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Riassunto del libro esaustivo e chiaro., Sbobinature di Gestione della Produzione Aziendale

Sbobine del libro. Il riassunto è compatto, chiaro ed esaustivo.

Tipologia: Sbobinature

2021/2022

In vendita dal 12/06/2023

Ollyyy
Ollyyy 🇮🇹

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Scarica Riassunto del libro esaustivo e chiaro. e più Sbobinature in PDF di Gestione della Produzione Aziendale solo su Docsity! GASL GESTIONE AZIENDALE DEI SISTEMI LOGISTICI La suddivisone del lavoro comporta la specializzazione, maggiore è la specializzazione maggiore è la necessità di coordinamento. Il crescere di un’impresa è necessario si mercati finanziari di ampia scala. Con la crescita delle organizzazioni tendono ad esserci più unità organizzative, strutture relativamente autonome, che rispondono ad un unico capo. La logica è dunque funzionale, ciascuna funzione può essere suddivisa in reparti o linee. Specializzazione verticale: (Taylor) approccio più razionale, semplificando le attività, separazione tra progettazione ed esecuzione, coloro che eseguono i lavori e coloro che controllano. Specializzazione orizzontale: proliferare e dell’ mansioni, diversi insieme di compiti attribuibili ad una persona o più persone, più frammentazione delle mansioni più competenze limitate. Svantaggi delle specializzazione: compiti limitarti e ripetitivi, necessita di più coordinatori, poiché si perde di vista il lavoro complessivo, inoltre operaio alienato. Negli anni è emerso il “job enlargement”, ossia riduzione della specializzazione orizzontale o arricchimento delle mansioni > job enrichment. Vantaggi della specializzazione orizzontale: maggiori economie di apprendimento, minori costi di atrezzaggio, possibilità di automazione, minor costo del lavoro. Metodi coordinamento: Adattamento reciproco: metodo ex post, poiché si interviene dopo che il problema si è presentato o eventualmente quando esso compare. Dominante in organizzazioni di piccola taglia, anche se importante anche in quelle di grande taglia. Supervisione diretta: vi è il ruolo del capo, che stabilisce di volta in volta che lavori devono essere seguiti, successivamente li controlla. Non sostituisce l’adattamento reciproco. Il numero di subordinati può essere variabile, ma non molto elevato, poiché fallisce anche il coordinamento (Span of control). Meccanismo ex post. Standardizzazione dei processi: Ex ante, poiché il lavoro viene suddiviso a priori. La progettazione e l’organizzazione avviene su carta, quindi è necessario seguire le istruzioni e si ha un ottimo meccanismo di coordinamento. Se compare un problema nuova, torno ai due meccanismi sopra citati. Standardizzazione significa dunque agire in anticipo per stabilizzare. Esistono: standardizzazione dei processi, di risultati, delle competenze. Standardizzazione dei risultati: progettate il “che cosa fare “, pianificare la produzione, determinare fabbisogni necessari e manodopera. Budgeting e pianificazione per i responsabili che devono produrre output, senza saper come fare. In questo meccanismo di coordinamento importante è la divisionalizzazione: introduzione di strutture semi indipendenti, che si dedicano a prodotti differenti. La special verticale é più contenuta poiché esecuzione e controllo non sono necessariamente separati. Standardizzazione delle competenze: consiste nell’assicurarsi che gli operatori siano in grado di svolgere i compiti assegnati ed interagire tra loro avendo competenze già acquisite prima. La formazione è necessaria sia quella tradizionale (Università) che quella sul campo (corsi di aggiornamento). Tende a rendere la supervisione e l’adattamento più efficaci e meno onerosi. Esiste una ciclicità dei meccanismi di coordinamento. Costi di specializzazione del coordinamento: Costi di esecuzione: delle singole attività Costi di coordinamento: li implica la specializzazione orizzontale. L’adattamento reciproco e la supervisione implicano perdite in termini di costo. Molte volte si viene a formare il middle management: supervisori che poi vengono supervisionati. Maggiore specializzazione orizzontale < costi di esecuzione Maggiore specializzazione verticale > costi di coordinamento. La life long education é un periodo nel quale si ritorna un aggiornamento di conoscenze ad apprendere nuovamente sul campo le competenze acquisite . La socializzazione è un processo nel quale i membri apprendono e interiorizzano i valori, la cultura e gli stili di