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Riassunto del libro di Bandinelli Introduzione all'archeologia, Schemi e mappe concettuali di Archeologia

riassunto completo di Introduzione all'archeologia di Bandinelli. Divisione in capitoli, paragrafi e sotto paragrafi per semplificare l'apprendimento. Messa in evidenza di parole chiave, schemi e elenchi.

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2022/2023

Caricato il 16/11/2023

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Scarica Riassunto del libro di Bandinelli Introduzione all'archeologia e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Archeologia solo su Docsity! Prefazione L'archeologia ha subito negli ultimi cinquant'anni trasformazioni profonde nel suo metodo e nel suo fine. La parola archaiologhìa la troviamo negli autori antichi col suo senso letterale di discorso, indagine sulle cose del passato. Nell'omonima opera di Tucidide troviamo un preciso esempio di deduzione storica a partire da un dato archeologico: Tucidide sostiene che i Fenici e i Cari erano pirati che abitavano la maggior parte delle isole del mare Egeo perché quando gli ateniesi purificarono Delo e tolsero tutte le tombe dall'isola oltre metà delle salme erano dei Cari, riconoscibili dall'armatura e dal sistema con il quale venivano seppelliti. Dunque a supporto di una tesi storica vengono chiamati in causa chiari elementi archeologici. Questa unità della ricerca storica si frantumò quando il termine di archeologia si applicò allo studio delle antichità avulse dal contesto storico. Durante la prima metà del settecento gli studi di antiquaria si concentrarono a raccogliere oggetti di scavo per collezioni private oppure per cercare nei monumenti soprattutto una conferma a determinate ipotesi , contrapposte ad altre ipotesi, allo scopo di fomentare dispute puramente accademiche. Fu Winkelmann nel suo storia delle arti del disegno presso gli antichi del 1764 che spostò l’ archeologia fuori dagli studi studi di antiquaria e di erudizione fine a se stessa e verso una ricerca improntata alla distinzione cronologica di varie fasi dell'arte del mondo antico e della ricerca delle leggi che presiedessero al raggiungimento della bellezza assoluta nell'arte. Introdusse quindi due esigenze di ricerca: una storicistica e l'altra estetica. Purtroppo fu la definizione estetica a prevalere facendo avanzare lo studio dell'arte antica lungo un solco di accademica incomprensione verso tutto ciò che non corrispondeva ai canoni del neoclassicismo che si basava su quei canoni estetici desunti dalle sopravvivenza della scultura antica. Questi precetti erano così autorevoli che non mutarono nemmeno quando fu chiaro che la scultura antica dalla quale essi erano stati desunti non era vera scultura greca, come si credeva, ma derivava dalle copie più o meno infedeli di quelle opere che la tarda cultura ellenistica, rivolta a nostalgicamente al passato, aveva ritenuto essere più nobili e degne di riproduzione. Si continua dunque a studiare l'arte greca sulle copie di un'industria artistica commerciale basata su appassionati, non sempre esperti, e collezionisti. Si continua su questa linea anche quando archeologi inglesi, tedeschi e francesi portarono alla luce originali della scultura greca. L'archeologia venne intesa essenzialmente quale storia dell'arte greca basata sulle fonti letterarie. Essa appariva figlia diretta della filologia che fungeva da critica a quelle fonti. Lo scavo archeologico era inteso soprattutto quale recupero di pezzi da collezione. Un esempio lampante è il fatto che Bismarck tagliò i fondi per la missione di scavo ad Olimpia perché non erano state poste in luce sculture che saltassero abbastanza gli occhi. Questa archeologia spuria derivazione winckelmanniana fu posta in crisi e superata da due fattori: il primo è lo storicismo, il secondo è l'accresciuta importanza della preistoria nel campo della ricerca archeologica sul terreno. Lo storicismo Alois Riegl , massimo rappresentante della scuola viennese, nel suo volume sulla industria artistica tardoromana si oppose all'opinione comune degli altri studiosi che consideravano l'arte successiva all'età degli imperatori Antonini (posteriore agli anni 80 del II secolo d.C.) come un fenomeno di decadenza, e dimostrò come essa andasse considerata quale espressione di un diverso gusto, di una diversa volontà artistica, che doveva essere valutata per sé e non come si era fatto sino ad allora in confronto quell'arte greca di sette - otto secoli dinanzi. La provocazione di Riegl non venne colta. Ci vollero molti anni perché l'impostazione data dalla scuola viennese venisse accolta e un'altra generazione ancora affinché ci si accorgesse che l'impostazione idealistica di Riegel non era sufficiente. Infatti non si trattava di una questione di gusto: per comprendere ciò che era accaduto occorreva approfondire l'esame di tutta un'epoca di drammatico trapasso. Intanto nuove correnti dello storicismo contrapponendosi allo storicismo idealista riportavano la storia ai suoi termini umani riconducendo la ricerca storica dalle astrazioni a un concreto processo e concatenamento dei fatti. La crisi dell'arte antica è vista ora inserita nella generale crisi sociale, economica e politica che condusse il mondo antico verso la società medievale. Liberatasi dall'ipoteca neoclassica la stessa arte greca non è apparsa più un modello fisso e immutabile ma è stata storicizzata e vista in un quadro più ampio, ed è stata avviata una più coerente e razionale comprensione. Attraverso la storia dell'arte ebbe dunque inizio quel ripensamento di tutto il periodo storico tardo antico. Ciò dimostra che la ricerca storico artistica, se rettamente condotta quale interpretazione di un fatto sociale, può avere un alto valore di indagine storica. L'arte figurativa infatti non compie mai salti improvvisi, vi è sempre un tessuto connettivo che letto e interpretato nel modo giusto avrà un valore di documento sociale e storico di inaudita sincerità, proprio per quel tanto di irrazionale di spontaneo che in esso. L'archeologia non è più soltanto storia dell'arte, si inserisce all'interno di quello che è un più ampio quadro storico. Qui si innesta il secondo punto cioè l'archeologia come mezzo di documentazione per mezzo della ricerca di scavo sul terreno. Archeologia come documentazione per mezzo della ricerca di scavo sul terreno. Un tempo gli archeologi classici, fieri dei propri legami con la filologia, ironizzavano sull'attività degli studiosi della preistoria chiamando la scienza degli analfabeti, perché priva di fonti scritte. L'archeologia dell'arte studia i monumenti non più come documenti illustrativi ma come opere d'arte degna di uno studio autonomo e documenti di civiltà, cultura e storia. Winkelmann ha il merito di aver portato lo studio dell'arte antica dalla mera erudizione e di disputa accademica ad un campo più vasto fatto di concetti generali che possono essere usati per la ricostruzione del tessuto cronologico dell'arte antica, oltreché alla comprensione dell'opera d'arte in sé stessa, e