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Riassunto del libro di Baxandall "Pittura ed esperienze sociali nell'Italia del Quattrocento", Sintesi del corso di Storia dell'Arte Moderna

Sintesi completa del libro di Baxandall con immagini

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

Caricato il 05/09/2020

beatriceblanche
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Scarica Riassunto del libro di Baxandall "Pittura ed esperienze sociali nell'Italia del Quattrocento" e più Sintesi del corso in PDF di Storia dell'Arte Moderna solo su Docsity! PITTURA ED ESPERIENZE SOCIALI NELL’ITALIA DEL ‘400 – BAXANDALL Cap. 1 Le condizioni del mercato 1. Un dipinto del XV sec. è la testimonianza di un rapporto sociale. Da un lato c’è il pittore che faceva il quadro, dall’altro qualcuno che commissionava il quadro, forniva il denaro per la sua realizzazione e decideva, una volta pronto, in che modo usarlo. Chi commissiona il dipinto poteva essere definito un <<mecenate>> ed è un agente attivo, definibile anche <<cliente>>. Nel XV sec. la pittura di migliore qualità era fatta su commissione e il cliente ordinava un prodotto specificandone le caratteristiche. Le opere già pronte si limitavano a soggetti quali Madonne di tipo ordinario e cassoni nuziali dipinti; le pale d’altare e gli affreschi, invece, venivano eseguiti su commissione e sia il cliente che l’artista stipulavano di comune accordo un contratto legale in cui quest’ultimo si impegnava a consegnate quanto il primo aveva concepito e progettato. Come accade oggi, allora, il cliente pagava per il lavoro. Nella storia dell’arte il denaro ha grande importanza e agisce sul dipinto non solo in quanto c’è chi intende investire denaro in un’opera, ma anche per quanto riguarda i particolari criteri di spesa. --- Vengono fatti due esempi di criteri di spesa di due clienti diversi:  Borse d’Este, duca di Ferrara, paga i dipinti a piede quadrato  Giovanni de Bardi paga il pittore in base ai materiali usati e al tempo impiegato --- E’ ovvio che i dipinti ottenuti erano diversi => I dipinti sono dei fossili della vita economica. I dipinti, inoltre, erano progettati ad uso del cliente. Un buon cliente per i pittori era il mercante fiorentino Giovanni Ruccellai, in quanto egli provava soddisfazione per il fatto di possedere oggetti di qualità. Egli riteneva che le spese per le sue opere di decorazione dessero dolcezza e allegria e consentono di onorare Dio, la città e danno memoria di lui. Aggiunge poi che l’acquisto di oggetti artistici gli procura un piacere maggiore di quello di far denaro, ovvero quello di spenderlo bene. Infatti, per un uomo come Ruccellai, che si era arricchito prestando denaro (=> con l’usura), spendere denaro per abbellire il patrimonio monumentale pubblico era un merito e un piacere, qualcosa a metà tra la donazione benefica e il pagamento di tributi alla chiesa o di tasse. Per il nostro scopo, comunque, è sufficiente sapere che l’uso primario del dipinto era quello di essere osservato: esso era progettato per il cliente e per la gente da cui questi voleva che fosse ammirato, il suo scopo era quindi quello di fornire stimoli piacevoli e indimenticabili e perfino proficui. Nel XV sec., inoltre, la pittura era ancora troppo importante per essere lasciata ai pittori. Quindi fu un periodo di pittura su commissione ed è per questo che il libro tratta in particolare del ruolo svoltovi dal cliente. 2. Filippo Lippi nel 1457 dipinse per Giovanni di Cosimo de’ Medici un trittico destinato in dono al re Alfonso V di Napoli. Lippi lavorava a Firenze e dato che Giovanni era talvolta fuori città, Filippo cercava di tenersi con lui in contatto epistolare. In fondo a una lettera Lippi forniva uno schizzo del trittico secondo il progetto.  Filippo Lippi, Altare, 1457, disegno a penna, Firenze, Archivio di Stato = Da sx a dx egli abbozzò un san Bernardo, una adorazione del Bambino e un san Michele; la cornice architettonica del trittico per la quale chiede in modo particolare l’approvazione, è disegnata in modo più chiaro e definito. N.B. Una distinzione fra pubblico e privato NON si addice molto alla funzione della pittura del XV secolo. Le commesse di privati avevano spesso un ruolo decisamente pubblico,spesso erano destinate a luoghi pubblici; una pala d’altare o un ciclo di affreschi nella cappella laterale di una chiesa non si possono affatto definire privati. Una distinzione più pertinente si ha tra le commesse controllate da grosse istituzioni corporative come le fabbriche delle cattedrali e le commesse di singoli individui o di piccoli gruppi di persone: dunque da un lato imprese collettive o comunali e dall’altro le iniziative private. Il pittore di solito veniva controllato da una persona o da un piccolo gruppo; ciò significa che in genere il pittore si trovava ad avere un rapporto diretto con un cliente profano. Anche nei casi più complessi il pittore lavorava normalmente per qualcuno chiaramente identificabile, che aveva promosso il lavoro e scelto l’artista, che aveva uno scopo ben preciso e seguiva l’esecuzione del dipinto fino alla fine. In questo il pittore differiva dallo scultore che spesso lavorava per grandi imprese comunali dove il controllo del profano era meno stretto. Anche nel caso del pittore, comunque, all’atto pratico non c’era di solito testimonianza dell’interferenza quotidiana del cliente, come nel caso della lettera di Lippi. Ma in quali settori dell’arte il cliente interveniva direttamente? C’è una categoria di documenti che legali che riportano gli elementi essenziali relativi al rapporto che stava alla base di un dipinto, accordi scritti circa i principali obblighi contrattuali delle due parti. Alcuni sono contratti veri e propri redatti da un notaio, altri sono promemoria che dovevano essere tenuti da ciascuna delle parti: gli ultimi, pur avendo una minore retorica notarile, mantenevano tuttavia un certo peso contrattuale. Entrambi contemplavano lo stesso genere di clausole. N.B. Non c’era una forma fissa per i contratti nemmeno all’interno di una stessa città. Un accordo meno atipico degli altri fu quello stipulato tra il pittore fiorentino Domenico Ghirlandaio e il priore dello Spedale degli Innocenti a Firenze per l’opera:  Ghirladaio, Adorazione dei Magi, 1488, tavola, Firenze, Spedale degli Innocenti Il contratto contiene i tre temi principali di questi tipi di accordo: 1. Specifica ciò che il pittore deve dipingere, in questo caso con l’impegno a seguire il lavoro sulla base di un disegno concordato; 2. E’ esplicito per quanto riguarda i modi e i tempi di pagamento da parte del cliente e i termini entro i quali il pittore deve effettuare la consegna; 3. Insite sul fatto che il pittore debba usare colori di buona qualità, specialmente l’oro e l’azzurro ultramarino. La quantità di dettagli e la loro precisione variavano da contratto a contratto. Le istruzioni circa il soggetto del dipinto NON entrano in genere nei particolari. Alcuni contratti elencano le singole figure che devono essere rappresentate. L’incarico era di solito impegnativo. Quello relativo alla pala d’altare di Beato Angelico del 1433 per l’Arte dei Linaioli a Firenze era di questo tipo; tenuto conto della santità della sua vita la questione del prezzo venne eccezionalmente affidata “sua coscienza”.  Beato Angelico, Madonna dell’Arte dei Linaioli, 1433, tavola, Firenze, Museo di San Marco. Circa il disegno ci sarebbero state parecchie discussioni fra le due parti. Nel contratto potevano essere enunciati gli stati attraverso i quali l’accordo sarebbe stato perfezionato. Se c’era qualche difficoltà nel descrivere il tipo di finitura desiderata, spesso si ricorreva ad altre opere (l’autore si impegnava a dipingere, ad esempio, la sua pala d’altare, secondo lo stile di un’altra pala). Solitamente la forma in cui veniva effettuato il pagamento era una somma forfettaria versata a rate, ma talvolta le spese del pittore erano distinte dal suo lavoro. Il cliente, infatti, poteva fornire i colori più costosi e pagare il pittore per il tempo impiegato e per le sue capacità. La somma concordata in un contratto NON era del tutto rigida, e se un pittore si trovava in perdita rispetto al contratto poteva solitamente rinegoziarlo. Nel caso in cui pittore e cliente non riuscissero ad organizzarsi sulla somma finale, intervenivano dei pittori professionisti in qualità di arbitri, ma in genere non si arrivava a questo punto. Il contratto del Ghirlandaio insiste sul fatto che il pittore usi colori di buona qualità e soprattutto per quanto riguarda l’azzurro ultramarino. Dopo l’oro e l’argento, infatti, l’azzurro ultramarino era il colore più costoso e di più difficile impiego usato dal pittore. Ne esistevano di qualità care, a buon mercato e persino dei sostituti più economici, noti come