comportamento. Si parla in questo caso di standardizzazione dei valori. Lo strumento che viene utilizzato è l’indottrinamento. La prestazione può essere di tipo quantitativo qualitativo, in ogni caso è legata alla mansione. Dipende da due fattori: la capacità e la motivazione. LA STRUTTURA NELL’ORGANIZZAZIONE La macro struttura è suddivisa in unità organizzative, che utilizzano meccanismi di coordinamento. Le unità organizzative sono raggruppamenti di dimensioni tra loro interdipendenti o simili. Tutto ciò nasce dall’esigenza di semplificare e rendere più efficiente l’attività complessiva. La struttura organizzativa è descritta dall’organigramma, ovvero una rappresentazione grafica realizzata con uno schema di blocchi, che identifica le gerarchie esistenti. Esso è uno strumento utilizzato per la formalizzazione della macrostruttura , può: indicare le posizioni che compongono ciascuna attività organizzativa, il nome delle persone, l’organico delle diverse unità organizzative, i collegamenti esistenti tra posizioni. Un’organizzazione è un sottoinsieme di posizioni e ruoli, qui assegnato un insieme di compito, interrelate tra loro. Qual è la dimensione di un’unità organizzativa? L’ampiezza di controllo è il numero di persone che sono direttamente dipendenti dal capo, maggiore è la dimensione di quest’ultima maggiore la dimensione dell’unità organizzativa. Inoltre è una dimensione orizzontale dell’organizzazione. L’ampiezza manageriale è il numero di attività a cui il supervisore risponde attraverso la direzione e il coordinamento, è il numero delle mansioni organizzative, è una dimensione verticale determinata dalla catena gerarchica. La lunghezza della catena è misurata con il numero di riporti gerarchici. L’unicità del comando è un principio in cui ogni individuo e ogni unità organizzativa deve ricevere ordini da un solo responsabile gerarchico. Da qui l’idea che la struttura deve essere in forma piramidale. Ampiezza del controllo e lunghezza della catena sono due mie dimensioni legate tra loro, se ogni capo supervisiona un numero limitato di persone il numero di capi necessari è maggiore. Lo stile direzionale di leadership dei capi è l’ampiezza manageriale cioè la preparazione dell’addestramento delle persone controllate, il supporto dello staff eccetera. Riduzione dei livelli gerarchici = delayering. Quando la dimensione orizzontale prevale su quella verticale, le organizzazioni sono snelle, lean organization. Gli organi di linea sono quelli che si collocano lungo la linea gerarchica che va dall’alta direzione e gli organi operativi che si occupano delle attività centrale dell’azienda il cosiddetto core business, gli organi di staff non si collocano direttamente in questa linea ma affiancano gli organi di linea a diversi livelli gerarchici per supportarli. Nell’organigramma sono disegnati con riquadri posti a lato rispetto alla linea gerarchica. Le aziende spingono a esternalizzare parte delle attività svolte dagli staff, outsourcing. Le unità organizzative operative sono caratterizzate da mansioni operative, si occupano dei processi di trasformazione. Le unità organizzative direttive sono organi che guidano l’ intera organizzazione, la governance dell’impresa, vertice strategico aziendale. Quando le unità direttive hanno una natura temporanea prendono il nome di steering committees. Il top management è generalmente caratterizzato da basso livello di standardizzazione il meccanismo di coordinamento è il mutuo adattamento. Esistono unità organizzative permanenti e organi temporanei. Raggruppamento: cerca di ottimizzare i costi di coordinamento, tra unità organizzative individui, ridurre i costi di transazione (legati al trasferimento di beni). Quindi differenziazione tra le unità organizzative.è molto incertezza per le stesse operazioni di transazioni, dunque si deve fare un raggruppamento sul tipo di interdipendenza. Nella macrostruttura ciascuna interdipendenza deve essere analizzata per capire eventuali vantaggi. Il criterio di raggruppamento numerico: le unità vengono divise in gruppi omogenei con un supervisore. Le persone sono intercambiabili (sistema meccanico). Presenza di turni di lavoro. Criterio di raggruppamento orientato agli input: accorpare le attività in base alle risorse utilizzate, esso comprende due sotto criteri: 1. raggruppamento per conoscenze e capacità per svolgere mansioni e raggruppamento in base alla funzione e al processo di lavoro (funzioni aziendali). 