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Riassunto del libro "Educare la strada", Sintesi del corso di Pedagogia

riassunto del libro educare la strada per il corso di pedagogia delle vulnerabilità

Tipologia: Sintesi del corso

2023/2024

Caricato il 24/05/2024

maria-giulia-salvucci
maria-giulia-salvucci 🇮🇹

4.7

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Scarica Riassunto del libro "Educare la strada" e più Sintesi del corso in PDF di Pedagogia solo su Docsity! INTRODUZIONE Definiamo la strada come ”luogo lungo il quale ci spostiamo o nel quale trascorriamo parte del nostro tempo per molteplici ragioni legate ad abitudini e necessità quotidiane” MA le strade non sono sole vie di comunicazione o di transito ma sono anche luoghi in cui gli individui e le loro esistenze entrano in contatto: si incrociano storie e destini, ci si incontra e ci si scontra, si entra in relazione e ci si ritrova. Inoltre camminando nelle strade della propria città si può anche sperimentare un senso di appartenenza al territorio e alla comunità così anche come l’incertezza ed inquietudine che provengono dall’incontro con l’altro, dal riconoscimento e confronto con la diversità. Tutto ciò assume un significato pedagogico di prima importanza se consideriamo l’età adolescenziale che “può considerarsi, se educativamente orientata, il periodo di massimo accrescimento delle potenzialità emotive ed espressive della persona” Si utilizzerà un approccio transdisciplinare ovvero attingendo dal contributo teorico delle scienze umane e sociali in particolare dai settori scientifici della pedagogia generale e sociale, psicologia sociale e di comunità, della sociologia e della geografia sociale. CAP.1 LAVORARE PER STRADA CON I GRUPPI INFORMALI: LA FIGURA DELL’ADOLESCENTE in contesti di aggregazione non formale: setting educativo e fasi operative LAVORARE IN STRADA CON I GRUPPI INFORMALI La strada rappresenta anche un contesto simbolicamente e fisicamente poco protetto, destrutturato, distante dalle regole, per questo si configura come uno dei background che meglio accolgono quello slancio tipico dell’età adolescenziale verso la ricerca della propria identità. La strada quindi è concepibile come un ambiente da esplorare, nel quale rifugiarsi perdersi, annoiarsi ma anche nel quale vivere relazioni diverse da quelle che offrono la famiglia e la scuola infatti la frequentazione del gruppo informale diventa il momento nel quale l’adolescente rivendica il suo diritto inalienabile dell’esercizio dell’autonomia, la sua tensione verso l’indipendenza, il suo bisogno di libertà. il gruppo è anche la prima e più piccola formazione sociale dove i coetanei incarnano già la componente drammaturgica delle relazioni sociali, il cosiddetto gioco delle rappresentazioni (Goffman) e dove l’adolescente può rapportarsi e riflettere su ciò che è diverso da sé. “L'educativa di strada” è un approccio che si pone come un intervento che supera la logica dei “contenitori educativi” come unici luoghi competenti nell'educazione dei minori ed è un intervento che si pone in rapporto con le aggregazioni informali di adolescenti soprattutto quelle che rappresentano indicatori di rischio e di disagio, per accompagnarle verso percorsi evolutivi positivi Paroni - schema dei modelli di lavoro di strada SITUAZIONE SOCIALE TARGET FINALITA’ MANDATO SOCIALE RIDUZIONE DEL DANNO presenza di individui e gruppi a forte marginalità che non vengono in contatto con i servizi e producono forti allarmi sociali tossicodipendenti, prostitute, persone con hiv, minori coinvolti in attività criminose contenimento ed evitamento dei rischi connessi alle devianze in atto per i soggetti devianti e per la popolazione contenimento e cura EDUCATIVA DI STRADA difficoltà delle agenzie educative ad entrare in contatto con adolescenti e giovani adolescenti aggregati in gruppi informali accompagnamento educativo e prevenzione dei rischi di disagio e devianza, tramite lo sviluppo di fattori protettivi controllo e educazione MEDIAZIONE SOCIALE Contesti territoriali a forte conflittualità tra gruppi