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Riassunto del libro "Economia dell'ambiente" di Aprile e Chiarini., Sintesi del corso di Economia Ambientale

l volume è inteso come strumento didattico e si compone di due parti. La prima introduce gli elementi base dell'economia dell'ambiente volti a comprendere i diversi aspetti della relazione che intercorre tra il sistema economico e l'ambiente. Gli argomenti presi in esame comprendono la sostenibilità ambientale, intesa come insieme di regole mirate a realizzare un modello di sviluppo economico alternativo; il mercato e le cause del fallimento nel garantire l'efficienza allocativa delle risorse ambientali; le politiche pubbliche e gli strumenti di intervento per la soluzione dei problemi ambientali. La seconda parte, originale rispetto agli altri testi italiani, contiene un approfondimento delle politiche internazionali dell'ambiente. In particolare, vengono affrontate le problematiche relative ai trattati internazionali sul clima ed il riscaldamento globale attraverso gli strumenti di analisi strategica.

Tipologia: Sintesi del corso

2022/2023

In vendita dal 31/08/2023

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Scarica Riassunto del libro "Economia dell'ambiente" di Aprile e Chiarini. e più Sintesi del corso in PDF di Economia Ambientale solo su Docsity! Cap. 1AMBIENTE, ECONOMIA E SOSTENIBILITÀ I modelli economici classici hanno ignorato la relazione di interdipendenza tra economia e ambiente → L'ambiente sostiene il sistema economico offrendo un insieme di risorse naturali che sono indispensabili allo svolgimento del processo economico (tuttavia esse sono disponibili in quantità limitata). Il modo in cui il sistema economico ha influito sull'ambiente ha finito per compromettere in modo irreversibile la capacità dell'ambiente stesso di sostenere il sistema economico. È sorta così la necessità di un modello di sviluppo economico alternativo che presuppone uno sfruttamento ottimale delle risorse ambientali. Condizioni su cui deve essere basato lo sviluppo sostenibile: 1. Il tasso di utilizzo delle risorse rinnovabili non deve essere superiore al loro tasso di rigenerazione. 2. L'immissione di sostanze inquinanti non deve superare la capacità di assimilazione dell'ambiente stesso. 3. Lo stock di risorse non rinnovabili deve essere mantenuto costante nel tempo. L'obiettivo è quello di assicurare un'equa ripartizione delle risorse tra le generazioni presenti e future , in linea con la definizione istituzionale di sviluppo sostenibile introdotta dal Rapporto Brundtland redatto dalla Commissione Mondiale su Sviluppo e Ambiente nel 1987. Le interazioni tra ambiente e economia: le tre funzioni economiche dell’ambiente naturale La visione tradizionale dell'economia si disinteressava alle relazioni tra attività economiche e ambiente → Sistema economico come sistema isolato (nessuno scambio con l’ambiente), nell'ambito del quale si genera un flusso circolare di beni materiali, servizi e risorse finanziarie tra famiglie e imprese. Questa rappresentazione è però parziale → Il sistema economico può funzionare solo con il sostegno del proprio fondamento ecologico,che è l'ambiente naturale (l'economia opera attraverso l'estrazione di risorse). L'attività economica sviluppa relazioni di interdipendenza con l'ambiente naturale → il quale svolge un ruolo essenziale nella sostenibilità del sistema economico attraverso tre specifiche funzioni (in stretta interazione tra di loro): 1. FORNITORE DI RISORSE Le risorse estratte dall'economia si configurano come la terza tipologia di input che si aggiunge ai fattori della produzione (capitale e lavoro). Le risorse ambientali si differenziano in: 1. Risorse di flusso → Il tasso di utilizzo attuale non determina alcun impatto sulla disponibilità futura (es. forza del vento, maree). 2. Risorse di stock → Lo sfruttamento attuale comporta una riduzione della disponibilità futura. Le risorse stock si distinguono in: - Risorse rinnovabili = sono definite da una capacità di riproduzione che, se rispettata, consente loro di auto-ricostituirsi nel tempo. Se il tasso di utilizzo di una risorsa rinnovabile ( u ) è maggiore della sua capacità riproduttiva ( p ), quindi u > p, lo stock disponibile diminuirà nel tempo, e la risorsa si trasformerà da rinnovabile a non rinnovabile. - Risorse non rinnovabili = non possono rigenerarsi, il loro impiego determina un esaurimento irreversibile delle scorte (combustibili fossili, minerali) 2. ASSIMILATORE DI RIFIUTI La seconda funzione si riferisce alla capacità di accogliere materiali di scarto e trasformarli in prodotti meno pericolosi ed ecologicamente utili. Ogni fase del processo produttivo e il consumo generano prodotti di rifiuto, la maggior parte dei materiali di scarto non viene riciclata e affluisce all'ambiente che diviene deposito ultimo dei rifiuti. Si rileva una stretta interazione tra la seconda e la prima funzione economica dell'ambiente → L'ambiente opera come una risorsa rinnovabile la cui capacità di assimilazione si configura come risorsa limitata, soggetta a vincoli. Questi ultimi impongono di far confluire nell'ambiente una quantità di rifiuti ( R ) commisurata alla capacità di assimilazione ( A ). Affinchè l’ambiente possa convertire gli scarti deve valere R < A. Se R > A l’ambiente diventa risorsa non rinnovabile + bisogna tener conto di una quantità eccessiva di rifiuti introdotta nell’ambiente che genera fenomeni di degradazione delle caratteristiche qualitative delle risorse naturali. 3. FORNITORE DI SERVIZI RICREATIVI La terza funzione economica dell'ambiente consiste nel fornire servizi ricreativi e altre fonti di piacere, senza che ciò comporti un consumo di risorse attraverso attività produttive (es. godimento estetico del paesaggio, divertimento in sinergia con la natura, il piacere di esercitare attività ricreative all’aperto). → non coinvolge alcun flusso di materiali di consumo, tuttavia ciò non esclude che i suddetti servizi possano avere un impatto sull’ambiente (es. uso eccessivo di una spiaggia). La terza funzione può essere fortemente compromessa da fenomeni che incidono sul livello qualitativo delle risorse naturali o comportano una deturpazione del paesaggio, come, per esempio, l'inquinamento generato dalla produzione dei rifiuti, non commisurata alla capacità assimilava dell'ambiente → Fenomeno delle discariche che ha un inevitabile impatto negativo sul paesaggio. Rappresentazione delle relazioni di interdipendenza tra il sistema economico e l'ambiente naturale: Si parte dall'ambiente,composto dallo stock di risorse naturali che genera un flusso di input per le imprese ambientali (A), che ritorna all'ambiente nella stessa intensità ma sotto forma di materiali di scarto dalle attività delle imprese ambientali, non ambientali e dalle famiglie (C,B e D). La prima identità si riferisce quindi all'ambiente ed è formalizzata da A ≡ B+C+D (≡ significa congruente, sovrapponibile). Si prosegue con le imprese ambientali che ricevono dall'ambiente un flusso di input che produce un flusso di output di un ammontare equivalente costituito dai prodotti destinati alle imprese non ambientali come input (A1), i prodotti destinati al consumo delle famiglie (A2), e dai materiali di scarto che ritornano all’ambiente ( C ). La seconda identità riguarda quindi le imprese ambientali ed è espressa da A ≡ A1+ A2+C Le imprese non ambientali realizzano una massa di output costituita dai beni per il consumo delle famiglie ( E ), i rifiuti delle attività di produzione che affluiscono all'ambiente ( B ), e dai materiali provenienti dal riciclo degli scarti della produzione che rientrano nel processo produttivo ( R ). L'output prodotto è uguale alla massa degli input ricevuta dalle imprese ambientali sotto forma di materiali lavorati (A1) e dei materiali riciclati ottenuti dagli scarti del processo produttivo ( R ) e dai rifiuti prodotti dalle famiglie ( F ). La terza identità che concerne le imprese non ambientali E+B+R ≡ A1+R+F Le famiglie ricevono l'output prodotto dalle imprese ambientali e da quelle non ambientali sotto forma di beni di consumo (A2 , E),Corrispondente. Alla massa di output che esse generano, costituita dai rifiuti immessi nell’ambiente ( D ) e materiali di scarto riciclati ( F ). Famiglie A2+E ≡ D+F L'analisi del modello di bilancio dei materiali evidenzia la rilevanza del riciclo dei rifiuti realizzati sia dalla produzione sia dal consumo. Se per ciascuna unità di output finale ( E ) l'ammontare di riciclo dei materiali di scarto delle famiglie ( F ) e quello dei rifiuti prodotti dalle imprese non ambientali ( R ) viene incrementato, ciò determina una minore estrazione di risorse dall'ambiente. Quindi l'ammontare totale di materia introdotta nel sistema viene diminuita incrementando l'efficienza nell'utilizzo dei materiali attraverso i processi di riciclo degli scarti. → il riciclo può talvolta non essere realizzabile: riciclo e trasformazione dei materiali sono resi possibili da attività che richiedono energia. Per la seconda legge della termodinamica, alla fine di ogni processo la possibilità che l’energia possa essere ancora utilizzata in ulteriori processi si riduce → Qualsiasi processo produttivo diminuisce la disponibilità di energia utile da impiegare nella produzione futura di beni materiali. Nel processo produttivo anche la materia si degrada e cioè diminuisce la possibilità di essere utilizzata in ulteriori attività economiche. → le materie prime, recuperate attraverso le attività del riciclo, possono essere reimpiegate nel processo economico solo in misura molto minore e con un alto dispendio di energia. Energia e materia entrano con un grado di entropia bassa e ne escono con un’entropia alta (l’entropia è la grandezza che misura l’irreversibilità di una trasformazione). → Il recupero dei rifiuti non è mai al 100% delle materie prime utilizzate nella produzione precedente; una parte, per diversi motivi, si polverizza e si disperde nell'ambiente e questo è un processo irreversibile. La scienza economica dovrebbe tener conto delle leggi della fisica e in particolare della seconda legge della termodinamica: ogni processo economico che produce beni riduce anche l'energia utile disponibile per il futuro e quindi riduce la possibilità di perpetuare nel futuro la produzione di beni. Economia e principi della termodinamica: I LIMITI ● Il primo limite riguarda la dotazione delle risorse ambientali. L'ambiente è costituito da uno stock di risorse materiali ed energetiche che, a sua volta, si compone di risorse non rinnovabili di cui è possibile disporre tutto insieme, oppure ripartirlo su un lungo periodo. Esiste inoltre uno stock di risorse rinnovabili, il cui impiego impone che il tasso di utilizzo non sia superiore al tasso di rigenerazione naturale. ● Il secondo limite si riferisce allo stock di capacità di assimilazione dei rifiuti da parte dell'ambiente,che impone di mantenere il flusso di rifiuti al pari o al di sotto della capacità di questo, di convertirli in materia utile. ● Il terzo limite è riconducibile alla seconda legge della termodinamica e riguarda l'impoverimento entropico, cioè il processo di degradazione dell'energia che deriva dall'uso delle risorse energetiche e delle risorse materiali estratte dall'ambiente. Questo terzo limite riduce inoltre le opportunità di riciclo dei materiali di scarto. I limiti all'espansione dell’economia: la necessità di un sistema economico sostenibile ⬆Le interazioni tra economia e ambiente che si sviluppano in un modello chiuso, rappresentato dal modello di bilancio dei materiali, ha consentito la determinazione dei limiti biofisici connaturati con l'ambiente. La definizione dei suddetti limiti ha posto il problema relativo alla capacità dell'ambiente di sostenere il sistema economico in modo da consentire uno sviluppo economico duraturo nel tempo, misurato non solo in termini di aumento della ricchezza nazionale,PIL, ma anche attraverso costanti miglioramenti nel livello di benessere degli individui. Il sistema economico viene quindi sostenuto dall’ambiente in modo duplice: 1) attraverso il prelievo di risorse naturali, dallo stock di risorse rinnovabili e non -prima funzione economica dell’ambiente 2)l’uso della capacità assimilativa dei rifiuti - seconda funzione economica. L'inizio della presa di coscienza del problema relativo alla sostenibilità ambientale viene fatto risalire alla pubblicazione nel 1972 del rapporto scientifico The Limits to Growth, redatto da un gruppo di ricercatori del MIT, commissionato dal Club di Roma, un gruppo internazionale di personalità del mondo scientifico, economico e industriale. Il rapporto offrì al dibattito internazionale la descrizione dello scenario che si sarebbe prospettato se non si fosse modificato l'attuale modello di sviluppo economico, ponendo per la prima volta in modo autorevole il problema dei limiti allo sviluppo. La situazione fotografata dai ricercatori del MIT configurava una duplice alternativa per il futuro dell'umanità: la prima prevedeva che se la tendenza di crescita fosse continuata inalterata nei settori fondamentali, l'umanità avrebbe raggiunto i limiti allo sviluppo entro i successivi 100 anni;la seconda proponeva la possibilità di modificare questa linea di sviluppo per determinare una condizione di equilibrio globale,attraverso la riduzione al minimo dei consumi e del tasso di sviluppo. Numerose furono le critiche mosse → soprattutto verso l’ipotesi di “crescita zero”; fu ipotizzata la possibilità di compensare la distruzione del capitale naturale attraverso il capitale prodotto dall’uomo. Se il sistema economico richiede un impiego sempre maggiore di risorse non rinnovabili, sarà inevitabile che lo sviluppo economico trovi un limite nella disponibilità dello stock. Analogamente, se l'economia si basa sull'uso delle risorse rinnovabili, senza che ciò avvenga nel rispetto della capacità di riproduzione