come documento di vitale interesse per il proprio tempo. Il Winckelmann ricercava infatti l'essenza dell'arte, ovvero voleva rintracciare le supposte leggi che regolano la perfezione di un'opera d'arte e ne fanno un esempio di bellezza: era la ricerca di un'estetica assoluta assoluta basata sulla supposta perfezione delle opere antiche. La formula che egli aveva teorizzato era quella secondo la quale queste leggi riguardavano: "bellezza formale assoluta, mancanza di pathos, prevalere della forma scultorea su quella pittorica ". Guidato da questa sua teoria e dalle opere letterarie che sembravano giustificarla, egli fu capace di procedere ad una ricostruzione cronologica delle fasi dell'arte greca attraverso un'analisi stilistica. L'analisi stilistica è fondamentale ancora oggi nella ricostruzione della cronologia di un'opera, è infatti indispensabile fornire un giudizio che sia storico e non di gusto personale empirico. L'opera infatti deve essere cronologicamente collocata per capire il suo ruolo all'interno del suo tempo: se essa apre una nuova strada, partecipa all'evoluzione del tempo, se si inserisce passivamente in una corrente determinata o addirittura se sia in ritardo rispetto alla problematica del suo tempo. Al tempo di Winckelmann l'arte antica si presentava come un ammasso di opere di scultura, frammenti, sarcofagi ornati di rilievi trovati per caso specialmente a Roma e in altre città senza che ci fosse un criterio di cronologia tranne per quelle opere che avevano delle iscrizioni dedicatorie. Il mondo dell'arte antica appare quindi come un blocco unico senza prospettiva storica, le opere erano definite "degli antichi " senza distinzione fra i secoli della Grecia e i secoli di Roma. Le fonti antiche letterarie riportavano la cronologia dei maggiori artisti ma era difficile difficile identificare le opere di questi ultimi tra la ammasso di opere presenti, in più, il 98% delle statue trovate a Roma non erano originali ma copie di età romana da originali greci perduti, cosa che il Winckelmann ancora non sapeva. A Roma e ad Atene si erano sviluppate delle vere proprie industrie commerciali che avevano il compito di copiare le opere d’arte e venderle, queste opere erano usate per scopo decorativo ed erano spesso copie di poco valore artistico soprattutto perché dopo un determinato periodo di tempo le copie venivano fatte a partire da altre copie e non dall’originale. Ecco perché ancora una volta risulta essere fondamentale un'analisi stilistica accurata dal momento che un'opera artistica originale presenta tratti irripetibili. Grazie a questa analisi stilistica unita all'analisi delle fonti letterarie antiche, Winckelmann riuscì a dividere l'arte greca in quattro grandi gruppi: 1. Stile antico 2. Stile sublime (Fidia e successori, V-IV secolo a.C.) 3. Stile bello (da Prassitele a Lisippo) 4. Decadenza (ultimo secolo a.C. ed età imperiale romana) L'analisi stilistica condotta da Winckelmann l'aveva portato alla formulazione della sua teoria riguardante la bellezza formale assoluta, la mancanza di pathos e il prevalere della scultura sulla pittura. Questo criterio estetico aiuta Winckelmann ad uscire dall'antiquaria ma risulta anche essere il suo grande limite perché esso era costruito sul mito del proprio tempo, e mutato il criterio estetico muta anche tutta l'impostazione e la valutazione dell'opera d'arte. La problematica riguarda anche le fonti classiche (Plinio e Pausania) le quali sono tarde e si riconnettono a tutta una serie di scritti retorici del tardo ellenismo, quando nella Grecia in declino economico, si era formato un medio ceto e una media cultura conservatrice e rivolta al passato. I Romani dominavano la Macedonia e la Grecia, le quali guardavano al passato glorificando l'antica grandezza, anche con un significato di riscatto morale. Il gusto per l'arte del passato si riconnette anche con l'antica libertà e indipendenza, quelle che apparivano distrutte una prima volta già dal regno di Filippo di Macedonia e poi di Alessandro. L'arte che veniva glorificata era quindi quella dei tempi precedenti ad Alessandro, facendo nascere una corrente che potremmo definire neoclassica, per la quale non si teneva conto della scultura dell'ellenismo. Questo stato di cose ha contribuito al sorgere in Winckelmann dell'idea che la storia dell'arte antica avesse avuto uno svolgimento parabolico che tocca il suo culmine nel periodo aureo con Fidia per poi decadere. Tuttavia di Fidia in realtà non si conosceva proprio nulla, egli era un'entità astratta magnificata dalle fonti letterarie soprattutto per due opere irrimediabilmente perdute: lo Zeus di Olimpia e la Atena del Partenone. C'è voluto il lavoro critico dei primi decenni del XX secolo per mettere in luce che il giudizio di Winckelmann non poteva avere un valore né storico né assoluto, ma solo quello di un giudizio relativo all'età nella quale venne formato. Molti equivoci sono nati rispetto all'arte greca proprio dal persistere della concezione Winckelmanniana, come che l'arte greca sia volta all'idealizzazione del vero mentre invece oggi è chiaro come essa si è rivolta alla ricerca di un suo sostanziale realismo. Pur riconoscendo i grandi meriti del Winckelmann, l'errore di quella costruzione parabolica e dell'identificazione di un determinato periodo dell'arte greca con "l'assoluto dell'arte ", finisce per sottrarre l'arte greca al suo processo storico e sostituirvi un mito. Il primo ad identificare l'errore di Winckelmann fu Federico Schlegel, il quale riconosce che il Winckelmann ha veduto l'arte greca attraverso un processo di idealizzazione dell'arte stessa, quasi volta a creare qualcosa di analogo al mondo delle idee di Platone con dei modelli di astratta perfezione. Infatti, basandosi sul concetto di bellezza individuato da Winckelmann, gli studiosi consideravano vere e proprie opere d'arte greca SOLO quelle statue che rispecchiavano questo ideale, mentre tutte le altre che si differenziavano sono state considerate o una preparazione per arrivare a tale ideale o una una manifestazione di decadenza. Schlegel ammette pure che proprio quest'unica tra le idee del Winkelmann è stata largamente seguita, mentre l'idea migliore, ovvero quella di sviluppare la storia dell'arte in modo che si occupasse del concetto essenziale dell'arte stessa, è stata stata ignorata. L'ideale di bellezza secondo Winckelmann ebbe numerose conseguenze culturali. Un esempio fu che quando Lord Elgin staccò i marmi dal Partenone dove come si sapeva dalle fonti che la decorazione scultorea era stata eseguita sotto la direzione di Fidia, gli archeologi negarono che i marmi potessero essere a lui attribuiti e pensarono che fossero dei rifacimenti di età romana, ovvero gli attribuirono al periodo ritenuto dal Winckelmann quello di massima decadenza. Essi vennero infatti venduti per una somma di denaro molto inferiore rispetto al loro vero valore e rispetto alla quantità di denaro spesa dal Lord per il loro distacco e il trasporto, nel 1819 a Londra. Qualcosa di simile accadde nel 1877 quando il governo tedesco fece condurre