sociali e problemi di integrazione socioculturale (immigrazione interna ed extra-comunitaria, malati psichiatrici, ex carcerati, nomadi, ecc.) Gruppi sociali marginalizzati e popolazione nel suo complesso Gestione, ricomposizione e riduzione dei conflitti sociali; integrazione socio culturale tra soggetti e gruppi di diversa estrazione Convivenza Integrazione SVILUPPO DI COMUNITA’ Nuove filosofie del welfare, crisi del sistema dei servizi tradizionali Comunità territoriale nelle sue diverse componenti generazionali e organizzative Promozione del benessere e della qualità della vita Empowerment Partecipazione 1- il gruppo dei pari: significati pedagogici L'aggregazione informale fondandosi sulla coesione e sulla intensità relazionali e comunicative tra i membri così come sulla condivisione dello spazio e del tempo fuori da schemi prestabiliti aiuta il singolo a: - raggiungere quella autonomia che gli consentirà di fare scelte e di uscire gradualmente dalla famiglia. - soddisfare bisogni psicologici (identificazione, sicurezza, attaccamento, potere) - perseguire obiettivi relazionali che autonomamente non sarebbe in grado di raggiungere le dinamiche di interazione sono momenti di: - negoziazione del proprio spazio di autonomia - rinuncia al proprio narcisismo - assunzione delle proprie personalità - sperimentazione di nuove forme e valori - autoaffermazione Quindi il gruppo ha anche una funzione di SOSTEGNO attraverso il confronto la parola e lo stare insieme grazie all’ascolto, la condivisione di idee e punti di vista… in sintesi il gruppo “favorisce il processo di inserimento sociale dell’adolescente e costituisce un punto di riferimento fondamentale nel superamento dei diversi compiti di sviluppo e nel processo di costruzione della sua identità. Generalmente tutti i gruppi sono OMOGENEI i membri sono accomunati da una provenienza sociale, un linguaggio, delle modalità di interazione, degli stili di comportamento e delle rappresentazioni sociali, quindi si aggregano scegliendosi in base a delle somiglianze. il gruppo ha un profondo valore pedagogico sia per le interazioni che avvengono ma anche la creazione di sistemi di relazione e l’incontro tra forme diverse di cultura che quindi generano un fatto educante. Da parte di chi opera sul campo è fondamentale l’adozione di un approccio che includa la sospensione del giudizio e l’accettazione delle caratteristiche del contesto socioculturale e delle scelte di vita. La metodologia utilizzata si basa sul privarsi della propria professionalità, del ruolo educativo rigido e adottare competenze relazionali, pro-sociali, metodologiche e teorico-pratiche: ASCOLTO ATTIVO→ quando l’adolescente si racconta prende contatto con la propria interiorità favorendo la presa di coscienza e l’emersione della propria ricerca interiore GRATUITA’→ non si prefissa a tutti i costi uno scopo ma piuttosto si riscopre il senso profondo e pedagogico del camminare insieme guidati da un sentimento di amore disinteressato che è passivo (non mi aspetto niente in cambio) PROSPETTIVA PERSONALISTICA→ considerare l’uomo con la sua dignità, unicità e irriducibilità agendo con interventi che suscitano fattori di crescita e apertura mentale nel rispetto della libertà. 2- Luoghi, non luoghi e spazi antropologici della relazione caratteristiche sia fisico-morfologiche che simboliche che configurano la strada come spazio di opportunità per l’esercizio della cittadinanza, della negoziazione, dell’attribuzione del senso e del valori di beni personali e collettivi quali salute, benessere, qualità della vita attraverso due concetti: BASSA SOGLIA→ intensità dell’avvicinamento e della relazione in costante oscillazione tra due poli, quello della razionalità e dell’incontro/empatia. “bassa soglia con gradino” (si verifica quando l’educatore ha difficoltà nell’avvicinare chi non riconosce un bisogno o chi non vede nella presenza dell’altro una possibile risposta quanto, piuttosto, una minaccia) Spesso la soglia che ci separa dall’altro deriva dalla nostra personale rappresentazione della realtà, I gesti e gli atteggiamenti