delle stesse, lo sviluppo economico sarà limitato dalla disponibilità delle suddette risorse che diventeranno non rinnovabili. In più occorre rilevare che un sistema economico che cresce e si sviluppa determina incrementi nel volume dei rifiuti in rapporto alla limitata capacità assimilativa da parte dell'ambiente → ulteriore limite allo sviluppo perché viene compromessa la capacità dell’ambiente di riconvertire i rifiuti in materiale utile al processo produttivo. Si ricava che il concetto di sostenibilità ambientale implica un vincolo per il sistema economico che richiede il rispetto di alcune regole nella gestione delle risorse e dell’ambiente ( → lo sfruttamento delle risorse rinnovabili tale che il tasso di utilizzo non sia superiore al tasso di rigenerazione e il mantenimento del flusso di rifiuti del nell'ambiente al pari o al di sotto della capacità di assimilazione). Se non diminuiranno saranno disponibili in futuro per sostenere ulteriormente il sistema economico. Sostenibilità e conservazione dello stock di capitale: la rilevanza del capitale naturale Il concetto di sostenibilità è stato oggetto di un'importante riflessione teorica che ha portato a differenti accezioni, ma con una base comune costituita dall'interpretazione della sostenibilità come condizione che presuppone il mantenimento dello stock di capitale. conseguimento del benessere collettivo, ipotizzando che il consumo di una risorsa naturale sia rimpiazzata da altre risorse che svolgono la medesima funzione. Quindi, viene presupposta la sostituibilità tra le risorse naturali non rinnovabili e risorse rinnovabili. SOSTENIBILITÀ MOLTO FORTE Conferma la necessità di mantenere inalterato il capitale naturale, escludendo la sostituibilità tra le diverse forme di capitale. Tale accezione viene definita “evoluzionista”, dal momento che considera la conservazione delle specie e degli ecosistemi indispensabile a prescindere dalle esigenze dettate dal sistema economico. Equità intergenerazionale Le diverse accezioni di sostenibilità si caratterizzano sulla base dei diversi modi di concepire il benessere e le responsabilità verso le generazioni future. Le definizioni di sostenibilità molto debole e debole, prendono in considerazione solo il benessere della specie umana e propongono di lasciare alle generazioni future il medesimo livello di ricchezza materiale delle generazioni presenti. Le impostazioni di sostenibilità forte e molto forte estendono la responsabilità a tutte le specie viventi rispetto alle quali si preoccupano di lasciare intatte le potenzialità dell'ambiente. Il concetto di sviluppo sostenibile è stato ufficialmente introdotto per la prima volta nel 1987 dall'ONU, attraverso la diffusione del Rapporto Brundtland dal titolo Our Common Future. Il rapporto fu redatto dalla Commissione Mondiale sull'Ambiente e lo Sviluppo con l'incarico specifico di analizzare le interazioni tra ambiente e sviluppo, evidenziare i problemi e le contraddizioni e inoltrare proposte sui modi per intraprendere politiche economico-ambientali sostenibili. La comunità internazionale avrebbe dovuto impegnarsi a <perseguire lo sviluppo sostenibile, assicurando il soddisfacimento dei bisogni delle generazioni presenti senza compromettere quello delle generazioni future>. In primo luogo occorreva realizzare una crescita economica per i paesi più poveri, secondo modalità in grado di rispettare l'ambiente, in secondo luogo i paesi più ricchi avrebbero dovuto adottare stili di vita compatibili con le risorse naturali, infine i paesi in via di sviluppo avrebbero dovuto mantenere la crescita della popolazione e dell'economia in armonia con il potenziale produttivo dell'ecosistema. Nella concezione dello sviluppo sostenibile sono preminenti: Il principio di equità → riconosce la necessità di considerare gli effetti dell'attuale modello economico sugli altri. In particolare la disparità per quanto riguarda l'accesso alle risorse obbliga un cambiamento in modo che ci sia equità nella loro ripartizione. Il principio di imparzialità → implica che ogni paese dovrebbe avere l'opportunità di svilupparsi secondo i propri valori culturali e sociali, senza rifiutare ad altri paesi lo stesso diritto allo sviluppo. Con la diffusione del rapporto Brundtland si ufficializzava la relazione tra sviluppo e ambiente e la necessità di considerarli come due fattori inscindibili. Cap. 2 EFFICIENZA ALLOCATIVA DELLE RISORSE AMBIENTALI E FALLIMENTO DEL MERCATO: SOLUZIONI PRIVATE MEDIANTE NEGOZIAZIONE Cosa vedremo in questo capitolo → la gran parte dei problemi ambientali è riconducibile alla difficoltà di assicurare che le risorse e i beni ambientali siano utilizzate in modo efficiente, e cioè in modo da impedire che essi siano soggetti a uno sfruttamento eccessivo e insostenibile. L'allocazione delle risorse ambientali tra le varie destinazioni d'uso è tale da generare problemi di inefficienza che si rivelano attraverso uno sfruttamento delle risorse medesime, valutato come eccessivo in quanto superiore al livello ottimale. La teoria economica dimostra che il mercato permette di ottenere allocazioni efficienti delle risorse attraverso i prezzi. Tuttavia, affinché beni e risorse abbiano un prezzo, occorre che siano scambiati sul mercato e perché ciò avvenga devono essere oggetto di diritti di proprietà. Il valore di scambio, e cioè il prezzo di mercato, viene determinato dall'effetto congiunto della domanda e dell'offerta: più il bene è scarso, maggiore è il valore di scambio e quindi il prezzo. Si può riassumere che l'esistenza dei diritti di proprietà costituisce il presupposto dello scambio delle risorse e ne regola l'uso a condizione che i suddetti diritti rispondano alle specifiche caratteristiche di esclusività, trasferibilità e applicabilità → si tratta quindi di diritti di proprietà di tipo privato. Le condizioni che permettono al mercato di conseguire allocazioni efficienti di risorse scarse e beni non valgono per la categoria delle risorse ambientali. In particolare, per le risorse e i beni ambientali non esiste prezzo di mercato poiché di solito non sono oggetto di transazione (es.aria pulita,acqua incontaminata, la bellezza di un paesaggio). È opportuno evidenziare che non sempre è possibile attribuire i diritti di proprietà alle risorse ambientali, trattandosi perlopiù di risorse che ricadono nella categoria dei beni comuni e beni pubblici. → La conseguenza è che il mercato non è in grado di funzionare correttamente nei loro confronti, non garantisce un'allocazione efficiente tra i diversi usi. Al fallimento del mercato nel garantire l'allocazione efficiente va quindi collegato l'eccessivo sfruttamento delle risorse ambientali e i relativi costi sociali che esso genera. Nell'ambito dei costi sociali connessi allo sfruttamento insostenibile delle risorse ambientali, che si configurano come esternalità, assumono rilevanza il depauperamento irreversibile del relativo stock disponibile e processi di degradazione delle caratteristiche qualitative delle risorse medesime (inquinamento). Efficienza sociale e risorse ambientali Le risorse ambientali pongono il problema relativo al loro uso e alla loro allocazione efficiente sul piano sociale; per “allocazione” si intende una qualunque distribuzione di beni e fattori produttivi, tra i possibili usi alternativi. Un'allocazione delle risorse economiche risponde al criterio dell'efficienza sociale quando non è possibile migliorare la situazione di uno o più individui della società, senza peggiorare la situazione di altri individui →le allocazioni che non soddisfano questa definizione non sono efficienti dal punto di vista sociale, pertanto le risorse possono essere riallocate fino a quando è possibile migliorare la posizione di qualcuno, senza peggiorare quella di qualcun altro. → Questa definizione di efficienza sociale è nota anche come ottimo paretiano. L'allocazione socialmente efficiente delle risorse economiche è determinata sulla base del criterio della massimizzazione del beneficio netto sociale, inteso come somma algebrica dei benefici che ogni singolo individuo della società riceve al netto dei relativi costi sopportati. La modifica di una certa allocazione iniziale delle risorse può quindi aumentare il beneficio netto di cui si avvantaggia l'intera società, ma se ciò si verifica l'allocazione iniziale delle risorse non era socialmente efficiente. Tuttavia, normalmente le modificazioni nell'allocazione delle risorse comportano benefici per alcuni individui e costi per altri, senza che ciò determini una situazione di inefficienza. → In questo scenario si configura la possibilità di una redistribuzione di risorse da coloro che stanno meglio a coloro che stanno peggio. In questo modo coloro che hanno beneficiato della riallocazione mantengono un beneficio guadagnato al netto della redistribuzione e quindi continuano a stare meglio, mentre coloro che hanno peggiorato la propria situazione godranno di un beneficio al netto dei costi sopportati e quindi finiranno per stare meglio anch'essi. È inefficiente se uno dei due ha dei costi che superano i benefici ed è efficiente se a entrambi migliora la situazione. Ma dipende dalla situazione di partenza: ci sarà chi continuerà a stare meglio e chi starà meno peggio. Allocazione efficiente con specifico riferimento alle risorse ambientali → È opportuno rilevare che l’allocazione delle risorse ambientali consiste in una ripartizione tra due usi alternativi: sfruttamento e preservazione delle risorse medesime. Pertanto, l'allocazione efficiente sul piano sociale delle risorse ambientali deve essere intesa come una ripartizione socialmente efficiente tra sfruttamento e preservazione delle stesse. Prendiamo in esame lo sfruttamento delle risorse ambientali rispetto al quale si intende determinare il livello socialmente efficiente → Questa scelta si spiega sulla base della considerazione per cui il livello di sfruttamento che risponde al criterio dell'efficienza sociale potrà essere assunto come indicativo della ripartizione socialmente efficiente tra sfruttamento e preservazione delle risorse ambientali. È opportuno rilevare che lo sfruttamento delle risorse ambientali produce da una parte benefici economici misurabili attraverso maggiori livelli di produzione, reddito, occupazione e consumo, dall'altra, diversi costi sociali riconducibili ai danni all'ambiente, come per esempio l'inquinamento, a cui è possibile attribuire un valore economico. → Il livello di sfruttamento delle risorse ambientali socialmente efficiente deve corrispondere al livello che garantisce la massima efficienza tra benefici e costi sociali associati allo sfruttamento dell'ambiente, e cioè la massimizzazione dei benefici netti sociali → trovare la massima differenza tra costi e benefici (produzione ideale con il minimo sforzo e la massima resa). Max [B (Q) - C (Q)] → dove Q indica la quantità di risorse ambientali da destinare allo sfruttamento, mentre B e C Rappresentano benefici e costi. Il livello di sfruttamento delle risorse ambientali che si ottiene indica la ripartizione socialmente efficiente tra sfruttamento e conservazione delle risorse medesime. Sull'asse delle ascisse sono misurate le unità delle risorse ambientali in esame (tratto di fiume) da destinare alla preservazione indicate con la lettera A. Sull'asse delle ordinate sono riportati i benefici e i costi associati alla preservazione in termini monetari. La retta BMg rappresenta i benefici marginali che ora derivano dalla preservazione di una unità addizionale di tratto di fiume→ andamento decrescente per indicare che i benefici marginali crescono di entità via via minore fino ad annullarsi nel punto in cui viene massimizzato il beneficio, graficamente nel punto di intersezione tra la retta BMg, e l'asse delle ascisse. [I benefici marginali diminuiscono perché noi siamo portati a soddisfare prima i nostri bisogni più urgenti; i costi marginali aumentano perché noi usiamo prima le risorse più accessibili] La retta COpMg rappresenta il costo opportunità marginale, che esprime il costo aggiuntivo, in termini di benefici persi, derivante da ciascuna unità addizionale di tratto di fiume destinata alla preservazione e sottratta dallo sfruttamento. → Il costo opportunità marginale crescente è un principio economico che indica come il costo di una scelta aumenta all’aumentare della quantità di quella scelta. In altre parole, il costo opportunità marginale cresce quando si sceglie di produrre una maggiore quantità di un bene o servizio. Questo perché la produzione di una maggiore quantità di un bene o servizio richiede l’utilizzo di risorse aggiuntive che potrebbero essere utilizzate per produrre altri beni o servizi. Supponiamo di voler destinare alla preservazione un tratto di fiume pari a 3 unità misurata in km. Questa scelta consente di realizzare un beneficio netto misurato dall'area OKLM, che si ottiene sottraendo all’area del beneficio lordo associato alla preservazione (OKLN) l’area del costo opportunità individuato nel triangolo OMN. La seconda scelta contempla la possibilità che sia preservato un tratto di fiume pari a 4 km, con la conseguenza di ottenere un incremento del beneficio netto sociale rispetto alla prima scelta, corrispondente all’area ELM → L'incremento del beneficio netto sociale associato alla seconda scelta rivela che l'intervento di preservazione limitato a 3 km della prima scelta non può aver massimizzato il beneficio netto sociale e quindi non può essere considerata socialmente efficiente. Analizziamo la terza opportunità in base alla quale viene scelto di preservare un tratto di fiume superiore a 4 km → Osserviamo che il costo opportunità addizionale che si deve sopportare per preservare è maggiore del beneficio aggiuntivo che ne deriva. Il triangolo EPQ rappresenta la diminuzione del beneficio netto sociale conseguente alla preservazione di 5 piuttosto che 4km di fiume. Poiché il beneficio netto sociale