i grandi scavi nel santuario di Olimpia. I marmi trovati ad Olimpia delusero gli archeologi che le giudicarono opere d'arte provinciale, di una scuola secondaria. Si criticava per esempio il soggetto nella figura dello stalliere seduto che si tocca con il piede della mano, gesto che si distaccava dalla visione sublime e senza pathos dell'arte greca che vigeva il tempo e appariva troppo realistico e volgare. Questi due episodi dimostrano che l'immagine che la critica archeologica si era fatta dell'arte greca non corrispondeva affatto alla realtà. Ad oggi l'importanza del Winkelmann per il sorgere della storia dell'arte antica resta fondamentale ma è necessario indicare i limiti e le conseguenze, non tutte positive, delle sue teorie. L’archeologia filologica Nel tardo ellenismo nasce la filologia come indagine e sistemazione dei testi letterari e della loro trasmissione manoscritta. Nel mondo moderno la filologia nasce nel 1777 quando Friedrich August Wolf chiese e ottenne di essere immatricolato all'università di Gottinga come studiosus philologie e non come studiosus theologie. La filologia si afferma particolarmente in Germania, il metodo sviluppato per la critica dei testi indirizzò la ricerca archeologica volta a ricostruire la storia della scultura greca. Dopo il periodo di Winckelmann si inizia quindi il periodo filologico. E’ proprio la scuola filologica a capire per la prima volta che il Winckelmann non aveva mai visto originali greci ma solo copie romane perché la maggior parte delle sculture a Roma erano appunto copie. Circa dal 1830 l'archeologia divenne una scienza diretta dalle scuole degli studiosi tedeschi perché la Germania, in rapida ascesa alla testa delle nazioni europee durante l'ottocento, vide in se stessa l'erede diretta della civiltà della Grecia, perciò lo studio delle antichità greche fu ampiamente favorito dallo Stato prussiano. L'indagine archeologica filologica si volge con metodo critico allo studio dei testi antichi traendo fuori da essi tutte le notizie relative agli artisti, mette d'accordo varie fonti e corregge i testi corrotti. Da questo processo di indagine deriva l'ipotesi che forma il nucleo di tutte queste ricerche: da una parte abbiamo una serie di copie dubbio, contribuendo alla sfiducia in quella ricerca combinatoria e attribuzionistica che aveva costituito la principale attività degli studiosi. (ec. Eirene e Ploutos) Anche per la pittura antica si cade nello stesso equivoco quando ad un certo momento si pretese di ricostruire la pittura classica greca andata perduta per mezzo della pittura di età romana solitamente detta pompeiana. La scuola filologica riconobbe giustamente in una serie di quadri inseriti come pitture decorative nelle case di Pompei delle copie di originali greci perduti. Ciò che venne trascurato è che questi quadri potevano essere utilizzati non tanto per ricostruire pitture originali greche raramente copiate con fedeltà, quanto per studiare i problemi formali che erano stati affrontati dalla grande pittura greca. L'analisi della pittura greca a partire dalle copie romane causò numerosi equivoci, per esempio, il concetto secondo il quale non potessero esserci sfondi paesaggistici perché si considerava che l'arte greca seguisse i criteri formali accademici di chiarezza lineare e di equilibrio plastico che l'estetica Winckelmanniana aveva attribuito alla scultura considerandola l'arte maggiore della civiltà greca. Seguendo questo concetto, laddove nelle pitture pompeiane appariva uno sfondo paesaggistico, si affermava che si trattava di un’ aggiunta romana. In qualche caso queste teorie erano giuste ma ad oggi risulta ormai chiaro che il paesaggio è una conquista ellenistica. Anche dal punto di vista delle ceramiche sono stati fatti degli studi, in particolare Furtwaengler insieme a Reichhold composero nel 1900 raccolta di grandi tavole con il disegno dei vasi dipinti più belli, riprodotti a grandezza originale, accompagnata da studio monografici vaso per vaso. L'equivoco in questo caso fu che il Reichhold per quanto disegnatore bellissimo rimase sempre inferiore all'originale e soprattutto aveva la freddezza delle copie. Gli studiosi successivi piuttosto che affrontare le difficili riproduzioni fotografiche hanno preferito riprodurre i vasi dai disegni del manuale diffondendo l'immagine di una ceramica accademica, fredda e lontana dagli dagli originali. Gli studiosi dell'archeologia filologica hanno trasmesso un'immagine dell'arte greca fissata su canoni estetici che sono veri soltanto in parte perché si basano su canoni estetici fissati da fonti che si rifanno ad un periodo illimitato e a un punto di vista determinato. Ci si è resi conto in seguito che la polemica contro l'arte greca non fu in realtà contro di questa, ma contro l'immagine che di essa avevano diffuso gli archeologi dell'ottocento, immagine formata sia a contatto non con gli originali ma con le copie romane. Ci si oppone a quella visione fredda, classicista e accademica dell'arte greca che era così ben conosciuta dai professori tedeschi perché erano essi stessi che l'avevano inventata. È avvenuto poi che critici o artisti che erano a capo del movimento che rifiutava l'arte greca, posti a contatto con i veri originali greci, da detrattori ne siano divenuti gli esaltatori. La caratteristica essenziale dell'arte greca è quella di essersi messa sulla via della comprensione della realtà e dell'espressione dell'energia vitale concentrata nella forma della natura. In tutte le arti dell'antico oriente Mediterraneo e presso le popolazioni primitive troviamo una tendenza all'astrazione. Invece, l'arte greca affronta la realtà e in conseguenza di questa sua posizione realistica, unica nel mondo antico, scopre alcune norme che saranno poi fondamentali per l'arte europea: scorcio, prospettiva, color locale ed effetto illuministico in pittura. Un esempio di queste scoperte tecniche lo possiamo leggere nel quadro di Apelle di Alessandro Magno con il fulmine di Zeus fra le mani. Ci viene detto da Plinio che il fulmine sembrava uscire dal quadro e che Alessandro magno da sempre dipinto dalla pelle rosea e i capelli biondi, appariva singolare perché rappresentato con un colorito assai scuro e il petto inondato di luce. Anche attraverso questa grossolana descrizione di Plinio si capisce che in questo quadro l'artista aveva affrontato il problema del chiaroscuro. Le fonti letterarie La scuola filologica prese come punto di partenza le fonti letterarie, ricercando nel patrimonio monumentale soprattutto la conferma alle notizie date dalle fonti letterarie antiche, ma non si pose il problema sul valore critico di tali fonti, generalmente tarde e partecipanti di una cultura ben lontana da quella che aveva preceduto alla creazione delle opere più alte dell'arte greca. Le fonti sono molteplici, dirette e indirette. Le fonti dirette sono costituite dagli autori che si sono occupati di cose dell'arte, quelle indirette, dalle opere letterarie nelle quali incidentalmente è contenuta la menzione di un'opera oppure le notizie su un artista, o sono espressi