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Riassunto del libro Economia delle Amministrazioni Pubbliche di R. Mussari (LUISS), Sintesi del corso di Management Pubblico

Riassunto del libro Economia delle Amministrazioni Pubbliche di R. Mussari (LUISS), utilizzato nel corso di Public Management

Tipologia: Sintesi del corso

2018/2019

In vendita dal 22/06/2019

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Scarica Riassunto del libro Economia delle Amministrazioni Pubbliche di R. Mussari (LUISS) e più Sintesi del corso in PDF di Management Pubblico solo su Docsity! PUBLIC MANAGEMENT CAPITOLO 1. LE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE: UN QUADRO CONCETTUALE 1.1 IL SETTORE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE Il concetto di Amministrazione Pubblica (AP) non è facile da definire e tale difficoltà dipende da molte ragioni. In primo luogo, le tradizioni storiche, giuridiche, amministrative sono diverse fra Paesi e fra gruppi di Paesi; in secondo luogo, le funzioni e le dimensioni effettive delle AP sono la risultante di scelte assunte dagli organi di governo degli Stati, le quali dipendono significativamente dalle condizioni economiche e sociali che caratterizzano i diversi periodi storici (ad es. i processi di liberalizzazione e privatizzazione e alla cosiddetta deregulation che hanno caratterizzato gli ultimi due decenni del secolo scorso e rimessi in discussione durante gli anni dell’ultima crisi finanziaria). Per tali ragioni, la necessità di trovare criteri utili a demarcare il confine tra organismi appartenenti alle AP e quelli esclusi fa sì che tali criteri non siano determinabili una volta per tutte e che per questo sia difficile definirne: • la numerosità in un certo frangente temporale; • le funzioni loro assegnate; • la distribuzione delle funzioni fra i diversi livelli di governo; • le dimensioni assunte dalle AP in termini di spesa, personale e patrimonio. 1.1.1 Le nozioni di Amministrazioni Pubbliche L’ordinamento italiano non fornisce una definizione di AP, né detta criteri per conseguire tale scopo, ma si limita all’enumerazione di enti che qualifica Amministrazioni Pubbliche. Un’importante nozione giuridica di AP si trova nel decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, che presenta un elenco di AP dal quale è facile cogliere l’eterogeneità degli organismi giuridicamente qualificati AP e la varietà delle funzioni che questi svolgono (Università, Camere di commercio, Consorzi tra Comuni, Stato, aziende sanitarie, ecc.). L’elemento che le accomuna risiede nella circostanza che sono tutti chiamati a svolgere funzioni di interesse generale producendo servizi che, in linea di principio, non dovrebbero essere destinati allo scambio di mercato. Di fatto, dalla nozione di AP restano esclusi gli organismi pubblici, nazionali e locali, ai quali è affidata una funzione imprenditoriale, i quali operano secondo le regole proprie del mercato e della concorrenza. Risulta necessaria una codificazione economica e statistica di AP. Ciò soprattutto per avere a disposizione dati, attendibili e comparabili nel tempo e nello spazio, utili a alimentare i processi decisionali pubblici a livello nazionale, comunitario e internazionale. 1.1.2 La definizione di Amministrazioni Pubbliche secondo il Sistema europeo dei conti nazionali Le AP sono uno dei cinque settori nei quali sono raggruppate le unità istituzionali (definita come “il centro elementare di decisione economica, caratterizzato da uniformità di comportamento, da autonomia decisionale nell’esercizio della propria funzione principale e da una contabilità completa”) ai fini del funzionamento del Sistema europeo dei conti nazionali e regionali, oggi Sec 2010 (prima Sec 95). Esso è un sistema contabile che assicura la possibilità di effettuare comparazioni internazionali. Descrive in maniera sistematica e dettagliata il complesso di un’economia, le componenti e le sue relazioni con le altre economie. Il Sec 2010 classifica le unità istituzionali e le AP sono al terzo posto, con la sigla S.13 (le altre sono S.11 società finanziarie; S.12 società e quasi società non finanziarie; S.14 le famiglie; S.15 le istituzioni sociali private al servizio delle famiglie). Il settore AP include tutte le “unità istituzionali che agiscono da produttori di beni e servizi non destinabili alla vendita, la cui produzione è destinata a consumi collettivi e individuali ed è finanziata in prevalenza da versamenti obbligatori effettuati da unità appartenenti ad altri settori e/o tutte le unità istituzionali la cui funzione principale consiste nella redistribuzione del reddito e della ricchezza del Paese”. Nel Sec 2010 la distinzione fra produttori di beni o servizi destinabili alla vendita e produttori di beni o servizi non destinabili alla vendita si basa sulla circostanza che i prezzi applicati siano o non siano economicamente significativi tanto dal punto di vista dell’offerta che della domanda. Un prezzo è significativo quando il suo ammontare influisce in misura rilevante sulle quantità del bene o del servizio offerto e richiesto. Si riconosce quindi l’esistenza di una gradualità fra due posizioni estreme: • organismi la produzione dei quali è ceduta in assenza di una controprestazione monetaria diretta (immediata o differita) da parte di chi utilizza il bene o il servizio; • organismi la produzione dei quali è ceduta (venduta) a un prezzo remunerativo tale da consentire la congrua remunerazione di tutti i fattori della produzione impiegati per realizzare l’output, che sia un bene o un servizio. Fra le due posizioni estreme possono essercene numerose altre. In molte circostanze, pur mancando la volontà economica di vendere, un organismo pubblico può richiedere al fruitore del bene o del servizio la corresponsione diretta di una somma (tassa, tariffa) che non è un prezzo nel senso economico-aziendale del termine. Serve, per un verso, a contribuire seppure in modo contenuto al finanziamento della produzione e, per l’altro verso, a scoraggiare comportamenti opportunistici e eccessi di domanda (effetto dissuasivo). Poiché il grado di significatività economica di un prezzo è in ogni caso un criterio discriminatorio di tipo qualitativo, nel Sec 2010 il concetto di prezzo economicamente significativo si traduce nel criterio del 50% (la significatività dipende dalla circostanza che le vendite coprano una quota superiore al 50% dei costi di produzione). Inoltre, rispetto al Sec 95, il Sec 2010, pur riaffermando la centralità del suddetto criterio, riconosce la variabilità del rapporto tra ricavi di vendita e costi, con conseguente variabilità anche del perimetro delle PA. Pertanto, per decidere se una unità operante sotto il controllo di una amministrazione pubblica è una unità market, il Sec 2010 impiega anche dei criteri qualitativi per analizzare le caratteristiche dei produttori: • se una unità vende la propria produzione soltanto all’amministrazione pubblica senza essere in competizione con altri produttori privati allora questa unità deve essere classificata all’interno della stessa AP; • se l’amministrazione pubblica si fornisce di un determinato bene o servizio da un solo fornitore e questo vende meno del 50% della propria produzione a clienti privati e non si trova in competizione con altri produttori privati nella fornitura alla AP, allora questa unità deve essere classificata all’interno della stessa AP; • se l’unità non ha incentivo ad adeguare la propria offerta in relazione alla necessità di rendere la propria attività profittevole, allora l’unità deve essere classificata all’interno della AP; Il settore delle AP è suddiviso in quattro sotto-settori: • Amministrazioni centrali (S.1311): include tutti gli organi amministrativi dello Stato ed enti centrali; • Amministrazioni di stati federati (S.1312): non risulta attualmente utilizzabile nel nostro Paese; • Amministrazioni locali (S.1313): accoglie gli enti pubblici territoriali la cui competenza si estende a una parte del territorio nazionale (esclusi enti locali di previdenza ed assistenza sociale); • Enti di previdenza e assistenza sociale (S.1314): raggruppa le unità istituzionali, centrali e locali, che erogano prestazioni sociali obbligatorie in forza di disposizioni legislative o regolamentari e alle quali determinati gruppi della popolazione sono tenuti a versare contributi. 1.1.3 Le Amministrazioni Pubbliche in Italia Nel 2014 le AP italiane erano costituite da 10.194 unità istituzionali. Il numero delle AP ha avuto un trend decrescente nei primi quattro anni, mentre è cresciuto nell’ultimo anno considerato. Tuttavia, si nota che le amministrazioni centrali diminuiscono da 202 a 176 e lo stesso discorso vale per le amministrazioni locali, scede da 10.121 a 9.996. Diversamente, gli enti previdenziali ed assistenziali confermano l’andamento riduttivo anche nel quinto anno. I sotto-settori mostrano nel quinquennio andamenti difformi: alcuni sono sostanzialmente stabili (Province, Regioni, Province autonome, • unico (irripetibile nei suoi caratteri intimi perché reso vivo e operante dalla presenza umana); • unitario (con riguardo agli organi, alle strategie, alle politiche, al patrimonio, alla gestione, all’insieme dei bisogni da soddisfare). La funzionalità duratura è condizionata dalla sua capacità di operare nel rispetto del vincolo dell’economicità complessiva della gestione. Tale vincolo si sostanzia nel rispetto del principio economico ed etico della generazione, diffusione e riconoscimento di valore, ovvero nel contemporaneo raggiungimento di livelli adeguati di efficienze ed efficacia nel dare risposta ai bisogni individuali e collettivi. Se, almeno nel medio andare, questa condizione non è rispettata, l’azienda diventa antieconomica e antisociale e se tale situazione diviene permanente, l’azienda perde i suoi caratteri costitutivi. Un’azienda sopravvive alla sua antieconomicità solo se è tenuta in vita artificialmente, ovvero tramite massicce e continue immissioni di risorse finanziarie per lo più provenienti dal prelievo fiscale e giustificate, solitamente, con la necessità di mantenere i livelli occupazionali. L’azienda muore se non genera valore riconosciuto almeno nel medio andare. Il valore si sostanzia nelle utilità che l’azienda è capace di aggiungere attraverso il processo di produzione; il valore generato deve essere proposto dall’azienda alla comunità per soddisfarne i bisogni e deve essere valutato positivamente da questa affinché dia il consenso all’azienda a trasferirle in modo volontario (pagamento di un prezzo, donazione) e/o coattivo (tributi) le risorse finanziarie indispensabili al suo funzionamento e sviluppo. Se e quando tale consenso viene meno occorre immediatamente ricercare le modalità più efficaci e rapide per ricostituirlo. Tali condizioni valgono, in casi estremi, anche per quelle aziende, come lo Stato, considerate imperiture. Ne deriva che non esiste alcuna contraddizione fra il perseguimento delle finalità di pubblico interesse (che tutte le AP devono sempre perseguire) e l’essere azienda (operare secondo gli schemi, i principi e con gli strumenti dell’Economia aziendale). 1.2.2 L’azienda pubblica e privata: un confine labile e instabile Ricondurre un’azienda al “dominio pubblico” piuttosto che a quello privato può comportare significative conseguenze sul piano economico, sociale e politico oltre che giuridico. Pubblico e privato sono spesso usati in modo antitetico, ma in realtà, la sempre maggior importanza del terzo settore, la regolamentazione delle attività economiche, la crescente responsabilità sociale delle imprese, la produzione di servizi pubblici da parte di imprese private, sono tutti fattori che rendono ardua la distinzione in esame. Si configura quindi una sorta di sovrapposizione, una compenetrazione tra pubblico e privato così profonda da avere generato un vero e proprio “publicness puzzle”. Le aziende non sarebbero interamente pubbliche o private, ma più o meno pubbliche o private essendo più pubbliche con riguardo ad alcune delle loro attività e più private con riferimento ad altre. Si può dunque dire che i due settori possono sia distinguersi facilmente, sia, come nella maggior parte dei casi, presentarsi “misti”. 1.2.3 I criteri di classificazione Riguardo alla distinzione fra aziende pubbliche e private, la dottrina aziendale italiana ha tradizionalmente fatto riferimento alla soggettività intesa in senso giuridico oppure economico. Il soggetto giuridico di un’azienda o titolare o ente aziendale è la persona fisica o giuridica che, riconosciuta dalla legge soggetto di diritto, assume diritti e obblighi derivanti dall’attività aziendale: • se il soggetto giuridico è persona fisica o persona giuridica privata, l’azienda relativa è privata; • se il soggetto giuridico è persona giuridica pubblica, l’azienda è pubblica. Inoltre, altra distinzione si può fare in base al regime giuridico che le si applica: • quando il funzionamento dell’azienda è regolato in tutte le fasi della sua vita da disposizioni riconducibili al diritto pubblico, allora l’azienda è pubblica; • viceversa, quando il regime giuridico di riferimento è quello privatistico (codice civile), l’azienda è privata. In pratica, ciò comporta come conseguenza immediata che a un’azienda privata non dovrebbero applicarsi, in alcun caso, regole proprie del diritto pubblico e, viceversa, alle aziende pubbliche non dovrebbero mai applicarsi disposizioni del regime privatistico. Ciò è immediatamente falsificato dal riscontro con la realtà: non esiste un’assoluta biunivocità fra azienda pubblica e diritto pubblico né fra azienda privata e diritto privato. Tant’è che le regole del diritto amministrativo, generalmente dettate per le AP, risultano poi applicate anche ad aziende rette in forma privatistica. In conclusione, la natura giuridica di un ente non comporta in modo pieno e automatico l’applicazione esclusiva di un singolo regime giuridico (privatistico o pubblicistico) in quanto l’ordinamento giuridico italiano non è più di tipo dualistico (netta separazione fra diritto amministrativo e privato). D’altra parte, è normale riscontrare che le AP utilizzino soluzioni giuridiche proprie del diritto privato al fine di svolgere delle attività economiche, in special modo nel campo della produzione finalizzato allo scambio di mercato. È pubblica l’azienda il cui soggetto economico è pubblico. Le nozioni di soggetto economico sono numerose e non sempre coincidenti, per cui possiamo dire che il soggetto economico di un’azienda: • esercita, in modo diretto o indiretto, il supremo potere volitivo (la seconda ipotesi si verifica quando i componenti del soggetto delegano altri a rappresentare i propri interessi); • è sempre costituito da persone fisiche (perché soltanto le persone fisiche possono concretamente esercitare il potere volitivo); • subisce i risultati negativi della gestione aziendale e si avvantaggia di quelli positivi; • è unico (coerentemente con il principio dell’unità aziendale, pur potendo essere costituito da una molteplicità di persone anche portatrici di interessi differenti o contrastanti). 