azzurro d’Alemagna --- L’azzurro ultramarino era si otteneva dalla polvere di lapislazzuli importata a caro prezzo dal’Oriente, mentre l’azzurro d’Alemagna non era altro che carbonato di rame; il suo colore era meno brillante e meno resistente, soprattutto nell’affresco. => Per evitare di avere delusioni a proposito dell’azzurro i clienti specificavano che doveva essere l’ultramarino; quelli ancora più prudenti stabilivano addirittura una particolare qualità, il costo all’oncia. I pittori e il loro pubblico erano molto attenti a tutto questo; ultramarino costituiva un mezzo per evidenziare qualcosa Questo è quello che accade nel caso della tavola di Piero della Francesca:  Piero della Francesca, Madonna della Misericordia, 1445/62, tavola, San Sepolcro, Galleria Le cose cambiano, però, quando il pittore doveva eseguire grandi affreschi; in questo caso le richieste del committente potevano essere un po’ meno esigenti. Quando Filippino Lippi stipulò il contratto relativo agli affreschi bella cappella Strozzi in Santa Maria Novella, l’impegno prevedeva che il lavoro dovesse essere <<tutto di sua mano e massime le figure>>. Questo significa che nell’esecuzione delle figure, generalmente più importanti e difficili degli sfondi architettonici, l’apporto personale di Filippino dovesse tradursi in un più ampio e diretto intervento della sua mano. Nel contratto firmato da Luca Signorelli per gli affreschi del duomo di Orvieto, invece, c’è una clausola molto concreta nei dettagli, in cui si dice che solo lui dovesse dipingere l’opera. I. Luca Signorelli, I dottori della Chiesa, affresco, 1499-1500, Orvieto, Cattedrale, Cappella di San Brizio Questo era un modo di concepire l’ampiezza che l’intervento personale de maestro doveva avere nella realizzazione di progetti relativi a un affresco di dimensioni molto vaste. Il cliente conferisce lustro al suo dipinto non con l’oro, ma con la maestria, con la mano del maestro in persona. Verso la metà del secolo il fatto che l’abilità pittorica venisse pagata a caro prezzo era ormai cosa nota. Sembra dunque che il cliente del XV sec. abbia fatto coincidere sempre più le sue manifestazioni di ricchezza con l’acquisto di abilità. Non tutti i clienti si comportavano però allo stesso modo: gli esempi riportati mostrano una delle linee di tendenza riscontrabile nei contratti del ‘400, anche se non la si può considerare una norma alla quale tutti si dovessero uniformare. Borso d’Este, ad esempio, è un caso in contrasto con le raffinate consuetudini commerciali. Ma le persone illuminate, spinte dalla consapevolezza che l’individualità dell’artista diventava sempre più significativa, erano abbastanza numerose da far sì che nel 1490 l’atteggiamento del pubblico nei confronti dei pittori fosse ben diverso da quello che si era avuto nel 1410. 5. Conclusioni: vi erano diversi modi per impiegare il denaro nell’abilità anziché nei materiali: c’era chi dava disposizioni affinché un pannello avesse sullo sfondo delle raffigurazioni piuttosto che delle dorature; c’era chi pagava il costoso intervento personale del grande maestro richiedendo che esso si traducesse in un impegno di relativamente vaste proporzioni. I contratti, però, non ci dicono con quali caratteristiche specifiche dovesse manifestarsi l’abilità né cosa si dovesse riconoscere come marchio a garanzia dell’abile pennellata. Esistono alcune descrizioni del ‘400 relative alla qualità dei pittori, ma sono veramente poche quelle che si possono ritenere rappresentative di un’opinione collettiva sufficientemente ampia. Alcuni testi non si possono prendere in considerazione perché scritti da artisti veri e propri, altri sono opera di uomini colti che imitavano l’antica arte di scrittori; la maggior parte di essi si limita a dire se un quadro è <<buono>> o <<ricco di talento>>, ma dal nostro punto di vista non può essere di grande aiuto. Un resoconto genuino sui dipinti è quindi un fatto che poteva verificarsi in circostanze non comuni. Un esempio è quello in cui, attorno al 1490, quando il duca di Milano decise di assumere alcuni pittori per decorare la Certosa di Pavia, il suo agente a Firenze gli inviò un promemoria relativo a 4 pittori che là andavano per la maggiore: Botticelli, Filippino Lippi, Perugino e Ghirlandaio. Quando l’agente parla della cappella di papa Sisto IV allude agli affreschi della Cappella Sistina in Vaticano; gli affreschi nella villa di Lorenzo de’ Medici a Spedaletto (vicino Volterra) sono andati perduti. Da questo resoconto emergono chiaramente alcune cose ovvie: che viene fatta una distinzione molto sottile tra affresco e pittura su tavola; che i pittori vengono considerati soprattutto come individui in concorrenza tra loro; e che bisogna fare delle distinzioni non solo sul fatto che un artista sia <<migliore>> di un altro, ma anche sul fatto che abbia un carattere diverso dall’altro. Il rapporto, però, per noi oggi è deludente, perché vengono usate espressioni come <<aria virile>>, <<aria fresca>>, <<aria dolce>> riferite agli autori, che per noi possono avere un significato, che molto probabilmente non è lo stesso che aveva per l’agente milanese. Il problema che verrà affrontato nel prossimo capitolo riguarderà il modo in cui la gente del ‘400, pittori e pubblico, prestava attenzione all’esperienza visiva in maniera tipicamente ‘400esca, e di come le caratteristiche di tale attenzione divennero parte del loro stile pittorico. Cap. 2 L’occhio del ‘400 1. Un oggetto riflette un disegno di luce sull’occhio. La luce entra nell’occhio attraverso la pupilla, viene raccolta dal cristallino e proiettata sulla retina. Quest’ultima è dotata di una rete di fibre nervose che filtrano la luce a diversi milioni di ricettori, i coni. La reazione dei coni consiste nel portare al cervello le informazioni relative alla luce e al colore. E’ a questo stadio del processo che nell’uomo gli strumenti della percezione visiva cessano di essere uniformi e cambiano da individuo a individuo. Ognuno, infatti, elabora i dati dell’occhio servendosi di strumenti differenti. In pratica queste differenze sono piuttosto modeste dal momento che la maggior parte dell’esperienza è comune a tutti: tutti noi siamo in grado di riconoscere la nostra specie e i suoi membri, di stimare la distanza e l’altezza, di rilevare e valutare il movimento e tante altre cose. Tuttavia in certe circostanze le differenze da uomo a uomo possono assumere una strana rilevanza. --- Supponiamo che a un uomo venga mostrata l’immagine nella tavola 13. C’è chi potrebbe vederla essenzialmente come una cosa rotonda con un paio di proiezioni allungate a forma di L su ogni lato; chi invece potrebbe vedere in essa una forma circolare sovrapposta a una rettangolare interrotta, ecc. Il fatto di tendere a dare un’interpretazione piuttosto che un’altra può dipendere da molte cose, in particolare dal contesto dell’immagine che qui non è reso noto, ma non meno dalla capacità interpretativa che ciascuno possiede e cioè le categorie, i modelli e le abitudini di deduzione e analogia: quello che si può, cioè, definire lo <<stile conoscitivo>> individuale. Supponiamo che colui che guarda la tavola 13 possegga modelli e concetti di forma come quelli della tavola 14 e sia abituato ad usarli. Costui sarà incline a dare alla figura la seconda interpretazione. E’ invece improbabile che egli la veda come essenzialmente come una cosa rotonda con proiezioni laterali; la vedrà piuttosto come un cerchio sovrapposto a un rettangolo: egli conosce queste categorie ed è abituato a distinguere questi modelli in forme complesse. Aggiungiamo ora alla tavola 13 un contesto --- Si trova in una descrizione della Terra Santa stampa a Milano nel 1481 con didascalia che dice che è la forma del Santo Sepolcro di Gesù cristo. Il contesto aggiunge due elementi importanti per l’interpretazione della figura. Si sa che è stata fatta con l’intento di rappresentare qualcosa: colui che la guarda è, quindi, portato a catalogarla nella convenzione della pianta. In secondo luogo si è indotti a considerare il fatto che ci si può rifare a precedenti esperienze di edifici in base alle quali si ricaveranno delle deduzioni. Un uomo abituato all’architettura italiana del XV sec. poteva desumere che il cerchio fosse un edificio circolare, forse con una cupola, e che le ali rettangolari siano delle sale. Ma un cinese del XV sec. poteva desumere una corte centrale circolare sul modello del nuovo Tempio del Cielo a Pechino. Qui abbiamo quindi 3 tipi di strumenti diversi e molto legati alla cultura che la mente usa per dare un’interpretazione piuttosto che un’altra al disegno di luce che la tavola 13 trasmette alla retina. In pratica, però, NON si tratta di elementi che operano uno di seguito all’altro, ma insieme; il processo è indescrivibilmente complesso e ancora oscuro nei suoi dettagli fisiologici. 