con cui andiamo verso l’altro possono favorire o ostacolare l’incontro e la relazione costruire e gestire spazi di interazione → le specificità e i vantaggi del lavoro educativo di strada con gli adolescenti risiedono nella possibilità di costruire e gestire spazi di interazione che non hanno necessariamente uno scopo terapeutico e che sono liberi da logiche di reciprocità tra prestazioni rendendo cosi’ la qualità della relazione il perno attorno al quale costruire percorsi di senso. la qualità della relazione si può misurare tramite il livello di “generatività sociale” dell’intervento ovvero la capacità dello stesso di dare vita, organizzare e mantenere nel tempo legami facilitando così processi di cambiamento nei destinatari. Questo obiettivo è tanto più raggiungibile quanto maggiormente condiviso dai diversi attori sociali già presenti sul territorio con i quali gli operatori di strada devono potersi relazionare in una logica di lavoro di rete. Questo approccio contribuisce alla definizione di un ambiente educativo (inteso non come luogo fisico ma come identità comunitaria che progetta e si organizza) che nell’ottica della politica sociale moderna (community care) si traduce nella creazione di servizi integrati nella comunità locale collocati nel punto fisico più vicino all’insorgere dei bisogni. CAP.2 NASCITA E SVILUPPO DELL’EDUCAZIONE DI STRADA IN ITALIA: BUONE PRATICHE SVOLTE SUL TERRITORIO NAZIONALE negli ultimi due decenni E’ storicamente corretto riferirsi inizialmente alle esperienze pedagogiche di Don Bosco, Don Milani e Paulo Freire ma i primi interventi educativi di strada nel nostro paese possono collocarsi tra gli anni 70’-80’: - gruppi volontari e associazioni del terzo settore intenzionati ad avvicinarsi al mondo del disagio ed emarginazione giovanile - si ispirano agli interventi svolti prima per esempio in Francia, Germania, Regno Unito che si occupavano prevalentemente della prevenzione della tossicodipendenza - nascita delle comunità d’alloggio come alternativa all’istituto metà anni 80→ gli interventi, che avvenivano soprattutto a Milano e Torino, avevano ancora dei limiti: spontaneismo, assenza di una metodologia e di un'analisi multifattoriale del contesto. prima metà anni 90’→ nascita di educativa territoriale e di specifiche figure professionali con il compito di supportare i minori, segnalati dai servizi sociali, direttamente nei loro contesti di vita e di relazione. capovolgimento della logica tradizionale → puntare sul positivo, sulle risorse e non sui limiti → conseguenze: target di intervento più ampio e una gamma di esperienze più articolata e riconoscimento di un profilo professionale in seguito ulteriormente formalizzata da alcuni importanti provvedimenti legislativi: - legge 285/1997 →in materia di disposizioni per la promozione di diritti e opportunità per l’infanzia e l’adolescenza - DPR 8 Marzo 2000 → progetto obiettivo AIDS 1998/2000 - DPR 309/90 aggiornato 2006 → regola la disciplina degli stupefacenti, prevenzione e cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza seconda metà anni 90’→ si decide di scrivere dei documenti che cominciano a delineare e definire la figura dell’educatore di strada: CARTA DI CERTALDO 1994 presupposti fondamentali, metodi, contenuti essenziali del lavoro di strada CARTA DI CANDIA 1996 differenza tra gli approcci, finalità, saperi espressi, lavoro di rete, protagonismo dei bambini e ragazzi (visti come parte attiva come origine del bisogno) CARTA DI BOLOGNA 1999 rapporto tra lavoro di strada e emergenza di nuovi bisogni educativi , partnership pubblico-privato, valutazione dell’efficacia A cavallo tra il 1990 e il 2000 → nasce l’unità di strada, si sostengono soprattutto progetti di prevenzione e riduzione del danno e creano le fondamenta per le successive evoluzioni nella metodologia del lavoro di strada. OGGI→ il lavoro sociale di strada è rivolto principalmente alla PREVENZIONE del disagio giovanile e si colloca all’interno di progetti finanziati dagli enti locali con l’intento di intessere rapporti nuovi e articolati fra le istituzioni e i