1.3 I TRATTI CARATTERIZZANTI DELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE TERRITORIALI INTESE COME AZIENDE Ci riferiremo solamente alle AP territoriali (APT), le quali presentano importanti specificità (il potere di imporre tributi o di legiferare) che le distinguono dalle altre AP. 1.3.1 Il ruolo dei politici Il soggetto economico delle APT delega ai suoi rappresentanti l’esercizio del potere volitivo. Il ruolo di rappresentanti del soggetto economico è svolto dal personale politico eletto per rappresentare legittimamente gli interessi delle diverse componenti della comunità nazionale, regionale o locale. Ciò implica significative conseguenze: • in primo luogo, le indagini aziendali non possono trascurare le regole attraverso le quali l’ordinamento giuridico vigente consente di delegare il potere volitivo. Quando il modello istituzionale democratico è designato in modo tale da favorire la stabilità dell’esecutivo e la responsabilizzazione degli organi di governo politico per i risultati effettivamente conseguiti attraverso l’attuazione delle politiche pubbliche, si generano le condizioni istituzionali idonee a favorire l’attecchimento delle logiche e degli strumenti propri del patrimonio culturale dell’Economia aziendale. Tuttavia, se il contesto istituzionale è sfavorevole, la spinta all’innovazione orientata in senso aziendale risulta significativamente depotenziata: il riferimento è ai governi che, durando in carica per periodi brevi o brevissimi, risultano deresponsabilizzati e deresponsabilizzanti; • in secondo luogo, nell’ambito delle APT, che ha nell’unità un suo carattere imprescindibile, svolgono funzioni aziendali non solo i dirigenti, funzionari e altro personale “legato” all’APT da rapporti contrattuali di vario genere, ma anche i politici. Dunque, l’APT si configura per essere un organismo economico dotato di due “anime”. In sostanza, le scelte effettuate dai rappresentanti eletti, la loro traduzione in operazioni gestionali poste in essere dall’apparato amministrativo e il controllo dei risultati effettivamente conseguiti, sono momenti di un unico e unitario processo. In definitiva, il processo politico e quello tecnico-amministrativo devono essere considerati come un continuo. Tale assunzione non annulla la circostanza concreta che sia possibile individuare delle aree di competenza specifiche della funzione politica in cui l’influenza della sfera esecutiva è assente o, comunque, poco importante e, viceversa, zone operative nelle quali è preminente è il ruolo degli apparati esecutivi rispetto a quello dei rappresentanti eletti. Così, la scelta dei fini superiori è rimessa ai rappresentanti eletti, ai quali tocca stabilire “cosa il governo vuol fare”. La missione delle APT può essere solo parzialmente influenzata dagli apparati esecutivi. È possibile individuare un’area operativa in cui le responsabilità, le influenze e i compiti degli uomini politici dovrebbero essere molto limitati. Tale assunzione non esclude che questo tipo di operazioni comportino processi di scelta che hanno un impatto politico. Non è escluso che particolari situazioni tipicamente amministrative richiedano l’intervento dei rappresentanti eletti per il significato politico che assumono in un dato contesto storico e sociale. È evidente che, in un’ottica aziendale, chi ha la responsabilità più elevata per il corretto e equilibrato andamento della gestione, dovendo renderne conto alla collettività intera, non può disinteressarsi dei risultati concreti dell’attività amministrativa (quando il corpo politico si mostra indifferente a tale esigenza o la trascura, in realtà, rinuncia a svolgere in modo efficace la funzione affidatagli). Appare dunque scontato che le varie componenti d’azienda, ai livelli di responsabilità più elevati, siano tempestivamente informate sul concreto svolgersi della gestione, così da assumere, ove necessario, le decisioni indispensabili per conseguire gli obiettivi prefissati. Esiste un’area molto vasta nel concreto svolgersi dell’attività delle APT che dovrebbe caratterizzarsi per un’ampia e leale collaborazione fra politici e dirigenti (gli esempi più calzanti sono desunti dalla funzione di programmazione operativa dell’attività aziendale: definizione degli obiettivi e conseguente ripartizione di risorse, individuazione dei livelli qualitativi e quantitativi dei servizi, ecc.). In conclusione, deve essere riconosciuto quale premessa indispensabile per un approccio di tipo aziendale che il modello postulante la mancata coordinazione fra il momento politico e quello gestionale, non risponde più alle esigenze di APT che si vorrebbero aziende. 1.3.2 Il peso delle norme La natura pubblica dell’organismo socio-economico ha un altro importante effetto: nel nostro Paese la gestione, l’organizzazione e la rilevazione nelle APT sono regolate da norme di diversa gerarchia non sempre coerenti con le esigenze di buon funzionamento e alla formulazione delle quali raramente è dato partecipare agli esperti di discipline aziendali. A questi ultimi, è affidato il compito di interpretare le norme in chiave aziendale ex post (tuttavia, gli ultimi anni hanno visto un’apertura alla consulenza tecnica). C’è da aggiungere che il contesto super regolato in cui operano le APT ha plasmato nel corso dei decenni la cultura di queste aziende e delle persone che vi operano. La rapidità con la quale può essere modificato uno specifico sistema istituzionale dipende, significativamente, dal radicamento culturale dei principi sui quali è stato fondato. Così, tanto più è radicato culturalmente e socialmente un modello produttivo e distributivo dei servizi pubblici e tanto più forti sono le istituzioni, tanto meno agevole sarà introdurre cambiamenti significativi nelle convenzioni culturali intraorganizzative e interorganizzative sulle quali il sistema si poggia. In sostanza, le logiche di gestione ed erogazione di servizi pubblici nonché di rilevazione e rendicontazione sono la risultante di una valori che sono andati amalgamandosi nel corso del tempo. Nei Paesi di common law gli effetti prodotti sono stati più rapidi e significativi in termini di cambiamenti osservati rispetto ai Paesi con ordinamenti di civil law. Poco favorevoli appaiono infatti le caratteristiche dell’ambiente istituzionale del nostro Paese: • non abbiamo avuto, fino ad un recente passato, corsi universitari di base e avanzati di management pubblico; • manca la tradizione della grand école, ove si forma l’élite della burocrazia statale; • la nostra letteratura sulle APT è stata, per lunghissimi anni, soltanto giuridica, sociologica, macroeconomica e contabile; • la tradizione gestionale e culturale delle APT italiane non è manageriale, ma giuridica; • il travaso fra dirigenza pubblica e privata è ancora molto limitato; d’uso (impiegato per lo svolgimento dell’attività di produzione tipica di ogni APT); la somma dei due dà l’unitario patrimonio aziendale. • Produzione per il consumo: in tal caso, l’APT realizza un processo produttivo, ma non ne destina il risultato allo scambio di mercato in quanto lo eroga, cioè lo mette a disposizione, dei suoi componenti. Da un punto di vista tecnico, non vi sono sostanziali differenze tra un processo produttivo per il consumo e un altro finalizzato allo scambio. Un problema centrale risulta è dunque quello di definire e distinguere le due produzioni. L’APT, come qualsiasi altra azienda, genera valore, ossia predispone una potenzialità di servizi e distribuisce valore, ovvero attiva flussi di servizi per la soddisfazione di bisogni. Ciò impone di ricercare le modalità per utilizzare nel modo più efficiente possibile le risorse impiegate nei processi produttivi, cercando di minimizzare i costi e, contemporaneamente, di innalzare il livello quali-quantitativo delle produzioni. La distinzione non ha dunque gran rilievo e la sua utilità risiede nella diversa destinazione del valore distribuito. Quanto scritto implica la necessità di coniugare in sintesi unitaria due prospettive di soddisfacimento dei bisogni: individuale e collettiva. Misurare e interpretare in modo armonico queste due prospettive consente di giungere all’individuazione del valore pubblico. In conclusione, l’azienda è sempre un fatto di produzione, ma la distinzione fra le attività produttive finalizzate al consumo e quelle finalizzate allo scambio di mercato è da porre come premessa fondamentale per comprendere l’economia delle APT. In sostanza, accanto ai processi di produzione per il consumo e subordinatamente agli stessi, nelle APT si svolgono processi produttivi finalizzati allo scambio di mercato che distinguiamo in: • processi produttivi di impresa (produzione di beni e servizi che vengono venduti contro un prezzo); • processi produttivi patrimoniali I processi produttivi per lo scambio di mercato sono sempre più frequentemente scorporati dall’APT e assegnati a aziende costituite in via autonoma e controllate dall’APT medesima. CAPITOLO 3. IL MANAGEMENT 3.1 LA GENESI DEL MANAGEMENT PUBBLICO La concreta gestione delle APT non è tipica dello scenario europeo continentale in cui invece ha prevalso la tradizione giuridica e socio-politica. Le radici del Management pubblico sono rintracciabili negli USA sul finire del XIX secolo con “The Study of Administration” di Woodrow Wilson, anno 1887. L’obiettivo era l’individuazione di soluzioni concrete ai problemi dell’apparato burocratico negli Stati Uniti dovuti all’influenza politica e alla cattiva gestione, determinati dalla forte e negativa influenza dei partiti politici nei processi di selezione e di carriera dei funzionari pubblici: malfunzionamento amministrativo generalizzato e vasta corruzione. Venne proposta la separazione tra politica ed amministrazione, soluzione che poteva permettere un miglioramento e nello stesso tempo dotava l’amministrazione di principi stabili. Il management pubblico si pone quindi, ai suoi inizi, in linea con il modello organizzativo e culturale burocratico dei più avanzati sistemi amministrativi europei che fu idealizzato e formalizzato da Weber. 3.2 L’ASCESA E IL DECLINO DEL MANAGEMENT SCIENTIFICO PUBBLICO A partire dai due grandi temi proposti da Wilson, la dicotomia tra politica ed amministrazione e l’individuazione di principi stabili di amministrazione da applicare in modo neutro per accrescere l’efficienza tecnica dell’amministrazione, gli studiosi analizzano il funzionamento e il governo delle APT. La sostanziale coerenza e continuità logica fra il contributo di Wilson e di Taylor portarono alla definizione di un vero e proprio orientamento teorico-pratico, noto come management scientifico pubblico: tentativo di applicare le logiche, metodi e tecniche del management scientifico nelle APT. L. Gulik e L. Urwich furono i più noti propugnatori di tale corrente che raggiunse l’apice nel decennio 1927-1937; in Europa invece H. Fayol. L’obiettivo fondamentale della scienza dell’amministrazione è il completamento dei lavori da compiersi con il minimo di impiego di manodopera e materiali. L’efficienza è così l’assioma numero uno nella scala di valori dell’amministrazione (concezione tipica di ingegneri quali erano). Il frutto più duraturo di questo lavoro è il celebre acronimo POSDCORB. I punti principali del management scientifico pubblico erano: • Dicotomia politica-amministrazione; • Management pubblico per l’implementazione neutrale delle scelte politiche (leggi); • Condotta certa e non influenzata dagli uomini politici con minima discrezionalità per i funzionari; • Efficienza come valore guida; • Scientificità dei principi di amministrazione a garanzia della loro applicabilità; • Tecniche e metodi delle imprese private come modelli; • Organizzazione gerarchica con specializzazioni per la miglior ripartizione del lavoro; • Selezione imparziale del personale; • Incentivi alla produttività; • Controllo sulle azioni dei lavoratori. Il management scientifico pubblico non rimase confinato alle enunciazioni teoriche, ma ebbe vastissima eco operativa negli USA ed in altri paesi (esempio New York Bureau of Municipal Research nel 1906, Commission on Economy and Efficiency nel 1912 e Institute of Public Administration nel 1922). Le fortune declinarono progressivamente: • Fu criticato il concetto di scientificità del management (anche pubblico): per i critici queste erano nozioni pratiche tratte da esperienze operative e quindi formulate in modo tale da non poter essere né provate, né confutate. Infatti, fu Herbert Simon con “The Proverbs of Administration” del 1946 a gettare delle ombre sulla scientificità del metodo in quanto i principi erano considerati alla stregua di proverbi, mettendo a nudo le contraddizioni tra i principi in contrasto tra loro ma ugualmente applicabili. Questi principi erano simili a proverbi e quasi sempre se ne trova una coppia, ovvero sono utili solo ex post quando devono corroborare una decisione già presa o un comportamento già assunto e non servono a scegliere, ovvero guidare le decisioni; • Vi fu una minimizzazione sia della particolarità dei processi economici tipici delle APT sia l’intricato insieme di valori, inevitabilmente da riflettersi negli indicatori di performance. L’amministrazione apolitica, razionale, neutrale non era realtà a causa sia dell’illusione di efficienza che di cause esterne come mutamenti economici dovuti alla crisi del ’29 e al New Deal di Roosevelt. Infatti, il crescente ruolo dello Stato aumentò l’importanza delle ATP come sostituti del mercato ed avevano comportato un maggior peso di queste nelle decisioni pubbliche. L’affermazione del Welfare State segnò il definitivo ruolo centrale dello Stato come centro di decisione, volano di sviluppo e garante del benessere con il primato della politica sull’amministrazione nonché anche figura che si fa carico di produrre direttamente una vasta gamma di servi finalizzati a soddisfare bisogni collettivi a contenuto educativo, assistenziale, sanitario e sociale. Con la crisi del Welfare State degli anni ’70 e ’80 è ripreso il dibattito sul Management pubblico con due nuove teorie: • New Public Management: in seguito alle politiche di Thatcher e Reagan con stampo neo-liberista con una rivalutazione del ruolo delle amministrazioni pubbliche nell’economia e nella società; • Post-New Public Management: in seguito alla crisi del 2007-08 con un’evoluzione della teoria precedente. Ciò non segna un salto di tipo paradigmatico quanto piuttosto un’evoluzione, un aggiustamento dell’approccio teorico. 