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Riassunto del libro ''educazione e formazione'' del professor Giuseppe Bertagna, Sintesi del corso di Pedagogia

Riassunto del libro ''educazione e formazione'' del professor Giuseppe Bertagna, affrontato nel corso di istituzioni di pedagogia al secondo anno accademico di sfp a Bergamo

Tipologia: Sintesi del corso

2021/2022
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Scarica Riassunto del libro ''educazione e formazione'' del professor Giuseppe Bertagna e più Sintesi del corso in PDF di Pedagogia solo su Docsity! DA PAGINA 6 A 70/ DA 89 A 127 Una disciplina scientifica indaga la realtà da un certo punto di vista, soffermandosi soltanto su certi aspetti o qualità: essa seleziona un numero circoscritto di “predicati” (1) e li associa ad alcune operazioni standardizzate (criteri di oggettivazione) (2). Queste due operazioni (1)(2): • ritagliano gli specifici oggetti di una data scienza all’interno del vasto ambito della realtà; • non si applicano al nulla, bensì a referenti identificati che non possono fare a meno di essere reali (le cose dell’esperienza quotidiana). Con il termine SCIENZA si intende un predicare, grazie al logos (secondo Platone quel ragionamento mediante il quale si dimostra perché l'opinione vera è realmente corretta), dell’oggetto di studio eletto, un sapere certo e affidabile grazie a un coerente metodo di indagine e a una sistematica formalizzazione linguistico- concettuale. Oggi sappiamo che: 1) La certezza l’affidabilità scientifiche di un sapere, non dipendono dall’impiego né degli stessi metodi, né dello stesso linguaggio; 2) Nessuna legge scientifica può e potrà mai rivendicare un’assolutezza incondizionata, nemmeno a livello statistico. Tutte queste consapevolezze fino ad ora citate, erano già presenti all’interno della filosofia di Aristotele→ ha dato vita alla più organica sistemazione teorica del principio secondo il quale un conto, sono la certezza e l’affidabilità scientifiche garantite dal logo teoretico, un altro da quello tecnico e pratico e dai differenti sistemi di indagine utilizzati da essi. • IL LOGO TEORETICO→ finalizzato a “vedere come stanno le cose e perché”. • IL LOGO TECNICO→ finalizzato a “considerare cosa si può fare per trasformare le cose e come si può concretamente procedere a questa trasformazione con precisione, efficienza ed efficacia scientifiche”. • IL LOGO PRATICO→ finalizzato a “scegliere ciò che è bene e stabilire come agire per realizzarlo nel contesto dato, assumendosi le eventuali responsabilità di uno sbaglio”. Logo teoretico, logo pratico e logo pratico si distinguono tra loro, per le diverse funzioni, MA non sono separati e dipendono l’uno dall’altro→ IL LOGOS UMANO È UNO PER DEFINIZIONE. LA PEDAGOGIA È UNA SCIENZA? È appropriato interrogarsi, in via preliminare, sull’oggetto di studio della pedagogia→ non si potrebbe porre e tentare di risolvere, in maniera attendibile, nessun problema in sé, senza un dubbio, perfino unitario e ben posto. Esiste allora questo oggetto di studio specifico che qualificherebbe la pedagogia come scienza? E quale è? E perché sarebbe questo e non un altro? E perché, come, a quali condizioni e in che senso la renderebbe <<scienza>>, cioè capace di conoscenze certe e affidabili? A prima vista si potrebbe dire che la pedagogia guarderebbe e selezionerebbe nelle “cose” e nei “problemi” del mondo e della vita delle persone, tutte quelle proprietà Lo sguardo prospettico non si estende fino alla formulazione di leggi deterministiche valide in generale, MA permette di produrre delle consapevolezze utili per comprendere meglio l’esperienza educativa/formativa futura e imperfetta nel momento in cui si concretizzerà. Il termine PEDAGOGIA deriva da pais+agogè: • Pais→ figlio o figlia • Paidos→ soggetto umano in crescita, in evoluzione • Agogè → dal verbo greco ago→ condurre e guidare ma ascendendo, come in una spirale→ nel senso di uscire e fare uscire qualcuno da uno stato inferiore per andare