giudizi critici. Le fonti per noi più importanti e più ampie sono la Naturalis Historia di Plinio e la Periegesi della Grecia di Pausania. Le altre fonti sono state raccolte dall’Overbeck nel 1868 e pubblicate in un volume intitolato: le fonti letterarie antiche per la storia dell'arte greca e romana. Questa è una raccolta quasi completa dei passi tratti dalla letteratura greca e latina nei quali si trova un accenno ad un'opera d'arte. Quest'opera risulta essere ancora oggi molto importante, bisogna però utilizzarla con cautela, considerandola un indice piuttosto che un testo perché le fonti citate si riducono a poche righe con la sua citazione dell'opera d'arte, mentre spesso nel contesto dell'opera il passo acquista un significato ed un valore più preciso. Inoltre, manca la patristica cristiana dalle quali si possono ricavare altre notizie come integrazione alle fonti più antiche. Plinio Con la sua natura Naturalis Historia Plinio rimane la nostra fonte più completa e preziosa. In una lettera di presentazione dell'opera a Vespasiano Plinio parla del carattere del suo lavoro dichiarando che egli ha voluto raccogliere una congerie di notizie che non sono né piacevoli né divertenti, ma sono una raccolta di dati di fatto relativi a tutto il mondo della natura. L'opera contiene circa 20.000 notizie degna di memoria tratte dalla lettura di circa 2000 volumi, pochi dei quali anche gli altri studiosi leggono per la difficoltà della materia. Suo nipote, Plinio il giovane, descrive lo zio come un uomo molto intelligente ed incredibilmente studioso, che leggeva continuamente e faceva notare al suo segretario tutto ciò che di interessante trovava nelle sue letture. Si vede che così è nata quest'opera, attraverso la lettura di molte opere da cui via via egli prendeva quello che gli pareva interessante. I libri che ci interessano principalmente sono il 34º, il 30 35º e il 36º . Trattando degli aspetti della natura quando arriva a parlare delle pietre e dei marmi tratta della scultura, parlando dei metalli tratta del bronzo parlando delle terre colorate parla della pittura. Così in questi libri Plinio ha raccolto ciò che si conosceva nel suo tempo sulle arti figurative. A questa immensa compilazione è mancata una revisione, spesso le notizie contraddicono ed è lo studioso a dover fare un lavoro di critica. Manifestamente Plinio aggiungeva delle notizie che trovava senza capirle. In più, Plinio si è trovato nella difficoltà di riportare in latino espressioni retoriche del tardo ellenismo, talvolta latinizzando la desinenza, altre volte creando nuovi termini che hanno dato vita poi ad equivoci. Due studiosi in tempi moderni si sono occupati dello studio del testo di Plinio in maniera particolare: Bernhard Schweitzer su Xenokrates di Atene e Silvio Ferri sul problema della statua del Doriforo di Policleto nonché della traduzione dell'intera opera. Xenokrates La visione neoclassica del Winkelmann trova una conferma nelle fonti antiche perché la maggior parte di esse traggono le loro informazioni da scritti nati nel tardo periodo ellenistico quando nella cultura greca si afferma una visione retrospettiva, nostalgica del passato e delle antiche glorie. Tale è l'impostazione che Plinio trova nelle sue fonti, tra le quali la principale è Apollodoro Ateniese, autore di una cronaca enciclopedica in versi che conteneva biografia di artisti celebri, di ognuno dei quali indicava l'epoca di maggior rilevanza di opere. Apollodoro tuttavia fu il maggior rappresentante del movimento classicistico che si diffuse nella cultura greca a partire dal 150 a.C. Questo movimento esaltava l'arte di Fidia e di Prassitele e inizia a vedere la decadenza dopo Lisippo. Tra le altre fonti di Plinio c'è anche Xenokrates ateniese, scultore egli stesso e discepolo di Lisippo. Per lui Lisippo rappresenta il culmine dell'arte greca e la Luciano Luciano è vissuto al tempo degli Antonini, unico e ultimo tra i tardi scrittore del mondo greco che dimostra di avere gusto e sensibilità artistica. Luciano non è un compilatore ma uno scrittore fornito di cultura e di senso critico personale, che parla di opere d'arte che egli ha realmente veduto e che descrive e esprimendo le proprie sensazioni e il proprio giudizio. Tuttavia, anche Luciano partecipa al culto dell'età lontana della grande civiltà artistica della Grecia classica. Ateneo La sua opera più importante è intitolata “i dotti a convito ” dove i convitati intrecciano colloqui che danno modo all'autore di raccogliere un'ampia congerie di notizie di carattere enciclopedico. Tra queste vi sono lunghe descrizioni del padiglione regale e del corteo festivo di Tolomeo secondo Filadelfo e della processione trionfale di Antioco quarto Epiphanes. Queste notizie sono interessanti come testimonianze dello splendore delle corti ellenistiche piene di suppellettili in metalli preziosi lavorati ed è stato trovata addirittura la descrizione di una nave costruita per gli Ierone secondo di Siracusa che aveva un pavimento di mosaici fissati su tavolo raffiguranti episodi dell'Iliade. Le scoperte e le grandi imprese di scavo. Lo studio dell'arte antica è uno studio posto di tre file diversi: 1. La conoscenza delle fonti 2. La conoscenza dei materiali reperiti dallo scavo 3. Il criterio metodologico per portare quelle nozioni a giuste conclusioni storiche Il Winckelmann quando iniziò la sua opera si trovava di fronte ad un vero e proprio caos di opere d'arte la maggior parte trovata nel sottosuolo di Roma non ancora classificate. Egli tentò di trovare un criterio di ordinamento, ma già durante la sua vita e poi per tutto il periodo successivo, ci furono le scoperte degli originali della Grecia. Nel settecento era sorto a Londra un gruppo di uomini dotati di mezzi di fortuna i quali fondarono nel 1733 la Società dei Dilettanti (dilettanti nel senso amatori d'arte). Questi uomini cominciarono a finanziare dei viaggi e poi ad accordarsi a spedizioni che venivano fatti dal governo inglese nell'Asia minore con intenti colonialisti. I più importanti sono Clarke, Dodwell e Cockerell e furono coloro i quali misero piede nelle prime spedizioni in Grecia, con Pausania alla mano. La loro non era ancora un'attività di scavo, ma di scoperta, spesso riuscivano a comprare dal governo turco pezzi di notevole bellezza che ora si trovano al British di Londra. La spedizione al Partenone Una delle prime, più grandiose e più celebri acquisizioni di sculture greche dell'Occidente sono stati i marmi del Partenone opera di Fidia e quelli del Tempio di Nike Apteros ad opera di Lord Elgin. Sembra che l'intenzione del Lord fosse quella di fare eseguire i disegni e calchi per insegnamento degli artisti e che fu il cappellano dell'ambasciata, il reverendo Philip Hunt a trasformare la spedizione in una spoliazione distorcendo il generico permesso ottenuto dal governo di Costantinopoli. Non tutti i marmi furono distaccati dal monumento, molti frammenti furono recuperati dalla demolizione di una casa sorta presso il Partenone, che Elgin aveva acquistato a questo scopo. Mentre Elgin era prigioniero presso