3.3 IL NEW PUBLIC MANAGEMENT Nacque dalla necessità di rendere le APT responsabili per i risultati ottenuti e nel contenimento di spesa e debito pubblico e a causa dell’insoddisfazione per la qualità dei servizi pubblici da parte dei cittadini. Inoltre, la presenza dello Stato nella vita dei cittadini era invasiva data la crescita dei campi d’intervento era un altro aspetto centrale. Il dissolversi dell’ideologica comunista e dell’URSS a seguito della caduta del Muro di Berlino nel 1989, la riscoperta dell’individualismo, sono fra gli elementi che definiscono il contesto economico, politico e sociale nel quale si afferma il NPM. Si cominciano a sviluppare in molti paesi, soprattutto USA e UK, organismi internazionali di supporto finanziario allo sviluppo e ciò ha generato un clima di ostilità verso le aziende pubbliche (il discorso di Reagan nel 1981 è la sintesi di un orientamento non solo politico, ma economico e culturale: “in this present crisis, government is not the solution to our problem. Government is the problem”). Si sviluppò un lungo dibattito su quali produzioni dovessero affidarsi a quelle aziende o restituire ai meccanismi di mercato e sulla migliore distribuzione delle funzioni pubbliche fra i diversi livelli di governo. Il NPM è diventato a mano a mano un movimento globale perché è riuscito ad occupare l’agenda politica di molti governi di un numero elevato di paesi nel mondo. Esso si sviluppa su tre assi: • Il mutamento del sistema istituzionale: la nuova configurazione del sistema dei poteri delle istituzioni pubbliche nei confronti di altri soggetti sociali ed economici e la loro articolazione all’interno delle stesse. Possiamo definirlo come un progressivo decentramento delle funzioni pubbliche trasferendo agli enti territoriali una parte delle funzioni tradizionalmente attribuite alle amministrazioni centrali dello Stato (sussidiarietà verticale). L’obiettivo era quello di aumentare il grado di consenso e di legittimazione stando ora a più stretto contatto con il cittadino ed operano laddove i bisogni si manifestano. La riforma del 2007 ha spinto le APT locali e regionali a ricercare costantemente la sintonia con l’ambiente socio-economico governato: hanno dovuto affinare la capacità di captare i segnali economici, politici e sociali che vengono dalle comunità territoriali, decodificarli, interpretarli e tradurli in politiche, programmi ed azioni gestionali; tutto questo stimolato e agevolato anche dall’introduzione del federalismo fiscale. Quindi, progressivo rarefarsi del modello tradizionale di APT, fortemente sbilanciato verso relazioni verticali e gerarchiche fra amministrazioni di livello diverso, a vantaggio, invece, di relazioni orizzontali con altre ATP per la definizione di politiche e programmi e con le diverse componenti della comunità locale. • La ridefinizione dell’intervento pubblico nelle funzioni di regolazione ed in quelle di produzione diretta di beni e servizi: vi è stata una contrazione dell’intervento pubblico diretto grazie a privatizzazioni ed esternalizzazioni oltre che regolazione della concorrenza e risultati. Si sono dunque affermate logiche competitive a scapito del monopolio in maniera coerente rispetto alla sussidiarietà orizzontale e che prevede l’integrazione tra cittadini e pubblico per lo svolgimento di attività di interesse collettivo. Dunque, alle APT resta la responsabilità di definire e controllare le strategie, mentre al produttore esterno quello di produrre i servizi in maniera efficace secondo le direttive APT. Dunque, le APT hanno la necessità di selezionare personale e dirigenti adeguati al controllo, regolazione e rendicontazione. Il primo livello di controllo riguarda le azioni del soggetto gestore quindi le attività e il livello di soddisfazione del cliente. Il secondo livello è quello politico-amministrativo, in particolare l’impatto delle politiche dal punto di vista socio-economico. • Le modalità di gestione delle APT: consiste nell’individuazione di soluzioni tecnico-organizzative e di modalità operativo-gestionali in grado di aprire spazi per il miglioramento delle prestazioni, al fine di incrementare, nelle dimensioni quali-quantitative, la capacità di risposta di quelle aziende e, conseguentemente, il livello di soddisfazione dell’utenza singola e collettiva. L’obiettivo è di una managerializzazione delle APT con un’attenzione specifica alla dimensione gestionale e al rapporto tra obiettivi e risultati, ma anche all’ottimale impiego delle nuove tecnologie (e-government). La riforma della Dirigenza Pubblica (Legge 142/90) ha contribuito a migliorare un sistema bloccato da mancanza di competenze negli ambiti, assenza di classe dirigente pubblica e conflittualità tra dirigenti e politici. Con il nuovo ordinamento si è proceduto ad un miglioramento mediante la separazione tra funzioni di indirizzo e controllo, che spettano agli organi di governo, e la responsabilità per i risultati a carico dei dirigenti. Nonostante la sua diffusione, il modello di APT postulato dal NPM non ha sempre adeguatamente funzionato sia in Italia sia all’estero. 3.4 IL POST-NEW PUBLIC MANAGEMENT L’agire delle APT in seguito al NPM si è basato su tre principi: • Formulazione delle politiche e implementazione da tenere separate tra gli organi deputati alle funzioni; • permettere i confronti spazio-temporali per favorire un dialogo sugli obiettivi; • esprimere i risultati economici; • svolgere in modo consapevole ed efficace attività di comunicazione esterna; • svolgere in modo consapevole ed efficace attività di comunicazione interna. La valenza di una misura di performance è sempre segnaletica, fornisce, quindi, un valore che deve essere soggetto a interpretazione in congiunzione con altre misure di performance per poi analizzarle. 3.8 LA DETERMINAZIONE DELLA PERFORMANCE E LA RESPONSABILITÀ DIRIGENZIALE Si basa su tre principi: Economicità, Efficienza ed Efficacia e su un sistema ad hoc. Le dimensioni di performance vanno misurate e valutate in relazione ai momenti del processo di produzione del servizio. Una misura di efficienza rivela quanto bene stiamo indirizzando i nostri sforzi, considerati secondo un criterio specificato, ossia quante unità dell’obiettivo posto sono state realizzate per ciascuna unità di risorse consumate. È bene distinguere tra input (risorse) di tipo monetario o fisiche, oltre quelle consumate ed acquisite, e output, volume di produzione o risultato del processo produttivo. Infine, l’outcome cioè l’effetto, positivo e negativo, voluto e non voluto, prodotto all’esterno dall’APT come conseguenza dell’insieme di produzioni riconducibili all’attuazione di un programma pubblico o di una politica pubblica. Si precisa che deve esistere una chiara relazione di causa-effetto tra output e outcome, formalizzata fin dalla fase della programmazione strategica dell’attività aziendale pubblica. 3.8.1 L’economicità dell’acquisizione dei fattori produttivi Soggetto è solo l’Input con l’obiettivo di minimizzare il costo d’acquisizione dei fattori, essenziale è la combinazione più favorevole tra qualità-prezzo secondo le variabili prezzo-costo e una soglia minima di qualità da determinare in funzione della destinazione economica del bene o del servizio acquistato, cioè dell’impiego concreto al quale il fattore produttivo è destinato. 3.8.2 L’efficienza nell’uso dei fattori produttivi Si utilizzano due formule alternative input/output e output/input, nel primo caso l’obiettivo è minimizzare l’uso di risorse per giungere all’output, nel secondo massimizzare l’output date le risorse ed entrambe hanno come obiettivo l’efficienza. Qualunque formula venga utilizzata l’input è costituito dai fattori produttivi utilizzati e dunque è necessario il ricorso alla contabilità economica analitica che consente di seguire la gestione interna, determinare i costi razionalmente, apprezzare il grado d’efficienza, attribuire alla dirigenza la responsabilità per le risorse assegnate. In assenza di questo è complesso poter svolgere un’analisi adeguata. Per quanto riguarda l’output è importante la determinazione dell’efficienza riferita alla quantità complessiva del bisogno da soddisfare, il peso dei bisogni e per le singole persone, con la conseguenza di soluzioni ad hoc per parte della popolazione. Bisogna considerare che alcune produzioni APT hanno effetto nel medio e lungo periodo con la conseguenza che l’uso di risorse potrebbe apparire ingiustificato nel breve. Poi non sempre gli output prodotti hanno la stessa qualità e dunque è necessario: • Dividere gli output in classi di qualità; • Escludere quelli che non raggiungono una soglia minima di qualità (produrre beni). Si può essere efficienti in paragone ad un valore programmato come obiettivo, uno standard tecnico, un dato passato del servizio o il risultato di un’altra azienda. Dunque, è più facile una comparazione tra le APT che verso l’esterno data anche la fissazione del risultato e l’individuazione di decisori, come dirigenti. 3.8.3 L’efficacia operativa Un’attività è efficace quando l’utilizzo dell’output permette il conseguimento degli obiettivi programmati e la produzione pubblica è efficace quando soddisfa la domanda individuale e sociale di servizi, programmi e opere pubbliche. Per quanto riguarda le APT, oltre all’obiettivo finale è importante anche il percorso, con obiettivi a breve, medio e lungo termine. Gli obiettivi immediati si riferiscono alle attività preliminari alla produzione come l’acquisizione dei fattori produttivi compatibilmente con ciò che è richiesto e con le risorse finanziarie disponibili. Si tratta di obiettivi di brevissimo termine il cui raggiungimento è indipendente da quello finale. Poi vi sono gli obiettivi intermedi che riguardano la fase di produzione in senso tecnico legati al raggiungimento degli obiettivi immediati. Si dividono in due tipi: • Efficacia operativa, la cui valutazione si basa su attività svolte nell’amministrazione a favore dell’utente, arco temporale breve, correlazione di input, output e qualità; • Efficacia globale. Il fenomeno può essere a sua volta misurato in 3 sub-dimensioni: • Miglioramento dell’efficacia; • Attitudine a soddisfare domanda potenziale ed espressa; • Analisi del gradimento qualitativo dell’utenza, utilizzabile per qualsiasi servizio pubblico. 3.9 LA DETERMINAZIONE DELLA PERFORMANCE E LA RESPONSABILITÀ DELL’ORGANO DI GOVERNO POLITICO L’organo politico è responsabile per il conseguimento degli obiettivi strategici dell’APT e ne risponde al soggetto economico. Si tratta di verificare l’effettiva capacità di conseguire obiettivi attribuibili non a singole unità organizzative guidate da un dirigente, ma all’APT nel suo complesso. La capacità di governare e coordinare l’operato delle reti istituzionali ed economiche è la principale determinante dell’impatto di molte politiche e programmi pubblici; ciò ribadisce, ancora una volta, l’unitarietà del processo manageriale pubblico e la continuità fra la soddisfazione della domanda individuale e sociale. La valutazione dell’efficacia globale: • Oltre i confini dell’APT analizzando l’effetto prodotto all’esterno del suo perimetro organizzativo; • Ha un arco temporale di riferimento adeguato, spesso medio-lungo; • Impone di prendere in considerazione fenomeni che non ricadono direttamente nella sfera d’influenza dell’APT. La realizzazione di un programma o una politica pubblica presuppone un problema sociale da risolvere intendendo con tale espressione una condizione generale di insoddisfazione che genera una domanda sociale da parte della comunità amministrata alla quale l’APT cerca di dare risposta. È necessario effettuare importanti distinzioni fra diverse tipologie di obiettivi che sono riferibili a fasi diverse del medesimo programma; bisogna, per questo, organizzare una serie di attività, che possono assumere anche la forma di progetti distinti, ma coordinati, ed assegnarne la realizzazione a specifiche unità organizzative aziendali. Valutare serve anche per decidere e deve fornire informazioni utili per il continuo e progressivo miglioramento dei programmi aziendali; un programma non funziona mai completamente così come si era previsto, una valutazione dell’efficacia globale svolta correttamente può segnalare qualche difetto da correggere o alcune modifiche da apportare. La relazione fra il conseguimento degli obiettivi intermedi e finali è ipotizzata in fase di programmazione (ex ante), ma deve essere poi dimostrata in fase di misurazione e valutazione (ex post) e non può mai considerarsi garantita. In sintesi, se l’efficacia operativa non è stata conseguita l’efficacia globale programmata non può dirsi conseguita; se l’efficacia operativa è stata conseguita ciò non comporta in modo automatico e certo che l’efficacia globale programmata sia stata conseguita. Si può scegliere di valutare l’efficacia globale avendo riguardo soltanto agli effetti voluti, ma bisogna avere