verso uno superiore, facendogli esprimere potenzialità manifeste o inespresse e valorizzandole per renderlo migliore. Si parla di agogè ascensionale: questa richiama l’agogica musicale ovvero le modificazioni che l’interprete apporta al movimento prestabilito dal compositore, durante l’esecuzione. In pedagogia, il compositore è chi chiede formazione/educazione mentre l’interprete è chi educa o chi forma. Riprendendo Rousseau, l’idea del gouverneur è quella di un soggetto che fa ogni sforzo per seguire, capire e non fraintendere (o peggio, tradire) non solo ciò che fa l’educando ma anche tutte quelle domande implicite da lui solo accennate nelle sue azioni, esperienze e vissuti. L’educatore ha quindi la responsabilità di declinare (o non) queste domande possibili, ma non esplicitate dall’educando e trasformarle in risposte. In queta relazione, sia chi guida, che chi è guidato non dovrà mai sentirsi arrivato e compiuto. Quindi, il vocabolo, alla luce di ciò che è stato appena affermato, allude a una disciplina nella quale è centrale non solo lo studio, ma soprattutto l’esercizio di relazioni sempre migliori tra i soggetti dell’educazione/formazione, in un mondo naturale e storico-sociale. Queste relazioni sono pedagogiche se e perché asimmetriche→ senza un’asimmetria tra chi esercita l’auctoritas ed è magister e l’educando, chiamato minus, non esiste relazione pedagogica possibile. Il problema di questa relazione pedagogica è duplice: 1) Bisogna non calcificare i poli di questa simmetria verso una sola direzione gerarchica, ma lasciarli aperti alle diverse circostanze e alla bi-direzionalità e multi-direzionalità→ molti adulti, anche se maestri restano minori da alimentare sotto altri aspetti e, viceversa, molti minori che hanno bisogno di alimenti in tante cose, si dimostrano maggiori in altre nelle quali possono alimentare chi ne è privo. 2) Bisogna porre come traguardo di questa relazione pedagogica l’ARMONIA→ rispettare il patto di muoversi insieme, stretti l’un l’altro in modo sincrono, trovando un’andatura ordinata e che leghi al massimo possibile i protagonisti della relazione pedagogica, rendendoli sempre più complementari. Tutto questo dimostra quanto la pedagogia differisca dalle “scienze dell’educazione e/o formazione” e quanto la scientificità della pedagogia non possa essere considerata una semplice variante di quella delle scienze dell’educazione e formazione. Come si è già potuto capire, l’oggetto della pedagogia non è “l’educazione e/o la formazione”, a differenza delle Scienze dell’educazione e/o formazione che possono prendere come oggetto di indagine, ciascuna dal proprio punto di vista, solo ciò che nell’esperienza perfetta è stato riconosciuto come oggetto di educazione e formazione. Ho inserito questo pezzo di testo in cui spiega meglio l’oggetto di studio delle Scienze dell’educazione e/o formazione La pedagogia, al contrario, non può che avere come oggetto di studio almeno <<due soggetti dell’educazione e/o della formazione>> tra loro in costante relazione esistenziale, nello spazio e nel tempo, con lo spazio e con il tempo. Lo status di ciascun soggetto è relazionale e relazionato→ ciascuno educa/forma o si educa/forma mentre sono tra loro in una relazione diretta o mediata dalla cultura, da mezzi tecnico-tecnologici o da istituzioni sociali. Ogni “io” umano pare sempre mai finito→ è infinito→ in ogni istante, l’Io che era, non c’è più mentre chi sarà, non è ancora, pur permanendo. In questa perenne apertura all’istante, pretendere di catturare l’irrepetibilità di ogni “soggetto dell’educazione e/o formazione” e delle sue relazioni, solo mediante teorie scientifiche precise, significa condannarsi fin dalla partenza all’insuccesso. In qualsiasi modo si intenda l’Io, il pensiero “delle scienze dell’educazione e/o della formazione” non può che ignorare <<il singolare, il concreto, l’esistenza, il soggetto, l’affettività, le sofferenze, le gioie, i desideri, lo spirito e la coscienza>> di ciascun unico e irrepetibile