2. criterio di raggruppamento orientato agli output: fa riferimento agli obiettivi, fattori comuni che motivano. Esistono tre tipologie: 1. raggruppamento in base al prodotto uguale attività dedicate a ciascun prodotto. Le aziende multiprodotto hanno business unit dedicate alle principali famiglie di prodotto. 2. raggruppamento in base al cliente: consumatori finali, aziende private, pubblica amministrazione. Criterio utilizzato particolarmente per marketing e vendite, tuttavia anche da progettazione e produzione. 3. raggruppamento su base geografica. Le motivazioni che portano l’azienda a scegliere un raggruppamento piuttosto che l’altro? Riduzione di costi, obiettivi di efficienza, economie di scala e di specializzazione, efficacia dell’output (con interdipendenze legate ai processi e i flussi di lavoro, poiché la realizzazione di un determinato output richiede attività in sequenza). Il coordinamento tra le unità organizzative utilizza gli stessi strumenti di coordinamento, con l’introduzione di ruoli di collegamento meccanismi di distacco. Soluzioni per coordinare orizzontalmente due unità organizzative. I product manager hanno un ruolo più ampio di integrazione di diverse unità e con obiettivi da raggiungere. Necessità di leadership di negoziazione. Team interfunzionali: organi temporanei o non che si dedicano soluzioni di problemi specifici. L’integrazione avviene tramite lo scambio di informazioni e risoluzioni. Sistemi di pianificazione controllo: l’obiettivo è definire gli output desiderati e le azioni per ciascuna unità organizzativa, le varie unità lavorano autonomia, i vertici controllano. Sistemi informativi aziendali: utilizzo delle tecnologie dell’informazione della comunicazione (ICT), hanno l’obiettivo di facilitare lo scambio e la raccolta di informazioni tra diverse posizioni nelle unità. Strutture organizzative: ve ne sono diversi, ciascuno individua un “ideale“ di organizzazione.struttura semplice: poco articolata, coordinamento per gerarchie.Le decisioni sono accentrate nelle mani di un decisori (direttori), formalizzazione bassa. Con il crescere di dimensioni si articola in unità organizzative raggruppati secondo criteri funzionali. Una forma piuttosto diffusa di tale struttura è: gruppi di pari, organizzazioni professionali di piccole dimensioni (studi legali) con omogeneità dei compiti svolti. Struttura funzionale: è l’evoluzione di quella semplice,il primo livello gerarchico si decide di optare per un criterio di raggruppamento basato sull’impatto. Si hanno maggiori vantaggi nell’efficienza, poiché si possono raggiungere economie di scala all’interno di ciascuna funzione. Alta possibilità di raggiungere specializzazione e sviluppo delle competenze specifiche delle funzioni. Vengono perseguiti obiettivi di ottimizzazione locale, la standardizzazione di questi obiettivi diventa il meccanismo di coordinamento. La supervisione è il meccanismo di coordinamento dominante. Punti deboli: mancanza di focus su specifici prodotti, clienti, mercati ,elevata burocratizzazione. Si adattano a contesti relativamente stabili in cui la complessità può essere gestita efficacemente attraverso i meccanismi di standardizzazione. I correttivi: aggiungere alla struttura funzionale pura ruoli di coordinamento, i quali hanno un costo non trascurabile. Struttura divisionale: le unità di primo livello vengono costruite utilizzando criteri di raggruppamento e orientati agli output. Queste unità sono chiamate divisioni o business Unit, ciascuna elevati livelli di autonomia sulle decisioni che concernono l’output. Meccanismo di coordinamento: standardizzazione degli output. Vantaggi: capacità di adattamento e rapidità di risposta, svantaggi: possibilità di ottenere economie di scala.le strutture divisionali sono: la struttura per prodotto, la struttura per mercato e la struttura per area geografica. Struttura per prodotto: imprese che operano in aree di business disomogenei, costituzione di business Unit separate per ogni prodotto. Le business Unit: coerenza e integrazione, favorendo così l’efficacia dell’output. Nelle business Unit maggiore facilità di controllo dei risultati del singolo prodotto. Problemi di coordinamento e allineamento delle scelte strategiche. Strutture per mercato: costituzione di business Unit per ciascuno dei mercati in cui l’azienda si rivolge. Maggiore l’efficacia e la rapidità di risposta alle richieste di diversi segmenti di clientela, non rinunciando alle economie di scala. Svantaggio: minore coordinamento su prodotti e servizi