ben chiaro che gli effetti non voluti possono rivelarsi sia desiderabili che non desiderabili; un programma o una politica possono risultare apparentemente efficaci solo perché producono un effetto non voluto che modifica nella direzione voluta il fenomeno sul quale si intendeva intervenire. Per valutare l’efficacia globale si fa ricorso a metodi quantitativi, essenzialmente disegni di valutazione statistici; chi utilizza questi metodi cerca sempre di assumere un ruolo neutrale rispetto alle attività pubbliche e ai fenomeni osservati. L’uso dei metodi quantitativi presuppone la necessità di giungere alla quantificazione della situazione controfattuale, vale a dire di quella situazione che si sarebbe ipoteticamente determinata se il programma non fosse stato realizzato (la situazione controfattuale è soltanto stimabile statisticamente, ovvero un’approssimazione plausibile di quanto sarebbe accaduto ai partecipanti e alle attività che compongono il programma se quel programma non fosse stato attuato). Esistono anche i metodi qualitativi, ritenuti normalmente meno utili nelle valutazioni di impatto mentre quelli qualitativi sarebbero preferibili nel monitoraggio continuo dei programmi; essi sono però più flessibili dei metodi quantitativi e ciò consente di dare una valutazione nel momento in cui ai metodi quantitativi non è possibile far ricorso per la limitata quantità e qualità dei dati disponibili. La valutazione qualitativa è sostanzialmente induttiva e mira alla descrizione di quanto accade nel contesto spazio- temporale osservato piuttosto che alla spiegazione di quanto avviene. Due sono le principali fonti informative alle quali attingere quando si ricorre a metodologie qualitative: l’osservazione e le interviste. L’osservazione non è semplicemente finalizzata alla ricerca di un quid individuato anticipatamente, ma deve essere libera, aperta e non limitata; diventa normalmente più mirata quando il valutatore ha acquisito una certa confidenza con il fenomeno osservato. L’oggetto dell’osservazione è l’ambiente fisico in cui il programma si svolge, ma anche quello sociale ed umano, il comportamento di coloro i quali apprestano servizi e di chi li utilizza, il loro linguaggio, gli eventi imprevisti e quelli attesi, ma non realizzabili. Ogni osservatore, c’è da sottolineare, fonda le sue conclusioni su percezioni individuali che sono inevitabilmente influenzate dalla sua cultura e dal suo sistema di valori; le condizioni di tempo e di luogo nelle quale avvengono le osservazioni del singolo limitano significativamente l’attendibilità delle conclusioni raggiunte. Limiti: • metodi quantitativi forniscono misurazioni che per loro stessa natura sono sintetiche, spesso riassumibili nello spazio di un foglio di carta, abbastanza facilmente aggregabili e confrontabili; • metodi qualitativi forniscono descrizioni, impressioni, interpretazioni che, di norma, sono lunghe, dettagliate, non standardizzabili, a volte complesse da interpretare e, quindi, non sempre trasferibili ad un pubblico di non esperti. CAPITOLO 4. L’ORGANIZZAZIONE 4.1 IL CONCETTO DI ORGANIZZAZIONE Le questioni organizzative sono cruciali per l’economica funzionalità di ogni azienda. È indispensabile che tra la pluralità di persone potenzialmente impiegabili siano individuate quelle in possesso delle competenze necessarie. Inoltre, è necessario coordinare anche l’apporto delle persone, affinché realizzino le attività nei modi e nei tempi stabiliti. Gli aspetti organizzativi possono essere divisi in interni ed esterni: con i primi si fa riferimento alle problematiche organizzative inerenti alle attività, le risorse e ai soggetti che operano nel perimetro aziendale; con i secondi, invece, si considerano le relazioni che l’organismo aziendale intrattiene con altre aziende autonome e con le quali si instaurano rapporti economici e contrattuali. 4.2.2 Il vertice strategico delle APT Le funzioni di competenza sono: • Definizione di strategia, programmi e piani; • Guida/coordinamento e controllo degli ulteriori livelli organizzativi; • Gestione delle relazioni con gli altri soggetti operanti a livello istituzionale. Nelle APT queste funzioni sono attribuite a più organi, permettendo una maggiore specializzazione ma anche forte coordinamento. Nelle APTS, il potere di indirizzo strategico è individuabile a due diversi livelli organizzativi: • a livello generale tale potere è attribuito al Consiglio dei Ministri (CDM) e il Presidente del Consiglio (PCDM); • a livello particolare, il potere di indirizzo politico-amministrativo è attribuito ad ogni singolo ministro. Il CDM delibera su aspetti tassativamente definiti dalla legge: • Atti inerenti all’indirizzo politico; • Temi di Politica Internazionale e comunitaria; • Disegni di legge; • Promuove questioni di legittimità; • Promuove direttive verso le APTR; • Atti in sostituzione delle amministrazioni regionali; • Rapporti Stato-Chiesa; • Provvedimenti del Presidente della Repubblica; • Scioglimento consigli regionali. Un ruolo centrale spetta al Presidente del Consiglio che (art. 95 Cost.) dirige la politica generale del governo, ne è responsabile, coordina l’attività. Inoltre, propone i Ministri, convoca il Consiglio dei Ministri, fissa l’ordine del giorno, indirizza le direttive politiche, sospende l’adozione di atti, adotta direttive, istituisce comitati di ministri e gruppi di studio e lavoro. Egli si avvale della Presidenza, organizzata tramite decreto del Presidente, si compone di Uffici di diretta collaborazione del Presidente del Consiglio dei Ministri, e di altri Uffici con autonomia funzionale che costituiscono il Segretariato Generale guidato da un Segretario Generale, responsabile delle politiche generali e delle decisioni d’indirizzo politico-amministrativo. Inoltre, vi sono i Dipartimenti guidati da Capi Dipartimento o Sottosegretari o Ministri senza Portafoglio. I ministri sono nominati dal Presidente della Repubblica su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri e sono responsabili degli atti realizzati nell’ambito delle funzioni assegnate, dispongono di potere d’indirizzo politico- amministrativo definendo mediante direttive generali obiettivi, priorità, piani, programmi, allocazione risorse, etc. Il decreto di assegnazione delle risorse deve essere comunicato alla competente ragioneria e alla Corte dei Conti. Nelle APTR e APTL il vertice è composto da (art.121 Cost. /TUEL l.56/2014): • Regioni: Consiglio, Giunta e Presidente; • Città metropolitana/province: Sindaco metropolitano/Presidente, Consiglio, Conferenza Metropolitana/Assemblea Sindaci; • Comuni: Consiglio, Giunta, Sindaco. Nelle APTR il Consiglio esercita potestà legislativa ed ha potere d’indirizzo politico-amministrativo e controlla l’attuazione, dato che approva il Bilancio, gli atti di programmazione e pianificazione, verifica i risultati delle politiche e degli enti. La Giunta è l’organo esecutivo delle APTR, delibera proposte di legge e regolamenti, approva regolamenti, predispone il bilancio, etc. È guidata dal Presidente ed è formato da assessori nominati e che possono revocati dallo stesso. La figura del Presidente, che dirige l’attività, promulga leggi e regolamenti, è eletto a suffragio universale e diretta. La riforma delle APTL (l.56/2014) ha modificato la composizione di queste, in generale al Consiglio competono funzioni di indirizzo e controllo, atti, regolamenti, programmi, bilancio, organizzazione servizi, etc. I consigli metropolitani/provinciali sono composti dal Sindaco metropolitano/ Presidente e un numero variabile tra 24/16 e 14/10 consiglieri secondo la popolazione e scelti tra sindaci e consiglieri delle APTL Comunali. Il sindaco delle APTL Comunali è eletto a suffragio diretto, è responsabile delle linee programmatiche approvate dal Consiglio, ha potere di revoca degli assessori da lui nominati, del Direttore Generale, dei rappresentanti delle APTL presso enti, dei responsabili degli uffici e servizi e dirigenti. Il sindaco metropolitana è il sindaco del Capoluogo di Provincia mentre il Presidente della Provincia viene eletto tra i sindaci dei Comuni. 4.2.3 La dirigenza delle APT Prima distinzione tra le funzioni politiche, attribuite agli organi da noi individuati come facenti parte del vertice strategico delle APT e le funzioni gestionali, attribuite all’organo dirigenziale. A questi ultimi spetta l’adozione degli atti e provvedimenti amministrativi, nonché la gestione finanziaria, tecnica ed amministrativa oltre anche all’organizzazione delle risorse umane e strumentali. Poteri di micro organizzazione spettano ai dirigenti e riguardano e risorse afferenti alle unità organizzative rispetto alle quali svolgono la propria attività dirigenziale, i poteri di macro organizzazione spettano agli organi di vertice, in quanto spetta loro definire, entro i principi generali fissati dalla legge, le linee fondamentali di organizzazione degli uffici, individuare gli uffici di maggiore rilevanza e i modi di conferimento della titolarità dei medesimi. Un ulteriore passo avanti verso l’armonizzazione della regolamentazione relativa alla componente dirigenziale delle APT è stato realizzato con l’approvazione della legge delega in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche, con la quale sono stati inseriti tre ruoli unici per i tre diversi livelli di governo: statale, regionale e locale. Per ognuno dei tre ruoli unici sarà costituita una specifica Commissione che avrà il compito di verificare il rispetto dei criteri di conferimento degli incarichi e del concreto utilizzo dei sistemi di valutazione ai fini del conferimento e della revoca degli incarichi. L’idea è quella di avvicinare il processo di individuazione dei dirigenti da incaricare ad una logica di mercato; con ciò si è andati incontro ad un superamento del rapporto tra dirigenza e APT in termini di dipendenza lavorativa dall’ente presso cui il soggetto presa la propria attività lavorativa per inquadrarlo in termini di rapporto di servizio. Per il conferimento dell’incarico si procede con una preselezione in base ai requisiti definiti dall’APT e successivamente con la scelta. La durata dell’incarico è di 4 anni con possibilità di rinnovo sempre mediante procedura di avviso pubblico. La figura dirigenziale risulta essere regolamentata in modo diverso nelle APT: mentre nelle APTS è previsto un ruolo di ministero, nel cui ambito sono definite apposite sezioni in modo da rilevare e garantire la eventuale specificità delle competenze dei soggetti che vi rientrano, nelle APTR e nelle APTL vi è un ruolo senza alcuna distinzione per competenze. Inoltre, Nelle APTS vi sono un ruolo per Ministero con Sezioni amministrative e tecniche non che due fasce dirigenziali (I, sono i dirigenti titolari di uffici dirigenziali di livello generale o equivalente e II, i dirigenti titolari di uffici dirigenziali di livello non generale). Per quanto riguarda le APTL, la legge delega ha profondamente rivisto la regolamentazione della figura dirigenziale; è stata completamente eliminata la figura del segretario generale mentre sono stati sostanzialmente incrementati i limiti dimensionali per il ricorso alla figura del direttore generale. • Il segretario è un dirigente nominato su base fiduciaria e svolge compiti di collaborazione e funzioni di assistenza giuridico-amministrativa nei confronti degli organi dell’ente. • Il direttore generale svolge una funzione di connessione tra l’anima politica e quella amministrativa dell’ente; l’investitura è popolare e può essere individuato anche tra soggetti esterni alla dotazione organica dell’APTL; contratto a tempo determinato e non oltre il termine del mandato del sindaco/presidente dell’APTL; solo per città metropolitane con popolazione superiore a 100.000 abitanti; resta invece nei poteri del sindaco nelle APTL comunali per popolazione superiore a 15.000 abitanti. In sostituzione delle figure del segretario e del direttore generale vi è l’obbligo per le APTL di nominare un dirigente apicale con compiti di attuazione dell’indirizzo politico, coordinamento dell’attività amministrativa e controllo della legalità dell’azione amministrativa. Conseguenza della riforma è una maggiore chiarezza dei ruoli e responsabilità degli organi di governo da quelli della dirigenza; mentre ai primi spetta il compito di definire le politiche e i programmi, alla seconda spetta il compito di dare traduzione operativa alle scelte compiute e di raggiungere gli obiettivi concordati con i vertici. Per gli organi di governo invece viene a profilarsi una responsabilità strategica, di medio lungo termine e orientata all’efficacia da interpretarsi come correttezza delle scelte strategiche e funzionalità delle stesse rispetto alla domanda sociale di intervento pubblico; tutto ciò orientato secondo i profili di economicità nell’acquisto dei fattori produttivi, nell’efficienza nell’uso delle risorse e di efficacia da intendersi come capacità di conseguire l’obiettivo assegnato dai vertici politici. 