diminuisce sia in corrispondenza del livello di preservazione inferiore sia di quello superiore a 4 unità di fiume, si deve concludere che 4 km costituiscono il livello di preservazione che massimizza il beneficio netto sociale→ La scelta di allocazione della risorsa considerata in grado di soddisfare il criterio dell'efficienza sociale viene individuata nel punto E, in cui: B’(A4) = C’(A4) La quantità socialmente efficiente di risorsa da destinare alla preservazione si trova eguagliando il beneficio marginale al costo marginale,in questo caso al costo opportunità marginale. Allocazione efficiente delle risorse ambientali tra sfruttamento e preservazione: condizione per la minimizzazione dei costi sociali La condizione per la quale beneficio marginale e costo marginale si eguagliano e rilevante al fine di determinare la minimizzazione dei costi sociali relativi allo sfruttamento e alla preservazione delle risorse ambientali. Ciò comporta la risoluzione del seguente problema: Min[C(S)+C(P)] dove C(S) è il costo associato allo sfruttamento, C(P) è associato alla preservazione Ciò implica che C’(S*)=C’(P*) dato il vincolo delle risorse R=S+P → con R dato esogeno; cioè l’ammontare dato della risorsa può essere usato in due modi: o S o P, ma la somma degli usi deve essere pari al totale disponibile. Il problema della minimizzazione dei costi sociali connessi allo sfruttamento e alla preservazione delle risorse ambientali può essere affrontato procedendo con un'analisi grafica. Sull'asse delle ascisse è misurato il livello di sfruttamento delle acque del fiume indicato con la lettera S; sull'asse delle ordinate sono riportati i benefici e costi in valori monetari. Il sistema di assi cartesiani è integrato da una retta parallela all'asse delle ascisse impiegata per misurare il livello di preservazione (P) delle acque del fiume che è orientata in senso opposto all'asse delle ascisse per indicare che quando il livello di sfruttamento delle risorse è massimo, la preservazione sarà nulla e viceversa→ P=R-S La retta BMg rappresenta il beneficio marginale associato allo sfruttamento e alla preservazione; essa interseca l’asse delle ascisse nel punto S m che rappresenta il livello di sfruttamento delle acque del fiume a cui si associa il massimo beneficio senza considerare i relativi costi. La retta CMgS rappresenta il costo marginale sociale associato allo sfruttamento di una unità addizionale della risorsa ambientale che deve essere inteso come peggioramento della qualità dell'ambiente. Il suddetto costo raggiunge il livello massimo in corrispondenza del livello di sfruttamento S m . Rivolgiamo ora l’attenzione al punto E, vale a dire dove il beneficio marginale e costo marginale si eguagliano. Proiettando il punto E sull'asse delle ascisse e sulla retta a essa parallela, si individuano i livelli socialmente efficienti, rispettivamente dello sfruttamento (S*) e della preservazione (P*) delle acque del fiume. Il livello socialmente efficiente dello sfruttamento si associa a un costo sociale misurato dall'area sottostante, la retta CMgS e individuato nel triangolo OES* (area A). In corrispondenza del livello socialmente efficiente della preservazione P*, il costo sociale relativo, inteso come perdita di benefici che sarebbero derivati dalle risorse se fossero state sfruttate nel processo di produzione dell'industria dell'acciaio, misurato nell'area B. Possiamo riassumere la discussione nei seguenti punti: 1. Il criterio per determinare l'allocazione socialmente efficiente delle risorse ambientali, vale a dire la ripartizione efficiente tra sfruttamento e preservazione, è rappresentato dalla massimizzazione del beneficio netto sociale. 2. L'uguaglianza tra beneficio marginale e costo marginale costituisce la condizione che consente di individuare il livello socialmente ottimale sia dello sfruttamento sia della preservazione. 3. La condizione di uguaglianza tra beneficio marginale e costo marginale è rilevante al fine di determinare la minimizzazione della somma dei costi sociali dello sfruttamento e della preservazione. Fallimenti del mercato nell’allocazione efficiente delle risorse ambientali: le esternalità L'allocazione efficiente delle risorse economiche è garantita dai mercati che operano in concorrenza.Data questa premessa, ci poniamo il problema di verificare se il mercato concorrenziale è altrettanto in grado di garantire l’allocazione socialmente efficiente delle risorse ambientali. Abbiamo rilevato che lo sfruttamento delle risorse ambientali comporta dei costi in termini di peggioramento della qualità dell'ambiente; i costi associati allo sfruttamento sono stati definiti costi sociali → si tratta di costi che non sono configurabili come costi privati, in quanto non si rivelano attraverso una transazione di mercato. I costi sociali dello sfruttamento delle risorse ambientali costituiscono esternalità negative. In economia le esternalità negative si manifestano quando l'attività di un agente economico provoca dei costi per altri, costi che esso non sostiene e che quindi si definiscono costi esterni. Il costo esterno presuppone l’esistenza di due condizioni: l'attività intrapresa dall'agente economico deve generare una perdita di benessere a svantaggio di altri soggetti;la perdita di benessere non viene indennizzata. Con riferimento alle risorse ambientali, abbiamo anche accertato che la preservazione delle stesse determina dei benefici sociali → benefici che non si manifestano come i privati, dal momento che non risultano da transazioni di mercato. I benefici sociali della preservazione delle risorse ambientali si definiscono esternalità positive. Siamo in presenza di esternalità positive se ricorrono due condizioni: l'attività intrapresa dall'agente economico deve realizzare una situazione di benessere a vantaggio di altri soggetti;la situazione di benessere non comporta alcun compenso monetario per l’agente che l'ha determinata. La presenza delle esternalità rappresenta una delle cause del fallimento del mercato, cioè una delle cause che impedisce al mercato di garantire delle risorse che risponde al criterio dell'efficienza sociale. 3) Applicabilità: richiede che il titolare dei diritti di proprietà sia tutelato nei confronti di azioni di confisca o di usurpazione da parte di altri soggetti. Il proprietario di una risorsa per la quale il diritto di proprietà è ben definito e fortemente incentivato a utilizzarla in modo efficiente. Infatti, lo sfruttamento eccessivo della risorsa con una relativa degradazione della qualità comporterebbe una diminuzione di valore della risorsa medesima e quindi una perdita di ricchezza per il proprietario. Il processo di negoziazione→ Coase sostiene che per assicurare l'efficienza sociale in presenza di esternalità negative esiste una soluzione privata realizzata attraverso la negoziazione tra le parti interessate. Il processo di negoziazione tra privati viene indicato come lo strumento in grado di portare il mercato a garantire la quantità di esternalità socialmente efficiente. L'applicabilità della tesi è subordinata alla presenza di determinate condizioni: ● Mercato perfettamente concorrenziale ● Informazione completa ● Assenza di costi di transazione In presenza delle condizioni sopra riportate, la piena assegnazione dei diritti di proprietà sulla risorsa ambientale induce i soggetti privati interessati a negoziare l'allocazione della risorsa in modo da raggiungere il livello socialmente efficiente di sfruttamento, senza che sia necessario l'intervento dello Stato. → Se le parti possono negoziare senza costi l'allocazione delle risorse, il mercato riesce a risolvere il problema delle esternalità allocando le risorse in modo efficiente.L'allocazione efficiente è indipendente dall'assegnazione iniziale dei diritti di proprietà. Es. qualità dell’aria. Le parti interessate sono un'impresa industriale che dai propri stabilimenti emette sostanze maleodoranti, e la collettività di individui residenti del circondario che subisce queste esternalità negative, con un danno misurato dal minor giro di affari, dalla perdita del valore patrimoniale delle case e dalla minore qualità della vita. Due scenari: nel primo il diritto di proprietà e quindi il diritto all'uso della risorsa appartiene alla collettività (inquinato); nel secondo la proprietà della risorsa è assegnata all’impresa (inquinatore). Primo:Il suddetto diritto colloca la collettività in una posizione giuridica tale da avanzare il diritto di non essere inquinata. Da ciò si ricava che l'impresa non ha alcun diritto a inquinare. Pertanto, essa potrà avanzare la richiesta di arrestare il processo produttivo dell'impresa e, poiché possiede il diritto di proprietà sulla risorsa, la sua posizione prevarrà su quella dell'impresa. Prendiamo ora in considerazione l’ipotesi in cui l’inquinatore e inquinato intraprendono un processo di negoziazione per pervenire ad un accordo sul livello di esternalità. Sull’asse delle ascisse è riportato il livello di attività economica dell’impresa, indicato con la lettera Q; sull’asse delle ordinate sono misurati i costi e i benefici in valori monetari. La retta BMgP rappresenta il beneficio marginale netto privato dell'impresa (profitto marginale); la retta CMgE il costo marginale esterno (inquinamento) associato a una unità addizionale di bene prodotto dall’impresa. In corrispondenza del punto di intersezione tra la retta BMgP e CMgE, ossia quando beneficio marginale eguaglia il costo marginale, sull'asse delle ascisse viene individuato il livello di attività economica dell'impresa socialmente efficiente Q*, vale a dire, la quantità di bene prodotta a cui si associa un livello di esternalità sostenibile per la collettività. Il punto di partenza della negoziazione è rappresentato dall’origine degli assi poiché stiamo considerando che il diritto di proprietà appartiene alla collettività che ha il diritto a non essere inquinata. Supponiamo che l’impresa intenda negoziare per realizzare un livello di produzione pari a Q0. L’impresa otterrebbe dalla produzione benefici in termini di profitto pari all’area A+B+C. La collettività dovrebbe sopportare un costo esterno per l’inquinamento pari all’area A. Il valore economico del costo esterno misurato dall'area A corrisponde alla compensazione che i proprietari della risorsa, ossia la collettività, richiedono a titolo di risarcimento per l'inquinamento da sopportare. Accertato che il beneficio che ottiene l'impresa è maggiore dell'ammontare di denaro richiesto dagli inquinanti come compensazione, l'impresa potrebbe offrire una quantità maggiore di A e minore rispetto al suo beneficio (A+B+C). Ad esempio potrebbe compensare la collettività con una somma di denaro pari a A+B: l’impresa godrà ancora del beneficio netto pari a C e la collettività, grazie alla compensazione, riceverà una quantità maggiore di A, ossia A+B. →Se la negoziazione si concludesse, lo spostamento verso il punto Q0 rappresenterebbe un miglioramento sociale, dal momento che vale per entrambe le parti. Il miglioramento sociale raggiunto con la negoziazione è detto anche miglioramento paretiano, poiché almeno una parte sta meglio e nessuna parte sta peggio.→ Il miglioramento paretiano è un concetto economico introdotto da Vilfredo Pareto. Consiste in una riallocazione delle risorse che migliora la condizione di almeno un individuo senza peggiorare quella di altri, producendo quindi un aumento dell'efficienza complessiva del sistema. È strettamente connesso al concetto di ottimo paretiano che descrive la situazione in cui non è più possibile produrre miglioramenti paretiani. Se lo spostamento da O verso Q0 rappresenta un miglioramento sociale, lo saranno anche tutti gli spostamenti a partire da Q0 verso Q*. → Ogni spostamento alla destra di Q*non sarà realizzabile, poiché i benefici netti per l'impresa inquinatrice sono inferiori rispetto ai costi sopportati dagli inquinati, di conseguenza l'impresa non è in grado di compensare gli inquinati. Si può sostenere che quando i diritti di proprietà appartengono all'inquinato, in questo caso alla collettività, e il punto di partenza della negoziazione è in O esiste una tendenza naturale a spostarsi verso Q*, che rappresenta il livello di attività socialmente efficiente. Secondo scenario: il diritto di proprietà sulla risorsa autorizza l'impresa a utilizzare la risorsa nella maniera che ritiene più proficua → porterà l'impresa a realizzare un livello di attività economica che consente di massimizzare il profitto e a cui si associa un costo esterno, in termini di inquinamento, insostenibile per la collettività che è costretta a subire. Analizziamo ora il processo di negoziazione per pervenire a un accordo sul livello di esternalità intrapreso dalla collettività che subisce i danni connessi all'inquinamento. Il punto di partenza della negoziazione è rappresentato dal livello di attività economica che consente all'impresa di massimizzare il profitto individuato sull'asse delle ascisse nel punto Q2. Alla quantità Q2 si associa un costo esterno a carico della collettività misurato dall’area OCMgEQ2 (insostenibile in quanto maggiore del livello socialmente efficiente). La collettività che subisce le esternalità e non possiede il diritto di proprietà sulla risorsa è interessata ad attivare la negoziazione per pervenire a un accordo con l'impresa; per esempio, la collettività può chiedere all'impresa di rinunciare a realizzare la produzione Q2 per conseguire un livello di produzione inferiore individuato nel punto Q1. Dalla riduzione del livello di attività economica da parte dell'impresa, la collettività trarrebbe un beneficio in termini di riduzione dell'inquinamento misurato dall'area D+E+F. L’impresa invece subirebbe una perdita di beneficio (profitto) individuata nell’area D. Premesso che la collettività dovrebbe sopportare un costo per l'inquinamento subìto misurato dall'area D+E+F, se l'impresa non riducesse il livello di