gruppi informali di adolescenti sul territorio. Ad oggi l’età adolescenziale però sta attraversando una profonda trasformazione dovuta dal cambiamento della struttura familiare, le relazioni dei giovani con il mondo adulto, il rapporto spesso conflittuale, con l’istruzione scolastica e l’esperienza del gruppo dei pari → “Questo è il tempo nel quale si è sedotti dal desiderio di erigere muri reali o virtuali, il lavoro di strada si propone come uno degli strumenti efficacemente alternativi alle politiche di chiusura perchè ha come strumenti e come finì incontrare le persone, promuovere la relazione, l’empowerment e la mediazione di comunità ed è capace di leggere gli eventi in tempo reale” → quindi gli educatori hanno una funzione di PONTE che ricuce i fili spezzati delle relazioni dell’individuo, con se stesso, con gli altri e con le istituzioni. A questo proposito Guaita individua 3 livelli di prevenzione del disagio giovanile e tre rispettive modalità d’intervento: la funzione dell’educatore di strada si muove tra l’essere ponte-mediatore e l’essere risorsa-interlocutore, queste due declinazioni si intersecano arricchendosi reciprocamente. 1) PIEMONTE: gruppo Abele a Torino A Torino dalla seconda metà degli anni 60’ è attiva e operativa l’associazione GRUPPO ABELE fondata da Don Luigi Ciotti: onlus-ong che da sempre si occupa di ragazzi e ragazze che vivono sulla loro pelle l’esperienza della strada, che hanno meno opportunità e sono più a rischio di esclusione sociale. 2 progetti: 2008 “La strada come luogo educativo”→ lo sport e il gioco sono gli strumenti più utilizzati per favorire l’incontro con e tra i ragazzi stranieri che frequentano parchi, piazze e giardini Torino. 2010 “Nuove biografie familiari. Nuovi contesti educanti”→ investimento nel contatto e nella conoscenza con le famiglie degli adolescenti con l’obiettivo di sostenerle nel loro compito educativo. nuovo servizio “Bim” (bus informativo mobile)→ sportello informativo gratuito rivolto alla popolazione straniera, si offrono informazioni sui servizi pubblici e privati del territorio e sulla legislazione in materia di immigrazione. Questi due progetti ci consentono di approfondire tre temi: - ACCOGLIENZA e INTEGRAZIONE dei minori stranieri → necessità di progettare interventi in strada sempre più inclusivi democratici e partecipativi ma anche curativi sui differenti modelli educativi e culturali di riferimento dei giovani stranieri in essi coinvolti. - SECONDE GENERAZIONI (figli nati in italia di immigrati) → richiedono attenzione al loro essere nuovi italiani non cittadini → per un giovane di origine straniera la naturale complessità dell’adolescenza è duplice in quanto sono presenti due diversi modelli culturali, gli operatori hanno il ruolo di facilitatori nei collegamenti delle diverse realtà, contesti e reti. - LAVORO DI RETE tra operatori e servizi territoriali→ ha come obiettivo la differenziazione della proposta ludico-educativa e animativa extrascolastica. → valore del gioco come momento di sviluppo personale e di rafforzamento delle abilità sociali e relazionali. 2) LOMBARDIA: progetto scarperotte nelle periferie di Milano Tra il 2001 e il 2008 le cooperative sociali A77 e Comunità del Giambellino si sono alternate nella gestione di un progetto “SCARPEROTTE” con l'obiettivo di aiutare i ragazzi ad affrontare in autonomia le sfide della quotidianità imparando a leggere la propria situazione, problematizzarla, identificare obiettivi e mettere in atto comportamenti funzionali al raggiungimento degli stessi. “Presenza di educatori nelle aree più deprivate di risorse o nelle quali la condizione giovanile è più difficile. Nel passaggio dagli ambiti protetti alle relazioni con il contesto sociale più ampio gli adolescenti necessitano di una via di mezzo, di un ambiente meno tutelante di quello di provenienza ma potenzialmente meno aggressivo del contesto territoriale in cui vivono. Questo è il significato più importante dell’appartenenza a un gruppo di pari in cui i ragazzi possono trovare la solidarietà di altri che vivono le medesime condizioni” tempo