4.3 I MODELLI ORGANIZZATIVI DELLE APT Il modello organizzativo evidenzia le tipologie e le logiche di raggruppamento delle unità organizzative componenti i suddetti organi; è graficamente rappresentato nell’organigramma. Le APTR e le APTL, essendo autonome dal punto di vista organizzativo, possono adottare, coerentemente alle loro caratteristiche aziendali, gli schemi che ritengono maggiormente idonei al perseguimento delle loro strategie. L’APTS, invece, deve adottare gli schemi organizzativi stabiliti dal D.lgs. 300/1999. Gli schemi organizzativi si caratterizzano per i criteri sottostanti la suddivisione del lavoro, i livelli organizzativi, il decentramento decisionale, la consistenza e il ruolo degli organi di staff e i meccanismi di coordinamento utilizzati. Gli schemi generalmente adottabili sono: funzionale, divisionale e matriciale. • Il modello funzionale: prevede una suddivisione del lavoro per funzione, per gruppi omogenei, in termini economico-tecnici. I livelli organizzativi sono solitamente tre: a) il coordinamento generale; b) il coordinamento funzionale; c) le unità operative. La differenziazione tra funzioni può essere più o meno intensa; il meccanismo di coordinamento più coerente con tale modello organizzativo è la standardizzazione o la supervisione diretta, secondo il livello di specializzazione funzionale e dello stile di leadership adottato. Con riferimento alla consistenza e al ruolo degli organi di staff, questi sono principalmente presenti accanto agli organi operativi veri e propri, ponendosi quindi al loro medesimo livello gerarchico. Il modello funzionale ha tra i suoi principali punti di forza il raggruppare nelle medesime unità organizzative persone con abilità e conoscenze omogenee, contribuendo così ad una marcata specializzazione delle persone che vi operano, a seguito del continuo interscambio di idee e di esperienze, permettendo così anche un maggiore livello di efficienza nell’utilizzo delle risorse. Qual è il suo limite? Un eccessivo incremento dei livelli organizzativo/gerarchici. Ciò implica la difficoltà di sviluppare competenze di tipo manageriale generale, essendo i dirigenti focalizzati su aspetti molto parcellizzati dell’intero processo gestionale. Chi lo adotta? APT di piccole dimensioni, a limitata complessità gestionale. • Il modello divisionale: si caratterizza per la divisione del lavoro basata sull’output inteso nel senso di categoria/classe di beni o servizi che l’azienda produce, zona geografica servita, tipologia di utenza ecc. I livelli organizzativi sono solitamente cinque: a) il coordinamento generale (funzione di coordinamento di tutte le unità organizzative sottostanti, adottando una prospettiva strategica); b) gli staff centrali (specializzati in termini funzionali per lo svolgimento delle attività che per motivi di economicità si ritiene debbano essere svolte in modo centralizzato); c) il coordinamento divisionale (le divisioni delle unità sono fondamentali, esse costituiscono un’azienda a sé stante); d) le unità funzionali (specializzate per le diverse attività che rientrano nelle divisioni); e) le unità operative (realizzano le attività gestionali rientranti nel coordinamento funzionale cui appartengono). Il decentramento in questo modello è di tipo parallelo poiché tutti i dirigenti di divisione hanno autonomia e sono responsabili per a gestione operativa dei medesimi ambiti funzionali; quanto più l’interdipendenza tra divisioni è funzionale, tanto più necessaria, a seconda dello stile di leadership adottato, un’attività di coordinamento superiore (meccanismi di standardizzazione e adattamento reciproco). Qual è il suo limite? Decidere il futuro è sempre difficile e l’epoca in cui viviamo non è certo caratterizzata da stabilità; a ciò si aggiungono effetti moltiplicatore quali: la globalizzazione dell’economia, l’affievolirsi dei confini fra la sfera pubblica e privata dei bisogni, l’interconnessione e complementarietà fra politiche pubbliche e soggetti pubblici e privati. Prevederne le dinamiche è molto arduo e ciò tende a generare il rischio di un disallineamento fra attesa di azioni ed effettiva capacità di risposta delle APT. È proprio nei momenti di maggiore turbolenza che è indispensabile guidare l’azione degli organi aziendali per evitare il rischio di procedere in modo improvvisato e scoordinato. Per queste ragioni vi è una stretta correlazione positiva tra il carattere d’instabilità dei contesti ambientali ed organizzativi e la necessità di non lasciare le APT prive di punti di riferimento chiari e condivisi per affrontare sfide importanti, improvvise e spesso decisive per il bene comune. Da qui discende la necessità di una costante verifica fra risultato realizzato effettivamente (performance conseguita) e risultato ipotizzato (performance attesa). È alla funzione di controllo che spetta il compito di verificare se ed in quale misura si manifestano scostamenti tra quanto ipotizzato e quanto effettivamente si va concretizzando per valutare. Ultima considerazione riguarda il rapporto tra ambiente e APT: le APT sono condizionate dall’ambiente politico, sociale ed economico in cui operano, ma allo stesso tempo sono chiamate a condizionarlo, a determinarlo e a crearlo; le produzioni pubbliche contribuiscono a definire i caratteri strutturali e valoriali del contesto sociale ed economico dove le APT insieme a tutte le altre aziende si trovano a svolgere le proprie funzioni e, inoltre, il territorio costituisce l’elemento costitutivo essenziale per le APT nonché lo spazio fisico entro il quale esse esercitano le loro potestà pubblicistiche nei confronti dei soggetti che si trovano. Sempre più spesso programmi e politiche pubbliche implicano la realizzazione di attività in territori diversi da parte di APT, ne deriva che con la programmazione e la pianificazione le APT individuano non solo obiettivi che saranno realizzati esclusivamente attraverso l’azione posta in essere dai propri organi, ma anche obiettivi che richiedono la partecipazione e l’intervento di altre aziende. Programmazione e pianificazione servono quindi anche a presidiare efficacemente i meccanismi di coordinamento ed esercitare la leadership istituzionale e politica. È comune distinguere tra: • LE DECISIONI STRATEGICHE che riguardano i valori, gli orientamenti di fondo, gli indirizzi, il modo di volere essere e di volersi proporre dell’APT in un dato orizzonte spazio-tempo; • LE DECISIONI OPERATIVE attengono alla traduzione in concreti atti di gestione degli orientamenti strategici assunti e sono poste a garanzia della continuità logica fra comportamenti effettivi ed indicazioni strategiche assunte. Le implicazioni delle scelte operative, pertanto, si esauriscono nel breve termine al contrario di quelle strategiche, ma non per questa ragione le seconde devono ritenersi meno importanti o secondarie rispetto alle prime. I tre pilastri sui quali poggia la definizione delle scelte strategiche sono: • LA MISSIONE deve esplicitare il suo finalismo aziendale e la natura delle attività svolte; • LA VISIONE, cioè un’esplicitazione del modo in cui sarà verificabile la generazione di valore pubblico riconosciuto; • I VALORI sono i principi irrinunciabili (merito, opportunità, equità, eguaglianza, efficienza, efficacia, parità di trattamento ecc.) ai quali dichiaratamente si ispira la cultura organizzativa dell’APT e definiscono il modo di comportarsi di quell’azienda; non sono slogan, ma punti di riferimento irrinunciabili per guidare strategicamente l’APT e renderla riconoscibile. 5.1 LA PROGRAMMAZIONE STRATEGICA: IL SEMESTRE EUROPEO La base giuridica del processo è il cosiddetto "SIX-PACK", sei atti legislativi che hanno riformato il Patto di Stabilità e Crescita. Il primo ciclo del semestre europeo si è svolto nel 2011, ed ha avuto come obiettivi principali: • contribuire ad assicurare convergenza e stabilità nell'UE; • contribuire ad assicurare finanze pubbliche sane; • promuovere la crescita economica; • prevenire squilibri macroeconomici eccessivi nell'UE; • attuare la strategia Europa 2020. La recente crisi economica ha dimostrato la necessità di una più forte governance economica e di un migliore coordinamento delle politiche tra gli Stati membri dell'UE. In un'Unione di economie altamente integrate, un coordinamento rafforzato delle politiche può aiutare a evitare discrepanze e contribuire a garantire convergenza e stabilità nell'UE nel suo complesso e nei suoi Stati membri. Le procedure di coordinamento delle politiche economiche esistenti fino al 2010 venivano svolte in autonomia una dall'altra. Gli Stati membri hanno pertanto avvertito la necessità di sincronizzare i calendari di queste procedure al fine di razionalizzare il processo e meglio allineare gli obiettivi delle politiche nazionali in materia di bilancio, crescita ed occupazione, tenendo al contempo conto degli obiettivi che si sono dati a livello di UE. Inoltre, si è imposta la necessità di estendere la sorveglianza e il coordinamento a politiche macroeconomiche più ampie. Il semestre europeo si articola intorno a tre nuclei di coordinamento della politica economica: • riforme strutturali, con un accento sulla promozione della crescita e dell'occupazione in linea con la strategia Europa 2020 • politiche di bilancio, con l'obiettivo di garantire la sostenibilità delle finanze pubbliche in linea con il patto di stabilità e crescita; • prevenzione degli squilibri macroeconomici eccessivi. Il semestre segue un preciso calendario in base al quale gli Stati membri ricevono consulenza a livello dell'UE ("orientamenti") e presentano successivamente i loro programmi ("programmi nazionali di riforma" e "programmi di stabilità o di convergenza") per una valutazione a livello dell'UE. Dopo la valutazione di tali programmi, gli Stati membri ricevono raccomandazioni individuali ("raccomandazioni specifiche per paese") riguardo alle loro politiche nazionali di bilancio e di riforma. Gli Stati membri dovrebbero tener conto di tali raccomandazioni quando definiscono il bilancio dell'esercizio successivo e quando prendono decisioni relative alle politiche economiche, occupazionali, in materia di istruzione, ecc. Ove necessario, ricevono altresì raccomandazioni per la correzione di squilibri macroeconomici. 5.2.1 Le fasi del semestre europeo • FASE PRELIMINARE (NOVEMBRE E DICEMBRE): a) La Commissione pubblica un'analisi annuale della crescita e una relazione sul meccanismo di allerta per l'anno successivo; b) L'analisi annuale della crescita espone il parere della Commissione sulle priorità politiche dell'UE per l'anno successivo. Gli Stati membri sono invitati a tenerne conto nell'elaborazione delle loro politiche economiche per l'anno successivo; c) La relazione sul meccanismo di allerta passa in rassegna gli sviluppi macroeconomici nei singoli Stati membri dell'UE; d) Sulla base della relazione sul meccanismo di allerta, la Commissione può decidere di condurre un esame approfondito della situazione nei paesi nei casi in cui si ritiene che il rischio di possibili squilibri macroeconomici sia elevato; e) Tali esami contribuiscono a individuare l'esistenza di possibili squilibri macroeconomici e, se del caso, la loro esatta natura e portata. Essi consentono alla Commissione di presentare raccomandazioni politiche agli Stati membri. • PRIMA FASE: ORIENTAMENTI POLITICI A LIVELLO UE (gennaio e febbraio) a) Consiglio dell'UE discute l'analisi annuale della crescita, formula orientamenti politici generali e adotta conclusioni. b) Il semestre ha ripercussioni su una serie di politiche. Il Consiglio dell'UE ne discute nelle sue varie formazioni. c) Anche il Parlamento europeo discute l'analisi annuale della crescita e può pubblicare una relazione di iniziativa. Esso rende un parere sugli orientamenti in materia di occupazione. Il Parlamento partecipa inoltre al semestre attraverso il dialogo economico. d) Il Parlamento europeo può invitare il presidente del Consiglio, la Commissione e, se del caso, il presidente del Consiglio europeo o il presidente dell'Eurogruppo a discutere le questioni relative al semestre europeo. Anche a singoli Stati membri può essere offerta l'opportunità di partecipare a uno scambio di opinioni. • PRIMA FASE: ORIENTAMENTI POLITICI A LIVELLO UE (marzo): a) Sulla base dell'analisi annuale della crescita e delle analisi e conclusioni del Consiglio dell'UE, il Consiglio europeo definisce gli orientamenti politici. b) Gli Stati membri sono invitati a tenere conto di tali orientamenti nell'elaborazione dei loro programmi nazionali di stabilità o di convergenza e dei loro programmi nazionali di riforma. Nei programmi gli Stati membri delineano le politiche di bilancio e di promozione della crescita e della competitività. La Commissione pubblica esami approfonditi degli squilibri macroeconomici, condotti negli Stati membri in cui il rischio di siffatti squilibri è stato ritenuto elevato. c) Sulla base di questi esami la Commissione può formulare progetti di raccomandazioni agli Stati membri per la correzione degli squilibri individuati. Queste raccomandazioni possono essere pubblicate contestualmente alla pubblicazione dell'esame approfondito o successivamente, unitamente ad altre raccomandazioni specifiche per paese. • SECONDA FASE: OBIETTIVI, POLITICHE E PROGRAMMI SPECIFICI PER PAESE: a) (aprile): Gli Stati membri presentano i rispettivi programmi: programmi di stabilità e di convergenza in cui delineano la loro strategia a medio termine in materia di bilancio e programmi nazionali di riforma, presentati entro il 15 aprile, in cui delineano i loro programmi di riforme strutturali, con l'accento sulla promozione della crescita e dell'occupazione. b) (maggio-giugno): La Commissione europea valuta i programmi nazionali e presenta progetti di raccomandazioni specifiche per paese. Il Consiglio dell'UE discute le proposte di raccomandazioni specifiche per paese e adotta la loro versione definitiva. Il Consiglio europeo approva la versione definitiva delle raccomandazioni. c) (luglio): il Consiglio dell'UE adotta le raccomandazioni specifiche per paese egli Stati membri sono invitati ad attuarle. • TERZA FASE: ATTUAZIONE (LUGLIO-FINE ANNO): a) nei sei mesi restanti dell'anno, talvolta chiamati "semestre nazionale", gli Stati membri tengono conto delle raccomandazioni al momento di elaborare i bilanci nazionali per l'esercizio successivo; b) Gli Stati membri della zona euro devono presentare i documenti programmatici di bilancio alla Commissione e all'Eurogruppo entro la metà di ottobre; c) Gli Stati membri adottano i rispettivi bilanci nazionali alla fine dell’anno. CAPITOLO 6. IL BILANCIO PUBBLICO: PRINCIPI E DEFINIZIONI 6.1 IL BILANCIO DELLO STATO: PRINCIPI E DEFINIZIONI Gli elementi di base del bilancio dello Stato sono: • BILANCIO ECONOMICO: con esso gli effetti delle operazioni di gestione e degli altri eventi sono imputati all’esercizio nel quale l’”utilità economica” è ceduta o acquisita, indipendentemente dal momento in cui avviene la corrispondente regolazione finanziaria. La finalità del bilancio economico è di individuare i costi e d) Sentenze passate in giudicato che condannano lo Stato a pagare una determinata somma”. L’Impegno è poi soggetto a un duplice limite. Può essere assunto soltanto nei limiti delle risorse assegnate in bilancio e con imputazione agli esercizi in cui le obbligazioni sono esigibili. Tutti gli atti amministrativi dai quali derivi l’obbligo di pagare somme a carico dello Stato debbono essere comunicati ai competenti uffici centrali del bilancio, i quali, prima di effettuarne la registrazione, ne verificano: a) La legalità (obbligazione giuridicamente perfezionata); b) La regolarità della documentazione (completezza atti richiesti per la registrazione); c) La corretta imputazione della spesa (al relativo capitolo di bilancio); d) La disponibilità dei fondi. Se queste condizioni sono rispettate, l’ufficio centrale del bilancio del competente dicastero provvede alla registrazione contabile dell’impegno. • LIQUIDAZIONE: in base a titoli e documenti comprovanti il diritto acquisito dai creditori dello Stato si determina la somma certa e liquida da pagare nei limiti dell’ammontare dell’impegno definitivo assunto. Con essa si individua l’esatto ammontare del debito dello Stato e la persona del creditore. La liquidazione spetta, di regola, allo stesso organo amministrativo che ha promosso l’impegno di spesa. • ORDINAZIONE: le amministrazioni, tramite l’emissione di un titolo di spesa, inoltrano alla tesoreria o agli altri organi competenti (es. uffici finanziari, uffici postali, ecc.) l’ordine di pagare le somme liquidate. Vi sono tre diverse modalità di ordinazione di una spesa: a) Mandati di pagamento (o ordinativi diretti), questi possono essere individuali o collettivi (es. stipendi ai dipendenti). Il mandato cartaceo è stato progressivamente sostituito dal mandato informatico (es. clausola di ordinazione della spesa, con tutti gli elementi necessari al pagamento della stessa); b) Ruoli di spesa fissa, assimilabili a mandati permanenti, sono una sorta di titoli di autorizzazione continuativa a pagare; c) Ordini di accreditamento sono aperture di credito che le tesorerie mettono a disposizione di certi funzionari delegati ad effettuare determinate spese (es. prefetto, provveditore agli studi, ecc.). • PAGAMENTO: è il materiale adempimento dell’obbligazione pecuniaria da parte delle tesorerie o degli altri organi competenti. 