2. Tutto ciò può sembrare molto diverso dal nostro modo di guardare un dipinto, ma non lo è. La tavola 15 rappresenta un fiume e in essa vengono usate almeno due distinte convenzioni rappresentative: - le sirene e il paesaggio miniaturizzato alla sinistra sono rappresentati da linee indicanti i contorni di forme e il punto di vista si trova in basso leggermente rivolto verso l’alto; - il corso del fiume e la dinamica del suo flusso sono resi con un diagramma e in modo geometrico e il punto di vista si trova sulla verticale. La convenzione di rappresentare la superficie dell’acqua con una increspatura lineare costituisce l’elemento di mediazione fra uno stile rappresentativo e l’altro. La prima convenzione è più immediatamente collegata a ciò che si vede, mentre la seconda è più astratta e concettualizzata, ma entrambe implicano una capacità e una volontà di interpretare i segni sulla carta come rappresentazioni che semplificano un aspetto della realtà all’interno di regole ormai accentuate. a. Esempio: Piero della Francesca, Annunciazione, affresco, 1452/58, Arezzo, Basilica di San Francesco La comprensione del dipinto si fonda sul riconoscimento di una convenzione rappresentativa imperniata sul fatto che il pittore dispone i colori su un piano bidimensionale per rifarsi a qualcosa di tridimensionale. Boccaccio, descrivendo questo processo, spiega che il pittore doveva fare in modo che la figura dipinta fosse molto simile a quella prodotta dalla natura, in modo che riesca ad ingannare lo spettatore, facendogli credere che la cosa dipinta sia quello che non è. --- Infatti, dato che la vista è stereoscopica, è molto difficile che ci si possa ingannare a tal punto da cedere che un dipinto di questo genere sia vero. L’affermazione di Boccaccio è sottolineata anche da Leonardo, che aggiunge un disegno per dimostrare perché è così. --- A e B sono i nostri occhi, C è l’oggetto osservato, E ed F lo spazio dietro di esso, D e G la superficie che viene nascosta da un oggetto dipinto, ma che è visibile nella realtà. Ma la convenzione consisteva nel fatto che il pittore facesse la sua superficie piatta in modo da richiamare il più possibile un mondo tridimensionale e gli veniva attribuito il merito di avere tale capacità. Nell’Italia del XV sec. c’erano delle aspettative nei confronti dell’artista, che variavano a seconda della collocazione cui era destinato il dipinto, ma un’aspettativa rimaneva costante, il fruitore si aspettava il <<talento>>. 1. L’uomo del ‘400 si impegnava a fondo nel guardare un dipinto, anche se ciò può apparire curioso. Sapeva che in un buon dipinto ci doveva essere abilità e spesso era convinto che il dare un giudizio su di essa e talvolta anche l’esprimerlo verbalmente, fosse compito del fruitore colto. Osservando il dipinto di Piero, un uomo che avesse un minimo di rispetto intellettuale di sé non poteva assolutamente restare passivo, ma era tenuto ad esprimersi. 2. Il dipinto risente dei tipi di capacità interpretativa (schemi, categorie, deduzioni, analogie), che la mente gli fornisce. La capacità umana di riconoscere un certo tipo di forma o un rapporto di forme influisce senz’altro sull’attenzione che l’uomo dedica all’osservazione di un quadro. --- Es. Se ha una certa abilità nel notare i rapporti proporzionali, o se ha una certa pratica nel ridurre delle forme complesse a composizioni di forme semplici, o dispone di una ricca gamma di categorie per diversi tipi di rosso e di bruno, tutte queste capacità lo porteranno a dare una lettura dell’ Annunciazione di Piero della Francesca diversa da quella di gente priva di tali capacità e senza dubbio molto più acuta di quella di persone cui l’esperienza non ha fornito quelle capacità che sarebbero necessarie per meglio comprendere il dipinto. Perché è chiaro che ci sono delle capacità percettive che sono più adatte di altre a un certo dipinto. Buona parte di ciò che noi chiamiamo <<gusto>> consiste nella corrispondenza fra l’analisi richiesta da un dipinto e la capacità di analisi del fruitore. Se un dipinto ci dà l’occasione per fare uso di capacità comunicative apprezzate e ricompensa la nostra perizia con la sensazione di aver saputo cogliere il modo in cui quel dipinto è organizzato, siamo portati a provare piacere. Questo non avviene quando si è privi di quelle capacità. 3. L’uomo si trova davanti al dipinto con una quantità di informazioni e opinioni tratte dal’esperienza generale. La nostra cultura è sufficientemente vicina al ‘400 da permetterci di accettarne buona parte del patrimonio e di non avere la netta sensazione di fraintenderne i dipinti. Però ci può essere difficile renderci conto di quanto la nostra comprensione del dipinto dipenda dalle nostre conoscenze personali. Prendiamo due tipi contrastanti di questo genere di conoscenza: se nella lettura dell’Annunciazione di Piero della Francesca si prescindesse a. dalla supposizione che gli elementi architettonici siano con ogni probabilità rettangolari e regolari --- nonostante la rigorosa costruzione prospettica di Piero, la logica del dipinto dipende in gran parte dal fatto che noi supponiamo che la loggia sporga ad angolo retto dalla parete di fondo; eliminando questa ipotesi ci si trova in uno stato di incertezza circa l’intero schema spaziale della scena. b. dalla conoscenza della storia dell’Annunciazione, sarebbe molto difficile riuscire a dedurlo --- Se uno non sapesse la storia dell’Annunciazione sarebbe difficile distinguere chiaramente cosa stava accadendo nel dipinto di Piero. Ciò non significa che Piero raccontasse male la sua storia; ma che egli poteva fare assegnamento sul fatto che il fruitore riconoscesse il soggetto dell’Annunciazione con un’immediatezza sufficiente da permetterli di accentuarlo, modificarlo e adattarlo in modo abbastanza spregiudicato. La posizione frontale di Maria risponde a diverse esigenze:  è una soluzione cui Piero ricorre per provocare la partecipazione del fruitore II. Bellini, Trasfigurazione, tempera su tavola, 1460, Venezia, Museo Correr --- Bellini non ha bisogno di fornire dettagli e di luoghi e personaggi che il pubblico aveva già immaginato. Egli integra la visione interiore del fruitore. I suoi personaggi, così come i luoghi, sono generici e tuttavia decisamente concreti, e sono strutturati secondo schemi di forte suggestione narrativa. La concretezza e l’adeguata tipologia dei modelli, non potevano essere fornite dal fruitore, dato che queste qualità non si possono produrre con immagini mentali. Il dipinto è la testimonianza di una collaborazione tra Bellini e il suo pubblico. => Pensare di poter vivere fino in fondo l’esperienza della Trasfigurazione come era stata concepita da Bellini o di poterla considerare come la semplice espressione di uno stato d’animo sarebbe solo un’illusione. Spesso i dipinti esprimono la loro cultura non solo direttamente, ma piuttosto in modo complementare, perché è in quanto complementi della cultura che riescono a soddisfare meglio le esigenze del pubblico. Il Zardino de Oration descrive degli esercizi spirituali individuali intesi a rendere più intensa e acuta l’immaginazione. Il pittore si rivolgeva a persone che venivano istruite pubblicamente sullo stesso argomento e in modo più formale e analitico. I sermoni avevano un ruolo molto importante nel caso del pittore: sia il predicatore che il dipinto facevano parte dell’apparato di una chiesa e ciascuno teneva conto dell’altro. Il XV sec. segnò l’ultima occasione per il predicatore popolare di tipo medievale; infatti, poi, il Concilio Laterano del 1512/17 li soppresse. --- Questo è uno degli elementi che in Italia differenziano il sostrato culturale del ‘400 da quello del ‘500. I predicatori popolari erano privi di gusto e talvolta miravano ad infiammare gli animi, ma assolvevano la loro funzione di insegnanti in modo insostituibile; essi addestravano i loro fedeli ad acquisire una serie completa di capacità interpretative che corrispondono esattamente alla reazione del ‘400 alla pittura. --- Un esempio è quello di Fra Roberto Caracciolo da Lecce. Il susseguirsi delle festività nel corso dell’anno liturgico dava occasione di toccare molti dei temi trattati dai pittori, spiegando il significato degli avvenimenti e risvegliando nel suo uditorio i sentimenti di pietà consoni a ciascun episodio. Questi sermoni erano una classificazione delle storie in termini molto emotivi, strettamente legati alla personificazione fisica e quindi anche visiva dei misteri. Il predicatore e il pittore erano dei repetiteur l’uno dell’altro. --- Esaminiamo un sermone: Fra Roberto predicando sull’Annunciazione distingue 3 MISTERI principali, ciascuno dei quali viene discusso in 5 capitoli principali: I. <<Angelica Missione>> a. <<Congruita>> = L’Angelo quale