libero inteso come “luogo simbolico” e fortemente educativo (scuola parallela) se accortamente gestito → nel tempo libero i ragazzi hanno molte alternative (internet, televisione, giochi elettronici) di conseguenza la proposta di uscire ha molti competitor perciò le proposte di incontro devono prevedere qualcosa da fare, un motivo, un evento a cui partecipare. Durante il 2008, ultimo anno di attività del progetto, l’equipe ritira per la seconda volta il suo precedente approccio concentrandosi quindi sulla valorizzazione del territorio, dei suoi spazi, delle sue risorse per fare in modo che gli adolescenti potessero trovare in esso momenti per alimentare un protagonismo sano, occasioni per mettersi in gioco, dare spazio alla propria espressività e superare le rispettive barriere. Con il fine ultimo di educare i giovani a considerarsi come soggetti di relazioni in grado di mettersi in rapporto con gli altri e a relazionarsi con loro. 3) EMILIA ROMAGNA: progetto di prevenzione giovanile nella periferia di Bologna Fra gli interventi educativi fatti tra i quartieri di Bologna prendiamo in considerazione quello che ha coinvolto gli adolescenti del quartiere NAVILE, ritenuto particolarmente interessante per la riflessione conclusiva sulla figura professionale dell’educatore e le sue competenze. Uno dei principali obiettivi è stato quello di mettere insieme punti di vista diversi per progettare interventi concreti tra gli attori sociali presenti sul territorio. Tale approccio ha consentito il passaggio graduale da una modalità di intervento educativo rivolto ai soli giovani ad una prospettiva di lavoro di tipo intergenerazionale→ la metodologia educativa utilizzata ha prodotto in breve tempo i risultati attesi ovvero il contenimento di buona parte dei conflitti intergenerazionali. 4) TOSCANA: Quartiere 1 a Firenze “L’ABBAINO” storica cooperativa che dai primi anni 80’ si occupa di servizi educativi a Firenze: Inizialmente la relazione con i gruppi si limita a contatti basati sulla chiarezza del ruolo, col tempo poi la relazioni diventa di confidenza e fiducia e si arriva a una vera e propria richiesta della loro presenza quotidiana. I ragazzi mostrano interesse per tutte le attività che gli permettono di uscire dalla piazza, luogo in cui si rispecchiano e si identificano ma da cui contemporaneamente si sentono limitati. (zona di comfort che diventa un confine che restringe gli orizzonti esperienziali relazionali e di crescita dei ragazzi fino a diventare una potenziale fonte di dissidio interiore) Ad aggancio avvenuto inizia la prima fase di progettualità incontrando difficoltà legate ai processi di integrazione tra le comunità locali, autoctone, e quelle migranti: Le 4 compagnie con le quali lavorano hanno tutte una struttura rigida e chiusa, nella zona è anche presente una comunità albanese, perciò si cercano di creare occasioni (partite, feste, gite) che possano facilitare l’integrazione dei ragazzi albanesi nei gruppi di quelli italiani perché si è notato che coloro che si frequentano nei centri aggregativi rinnegano l’amicizia al di fuori di essi. La comunità territoriale non aiuta in quanto è diffidente per l’aumento dei fenomeni di spaccio che collegano alle persone extracomunitarie. Attivazione di processi di empowerment → i ragazzi iniziano a distaccarsi dai gruppi per incontrare gli educatori da soli e vengono fuori desideri e sogni, l’abbandono scolastico diventa sempre più frequente e si trova soluzione nell’accompagnare i ragazzi ai servizi di orientamento e di formazione professionale del Comune.