la trascuratezza, tre aree dello sviluppo sono frequentemente colpite: l'accrescimento fisico, l'apprendimento (specie del linguaggio), l'adattamento affettivo e sociale. Numerose ricerche, condotte in questi ultimi anni, hanno cercato di individuare le cause del maltrattamento dei bambini, Circa l'ambiente sociale di provenienza, è stato osservato che i genitori implicati in tali vicende appartengono a tutti gli strati socio-economici della popolazione, anche se il fenomeno sembra essere particolarmente frequente all'interno di famiglie caratterizzate da gravi problemi economici, disgregazione, precaria situazione abitativa. Sono considerate condizioni di particolare rischio la presenza di alcolismo o tossicodipendenza nei genitori, ovvero problemi di salute mentale, quando accompagnati da isolamento, emarginazione e assenza di cure. Sono stati chiamati in causa anche la maternità precoce, il rifiuto della maternità, nonché particolari e dinamiche familiari, nelle quali il figlio assumono un ruolo di capro espiatorio, ovvero agente precipitante. In alcuni casi i maltrattamenti rappresentano l'estrema conseguenza di un atteggiamento educativo che considera come valore principale la severità e la disciplina. In non rari casi i genitori che maltrattano i figli risultano aver subito, una loro volta, maltrattamenti nell'infanzia. Tali genitori dimostrano di aver interiorizzato modelli di comportamento violento che configurano un circolo vizioso particolarmente pericoloso e duraturo (STEELE e POLLOCK). La violenza sessuale sui minori. La violenza o l'abuso sessuale di minori comprende almeno tre diversi tipi di comportamento deviante. Un primo tipo, unanimemente severamente condannato, è costituito da quelle attività sessuali ché sono rese possibili dall'azione di violenze o minacce. Un secondo tipo di comportamento deviante è costituito dal fatto che l'attività sessuale è svolta nei confronti di soggetti che, per convenzione legale, a causa della loro minore età, non possono esprimere un valido consenso, Il terzo tipo di violenza sessuale è costituito dall'incesto, un comportamento che viola tabù sociali profondi In Italia la metà circa dei reati di violenza carnale ha per vittima un minore di 14 anni. Per quanto riguarda la personalità degli autori di violenza sessuale su minori sono state eseguite numerose ricerche e sono state proposte diverse classificazioni, che comportano interventi altamente differenziati. MARSHALL e CHRISTIE, in una ricerca su 41 detenuti che avevano abusato sessualmente di minori, riscontrarono che circa il 70% degli autori aveva utilizzato minacce o forza fisica, tre il restante aveva usato la persuasione. GROTH distingue il “pedofilo” dal e “violentatore”. Il primo ha un legame non solo sessuale, ma anche affettivo, con la vittima, ha spesso numerosi rapporti sessuali con la stessa vittima, in genere non usa la forza, spesso accompagna l'attività sessuale con baci o carezze, appartiene a tutte le classi sociali. Circa i contesti e le dinamiche familiari che più frequentemente fanno da sfondo a questo fenomeno, NAKASIMA e ZACUS, hanno individuato due tipi di famiglie: la famiglia con incesto classico e la famiglia con incesto a problemi multipli. Nella famiglia con incesto classico la patologia è confinata all'interno della casa e del ristretto nucleo familiare. La famiglia è percepita come normale e non è conosciuta dai servizi sociali. La famiglia con incesto a problemi multipli è caratterizzata da una disgregazione generale, del quale l'incesto rap presenta soltanto un aspetto. I figli sono spesso oggetto di maltrattamenti e trascuratezza e sono caratterizzati da disadattamento scolastico, tossicodipendenza, comportamenti devianti, gravi danze illegittime, ecc. Nei genitori è spesso presente abuso di alcool e di sostanze stupefacenti. Sono famiglie in genere conosciute dai servizi sociali, nelle quali la violenza sessuale rappresenta l'ultimo atto di una serie di violenze nei confronti dei bambini. nell'analizzare le cause dell'incesto, oltre a specifiche caratteristiche di personalità del padre, cinque particolari situazioni che facilitano l'emergere del fenomeno. 1. La prima situazione, riscontrata frequentemente nella pratica clinica, è quella della confusione dei ruoli. È dovuta tale volta a gravidanza o malattia della madre, ma più frequentemente a gravi disturbi di relazione tra i coniugi. La madre è spesso debole, depressa, isolata ed affida ad una figlia la cura della famiglia e dei bambini piccoli. La mancanza di potere e di volontà spingono la madre in un ruolo periferico. Si sviluppa progressivamente una coalizione padre-figlia, che il padre tende a sessualizzare e che pone la figlia in una situazione di estrema vulnerabilità. 2. Un'altra situazione facilitante l'incesto è costituita da un ambiente abbandonico. Si tratta di ambienti nei quali la paura di venire abbandonati è molto forte e la sessualità è utilizzata come strumento estremo per evitare la perdita. 3. Una situazione facilitante l'incesto, spesso citata in letteratura, è quella presente in alcune sottoculture rurali isolate. In questi ambienti le proibizioni verso l'incesto sono meno severe, il controllo esterno della comunità è debole, le condizioni di vita sono caratterizzate da promiscuità, povertà, gravidanze precoci, nascite illegittime. 4. La famiglia sessualizzata rappresenta un altro contesto facilitante l'incesto. In questo ambiente le persone tendono a sessualizzare le relazioni personali, perché non sono in grado di rispettare la privacy ed a riconoscere i confini personali. Questa condizione è spesso presente nelle famiglie numerose ed in caso sovraffollate, ma può anche riscontrarsi nelle famiglie convenzionali. 5. Altra situazione facilitante l'incesto, infine, è costituita dalla presenza di concrete opportunità, determinata ad esempio dalla prolungata permanenza del padre a casa a causa di disoccupazione od altro. L'assenza della madre in casa e la prolungata copresenza di padre e figlia possono in alcuni casi ausiliari al sorgere, della relazione incestuosa. Il trauma emotivo derivante dalla violenza sessuale è tanto più grande quanto maggiore è il legame affettivo tra autore e vittima. Le conseguenze di una violenza sessuale in atto da uno sconosciuto sono inferiori a quelle derivanti dalla violenza di un conoscente, o peggio, di un familiare. Anche il grado brutalità e di violenza fisica che accompagna l'atto sessuale rappresentano elementi importanti al fine della gravità delle conseguenze. Per quanto riguarda gli effetti a breve termine della violenza sessuale su minori, vi è In molti casi sono stati riscontrati ansia, paura, irritabilità, onicofagia, regressioni, tendenza all’isolamento; talvolta sono stati osservati problemi scolastici, ostilità verso i genitori, fughe da casa. In un certo numero di casi nel bambino si sviluppano sentimenti di colpa che, tuttavia, in generale, non seguono immediatamente l'atto sessuale, ma emergono come conseguenza delle tensioni e dei problemi familiari legati alla