produzione da Q2 a Q1, questa sarà disposta ad offrire una compensazione per ottenere dall’impresa la riduzione del livello di attività economica → il compenso offerto, misurato da D+E, sarà minore del valore economico del beneficio che la collettività riceve dalla riduzione dell’inquinamento (D+E+F), e maggiore della compensazione richiesta dall’impresa per la perdita di profitto (D). Lo spostamento da Q2a Q1 realizzerebbe un miglioramento sociale per entrambe le parti. → Se lo spostamento da Q2 a Q1 costituisce un miglioramento sociale, lo saranno anche tutti gli spostamenti a partire da Q1a Q*. Le parti coinvolte non avrebbero incentivo a negoziare ulteriori riduzioni rispetto al livello socialmente efficiente perché le compensazioni offerte dagli inquinati sarebbero inferiori rispetto a quelle per le quali l'impresa sarebbe disposta a effettuare tali riduzioni. Possiamo concludere sostenendo che, a prescindere da chi possiede i diritti di proprietà, esiste una tendenza automatica da parte del mercato a raggiungere il livello socialmente efficiente di attività economica grazie al processo di negoziazione tra soggetti privati interessati:inquinatore e inquinato. Questo però non risolve i problemi ambientalistici, in quanto qui si cerca di risolvere solo il problema dell’allocazione. Ma comunque si immette la quantità K nell’atmosfera. Quindi si risolve solo il problema della parti (efficienza allocativa) e non il problema della sostenibilità/equità. Le critiche alla teoria di Ronald Coase: ● L’esistenza di diritti di proprietà ben definiti. Molti problemi di esternalità sono riconducibili all'impossibilità di definire in modo adeguato i diritti di proprietà sulle risorse ambientali (es. aria pulita, acqua non inquinata). Per entrambe le categorie di beni non esiste un mercato attraverso cui determinare i prezzi necessari per ripartirli in modo efficiente tra usi alternativi: sfruttamento e preservazione. Ciò pone la questione relativa all'attribuzione del valore economico e ai beni e risorse ambientali → I beni e le risorse ambientali non sono oggetto di transazione poiché non sono definiti da diritti di proprietà privata, pertanto risulta difficile associare un prezzo di mercato. Diventa necessario attribuire un valore, ciò presuppone la conoscenza del valore della risorsa. L'incertezza sul vero valore della risorsa potrebbe portare a scelte inefficienti sulla destinazione d'uso, che generano inevitabilmente costi per la società. Per esempio, nel caso in cui la scelta porta a uno sfruttamento eccessivo della risorsa, i costi sociali si riveleranno attraverso danni irreversibili al patrimonio ambientale. Se la scelta favorisce una preservazione della risorsa tale da superare il livello di efficienza sociale, la società dovrà rinunciare ai benefici che avrebbero potuto derivare se la risorsa fosse stata sfruttata in modo sostenibile. La teoria economica suggerisce di fondare l'attribuzione di valore sulle preferenze degli individui e sulla loro disponibilità a pagare per sfruttare o preservare quella determinata risorsa→ il valore dipende dal rapporto che gli individui stabiliscono con la risorsa. Sulla base del tipo di rapporto che gli individui hanno con la risorsa è possibile classificare il valore in valore d’uso e valore di esistenza. È il valore che gli individui attribuiscono conformemente ai benefici, che essi derivino dall’utilizzo presente o futuro delle risorse ambientali per fini produttivi o di consumo. Una particolare espressione del valore d’uso è il valore di opzione → Gli individui preservano oggi le risorse per un utilizzo futuro, a vantaggio anche di persone che non hanno preso parte alla scelta. In alcuni casi la scelta di preservare oggi le risorse può essere condizionata dall'esigenza di far trascorrere del tempo necessario per disporre di informazioni utili per effettuare scelte efficienti sull'uso della risorsa, in questi casi si parla di valore di quasi opzione (es. preservare oggi specie vegetali che in futuro, grazie a uno sviluppo tecnologico, saranno utili nei farmaci). E il valore attribuito dagli individui alla salvaguardia dei beni e risorse ambientali per la loro esistenza a prescindere quindi da qualsiasi uso→ si configura come “valore intrinseco”. Il valore economico di una risorsa che non ha prezzo dovrebbe essere quindi comprensiva sia del valore d'uso e di opzione, sia del valore di esistenza. Tuttavia questa interpretazione non viene accettata in economia, dal momento che il valore di esistenza non si collega ad alcuna forma di utilità. I beni comuni presentano le caratteristiche di non escludibilità e rivalità nel consumo. Non escludibilità → una risorsa può essere sfruttata da chiunque, non è fattibile escludere qualcuno dal consumo. La rivalità nel consumo implica che l’utilizzo della risorsa da parte di un individuo/i riduce della medesima quantità la disponibilità per altri individui. Il problema che si pone riguarda la definizione del regime di accesso a detti beni e l'efficienza dello sfruttamento. Affrontiamo ora il problema delle inefficienze provocate dallo sfruttamento delle risorse comuni. Esempio tipico può essere la pesca intensiva. I beni comuni/ commons: un bene comune è una risorsa open access, quindi può essere definito come una risorsa dove per diverse ragioni non può essere evitato un suo sovrasfruttamento. Molti aspetti dell'ambiente possono essere definiti come commons → fiumi, aria da respirare,laghi,mari,l’atmosfera terrestre… Il biologo Garrett Harding ha ammonito che se l'umanità non limita la libertà individuale, faremo presto la fine degli abitanti dell'isola di Pasqua: distruggeremo i beni comuni dai quali dipende la vita della specie umana. In presenza di beni comuni, se ogni individuo segue soltanto i propri interessi si rischia questa tragedia. Classico esempio del pascolo comune e libero → L'interesse individuale è quello di aumentare sempre di una unità il bestiame al pascolo, poiché il vantaggio individuale è +1, mentre la diminuzione delle erbe è soltanto una frazione di -1, poiché il danno si ripartisce su tutti gli altri pastori che usano il pascolo. Chi utilizza il pascolo non considera la riduzione del bene comune che il suo consumo produce. Quando una risorsa è di libero accesso, la razionalità individuale di chi ne usufruisce porta alla tragedia del suo ipersfruttamento. I cambiamenti climatici sono un classico esempio dei commons → Le attività antropocentriche svolte in ogni paese, come la combustione dei fossili e la deforestazione legate alle attività produttive dei singoli paesi, contribuiscono all'aumento di stock di gas nell'atmosfera. Ovviamente nessun singolo paese ha un incentivo a ridurre le sue emissioni, in quanto questa riduzione produrrebbe una riduzione delle sue attività e quindi dei suoi benefici. Le soluzioni che sono state avanzate per risolvere questa tragedia sono diverse, sebbene due sono quelle che hanno caratterizzato maggiormente il dibattito: privatizzare il commons o renderlo soggetto al controllo di una autorità. Torniamo all’esempio della pesca intensiva. Consideriamo un lago caratterizzato da uno stock limitato di risorse ittiche, l'accesso al quale non prevede alcuna restrizione. La quantità totale di pesci catturati aumenta con il numero delle barche da pesca, ma l'incremento è meno che proporzionale. Da ciò si ricava che la quantità media di pesci catturati da una singola barca diminuisce all'aumentare del numero di barche che accedono al lago. Ogni barca in più riduce la disponibilità di pesca, provocando una esternalità. Quindi il rendimento marginale di una barca addizionale da intendere come rendimento marginale sociale è inferiore al rendimento medio di una barca. La curva del rendimento medio decrescente è tale perché si è detto che la quantità di pesci catturati da ogni barca diminuisce all'aumentare del numero delle barche da pesca. Inoltre, poiché il rendimento medio è decrescente, la curva del rendimento marginale si deve trovare al di sotto della curva del rendimento medio. Si evince che il numero di barche a cui si dovrebbe garantire l'accesso alla zona di pesca considerata affinché sia raggiunto uno sfruttamento efficiente della risorsa in termini di quantità di pesci catturati, viene individuato in corrispondenza del punto in cui il rendimento marginale sociale (beneficio marginale sociale) eguaglia il costo marginale di una barca. Un individuo che deve decidere se acquistare una barca da pesca, valuterà la sua scelta sulla base del rendimento privato e non al rendimento marginale sociale. In altre parole, l'ipotetico pescatore nella sua scelta ignora il costo sociale e cioè il fatto che la sua attività andrà a influire sulla disponibilità di pesca degli altri pescatori, provocando una perdita delle opportunità future. Quindi gli abitanti del villaggio in cui ricade il lago, sceglieranno di acquistare barche da pesca e utilizzarle per la pesca, affinché il rendimento medio di una barca non eguagli il suo costo. In questo modo il numero di barche attive nel lago, che rappresenta l'equilibrio di mercato, è maggiore del numero di barche socialmente efficiente. I beni pubblici sono caratterizzati da non escludibilità e non rivalità. La non rivalità implica che l'uso del bene da parte di un individuo non determina una riduzione nella disponibilità di altri, ossia non impedisce l'uso da parte di altri. Il problema da affrontare consiste nel determinare il livello efficiente di fornitura dei beni pubblici. La maggioranza dei beni è il rivale nel consumo. Se acquisto uno scooter nuovo da un concessionario, sottraggo la possibilità ad altri individui di acquistare quello scooter. Viceversa, quando un bene è non esclusivo, tutti ne possono fare uso: l'aria è un bene non esclusivo e non rivale, tutti possono respirarla. La classificazione dei beni pubblici è più complessa. Analizziamo ora il problema dell'inefficienza nella produzione di beni pubblici, con un esempio. Assumiamo come bene pubblico le acque pulite di un lago e consideriamo che nelle immediate vicinanze siano ubicate tre diverse imprese, ciascuna delle quali utilizza il bacino d'acqua per usi diversi e incompatibili. Un'impresa produce acciaio e sfrutta il lago per scaricare prodotti di rifiuto (impresa inquinante); le altre due gestiscono strutture turistiche e utilizzano il lago per attirare turisti interessati ad attività acquatiche, quindi, per i clienti delle strutture turistiche, l'acqua non inquinata del lago costituisce un bene pubblico (potendone godere in modo non esclusivo e non rivale). Se ipotizziamo che l'impresa che produce acciaio eserciti i diritti di proprietà sulle acque del lago, queste saranno inevitabilmente inquinate; l'impresa genererà una esternalità a danno delle strutture turistiche configurabile come male pubblico. A questo punto una delle due strutture turistiche può intraprendere una contrattazione per ottenere un disinquinamento delle acque, vale a dire un miglioramento della qualità delle acque che viene assunto come bene pubblico. Le diverse strategie di intervento pubblico che definiscono le politiche ambientali possono essere perseguite attraverso il ricorso a una varietà di approcci, in particolare viene considerato l'approccio regolativo di comando e controllo che comporta la determinazione di standard ambientali mediante disposizioni normative, e l'approccio degli incentivi economici che si basa sull'uso di strumenti volti a internalizzare i costi esterni prodotti dalle attività economiche, inducendo gli operatori economici responsabili delle esternalità a includere nei prezzi dei beni e servizi il valore delle risorse ambientali deciso a livello centrale dell'autorità pubblica. Nell'ambito dell'approccio di incentivazione economica, particolare attenzione è riservata alle tasse ambientali, ai sussidi e alla creazione dei mercati per i beni e servizi ambientali, che hanno l'obiettivo di garantire una gestione efficiente del patrimonio ambientale. Gli strumenti regolativi: gli standard ambientali Gli strumenti regolativi rispondono a un approccio normativo di command and control, infatti, attraverso specifiche norme sancite dall’autorità pubblica, vengono definiti dei comportamenti (comando) la cui effettiva ottemperanza è sottoposta a un'attività di accertamento (controllo) espletata da un'autorità competente. Gli strumenti regolativi più diffusi che hanno costituito la base delle politiche ambientali sono gli standard. Gli standard ambientali sono norme tecniche attraverso le quali si fissano specifici livelli di concentrazione delle sostanze inquinanti nell'ambiente mediante l'utilizzo delle migliori tecnologie possibili. Essi possono essere di diverso tipo: 1. Gli standard di emissione → sono norme che stabiliscono la quantità massima di sostanze inquinanti che è possibile emettere in un determinato corpo recettore (aria, acqua,suolo). 2. Gli standard di qualità → specificano le caratteristiche che devono avere le risorse ambientali, per esempio definiscono le concentrazioni massime di inquinanti ammesse nei corsi d'acqua oppure il livello massimo di rumore consentito in determinate zone. Questa tipologia di standard viene introdotta insieme a uno di emissione al fine di permettere un trattamento differenziato per aree geografiche, per tipologia e per dimensioni delle attività economiche → se lo standard di emissione consente di regolare le singole emissioni di inquinanti, lo standard di qualità garantirà una differenziazione dei limiti in relazione alla capacità assimilativa del medesimo recettore (rapportando alla capacità di assimilazione del luogo di scarico). 3. Gli standard di processo → definiscono le caratteristiche del processo di produzione e individuano le tecnologie di disinquinamento da utilizzare. Gli standard in questione risultano molto rigidi e impediscono ai soggetti inquinatori la ricerca di soluzioni meno costose e più efficienti. 