Napoleone Bonaparte, il suo agente cominciò a spedire i marmi, in 200 ceste, 12 di queste naufragarono al capo Malea e furono recuperate anni dopo dai palombari. I marmi ancora rimasti ad Atene furono sequestrati dai francesi nel 1807 ma poi inclusi negli accordi di pace, insieme a parte delle sculture raccolte dai francesi nella spedizione dell'Egitto, molte delle quali conservate oggi al British Museum. Intanto molte discussioni sorgevano in Europa riguardo ai marmi del Partenone fra studiosi e antiquari i quali, pervasi dalle teorie winckelmanniane che rifiutavano di riconoscere in quei marmi l'arte di Fidia. Alla fine una commissione del Parlamento accettò l'appello degli degli artisti e studiosi entusiasti del ritrovamento e i marmi furono finalmente acquistati conferendo al British Museum un risalto eccezionale. Il Lord Elgin non ricavò che la metà delle spese sostenute. Ad oggi il governo greco ha chiesto la restituzione delle statue. Il giudizio è ancora oggi complesso riguardo alle azioni di Lord Elgin. Le sculture del Partenone erano già state manomesse dai cristiani e dai musulmani, poi dal bombardamento di Morosini e ancora erano esposte ad ogni pericolo: dai turchi agli agenti atmosferici. Ad ogni modo il ritrovamento di questi marmi accentua l'interesse per l'arte greca. Marmi arcaici dell’isola di Egina Nel 1811 durante una spedizione all'isola di Egina furono scoperti i resti di un tempio, le cui sculture furono vendute al museo di Monaco. La scoperta fu molto importante perché furono i primi marmi che si conobbero del periodo arcaico e questa nuova esperienza aiutò la cultura del tempo a distaccarsi dal gusto neoclassico. Questi marmi sono stati prima restaurati e poi riportati alla condizione mutila originaria. Ercolano e Pompei Dal 1738 al 1766 furono intrapresi in Italia gli scavi di Ercolano e dal 1748 quelli di Pompei che riportarono alla luce numerose pitture. Gli scavi di Ercolano furono interrotti per via delle condizioni difficilissime dello scavo e riprese soltanto dopo l'unificazione italiana. Dallo scavo degli strati più antichi di Pompei e recentemente emerso che vi si trovano anche uno strato Osco ed uno Etrusco. La maggior parte delle statue che sono emerse a Pompei sono copie di originali greci mentre la maggiore importanza risiede nella pittura. In base alle teorie e al gusto neoclassico di Winckelmann era stato pensato che la pittura greca non poteva presentare uno sfondo paesaggistico perché andava contro la plasticità e la semplicità delle linee che riguardava la stessa linea estetica della scultura. Di conseguenza quando a Pompei sono state ritrovate delle pitture contenenti uno sfondo paesaggistico esso è stato attribuito ad un'aggiunta Romana originale. In alcuni casi quest'informazione è vera, ma non in tutti. Questa pittura di Pompei è stata finita del quarto stile, anche chiamato pittura illusionistica. Questo stile non è nato a Pompei ma deve considerarsi la continuazione e lo svolgimento in età romana della pittura ellenistica dopo quanto emerso dagli scavi nella necropoli di Alessandria. Il Geometrismo nei vasi di Atene Nella seconda metà dell’ottocento sono iniziati gli scavi ad Atene dove apparvero per la prima volta i vasi di stile geometrico, ponendo in luce i primordi dell’arte greca, fino ad allora sconosciuti. Questi vasi sono importantissimi per noi perché non possiamo comprendere lo sviluppo della statuaria del VI secolo senza tener conto della lunga tradizione dello stile geometrico. Questo stile si collega al primitivo geometrismo che si trova nel vasellame preistorico della regione danubiana, ma le popolazioni greche ne fanno una creazione artistica che sta alla base dell’arte greca del periodo arcaico, frutto di elevata conoscenza artigiana. Non conoscendosi allora l’arte pre-ellenica di Creta né le pitture preistoriche nelle grotte, si ebbe la tendenza a considerare lo stile geometrico un documento di inizio dell’arte nella società umana. L'acropoli di Atene Dopo lo spoglio del Lord Elgin l'acropoli di Atene a poco a poco torna a mostrare il proprio aspetto con la demolizione delle costruzioni che nel medioevo l'avevano trasformata in una fortezza. Quando nel 480 a.C. i Persiani distrussero l'acropoli, devastarono tutti i monumenti esistenti. Dopo la vittoria sui persiani la nuova generazione si accinse alla ricostruzione dell'acropoli, che sarà poi quella di Pericle. Il primo atto fu un allargamento dell'area utilizzabile alla sommità dell'acropoli mediante un muro. Nello spazio intermedio tra il muro e la roccia furono deposti tutti i resti degli ex voto danneggiati che, essendo cose consacrate, non potevano essere distrutti. Questo riempimento è noto col nome di colmata persiana. Il mausoleo di Alicarnasso Fino al IV secolo, cioè fino ad Alessandro, si trova nei paesi asiatico-ellenistici la caratteristica di grandi sepolcri monumentali a forma di piccolo tempio, espressione tipica di questi sovrani locali, vassalli dell'impero persiano, i quali si facevano costruire la tomba chiamando artisti greci destinate all'esaltazione del principe defunto. Schliemann Egli proveniva da modeste origini ed era divenuto un ricco trafficante. Fin da ragazzo, quando era apprendista in un modestissimo negozio, si era innamorato di Omero, cui credeva ciecamente. Su questa cieca fiducia nel testo di Omero, lo Schliemann, fra lo scetticismo di tutto il mondo accademico, iniziò nel 1871 gli scavi nella Troade dove non solo scoprì Troia, la cui ubicazione era discussa, ma confermò la sua distruzione per incendio date le tracce evidenti che trovò nei resti di uno degli strati di insediamento posti in luce. Scavò allora anche a Micene dove scoprì quello che egli chiamò il tesoro di Atreo e la tomba di Clitemnestra, mettendo in luce tantissimi oggetti d'oro di squisita fattura appartenenti alla civiltà pre-ellenica di cui fino ad allora si era ignorato la presenza. Questa civiltà mise in luce i problemi della preistoria greca. Innegabilmente lo Schliemann ha consegnato al mondo scoperte davvero interessanti ma in quanto scavatore improvvisato ha mostrato ancora una volta che ogni scavo distrugge le testimonianze del passato e che questa distruzione è irrimediabile. Nelle sue spedizioni lo Slim ebbe un compagno: l'architetto Dorpfeld il quale verso la fine della sua carriera divenne sempre più propenso a conclusioni più romantiche che scientifiche riguardo a ciò che avevano potuto scoprire grazie agli scavi. L'ultima opera della sua vita fu rivolta ad identificare l'Itaca di Omero con la penisola di Leucade, mentre altri studiosi credevano si trattasse dell'isola di Cefalonia. Ad ogni modo le ricerche del Dorpfeld sono servite a mettere in luce per la prima volta la vita di età arcaica e micenea nelle isole e nel continente greco e a dimostrare come essa corrisponda a quegli orizzonti di civiltà che si trovano gli scritti nell'Odissea. La società pre ellenica La missione inglese dell'Evans si concentrò sullo scavo e sul restauro del palazzo di Cnosso che per la sua architettura grandiosa e intricata ci riprova come la