soggetto “dell’educazione e/o formazione”. Da un lato, la pedagogia può essere considerata come scienza, se non pretende lo scettro dell’unificazione delle “scienze” che studiano l’educazione e/o formazione ma, ancora di più, se rivendica una scientificità molto diversa da quella adottata dalle “Scienze dell’educazione e/o formazione”. Essa è chiamata a cogliere la sfida di confrontarsi con il particolare problema del <<tutto>>, dell’unità e dell’integralità inesauribile di ogni soggetto dell’educazione e della formazione, in un tempo storico e in uno spazio geografico→ “Chi vede bene il tutto, è in grado di comprendere il posto che deve occupare ogni parte”-Rousseau . In secondo luogo, considerando che ogni soggetto è un tutto unico e irripetibile e ha un’unica, unitaria e irripetibile vita a disposizione→ se egli perde la propria unità, o è compromessa per cattiveria o stoltezza da parte di chi educa, la vita verrà danneggiata, poiché non sempre il danno commesso è riparabile→ per questo la pedagogia non può essere una scienza al pari della fisica o di tutte le altre Scienze dell’educazione e/o formazione. La seconda grande differenza della pedagogia rispetto alle “Scienze dell’educazione e/o formazione” si riferisce a questa frase: “l’av-ventura dell’imperfetto e del futuro”. 2) L’imperscrutabilità→ “del doman non c’è certezza”. L’imperfetto e il futuro non si conoscono proprio perché ancora non sono accaduti e non possono essere oggetto di mediazione con il logos. Per quanto si tenti di fare previsioni, nutrire speranze, semplificare esperienze ed esistenze, al fine di conoscere con certezza il futuro e l’imperfetto di sé o di un altro e soprattutto delle loro relazioni educative/formative con gli altri e il mondo, è impossibile. TRE PRINCIPALI MODALITA’ UTILIZZATE PER GESTIRE E AFFRONTARE L’IMPERFETTO E IL FUTURO DELL’ESPERIENZA E DELL’ESISTENZA. 1) La via magica→ si riferisce alla magia, alla profezia, all’astrologia, alla numerologia, alla futurologia ecc.… Tutte queste forme hanno in comune una caratteristica: nascono dalla pretesa di qualcuno di avere un rapporto esclusivo e diretto, senza mediazioni, con qualche entità sovrannaturale assoluta, che gli rivelerebbe la verità di ciò che ci sarà nel futuro proprio e altrui. Ovviamente questa impostazione magico-profetica si espone a elevatissimi livelli di incertezza. 2) La via tecnico scientifica e delle “scienze dell’educazione e/o della formazione” → scienze e tecnologie, grazie alle semplificazioni della complessità del reale con cui procedono, sono in grado di ricavare dall’esperienza perfetta, teorie e leggi che giustificano proiezioni, previsioni e progetti riguardanti l’esperienza imperfetta e futura, certe e affidabili, almeno fino a prova contraria. L’uomo moderno prima, concepisce nella mente alcuni scenari possibili, non ancora esistenti nel reale perché ancora proiettati nel futuro (scopi e progetti); poi controlla che esista, nel presente, una materia da modellare in grado di accoglierli; quindi, procede all’incarnazione del possibile futuro nel presente, adoperando metodi e strumenti tecno-scientifici adatti al compito; infine controlla la qualità dei risultati: se insoddisfacenti, ripete il processo e lo migliora. Non possono controllare l’avvento di nessun possibile impensato dall’imperfetto e dal futuro ma, consentono di chiamare “possibile” quanto esse riescono a concepire e a progettare nel futuro vicino o lontano e poi a realizzare nel presente, alla luce delle teorie e delle leggi ricavate dal passato. 