4. Gli standard di prodotto → fissano le caratteristiche che devono possedere i prodotti che possono causare danni all'ambiente, con l'obiettivo di garantire la produzione di beni in grado di determinare il minor impatto sull'ambiente. Il ricorso a questa categoria di standard si rivela necessario in tutte quelle situazioni in cui attivare un processo di depurazione e disinquinamento posteriori comporta elevati costi (es.autovetture). In generale, la definizione di tutti gli standard ambientali richiede la presenza di un’istituzione deputata a controllare l’attività degli inquinatori con il potere di imporre una multa in caso di infrazione. Tuttavia, può accadere che, nonostante la presenza del sistema sanzionatorio, gli inquinatori possano essere incentivati a inquinare oltre il livello massimo consentito dallo standard. Ciò a causa delle scarse probabilità di incorrere nel pagamento della multa→ l'inquinatore è obbligato alla sanzione solo se colto in fallo dall'autorità autorizzata al controllo. L'inquinatore avrà incentivo a inquinare fino a quel livello in corrispondenza del quale l'ammontare della sanzione è minore dei benefici marginali netti privati (profitti). Il funzionamento efficace di uno standard dipenderà quindi dall'esistenza di due requisiti: il primo si riferisce alla multa che deve essere certa, e cioè avere probabilità uguale a uno di essere imposta; il secondo si riferisce alla determinazione del livello dello standard che dovrebbe risultare corrispondente al livello di produzione ottimale. La curva BMNP rappresenta il beneficio marginale netto privato→ è la differenza tra ricavo e costo dell’inquinatore. La curva CMAE rappresenta il costo marginale esterno, cioè il valore del danno causato dall’inquinamento prodotto dall’unità addizionale di bene prodotto. L'intersezione tra le due curve rappresentate è il punto in corrispondenza del quale viene individuato il livello di attività economica socialmente efficiente Q* a cui viene associato un livello ottimale di inquinamento per la collettività R*. Si suppone che l'autorità pubblica fissi uno standard S, cui corrisponde un livello di attività produttiva Qs e un livello di inquinamento Rs. Inoltre la multa viene determinata uguale a M. Affinché lo standard operi efficacemente è necessario che gli inquinatore inquini solo fino al livello massimo consentito Qs, che non è ottimale in quanto inferiore Q*. La presenza della multa potrebbe rivelarsi inefficace → egli potrebbe essere incentivato a inquinare fino a Qb🟥, poiché la multa complessiva fino a quel livello è minore dei benefici netti privati. Non andrà oltre perché la produzione di una quantità maggiore di inquinamento comporterebbe una multa superiore ai benefici marginali netti. Anche se la multa è certa, all’inquinatore converrà inquinare fino a Qb. Per ovviare a ciò si ritiene indispensabile, in primo luogo, che lo standard sia fissato in modo che il livello di attività produttiva a esso corrispondente sia efficiente relativamente alla produzione di inquinamento e inoltre che il livello della multa sia posto uguale a M*🟢. Come è stato rilevato da diversi autori, la determinazione dello standard e della relativa multa in coincidenza del livello efficiente è realizzabile a condizione che quest'ultimo sia identificabile, la difficoltà di realizzare questa condizione limita in modo rilevante l'efficacia degli standard ambientali → L’identificazione del livello efficiente implica la valutazione dell'intera funzione di danno, rappresentata dalla curva del costo marginale esterno e della funzione del beneficio marginale netto privato. In entrambi i casi si impongono difficoltà informative che possono rivelarsi non superabili. Nel primo caso è impossibile pervenire una valutazione precisa del danno provocato alla collettività dall'inquinamento; nel secondo caso, l'autorità regolamentatrice deve reperire dalle imprese l'informazione relativa ai rispettivi profitti, che può risultare molto difficile da acquisire a causa della sua natura confidenziale. → Pertanto, nella realtà accade che gli standard ambientali sono determinanti in modo da consentire il raggiungimento di un livello “accettabile” di inquinamento. Gli strumenti di incentivazione economica: tasse, sussidi e creazione di mercati artificiali A differenza di quelli regolativi che prevedono una regolazione diretta dei comportamenti degli inquinatori, operano attraverso una regolamentazione indiretta, dal momento che non fissano alcuna prescrizione a cui gli inquinatori devono adeguare il proprio comportamento. Essi rappresentano un potenziale stimolo al cambiamento tecnologico e in generale a comportamenti economici compatibili con la tutela ambientale. → Nella realtà l'utilizzo degli strumenti di incentivazione economica serve come supporto alla regolamentazione piuttosto che come strategia autonoma; essi contribuiscono a creare un sistema flessibile nel quale gli inquinatori hanno la possibilità di scegliere la soluzione più vantaggiosa. ● LE TASSE AMBIENTALI Tra gli strumenti economici di cui dispone l'autorità pubblica per correggere le esternalità prodotte dall'attività produttiva e di consumo vi sono le tasse ambientali, che costituiscono un onere a carico dei soggetti economici responsabili di produrre un costo esterno sotto forma di inquinamento o depauperamento delle risorse naturali. Possono essere interpretate come il prezzo pagato dalle imprese per l'utilizzo dell'ambiente, il cui diritto di proprietà appartiene ad altri (collettività). La finalità delle tasse non è punitiva, ma consiste nell'incentivare le imprese a modificare il proprio comportamento. Le tasse ambientali sono particolarmente efficaci per l'internalizzazione dei costi esterni, cioè per incorporare direttamente il costo dei danni e dei servizi ambientali nel prezzo dei prodotti che li causano, oppure nei costi di produzione. Si ritiene che le tasse siano lo strumento che consente l'attuazione del principio chi inquina paga→ in maniera da produrre un effetto di prevenzione attraverso un cambiamento dei comportamenti. Nella teoria economica la tassa è stata considerata come uno strumento adeguato per eguagliare i costi privati di produzione a quelli sociali (esternalità), a condizione che essa fosse stabilita in corrispondenza del livello ottimale (efficiente) di inquinamento → questo tipo di tassa è nota come tassa pigouviana. (L'effetto dell'imposta è di rendere il costo marginale privato -quello che costa all'azienda produrre-, compresa l'imposta, pari al costo marginale sociale -quello che costa alla società, compresa l'azienda, produrre). È opportuno ricordare che la determinazione della tassa da parte dell'autorità regolamentatrice è subordinata a delle informazioni particolarmente difficili da acquisire con precisione, come il valore del danno associato a un'attività economica e le informazioni relative ai costi di disinquinamento sostenuti dalle imprese → il contesto di asimmetria informativa che ultimi anni → (30% del piano di ripresa di NextGenerationEU del 2020 e il bilancio settennale dell'UE destinati alla lotta contro i cambiamenti climatici e al sostegno ai progetti verdi → riduzione impronta di carbonio, energia pulita, trasporti sostenibili, consumo sostenibile, tutela ambiente e biodiversità). Gli obiettivi da perseguire con l'introduzione delle norme ambientali sono di duplice natura: ridurre l'inquinamento tramite il principio di chi inquina paga; tassare le risorse naturali per diminuire la domanda e incentivare il riuso e il riciclo di materie secondarie. La tassa ottimale sull’inquinamento L'idea di tassa sull'inquinamento formulata da Arthur Pigou configura uno strumento di politica pubblica mirato a conseguire il livello socialmente efficiente di inquinamento attraverso riduzioni della produzione e quindi delle emissioni di sostanze inquinanti a esse associate. Viene rappresentato un sistema di assi cartesiani dove sulle ascisse sono misurati i livelli di attività economica di un'impresa che genera inquinamento, quest'ultimo riportato su un'asse parallela all'asse delle ascisse e sulle ordinate i costi e i benefici. Sono rappresentate, rispettivamente la retta del beneficio marginale netto privato e quella del costo marginale esterno. In assenza di regolamentazione da parte dell'autorità pubblica, l'impresa realizzerà il livello di produzione che consente di massimizzare il profitto, e cioè la quantità Qn. La quantità di beni socialmente efficiente si realizza rinunciando alla produzione di tutte le unità per le quali il CMgE è superiore al BMNP, ossia la quantità Q*. Se si ipotizza il ricorso a una tassa pigouviana ottimale t*, cioè uguale al costo marginale esterno in corrispondenza del livello ottimale di inquinamento, questa indurrà l'impresa a eliminare dalla produzione tutte le unità di bene per le quali l'ammontare della tassa risulta superiore al BMNP e quindi a produrre la quantità socialmente efficiente Q*. Alla riduzione del livello di produzione si associa a una riduzione delle emissioni inquinanti. Da Rn a R*. È possibile rilevare che la tassa pigouviana rappresenta uno strumento di politica particolarmente efficace a internalizzare un'esternità negativa associata a una particolare attività produttiva. I problemi di asimmetria informativa tra inquinatori e autorità pubblica rendono difficile la determinazione della tassa pigouviana ottimale. Da ciò si comprende la ragione per la quale la definizione dell'ammontare di una tassa costituisce un aspetto critico della politica di intervento, dal momento che la determinazione di una tassa troppo elevata,così come quella di una tassa troppo bassa, producono una perdita di benessere sociale. In figura viene rappresentata l'imposizione di una tassa su un'impresa che produce un esternalità negativa sotto forma di emissioni inquinanti. Osserviamo che l'imposizione della tassa ottimale pigouviana determina all'impresa un incremento dei costi marginali di produzione rappresentati graficamente dalla traslazione della retta CMgP in CMgP+t= CMgS, che rappresenta il costo sociale dell’attività dell’impresa inquinante. Sulla base dei nuovi costi, l'impresa modificherà le proprie scelte di produzione che andranno a incidere sul livello delle emissioni inquinanti. Pertanto, non realizzerà più l'ammontare di produzione che determina un livello di emissioni inquinanti pari a Rm, ma una quantità di beni che consente di coprire tutti i costi di produzione, inclusa la tassa, e a cui si associa il livello di inquinamento corrispondente a R*, che risulta essere socialmente efficiente. Verifichiamo ora che cosa accade quando l'ammontare della tassa è diverso da quello previsto dalla tassa pigouviana. Se ipotizziamo che la tassa venga fissata a un livello pari a t1, quindi a un livello più alto della tassa ottimale, si consegue un livello di emissioni inquinanti R1 inferiore a quello efficiente. Ma questo effetto produrrà una perdita di benessere per il produttore misurata nell’area ABC. Se l'ammontare della tassa è più basso rispetto a quello ottimale, si realizzerà un livello di emissioni di inquinamento più alto di quello efficiente, ossia R2, che comporta una perdita di benessere sociale pari all'area CDE. Abbiamo verificato, attraverso l'analisi del funzionamento della tassa sull'inquinamento che l'impresa si adegua alla tassa, riducendo la produzione e ciò realizza un costo netto pari al profitto perduto. Tuttavia, in un sistema in cui operano le tasse ambientali, le imprese hanno la possibilità di valutare se sia più conveniente pagare la tassa o innovare la tecnologia del processo produttivo, in modo da ridurre la produzione di inquinamento. → una caratteristica delle tasse sull'inquinamento consiste proprio nel fornire incentivi all'installazione di sistemi di riduzione, o di controllo dell'inquinamento stesso. È noto che l'obiettivo dell'impresa consiste nel minimizzare i costi totali, quindi per valutare se conviene pagare la tassa o procedere al controllo dell'inquinamento, l'impresa confronterà l'aliquota della tassa, cioè la somma che deve pagare per ogni unità di sostanza inquinante scaricata nell'ambiente, con il costo addizionale di disinquinamento o riduzione di una unità di sostanza inquinante. Fino a quando l'onere unitario della tassa è superiore al costo marginale di disinquinamento, all'impresa conviene disinquinare e lo farà fino al punto in cui il costo marginale del disinquinamento supera l'aliquota della tassa. CMAE curva del costo marginale esterno. CMAR è la curva del costo marginale di riduzione dell'inquinamento attraverso l'installazione di appositi sistemi. BMNP è il beneficio netto privato. Per modificare il livello di inquinamento dal punto a al punto b, l'impresa troverà più conveniente ridurre l'inquinamento introducendo adeguate tecnologie piuttosto che diminuire la produzione, dal momento che i costi di riduzione dell'inquinamento sono inferiori ai costi in termini di perdita di profitto che l'impresa deve sostenere per adeguarsi alla tassa (CMAR < BMNP). Dal punto b a O risulta più conveniente ridurre la produzione (pagare la tassa)→ CMAR>BMNP. L'efficacia delle tasse nella minimizzazione dei costi totali di riduzione dell'inquinamento:la scelta efficiente di una regolamentazione mediante standard e tasse In alcuni casi le tasse ambientali possono essere introdotte non come strategia autonoma di intervento, ma per coadiuvare l'intervento regolativo a mezzo di standard, incrementandone l'efficacia. Le tasse ambientali sono considerate strumenti di intervento più efficaci rispetto all'approccio normativo basato sulla fissazione degli standard, poiché comportano una minimizzazione dei costi totali di abbattimento dell'inquinamento. Le tasse, infatti, fornendo l'incentivo a eguagliare i costi marginali di riduzione dell'inquinamento tra le imprese, contribuiscono a garantire un'attività di riduzione dell'inquinamento prodotto più efficiente