tramite adatto a mediare tra Dio e il mortale b. <<Dignita>> = Gabriele appartiene all’ordine più alto degli Angeli c. <<Chiarita>> = L’Angelo si manifesta materialmente agli occhi di Maria d. <<Temporalita>> = Avviene venerdì 25 marzo, forse all’alba o a mezzogiorno e. <<Localita>> = Nazareth II. <<Angelica Salutazione>> (saluto angelico) a. <<Honoratione>> = L’Angelo si inginocchia dinanzi a Maria b. <<Exemptione>> = Esenzione dalle doglie del parto c. <<Gratificatione>> = Conferimento della grazia d. <<Assumptione>> = Unione con Dio e. <<Benedictione>> = Beatitudine di Maria unica Vergine e Madre --- Quanto detto fino a qui da Fra Roberto è sostanzialmente preliminare e marginale rispetto al dramma di Maria visualizzato dal pittore. III. <<Angelica Confabulatione>> ---E’ questo, il terzo mistero, che chiarisce il sentimento ‘400esco per quanto è accaduto a Maria nel momento cruciale che il pittore doveva rappresentare. Fra Roberto delinea la successione di 5 condizioni spirituali e mentali o stati d’animo attribuibili a Maria: a. Conturbatione b. Cogitazione c. Interrogatione d. Humiliatione e. Meritatione = Quest’ultima fa seguito al congedo di Gabriele e fa parte delle rappresentazioni della Vergine da sola, il genere cioè che ora chiamiamo <<Annunziata>>. La maggior parte delle Annunciazioni del XV sec. sono identificabili come Annunciazione di Conturbatione o Humiliatione. I predicatori preparavano il pubblico sul repertorio dei pittori e i pittori rispettavano la corrente categorizzazione emotiva dell’evento. Anche senza le indicazioni di Fra Roberto saremmo comunque in grado di cogliere un vago senso di Turbamento o riflessione o umiltà che riscontriamo nell’immagine della scena, ma è indubbio che la conoscenza delle categorie del ‘400 rende più acuta la nostra capacità di percepire le differenze.  Lippi, Annunciazione, 1440/60, tavola, Firenze, San Lorenzo --- CONTURBATIONE  Maestro delle Tavole Barberini, Annunciazione, 1440/60, tavola, Washington, National Gallery of Art --- COGITATIONE  Alessio Baldovinetti, Annunciazione 1440/60, tempera su tavola, Firenze, Uffizi ---INTERROGATIONE  Beato Angelico, Annunciazione, 1440/60, affresco, Firenze, Museo di San Marco --- HUMILIATIONE Il fatto di riuscire a percepire le differenze ci fa venire in mente che, per esempio, Beato Angelico non si allontana mai sostanzialmente dal genere dell’ humiliatione; mentre Botticelli ha una pericolosa preferenza per la conturbatione; o che buona parte dei meravigliosi modi trecenteschi di esprimere la Cogitatione e l’Interrogatione diventano confusi e decadono nel XV sec., a eccezione di qualche occasionale ripresa da parte di un pittore quale Piero della Francesca.  Sandro Botticelli, Annunciazione, 1490, tavola, Firenze, Uffizi Lo sviluppo pittorico del ‘400 avvenne all’interno delle categorie che riassumevano l’esperienza emotiva di quel secolo. 6. L’elemento essenziale delle storie era la figura umana. Ciò che caratterizzava la figura non era tanto la sua fisionomia, lasciata per lo più al fruitore, come abbiamo visto, quanto piuttosto il suo atteggiamento. Ma c’erano delle eccezioni, e specialmente per quanto riguarda la FIGURA DEL CRISTO. Quest’ultima lasciava meno spazio di altre all’immaginazione personale, perché il XV sec. aveva la fortuna di essere convinto di possedere una testimonianza oculare del suo aspetto. Essa si trovava in un rapporto apocrifo che un Lentulo, governatore della Giudea, avrebbe inviato al Senato romano. Nella descrizione si diceva che Cristo era un uomo di statura media, dal volto venerabile. I capelli biondi erano lisci fino alle orecchie e poi da lì in giù ricci e crespi; aveva la riga in mezzo che divideva i capelli in due parti. La fronte era piena e il volto sereno e senza rughe, dal colore rosa pallido. Aveva la barba folta, dello stesso colore dei capelli, non troppo lunga, ma divisa in due parti, come i capelli. Gli occhi erano chiari. --- Solo pochi dipinti non rispettano questo modello. LA VERGINE, invece, era raffigurata in modo meno uniforme e c’era una tradizione consolidata di controversie circa il suo aspetto; c’era per esempio il problema della sua carnagione: scura o chiara. La descrizione della Vergine lasciava ancora spazio all’immaginazione. Lo stesso dicasi per i SANTI, sebbene molti avessero alcuni segni fisici come elementi emblematici di identificazione e generalmente consentivano un margine di intervento al gusto individuale e alle tradizioni proprie di ogni pittore. Molte figure esprimono un carattere peculiare indipendentemente dal rapporto che esse hanno con le altre. Probabilmente non perdiamo molto a non saper leggere i volti in modo ‘400esco; la complessa fisiognomica della medicina del tempo era troppo accademica per costituire una fonte cui il pittore potesse attingere e i luoghi comuni della fisiognomica popolare sono rimasti pressoché invariati. Leonardo da Vinci tuttavia considerava la fisiognomica una falsa scienza; egli riteneva che il pittore dovesse limitarsi a osservare i segni lasciati sul volto dalle passioni. Comunque ci si accorgerà immediatamente se un pittore si dedica molto a questo genere di osservazione. Sono molto più numerose le cose che ci possono sfuggire se non facciamo nostra questa capacità popolare di cogliere lo stretto rapporto tra il movimento del corpo e i moti dell’animo e della mente.  Pinturicchio, Scena dall’Odissea, 1509, affresco, Londra, National Gallery --- Questo dipinto sembra usare un linguaggio che noi comprendiamo solo a metà. L’uomo ben vestito in primo piano sta facendo delle rimostranze o sta raccontando qualcosa? La figura all’estrema destra con la mano sul cuore e lo sguardo al cielo indica un’emozione piacevole o spiacevole? Tutti questi interrogativi si possono riunire in una sola domanda: qual è il soggetto di questo quadro? Non conosciamo abbastanza a fondo il linguaggio per poter affermare qualcosa con sicurezza. L’espressione fisica dello stato d’animo mentale e spirituale è una delle maggiori preoccupazioni di Alberti nel suo trattato sulla pittura. Non ci sono dizionari sul linguaggio dei gesti del Rinascimento; ci sono però delle fonti che offrono delle indicazioni sul significato di un gesto: esse sono poco autorevoli e devono quindi essere usate con cautela, ma le indicazioni che trovano conferma in un ricorrente uso nei dipinti sono molto utili per avanzare delle ipotesi. Leonardo suggeriva 2 fonti a cui il pittore potesse attingere per i gesti: a. Monaci votati al silenzio --- Di questi abbiamo solo pochi cenni che consistono in elenchi del linguaggio dei segni elaborati nell’ordine benedettino per essere usati durante i periodi di osservanza del silenzio.  Masaccio, Cacciata dei progenitori, 1427, affresco, Firenze, Santa Maria del Carmine --- Grazie ai segni presenti negli elenchi possiamo capire che è Adamo che esprime vergogna, mentre Eva solo dolore. Nella coppia di figure si combinano due aspetti della reazione emotiva. Ogni lettura di questo tipo dipende dal contesto. San Bernardino da Siena lamentava in uno dei suoi sermoni che i pittori della Natività mostrassero san Giuseppe con il mento appoggiato alla mano, per indicare malinconia; ma Giuseppe era un vecchio sereno, egli dice, e così dovrebbe essere raffigurato. Sebbene questo gesto spesso implichi malinconia, viene anche usato nel senso di meditazione, come dovrebbe suggerire un contesto della Natività. b. Predicatori --- Sono una fonte più utile e anche più autorevole; sono veri e propri attori dotati di notevoli capacità mimiche con una gamma di gesti codificati, non specifici per l’Italia. Un predicatore italiano poteva girare nel Nord Europa predicando con successo perfino in luoghi come la Bretagna e raggiungere il suo effetto proprio soprattutto grazie al gesto. Molti italiani devono aver seguito i sermoni latini proprio allo stesso modo. Restava, però, sempre il problema di dover porre un limite --- Esempio: Fra Mariano da Genazzano raccoglieva le lacrime che gli cadevano copiose nelle mani messe a conca e le gettava verso i fedeli. Tali eccessi erano abbastanza insoliti tanto da provocare il commento grazie al quale ne abbiamo notizia, ma una serie più contenuta e tradizionale di accenti istrionici era evidentemente normale. Trattando lo stesso argomento dei predicatori, nello stesso luogo dei predicatori, i pittori inserivano nel dipinto le espressioni fisiche del sentimento secondo lo stile usato dai predicatori. Tale processo lo si può osservare, ad esempio: personale con il gruppo di angeli. L’artificio agisce su di noi, dipende dalla nostra disponibilità ad aspettarci, se non addirittura a impegnarci in taciti rapporti con un gruppo di persone e all’interno di esso. Diventiamo parte attiva dell’avvenimento. E il problema sta proprio in questa