3) La via della prudenza → riguarda l’attesa vigile, pronta nel riconoscere come bene e nel cogliere al balzo l’occasione del “nuovo”, che irrompe inaspettatamente nel presente. Tale “nuovo” si può configurare sotto tre diversi aspetti: • Nuovo è quanto, storicamente, si sottrae alle attuali possibilità di previsione, controllo, progettazione e attuazione delle tecnoscienze. • Nuovo come rimando al tema della libertà umana→ il nuovo che avviene potrebbe essere, in astratto, per ciascuno di noi controllabile. Solo che, il nuovo, essendo anche il frutto di scelte volontarie altrui che ci sorprendono impreparati, per il semplice fatto che non sono nostre, si sottrare a ogni pretesa di dominio. • Nuovo con aspetto messianico→ se l’intero dell’esperienza passata, presente e futura non è riconducibile all’intero, che naturalmente la contiene ma non vi si può identificare, non si può escludere quanto costituisce il nocciolo di ogni pensiero religioso: che l’intero stesso, per sua libera scelta e potenza, si possa affacciare inatteso all’esperienza e all’esistenza storiche di ciascuno. Che dio, cioè, si sia fatto, si faccia e si possa fare eternamente carne, mettendo le proprie tende tra noi, nella storia e nel mondo. (appunto per chi legge il riassunto: non chiedetemi cosa voglia dire precisamente perché non l’ho capito nemmeno io) In tutte e tre le forme, il nuovo si palesa ai soggetti sia come un rischio che come un’opportunità. Rispetto ai tre modi di affrontare il nuovo, il terzo (la via della prudenza), se ben integrato e connesso con il mondo scientifico e tecnologico, appare come il più importante, il più affidabile e disponibile per tutti gli uomini. Questo terzo modo tenta di legare insieme aspetti tra loro diversi e spesso separati, per trovare una sintesi ottimale che miri a una vita umana sempre più equilibrata e buona. La prudenza, infatti, riesce ad affermarsi ed è esercitata quando “lega insieme”, armonicamente: • i fili della razionalità teoretica, pratica e tecnica dell’uomo; • queste diverse forme di razionalità con la psichicità superficiale e profonda dei sentimenti e con la corporeità • l’astratto del pensiero concettuale (che può essere comune a molti) con il concreto singolare della vita di ciascuno. Tuttavia, questa terza modalità è strutturalmente tragica poiché richiama l’unicità e l’irripetibilità del soggetto→ non ammette mai né l’uniformità, né la ripetizione. Ogni scelta e ogni azione sono perciò tali da essere sempre in qualche modo decisive poiché ogni parte, interagendo con le altre, le modifica→ ogni diversa scelta e azione introdotta nella storia e nel mondo, modifica e ristruttura non solo chi la esegue, ma la storia e il mondo stesso in cui l’attore opera. Gli errori nelle scelte e nelle azioni, quindi, si pagano e spesso nemmeno la loro riparazione assicura una soluzione. Per ogni scelta e per ogni azione, servirebbe almeno la possibilità di una seconda scelta e di una relativa seconda azione sostitutiva che possa correggersi→ questo è però impossibile. L’impossibilità di correggere le proprie scelte causa l’angoscia→ nasce dalla paura dell’istante, per l’importanza decisiva che ogni attimo della vita porta con sé. Per evitare questa angoscia, la virtù della prudenza insegna, in primis, a diffidare dall’individualismo→ solo in astratto si può esercitare la prudenza come singoli; nel concreto, si ha e si può mantenere questa virtù se e solo si può contare su buoni esempi e sui buoni risultati forniti dalla prudenza esercitata da chi ci ha preceduto e da chi ci circonda. Siccome i possibili eventi futuri sono infinitamente più numerosi di quelli che poi realmente si concretizzano, la maturazione della virtù della prudenza non ha bisogno solo di esercitarsi sulla realtà esperita e vissuta, ma ha bisogno di confrontarsi anche con la realtà soltanto “possibile” e mai accaduta, inventata nell’immaginazione. Questo permette di aumentare i propri repertori di scelta e di azione e aiuta a non essere impreparati davanti alla diversità di ogni nuovo avvento. L’immaginazione allena ogni persona a trovare risposte adatte a situazioni reali, ponendola in situazioni protette, poiché soltanto immaginate o pensate. Inoltre, tutte le varie forme di letteratura sono imitazioni dell’itinerario che gli uomini sono chiamati a compiere per connettere, ad una qualche unità, perfetto, imperfetto e futuro, per passare dalla scelta all’azione. Non è però la letteratura che si proietta