scoperta del reato I problemi psicologici immediati possono infine essere accentuati dalle conseguenze familiari, quali l'arresto o l'allontanamento di un genitore, derivanti dalla scoperta di una violenza sessuale intrafamiliare. Nell'analizzare gli effetti a breve termine della violenza sessuale su minori è importante considerare le reazioni di tutti i membri della famiglia del minore, i quali si trovano sempre emotivamente coinvolti in ciò che è accaduto e spesso reagiscono in modo tale da complicare la situazione e da incidere negativamente sul minore stesso. Come possono determinare nel considerare gli effetti della violenza sessuale sui minori è necessario valutare, oltre alle reazioni immediate, anche un lungo termine, che può essere definito come un primo periodo senza effetti, è stato definito da una bomba ad orologeria psicologica. Per quanto riguarda il tipo di disturbi riscontrati, è stata rilevata una vasta gamma di sintomi psichiatrici, di problemi affettivi, relazionali, sessuali e comportamentali; in particolare sono stati individuati sintomi isterici, fobie, psicosi, incapacità di provare piacere sessuale, tossicomania, abuso sessuale dei figli, tendenza alla violenza sessuale, prostituzione, disadattamento sociale. Circa le conseguenze dell'incesto, ci sono i problemi comportamentali, quali antisocialità e disadattamento, in 5 casi frigidità, isteria ed ipocondria, casi depressione e tentativi di suicidio, ed tra le conseguenze dell'incesto sono state anche considerate le gravidanze indesiderate e la nascita. È evidente che le conseguenze della violenza sessuale sono estremamente e differenziate e non limitate al minimo direttamente colpito dal reato. Tali conseguenze possono essere ridotte con interventi che tengano conto della complessità della situazione e della molteplicità dei bisogni emergenti quando tale reato si verifica. Gli interventi in favore delle vittime. Un programma in favore del minore oggetto di violenza deve prevedere interventi di tipo giuridico, medico e psicosociale. Circa il ruolo degli interventi legali è stato osservato che i danni conseguenti al contatto della vittima con il sistema giudiziario possono eguagliare o addirittura superare i danni derivanti dal reato in sé. Le frustrazioni legate alle numerose procedure burocratiche, alla scarsità di informazioni, alla esposizione al pubblico, alla umiliazione degli interrogatori e delle testimonianze, producendo gravi danni. Per tale motivo sono state proposte, ed in alcuni casi realizzate, numerose innovazioni legislative, finalizzate a garantire la riservatezza circa i fatti e circa l'identità della, vittima e volte ad assicurare modalità di interrogatorio e di testimonianza meno traumatiche sul minore Da un punto di vista medico è stata sottolineata la necessità di una visita fisica completa per ogni bambino per il quale si sospetta una violenza. Nel caso di sospette violenze sessuali, oltre alle eventuali lesioni, deve essere ricercata la presenza di malattie veneree e di gravidanze, che costituiscono una conseguenza non rara e spesso sottovalutata in età precoci. Da un punto di vista psico-sociale gli interventi suggeriti e sperimentati sono molto complessi e differenziati. È aperto il dibattito circa è di gran lunga eseguire da centri basati, ovvero da tutti gli operatori che si occupano di problemi infantili (infermieri, maestri, psicologi, educatori, cc.). Diverse La situazione più difficile da diagnosticare e da trattare è quella di una relazione sessuale tra genitori e figli, la scoperta della quale determina uno sconvolgimento dell'intero equilibrio familiare. In questi casi uno dei primi problemi da affrontare riguarda l'ora di allontanare o meno il minore dalla famiglia. Nei casi di violenza intrafamiliare, comunque, psicologico e sociale non può essere limitato alla sola vittima, ma deve riguardare tutti i componenti della famiglia. e delinquenziale; altri ancora, quella sembra essere un'adolescenza prolungata, finendo sebbene sofferenti e smarriti, la supereranno in con l'arrecare un sia pur minimo contributo originale ad uno stile di vita emergente: il pericolo stesso che hanno avvertito li ha costretti a mobilitare capacità di vedere e di sognare e di programmare, di ideare e di costruire in nuove forme. Il giovane individuo deve imparare ad essere il più possibile sé stesso, in ciò in cui egli significa di più per gli altri quegli altri naturalmente che sono diventati più significativi per lui. La formazione dell'identità non comincia nè finisce con l’adolescenza: è un processo, in gran parte inconscio all'individuo, che dura tutta la vita, ma che alla fine dell'adolescenza ha una sua tappa fondamentale, successivamente alla quale l'individuo ha una immagine di sè relativamente stabile e duratura. Nel periodo della pubertà e dell'adolescenza tutte le somiglianze e continuità che si basavano sul passato sono rimesse in discussione, a causa dell'inevitabile mutamento radicale delle caratteristiche fisiche, fisiologiche, intellettuali ed emotive, associate alla nuova maturità genitale. Le modificazioni che si accompagnano a questo periodo incidono grandemente sulla formazione dell'identità dell'io e cioè del sentimento di essere sempre uguali a sé stessi, nonostante i mutamenti esterni, e nel contempo del sentimento di permanenza presso gli altri lungo il corso dello sviluppo. In questo periodo le identificazioni con i coetanei sono enormemente importanti, in quanto il gruppo dei compagni di influenza i punti di vista dell'adolescente, i suoi ideali, i suoi modelli di condotta, il suo comportamento ed i ruoli che deve assumere nella società. L'acquisizione da parte dell'adolescente di una identità personale, il patrimonio così importante per il suo futuro, dipende dall'insieme della struttura sociale nella quale egli si trova inserito e dall'ambiente nel quale vive. L'appartenenza ad una determinata classe sociale e ad un certo gruppo, la collocazione in un sistema di opportunità sociali, l'origine etnica, eccetera, condizionano in modo definitivo, l'acquisizione dell'identità e la socializzazione del giovane. Per comprendere il processo attraverso il quale ciò avviene è necessario tener presente che la famiglia è il principale strumento che la società ha a disposizione per far interiorizzare al giovane un certo sistema di ruoli, di modelli di comportamento, di attese, che finiscono per influire decisamente sull'acquisizione di una identità personale e di un ruolo sociale. Come afferma COHEN la famiglia, sia in via diretta mediante le proprie attività di controllo e sorveglianza, sia indi- rettamente mediante l'influsso esercitato sugli interessi e le preferenze del giovane, interviene nella determinazione dei tipi di gente e di situazioni che egli incontrerà al di fuori. Le esperienze vissute nella famiglia sono i più importanti fattori determinanti del quadro di riferimento mediante il quale il giovane percepisce, interpreta e valuta il mondo esterno. E la conoscenza, le abitudini, le abilità specifiche che egli acquisisce