6.5 COMPETENZA E CASSA Accertamento e impegno sono operazioni a rilevanza giuridica, mentre le altre fasi rappresentano operazioni materiali, finalizzate all’adempimento delle corrispondenti obbligazioni pecuniarie. Vi sono due differenti tipologie di bilanci annuali di previsione: • IL BILANCIO DI COMPETENZA O GIURIDICO: registra l’ammontare delle entrate da accertare e delle spese da impegnare, ossia le entrate e le spese per le quali si prevede rispettivamente che si perfezionerà nel corso del successivo esercizio il diritto alla riscossione (obbligazione attiva) e l’obbligo al pagamento (obbligazione passiva); • IL BILANCIO DI CASSA O MATERIALE: contempla, invece, le entrate e le spese che si presume saranno effettivamente riscosse e pagate dalla tesoreria nel successivo esercizio, a prescindere dal momento in cui sono sorte le relative obbligazioni attive e passive. Il criterio della competenza giuridica, utilizzato ai fini della redazione del bilancio finanziario, non va confuso con quello della competenza economica, proprio della contabilità aziendale e utilizzato ai fini della redazione del budget dello Stato. In particolare, il criterio della competenza giuridica rileva operazioni di natura finanziaria o variazioni numerarie (entrate e spese) prendendo a riferimento il momento in cui insorgono le rispettive obbligazioni di incasso e di pagamento. Il criterio della competenza economica, invece, rileva operazioni di natura economica, prendendo a riferimento il momento in cui maturano i costi e i ricavi. Con tale criterio, le transazioni sono registrate nel momento in cui il valore economico è creato, trasformato, scambiato, trasferito o estinto, indipendentemente dal fatto che l’introito di cassa sia ricevuto o il pagamento effettuato, determinando in tal modo la possibilità che determinati importi siano imputati a un esercizio in assenza di corrispondenti flussi finanziari. A partire dal 1978, il bilancio annuale dello Stato italiano viene redatto contestualmente per competenza e per cassa. Esso espone per ogni voce di entrata la previsione delle somme da accertare e da incassare e, analogamente, per ogni voce di spesa, la previsione delle somme da impegnare e pagare (doppia previsione e autorizzazione). CAPITOLO 7. IL BILANCIO DELLO STATO: MISSIONI, PROGRAMMI E AZIONI 7.1 IL BILANCIO DELLO STATO PER MISSIONI E PROGRAMMI L’Art. 21 Legge 196/2009 afferma che le missioni rappresentano le funzioni principali e gli obiettivi strategici perseguiti con la spesa. La classificazione del bilancio dello Stato per missioni e programmi risponde all’esigenza di poter distinguere le finalità delle politiche pubbliche e di dare maggiore evidenza nel documento contabile di bilancio alla dimensione assegnata alle funzioni e agli obiettivi perseguiti con la spesa pubblica. I programmi rappresentano aggregati di spesa con finalità omogenea diretti al perseguimento di risultati, definiti in termini di prodotti e di servizi finali, allo scopo di conseguire gli obiettivi stabiliti nell’ambito delle missioni”. I programmi costituiscono le unità di voto parlamentare. La struttura per missioni e programmi viene adottata “in una prima fase con funzioni informative (nel 2008 [pre-196]) e, successivamente, con funzioni autorizzatorie (a partire dall’esercizio finanziario 2011). Nel corso del periodo 2008- 2018: il numero delle missioni è rimasto invariato (34) e i programmi di spesa sono passati da 168 a 176; le azioni sono 713; alcuni programmi di spesa sono stati rimodulati nei loro contenuti. ELENCO MISSIONI: 1. Organi costituzionali, a rilevanza costituzionale e PCM 2. Amministrazione generale e supporto alla rappresentanza generale di Governo e dello Stato sul territorio 3. Relazioni finanziarie con le autonomie territoriali 4. L’Italia in Europa e nel mondo 5. Difesa e sicurezza del territorio 6. Giustizia 7. Ordine pubblico e sicurezza 8. Soccorso civile 9. Agricoltura, politiche agroalimentari e pesca 10. Energia e diversificazione delle fonti energetiche 11. Competitività e sviluppo delle imprese 12. Regolazione dei mercati 13. Diritto alla mobilità e sviluppo dei sistemi di trasporto 14. Infrastrutture pubbliche e logistica 15. Comunicazioni 16. Commercio internazionale e internazionalizzazione del sistema produttivo 17. Ricerca e innovazione 18. Sviluppo sostenibile e tutela del territorio e dell’ambiente 19.Casa e assetto urbanistico 20. Tutela della salute 21. Tutela e valorizzazione dei beni e attività culturali e paesaggistici 22. Istruzione scolastica 23. Istruzione universitaria e formazione postuniversitaria 24. Diritti sociali, politiche sociali e famiglia 25. Politiche previdenziali 26. Politiche per il lavoro 27. Immigrazione, accoglienza e garanzia dei diritti 28. Sviluppo e riequilibrio territoriale 29. Politiche economico-finanziarie e di bilancio e tutela della finanza pubblica 30. Giovani e sport 31. Turismo 32. Servizi istituzionali e generali delle amministrazioni pubbliche 33. Fondi da ripartire 34. Debito pubblico. 7.1.1 Missioni e programmi • Competitività e sviluppo delle imprese; • Promozione e attuazione di politiche di sviluppo, competitività e innovazione, di responsabilità sociale d’impresa e movimento cooperativo (MISE); • Promozione e attuazione di politiche di sviluppo, competitività e innovazione, di responsabilità sociale d’impresa e movimento cooperativo (MISE); • Vigilanza sugli enti, sul sistema cooperativo e sulle gestioni commissariali (MISE); • Incentivazione del sistema produttivo (MISE); • Incentivazione alle imprese per interventi di sostegno (MEF); • Interventi di sostegno tramite il sistema della fiscalità (MEF); • Lotta alla contraffazione e tutela della proprietà industriale (MISE); • Coordinamento azione amministrativa, attuazione di indirizzi e programmi per favorire competitività e sviluppo delle imprese, dei servizi di comunicazione e del settore energetico (MISE) Il Centro di responsabilità è inteso come la Direzione generale per la politica industriale, la competitività e le piccole e medie imprese da parte del Ministero dello sviluppo economico (a ogni programma di spesa corrisponde un unico centro di responsabilità). Il punto di vista, molto interessante, della RGS sui primi anni di vita del bilancio per missioni e programmi: “l’esperienza ha segnalato la difficoltà di comprendere con immediatezza i contenuti di ciascun programma e l’opportunità di procedere a ulteriori perfezionamenti per rendere più leggibili le politiche sottostanti e più monitorabili i loro effetti. In un contesto in cui prevale l’approccio giuridico rispetto a quello economico nell’allocazione e gestione delle risorse finanziarie, i programmi non sono diventati un riferimento per la decisione di bilancio, né per l’organizzazione delle amministrazioni. L’attenzione del Parlamento per l’allocazione complessiva delle risorse del bilancio tende a essere limitata e i programmi percepiti come troppo aggregati e poco esplicativi. 7.1.2 Missioni, programmi e azioni L’introduzione delle azioni mira, tra gli altri obiettivi a rafforzare l’utilizzo del bilancio dello Stato per scopi e risultati, confermando un forte orientamento ad aumentare l’attenzione, al momento della decisione di bilancio, all’allocazione delle risorse alle diverse finalità dell’intervento pubblico. Anche allo scopo di rafforzare l’utilizzo effettivo del bilancio per missioni e programmi, il D.lgs. 90/2016, in attuazione della delega prevista dall’art. 40 della L. 196/2009, introduce all’art. 2 (ora art. 25 bis della L. 196) le azioni più in dettaglio, dall’art. 25-bis della 196/2009: • I programmi di spesa sono suddivisi in azioni; • Le azioni costituiscono un livello di dettaglio dei programmi di spesa che specifica ulteriormente la finalità della spesa rispetto a quella individuata in ciascun programma, tenendo conto della legislazione vigente; • Ai fini della loro individuazione le azioni devono presentare le seguenti caratteristiche: a) raggruppano le risorse finanziarie dedicate al raggiungimento di una stessa finalità (ad eccezione delle spese di personale); b) specificano la finalità della spesa in termini di: 1. Settori o aree omogenee di intervento; 2. Tipologie dei servizi o carattere di utenti; 3. Tipi di attività omogenee; 4. Categorie di beneficiari di trasferimenti o contribuzioni in denaro 5. Ogni altro elemento che descriva esplicitamente le realizzazioni, i risultati e gli scopi della spesa. c) corrispondono a insiemi omogenei di autorizzazioni di spesa, sotto il profilo delle finalità; d) sono significative sotto il profilo finanziario e, quanto più possibile, stabili nel tempo. • Le azioni possono contenere spese di natura economica diversa. In ogni caso, ai fini della gestione e della rendicontazione, le spese di personale di ciascun programma di spesa sono iscritte all’interno di un’unica azione. • Le disposizioni appena riportate si applicano, in via sperimentale, dall’esercizio 2017 fino alla conclusione dell’esercizio finanziario precedente a quello individuato (dopo valutazione) come ultimo della fase sperimentale. Durante il medesimo periodo, la suddivisione dei programmi di spesa in azioni, riveste carattere meramente conoscitivo e integra quella prevista, ai fini della gestione e della rendicontazione; 7.2 DOCUMENTI RGS Circolare RGS n. 2/2017: si conferma, nella fase sperimentale ora in corso, il carattere conoscitivo delle azioni che comunque integrano le classificazioni previste ai fini della gestione e della rendicontazione e costituiscono per questo anche un importante punto di riferimento per la nuova disciplina in materia di flessibilità di bilancio. Di conseguenza, a partire dal 1° gennaio 2017 tutti i provvedimenti di variazione di bilancio (Decreti del Ministro dell’economia e delle finanze, Decreti del Ministro competente, Decreti direttoriali e interdirettoriali) dovranno indicare: la missione, il programma di spesa, l’azione e i capitoli e, ove necessario, i piani gestionali interessati dalle modifiche contabili. Tra le modifiche introdotte all’art. 25 bis (Art. 2, comma 1, lettera a), D.lgs. 116/2018: • la Possibilità di modifiche dell’elenco delle azioni Decreto Ministro Economia e Finanze; • la Possibilità di istituzione di nuove azioni e di modifica di quelle esistenti. • Art. 3, TFUE, definizione delle competenze esclusive dell’UE, tra cui «politica monetaria per gli Stati membri la cui moneta è l’euro». • Art. 5, TFUE, «Gli Stati membri coordinano le loro politiche economiche nell’ambito dell’Unione. A tal fine il Consiglio adotta delle misure, in particolare gli indirizzi di massima di tali politiche». • Art. 119, TFUE, p. 3, «le azioni degli Stati membri e dell’Unione implicano il rispetto dei seguenti principi direttivi: prezzi stabili, finanze pubbliche e condizioni monetarie sane, nonché bilancia dei pagamenti sostenibile». • Art. 121, TFUE, p. 1, «Gli Stati membri le loro politiche economiche una questione di interesse comune e le coordinano nell’ambito del Consiglio». • Art. 121, TFUE, p. 3, «il Consiglio sorveglia l’evoluzione economica di ciascuno degli Stati membri e nell’Unione e procede regolarmente a una valutazione globale». • Art. 121, TFUE, p. 4, «Qualora si accerti che le politiche economiche di uno Stato membro rischiano di compromettere il buon funzionamento dell’unione economica e monetaria, la Commissione può rivolgere un avvertimento allo Stato membro in questione e rivolgere allo Stato membro le necessarie raccomandazioni» • Art. 122, TFUE, p. 2, «Qualora uno Stato membro si trovi in difficoltà o sia seriamente minacciato da gravi difficoltà a causa di calamità naturali o di circostanze eccezionali che sfuggono al suo controllo, il Consiglio può concedere a determinate condizioni un’assistenza finanziaria dell’Unione allo Stato membro interessato». • Art. 123, TFUE (si parla di una delle condizioni relative all’indipendenza della Banca centrale europea): «Sono vietati la concessione di scoperti di conto o qualsiasi altra forma di facilitazione creditizia, da parte della Banca centrale europea o da parte delle banche centrali degli Stati membri. • Art. 123, TFUE: a istituzioni, organi od organismi. • Art. 126, TFUE, p.1: «Gli Stati membri devono evitare disavanzi pubblici eccessivi». • Art. 126, TFUE, p. 2: «La commissione sorveglia l’evoluzione della situazione di bilancio e dell’entità del debito pubblico negli Stati membri, al fine di individuare errori rilevanti». • Art. 126, TFUE, p. 2: «In particolare, esamina la conformità della disciplina di bilancio sulla base dei due criteri seguenti: a) se il rapporto tra il disavanzo pubblico, previsto o effettivo, e il prodotto interno lordo superi un valore di riferimento, a meno che: il rapporto non sia diminuito in modo sostanziale e continuo e abbia raggiunto un livello che si avvicina al valore di riferimento, oppure, in alternativa, il superamento del valore di riferimento sia solo eccezionale e temporaneo e il rapporto resti vicino al valore di riferimento». • Il Protocollo (allegato al TFUE) n. 12 sulla procedura per i disavanzi eccessivi specifica all’art. 1, tale valore di riferimento: «il 3% per il rapporto tra il disavanzo pubblico, previsto o effettivo, e il prodotto interno lordo ai prezzi di mercato»; b) se il rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo superi un valore di riferimento, a meno che detto rapporto non si stia riducendo in misura sufficiente e non si avvicini al valore di riferimento con ritmo adeguato». • il Protocollo (allegato al TFUE) n. 12 sulla procedura per i disavanzi eccessivi, specifica all’art. 1 tale valore di riferimento: «il 60% per il rapporto tra il debito pubblico e il prodotto interno lordo ai prezzi di mercato». • Art. 136, TFUE, p. 1: «Per contribuire al buon funzionamento dell’unione economica e monetaria, il Consiglio adotta misure concernenti gli Stati membri la cui moneta è l’euro, al fine di: a) rafforzare il coordinamento e la sorveglianza della disciplina di bilancio; b) elaborare, per quanto li riguarda, gli orientamenti di politica economica vigilando affinché siano compatibili con quelli adottati per l’insieme dell’Unione e garantirne la sorveglianza. 