sull’esperienza e sull’esistenza umane, personali e socio-storiche, bensì sono l’esperienza e l’esistenza umane, personali e socio-storiche che avrebbero una struttura pre-narrativa e che, proprio per questo, si proietterebbero al meglio nell’invenzione letteraria→ in questo senso, il romanzo non indaga la realtà, ma l’esistenza→ l’esistenza non è ciò che è avvenuto, ma il campo delle possibilità umane, tutto quello di cui l’uomo è capace. La letteratura, di conseguenza, si rivela il più importante mezzo moltiplicatore dell’unica vita reale che ciascuno possiede→ diventa il più formidabile strumento a disposizione di tutti (della pedagogia in particolare) per fare maturare a ciascuno, anche involontariamente, le competenze indispensabili per affrontare, con maggiore prudenza, l’irruzione dell’imprevisto nella vita, nel mondo e nella storia. Non esiste educazione e/o formazione dell’uomo che siano possibili soggettivamente e oggettivamente: non possiamo pretenderle depurate da processi impersonali bio- chimico-neuro-fisico-psico-socio-storico-ambientali. Questi processi irrazionali e inconsapevoli irrompono nel quotidiano razionale e consapevole, di ciascun essere umano, sottoforma di sogni, dimenticanze, lapsus, sbadataggini, errori inspiegabili, reazioni spontanee eccetera. A proposito di questo, Freud ricorda: tutto ciò che è abituale, famigliare, noto e consueto si rivela talmente abituale e famigliare da non essere più rilevato ed essere lasciato oscuro ed opaco, come se non esistesse e fosse sconosciuto. Questo abituale, però, salta fuori all’improvviso→ è come se in questi momenti “una potenza psichica ignota” instaurasse con il soggetto una situazione simile a un rapporto di servitù: l’io razionale e cosciente, di ogni uomo, si scopre essere un soggetto inconsapevole, che subisce i movimenti del suo stesso copro e della sua psiche. L’attività riflessiva, autocosciente, critica e responsabile della coscienza personale soggettiva, avrebbe spazio solo in alcuni frammenti della vita umana→ vita in cui, paradossalmente, non ci sono separazioni nette tra le dimensioni chiare ed oscure che la costituiscono. Parliamo di vita davvero umana e di educazione e/o formazione delle persone quando ciascuno si dichiara “io” protagonista, “soggetto” che possiede una coscienza autocosciente (la punta dell’iceberg) che fa i conti con le dinamiche e i processi della parte sommersa dell’iceberg→ quando si raggiunge, una sempre maggiore consapevolezza critico-riflessiva di sé e degli altri, immersi nella fiumana della storia sociale e del mondo naturale. Conoscendo sempre meglio e sempre di più la potenza condizionante delle dinamiche sommerse, ci si sforzerebbe di instaurare con esse un ruolo attivo e razionale (relazionale)→ questo è un compito molto ambizioso e non lo si potrà mai considerare né acquisito, né concluso per nessuno, una volta per tutte. In questo modo, la punta emersa dell’iceberg non è soltanto l’oggetto passivo di tutti quei processi inconsapevoli menzionati prima, ma diventa in grado di riflettere in maniera sistematica, su questi processi, e restituirli più o meno elaborati razionalmente dall’Io, anche al resto dell’intera unità a cui appartengono e da cui provengono. Secondo Heidegger, la realtà nella quale si consuma l’esistenza quotidiana di tutti e di ciascuno, non include nessuna idea di “io”, di persona, di polo o di centro dell’atto. L’esserci (l’uomo) è sempre derivato, per Heidegger, da un “con-Esserci” e da un “con-Essere” → non potrà mai esserci un soggetto senza mondo, un “io” isolato. L’Esserci sarebbe scosso alla radice dall’angoscia, determinata dalla sua riflessione cosciente sulla propria morte. Il soggetto umano scoprirebbe, grazie all’angoscia, suscitata nella sua coscienza da parte del pensiero della propria morte, di vivere in modo inautentico→ egli, di conseguenza, rivendicherebbe la sua autenticità di “io soggetto di sé” nel mondo e nella storia. Allo stesso tempo, paradossalmente, non esisterebbe nessuna