all'interno del focolare domestico, intervengono nella determinazione della sua capacità generale di destreggiarsi con successo in situazioni esterne. Anche nell'adolescenza la famiglia continua ad avere quindi una importanza fondamentale nel determinare le scelte del giovane, nel modificare le sue percezioni, nel consolidare, criticare o rigettare le sue idee, i suoi sentimenti, la sua concezione della vita e l'immagine che ha di sè, nonostante questo periodo sia caratterizzato da un progressivo allargamento dell'area delle interazioni sociali e da un aumento delle figure significative che portano i giovani a confrontarsi con ruoli sociali differenziati, che hanno imparato a conoscere al di fuori dello stretto ambito familiare. Per comprendere, quindi, il comportamento deviante di un adolescente è necessario conoscere ed interpretare la sua collocazione nel contesto della dinamica familiare e la sua evoluzione dell'ambito della stessa. D’altra parte, non si può considerare la famiglia come un gruppo sociale indipendente dal resto della società. Infatti, la posizione della famiglia nella struttura sociale, in particolare il suo trovarsi faccia a faccia con altre, in qualche misura membri determina sempre le esperienze ei problemi che tutti i della famiglia incontreranno nel loro aver a che fare con il mondo esterno alla famiglia stessa. Nell'adolescenza l'interazione genitori-figli assume un carattere particolare. È questo il periodo in cui i figli «debbono riaccendere molte battaglie degli anni precedenti, anche a co sto di attribuire il ruolo di nemici a persone che non vogliono loro altro che bene» (ERIKSON). L'adolescente mette in atto una costante rivolta contro il mondo dei genitori e contro il padre in particolare, la rivolta che viene attuata messa in discussione ed un confronto i nuovi valori con quelli precedenti. Naturalmente le caratteristiche della figura paterna hanno una enorme importanza in questo difficile equilibrio, in quanto il padre deve essere in grado di tollerare, senza gravi squilibri, questa ostilità da parte del figlio e deve reagire in modo tale da poter dare, infine, una funzione socializzante all'insieme dei conflitti vissuti dal figlio. La rivolta del figlio contro il padre, per quanto intensa e acutamente avvertita da parte di entrambi, potrà evolvere positivamente se la figura paterna è valorizzata socialmente, se cioè il padre ricopre un ruolo sociale positivo. Il fatto che il padre abbia consapevolezza del proprio valore, così come gli è riconosciuto dalla società, sarà un valido sostegno ed aiuto per il figlio che si ribella. Anche se verbalmente egli affermerà che suo padre, come del resto il mondo degli adulti, non ha nessun valore, è superato, o addirittura è da disprezzare o da odiare, ad un altro livello, più o meno inconscio, egli avvertirà che l'elemento con il quale si confronta (la figura paterna), che dovrà in qualche modo integrare e superare, ed al quale del resto è ancora intimamente legato, rappresenta pur sempre una valida fonte di sicurezza. Al contrario le condizioni negative sociali fanno sì che i genitori non hanno più la possibilità di reagire in modo positivo al figlio adolescente, in quanto non sono in grado di fornirgli gli strumenti adeguati ad affrontare le più complesse. Il delinquente e la sua identità. Gli adolescenti che non trovano la possibilità dii risolvere i loro conflitti sono portati a scegliere una identità personale basata su tutte quelle identificazioni e tutti quei ruoli che negli stadi critici dello sviluppo sono stati presentati come indesiderabili e pericolosi e che, d’altra parte, sono stati prospettati come i più reali e i più probabili. Secondo MAILLOUX il giovane delinquente è caratterizzato dal profondo convincimento di essere diverso dagli altri, ad essi inferiore, incapace di una normale socializzazione. Il linguaggio attraverso il quale esprime maggiormente sé stesso è il suo comportamento, il quale è aggressivo, violento, ripetitivo. Egli continua a compiere atti devianti nonostante le conseguenze negative che comportano e nonostante le sanzioni che subisce. Tale comportamento a prima vista può essere difficilmente comprensibile, nè valgono a spiegarlo le motivazioni espresse dal soggetto stesso. In un primo momento egli in genere afferma di fare tutto ciò per trarne soddisfazione o per procurarsi dei guadagni, mentre appare chiaro che spesso il ricavato dei reati è molto esiguo o viene immediatamente sprecato. Il linguaggio invece di essere uno strumento di comunicazione è considerato come un mezzo per ingannare o per venire ingannati. Le difficoltà che egli incontra nello stabilire rapporti sociali sono notevoli soprattutto al di fuori della cerchia di quei soggetti che hanno i suoi stessi problemi, con i quali egli ha collabora ed ai quali fa riferimento. L'identità negativa non è un patrimonio individuale, ma è qualcosa che si spartisce con gli altri, nel senso che non sol tanto ci si sente diversi, cattivi, pericolosi, ma anche che ci si lascia riconoscere come tali dagli altri e ci si identifica con quelli che hanno caratteristiche analoghe. L'identità negativa spesso comporta, sul piano del comportamento, una specie di maschera, che presenta l'individuo come un duro, un aggressivo, una persona sprezzante di ogni norma e di ogni valore che è accettato socialmente. Questo disprezzo e questo rifiuto non sono il segno di una critica razionale della società e degli altri, ma sono l'espressione di un profondo disagio, dovuto al fatto di non poter avere, come gli altri, una vita serena e felice. Anche la sensazione di essere perseguitati dalla società non corrisponde a una chiara comprensione della reale situazione di ingiustizia, di sfruttamento, e di esclusione che in realtà questi i soggetti hanno subito, ma piuttosto corrispondono a meccanismi proiettivi attraverso i quali l'antisociale cerca di risolvere i propri sentimenti di colpa. Per questi giovani si prospettano notevoli difficoltà in campo lavorativo, in quanto oltre alle difficoltà oggettive di trovare un lavoro qualificato, esistono gravi difficoltà dovute sia alla scarsa capacità di questi soggetti di instaurare validi rapporti interpersonali, sia alla mancanza di adeguati sentimenti di competenza, vale a dire del senso di essere capaci di ben interagire con la realtà. Frequenti e gravi delusioni si trova inoltre in campo affettivo e sentimentale. Il giovane, sotto il fardello della sua identità negativa, si sente incapace di stabilire validi e duraturi rapporti affettivi e per racconto ragione ha la tendenza ad avere rapporti centrati sul piacere immediato, sulla gratificazione a breve termine. Questa pesante situazione e queste frustrazioni, che derivano in parte da difficoltà oggettive, ma che sono fortemente condizionate dall'acquisita identità negativa, confermano sempre più l'individuo nella profonda convinzione di essere diverso dagli altri, facente parte di un mondo particolare, destinato al fallimento e alla delinquenza. La principale caratteristica di