(gancio per aprirsi alla comunità). Il desiderio di mettere in comunicazione generazioni diverse ora ha la possibilità di tradursi in qualcosa di concreto: Gli interventi che si sviluppano sono: percorsi di supporto individuale (counselling, orientamento al lavoro e allo studio), presa di contatto con le istituzioni della marginalità (albergo popolare e centri diurni), apertura di spazi fisici di confronto e scambio di questioni di interesse dei ragazzi, attività creative, laboratori, eventi e feste. CAP.3 EDUCAZIONE, ARTE E TERRITORIO: AMBIENTE COME SPAZIO EDUCANTE E PATRIMONIO CULTURALE COME POTENZIALE FATTORE DI SVILUPPO TERRITORIALE E COMUNITARIO. Affronteremo il tema del rapporto tra educazione e ambiente introducendo due concetti: spazio educante e patrimonio culturale inteso come potenziale fattore di sviluppo territoriale e comunitario Nella pedagogia contemporanea l’ambiente diventa territorio e viene considerato da due punti di vista: come territorio naturale (l’ambiente così com’è senza la presenza dell’uomo) e come ambiente sociale (territorio organizzato antropologicamente, costruito dall’uomo attraverso manufatti, norme, regolamenti, organizzazione di vita). Per progettare pedagogicamente in modo corretto ed efficace sul territorio è necessario mettere in collegamento i processi formativi, verticali e orizzontali, che avvengono all’interno di questo doppio ambito Mario Gennari sottolinea che quando all’interno di uno spazio si attivano processi educativi questo spazio è sempre assimilabile a un testo che si definisce per la propria autonomia, rappresentando una sorta di «unità materiale e culturale» In quanto testo, quindi, lo spazio può essere letto sia come oggetto pedagogico, e come tema educativo, sia come soggetto pedagogico capace di attivare percorsi e performance formative Lo spazio come “unità culturale” in altre parole è un facilitatore di processi di crescita e un catalizzatore di opportunità Lo spazio è anche l’ambiente, il territorio che si apre alle comunità educanti, permettendo ad esse di esprimere i valori e le peculiarità di cui ciascuna è naturalmente portatrice Ogni territorio quindi è potenzialmente un laboratorio per lo sviluppo, la formazione e la crescita, individuale e comunitaria Da un lato il territorio è la sede del tessuto sociale e culturale; dall’altro – per riprendere un concetto caro alla pedagogia istituzionale – assolve alle funzioni tipiche di quello che Zanelli definiva “sfondo integratore”. (in +) PATRIMONIO CULTURALE E AMBIENTALE Quadro legislativo italiano: Codice dei Beni Culturali e Paesaggistici (D.L. 42/2004) beni culturali (Cose mobili e immobili che presentano interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico,archivistico, e bibliografico nonché le testimonianze aventi valore di civiltà) e beni paesaggistici (Immobili e aree costituenti l’espressione dei valori storici, culturali, naturali, morfologici ed estetici del territorio) VALORIZZAZIONE DEL PATRIMONIO CULTURALE E AMBIENTALE: FATTORI DI SVILUPPO: PERSONALI→ Coinvolgimento fisico, arricchimento psicologico, etico ed estetico COMUNITARI→ Conoscenza, comprensione, valorizzazione degli strumenti educativi/culturali INDIVIDUALI/COLLETTIVI→ Produzione culturale, emancipazione, partecipazione sociale TERRITORIALI→ Promozione e sviluppo socioeconomico dei contesti «sede» delle esperienze educative numero e il flusso di bambini sulle strade possono variare in modo significativo in base ai cambiamenti socio economici culturali e politici alle effettive possibilità di tutela e protezione da parte dei servizi territoriali e ai modelli di urbanizzazione. Il punto di svolta nella progettazione di interventi efficaci per la tutela dei bambini di strada consiste proprio nel focalizzarsi anche sui contesti considerando i minori parte di un sistema di connessioni. Tra le metodologie di intervento adottate il lavoro di strada risulta essere uno strumento efficace per sostenere i minori raggiungendoli proprio là dove essi vivono e si muovono. Da questo punto di vista uno degli strumenti operativi più completi risulta essere quello messo a punto dall’OMS attraverso il progetto “WHO Street Children Project” Nato con l'obiettivo di sviluppare la capacità delle organizzazioni locali di prevenire valutare e gestire i problemi legati all’uso di sostanze psicoattive tra i bambini di strada, ha contribuito allo sviluppo di un training package dettagliato rivolto agli educatori di strada e denominatoWORKING WITH STREET CHILDREN, è suddiviso in 3 parti: MODULES 1-10 = moduli che forniscono un identikit dello street child TRAINER