autenticità esistenziale del soggetto singolare senza l’inautenticità del quotidiano in cui vive. Bisogna inoltre essere consapevoli che, nell’uomo, l’affiorare della possibilità di riconoscersi come un “io”, soggetto consapevole e critico- riflessivo è direttamente proporzionale all’emersione della ragione e della volontà. L’educazione e/o formazione e la pedagogia che le studia, non si possono inaugurare senza dei soggetti capaci di ragione e volontà. Per riconoscersi <<soggettività>>, ogni essere umano ha bisogno di altri soggetti con cui relazionarsi nel tempo, in modi più o meno ordinati e di innestare queste relazioni intersoggettive in un setting ambientale, dove la relazione con le “cose” riveste un ruolo fondamentale. È quindi veramente impossibile che l’educazione, la formazione o la pedagogia si generino senza la disponibilità di: - Da un lato, soggetti che abbiano già maturato una coscienza autocosciente, capaci di ragione e volontà che si manifestano in intenzionali processi logici, libertà e responsabilità personali. - Dall’altro, soggetti che non hanno ancora una maturazione analoga a quelli sopra, ma che esercitano, in ogni caso, al grado attuale o potenziale che hanno raggiunto, la stessa potenzialità, processi logici, libertà e responsabilità personali. È anche vero che “l’educazione e/ la formazione dell’uomo” non sono riducibili nemmeno alla loro somma→ questa somma è la condizione necessaria, ma non sufficiente, per ottenere “l’educazione e/ la formazione dell’uomo”. Tutti quei processi che sono contenuti nell’ “educazione e/ la formazione dell’uomo” hanno bisogno di soggettività e delle loro differenze qualitative specifiche. Questa parte riassume bene alcuni concetti affrontati fino a questa parte del riassunto. rispettive ragioni e volontà, ovvero delle qualità che ne sono la manifestazione (intenzionalità, strategie logiche e euristiche, libertà e responsabilità). Che un soggetto sia “maggiore” e uno “minore” è meno importante del fatto che il “maggiore” eserciti ragione e volontà, per sollecitare la maturazione della ragione e della volontà dell’altro, e il secondo accolga e faccia proprie le sollecitazioni che riceve dal primo. Queste sono tutte le condizioni sufficienti per poter formulare con sufficiente attendibilità pedagogica la distinzione tra educazione e formazione. L’educazione riguarderebbe ciò che almeno un io soggetto-persona decide e fa, in volontà, quando intende educare un altro soggetto più o meno attuale o potenziale di lui, in un contesto naturale e sociale, assumendolo ad “oggetto” dei propri interventi “educativi”. Il rischio risiede nella possibile trascuranza o dimenticanza del fatto che l’educazione dell’uomo prende ad “oggetto” di sé, un “soggetto” altro da sé. In questa prospettiva, se l’educazione di ogni uomo è già, in sé, molto difficile e complessa in presenza dell’unità personale, di chi educa e di chi è educato, si può immaginare quanto lo sia quanto più aumenta la distanza spazio-temporale tra i due→ ad esempio, con l’educando mediato dal filtro delle attrezzature tecnologiche o dal setting ambientale. In questo caso, alla ragione e alla volontà di entrambi i soggetti, si sostituisce la prevalenza e la ragione della ragione e della volontà del soggetto educatore su quelle dell’educando. Ragione e volontà che, di conseguenza, diventano forme più o meno sottili della forza, della violenza e della potenza dell’educatore sull’educando→ in questo modo, il soggetto educatore dimentica che il suo “oggetto” è un altro io personale→ è così che la pedagogia può diventare nera e i luoghi educativi e liberanti, dis-educativi e oppressivi→ il soggetto, in questi casi, scompare e lascia spazio a un “esso” uniforme e impersonale da manipolare. LE DIVERSE ACCEZIONI DEL VERBO “FORMARE” 1) ATTIVITA’ DI FABBRICARE→ modellare, plasmare, costruire materiali vari→ rimandava a un soggetto attivo che desse forma concreta a qualcosa di passivo e malleabile. Quasi come se modellare un uomo, fosse paragonato a modellare la creta→ questo insieme di significati nasceva dalle esperienze di lavoro delle botteghe artigiane romane, medievali e moderne. 