trasformazione di un’arte sociale popolare di accostare i personaggi in un’arte in cui lo schema di personaggi può ancora suscitare una netta sensazione di reciproca azione psicologica: c’è da chiedersi se noi possediamo la corretta predisposizione per cogliere tale raffinata allusione in modo del tutto spontaneo. Un’attività che ci permette di comprendere questi gruppi in pittura un po’ più a fondo è la bassa danza, la danza a passo lento che divenne popolare in Italia nella prima metà del secolo. Diversi sono gli elementi che fanno della bassa danza un utile parallelo: 1. E’ un’arte a sé con tratti propri: come l’arte della retorica, la danza si compone di 5 parti: Aere, Maniera, Misura, Misura di terreno, Memoria 2. I danzatori erano concepiti e classificati in gruppi di figure, in schemi; gli italiano non usavano una notazione della danza, ma descrivevano in modo completo i movimenti delle figure 3. Il parallelo tra la danza e la pittura sembra sia esso stesso imposto alla gente del ‘400 Se prendiamo i termini Aere, Maniera, Misura, essi rappresentano delle analisi critiche molto adatte a Pisanello. Il trattato sulla pittura di Alberti e il trattato sulla danza di Guglielmo Ebreo hanno in comune una preoccupazione per i movimenti fisici come riflesso dei moti mentali. Oltre i principi trattati offrono degli esempi di figure tipo che, in modo piuttosto esplicito, esprimono dei rapporti psicologici. Le danze erano semidrammatiche. Come tutto ciò fosse legato allo stile usato dai pittori nel creare dei gruppi è di solito molto più evidente nei dipinti di oggetto neoclassico e mitologico che non in quelli religiosi. Nei primi il pittore era costretto a inventare qualcosa di nuovo in un linguaggio ‘400esco, invece di limitarsi ad affinare i modelli religiosi tradizionali adattandoli alla sensibilità del suo secolo.  Botticelli, La nascita di Venere, 1483/85, tela, Firenze, Uffizi --- Dipinta per Lorenzo Pierfrancesco de’ Medici come La Primavera; suo cugino, Lorenzo di Piero de’ Medici, il Magnifico, aveva composto una danza intitolata Venus, probabilmente negli anni ’60. La forma è sempre quella delle due figure laterali che dipendono da quella centrale. Il sesso non è specificato. L’analogia non significa che quella danza particolare abbia influenzato proprio quel dipinto, ma che sia la danza che il quadro di Venere vennero creati per gente con lo stesso tipo di approccio alle scene artistiche di gruppo. La sensibilità rappresentata dalla danza richiedeva al pubblico una capacità di interpretare schemi di figure, che permise al Botticelli e ad altri pittori di contare su una analoga prontezza del pubblico nell’interpretare i loro gruppi. Quando aveva a che fare con un soggetto neoclassico il pittore poteva far danzare le figure in modo da esprimere palesemente il loro rapporto, come fa il Botticelli:  Botticelli, Pallade che doma il centauro, 1483, tavola, Firenze, Uffizi--- Non importa molto se la storia non ci è familiare: il dipinto può essere preso nello spirito di un ballo a tre. 8. Come abbiamo visto, i personaggi rappresentati non venivano stabiliti in base ai modelli relativi a gente reale, ma in base ai modelli desunti dall’esperienza di gente reale. Le figure dei pittori e il loro ambiente erano anche dei colori e delle forme molto complesse e il bagaglio culturale del XV sec. non era in tutto e per tutto uguale al nostro. Ciò è decisamente meno evidente per i colori che non per le forme. Riunire i colori in serie simboliche era un gioco tardo-medievale ancora in uso nel Rinascimento. Sant’Antonio e altri elaborarono un codice teologico: Bianco: purezza Rosso: carità Giallo-oro: dignità Nero: umiltà Alberti e altri fornirono un codice relativo ai 4 elementi: Rosso: fuoco Blu: aria Verde: acqua Grigio: terra C’era un codice astrologico sul quale si basava Leonello d’Este, marchese di Ferrara, per la scelta quotidiana degli abiti. Ce n’erano anche altri naturalmente e il risultato era quello di elidersi ampiamente a vicenda. Ciascun codice poteva essere operante solo all’interno di limiti molto ristretti. Ma a meno che il riferimento a un codice derivasse da speciali spunti suggeriti da circostanze di questo tipo, esso non poteva far arte del normale modo di vivere l’esperienza visiva. I simbolismi legati ai codici non sono importanti in pittura. Non ci sono codici segreti che valga la pena di conoscere a proposito del colore usato dai pittori. Le tinte non erano uguali, non erano percepite come uguali, e il pittore e il suo cliente cercavano di tener presente il più possibile questo fatto. L’enfasi data da un colore prezioso non venne però abbandonata dai pittori una volta che essi e i loro clienti ebbero delle remore nell’ostentare ampie quantità di tali colori per il loro prestigio. C’erano colori costosi, ricavati da lapislazzuli, e c’erano colori economici. L’occhio era colpito da quelli preziosi prima che dagli altri. All’epoca c’era per esso una sorta di disgusto intellettuale e pittorico: la tensione è una delle caratteristiche del periodo. Il disgusto si esprimeva in una disputa sulla pura relatività del colore. L’affermazione letteraria più eloquente si ebbe intorno al 1430, dall’umanista Lorenzo Valla. Le osservazioni di Alberti sulle armonie di colore sono meno semplicistiche e le sue considerazioni sulle combinazioni dei colori sono le più precise che si possono trovare, e la difficoltà a comprendere a fondo cosa egli intenda è un ammonimento: le parole non erano infatti il mezzo con cui gli uomini del XV sec., o chiunque altro, potessero esprimere il loro senso del colore. 9. A Firenze, e nella maggior parte delle altre città su cui si hanno notizie, un ragazzo nelle scuole laiche private o municipali riceveva due gradi di ISTRUZIONE: 1. Scuola elementare o botteguzza --- Per circa 4 anni dall’età dei 6/7 anni: imparava a leggere e scrivere e alcune nozioni di base di corrispondenza commerciale e formule notarili. 2. Scuola secondaria, chiamata abbaco --- Per circa 4 anni dall’età di 10/11 anni: si studiavano libri più impegnativi, ma la maggior arte dell’insegnamento era basato sulla matematica. Pochissimi, poi, entravano all’università per diventare avvocati; per la maggior parte della gente appartenente alla borghesia le nozioni matematiche acquisite nella scuola secondaria costituivano il nucleo centrale della loro formazione intellettuale. Molti dei loro manuali esistono ancora oggi: era una matematica commerciale strutturata sulle esigenze del mercante e entrambe le sue principali nozioni sono inserite nella pittura del ‘400. Una di queste è la misurazione. E’ un fatto importante della storia dell’arte che le merci siano arrivate in contenitori di misura standard solo a partire dal XIX sec.: prima ogni contenitore era unico, e calcolare il suo volume in modo rapido e preciso era una condizione essenziale negli affari. Conoscere il modo in cui una società misurava i suoi barili e ne calcolava il volume è importante, perché è indice delle sue capacità analitiche e delle sue usanze. Un italiano misurava i suoi barili per mezzo della geometria e del π. Questo è un mondo intellettuale tutto particolare. --- Piero della Francesca, Abaco: è un manuale di matematica per mercanti, nel quale ci sono le istruzioni per misurare un barile. C’è quindi uno strettissimo rapporto tra il pittore e la geometria mercantile e questo è un punto essenziale. Le capacità che qualsiasi pittore usava per analizzare le forme che dipingeva erano le stesse che qualunque commerciante usava per misurare delle quantità. E il legame fra la misurazione e la pittura è estremamente concreto. Da un lato molti pittori, loro stessi uomini d’affari, erano passati attraverso l’istruzione matematica secondaria delle scuole laiche; dall’altro il pubblico colto aveva queste stesse nozioni geometriche per guardare i dipinti: era uno strumento di cui erano dotati per esprimere dei giudizi e i pittori lo sapevano. Un modo ovvio per il pittore di provocare l’intervento del misuratore era quello di fare un acuto uso del repertorio degli oggetti solitamente usati negli esercizi di misurazione --- Es. Quasi ogni manuale usava un padiglione (un cono adatto, o il composto di un cono e di un cilindro, o di un cilindro e di un tronco di cono) come esercizio per calcolare le aree di superficie e si chiedeva di calcolare quanta stoffa era necessaria per fare il padiglione. Quando il pittore usava il padiglione in un suo dipinto invitava il suo pubblico, prima di tutto, a riconoscere nel padiglione un composto di un cilindro e di un cono e, successivamente, qualcosa che andava al di là di un cilindro e di un cono in senso stretto. Ne risultava una conoscenza più concreta del padiglione quale precisa forma volumetrica. Questo è un modo per soddisfare la terza richiesta della Chiesa al pittore e cioè lo stimolare l’uso della vista nella sua speciale qualità di immediatezza e di forza. Nelle sue manifestazioni pubbliche il pittore dipendeva di solito dalla generale attitudine del suo pubblico a misurare. Per l’uomo di commercio quasi tutto era riducibile alle figure geometriche; questa abitudine di analisi era molto simile all’analisi delle apparenze fatta dal pittore. In entrambi i casi c’è una consapevole tendenza a ridurre delle masse e dei vuoti irregolari a combinazioni di corpi geometrici calcolabili. Un pittore che lasciava delle tracce di questo tipo di analisi nei suoi dipinti lasciava dei suggerimenti che il suo pubblico era perfettamente in grado di recepire.  