personalità del giovane delinquente è quindi relativa alla percezione che egli ha di sé stesso. L'identità del deviante si costruisce in risposta ed in interazione con gli atteggiamenti, con gli interventi, con le misure che i gruppi sociali, ed in particolare gli organi di controllo sociale, attuano nei confronti del giovane, che modifica il suo comportamento e la sua identità in un continuo processo di adattamento ai ruoli che gli vengono attribuiti. Come conseguenza di queste interazioni si sviluppa un processo psicosociale, che attraverso fasi varie conduce il giovane ad acquisire in modo stabile una identità di deviante. In un primo momento gli atti antisociali del giovane sono occasionali e non comportano una modificazione del concetto che egli ha di sé. In un secondo momento egli reagisce rabbiosamente e violentemente all'etichetta delinquente che la società gli attribuisce. Teme, e contemporaneamente comincia a credere, di essere veramente quel rifiuto della società che gli altri gli rimproverano di essere o per lo meno gli prospettano come suo fu- turo più probabile. Spesso compie recati di tipo impulsivo, talvolta violento. Reagisce con rabbia alla società, è sprezzante del pericolo, frequentemente mette in atto comportamenti autolesivi. Che sia un ladro d'auto o un rapinatore, la sua attività delinquenziale è caratterizzato dalla prevalenza di coraggio e iniziativa su abilità e tecnica, dalla scarsa considerazione dei risultati delle proprie azioni e dalla cattiva utilizzazione del profitto realizzato con la delinquenza. È solo in una terza fase che il delinquente si trova costretto ad aderire in modo completo a quell'identità negativa che gli viene proposta, con tutto quel carico di conseguenze che sono state ampiamente descritte. È quindi attraverso un complesso sviluppo psico-sociale che il giovane assume progressivamente le caratteristiche di delinquente. Ciò non avviene in tutti i casi e può verificarsi con modalità diverse in un caso o nell'altro. È stata però indicata una traccia, che descrive un fenomeno frequentemente osservabile e che può consentire la comprensione di un processo di socializzazione in senso delinquenziale. Il passaggio dallo studio del comportamento delinquenziale allo studio del comportamento problematico non rappresenta un artificio formale, ma un mutamento sostanziale, in quanto sposta l'interesse del criminologo da una costruzione sociale, e cioè il reato, ad una realtà che è precedente alla reazione sociale, quanto meno a quella più chiaramente formalizzata. Per poter formulare analisi corrette di tipo etiologico il criminologo clinico deve studiare il comportamento problematico al di fuori di un ambito correzionale. È questa una indicazione che deriva dal naturalismo ed in effetti bisogna riconoscere che molti studi etiologici di tipo clinico vengono inficiati dal ruolo in cui opera il tecnico. Studiare un individuo nell'ambito delle operazioni connesse con una perizia psichiatrica o nell'ambito di un programma di trattamento, può condurre ad una interpretazione dei fenomeni del tutto falsata da parametri precostituiti, e quindi lontana dalla realtà originaria che il soggetto ha vissuto. Il comportamento problematico deve essere studiato nei luoghi ove si sviluppa, e l'indagine etiologica deve quindi utilizzare studi che permettano di rilevare la vita quotidiana dei soggetti che si trovano in situazioni problematiche, i loro porti con gli altri, le relazioni che li legano nell'ambito dei gruppi o delle istituzioni. Le problematiche connesse con il concetto di identità hanno assunto un notevole rilievo, in quanto l'identità personale è connessa sia con aspetti psicologici, sia con aspetti sociali della delinquenza, ed è direttamente collegata con tutti i problemi relativi alla reazione sociale. Il concetto di identità personale, o commerci analoghi, è centrale in molti dei nuovi approcci alla delinquenza. È noto l'interesse preminente che l'interazionismo ha riservato al concetto di sé ed al problema dell'identità. L'approccio interazionista afferma che quello delinquente è un ruolo sociale che viene in qualche modo imposto, attraverso particolari tipi di interazione sociale, ad individui che compiono determinati atti e soprattutto che sono caratterizzati da particolari segni, e che all’assunzione di tale ruolo con segue una riorganizzazione dell'identità. D'altra parte, come ha osservato MATZA, non è sufficiente analizzare come la società reagisce a determinate persone, ma è anche importante studiare come l'individuo agisce intenzionalmente nel divenire deviante e come reagisce all'azione di etichettamento. Il concetto di identità permette anche, al criminologo clinico, di superare un approccio individuale al delinquente. L'identità, infatti, non è un patrimonio individuale, ma è una realtà che si spartisce con gli altri, è una realtà che viene proposta, attribuita, riconosciuta, in una serie di azioni-risposte- reazioni, tra l’individuo e la collettività. Dal 1977 la principale funzione di supporto tecnico ai magistrati minori è fornita dai servizi sociali dei Comuni, ai quali è stato attribuito il compito di organizzare tutte le attività che riguardano l'applicazione delle misure amministrative e civili, mentre ai servizi sociali del Ministero della Giustizia è rimasto solo il compito di intervento nel settore penale, Nell'ambito delle competenze penali esistono norme che caratterizzano il processo minorile, differenziandolo grandemente da quello ordinario. Una prima notevole differenza riguarda, come già ricordato, l'imputabilità, in quanto i minori imputati di reato essere possono soggetti a trattamento penale, ma il giudice deve concretamente accertare, in ogni caso, la sussistenza della capacità di intendere e di volere. Le norme relative all'imputabilità del minore corrispondono ai dettami della Scuola Positiva, secondo la quale la delinquenza minorile rappresenta il risultato di particolari carenze, di ordine biologico, psicologico e sociale, carenze che esigono interventi di cura, di rieducazione, di trattamento. Secondo i principi di tale dottrina è stata favorita un'indagine scientifica della personalità, che utilizza gli apporti delle scienze umane all'interno del processo penale e che tende a favore una spiegazione causale della delinquenza, secondo la quale il reato è la conseguenza di una personalità fragile ed immatura. Ne è derivato un orientamento sostanzialmente rieducativo, che tende ad evitare ai minori sanzioni penali, mediante il riconoscimento di una immaturità, e che tende a creare strutture finalizzate a trattare carenze e problemi particolari della devianza giovanile, le udienze del Tribunale sono tenute a porte chiuse, sono prescritte speciali ricerche sui precedenti personali e familiari dell'imputato ed è consentita l'assunzione di informazioni e la consulenza di tecnici per determinare la personalità del minore e la causa della sua condotta irregolare. Nell'ambito della competenza penale il Tribunale per i minorenni può applicare la pena detentiva, comunque