8.3 LA FINANZA PUBBLICA: IL PATTO DI STABILITÀ E CRESCITA (PSC) • La finanza pubblica nel Trattato di Maastricht: le regole di ingresso di alcuni Stati era pari al disavanzo pubblico/PIL nominale = Italia: 10.7 Francia: 3.9 Germania: 2.5 Spagna: 3.7 UK: 6.5. • La finanza pubblica nell’UEM/Il PSC (Risoluzione Consiglio europeo, giugno 1997): un accordo tra paesi intenzionati a unirsi all’area dell’Euro. L’accordo viene raggiunto un anno e mezzo prima della “irrevocabilità” dei tassi di cambio. • Con il Patto di Stabilità e Crescita (PSC) i futuri membri dell’area Euro si impegnano ad adottare politiche fiscali e di bilancio basate sul rispetto dei criteri di Maastricht anche dopo l’introduzione dell’Euromoneta unica. L’enfasi è concentrata sulle politiche fiscali perché: con la moneta unica non c’è ovviamente bisogno di parametri sul tasso di cambio. Ciò che molti osservatori si aspettano è che inflazione e tassi di interesse convergano verso valori simili all’interno dell’area. Pertanto, il PSC si occupa essenzialmente dei rapporti disavanzo pubblico/PIL e debito pubblico/PIL. Il principio alla base della supervisione dei due parametri è che la stabilità della nuova moneta comune è vista dipendere (anche) da una rigorosa politica fiscale. Il diritto derivato dell’Unione stabilisce più in dettaglio in che modo le norme e le procedure previste dal trattato devono essere attuate. La prima versione del PSC: • Regolamento (CE) n. 1466 e n. 1467 del Consiglio del 7 luglio 1997 (1. per il rafforzamento della sorveglianza delle posizioni di bilancio nonché della sorveglianza e del coordinamento delle politiche economiche e 2. per l’accelerazione e il chiarimento delle modalità di attuazione della procedura per i disavanzi eccessivi). • I Regolamenti 1466 e 1467 prevedono: rispetto delle regole del 3% e del 60%, un sistema di monitoraggio, una «messa in stato di allerta» degli Stati membri e, addirittura, un insieme di sanzioni. La prima versione del PSC si esprime quasi immediatamente nella difficoltà di attuazione delle regole, che emerse con il “Black Tuesday” del Novembre 2003 in Germania e Francia, da qui la necessità di una riforma del PSC in senso più realistico. 8.4 LE CONSEGUENZE DEL RALLENTAMENTO (O ADDIRITTURA DI UNA RECESSIONE) DELL’ECONOMIA: È sempre importante capire bene le cause di una recessione (due trimestri consecutivi di riduzione del PIL) sul piano dei dettagli della contabilità economica nazionale. Può anche accadere che le cause immediate di una recessione siano da rinvenire nella diminuzione del valore aggiunto della Pubblica Amministrazione e non nell’andamento dell’economia di mercato (oltre l’80% del PIL). A seconda delle cause del rallentamento, è possibile costruire dei legami tra la raffigurazione dinamica dell’economia (visibile tramite la contabilità nazionale) e le singole grandezze aggregate del bilancio. Il rallentamento o la recessione in genere coinvolgono la domanda di beni di consumo privati e la domanda di beni di investimento privati (situazione attuale in buona parte della UE). Di conseguenza incidono essi incidono: • sul flusso e sul valore delle transazioni; • sull’occupazione; • sui ricavi delle imprese private (e quindi sui risultati aziendali). Le entrate che impattano sul bilancio sono: IVA, IRES ed IRPEF. Esse sono entrate legate al pagamento degli oneri contributivi (bilancio INPS in particolare), altre entrate risentono, in tempo reale, del rallentamento/recessione. Alcune categorie di spese “sensibili” al ciclo economico: • Spese per le indennità di disoccupazione; • Spese per l’assistenza sociale (povertà, povertà sanitaria, ecc.); Il reddito di cittadinanza sarà sensibile al ciclo economico? Occorre fare attenzione: le conseguenze sul PIL nominale (dinamica reale/bassa crescita; dinamica nominale/bassa inflazione) si riflettono sul calcolo dei due parametri fondamentali disavanzo pubblico/PIL nominale, debito pubblico/PIL nominale. Un altro aspetto da tenere in considerazione (molto importante ma che non ha un riscontro “contabile” automatico) è la discrezionalità della politica economica (esiste ancora?) di fronte al rallentamento/recessione. 8.5 LA RISCRITTURA DEL PATTO DI STABILITÀ E CRESCITA (PSC): IL MTO Le regole della versione del 1997 del PSC erano troppo rigide e mettevano troppa enfasi sul breve periodo (equilibrio di bilancio da raggiungere in tempi stretti). Infatti, il funzionamento si dimostrava asimmetrico nei diversi periodi del ciclo economico, col rischio di penalizzare gli investimenti pubblici. Perché avvenne ciò? A causa della scarsa considerazione riguardo alla sostenibilità di lungo periodo delle finanze pubbliche. Con i Regolamenti (CE) n. 1055 e n. 1056 del 27 giugno 2005: • le regole del 3% e del 60% sono state confermate; • viene introdotta una migliore governance fiscale (maggiore cooperazione tra paesi, una più realistica programmazione finanziaria); • gli obiettivi di bilancio vengono inseriti in un orizzonte di medio periodo (i paesi hanno più tempo per aggiustare le proprie finanze pubbliche), con una enfasi sulla sostenibilità di lungo periodo (ad es. riguardo alle pensioni in Italia); • il sistema delle sanzioni viene cambiato rendendolo più flessibile; • aumenta l’enfasi del ruolo delle componenti cicliche nella valutazione dell’andamento complessivo delle finanze pubbliche nazionali. In particolare, viene introdotto l’obiettivo di bilancio a medio termine (OMT). Il saldo strutturale viene definito come quel saldo di bilancio dei conti pubblici (nell’ambito dell’UEM riferito al Conto economico consolidato delle Amministrazioni Pubbliche) calcolato al netto degli effetti del ciclo economico, delle misure una tantum e delle misure temporanee in generale. La finalità dell’Obiettivo di bilancio a Medio Termine (The Medium Term budgetary Obiective, MTO) è triplice: • fare in modo che sia rispettato un margine di sicurezza, rispetto al limite del 3% del PIL, per il disavanzo; • assicurare un rapido progresso verso la sostenibilità; • considerare la necessità di disporre di uno spazio per manovre di bilancio, in particolare per gli investimenti pubblici. Gli MTO differenziati, pur mantenendo un margine sufficiente al di sotto del valore di riferimento del 3% del PIL, sono, per i paesi euro (e quelli in fase di ingresso nella moneta unica), stabiliti nell’ambito di una forcella, tra il -1% del PIL per i paesi a basso indebitamento/elevato potenziale di crescita, e il pareggio o l’attivo per i paesi ad alto indebitamento/basso potenziale di crescita. Agli stati membri è richiesto di realizzare un approccio alle politiche fiscali più simmetrico nel corso del ciclo, attraverso “una migliore disciplina di bilancio nei periodi favorevoli, con l’obiettivo di evitare politiche pro-cicliche, e conseguire progressivamente l’obiettivo a medio termine”. In questo modo si potrà creare il necessario spazio per gestire le fasi di crisi e la possibilità di ridurre il debito con un ritmo soddisfacente, contribuendo “alla sostenibilità di lungo periodo delle finanze pubbliche”. Le entrate “supplementari inattese” dovrebbero essere utilizzate per la riduzione del deficit e del debito. Si rileva, in altre parole, la necessità di accentuare la virtuosità delle politiche di bilancio nelle fasi favorevoli del ciclo economico, che non aveva avuto adeguato riscontro nei primi anni di attuazione del PSC. In particolare, agli stati che non hanno raggiunto l’MTO, è richiesto uno “sforzo di adeguamento” maggiore, che dovrebbe essere più forte nelle fasi favorevoli e più limitato “nei periodi di congiuntura sfavorevoli. I paesi dell’area dell’euro (e quelli in fase d’ingresso nella moneta unica) dovrebbero perseguire un aggiustamento annuale, al netto delle misure una tantum e temporanee, di 0,5 punti di PIL, “come parametro di riferimento”. Le manovre correttive nelle fasi negative del ciclo producono effetti pro-ciclici che devono essere attentamente considerati. Si tratta di un rilevante elemento di criticità rispetto alla prima versione del Patto, che ne accentua la dimensione unidirezionale. b) Correzione annuale dell’MTO dello 0,5% del PIL (correzione più/meno accentuata nelle fasi favorevoli/sfavorevoli del ciclo economico) • Correzione superiore allo 0,5% del PIL per i paesi con un rapporto debito/PIL maggiore del 60%; c) Rafforzamento dei meccanismi di monitoraggio e sorveglianza sulle finanze pubbliche dei singoli Stati; d) Definizione delle procedure per la correzione delle «deviazioni significative» dall’MTO; e) Introduzione del meccanismo delle sanzioni anche nel braccio preventivo del PSC, a partire da sanzioni finanziarie nella forma di un deposito (inizialmente lo 0,2% del PIL); f) Introduzione di una «Expenditure benchmark», una regola relativa all’andamento della spesa pubblica (al netto della spesa per interessi e di altre uscite) che deve essere coerente con la dinamica del prodotto potenziale di medio termine; g) L’adozione di regole dettagliate riguardanti le caratteristiche dei quadri di bilancio degli Stati membri. In particolare, secondo la Direttiva 2011/85/UE, per «quadri di bilancio» si intendono, in particolare: a) sistemi di contabilità di bilancio e segnalazione statistica; b) regole e procedure riguardanti la preparazione delle previsioni per la programmazione di bilancio; c) regole di bilancio numeriche specifiche per paese, che contribuiscono a far sì che la conduzione della politica di bilancio degli Stati membri sia coerente con i loro rispettivi obblighi ai sensi del TFUE, espresse sotto forma di un indicatore sintetico dei risultati di bilancio, come il disavanzo pubblico, il fabbisogno, il debito o uno dei relativi componenti principali; d) procedure di bilancio comprendenti le regole procedurali che sono alla base di tutte le fasi del processo di bilancio; e) i quadri di bilancio a medio termine vale a dire una serie specifica di procedure di bilancio nazionali che estendono l’orizzonte per la formazione della politica di bilancio oltre il calendario del bilancio annuale, compresa la fissazione delle priorità politiche e degli obiettivi di bilancio a medio termine; f) dispositivi di monitoraggio e analisi indipendenti intesi a rafforzare la trasparenza degli elementi del processo di bilancio; g) meccanismi e regole che disciplinano le relazioni in materia di bilancio tra le autorità pubbliche dei sotto-settori dell’amministrazione pubblica; h) Rispetto del saldo strutturale incorporato nel MTO dei singoli paesi; i) Rispetto del 3% del rapporto disavanzo pubblico/PIL; j) Introduzione di una specifica regola numerica relativa al rapporto debito pubblico/PIL (riduzione annuale di 1/20 della differenza tra valore dello stock delle passività finanziarie delle AA.PP. rispetto al PIL e il benchmark del 60%); k) Rafforzamento del sistema delle sanzioni, con la definizione di un meccanismo di sanzioni progressive. Tali sanzioni, nella forma di un deposito infruttifero dello 0,2% del PIL nella fase iniziale di una Procedura per Disavanzo Eccessivo, possono trasformarsi in una sanzione pecuniaria fino allo 0,5% del PIL. 8.11 ALLA RICERCA DEGLI ELEMENTI DI FLESSIBILITÀ NELL’EVOLUZIONE DEL PSC • REGOLE NUMERICHE: dal 3% all’MTO e dal 60% in calo al ritmo più preciso di diminuzione del rapporto debito/PIL (seppure con modalità diverse); • REGOLE DI BILANCIO: dalle autonomie nazionali alla tempistica dell’«anno europeo» e alla progressiva standardizzazione degli schemi-base di bilancio; • QUALITÀ DEI VINCOLI: dai controlli sostanzialmente ex-post al progressivo rafforzamento del «braccio preventivo» ed estensione dell’ambito del controllo (sia preventivo che correttivo); • SANZIONI: un po’ paradossalmente la prima versione del PSC (1997) e l’ultima (2011-2013) tendono ad assomigliarsi nella definizione e nel graduale irrobustimento delle sanzioni; • DEROGHE: meglio definite nel PSC ultima versione in un quadro comunque segnato dall’enfasi sul saldo strutturale che «automaticamente» - spesso si ritiene - tiene conto delle condizioni avverse o favorevoli del ciclo economico. Le nuove deroghe temporali al percorso di aggiustamento sono: peggioramento ciclico, eventi imprevisti, riforme strutturali. 