leggenda del labirinto edificato per Minosse, mitico re di Creta, avesse un fondamento nella realtà storica e che fu conosciuto dai greci già in rovina. Un passo importantissimo per la comprensione della società pre-ellenica fu compiuto nel 1953 quando venne decifrata la scrittura del più recente degli alfabeti cretesi: la Lineare B ad opera dell'architetto inglese Ventria. E’ stato scoperto che la lingua usata era quella greca, il che significava che l'ultima fase della civiltà cretese si era svolta, come quella micenea, dopo l'espansione delle popolazioni di stirpe ellenica. La lineare B è quindi un adattamento della scrittura cretese lineare a alla lingua degli invasori achei. Queste scoperte hanno aperto un capitolo di storia della civiltà greca completamente nuovo che ha spiegato una grande quantità di fenomeni culturali ed artistici. Per esempio, è stato dimostrato che le tribù doriche e Achee che che si stanziarono nella Grecia intorno al 1200, si erano trovate di fronte ad una civiltà molto più ricca e avanzata della loro, per quanto fosse ancora limitata nella sfera culturale dell'età del bronzo mentre loro portarono la civiltà del ferro. Era perciò inevitabile che le nuove popolazioni assumessero degli elementi appartenenti alle civiltà preesistenti più avanzate della loro, ma la curiosità è che i dori e gli achei ripresero pochi elementi dalla civiltà minoica, a differenza di ciò che ci si aspetterebbe. Ad esempio, riguardo all'arte, si può concludere che dalla civiltà precedente è stata presa la tecnica ma non lo stile artistico. La cosa non sembrerà strana a chiunque sia convinto che l'arte figurativa non è frutto di capriccio o di fantasia personale ma è espressione intimamente legata alla società che la produce. La società dorica e da achea era diversa da quella minoica e non poteva produrre un'arte uguale ad essa. La scoperta del mondo pre-ellenico va posta di fianco alla scoperta del mondo mesopotamico le cui scoperte più interessanti sono state la lettura dei testi cuneiformi e la decifrazione della lingua ittita. Gli scavi nel vicino oriente hanno esteso le nostre conoscenze della civiltà umana e dell'arte, sino a circa il 6000 a.C., ovvero il primo sorgere della società umana divenuta stanziale grazie all'irrigazione. Dal punto di vista della storia dell'arte queste società del mondo mesopotamico ci hanno fatto scoprire una serie di motivi e schemi iconografici che i greci conobbero all'albore della propria civiltà. Nel Novecento Si può dire che dopo la prima guerra mondiale lo studio della storia dell'arte antica entrò in una nuova fase. La sosta provocata dalla guerra all'attività di scavo fece sì che gli studiosi si rivolgessero ad approfondire i problemi posti dalle opere messe in luce. La crisi generale della cultura fece intendere la necessità di prendere posizione e di ricercare nel campo dei propri studi i valori culturali effettivi. Se l'ottocento è stato, nella storia dell'arte antica, il secolo della ricerca sistematica e dell'ordinamento, il novecento nella sua prima metà ha visto iniziassi un approfondimento di problemi, un continuo tentativo di comprendere l'opera d'arte nei suoi valori intrinseci. Le correnti di pensiero appartenenti ad una determinata epoca influiscono sulla critica dell'arte dell'antichità, e così è stato fino alla metà di questo secolo. Ricerche teoriche e storicismo agli albori del 900 Il Loewy Alla fine del periodo filologico si trova una figura di studioso molto importante: Emanuel Loewy, primo a coprire una cattedra di archeologia classica all’università di Roma. Egli fu il primo archeologo che riprese quello che era stato uno dei motivi della effettiva grandezza del Winkelmann, cioè la ricerca attorno all’essenza stessa dell’arte, ovvero alle questioni fondamentali che presiedono allo svolgimento dell’arte greca. Egli cerca di porre lo studio dell’arte antica sopra un fondamento teorico generale. Le sue opere più importanti sono: la natura nell’arte greca più antica e migrazioni tipologiche. Questi due studi sono importanti perché toccano i due punti essenziali dell’antichità greca: 1. La persistenza iconografica 2. Il rapporto tra l’arte greca e il vero di natura L’iconografia Molto spesso gli studiosi non tengono sufficiente conto dell’iconografia specialmente nell’arte antica, dove si deve tener conto che il fondamento della produzione è prettamente artigiano. Con l’arte antica non ci troviamo davanti alla personalità dell’artista isolata (come c’è stato tramandato dalla critica romantica) e capace di produrre un’opera d’arte distaccata da qualsiasi legame con la società in cui vive. Questa accentuazione della personalità dell’artista è una cosa moderna. Nell’antichità l’artista è un artigiano e le stesse fonti lo considerano come tale. Come in tutti gli artigianati si formò un patrimonio di tradizioni tecniche e iconografiche che rendevano possibile il raggiungimento di elevata qualità. Si lavora come si è imparato nella bottega, ma ogni artigiano di talento aggiungerà piccole varianti, che sono espressione della sua personale genialità e che verranno ripresi dai suoi successori. Con l’andare del tempo si giunge in tal modo a innovazioni anche profonde. Un esempio è quello del Kouros che è rimasto immutato per tutto il settimo e il sesto secolo, eppure non ce ne sono due uguali, il problema statuario si matura fino alla crisi e alla soluzione con Policleto. Un altro esempio più vicino a noi può essere quello della Natività che per secoli è stata ritratta con la culla del bambino parallela alla madre e che da Giovanni Pisano in poi subisce una grande variazione in quanto l’artista pone la culla col bambino in modo che la madre il figlio si guardino introducendo un contenuto psicologico, affettivo ed umano. Finché nell’arte esiste una forte tradizione artigiana, come nell’arte antica, la persistenza degli schemi iconografici è fortissima. Quando si studia una determinata rappresentazione bisogna esaminare da dove viene lo schema iconografico e Questa serie di equivoci ci fa capire quanto sia importante valutare gli artisti arcaici rispetto al proprio tempo. Alessandro della Seta, l’Anatomia. Alessandro della seta si occupò del problema del superamento della legge della frontalità dell’arte greca, superamento che noi designiamo quel passaggio dall’arte arcaica all’arte classica. Egli trovava che la formalità viene superata per una maggiore conoscenza dell’anatomia ed impostò sulla conoscenza dell’anatomia tutto lo sviluppo dell’arte greca, cadendo ovviamente nell’equivoco di considerare la conoscenza dell’anatomia da parte dell’arte greca come un fine e non un mezzo di espressione artistica. L’osservazione anatomica serviva a differenziare i piani nel chiaroscuro, ed è con l’inserire nella plastica elementi chiaroscurali che si rompe la frontalità del mondo arcaico e si cerca di raggiungere la piena corposità di una figura che si muove nello spazio non delimitato. Il Della Seta si concentra su questo concetto anatomico per molti anni in particolare nel suo studio il nudo nell’arte. Tuttavia verso