diminuita rispetto agli adulti, che deve essere scontata nelle prigioni-scuola, ma può concedere anche: - la liberazione condizionale, in qualunque momento dell 'esecuzione della pena e qualunque sia la durata della pena stessa; - il perdono giudiziale, quando il minore ha commesso un reato per cui il Tribunale per i Minorenni e crede che si possa applicare una pena restrittiva della libertà personale non superiore a due anni; - il proscioglimento per incapacità di intendere e di volere, sulla base di quanto sancito nell'art. 98 c.p., con esclusione dell'imputabilità e quindi della possibilità di subire una pena. Il minore è quindi sottoposto a misure penali attenuate rispetto all'adulto, e può usufruire di una vasta gamma di mi- sicuro che consente di evitare o di limitare la carcerazione. L'applicazione delle norme penali ai minorenni risulta particolarmente elastica, in quanto condizionata dalla valutazione della personalità del minore. Sempre nell'ambito penale il Tribunale per i minorenni, o in alcuni casi il Giudice di sorveglianza, devono inoltre: - prescrivere le misure di sicurezza, nel caso in cui al minore sia attribuita la pericolosità sociale, sulla base di una previsione di probabile recidiva. È da notare che le misure di sicurezza possono essere applicate anche nei confronti di soggetti che non hanno ancora compiuto i 14 anni, qualora venga accertato dal giudice la pericolosità sociale. In particolare, la struttura cardine per il controllo dei minori dichiarati «socialmente pericolosi», anche di età inferiore ai 14 anni, è costituito dal «Riformatorio giudiziario», struttura che vorrebbe conciliare, quanto meno nelle intenzioni, le esigenze di sicurezza con finalità di tipo rieducativo. Oltre alle misure penali, il Tribunale per i minorenni può utilizzare misure di tipo amministrativo, definito come rieducativo da molti autori, che costituiscono una peculiarità del settore minorile e che hanno rappresentato, per molti anni, lo strumento più significativo dell'attività dei giudici di tale settore. Tale competenza è esercitata nei confronti dei minori degli anni 18, che non hanno commesso un reato, ma che «danno manifeste prove di irregolarità della condotta o del carattere». La legge del 1934, istitutiva del Tribunale per i minorenni, ha attribuito a questo organo anche una competenza civile, nell'ambito della quale viene estrinsecata una funzione di difesa e protezione del minore. La competenza civile riguarda l'inserimento del minore nel nucleo familiare, sia naturale sia acquisito, ovvero la situazione del minore privo di una famiglia. Le principali materie della competenza civile del tribunale per i minori: - informazioni sulle attività della potestà genitoriale - l'insieme dei provvedimenti concernenti l'adozione e l'affidamento dei minori - le norme relative all'età necessaria per contrarre matrimonio, stabilendo che tra i 16 ed i 18 anni occorre l'autorizzazione del Tribunale per i minorenni, che deve accertare la presenza di «gravi motivi» e l'esistenza della maturità psicofisica dei nubendi. - l'affidamento di minori in caso di separazione coniugale o di divorzio, sono di competenza del Tribunale ordinario e esiste un'apposita figura, il Giudice tutelare, al quale sono attribuite le funzioni relative alla tutela e alla curatela dei minori. La complessa evoluzione del sistema della giustizia minorile. Schematicamente si può affermare che in una prima fase, a partire dal 1934, la competenza che occupava maggiormente i giudici minorili era quella penale; successivamente, a partire dal 1956, l'attenzione maggiore è stata rivolta alla competenza amministrativa (rieducativa); infine, in questi ultimi anni, il maggior interesse sembra essersi spostato verso le competenze civili. In una prima fase i magistrati minorili utilizzarono soprattutto lo strumento penale, anche se attenuato e contemperato da elementi educativi, come sancito dalla legge del 1934, in accordo con la cultura del tempo, che attribuiva un'importante funzione emendativa alla pena. Nel 1956, con l'approvazione della legge di riforma, si affermò decisamente l'ideologia rieducativa e furono programmati tutta una serie di presidi di tipo assistenziale rieducativo, tra i quali, in particolare, il servizio sociale minorile, realizzato, di fatto, nel 1962. La legge del 1956 prevede l'organizzazione di strutture rieducative diversificate, da affiancare alle case di rieducazione, quali i pensionati giovanili, i focolari di semilibertà, i laboratori speciali, ec., in realtà mai realizzata nella loro complessa articolazione. La personalità del minorenne era al centro dell'intervento e l'obiettivo era quello di risolvere i conflitti ed i problemi sottesi al comportamento deviante, che veniva considerato come il sintomo di un disagio psicologico e sociale. Alla fine degli anni '60 l'ideologia rieducativa fu investita da una decisa critica, facente parte del bagaglio culturale e dell'azione politica della contestazione giovanile. Si sottolineò che il sistema giudiziario minorile era sempre stato pesantemente punitivo, facendo ricorso con alta frequenza, sia attraverso misure penali, sia attraverso misure amministrative, all'internamento in istituzioni chiuse e separate dal resto della comunità. con la cultura del tempo, che attribuiva un'importante funzione emendativa alla pena. Si ottenne, quindi, una sostanziale demistificazione delle istituzioni rieducative, e si dimostrò che l'affermata finalità riabilitativa mascherava, in realtà, action di emarginazione, che colpiva un gran numero di giovani appartenenti alle classi più sfavorite. si affermò un certo orientamento verso la non istituzionalizzazione dei minori. Si verifica l'affermazione, da parte degli organi competenti, di una linea maggiormente permissiva e tollerante, accompagnata da 'una relativa apertura degli istituti rieducativi e, contraddittoriamente, da un incremento delle carcerazioni preventive e degli internamenti in riformatorio giudiziario. Il decentramento e la nuova organizzazione dei servizi. La legge n. 382 del 1975 e il D.P.R. n. 616 del 1977 hanno sancito il passaggio del sistema rieducativo minorile dalla gestione del Ministero della Giustizia a quella dei Comuni, secondo una linea di decentramento e di deistitutizzazione. Grazie a questa nuova normativa gli interventi a favore dei minori, nell'ambito delle competenze amministrative e civili, perdono il carattere della settorialità e rientrano in un quadro più generale di sicurezza sociale. Con il D.P.R. n. 616 il sistema rieducativo è stato completamente rivoluzionato; le case di rieducazione, già in fase avanzata di decadimento, sono state completamente abolite, mentre gli enti locali si sono dovuti confrontare con una situazione fallimentare, di difficile gestione. Molti comuni si sono trovati impreparati di fronte ai nuovi compiti e sono rimasti in una posizione di stallo, senza riuscire a mettere in atto interventi soddisfacenti. Per quanto riguarda le strutture residenziali si è manifestata la tendenza a rifiutare