Paolo Uccello, Battaglia di san Romano, tavola, 1455, Londra, National Gallery --- Ci sono vari modi di vedere il cappello di Niccolò da Tolentino: uno è quello di vedere un cappello rotondo coronato da una balza; un altro di considerarlo un composto di un cilindro e di un disco poligonale rigonfio a forma di cappello. I due non si escludono a vicenda. Di primo acchito attira l’attenzione per la sua dimensione e il suo sfarzo esagerati; poi, in un secondo momento, per il disegno paradossale di questa estrema tridimensionalità dei cappelli che si comportano come fossero bidimensionali, senza tenere conto della forma dell’oggetto ; infine per il sorgere di un interrogativo circa il poligono della corona, che è certamente poligonale, ma ci si domanda che tipo di poligono sia. Il fatto che ci si spinga fino a questo punto avviene perché ci si diverte a fare questo esercizio. I concetti geometrici di un misuratore e la sua attitudine a esercitarli, rende più acuta la sensibilità visiva di un uomo di fronte alla realtà di un volume.  Masaccio, La cacciata dei progenitori dal Paradiso terrestre, 1424/25, affresco, Firenze, Chiesa del Carmine, cappella Brancacci --- In questo modo si è più portati a comprendere più a fondo il personaggio di Adamo, vedendolo come composto di cilindri;  Masaccio, Trinità, affresco, 1426/28, Firenze, Santa Maria Novella --- Avviene la stessa cosa si prima, ma con la figura di Maria, che viene vista come un massiccio tronco di cono. Nell’ambiente sociale ‘400esco del pittore ci costituiva uno stimolo a usare i mezzi che egli aveva a disposizione, nel caso di Masaccio la concezione toscana di suggerire una massa indicando i toni di luce e ombra che una fonte di luce avrebbe prodotto su di essa. Un pittore che avesse lavorato all’interno di altre convenzioni avrebbe potuto usare mezzi diversi per raggiungere uno scopo analogo. Per esempio Pisanello veniva da una tradizione dell’Italia settentrionale secondo la quale una massa veniva resa più con i suoi contorni caratteristici che non con i toni. Sembra che in molte parti dell’Italia la gente preferisse questa convenzione, forse perché era i tipo di pittura alla quale erano abituati o forse perché a essi piaceva l’impressione di mobilità che essa produceva.  Pisanello, Apparizione della Madonna ai santi Antonio Abate e Giorgio, 1450, tavola, Londra, National Gallery --- San Giorgio costituisce, a suo modo, una prova impegnativa per il misuratore. 10. L’aritmetica era l’altra branca della matematica commerciale (la prima branca era la geometria), anch’essa di fondamentale importanza nella cultura del ‘400. E al centro dell’aritmetica commerciale c’era lo studio delle PROPORZIONI. informazioni relative ad argomenti quali il gesto religioso. La <<buona aria>> del Ghirlandaio rimane la descrizione sommaria e poco efficace di un artista con un carattere poco marcato. Ora la scarsa chiarezza della lettera inviata a Milano è in parte dovuta all’incertezza lessicale di chi non ha a capacità di descrivere a parole lo stile pittorico in modo completo. Ciascuno dei termini da lui usati può essere inteso in 2 sensi:  Come la sua reazione ai dipinti  Come l’origine latente dei suoi schemi di giudizio <<Viriile>>, <<proporzione>> e <<angelica>> riferiscono i dipinti ai sistemi di analisi tipici della persona ben educata, del mercante, del credente a cui egli attingeva. E’ utile leggere molto attentamente un breve testo di Cristoforo Landino, il miglior critico d’arte del ‘400. Non è il <<genuino>> resoconto sulla pittura che prima non siamo riusciti a trovare. Landino è dotato di una proprietà di linguaggio piuttosto insolita, si rivolgeva a uomini comuni on lo scopo di essere da loro compreso. Prenderemo in esame 16 termini impiegati da Landino per descrivere quattro pittori fiorentini. Alcuni dei termini saranno specificamente pittorici, di uso comune nella bottega del pittore e ci diranno il genere di cose che probabilmente anche i non pittori sapevano sull’arte. Altri termini saranno del tipo di <<virile>>, e <<Angelica>>, tratti da un discorso più ampio e questi ci diranno invece qualcosa circa le più generali origini degli schemi di giudizio del ‘400. E tutti insieme costituiranno un solido bagaglio culturale ‘400esco per guardare i dipinti in quel secolo. 2. Ma prima di fare ciò sarà utile guardare come a quell’epoca venisse vista la storia generale della pittura del XV sec.: quali erano i pittori che spiccavano sulla massa? E’ difficile da stabilirsi . Mentre la pittura del ‘300 è stata riassunta in Cimabue, Giotto e gli allievi di Giotto, il ‘400 non produsse mai uno schema altrettanto netto. L’elenco più distaccato si trova nel componimento poetico di un pittore che lavorò a Urbino, Giovanni Santi, padre di Raffaello Sanzio. Egli aveva una prospettiva neutrale. Egli non era un artista importante, tuttavia fu un pittore eclettico e molto preciso, operante nell’ambito di una scuola dell’Italia orientale.  Giovanni Santi, La Vergine e il Bambino con i santi Crescenzio, Francesco, Girolamo, Antonio e il conte Oliva Pianiani, tavola, 1489, Montefiorentino, San Francesco --- Questa pala d’altare da lui firmata a Montefiorentino è riprodotta qui come una testimonianza della sua professionalità e come una concreta affermazione del suo livello. Quanto al suo poema, è una lunghissima cronaca ritmata in terza rima, che narra la vita e le gesta del suo datore di lavoro Federigo da Montefeltro, duca di Urbino; l’occasione per l’excursus sulla pittura è una visita di Federigo a Mantova dove vide l’opera di Andrea Mantegna. Ma soprattutto viene qui dato un elenco in rima di altri grandi maestri di pittura. Se lo schematizziamo, abbiamo la seguente tavola. Diversamente da molti fiorentini, Santi è consapevole della bella pittura prodotta a Venezia e nel Nord Italia: egli riconosce anche la buona qualità della pittura olandese, ma il maggior peso viene attribuito a Firenze, a cui appartengono 13 dei 25 artisti italiani. Vedremo ora le definizioni che Cristoforo Landino dà alle caratteristiche di altri 4: Masaccio, Filippo Lippi, Andrea del Castagno e il Beato Angelico. 3. Cristoforo Landino era uno studioso latino e un filosofo platonico, un esponente della lingua volgare e uno scrittore di lettere pubbliche presso la Signoria di Firenze. Era amico di Leon Battista Alberti ed era il traduttore della Naturalis Historia di Plinio. Landino dà anche una descrizione di Alberti inserendolo tra i fisici e in particolare inserendolo tra i geometrici, i matematici, gli astrologi e i musici. Aggiunge poi che scrisse il De Pictura, il De Sculptura. Il De Pictura di Alberti è stato scritto nel 1435, è il primo trattato in Europa sulla pittura ed è composto da 3 libri: 1. Libro I: è una geometria della prospettiva 2. Libro II: descrive la buona pittura suddividendola in 3 sezioni: a. <<Circumscriptione>>, o contorno dei corpi b. <<Compositione>> c. <<Ricevere lumi>> o toni e tinte 3. Libro III: discute la formazione e lo stile di vita dell’artista La Naturalis Historia di Plinio fu scritta nel I sec. d.C. e comprende nei suoi libri la più completa stria critica dell’arte classica che ci sia giunta dall’antichità. Il metodo di Plinio si fondava prevalentemente su una tradizione di uso della metafora: egli descriveva lo stile degli artisti con le parole che dovevano buona parte del loro significato al loro uso in contesti sociali o letterari, non pittorici. Nel 1473 venne pubblicata la traduzione di Plinio fatta da Landino. Quando nel 1480 Landino si trovò a descrivere gli artisti del suo tempo ci si sarebbe aspettati che usasse i termini di Plinio; termini sottili, ricchi e precisi per descrivere l’arte; noi stessi oggi ne usiamo la maggior parte. Ma fu un merito di Landino il non averlo fatto. Egli non usò i termini di Plinio, con il loro riferimento a una cultura generale molto diversa da quella della Firenze del 1480, bensì il <<metodo>> dei termini di Plinio. Come Plinio egli fece uso di metafore, o coniate da lui o appartenenti alla sua cultura, riferendo aspetti dello stile pittorico del suo tempo