8.12 TRATTATO SULLA STABILITÀ, SUL COORDINAMENTO E SULLA GOVERNANCE NELL'UNIONE ECONOMICA E MONETARIA, TITOLO III, PATTO DI BILANCIO All’art. 3: • Le parti contraenti applicano le regole enunciate nel presente paragrafo in aggiunta e fatti salvi i loro obblighi ai sensi del diritto dell'Unione europea: a) la posizione di bilancio della pubblica amministrazione di una parte contraente è in pareggio o in avanzo; b) la regola di cui alla lettera a) si considera rispettata se il saldo strutturale annuo della pubblica amministrazione è pari all'obiettivo di medio termine specifico per il paese, quale definito nel patto di stabilità e crescita rivisto, con il limite inferiore di un disavanzo strutturale dello 0,5% del prodotto interno lordo ai prezzi di mercato. All’art. 4: • Quando il rapporto tra il debito pubblico e il prodotto interno lordo di una parte contraente supera il valore di riferimento del 60% di cui all'articolo 1 del protocollo (n. 12) sulla procedura per i disavanzi eccessivi, allegato ai trattati dell'Unione europea, tale parte contraente opera una riduzione a un ritmo medio di 1/20 all’anno. CAPITOLO 9. IL SISTEMA DEI CONTROLLI 9.1 DEFINIZIONE DI CONTROLLO Il CONTROLLO è un processo con il quale si confronta quanto realizzato/conseguito rispetto ad un obiettivo o una regola. La sua importanza sta nell’utilizzo da parte delle APT delle risorse pubbliche, spesso prelevate coattivamente dalla collettività amministrata. Inoltre, vi è la rilevanza in termini economici, sociali e giuridici delle produzioni che le APT svolgono. 9.2 SISTEMA DEI CONTROLLI Grazie alla maggiore autonomia data alle singole APT e alla maggior discrezionalità data ai vertici politici e amministrativi, è stato elaborato un complesso sistema di controlli. Esso è basato su normative diverse a seconda delle differenti tipologie di APT. Vi sono due modelli di controllo delle APT: • MODELLO TRADIZIONALE: in cui vi sono controlli di legittimità e di merito ANTECEDENTI (effettuati prima dello svolgimento della gestione); • MODELLO MANAGERIALE: in cui vi sono controlli sulle performance CONCOMITANTI O SUSSEGUENTI (effettuati durante la gestione o al termine di un arco di tempo definito). 9.3 CLASSIFICAZIONE DEI CONTROLLI I controlli possono essere classificati in base a quattro criteri: • PRINCIPI ISPIRATORI: a) Merito: focus sul contenuto e gli effetti degli atti e/o delle decisioni; b) Legittimità: focus su regole e/o norme predeterminate • PROSPETTIVA TEMPORALE: a) Antecedente: effettuato prima che la gestione si svolga; b) Concomitante: effettuato durante lo svolgimento della gestione; c) Susseguente: effettuato al termine di un tempo predefinito. • SOGGETTO CONTROLLORE: a) Interni: il soggetto appartiene alla stessa organizzazione controllata; b) Esterni: il soggetto è indipendente, dal punto di vista organizzativo, rispetto all'organizzazione. • FINALITÀ: a) Conformità: verifica la coerenza a norme o standard di riferimento; b) Manageriale: guida verso più elevati livelli di performance. 9.4 TIPOLOGIE DI CONTROLLO Vi sono quattro tipologie di controllo: • CONTROLLO NORMATIVO: attività tese al riscontro o alla verifica del grado di aderenza dell'operato aziendale a una norma; • CONTROLLO DI GESTIONE o Management control: controllo di natura manageriale a supporto della dirigenza pubblica; • CONTROLLO DELLE OPERAZIONI: ispezione, episodica o continuata, sulle azioni realizzate nell'organismo aziendale; • CONTROLLO SOCIALE: attenzione sull’attitudine dell’individuo a rispettare i principi di comportamento e di funzionamento del collettivo. Inoltre, vi è anche un’attività di REVISIONE, consistente in un’attività di controllo, concomitante e susseguente, che può essere sia interna che esterna all'APT (Revisione contabile ≠ Revisione gestionale). 9.5 IL SISTEMA DEI CONTROLLI INTERNI In base alla Disciplina vigente (D.lgs. n. 286/99, in parte modificato dal decreto Brunetta): • CONTROLLO DI REGOLARITÀ AMMINISTRATIVA E CONTABILE: a) Scopo: garantire la legittimità, la regolarità e la correttezza amministrativa; b) Organi deputati: responsabile del servizio finanziario, organi di revisione, segretario comunale o provinciale (nelle APTL). • CONTROLLO DI GESTIONE (CDG): a) Scopo: verificare l'efficacia, efficienza ed economicità dell'azione amministrativa al fine di ottimizzare il rapporto tra costi e risultati; b) Strettamente dipendente dalla programmazione e pianificazione operativa, fase in cui vengono scelti e quantificati gli obiettivi di breve periodo; c) Arco temporale di riferimento: breve periodo. • VALUTAZIONE DELLE PRESTAZIONI DIRIGENZIALI: a) Normazione/acquisizione delle logiche aziendali del performance management; b) Art. 3, 2c., D.lgs. n. 150/2009: Ogni amministrazione pubblica è tenuta a misurare e a valutare la performance a diversi livelli organizzativi: all'amministrazione nel suo complesso, alle unità organizzative o aree di responsabilità in cui si articola e ai singoli dipendenti; c) Definizione degli ambiti di valutazione per ciascun livello di controllo; d) Organi del processo di valutazione e controllo: Commissione per la valutazione, la trasparenza e l'integrità delle amministrazioni pubbliche (CIVIT)/ANAC e Organismi Indipendenti di Valutazione della performance (OIV). • VALUTAZIONE E CONTROLLO STRATEGICO: a) Scopo: determinare l'adeguatezza delle scelte compiute in sede di predisposizione ed attuazione dei piani, programmi e altri strumenti di determinazione dell'indirizzo politico; b) Comprensione dell'adeguatezza dei risultati rispetto agli obiettivi definiti in fase di programmazione strategica. Le caratteristiche inerenti agli obiettivi di breve termine sono: • CHIAREZZA: L'obiettivo deve essere comprensibile per tutte le persone che lavorano in un singolo centro; • MISURABILITÀ: Ogni obiettivo deve essere rilevabile con riferimento a una specifica unità di misura CAPITOLO 10. IL RISK MANAGEMENT 10.1 CONCETTI DI BASE La GESTIONE DEL RISCHIO (RISK MANAGEMENT) è il processo mediante il quale si misura o si stima il rischio e successivamente si sviluppano delle strategie per governarlo. Il Risk Management è un processo, svolto ai diversi livelli dell'organizzazione, finalizzato a identificare potenziali eventi rischiosi per l'organizzazione e gestire i rischi in coerenza con il risk appetite per fornire una ragionevole sicurezza sul conseguimento degli obiettivi di efficacia ed efficienza delle attività operative, attendibilità delle informazioni di bilancio, conformità alle leggi e ai regolamenti in vigore (il cigno nero è un evento isolato, che non rientra nel campo delle normali aspettative, ha un impatto enorme nonostante il suo carattere di evento isolato, la natura umana ci spinge a elaborare a posteriori giustificazioni della sua comparsa, per renderlo spiegabile e prevedibile). Il RISK MANAGEMENT: • orienta la visione della pianificazione e controllo anche su altri fattori, senza formare sovrapposizioni organizzative e funzionali; • mette al centro del sistema il rapporto con gli stakeholder; • ripaga l'investimento iniziale con il contenimento della dispersione di risorse; • ha il vantaggio di poter essere introdotto progressivamente. Gli obiettivi della Gestione sistemica rischi si combinano con gli effetti positivi che da essa derivano: • la diffusione di una cultura dell'organizzazione che si evolve imparando dai propri errori; • l'inclusione dei concetti di criticità, prevenzione e soluzioni alternative tra i cardini della pianificazione; • la soddisfazione degli stakeholder tra gli interessi primari da considerare; • la concezione dell'organizzazione quale complesso produttivo articolato per processi di trasformazione trasversali e interrelati; • la tutela del capitale tangibile e intellettuale quale valore etico imprescindibile dal senso di responsabilità che deve pervadere il personale a qualsiasi livello. Quali sono le differenze tra RISCHIO e RISK MANAGEMENT? • Il RISCHIO può essere definito in quattro modi: a) evento che può avere un effetto negativo sugli obiettivi, misurato in termini di conseguenze e di probabilità; b) Situazione o circostanza di incertezza sul raggiungimento degli obiettivi e dei programmi; c) Possibile evento che influenzerà negativamente il raggiungimento degli obiettivi; d) Insieme della probabilità di un evento e delle sue conseguenze. • Il RISK MANAGEMENT può essere definito come: a) Insieme della cultura, dei processi e delle strutture che contribuiscono a gestire in maniera efficace le potenziali opportunità e gli effetti avversi; b) Identificazione valutazione e risposta al rischio per quanto riguarda un obiettivo specifico; c) Insieme di attività, metodologie e risorse coordinate per guidare e tenere sotto controllo un’organizzazione con riferimento ai rischi. Il RISCHIO può essere rappresentato come dei cerchi concentrici, dove partendo dall’interno verso l’esterno abbiamo: • RISCHIO RESIDUO: Rischio rimanente dopo il trattamento che può contenere rischi non identificati; • RISK TREATMENT: Selezione ed implementazione degli interventi sul rischio (trasferimento, rifiuto, riduzione probabilità e impatto, mitigazione, cancellazione); • RISCHIO INERENTE: Rischio in assenza di qualsiasi intervento; • RISK: Combinazione tra la probabilità di un evento e la sua conseguenza. 10.2 SCHEMA DI RIFERIMENTO Il FRAMEWORK di riferimento è rappresentato dal CoSo Internal Control – Integrated Framework applicato da molte organizzazioni pubbliche e private, conforme agli Standard di riferimento per la certificazione della qualità dei sistemi organizzativi. Esso prevede: • la predisposizione del catalogo dei rischi, classificati secondo una tassonomia variabile e tendenzialmente evolutiva; • la formazione degli indicatori di segnalazione dei c.d. early warnings; • la valutazione dell'impatto e della probabilità del verificarsi del rischio accertato e il relativo posizionamento nella Mappa delle criticità aziendali; • la predisposizione e il monitoraggio delle azioni di risposta al rischio; • il controllo dell'efficacia dell'intero sistema. L’ENTERPRISE RISK MANAGEMENT (ERM) è un processo attuato dagli Amministratori e dal Management di ciascuna struttura aziendale nell’ambito della definizione delle strategie e riguarda tutta l’organizzazione, al fine di identificare gli eventi potenziali che possono influenzare l’organizzazione stessa e gestire i rischi entro il livello ritenuto accettabile, al fine di fornire una ragionevole certezza del raggiungimento degli obiettivi. 10.3 IL CASO ISTAT Il RISK MANAGEMENT IN ISTAT si sviluppa secondo una logica circolare che prevede l'applicazione progressiva dell'ERM ad un numero determinato di processi, progetti o asset dell'Istituto. Il Progetto è stato avviato nel 2010 a partire da alcuni settori produttivi: i censimenti generali e la sicurezza informatica, selezionati per rilevanza strategica e complessità organizzativa, per poi procedere, sulla base dell'esperienza maturata, all'estensione dell'applicativo ad altri asset dell’Istituto. Al fine di evidenziare gli elementi di ancoraggio della metodologia, i direttori responsabili degli asset sottoposti ad analisi dei rischi, partecipano attivamente ad una survey sulla percezione delle criticità, condotta tramite un questionario elaborato dalla struttura titolare del Progetto. L'utilità dei risultati prodotti del Sistema di gestione dei rischi si può realmente manifestare solo se associata ad una visione dell'organizzazione articolata per processi di trasformazione e produzione. Per l'identificazione e classificazione dei rischi viene condotta l'analisi dei processi produttivi tramite l'adozione del modello GENERIC STANDARD BUSINESS PROCESS MODEL (GSBPM) rappresentativo di tutte le fasi gestionali del processo statistico. L'utilizzo del GSBPM riguarda il livello operativo o di processo/funzione/progetto, ossia i controlli insiti nel presidio delle diverse attività di linea che afferiscono all'area di competenza dei diretti responsabili, ossia il RISK MANAGER o il RISK COMMITTEE. La misurazione del rischio, quale effetto combinato del livello di probabilità del suo verificarsi e dell'effetto che esso può determinare, utilizza la metodologia del Control & Risk Self Assessment. Tale autovalutazione: • deve essere svolta dal Risk Manager in collaborazione con i Responsabili dei processi e dei progetti; • risente di elementi di soggettività e/o discrezionalità, ma rappresenta un punto di riferimento e di condivisione metodologica, finalizzato a migliorare le performance ed indirizzare le risorse, in attesa della definizione di indicatori specifici per la misurazione dei rischi di processo/progetto; • riguarda non solo il "rischio residuo", ossia al netto dei controlli posti, ma anche il "rischio inerente", ossia al lordo del controllo. Sulla base della valutazione emersa, i responsabili dei processi inseriti nel Sistema di Risk Management, devono predisporre le azioni di risposta finalizzate a contenere o eliminare i rischi evidenziati. L'efficacia delle azioni di risposta avviate deve essere costantemente monitorata dalle strutture titolari dei processi di produzione, con l'ausilio della struttura di supporto al Risk Management. L'evoluzione culturale organizzativa rappresenta il fattore critico di successo necessario per passare da una visione frammentaria della pianificazione, che distoglie l'attenzione dalla prevenzione delle criticità, alla considerazione del rischio quale opportunità e non soltanto come minaccia. La formazione, manageriale e specialistica, e la condivisione delle conoscenze in materia, sia interna che esterna all'organizzazione, costituiscono un fattore imprescindibile per il conseguimento degli obiettivi prioritari dell'intero impianto. Il Sistema di gestione dei rischi deve essere continuamente controllato allo scopo di valutare la corretta conduzione delle fasi di processo dell'ERM e la coerenza con le aspettative programmate, utilizzando tecniche, procedure e strumenti di Internal Auditing. 10.3.1 IL CASO ISTATI: I RISULTATI
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