dal punto di vista dei costi complessivi. L'autorità pubblica può decidere l'implementazione di una strategia di intervento più flessibile attraverso l'adozione congiunta di tasse e standard.Per le imprese la possibile alternativa fra il rispetto di uno standard o il pagamento di una tassa concorre ad aumentare la libertà di ogni singola impresa ed elimina le situazioni di impossibilità tecnica ed economica di rispettare la norma. → Il costo che ogni impresa dovrebbe sostenere per adeguarsi agli standard sarebbe più elevato se non fossero usate anche le tasse. Per esempio, si verificherebbe che le piccole imprese che dovrebbero sostenere costi elevati per raggiungere lo standard potrebbero pagare la tassa per essere autorizzate a inquinare. Ipotizziamo che tre imprese inquinanti siano regolamentate in modo da conseguire un abbattimento dell'inquinamento di un ammontare pari a S*. L'autorità regolamentatrice può decidere di fissare solo lo standard e vincolare ciascuna impresa da abbattere l'inquinamento dell'ammontare stabilito oppure potrebbe adottare, congiuntamente alla fissazione dello standard, una tassa ottimale t* . In questo caso ciascuna impresa, in coerenza con i rispettivi costi marginali di riduzione dell'inquinamento, contribuirà a ridurre le emissioni in quantità diversa, ma nel complesso si conseguirà il livello stabilito in modo più efficiente, ossia con costi sociali minori. Le tre rette inclinate rappresentano il costo marginale di riduzione dell'inquinamento per tre imprese. L'inclinazione positiva delle rette indica l'incremento dei costi associato al crescere della quantità di inquinamento abbattuto, la retta perpendicolare all'asse delle ascisse indicata con S rappresenta lo standard; la Inoltre l’incremento del prezzo da P0 a P1 ha comportato una contrazione della domanda, riducendo le vendite da Q0 a Q1. → l’impresa subisce quindi una perdita dall'imposizione della tassa dovuta in parte alla quota di tassa che essa deve corrispondere per ogni unità di bene venduta e in parte alla diminuzione delle vendite. Lo scenario per i consumatori: i consumatori subiscono l'effetto della tassa attraverso l'incremento del prezzo da P0 a P1. Questo incremento del prezzo porta a una riduzione della quantità acquistata. L'aumento del prezzo e la diminuzione del consumo rappresentano la perdita di benessere per i consumatori. Tuttavia,questa perdita di benessere è compensata dal beneficio che i consumatori ricevono dalla riduzione dell'inquinamento dovuto all'introduzione della tassa. Quindi per i consumatori l'istituzione della tassa sull'inquinamento determina un guadagno netto in termini di benessere. I sussidi I sussidi ambientali rappresentano una tipologia di strumenti di incentivazione economica attraverso i quali un'impresa che produce inquinamento riceve dall'operatore pubblico delle somme di denaro per ridurre le proprie emissioni al di sotto di uno standard prefissato. È opportuno evidenziare che il sussidio per le emissioni abbattute può rappresentare un incentivo a diminuire le emissioni a condizione che l'impresa ricavi un reddito. Come risulta dalla figura, l'impresa è incentivata a ridurre l'inquinamento dal livello Q al livello Qs, cioè fino al punto in cui il costo marginale di riduzione è uguale del sussidio. L'attività di riduzione dell'inquinamento risulta vantaggiosa per l'impresa, poiché i relativi costi sono inferiori al sussidio ricevuto CMAR<SO, dove SO indica l’ammontare del sussidio determinato dall’autorità pubblica, e questo consente all’impresa di ottenere un reddito misurato nell’area QRE, dato dalla differenza tra l’ammontare del sussidio QsERQ (area che misura l’ammontare del sussidio di cui beneficia l’impresa) e il costo di riduzione dell’inquinamento QsEQ (Area che misura il costo di riduzione dell'inquinamento del livello Q a Qs. A sinistra del punto Qs, l'impresa troverà conveniente rinunciare al sussidio, in quanto la riduzione dell'inquinamento risulta più costosa e l'impresa non potrà beneficiare di alcun reddito ( CMAR> SO). Sul piano economico viene fatta valere la scarsa efficacia dei sussidi nel perseguire l'obiettivo di riduzione dell'inquinamento: si ritiene che, in una prospettiva di lungo periodo, essi possano contribuire a raggiungere l'effetto opposto, innalzando cioè i livelli di inquinamento. →I sussidi, aumentando il livello di reddito percepito dagli inquinatori, incentivano nuove imprese a entrare nel settore produttivo con l'effetto di incrementare l'inquinamento complessivo. Pertanto, sebbene la singola impresa riduce l'inquinamento a livello di settore produttivo, l'inquinamento aumenta a causa dell'ingresso di nuove imprese. Inoltre, all'utilizzo dei sussidi vengono associati problemi di accettabilità in merito all'attribuzione dei diritti di proprietà sull'ambiente. Alla base del funzionamento delle tasse e del sistema dei permessi di inquinamento vi è il presupposto per cui il diritto di proprietà sull'ambiente viene riconosciuto alla collettività; nel caso del sussidio, invece, il diritto di proprietà viene riconosciuto all'impresa → è infatti l'operatore pubblico a corrispondere una somma di denaro affinché essa non inquini. Di fatto è la collettività inquinata a pagare i sussidi versati alle imprese tramite le imposte. Un ulteriore aspetto problematico connesso all'uso dei sussidi riguarda la compatibilità ambientale di specifici sussidi che risultano potenzialmente dannosi per l'ambiente. In Italia si possono riportare due esempi: - L'energia elettrica consumata dalle famiglie, dalle imprese agricole e da quelle manifatturiere che beneficia dell'aliquota agevolata del 10%, invece del 22%. - L'energia elettrica delle utenze domestiche con consumi inferiori a 120 kilowatt per mese, che gode dell'esenzione dell'accisa sull'energia elettrica. → Entrambe le agevolazioni fiscali finiscono per incentivare i consumi di elettricità. La creazione dei mercati artificiali: le diverse tipologie Tra gli strumenti economici sta assumendo una rilevante importanza la creazione di mercati artificiali per i beni ambientali, al fine di fornire una valutazione monetaria che possa garantire un adeguato utilizzo e ripartizione. È opportuno sottolineare che le risorse ambientali (carbone,petrolio,zinco,rame) e i beni ambientali (aria,foreste,paesaggi) sono risorse economiche soggette a problemi di scarsità in quanto disponibili in quantità limitate rispetto ai bisogni da soddisfare. Di norma le risorse scarse si ripartiscono tra i differenti usi mediante il sistema dei prezzi. Ciò però non avviene per le risorse ambientali, poiché la maggior parte di esse non è oggetto di scambio sul mercato e quindi non esiste un loro prezzo. Si distinguono tre modalità di creazione dei mercati: 1. Il mercato dei permessi negoziabili di inquinamento → Il bene per cui viene creato un mercato è rappresentato dalla capacità massima di assimilazione e smaltimento da parte dell'ambiente in un dato periodo di tempo, in rapporto alla quale viene stabilita la quantità massima di emissioni di sostanze inquinanti. 2. Le borse per le materie secondarie → Si basa sulla condizione secondo la quale in tutti i rifiuti sono contenute materie prime recuperabili che, in assenza di interventi di selezione e recupero, verrebbero escluse dal circuito economico. La creazione dei mercati delle materie prime secondarie può avvenire con diverse modalità: modificando i prezzi relativi delle materie prime e di quelle di recupero, per esempio aumentando il prezzo che riceve l'acquirente dei rifiuti perché li riutilizzi, oppure creando delle borse per i rifiuti per favorire la circolazione dei prodotti riciclati (in Italia è operativa la Borsa del Recupero che è un servizio telematico per lo scambio dei rifiuti e materie prime seconde derivanti da operazioni di recupero, gestito dalle Camere di Commercio su tutto il territorio nazionale) 3. Le assicurazioni di responsabilità → La creazione dei mercati delle assicurazioni di responsabilità è ispirata al principio della responsabilità delle imprese per i danni causati attraverso le emissioni di sostanze inquinanti e la necessità di risarcire le vittime. Si crea così un mercato in cui il valore dei premi assicurativi riflette la valutazione delle probabilità che il danno si verifichi e la stima dell'entità del danno. Le imprese tenderanno ad abbassare i premi adottando maggiori misure di sicurezza. Il mercato dei permessi negoziabili di inquinamento è l'unico a essere considerato come possibile alternativa all'adozione di tasse o all'esclusivo utilizzo di standard .Agli altri due mercati è stata invece riconosciuta una funzione essenzialmente di supporto. Il mercato dei permessi negoziabili di inquinamento Il funzionamento del mercato dei permessi negoziabili di inquinamento è regolato dall'autorità pubblica che, sulla stima della capacità di smaltimento (assimilativa) di uno specifico contesto ambientale in un dato periodo di tempo, fissa attraverso uno standard di qualità ambientale la quantità massima di emissione di sostanze inquinanti e successivamente rilascia un numero di permessi di inquinamento corrispondenti a una quantità massima compatibile con la norma di qualità ambientale. In base al sistema dei permessi negoziabili di inquinamento, tutte le imprese responsabili di produrre inquinamento devono disporre di appositi permessi per poter emettere sostanze inquinanti nell'ambiente. L'immissione nell'ambiente di una quantità di sostanze inquinanti superiore al livello consentito fa incorrere il soggetto responsabile nel pagamento di rilevanti sanzioni pecuniarie. Tre sono gli aspetti fondamentali che caratterizzano i permessi negoziabili di inquinamento: 1)Regolare le emissioni di gas serra, responsabili del riscaldamento globale del pianeta. La pericolosità di questi gas non dipende dalla distribuzione spazio-temporale delle emissioni, pertanto l'autorità pubblica può regolamentare l'ammontare delle emissioni prodotte in aggregato senza verificare la quantità di emissioni di ogni singola impresa. La possibilità per le imprese di scambiare sul mercato i permessi consente di conseguire la riduzione delle emissioni nel modo più efficiente possibile. 2)La durata limitata dei permessi. I permessi di inquinamento possono essere scambiati solo all'interno del lasso di tempo corrispondente al loro periodo di validità. Nel caso in cui i permessi fossero di durata indeterminata, ciascuna impresa in possesso di un permesso avrebbe il diritto a inquinare per un tempo illimitato. In questo scenario, se l'autorità pubblica decidesse di ridurre il numero dei permessi sul mercato per ridurre le concentrazioni di inquinamento, essa sarebbe tenuta a corrispondere un indennizzo a ogni singola impresa che aveva precedentemente acquistato i permessi di durata illimitata. 3)I meccanismi di controllo. Il terzo aspetto attiene alla necessità di prevedere adeguati meccanismi di controllo, segnalazione e monitoraggio. L'attività di monitoraggio è resa necessaria dalla capacità assimilativa del contesto ambientale e l'attività di controllo deve essere accompagnata da un adeguato sistema sanzionatorio. Sulle ascisse viene riportato il livello di emissioni inquinanti e la quantità di permessi di inquinamento, mentre sulle ordinate il costo marginale di disinquinamento e il prezzo dei permessi. A seguito dello scambio, il prezzo dei permessi si attesterà al livello B, cioè sarà pari al costo marginale di riduzione dell'inquinamento per entrambe le imprese e non vi sarà più incentivo a proseguire nello scambio. In questo modo il mercato dei permessi raggiunge l'equilibrio che coincide con l'allocazione efficiente rispetto al costo totale. Criteri per il funzionamento di un sistema di permessi negoziabili Due distinte modalità concorrono alla definizione degli obiettivi di riduzione delle emissioni inquinanti in un sistema di regolamentazione basato sullo scambio dei permessi negoziabili: CAP AND TRADE → Quando l'autorità pubblica adotta la modalità cap and trade stabilisce per ogni anno un tetto massimo (cap) di unità di emissione di inquinamento per tutte le imprese inquinanti e divide il tetto stabilito in un numero di permessi di emissioni trasferibili. Le imprese che rilasciano un numero di unità di emissione inferiore al numero dei permessi posseduti, ricorreranno al mercato per vendere i permessi in eccesso; mentre le imprese che, a causa degli elevati costi di riduzione, non possono adottare tecnologie tali da contribuire in modo efficiente all'abbattimento dell'inquinamento prodotto, acquisteranno sul mercato un numero di permessi equivalente alle emissioni effettivamente rilasciate nel periodo considerato. BASELINE AND CREDIT → Con la modalità baseline and credit, l'autorità pubblica riconosce a ogni impresa il diritto di emettere un determinato livello di emissioni, riferito a un livello base. Le imprese che riescono a ridurre le unità di inquinamento al di sotto del livello base ottengono crediti di riduzione. Il rilascio dei crediti avviene sulla base di progetti di riduzione delle emissioni e solo dopo che la riduzione delle emissioni non abbia avuto luogo effettivamente, è inoltre essi devono essere certificati. In altre parole, si tratta di una modalità che si basa su un controllo ex post della riduzione delle emissioni conseguente alla realizzazione di progetti adeguati. Una volta ottenuti i suddetti crediti, l'impresa può utilizzarli per adempiere all'obbligo l'anno successivo oppure può venderli rendendoli disponibili per le imprese che hanno registrato i livelli di emissioni di inquinamento maggiori rispetto al livello base. Una fase rilevante del funzionamento del sistema di permessi negoziabili consiste - nell’allocazione iniziale dei permessi che può essere attuata attraverso due differenti modalità: - Grandfathering: i permessi sono trasferiti gratuitamente alle imprese sulla base delle emissioni storiche. Questi aspetti