l'utilizzazione di strutture ispirate al modello della casa di rieducazione, per privilegiare, invece, strutture di piccole dimensioni, nuove connesse con il territorio circostante. Le numerose trasformazioni che si sono sviluppate nel campo della minorile hanno determinato una serie di nuovi problemi di giustizia, che coinvolgono le forze politiche, i magistrati, gli enti locali, i servizi sociali. Evidente che i Comuni devono ispirare la loro azione a una netta separazione tra sostegno e controllo, senza che questo, tuttavia, li porti ad una paralisi totale. È infatti opportuno chiarire, a questo proposito, che ogni tipo di intervento sociale nei confronti dei giovani costituisca, in qualche misura, una forma di controllo. Le attività scolastiche, le iniziative sportive e ricreative, gli interventi di aiuto sociale, costituiscono, comunque, strumenti di controllo del comportamento dei giovani. È impossibile, quindi, programmare un qualsiasi intervento che sia completamente esente da elementi di controllo, anche se il controllo può essere esercitato in differenti modi e con differente intensità. A questo proposito i Comuni devono evitare ogni che non venga liberamente accettato dal giovane intervento, presente che l'obbligo costituiva l'elemento caratterizzante del sistema rieducativo. I Comuni devono farsi parte attiva nella ricerca di sempre nuove soluzioni e nella creazione di nuove strutture. Il tipo di risposta non può consistere in una valorizzazione della pena e in una sua riproposta come strumento di responsabilizzazione, ma deve volgere, al contrario, alla massima riduzione del sistema. L'obiettivo deve essere quello di lontano confrontare il meno possibile i giovani con il sistema della giustizia, senza tuttavia sostituire a questo sistema un insieme di strutture parapenali, che alla repressione assommano una sostanziale mistificazione e una completa mancanza di chiarezza. Capitolo 11. Processo di emarginazione nelle istituzioni totali. Il minore e le istituzioni totali. Il ricovero in istituto, di qualsiasi tipo esso sia, rappresenta un evento negativo nella vita di una persona e molto spesso diviene la premessa per un processo di disadattamento che può comportare nuovi ricoveri, con sempre maggiori difficoltà di adeguato inserimento sociale. Per questo motivo è importante analizzare gli effetti del ricovero nell'istituto, con presenti sia alcuni elementi costanti che caratterizzano-ogni istituzione, totale, sia alcuni elementi specifici, che derivano da particolari forme di organizzazione e soprattutto dalle funzioni dei diversi tipi-di-istituto. In una ricerca condotta a Genova si è osservato, ad esempio, che more del 50% dei giovani adulti detenuti nelle carceri è stato ricoverato in istituto durante l'infanzia o l'adolescenza. Tale dato è altamente significativo e sta a dimostrare che l’esclusione dalla società e l'emarginazione hanno inizio, per coloro che diventeranno dei delinquenti, molto precocemente. Vari sono i tipi di istituti in cui tali soggetti vengono ricoverati, possiedono però strutture e organizzazione analoghe, che qualificano le cosiddette «istituzioni totali». Tradizionalmente il bambino che non aveva a disposizione una famiglia che lo possa accogliere e allevare era immesso in brefotrofio. Per una larga quota di bambini significava la morte entro i primi anni. Per quelli che sopravvivono rimane tutta una grave patologia psichica, derivante dalle carenze affettive, rappresentata in particolare da gravi ritardi dello sviluppo psicomotorio, ritardi del linguaggio, caduta del quoziente intellettivo, apatia, indifferenza affettiva ed altre turbe del carattere. Tutte queste alterazioni possono costituire un grave impedimento ad un ulteriore normale sviluppo della personalità e ad una buona socializzazione. Nei peggiori di questi istituti, in quelli nei quali sono segregati i ragazzi più poveri, vi è spesso una insoddisfazione dei più elementari bisogni, quali il cibo, l'abbigliamento, i servizi igienici; il personale cosiddetto educativo è spesso costituito da persone impregnate di pregiudizi, con abnormi motivazioni, del tutto prive di attitudini per la formazione e l'educazione dei ragazzi. tutti i dati della ricerca concordano nel rilevare che i ragazzi sottoposti a misure rieducative o penali sono caratterizzati da una deprivazione economica e culturale ed appartengono ai gruppi sociali più sfavoriti. Con l'istituzionalizzazione alle condizioni iniziali negative si sommano i danni prodotti da un ambiente fortemente emarginante. I ragazzi che entrano in istituti di rieducazione hanno un lungo passato di frustrazioni, di insuccessi, di alterate relazioni interpersonali, di legami affettivi distorti e mal strutturati, che esigerebbero un tipo di intervento idoneo. L'esperienza della vita in istituto è monotona, rigidamente organizzata, eterodiretta. Essa consente solo in modo estremamente limitata nuove acquisizioni personali e loro verifiche ed essendo in genere rifiutata dagli internati, non conferisce il sentimento di poter evolvere ed arricchire. Secondo GOFFMAN l'ingresso in una istituzione totale comporta una progressiva serie di degradazioni-e di- mortificazioni del sé. Immergere un adolescente in ambienti di tale tipo durante un periodo cruciale per l'acquisizione di una identità personale, significa impedirgli esperienze vitali ed indispensabili per il futuro e allo stesso tempo costringerlo in un meccanismo che può facilmente condurlo all'assunzione di una identità negativa. Un rinnovamento della scuola si impone, quindi, per evitare che questa istituzione fondamentale sia fonte di disadattamento e di devianza. Questo rinnovamento implica una modificazione delle finalità e dei metodi della scuola ed una di- versa preparazione degli insegnanti, per realizzare una struttura inserita nella realtà della comunità, e-non-avulsa-da-essa. Anche il rapporto tra servizi sociali e popolazione è stato oggetto di interessanti proposte: È stato rilevato- che-i momenti di verifica e di controllo devono-un processo-continuo di confronto dialettico tra i servizi-e-la-popolazione, in modo che esista sempre una congruenza tra i bisogni reali della popolazione e le scelte operative dei servizi. La recente teoria criminologica della «Human ecology» (COHEN e FELSON) si presta particolarmente ad essere applicata nella elaborazione di programmi di prevenzione primaria. Secondo questa teoria (che ha l'obiettivo di spiegare quei reati che rimanda il diretto e intenzionale intervento di un individuo sulla persona della vittima o sulla sua proprietà) il reato è il risultato della convergenza di tre elementi-indispensabili: un potenziale delinquente motivato, un obiettivo adattato, l'assenza di guardiani in grado di contrastare il reato. La mancanza di uno solo di questi elementi è sufficiente a prevenire il crimine; ogni azione, programma, condizione, abitudine di vita, che riduce la convergenza nel tempo e nello spazio di questi tre elementi ha un effetto preventivo. Circa gli interventi-di prevenzione secondaria, il