2) NEL GERGO MILITARE→ indicava il riunire l’esercito, l’addestrare le reclute, lo schierare i soldati in un certo ordine, in una determinata formazione. 3) VALORE IDEOLOGICO-POLITICO→ bisognava formare ideologicamente e politicamente gli italiani, dare una forma ai loro pensieri e comportamenti sociali e civici. 4) NEL CAMPO PEDAGOGICO→ il verbo “formare” e il sostantivo “formazione” enfatizzavano in modo peculiare i gesti dell’eterodirezione e del modellamento ideologico-autoritario compiuto dai formatori, nei confronti di formandi ritenuti minori. L’idea della formazione dell’uomo, come forgiatura e plasmazione (dare al formando la forma voluta dal formatore), è stata favorita dal cosiddetto “miracolo economico” (anni 50/60) e dallo spostamento delle masse di lavoratori dal sud al nord, dalla campagna alla città→ questo fece apparire la formazione come uno strumento indispensabile per la garanzia dell’ordine sociale ed economico. Esiste, tuttavia, un modo totalmente diverso di concepire la formazione. Come abbiamo visto, l’educazione non esiste senza una soggettività maggiore, che si mette al servizio di una minore, con la quale è in relazione al fine di compiere un cammino ascensionale, in ragione e volontà. Riguarda quindi, sempre, una relazione intersoggettiva asimmetrica almeno tra due “io”, di cui uno più attuale e l’altro più potenziale, sebbene il tutto avvenga in una relazione anche interoggettuale oltre che intersocio-culturale. Quando si parla di formazione pedagogicamente legittimata, è necessario riconoscere che, nessun “io” soggettivo coinvolto nella relazione educativa, in un contesto culturale, ambientale e sociale, è possibile senza che egli abbia già esperito, nella sua dinamica infrasoggettiva, l’inesauribile dialettica coscienza-autocoscienza. È in questa dialettica che ogni io forma “sé come un altro”, ogni io scopre un altro sé, ma anche ogni “sé come un altro” forma sempre un “Io” più compiuto del precedente. Il movimento orizzontale intersoggettivo, interoggettuale e inteculturale asimmetrico, progressivo e mai compiuto dell’educazione, si interseca in modo verticale con quello diversamente, ma altrettanto asimmetrico, progressivo e mai concluso della formazione. Con la seconda che permette quella soggettività maggiore e indispensabile per instaurare, con un altro soggetto meno maturo del precedente, una relazione educativa davvero ascensionale e agogica. Nello specifico, la formazione dell’uomo avviene quando il soggetto stesso, in ragione e volontà, con ciò che dice, decide, fa e può fare, dimostra di e vuole crescere, dando ordine e misura ad un “io” sempre migliore. Nella formazione è l’io che modella sé stesso e che sperimenta quanto questo “dare forma” a sé, ma anche questo “formare l’io”, sia un percorso inesauribile e sempre perfettibile→ l’esplorazione della mai conclusa relazione infrasoggettiva di ciascuno, che poi è specchio di tutte le altre, è un compito senza fine. Essa riguarda la pienezza esistenziale di ciascuno, che prende forma quando ogni io plasma il proprio essere e lo mostra agli altri: così facendo, scopre sempre “sé come un altro”→ scoprendosi sempre “altro”, può dare forma a un’identità maggiore di sé stesso. Considerando l’altro “io soggetto”, della relazione educativa come “oggetto” da conoscere per aiutarlo ad essere sempre più soggetto→ il soggetto che si forma per formarne un altro, sa bene che l’altro non può mai essere ridotto ad un oggetto di cui si diano regole, modelli, principi, misure e conoscenze a priori. Sia il primo che il secondo soggetto della relazione educativa si possono conoscere e comunicare soltanto quando si sono, ciascuno al proprio livello, realizzati e compiuti→ in una realizzazione e compiutezza che, per ambedue, in tempi diversi, sono sempre perfettibili.
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