generano problemi di distorsione degli incentivi. Innanzitutto, gli assegnatari delle allocazioni iniziali, consapevoli che le allocazioni avverranno su base storica delle emissioni, saranno incentivati ad aumentare le proprie missioni prima che il sistema abbia inizio,con la conseguenza che si verificherà un incremento delle emissioni nell'ambiente nel breve periodo. Inoltre, l'allocazione gratuita riservata solo agli impianti esistenti potrebbe disincentivare le nuove imprese a entrare nel mercato perché sarebbero obbligate ad acquistare i permessi mediante modalità più onerose. - Auctioning: in base alla modalità delle aste, ogni impresa avanza delle offerte di acquisto indicando il numero di permessi che è disposto ad acquistare in corrispondenza di ogni possibile livello di prezzo. L'autorità di controllo verifica il prezzo al quale il numero di permessi domandati è uguale al numero di permessi disponibili e attribuisce i permessi all'impresa che ha avanzato la proposta di acquisto più alta. Un sistema di scambio dei permessi di inquinamento può contemplare due diverse forme di gestione dei permessi: ● Banking → È una modalità di gestione dei permessi che consente alle imprese di conservare parte dei permessi detenuti al fine di utilizzarli per adempiere all'obbligo per l'anno successivo. L'obiettivo consiste nell'incoraggiare la riduzione delle emissioni inquinanti quando il relativo costo è più basso. ● Borrowing (to borrow- prendere in prestito) → Il borrowing è una pratica che autorizza le imprese a richiedere un numero di permessi di inquinamento prima della loro assegnazione, quando queste prevedono che la loro attività realizzerà un maggiore livello di emissioni inquinanti nel breve periodo. Si tratta di una pratica poco diffusa in quanto favorisce la tendenza a posticipare in modo indefinito l'effettivo abbattimento dell'inquinamento prodotto. CAP.4 Dai mali dell'inquinamento al cambiamento del clima: un'analisi degli interventi di politica internazionale e comunitaria La dimensione globale dei problemi ambientali richiede sempre di più un'efficiente meccanismo di coordinamento istituzionale affidato a un'autorità sovranazionale che si faccia carico della soluzione dei problemi. Il tentativo delle istituzioni internazionali di ricercare una soluzione attraverso lo strumento delle conferenze, a partire dai primi anni ‘70, si è rivelato però complessivamente inefficace. Gli esiti dei processi negoziali hanno prodotto un numero considerevole di trattati che hanno assunto la forma di dichiarazioni non vincolanti e sono risultati politicamente rilevanti solo per i paesi che li hanno riconosciuti come adeguati strumenti di regolamentazione. Parte dell'insuccesso è dovuto all'assenza di un governo centrale che abbia il potere di imporre, controllare e coordinare i vari interventi. Si ritiene però che le maggiori difficoltà nel trasferire nel campo degli accordi ambientali l'esperienza maturata attraverso negoziati siano strettamente connesse alla specifica natura degli accordi, caratterizzati da un elevato numero di partecipanti e da una instabilità intrinseca. L'instabilità degli accordi in tema ambientale è dovuta a problemi che sorgono nel momento in cui i paesi avviano una trattativa e che possono essere sintetizzati prevalentemente nella asimmetria informativa e nel comportamento free riding. Il primo problema relativo all’asimmetria informativa implica che ogni paese conosce e gestisce la propria situazione meglio di ogni altro e può trarre vantaggio da questa situazione. Il secondo problema si riferisce al free riding, cioè un comportamento opportunistico che deriva dalle caratteristiche dei beni ambientali che sono beni comuni configurabili come capitale naturale di proprietà collettiva. La caratteristica che consente a più paesi di utilizzare contemporaneamente la medesima risorsa, senza esclusione di alcuno, si rivela un incentivo a sovrautilizzarla o comunque ne favorisce un uso sbagliato. Nel presente capitolo, sono presi in esame gli sviluppi della politica internazionale relativa alle questioni ambientali. Viene poi evidenziata la rilevanza di un particolare tipo di esternalità, il riscaldamento globale del pianeta, che impone la necessità di definire specifiche politiche di intervento. Le questioni ambientali nell'agenda politica delle istituzioni internazionali: la prima conferenza ONU sull'ambiente Nel corso dei primi anni Settanta, la diffusione di una coscienza ambientalista presso l’opinione pubblica dei Paesi a economia avanzata testimoniava la piena percezione dei problemi ambientali come effetti negativi della crescita economica e dell’industrializzazione. Si trattava di fenomeni direttamente osservabili, imputabili a cause ben identificabili e rispetto ai quali si potevano valutare gli effetti sulle attività umane. I PVS (Paesi in Via di Sviluppo) temevano che le istanze ambientaliste avrebbero condizionato le scelte di politica economica, provocando ulteriori ritardi nel loro sviluppo. Il rischio era che quella parte di Paesi, sviluppata economicamente mediante l’utilizzo delle risorse naturali importate dai Paesi più poveri, proponesse un cambiamento radicale compromettendo ogni possibilità di crescita degli altri Paesi. Si andava delineando quella contraddizione economica del nostro pianeta che vede contrapposto un Nord sviluppato a un Sud caratterizzato da condizioni di estrema povertà,tuttavia aree entrambe soggette a casi di degrado ambientali ed elevato rischio. La questione dei PVS, e in particolare la contrapposizione tra Paesi ricchi e Paesi poveri, pose la necessità di una politica globale dell’ambiente che avrebbe dovuto essere definita attraverso lo strumento delle conferenze, utilizzate dagli organismi internazionali per discutere su tematiche di rilievo internazionale e risolvere vertenze con la stipula di convenzioni. → Le Conferenze delle Nazioni Unite sono diventate l’evento chiave. La prima conferenza delle Nazioni Unite sull'ambiente si è svolta a Stoccolma nel 1972 e ha assunto come titolo “L'Ambiente Umano”. Questa ha avuto il merito di attirare l'attenzione sulla protezione dell'ambiente come tema che non poteva essere affrontato in una dimensione esclusivamente nazionale, in quanto collegato alla soluzione di problemi che trascendono le frontiere nazionali. Presupposto della conferenza è stata la presa di coscienza dei problemi dell'ambiente e del progressivo deteriorarsi delle sue condizioni in un momento nel quale, soprattutto a seguito degli shock petroliferi degli anni ‘70, erano emersi i primi segnali allarmanti degli stretti legami tra ambiente e crescita economica. Il tema dominante della conferenza è stato l’inquinamento→ In quegli anni le preoccupazioni dei Paesi sviluppati e della stessa Svezia, che aveva promosso l'incontro, erano prevalentemente il fenomeno delle piogge acide, l'inquinamento dei mari e i livelli di pesticidi e metalli pesanti presenti nel suolo e negli animali. La conferenza si è conclusa con la redazione di due documenti: 1. Piano d’azione che conteneva 109 raccomandazioni agli Stati 2. Dichiarazione di 26 principi sull’ambiente umano → La dichiarazione è stata concepita come una sorta di Carta dei diritti del pianeta, a complemento di quella sui diritti dell'uomo. Nel testo si affermava la necessità di intraprendere uno sviluppo economico compatibile con la salvaguardia delle risorse naturali e si fissavano alcuni principi fondamentali sulla la relazione tra benessere sociale e tutela del patrimonio ambientale, secondo un criterio di equa distribuzione delle risorse anche nei confronti delle generazioni future. prossimo futuro e un lavoro diplomatico relativo alla definizione dei compiti e degli impegni dei singoli Stati. Il lavoro tecnico è contenuto in Agenda 21, che consiste in un documento programmatico sui principali temi da affrontare per pianificare uno sviluppo sostenibile a livello globale. Il documento è stato strutturato in quattro sezioni (dimensione sociale ed economica; conservazione e gestione dello sviluppo; ruolo delle forze sociali; mezzi di attuazione). Sebbene non prevedesse alcun vincolo giuridico, l'Agenda 21 ha costituito un programma d'azione mirato a realizzare in una molteplicità di settori una più equilibrata coesistenza tra ambiente e sviluppo in un ambito di generale cooperazione internazionale. Il lavoro diplomatico ha portato all'adozione di due importanti convenzioni che hanno sancito impegni formali per gli Stati che le hanno sottoscritte: la Convenzione quadro sui cambiamenti climatici e la Convenzione sulla diversità biologica. ● La Convenzione Quadro sui Cambiamenti Climatici: si è fissato l'obiettivo di stabilizzare le concentrazioni in atmosfera dei gas serra, ai paesi industrializzati veniva riconosciuto il maggiore sforzo economico in quanto i principali responsabili di tali emissioni. La Convenzione ha inoltre istituito un organismo negoziale, l'International Negotiating Committee (INC), per discutere le questioni inerenti agli impegni da assumere, ai meccanismi finanziari da predisporre e al sostegno tecnico ed economico da accordare ai PVS. Tra i suoi compiti anche la determinazione dei meccanismi di funzionamento e dei regolamenti della Conferenza delle parti, organo supremo sul clima che, dopo lo scioglimento dell’INC, è divenuto la massima autorità della Convenzione. La Conferenza delle parti, riunitasi per la prima volta a Berlino nel 1995, viene convocata annualmente per verificare l'effettivo rispetto degli impegni assunti dai paesi firmatari della Convenzione. ● La Convenzione sulla diversità biologica: ha sancito l’importanza della conservazione del patrimonio genetico rappresentato dalle specie selvatiche vegetali e animali e di quelle utilizzate nelle agricolture tradizionali. Essa si è limitata a indicare una serie di obiettivi sulla base dei quali elaborare opportune strategie per un’efficace conservazione della biodiversità. È stata anche adottata una Dichiarazione sulle foreste, che in origine era stata concepita come convenzione, poi declassata a semplice dichiarazione di intenti perché osteggiata con forza dai Paesi detentori della maggior parte delle foreste tropicali. Infine, è stata adottata la Dichiarazione di Rio, composta di 27 principi relativi all'integrazione tra sviluppo e ambiente. L'obiettivo iniziale dei lavori era quello di giungere a una firma di una Carta della terra, un documento che definisse i diritti e doveri dell'individuo e degli Stati rispetto al tema dell'ambiente, tentando di porre le basi per la creazione di un diritto internazionale dell'ambiente. Questo obiettivo non è stato raggiunto e alla Carta della terra si è sostituita la Dichiarazione di Rio, un documento dai contenuti prettamente politici e privo di aspetti giuridici vincolanti. Al fine di promuovere gli obiettivi comuni emersi durante il Vertice di Rio, le Nazioni Unite hanno istituito una Commissione per lo Sviluppo Sostenibile (CSD) con il compito di monitorare e promuovere l'attuazione dell'agenda 21. A 10 anni di distanza dal Summit di Rio,si è dovuto constatare che non si era arrivati ai risultati auspicati e il progressivo degrado dell'ambiente ne costituiva una prova tangibile. Il rapporto stilato dalla Commissione dello Sviluppo Sostenibile denunciava che, nonostante le iniziative intraprese dai governi e da numerosi attori economici e sociali, i progressi verso gli obiettivi indicati dalla Conferenza di Rio erano stati molto lenti e inoltre le condizioni attuali risultavano peggiorate rispetto a quelle accertate 10 anni prima. Venivano rilevate lacune nel processo di implementazione dello sviluppo sostenibile in quattro aree: 1) La difficoltà di realizzare un approccio integrato nelle politiche settoriali, che dovrebbero coniugare le possibilità di sviluppo con le necessità dell'ambiente. 2) Mancato cambiamento dei modelli economici di produzione e consumo. 3) La mancanza di una visione di lungo periodo nelle politiche intraprese dai governi. 