TIPS = raccolta di suggerimenti dell'OMS con spunti idee e metodi. MONITORING AND EVALUATION = schede con esempi pratici di utilizzo delle griglie di valutazione. L’ultima riflessione di questo paragrafo riguarda come l’OMS sottolinea come le dinamiche di gruppo abbiano una forte influenza sui bambini di strada perché contribuiscono a soddisfare il loro bisogno di accoglienza, appartenenza e protezione. È il gruppo a determinare i processi di socializzazione e di scambio emotivo tra i bambini i quali all’interno dello stesso si danno manforte per la quotidiana sopravvivenza. spesso i gruppi si uniscono per formare reti di sostegno dove i membri condividono tra loro cibo riparo informazioni e la sua composizione risulta essere tra i fattori che determinano le probabilità di sopravvivenza di un bambino di strada. Tali osservazioni da un punto di vista psicopedagogico riconducono alla necessità di osservare le dinamiche gruppali collegandole ai contatti poiché individuo e contesto si influenzano a vicenda. Anche se le caratteristiche dei bambini di strada sono variabili, un comune denominatore sembra essere il beneficio che essi traggono dai luoghi in cui vivono e si muovono, i gruppi sembrano fare buon uso dell’ambiente circostante per sopravvivere. 2. Il progetto dell’UNICEF: Città amiche dei bambini e degli adolescenti CFCI - Child Friendly Cities Initiative (Città amiche dei bambini e degli adolescenti) programma lanciato dall'ONU e UNICEF nel 1996 che considera il contesto urbano come volano per l' empowerment comunitario. Esso ruota attorno all’assunto di base che il benessere dei minorenni è indice di un habitat sano, di una società democratica e di un'amministrazione locale efficiente. Un welfare di comunità efficace è caratterizzato dalla partecipazione attiva dei più giovani intesi come attori che esercitano un proprio protagonismo nella costruzione del welfare stesso, poiché una comunità non vive senza l’apporto dei suoi abitanti. Nel nostro Paese le linee guida diffuse da UNICEF prevedono che le amministrazioni locali mettano i più giovani nelle condizioni di avere voce e partecipare ai processi decisionali, alla vita della famiglia, della scuola e della società, in una logica che integri le esperienze formative sviluppando la coscienza di sé come cittadino, come soggetto all’interno di una comunità e come essere sociale per lo sviluppo di una idea di cittadinanza fondata sull’esercizio della responsabilità e sul valore della comunità umana, territoriale e sociale a cui ci si sente di appartenere. 3. L’educatore “errante” nella società complessa. Si approfondisce il tema dell’erranza come metafora formativa è una modalità di pensiero che è necessario attivare tutte le volte in cui la trasformazione irrompe nella realtà generando senso di disorientamento, così come è necessaria da parte dell’educatore la capacità di sostenere in tale cambiamento rafforzando a sua volta la medesima attitudine nei giovani educandi. Oggi tuttavia proprio a causa delle caratteristiche della società complessa la figura dell’educatore e le sue capacità ermeneutiche sono messe costantemente alla prova. “La diversità è il carattere che più contraddistingue la società del XXI sec….risulta utile per una comunità in crescita e proiettata al futuro rileggere la pluri diversità come un'occasione creando occasioni di dialogo e confronto progettando una nuova cultura che sia il prodotto di un incontro tra le diversità” → diversità come valore e come superamento delle frontiere culturali che si realizza in una dimensione dialogica. L’educatore errante è in grado di diffondere l’idea che la differenza sia un dono da condividere e la ricchezza della multiculturalità un’occasione di crescita reciproca. L’agire dell’educatore è orientato a rispondere alle sfide della contemporaneità con un impegno di formazione, un opera di guida, di accompagnamento, di interpretazione attiva di lettura della realtà → aumenta il rischio di della perdita di sè ed è quindi necessario sviluppare momenti di riflessione che consentano di riprendere se stessi e rinnovare