allo stile sociale o letterario della sua epoca. Come Plinio anch’egli usa termini ricavati dalla bottega degli artisti, non così tecnici da essere sconosciuti al lettore comune, ma che hanno in sé l’autorità del pittore – Es. <<disegnatore>>, <<prospectivo>>. Questi sono i due metodi della critica di Landino. Il resoconto sugli artisti si trova nell’introduzione al suo commento alla Divina Commedia in cui egli mirava a respingere l’accusa che Dante fosse stato antifiorentino. La sezione su pittori e scultori si divide in 4 parti: a. Descrive l’arte antica in 10 frasi e si rifà a Plinio b. Descrive Giotto e alcuni pittori del ‘300 e copia un critico del XIV sec., Filippo Villano c. Descrive i pittori fiorentini del ‘400 ed è il contributo personale di Landino: Masaccio, Filippi Lippi, Andrea del Castagno e Beato Angelico d. Descrive alcuni scultori 4. Masaccio --- Nacque in Val d’Arno nel 1401 e fu ammesso all’Arte dei Pittori di Firenze nel 1422. Fra il 1423 e il 1428 dipinse i suoi 2 capolavori superstiti a Firenze, un affresco della Trinità in Santa Maria Novella e i diversi affreschi nella cappella Brancacci in Santa Maria del Carmine. Nel 1426 dipinse anche un polittico per una cappella in Santa Maria del Carmine a Pisa; smembrato nel XVIII secolo e alcune parti si trovano ora a Londra, Pisa, Napoli, Vienna e Berlino. Masaccio andò a Roma dove sembra sia morto poco dopo. a. Imitatore della natura = La natura e la realtà sono cose diverse per ciascuno e, a meno che non se ne dia una precisa definizione, non se ne sa molto di più. Ma senza dubbio la frase indica uno dei principali valori dell’arte del Rinascimento, e il fatto che Masaccio sia l’unico dei pittori del ‘400 a cui Landino attribuisce questa qualità fa pensare che ciò dovesse per lui avere un significato. Inoltre Leonardo da Vici avrebbe detto di lì a poco una cosa analoga: <<Tomaso fiorentino cognominato Masaccio, mostrò con opera perfetta come quelli che pigliavano per autore altro che la natura>>. Vale a dire che una caratteristica dell’<<imitatore della natura>>è il fatto di essere relativamente autonomo verso libri che presentavano dei modelli e delle formule cioè delle figure di repertorio. Ciò in termini negativi; altrove Leonardo fornisce una descrizione in positivo del modo in cui il pittore imita la natura. Leonardo parla di prospettiva e di luce e ombra attraverso cui noi percepiamo le forme degli oggetti ed è appunto per la sua maestria in <<prospectiva>> e <<rilievo>>che Landino continua lodando Masaccio. L’imitatore della natura è il pittore che si distacca dai libri e che presentavano dei modelli con le loro formule e soluzioni precostituite, per cogliere gli oggetti reali così come si presentano; egli si basa sullo studio e la rappresentazione del loro aspetto reso proprio attraverso la loro prospettiva e il loro rilievo. b. Rilievo = Masaccio è il principale esponente del <<rilievo>>, <<gran rilievo universale>> e <<rilievo delle figure>>. Sembra essere seguito da Andrea del Castagno e Filippo Lippi. Alberti, che usa rilievo per tradurre la parola latina <<prominentia>>, spiegava che questo è l’apparire di una forma modellata a tutto tondo, ottenuta trattando abilmente e discretamente i toni della superficie. La luce piena e le ombre vengono percepite come forma solo quando si abbia un’idea chiara di dove venga la luce; se non abbiamo invece questa idea, come può capitarci in condizioni di laboratorio, perfino dei corpi veramente complessi vengono visti come superfici piatte macchiate di luce e di chiazze scure – esattamente l’effetto opposto a quello ricercato dai pittori. L’enfasi di Landino sul <<rilievo>> degli affreschi del Masaccio è rimasta una costante della critica d’arte, sebbene talvolta mascherata. Ma Landino ha il vantaggio di parlare dei dipinti con il linguaggio dei pittori, e non di se stesso. c. Puro = <<Puro senza ornato>> è quasi pleonastico, è uno dei latinismi di Landino e conserva il senso in cui la critica letteraria aveva usato il termine per definire uno stile disadorno e laconico. E ciò fa di un concetto negativo, <<senza ornamenti>>, uno positivo, <<conciso e chiaro>>, con un elemento di connotazione morale. <<Puro>> ci dice che Masaccio non era né ornato né spoglio. Il termine assume significato dal suo contrasto con <<ornato>>: e ciò che Landino intende per <<ornato>> è un problema che si chiarisce meglio quando egli usa questo termine in senso positivo per altri pittori: Filippo Lippi e il Beato Angelico. Ma per dare un’idea del livello al quale Landino pone criticamente Masaccio abbiamo una parte della distinzione di stili che Dante fa nel trattato De vulgari eloquentia: 1. Inspido --- Usato dalle persone incolte 2. Sapido e puro --- Usato dagli studenti o dai maestri religiosi 3. Sapido ed elegante --- Da coloro che colgono l’arte retorica solo superficialmente Allo stesso modo, quindi <<puro>> va riferito allo studioso e rigoroso, ma non inspido né elegante Masaccio. d. Facilita = Questo termine è qualcosa a metà tra le nostre <<facilità>> e <<abilità>>, ma senza la connotazione negativa della prima. Era molto usato nella critica letteraria e veniva spiegato come il prodotto di talento naturale e capacità acquisibili sviluppate attraverso l’esercizio. La scioltezza che derivava in pratica dalla <<facilita>> era una delle qualità più apprezzate del Rinascimento, ma era ed è difficile da definire rigorosamente. Alberti ne parla chiamandola <<diligenza congiunta con prestezza>> e ne individua correttamente l’origine nel talento sviluppato con l’esercizio. Essa si manifesta in un dipinto che appare completo ma non è ancora rifinito. Tutto ciò riguarda specificamente più l’affresco che non il dipinto su tavola e poiché noi non abbiamo l’esperienza diretta di vedere quando lavorare rapidamente sull’intonaco che si sta asciugando, ci è difficile reagire in modo corretto al termine <<falicita>>. Gli affreschi del Masaccio sono ciò che si dice <<buon fresco>>, o autentico affresco, dipointi quasi interamente su intonaco fresco. e. Prospectivo = E’ semplicemente qualcuno che si distingue nell’uso della prospettiva. Come dice Manetti, un amico di Landino, a prospettica pittorica è legata alla <<scienza della prospettiva>>, un settore cui la ricerca accademica si era intensamente dedicata nel tardo Medioevo e che potremmo chiamare ottica. I fondamenti matematici della prospettiva attrassero alcuni pittori che videro in essi ciò che la rendeva una scienza sistematica. Dante affermava anche che << la Geometria è bianchissima, in quanto è sanza macula d’errore e certissima per sé e per la sua ancella>>. Non si sa chi sia stato ad adattare l’ottica della pittura, ma Landino suggerisce il nome di Brunelleschi. Un altro che fece la stessa affermazione fu l’amico di Landino Antonio Manetti nella Vita di Filippo di Ser Brunellesco. In questo contesto <<prospettiva>> ha probabilmente un significato più generale di <<ottica>>, ma forse Brunelleschi ne fu l’inventore, Alberti fu colui che la sviluppò e la spiegò. Le linee parallele che si allontanano dal piano della superficie del dipinto sembrano incontrarsi in un singolo punto all’orizzonte, il punto di fuga. Le linee parallele al piano del dipinto, invece, non sono convergenti. A ogni lato ci sono dei punti di fuga per le linee a 45° rispetto al piano del quadre. Le intersezioni delle une con le altre determinano anche la progressiva diminuzione dell’unità di misura scelta, man mano che essa si allontana. La pratica faceva sorgere delle difficoltà nei particolari, soprattutto nel riportare in modo corretto gli oggetti solidi e complessi e ne risultava una netta semplificazione dell’ambiente fisico che l’artista aveva il compito di affrontare. Ciò che il giovane pittore doveva quindi imparare viene mostrato in un contratto in cui il pittore padovano Squarcione si impegnava a insegnare al figlio di un altro pittore. La prospettiva sistematica porta apparentemente e naturalmente con sé la proporzione sistematica. Il pericolo per il pittore, però, è quello di considerare la <<prospettiva>> esclusivamente come un complesso di costruzioni sistematiche di linee prospettiche, dal momento che queste possono essere comodamente descritte e insegnate con delle regole. La definizione di Antonio Manetti, con cui abbiamo iniziato, è più ampia e in effetti la miglior prospettiva del ‘400 è spesso intuitiva. Se prendiamo la Trinità di Masaccio non abbiamo bisogno di disegnare una costruzione prospettica per renderci conto che il punto di fuga è dietro la testa di Cristo e corrisponde alla focalizzazione su Cristo. Filippo Lippi --- Non si parla di lui come pittore fino al 1430 e non si sa chi sia stato il suo maestro, benché spesso si supponga un suo legame con Masaccio. Egli lavorò per la famiglia Medici. Ci