più classico metodo predittivo è stato elaborato dai coniugi GLUECK, attraverso lo studio parallelo di due ampi gruppi di giovani, uno di soggetti delinquenti e uno di soggetti non delinquenti. Le caratteristiche riscontrate più frequentemente nella personalità e nella storia dei delinquenti, valutate ed elaborate da un punto di vista statistico, hanno permesso di elaborare specifiche tavole di predizione. Dopo una serie di studi e di vari controlli a distanza, i GLUECK videro che i fattori che all'età di-6 anni erano maggiormente in grado di predire un comportamento delinquenziale, nell'adolescenza o in epoca successiva, erano rappresentati dalla qualità della sorveglianza materna, dal metodo educativo dalla coesione della famiglia. Il metodo dei GLUECK è stato applicato da parte di numerosi studiosi e molto spesso si è osservato che esso è in grado di predire il comportamento delinquenziale. Si può tuttavia fare una prima osservazione, che non riguarda tanto le capacità predittive del metodo, quanto la logica che vi è sottesa. I GLUECK riescono effettivamente a predire la futura delinquenza dei ragazzi, ma ciò avviene non tanto perché chi possiede le caratteristiche predittive è più portato a commettere reati, ma perché proprio tali caratteristiche suscitano una stigmatizzazione ed una esclusione, a prescindere dai reati commessi. È chiaro che ciò comporta un rovesciamento del punto di vista adottato dai GLUECK e dai loro seguaci: la prevenzione non deve essere fatta identificando precocemente futuri i delinquenti ed aiutandoli in qualche modo, ma eliminando le cause- di stigmatizzazione e di esclusione. La-cosiddetta identificazione precoce dei futuri delinquenti è pericolosa e comporta notevoli i rischi. Identificare un bambino come un futuro delinquente può incidere negativamente sul suo sviluppo sociale e, proprio perché la predizione è stata emessa, può indurre un futuro delinquenziale. Per ciò che riguarda la prevenzione terziaria, infine, si ricorda che tale tipo di intervento è stato tradizionalmente realizzato attraverso il trattamento istituzionale, mediante tecniche mediche, psichiatriche, psicologiche, tendenti a trasformare la personalità dell'internato e, di conseguenza, a conseguire una rieducazione. Dopo molti anni di grande favore, questi tipi di interventi sono comunque entrati in crisi proprio perché risultati inefficaci caci nel prevenire la recidiva dio. Un intervento alternativo al trattamento istituzionale è costituito dalla cosiddetta «diversion», che se utilizzato nell'ambito della prevenzione terziaria viene realizzato attraverso un insieme di misure destinate a trasmettere un- giovane delinquente dal sistema dell’annuncio di giustizia un sistema alternativo o sostitutivo extragiudiziario, meno severo e meno stigmatizzante. Anche la «diversion», ampiamente sperimentata in quest'ultimo ventennio, è stata criticata sia per la scarsa efficacia, sia per la tendenza. a sostituire la stigmatizzazione-di tipo giudiziario con una nuova stigmatizzazione, di tipo medico, o assistenziale, sia per il rischio di attuare un intervento di controllo più allineato e prolungato rispetto a quello dei tradizionali-sistemi penali. Dal trattamento individuale all'azione della comunità. Si è cercato di raggiungere una maggior efficacia introducendo, nel trattamento dei giovani delinquenti, la psicoterapia di gruppo altri. Come afferma ACHILLE la terapia di gruppo, con i giovani delinquenti, presenta caratteristiche proprie, che non si ritrovano nelle stesse proporzioni nel gruppo con altri di pazienti. Si tratta di resistenze al cambiamento, in cui non solo ogni individuo si difende, ma tutto il gruppo funziona in modo tale da impedire ogni reale progresso terapeutico. Si tratta dunque, nella terapia di gruppo, di riconoscere queste resistenze, di interpretare nell'ambito del per poter aprire il cammino ai componenti più personali. È sulla base di tali assunti che si è giunti alla teorizzazione della «comunità terapeutica», e cioè di un ambiente-in cui tutte le attività e tutte le energie sono finalizzate al trattamento, superando l'artificiosa distinzione-tra attività- normali e attività gruppo terapeutiche. La comunità terapeutica oltre a rappresentare una tecnica è anche l'espressione di una concezione del trattamento diverso da quella tradizionale, in quanto si basa soprattutto sulla fiducia nelle potenzialità dei ricoverati e sulle loro capacità auto- terapeutiche. In collaborazione con lo staff, essi partecipano attivamente alla propria terapia, a quella degli altri malati e, in molti aspetti alle attività generali dell'unità: il che è in netto contrasto con il loro ruolo relativamente più passivo, recettivo, dei regimi terapeutici convenzionali. I tipi di atteggiamento che contribuiscono a una cultura terapeutica sarebbero in sostanza una accentuazione della riabilitazione attiva, contrapposta al «settorialismo» e alla segregazione; la «democratizzazione», contrapposta alle vecchie gerarchie e alla formalità della differenziazione di status; la «permissività» piuttosto che l'abituale rigidità su ciò che si può dire e fare; e il «comunitarismo» si è opposto a un'accentuazione del ruolo terapeutico originario e specializzato del medico ». Un importante contributo alla teorizzazione del modello della comunità terapeutica è stato fornito da BETTELHEIM, il quale, riferendosi alla sua esperienza sui bambini gravemente disturbati, ha sostenuto l'importanza di basarsi «non tanto sul rapporto isolato stabilito con una sola persona, o sulla soluzione di problemi ottenuti in una stanza relativamente appartata, adibita al trattamento psicoterapico quanto su una gamma di relazioni personali stabilita tra i bambini stessi». Anche secondo REDL e WINEMAN è necessario non tanto un buon internato con servizi psichiatrici associati, quanto un «trattamento totale in istituzione», intendendosi con questo termine che ogni fase della vita in internato deve non solo dare un sostegno al trattamento di base intrapreso, ma fare parte integrate di questo. In una comunità terapeutica l'individuo ha la possibilità di esperimentare nuovi ruoli; può venire a knowledge e mettere in discussione modelli di comportamento e valori con i quali in precedenza era venuto solo indirettamente in contatto; si abitua a parlare dei propri problemi; può essere portato a percepire se stesso in modo diverso da come si è visto abitualmente; può insomma realizzare le sue potenzialità. La psicoterapia di gruppo, inserita in tale tipo di comunità, può accrescere l'utilità di tali fattori e può consolidare i successi raggiunti. Il lavoro, se ben utilizzato, può far apprendere alle giovani abitudini valide e può soprattutto acquisire un certo sentimento di competenza, quasi sempre carente negli emarginati, che possono, in tal modo, imparare non tanto un lavoro, nel senso dell'acquisizione di nozioni tecniche, quanto piuttosto a lavorare, nel senso di possedere un sentimento della propria capacità di compiere una normale attività lavorativa. La comunità