il senso dell’impresa educativa. Dall’agire riflessivo emerge la centralità dell’interazione tra pensiero e azione, allo stesso modo tra azione e contesto . Attraverso gli strumenti culturali teorici e pratici messi a disposizione dalla pedagogia gli educatori possono sapersi orientare. Errare è: mettersi in cammino, attraversare territori sconosciuti, ognuno con il proprio passo e la propria andatura, le sue modalità di interpretare il viaggio entrando in relazione con gli altri viaggiatori e con i territori attraversati 4. Orientarsi nella complessità educativa in una prospettiva di ricerca transdisciplinare. Non è pensabile una scelta educativa univoca nè tantomeno un agire educativo rigido e preconfezionato, ecco perché oltre alla flessibilità e alla capacità di adattamento si ritiene fondamentale una predisposizione al DIALOGO TRANSDISCIPLINARE: lo studioso Bauman ritiene che il dialogo debba essere INFORMALE (interagire senza seguire un programma o regole predefinite), APERTO (essere consapevoli che le proprie ragioni possono essere confutate o si dimostrano sbagliate), COLLABORAZIONE (lo scopo non è vincere, non ci sono né vincitori né sconfitti, tutti emergono arricchiti) Ecco perché possiamo definire il dialogo e la sinergia tra le scienze come base di qualsiasi percorso educativo. Inoltre bisogna progettare interventi educativi che siano strettamente connessi alle risorse presenti nei territori in cui questi vengono attuati, non basta essere depositari di saperi professionali e risorse morali, è necessario contestualizzare, adattare e riadattare le pratiche ai contesti. Nel momento in cui l’educatore da un lato è in grado di muoversi entro il proprio orizzonte interpretativo e dall’altro ha acquisito strumenti concettuali utili a leggere la situazione e a elaborare esperienze educative coerenti anche se mai definitive e infallibili allora la dialettica teoria-prassi avrà raggiunto il suo compimento. (Nella formazione dell’educatore di strada è necessario: “Promuovere la tendenza a ragionare per contesti, in modo che diventi un’attitudine costante del pensiero quella di definire una cosa attraverso le relazioni che la collegano ad altre”) CONCLUSIONI: per un approccio locale all’educazione di strada “Che cos'è quella sensazione quando ci si allontana dalle persone E loro restano indietro sulla pianura finché le si vede appena Come macchioline che si disperdono?... È il mondo troppo vasto che ci sovrasta, ed è l’addio. Ma noi puntiamo avanti verso la prossima pazzesca avventura sotto i cieli.” Romanzo autobiografico di Jack Kerouac “Sulla strada”. Si è scelto di concludere con questa frase che pone una domanda esistenziale e da un risposta che riassume efficacemente il nucleo del significato attorno alla quale ruota il volume: questa sensazione tutti noi la sperimentiamo dalla nascita e ne acquisiamo sempre più consapevolezza ogni qual volta ci rendiamo conto della vastità del mondo e della datità (il modo in cui si rivela) del nostro essere nel rapporto con l'altro da noi: il distacco, l’allontanamento, la paura dell’abbandono, la solitudine. Husserl afferma che la percezione della solitudine è una componente della condizione umana ma solo nella relazione siamo in grado di conoscerci e riconoscerci pienamente come individui → infatti nel libro abbiamo parlato della spinta all’ autorealizzazione e il desiderio di formare la propria identità siano energie tipiche dell' età adolescenziale che si realizzano nella vita di gruppo ma se non vengono liberate e restano nella solitudine interiore o non vengono indirizzate quelle stesse energie positive diventano disagio, alienazione ed emarginazione. L’intervento educativo di strada può (e deve) contribuire al superamento dei processi di emarginazione operando sul territorio e sul sistema di rapporti che generano la logica dell’esclusione Per facilitare l’attivazione di meccanismi di empowerment, il lavoro sociale di strada individua nella dimensione locale della comunità educante il vero motore del cambiamento.
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