4) Le risorse economiche necessarie all'implementazione dell'Agenda 21 non sono state realmente disponibili. La terza Conferenza delle Nazioni Unite sull'ambiente si è tenuta a Johannesburg nell'agosto 2002 e ha avuto come titolo “Lo sviluppo sostenibile”. Rispetto al summit di Rio, che aveva focalizzato l'attenzione sull'aspetto ambientale dello sviluppo sostenibile, il Vertice di Johannesburg ha affrontato la questione con una visione più ampia, considerando in modo prioritario le problematiche sociali ed economiche. Si è cercato di affrontare il nodo centrale di come raggiungere lo sviluppo economico e sociale e di come renderlo sostenibile rispetto all'ambiente. Si è tentato di trovare un equilibrio tra crescita economica, sviluppo sociale e protezione dell'ambiente, a partire dall'applicazione dell'Agenda 21. Non sono stati fissati nuovi traguardi, ma sono stati ribaditi gli impegni assunti in precedenti Conferenze delle Nazioni Unite. Il Vertice di Johannesburg si è concluso con l'adozione di due importanti documenti: la Dichiarazione dello sviluppo sostenibile e il Piano di attuazione per uno sviluppo sostenibile. In entrambi i documenti si è affermata la priorità di intraprendere uno sviluppo sostenibile basato su tre pilastri strettamente collegati: economico, ambientale, con la tutela delle risorse naturali, e sociale, con la riduzione del profondo contrasto che divide la società tra ricchi e poveri. Gli sviluppi della politica internazionale dell'ambiente: la Conferenza Onu Rio+20 Venti anni dopo il Vertice della terra, nel giugno 2012 si è tenuta la quarta Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente, denominata “Rio+20” in quanto si è svolta a Rio de Janeiro. Essa si configura come il prosieguo logico della Conferenza di Johannesburg e si colloca nel percorso di attualizzazione di Agenda 21. L'obiettivo della Conferenza è stato infatti quello di rinnovare l'impegno politico per lo sviluppo sostenibile, verificare lo stato di attuazione degli impegni e cercare di convogliare gli sforzi dei governi e dell'intera società civile verso obiettivi comuni. Dopo intensi e difficili negoziati, la conferenza si è conclusa con l’adozione di un documento di natura prevalentemente programmatica, dal titolo “Il futuro che vogliamo”, che avvia numerosi processi, come la definizione di nuovi obiettivi globali per lo sviluppo sostenibile, e la creazione di un Foro Politico di Alto livello sullo Sviluppo sostenibile. Il documento adottato è articolato in sei sezioni che, oltre a riconfermare i principi sanciti a Rio nel 1992 e nelle convenzioni e accordi successivi, evidenziano l'aggravarsi delle criticità ambientali, riconoscendo la necessità di assumere strategie idonee a risolverle. → due delle sezioni propongono due contributi innovativi: ● Green economy → è concepita come uno strumento per il raggiungimento dello sviluppo sostenibile e si sostanzia in una serie di interventi di politica da adottare coerentemente con i principi di Rio 1992, Agenda 21 e con il Piano di attuazione di Johannesburg. Il documento non prevede prescrizioni operative e demanda alle istituzioni nazionali la determinazione del set di modelli e approcci e strumenti disponibili per realizzare lo sviluppo sostenibile nelle sue tre dimensioni: ambientale, economica e sociale. Le politiche della green economy nel contesto dello sviluppo sostenibile e dell'eliminazione della povertà dovrebbero: favorire l’innovazione tecnologica capace di minimizzare inquinamento e sfruttamento delle risorse, incentivare modelli di produzione e consumo sostenibili, rafforzare la cooperazione internazionale per favorire il trasferimento di risorse tecnologiche e finanziarie verso i PVS, migliorare il benessere delle comunità indigene e delle minoranze etniche, favorire l’inclusione sociale e dirimere le disuguaglianze). La realizzazione delle politiche della green economy deve essere supportata da un ambiente che prevede la partecipazione di tutte le parti interessate, compresa la società civile. Un ruolo importante è riconosciuto al contributo dell'industria e delle imprese nello sviluppo di strategie di sostenibilità che integrino le politiche della green economy e al ruolo delle microimprese e delle cooperative nel concorrere all'inclusione e alla riduzione della povertà nei PVS. ● Quadro istituzionale per lo sviluppo sostenibile → Si riferisce al sistema di governance globale. La Conferenza di Rio+20 ha dato impulso alla ridefinizione e riorganizzazione del sistema attuale, proponendo ampie riforme aventi come oggetto l'Assemblea generale, il Consiglio Economico e Sociale e la Commissione dello Sviluppo Sostenibile, nonché le istituzioni finanziarie. 1.Il primo obiettivo riguarda il consolidamento del quadro istituzionale, in modo da integrare equilibratamente le tre dimensioni dello sviluppo sostenibile (ambiente,società,economia). 2.Il secondo obiettivo è incentrato sulla necessità di fortificare la coerenza e la coordinazione del sistema delle Nazioni Unite, di cui si riconosce la centralità, all'insegna di un sistema multilaterale, inclusivo, riformato e trasparente, in cui si sottolinea la responsabilità degli Stati. 3.Il terzo obiettivo si riferisce alla governance ambientale internazionale e all'impegno a rafforzare il ruolo del Programma per l'Ambiente delle Nazioni Unite (UNEP),che rappresenta la massima autorità ambientale globale incaricata di organizzare l'agenda globale ambientale. 4.Il quarto obiettivo contempla la necessità di aumentare i contributi finanziari per raggiungere gli obiettivi di sviluppo concordati a livello internazionale. Viene confermata l'importanza di incrementare nel processo decisionale ed economico la partecipazione dei PVS, destinatari dei fondi. I principi Il sistema per lo scambio delle quote di emissioni si basa sulla premessa che la fissazione di un prezzo per il carbonio è il mezzo più efficace per conseguire imponenti riduzioni globali di gas a effetto serra. Il sistema si fonda su quattro principi fondamentali: ● È un sistema cap and trade. ● La partecipazione delle imprese dei settori interessati è obbligatoria. ● È caratterizzato da un solido quadro di riferimento per la conformità. ● Il mercato è comunitario ma attinge a opportunità di riduzione delle emissioni presenti in tutto il mondo, accettando crediti derivanti da progetti di abbattimento delle emissioni realizzati nell'ambito del Meccanismo di Sviluppo Pulito (MSP) e dello Strumento di Attuazione Congiunta (JI) del Protocollo di Kyoto. È altresì aperto alla creazione di vincoli formali con sistemi cap and trade compatibili nei paesi terzi che hanno ratificato il Protocollo di Kyoto. L’attuazione in fasi La fase uno, dal 1 gennaio 2005 al 31 dicembre 2007, è stata una fase pilota triennale dedicata alla preparazione della fase successiva. In questo periodo sono stati stabiliti un prezzo per il carbonio, il libero scambio delle quote di emissioni nell'UE e l'infrastruttura necessaria per il monitoraggio, la comunicazione e la verifica delle emissioni effettive. La produzione di dati annuali verificati sulle emissioni ha contribuito a creare la base solida per definire i tetti (caps)per l'assegnazione delle quote a livello nazionale per la fase due. La fase 2, dal 1 gennaio 2008 al 31 dicembre 2012, coincide con il primo periodo di impegno del Protocollo di Kyoto, un quinquennio durante il quale l'UE e gli Stati membri sono obbligati a rispettare gli obiettivi di emissioni prefissati. La fase 3 ha una durata di 8 anni, dal 1 gennaio 2013 al 31 dicembre 2020. Questo periodo di scambio prolungato deve contribuire a incentivare gli investimenti a lungo termine nella riduzione delle emissioni. Dal 2013, l’EU ETS è stato significativamente rafforzato ed esteso in modo da poter coprire un ruolo centrale nel conseguimento degli obiettivi comunitari. È stato oggetto di una revisione strutturale che può essere riassunta nei seguenti punti: ampliamento della portata del sistema per comprendere alcuni settori e gas serra aggiuntivi, oltre a impianti che si occupano della cattura, del trasporto e dello stoccaggio geologico, delle emissioni di CO2; la sostituzione del sistema di tetti nazionali al numero di quote di emissioni con un tetto unico per tutta l'Unione europea; entro il 2020 il numero di quote inferiore del 21% rispetto ai livelli del 2005; uno spostamento progressivo verso la messa all'asta integrale delle quote, in sostituzione dell'attuale sistema che ne prevede l'assegnazione gratuita, si tende a raggiungere l'obiettivo del 100% entro il 2027;la possibilità di collegare l’EU ETS ad altri sistemi cap and trade obbligatori nei paesi terzi, non solo a livello nazionale ma anche regionale; La possibilità per gli Stati membri di escludere dal sistema piccoli impianti responsabili di quantità relativamente ridotte di emissioni di CO2, a condizione che essi siano soggetti a misure aventi effetto equivalente sulle loro emissioni). Come opera È un sistema cap and trade che limita il volume totale delle emissioni di gas serra, fissando un tetto massimo rispetto al quale viene determinata l'offerta dei permessi. Il fulcro dell’EU ETS sono i permessi, o quote di emissioni, che rappresentano la moneta di scambio comune e il cui valore deriva dall'offerta limitata rispetto alla domanda da parte dei partecipanti, i cui costi di riduzione dell'inquinamento risultano essere molto elevati. Il limite/tetto posto sul totale delle emissioni assegnate genera la scarsità necessaria a incoraggiare lo scambio tra le imprese. Se le imprese mantengono le proprie emissioni al di sotto del livello stabilito, possono vendere le quote eccedenti a un prezzo determinato dalla domanda e dall'offerta; le imprese che hanno difficoltà a rimanere al di sotto dei limiti stabiliti possono scegliere tra diverse alternative: intervenire per ridurre le emissioni, per esempio investendo in tecnologie più efficienti; acquistare sul mercato quote supplementari; acquistare crediti per progetti realizzati nell'ambito dei Meccanismi di Sviluppo Pulito o Attuazione Congiunta. Fino a questo momento la maggior parte delle quote è stata concessa gratuitamente agli impianti. Sebbene le quote siano assegnate solo alle imprese interessate dall’EU ETS, chiunque altro è libero di acquistare o vendere sul mercato. Assegnazione delle quote Fino al 2013 il sistema prevedeva 27 tetti nazionali ed era attuato mediante Piani Nazionali di Assegnazione. La revisione del sistema intrapresa nel 2013 ha introdotto un tetto unico valido per tutta l'Unione europea. A partire dal 2013, la messa all'asta delle quote è stata assunta come principio alla base della loro assegnazione in sostituzione del sistema in vigore fino a quel momento, nel quale la maggior parte delle quote veniva assegnata gratuitamente dai governi. La messa all’asta delle quote è coerente con il principio di chi inquina paga. Il settore dell’energia elettrica è stato obbligato ad acquistare tutte le proprie quote, poiché è stato dimostrato che le imprese del settore hanno trasferito negli anni il costo teorico delle quote di emissioni agli acquirenti nonostante siano state ricevute gratuitamente. Per altri settori è stata prevista una transizione progressiva verso il sistema di messa all’asta. Sono state previste deroghe qualora la loro competitività fosse ritenuta a rischio a causa della concorrenza di paesi che non hanno vincoli analoghi. → Si ritiene che in tale situazione alcune industrie europee possano sentirsi incentivate a rilocalizzare la produzione in paesi in cui le disposizioni in materia di carbonio sono meno rigide, con conseguente perdita di posti di lavoro europei e aumento delle emissioni globali di gas a effetto serra (carbon leakage). Per impedire il suddetto fenomeno ai settori ad alta intensità energetica ad alto rischio di rilocalizzazione delle emissioni, viene consentito di continuare a ricevere tutte le quote gratuitamente a condizioni che utilizzano le tecnologie più efficienti per ridurre le proprie emissioni. Garanzie per la conformità Misure specifiche sono state concepite per garantire la conformità alle disposizioni che sono alla base del funzionamento dell’EU ETS. Alla fine di ogni anno solare gli impianti devono restituire un numero di quote equivalente alle emissioni realizzate in quell'anno e verificate delle autorità competenti. Le quote saranno cancellate in modo da non poter essere riutilizzate.Gli impianti che hanno quote non utilizzate possono venderle sul mercato o tenerle da parte per adempiere agli obblighi nel futuro (banking). Gli impianti che non restituiscono quote in numero sufficiente da coprire le emissioni dell'anno precedente vengono sanzionati. La riforma per la fase 4 (2021-2030) Nel luglio 2015 la Commissione Europea ha presentato una proposta legislativa per la riforma dell’EU ETS per il periodo successivo al 2020. Gli aspetti chiave della direttiva: -a partire dal 2021 la quantità complessiva di quote di emissioni diminuirà a un tasso annuo del 2,2% anziché 1.74%. -è stata prevista l’istituzione di due nuovi fondi per supportare l’industria e i settori energetici ad affrontare le sfide (Fondo per l’innovazione e Fondo per la modernizzazione). Inoltre, la proposta legislativa presentata dalla Commissione europea prevede l'istituzione e il funzionamento di una riserva di stabilità del mercato ( Market Stability Reserve, MSR) dei permessi di emissione→ Concepita per affrontare l'attuale squilibrio dell’EU ETS e migliorare la sua capacità di reagire a futuri e imprevisti shock della domanda di permessi di emissione, riducendo la disponibilità di quote quando queste sono in surplus e aumentandole quando sono in deficit, al fine di mantenere il prezzo su determinati livelli. Le politiche del global warming Nell'ambito delle questioni ambientali che sono state affrontate dalle istituzioni politiche a diversi livelli di governo e cioè internazionale, comunitario, nazionale, una trattazione particolare deve essere riservata al riscaldamento globale e alle politiche per salvaguardare l'ambiente dalle emissioni di gas serra. Per ridurre le emissioni di questi gas, i governi devono penalizzare le attività delle imprese e i servizi alle famiglie che sono basati sull'uso di combustibili fossili a base di carbonio → essi devono quindi aumentare il prezzo dell’emissione di CO2. A questo fine esistono due meccanismi che i governi hanno maggiormente utilizzato: il sistema cap-and-trade e la carbon tax. Il primo sistema si basa sul limite (cap) che un paese definisce per le emissioni di CO2 e la relativa emissione di quote per il diritto di emettere un certo quantitativo di CO2. Le imprese interessate possono intraprendere compravendite di quote, con il mercato che definisce il prezzo per tonnellata di emissioni (trade). La carbon tax riguarda direttamente i prezzi di CO2 piuttosto che la limitazione quantitativa di emissioni. In teoria i due approcci dovrebbero condurre allo stesso risultato, ma in pratica sussistono molte diversità nell'applicazione delle due politiche. Il problema del global warming e dei cambiamenti climatici riguarda il fatto che questi fenomeni rappresentano esternalità globali e pertanto richiedono una partecipazione quanto più universale possibile dei Paesi e un'armonizzazione delle politiche. I gas serra perdurano nell'atmosfera per un tempo molto lungo (si accumulano quindi sono uno stock) e costituiscono un male globale che incide su tutto il pianeta, riscaldando l'atmosfera terrestre e dando vita ai cambiamenti climatici. La limitazione dell'applicazione di queste politiche di contenimento delle emissioni a pochi paesi certamente non porterebbe a risultati apprezzabili in termini di riscaldamento dell'atmosfera e danneggerebbe fortemente questi paesi in termini di benessere immediato.
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