terapeutica, sorta per il trattamento di vari tipi di disturbi psichici, è stata consigliata, e in qualche caso realizzata, per il trattamento dei delinquenti, giovani o adulti, anche in ambito penitenziario. Si ritiene, infatti, che la realizzazione di una comunità terapeuta possa essere molto efficiente per modificare radicalmente la cultura carceraria e rendere, almeno in parte, terapeutico un ambiente altamente criminogeno. La comunità terapeutica, infatti, esprime una cultura che per definizione è costituita da valori, modelli di comportamento, atteggiamenti, norme, completamente opposti alla tradizionale cultura carceraria. Gli elementi essenziali che sono alla base di una cultura terapeutica, e nell'ambito di una comunità terapeutica possono contrapporsi alle vecchie strutture, modificando completamente l'impatto del programma penitenziario sul detenuto, sono i seguenti: 1. Deve attuarsi sia in senso orizzontale che in senso verticale, deve essere realizzata tra il sonale, tra i detenuti stessi e soprattutto tra i due gruppi 2. Analisi della vita comunitaria. Questa regola si oppose radicalmente ad una norma della cultura carceraria tradizionale, la quale prescrive che i fatti che accadono devono rimanere una questione personale o limitata a un ristretto ammesso di persone, legate in modo particolare, e spesso in opposizione rispetto al resto della comunità. 3. Revisione dei rapporti di autorità. Nella prigione tradizionale esiste un netto e rigido rapporto di forze, che si esprime nella gerarchia carceraria, ove l'autorità è completamente esercitata dallo staff o da gruppi privilegiati di detenuti. La comunità terapeutica ridistribuisce l'esercizio dell'autorità, estendendolo a tutti coloro che partecipano a tale comunità e pe messi anche ai detenuti di decidere decisioni circa la propria vita. 4. Partecipazione attiva al proprio trattamento. Il ruolo dell'internato nella prigione tradizionale è tipicamente passivo. Al detenuto è prescritto di agire il meno possibile, di conformarsi ad una vita monotona, povera di interessi, scarsamente individualizzante. L'antico uso di attribuire un numero ad ogni detenuto, anche se formalmente superato, evidenzia in modo estremamente significativo il ruolo del detenuto nella prigione tradizionale: egli è trasformato in un soggetto privo di individualità, è uno dei tanti, si deve adeguare passivamente, come tutti, ad una organizzazione che non si aspetta da lui altro che di vegetare per un certo numero di anni, nel modo meno disturbante e meno attivo possibile. In una comunità terapeutica si tenta di giungere ad un completo rovesciamento del ruolo dell'internato. A lui viene richiesto, anche a costo di entrare in una situazione conflittuale, che può essere carica di tensione e di problemi, di cambiare completamente il modo di percepire sé e gli altri. Ciò verrà realizzato facendogli assumere attivamente una parte della responsabilità del programma terapeutico, uscendo dall'abituale indifferenza, passività e rassegnazione. L'opportunità dell'utilizzo della comunità terapeutica per il trattamento dei delinquenti è stata sottolineata da diversi autori, specie negli anni '60 e '70. Tutti gli sforzi impiegati per la rieducazione possono essere neutralizzati dalla fedeltà del detenuto alla comunità dei prigionieri. Per questo motivo, alla sodalità del detenuto, facilmente influenzabile dal contatto non controllato con gli altri prigionieri, gli esperti delle Nazioni Unite segnalano la necessità di due provvedimenti primari. - Il primo è quello di fondere i due mondi distinti del personale e dei prigionieri in una «comunità terapeutica», dove le barriere tradizionali vengono abbassate e dove si stabilisca una atmosfera di confidenza e di sicurezza, con la partecipazione di tutto il personale, dall'alto al basso della scala gerarchica, al processo di riadattamento. - Il secondo provvedimento, strettamente legato al primo, è quello di creare dei piccoli gruppi, che permettano di dividere la popolazione interna in piccole unità, dove possono essere organizzate attività sociali da cui scaturiscano intense e strette relazioni fra personale e internati. La comunità terapeutica rappresenta un importante tentativo di trasformazione del mondo istituzionale. Per ciò che concerne l'attuale struttura carceraria per minori, in attesa di un superamento realizzabile soltanto attraverso una nuova legislazione, si ritiene importante, soprattutto, un intervento finalizzato.ad evitare l'isolamento di questa struttura dal resto della comunità. Il più importante esperimento italiano in questa direzione è stato realizzato nella città di Torino, ove il carcere minorile «Ferrante-Aporti». Attraverso questo programma sono entrate nel carcere minorile diverse e non tradizionali categorie di e operatori, quali artigiani, uomini di spettacolo, animatori culturali, ecc. Elemento caratterizzante del programma è stato quello di proiettare il più possibile al di fuori delle mura del carcere, coinvolgendo i minori in impegni ed attività esterne all'istituzione, e-creando-opportunità utilizzabili al di là del periodo di-detenzione. Anche in rapporto alla istituzione carceraria si è tentato e si tenta, quindi, di passare da un'azione rieducativa, individuale, o da un intervento ente istituzionale, ad un pro- gramma comunitario che non coinvolga soltanto i giovani devianti e gli operatori sociali, ma che tenda a coinvolgere e responsabilizzare la collettività sui problemi della marginalità sociale e della pena. Un programma di intervento nella città di Genova. A partire dal 1977 il Comune di Genova è stato trovato un programma, su basi nuove, l'intero sistema di prevenzione e di educazione dei minori devianti. In opposizione alle prassi tradizionali, che prevedevano un frequente trasferimento dei minori devianti in istituzioni lontane dal loro ambiente di vita, si è scelto di intervenire sui minori all'interno del loro territorio di appartenenza, in modo tale da facilitare la socializzazione nel normale ambiente di vita. L'integrazione dei servizi ha permesso di privilegiare, per ogni minore, i bisogni ed i problemi specifici che motivano l'intervento, prescindendo dalla categoria particolare di appartenenza. L'integrazione dei servizi ha avuto anche lo scopo di ridurre l'effetto stigmatizzante degli interventi in favore dei- minori devianti, in quanto ha limitato il contatto tra i giovani e gli organi di controllo sociale formale, sulla base degli assunti delle teorie della reazione sociale, che considerano la delinquenza come il risultato di un processo di interazioni tra gli individui e le agenzie destinate a definire ed a trattare i delinquenti. il Comune di Genova ha organizzato una rete di interventi per i minori problematici e devianti, articolata e complessa, collegata con i 9 servizi sociali territoriali che operano nei diversi quartieri della città e si occupano di tutti i problemi della maternità e dell'infanzia, da un punto di vista medico, psicologico e sociale.
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