rimane un gran numero di dipinti su tavola. Il suo più ampio lavoro, fuori di Firenze è costituito da cicli di affreschi nelle cattedrali di Prato e Spoleto. Suo figlio Filippino e Botticelli furono sicuramente suoi allievi. f. Gratioso = Le caratterizzazione di Filippo Lippi comincia con una parola che costantemente oscillava tra un senso più oggettivo e uno più soggettivo: che possiede <<grazia>> e piacevole in generale. La prima era la più diffusa e  Brunelleschi, Sacrificio di Isacco, 1401, bronzo, Firenze, Museo nazionale del Bargello --- Le difficoltà di Brunelleschi erano degli explois di abilità con una precisa funzione: mettevano in evidenza la narrazione evitando le soluzioni scontate. Anche le difficoltà che Andrea del Castagno si imponeva non erano sterili imprese di destrezza, ma degli artifici intesi a enfatizzare la vicenda e, secondo Landino, esse consistono particolarmente nei suoi <<scorci>>. m. Scorci = Costituiscono l’ambito specifico i cui si manifesta la difficoltà di Andrea de Castagno. --- La Trinità adorata dalla Vergine, san Girolamo e una santa, affresco, Firenze, Annuziata = Lo straordinario scorcio della Trinità e il modo di sottolineare i volti delle figure adoranti sono la base principale della narrazione. Essi sostituiscono l’oro quale mezzo per richiamare l’attenzione. Gli <<scorci>> sono una applicazione particolare della prospettiva; la prospettiva è la scienza o la teoria, mentre gli scorci sono la specifica manifestazione della sua pratica. Il termine <<scorci>> solitamente riveste due tipi di interesse: il primo consiste nello scorcio vero e proprio – una cosa lunga, vista da una parte, dà all’occhio l’impressione d’essere corta e il dedurre il lungo dal corto costituisce un piacevole esercizio mentale – il secondo è rappresentato dal punto di vista inconsueto – è difficile che un volto umano visto al suo stesso livello, di fronte o di profilo, sia meno scorciato dei volti visti dall’alto o dal basso. Nella Trinità abbiamo lo scorcio del naso visto dall’alto e lo scorcio dell’orecchio di una testa vista di fronte. E’ essenziale rendersi conto che la difficoltà è qualcosa che deve impegnare sia il fruitore cge l’artista; gli scorci e altri elementi di questo tipo destinati a suscitare interesse erano considerati difficili da vedere e da capire, dato che l’abilità del pittore esigeva abilità da parte del fruitore. Una differenza fondamentale tra il ‘400 e il ‘500 consiste proprio nel fatto che il primo se ne rese conto, mentre il secondo no. Alberti condanna l’uso degli scorci da parte dei pittori del ‘400, perché troppo studiati e forzati e, inoltre, erano pochissimi a capirli. n. Prompto = Landino definisce Andrea del Castagno <<vivo e pompto>>, completando la sua caratterizzazione dell’artista come il pittore per pittori, l’artista cioè apprezzato da gente che capiva le capacità artistiche. Il David di Andrea del Castagno testimonia la qualità di questo atteggiamento, che egli ha in comune con Giotto e Donatello. Si traduce in una più forte diversificazione della figura, in una maggior suggestione di particolari movimenti, rispetto alla <<gratia>>di Lippi. Ma i termini hanno in comune il fatto di implicare un certo grado di fusione tra i due tipi di movimento: il movimento dipinto dalle figure del pittore, naturalmente, ma anche quel movimento della mano del pittore che ne è il presupposto. E’ ancora una volta la concezione ‘400esca di uno strettissimo e immediato rapporto tra corpo e mente: come il movimento di una figura esprime direttamente pensiero e sentimento, così il movimento della mano di un pittore riflette direttamente la sua mente. Beato Angelico --- Fra Giovanni da Fiesole entrò nell’ordine domenicano all’età di circa 20 anni. Sembra che sia giunto tardi alla pittura. La prima commissione affidatagli, di cui si ha notizia, è la Madonna dell’Arte dei Linaioli. Dal 1436 in poi dipinse molti affreschi nel convento di San Marco. A partire dal 1446 circa fino alla sua morte, trascorse due lunghi periodi dipingendo in Vaticano, dove si trovano ancora i suoi affreschi nella cappella di Nicola V. o. Vezzoso = Significava delizioso in modo carezzevole e non era una qualità maschile e in alcuni contesti non era affatto una virtù. Landino non parla di un uomo, ma di una qualità che sta a metà tra il carattere dell’abilità del Beato Angelico e il carattere delle figure umane dipinte dal Beato Angelico. Lasciando da parte il carattere ovviamente vezzoso di figure quali gli angeli danzanti dei suoi dipinti, è probabile che il termine sia riferito specialmente ai valori tonali della sua arte. Nel senso particolare di uno stile in cui forti estremi tonali non siano troppo violenti, vezzoso è chiaramente un’autentica descrizione della pittura del Beato Angelico. Quindi significa sia soavemente che gaiamente grazioso. p. Devoto = La devozione è la coscienza e la volontà di rivolgere la mente a Dio (definizione di Tommaso d’Aquino). Ma come si manifesta in modo il <<devoto>> nelle produzioni artistiche che sono in ogni caso esposizioni di un argomento religioso? Qui è utile la classificazione degli stili del sermone del tardo Medioevo e del Rinascimento. Questo è il tipo di contesto da cui Landino sembra prendere il suo termine. Così abbiamo uno stile completivo, che unisce gioia e tristezza certamente non elaborato e intellettualmente non complesso. Sarebbe difficile contestare che ciò possa essere una descrizione del colore emozionale del Beato Angelico. Ma a quali qualità pittoriche esso corrisponde? In termini positivi: al vezzoso, all’ornamento e alla facilità che Landino attribuisce anche a Beato Angelico; in termini negativi, all’assenza di <<difficulta>>. Ciò che manca alla pittura dell’Angelico viene visto come qualcosa a cui egli rinunciò di proposito, come Masaccio rinunciò di proposito all’ornato. Tutti i termini che Landino ha usato riferiti agli artisti hanno una struttura: ciascuno si contrappone, o si accompagna, o rientra o si sovrappone ad un altro. Oggi noi possiamo usarli come un complemento e uno stimolo e, naturalmente non come un sostituto ai nostri concetti; essi ci daranno qualche garanzia di non perdere del tutto di vista ciò che i pittori pensavano di fare. Termini come quelli di Landino hanno il vantaggio di racchiudere in sé l’unità tra i dipinti e la società da cui emergevano. Alcuni collegano la fruizione dei dipinti da parte del pubblico a ciò che gli artigiani pensavano nella bottega realizzandoli; altri la mettono invece in relazione con l’esperienza di altri aspetti della vita del ‘400; e altri ancora indicano una forza che stava cambiando senza scosse la coscienza letteraria dell’epoca. Questo perché esiste qui un ambito metaforico, molto importante per Landino, che non veniva preso in considerazione nel capitolo 2; questo perché la maggior parte dei banchieri che andavano in chiesa e che danzavano non erano studiosi umanisti; capacità, invece, tipica degli uomini di cultura. Ma nel corso del Rinascimento parte di questo vocabolario si estese dagli studiosi e dagli scrittori ad altre persone. L’affinità che tutto ciò forniva alle diverse arti era talvolta illusoria, ma influì molto sulla loro pratica. 5. Questo libro aveva iniziato sottolineando che le forme e gli stili della pittura corrispondono alle situazioni sociali; buona parte del libro è stata dedicata all’esame di aspetti pratici e convenzioni sociali che possono rendere più acuta la nostra percezione dei dipinti. E’ quindi simmetrico e corretto terminare il libro ribaltando l’equazione – suggerendo cioè che le forme e gli stili della pittura possono acuire la nostra percezione della società. Sarebbe assurdo esagerarne le possibilità, ma esse sono reali e derivano dal fatto che i principali materiali di storia sociale sono molto scarsi. Gran parte dell’esperienza più importante non può essere opportunamente tradotta in parole o numeri, come tutti sappiamo, e perciò non appare nei documenti esistenti. Oltre a ciò, mole parole del Rinascimento di cui dobbiamo valerci sono ora quasi completamente in disuso. Ed è qui che lo stile pittorico è utile. Una società sviluppa le proprie caratteristiche capacità e le proprie abitudini, che hanno un aspetto visivo, dal momento che il senso della vista è il principale organo di esperienza, e queste capacità e abitudini visive diventano parte degli strumenti espressivi del pittore. Un dipinto antico è un documento di un’attività visiva. Si deve imparare a leggerlo, proprio come si deve imparare a leggere un testo di una cultura diversa: sia la lingua che la rappresentazione pittorica sono attività convenzionali. Accostati nel modo corretto, i dipinti diventano documenti validi quanto qualsiasi carta o registro parrocchiale.
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