la fine della sua carriera capì che forse la sua teoria non era un criterio adatto per essere un filo conduttore per una storia dell’arte. Tuttavia è importante citare questo studioso poiché egli fu la formazione della generazione degli studiosi del primo quarto. Con questi tre studiosi: il Loewy, il Lange e Della Seta entriamo nell’epoca della ricerca di un criterio che possa indirizzare l’archeologia verso problemi di carattere di interpretazione del fatto artistico e non più di carattere filologico. La scuola filologica aveva segnato un passo indietro rispetto al Winckelmann poiché aveva rinunciato a porre come esigenza il trovare un contatto vivo col mondo greco. Dopo di loro, agli inizi del 900 si entra in una nuova fase degli studi di archeologia il cui processo si accelera dopo la prima guerra mondiale, che impose una forzata stasi. La pausa imposta dalla prima guerra mondiale indusse gli studiosi a riflettere sul materiale già esistente poiché gli scavi erano fermi. Si iniziò a dedicare una maggiore attenzione agli originali, a porsi problemi formali, con l’intento di compilare la storia di tutta l’arte greca. Lo studioso Langlotz basò i suoi studi su piccoli bronzi, opere originali e minori, con il fine di costruire non le grandi personalità di maestri celebrati dalle fonti, le cui opere originali sono perdute, ma le varie scuole, le officine artigiane dalle quali i maestri erano scaturiti e che dai maestri vengono influenzate. La scuola Viennese Già dalla fine dell’ottocento prende inizio una nuova fase delle ricerche teoriche intorno alle arti figurative. Un’influenza diretta sugli studi di archeologia ebbero in particolare le teorie formulate da quella che fu detta la scuola viennese. Attorno al 1895 a Vienna furono particolarmente in evidenza due studiosi: il Wickhoff e il Riegl. Entrambi si sono occupati di storia dell’arte antica per risolvere i problemi di arte medievale, per chiarire i rapporti dell’arte medievale con l’arte romana che l’aveva preceduta. Riegl, la teoria del gusto contro la decadenza. Il Riegl per poter ordinare al museo di Vienna il materiale archeologico romano barbarico della regione danubiana, studiò l’artigianato dell’ultimo periodo imperiale. Il suo studio lo portò a una revisione di tutta l’architettura, la scultura e la pittura romana a partire dal II secolo, per giungere a una nuova valutazione dell’arte romana e specialmente dei secoli del tardo impero (III-V secolo d.C.) che allora erano considerati dei secoli di decadenza. Il Riegl nella sua opera il Stilfragen, parla dell’impossibilità di comprendere tanti secoli l’arte sotto la definizione semplicistica di decadenza. Egli intende superare questo concetto di decadenza introducendo il concetto del Kunstwollen, ovvero della volontà d’arte, o teoria del gusto. Secondo tale teoria ogni epoca della storia determina un proprio gusto e lo esprime in determinate manifestazioni artistiche. Non è lecito perciò confrontare il gusto di un’epoca con quello di un altro e giudicare in base al gusto di un’età stabilita a priori come esemplare o classica. Si deve cercare pertanto di ricostruire la problematica degli artisti dei singoli tempi. Con lui ebbe fine la valutazione dell’arte dell’antichità che era stata diffusa da Winckelmann, e si aprirono le porte ad una sezione idealistica dell’arte. L’equivoco del Riegl è stato quello di rimanere legato ad una concezione antistorica che inquadrava la storia dell’arte in una linea evolutiva predeterminata che gli deriva dalle scienze naturali. Questa linea evolutiva era scandita in tre periodi 1. Momento tattile ravvicinato o miope: arte egiziana 2. Momento tattile a vista normale che situa le forme in una ragionevole distanza ambientale: arte greca classica 3. Momento ottico illusionistico: arte romana del tardo impero La visione spaziale infinitamente più libera di quella classica dell’arte al tempo di Costantino risulta essere la piena realizzazione di una tendenza secolare, quindi uno sviluppo non la decadenza. Il Riegl trascurò del tutto lo stretto rapporto tra arte e società, e pose come deus ex machina che regola tutto il gusto, senza chiedersi come esso si formi. Proprio per questo il fenomeno osservato ha spiegazioni ben più profonde di quello che non sono le ottiche da lui proposte e delle quali l’artista artigiano non si rendeva conto. Tuttavia per una prima rottura del meccanicismo degli archeologi, le teorie del Riegl ebbero grande merito. Wickhoff, l’originalità dell’arte Romana. Il Wickhoff intento a pubblicare un libro della Bibbia adorno di miniature che si ritenevano allora del IV secolo e di fattura campana, per una supposta parentela con la pittura pompeiana, affrontò il problema di come si fosse giunti al genere di pittura mostrato dalle numerose illustrazioni del codice. Queste illustrazioni da una parte ricordavano la tradizione ellenistica (nota solo attraverso la pittura pompeiana) e dall’altro una sostanziale diversità rispetto a quella tradizione. Il Wickhoff non essendo archeologo traccia quasi di getto una sintesi dello svolgimento dell’arte romana, inizialmente ignorata dagli archeologi e che più tardi è stata troppo passivamente seguita, senza sottoporla più a revisione. Egli fu il primo a considerare come un valore autonomo anche l’arte romana, a sostenere che anche essa fosse capace di produrre elementi artistici nuovi ed originali. Tra questi elementi originali il primo individuato dallo studioso fu l’elemento coloristico nella pittura, che egli studiò in modo particolare, aiutato dal suo interesse per l’impressionismo dell’ottocento francese, a volte esagerando l’esaltazione della tecnica impressionistica dell’arte romana in opposizione al classicismo dell’arte greca. A questo problema veniva strettamente collegato quello del rendimento dello spazio, delle vedute prospettiche del paesaggio. Notando l’accentuarsi di questi elementi a man mano che ci si allontana dal tempo del classicismo augusteo, lo studioso ipotizza che questo elemento pittorico e spaziale sia prettamente romano. L’originalità dell’arte romana viene dunque sostenuta in pieno e individuata in tre punti: 1. Il ritratto realistico 2. La concezione spaziale e prospettica 3. La narrazione continuata La narrazione continuata Essa consiste nel disporre vari episodi di una narrazione, storico mitologica, l’uno accanto all’altro sullo stesso sfondo paesistico, senza nessun distacco, senza un elemento figurativo di separazione. Questa è una differenza rispetto al mondo dell’arte greca che suddivide gli episodi staccandoli. Secondo il Wickhoff questa caratteristica dell’arte romana precluderebbe a quella medievale europea che vede scene diverse per esempio della passione, dall’orazione nell’orto alla crocifissione, in uno stesso quadro. Ad oggi nessuna delle tesi del Wickhoff ci appare più valida. Smentita È stato soprattutto apprezzato l’aspetto della difesa dell’originalità dell’arte romana e sicuramente nelle sue tesi c’è una maggiore sensibilità storica MA risulta essere termini nella loro vera portata. Tuttavia c’è il pericolo di incorrere in una sistematicità troppo rigida, nell’incasellamento delle opere entro una determinata categoria. Ed infatti verso la prima metà del novecento lo storico dell’arte credette di poter limitare la propria attività a definire le categorie artistiche. Questo fu un errore perché sebbene la categorizzazione sia un punto di partenza, il vero problema storico comincia dopo. Tuttavia, l’influenza della scuola di Vienna e delle conseguenti ricerche fu un avvicinarsi alle esigenze che lo storicismo aveva introdotto nella cultura europea e un ampliarsi dell’orizzonte, prima esclusivamente classicistico, degli archeologi in quanto storici dell’arte antica. Problemi di metodo Bandinelli e Croce L’apporto di Bandinelli alla archeologia italiana fu quello di aggiornarla nella sua posizione teorica, inserendola nella corrente storiografica del Croce. Da noi in Italia infatti l’archeologia aveva sentito ben poco l’eco della scuola viennese e per niente l’influenza delle categorie dell’arte, era dunque rimasta alla fase filologica e al Furtwangler. In Italia si parlava sempre di arte e non di artisti, c’era ancora un’impostazione winckelmanniana. Bandinelli cerca di dimostrare innanzitutto come non si potessero più accettare acriticamente i giudizi di Winckelmann e come ci fosse la necessità di fare una storia dell’arte antica in base a giudizi nuovi e quindi sostituire il nostro giudizio critico a quello delle fonti, in modo da ritrovare in contatto con l’arte greca che si era perduto nella revisione filologica precedente. Ben presto però Bandinelli si svincola anche dalla concezione di Croce che sembra presupporre una creazione artistica che non conosca limiti alla propria intuizione poetica. Secondo Bandinelli infatti non esistono degli artisti che creano liberamente, distaccati da ogni preoccupazione materiali e dalla vita quotidiana, né sotto la protezione dei mecenati rinascimentali ne nell’arte antica. In Germania In Germania dopo il periodo brillante del fiorire della scuola filologica, l’archeologia tedesca non è stata più sorretta da una metodologia che gli permettesse di approfondire meglio il fatto storico. In luogo di ciò, è avvenuta una fuga verso l’irrazionale, il mitologico, che ha invaso tutta la cultura germanica e ha avuto il suo riflesso anche nei nostri studi in Italia. Si afferma in Germania una scuola che possiamo definire morfologico culturale, secondo la quale ogni civiltà esprime un determinato aspetto del mondo e l’uomo viene afferrato da determinati aspetti dell’esistenza ai quali egli dà forma tramite l’opera d’arte. Evidentemente dunque la mancanza di pensiero critico sulla metodologia della storia ha dato vita a risultati sconcertanti che tendono a voler incasellare i fatti fondamentali della storia Intro sistemi rigidi e svolgimenti preordinati. In Italia d’altronde è mancata una ricerca sistematica ma è andata formando fra noi la base di un pensiero critico e storiografico abbastanza unitario e maturo. Metodo La storia dell’arte consiste nel definire le singole opere nella loro storicità individuale e nel legarle con la storia della cultura definendo il rapporto dell’opera d’arte con il suo determinato ambiente. La ricerca deve concentrarsi su due punti 1. Da quali preesistenti schemi iconografici discende una una data opera d’arte e in che cosa fa gli schemi vengono o non vengono innovati 2. Da quali premesse ideologiche, programmatiche o non viene determinato il contenuto. Per analizzare al meglio il secondo quesito occorre allargare la nostra conoscenza alle situazioni culturali in senso lato: correnti di pensiero filosofico religioso, istituti giuridici, condizioni sociali ed economiche determinanti. Certamente per definire le personalità artistiche occorre giungere ad un giudizio qualitativo di valore universale, che è possibile solo attraverso l’analisi dell’opera d’arte in relazione alle categorie dell’estetica, ma poi occorre storicizzare questo giudizio, inserendolo nella serie delle altre opere coeve, precedenti e susseguenti. Per giungere ad un valido giudizio qualitativo è necessaria la capacità di ripercorrere i momenti della creazione dell’opera d’arte e saperne intendere il linguaggio, cioè il significato espressivo delle forme. Non esiste un metodo scientifico che possa essere applicato da chiunque per comprendere il fatto artistico, anche senza una persona di partecipazione di intelligenza. Come può essere portata avanti una ricerca di storia dell’arte? 1. Classificazione e inquadramento cronologico dell’opera d’arte, da tenersi mediante una ricerca di tipo filologico, con l’ausilio di testi letterari, epigrafici e del materiale archeologico di ogni specie, condotte insieme e confermate da un riconoscimento delle qualità stilistiche esteriori e morelliane dell’opera d’arte 2. Indagine più propriamente storica che cerchi di giungere alla ricostruzione dello svolgimento della produzione artistica. In tale indagine la lettura formale dell’opera d’arte ci servirà a circoscrivere le tendenze e a individuare le personalità direttrici ma per giungere alla storicizzazione dei fenomeni osservati e descritti occorre ricondurre lo svolgimento dei fatti dell’arte alla rispondenza con lo svolgimento dei fatti della società alla quale essi appartengono. L’arte, infatti, sempre espressione della libertà di gruppi socialmente attivi in quel tempo. Ancora oggi c’è chi ritiene che le considerazioni storico economiche e la ricerca delle basi ideologiche della produzione artistica non abbiano niente a che fare con la storia dell’arte in siano anzi un inquinamento. In questa avversione dobbiamo distinguere due motivi diversi. Vi è che osteggia questa metodologia perché vi scorge, più o meno coscientemente, lo spettro del marxismo che a molti studiosi provenienti dalle categorie della borghesia, suscita tuttora un’avversione irrazionale. Vi è poi chi da un punto di vista più storicistico, legato al pensiero dell’ idealismo, è rimasto ancorato al concetto di assoluta autonomia e individualità della creazione artistica e rifiuta ogni contaminazione da parte della sfera economica e politica. Tuttavia ad oggi risulta chiaro come ci sia la necessità di ancorare i fatti dell’arte allo svolgimento concreto della storia. Una storia dell’arte antica è un’indagine della formazione degli elementi costitutivi della forma artistica nei vari momenti del suo percorso storico e un’interpretazione e definizione critica dei suoi valori espressivi, dei suoi significati sociali e quindi letterali. Attraverso la storia della formazione artistica si finisce per avere una comprensione particolarmente profonda delle vicissitudini culturali, spirituali e materiali di un’età o di un territorio. Tale comprensione si pone con piena legittimità accanto alle interpretazioni che di quella età o di quel territorio possono dare la storia politica, la storia letteraria, la storia del pensiero filosofico religioso. Essa rappresenta un arricchimento culturale particolarmente intenso perché aiutato dal documento visibile.
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