offerti ai clienti.struttura per area geografica: vengono create unità organizzative autonome per la gestione delle attività nelle diverse regioni queste business Unit (filiali) rispondono in modo diversificato alle richieste in diversi luoghi in cui l’azienda opera nascono per garantire la necessità di vicinanza fisica ai mercati di sblocco. Svantaggio mancanza di focus sul coordinamento, minore specializzazione dispersione di risorse. Tre configurazioni organizzative: imprese multi domestiche, trans-nazionali, globali. Struttura organizzativa ibrida: le business Unit del primo livello gerarchico hanno criteri di raggruppamenti ibridi: di tipo funzionale di tipo divisionale. Il criterio funzionale utilizzato nelle aree più stabili, il criterio di visionare invece in quelle aree in cui vi è la necessità di flessibilità. Si cerca di combinare i vantaggi di entrambi criteri, limitandone gli svantaggi. Struttura a matrice viene meno il principio di unicità del comando in quanto le risorse rispondono gerarchicamente più di un capo. Si creano più linee gerarchiche, una per ciascun criterio di raggruppamento, le risorse rispondono ad esempio il responsabile funzionale, responsabile di area geografica, di prodotto servizio di mercato. Vantaggi: duplicità del comando, difficoltà nella gestione delle risorse umane, poca collaborazione tra i capi. Questa struttura viene utilizzata in un ambiente molto complesso e incerto in cui vi sono molteplici tipologie di output critici e scarsità di risorse. I PROCESSI AZIENDALI Processo aziendale: sequenza di attività e decisioni per generare output richiesti dal cliente al quale egli associa un “valore“. Si pone in alternativa la visione orientata alle risorse. Questo approccio nasce per limitare le frammentazioni aziendali. Orientamento al cliente: si opera in mercati diversi, personalizzare il prodotto, soddisfare il cliente. Time based Competition: quando i cicli molto rapidi e tempi di risposta sono limitati è necessario ridurre i tempi interni. Ricerca congiunta di efficienza ed efficacia: eliminare tutte le attività che generano costi ma senza valore. Canalizzare le risorse le competenze verso i risultati: estrarre valore da “competenze sulla carta“. Per individuare un processo aziendale si deve riconoscere un cliente, un soggetto che trae valore dell’output, il cliente può essere sia esterno che interno. Le prestazioni indicano un valore aggiuntivo che il cliente dall’output, sono rappresentate dagli indicatori di prestazione (KPI). Per trasformare gli input in output del processo svolge attività tra loro interdipendenti, la cui natura diversa. Per coordinare l’avanzamento del processo si utilizzano i metodi di gestione del processo.le attività sono svolte da risorse umane o tecnologiche.i processi primari creano direttamente un valore riconosciuto dal cliente esterno. I processi di supporto sono invece necessari alla gestione di quelli primari ma non creano un valore, vengono chiamati governo o processi di supporto operativo. Le attività di un’impresa sono raccolte in cinque aree: produrre e vendere progettare gestire. Inoltre è possibile individuare una scomposizione gerarchica dei processi. Il livello più aggregato è il macro processo, ovvero la macro area di attività dell’azienda. Il secondo livello è quello del processo vero e proprio, ovvero l’insieme delle attività finalizzate alla creazione dell’output. Il terzo livello è quello della fase, un insieme di attività tra loro fortemente interdipendenti con input e output chiaramente definiti. Poi vi è l’attività, ovvero L’unità elementare di processo. Infine le operazioni, ovvero delle azioni non scomponibili. Il monitoraggio e il miglioramento delle prestazioni sono uno strumento di gestione è fondamentale in un’azienda orientata ai processi, queste determinano l’efficienza e l’efficacia del processo. Per efficienza si intende la capacità del processo di ottimizzare il rapporto tra valore dell’output e impiego delle risorse; per efficacia si fa riferimento alla capacità del processo di raggiungere degli obiettivi per quest’atto costruito. Le prestazioni possono essere: esterne ed interne.prestazioni di costo: il costo dell’output, ovvero la somma dei costi delle attività di processo. Il suo calcolo non è semplice, a causa del fatto che si utilizzano più risorse condivise tra i processi. La tecnica per il calcolo dei costi è ABC. Un altro costo è quello per il cliente, ovvero quello supportato dal cliente per l’ottenimento dell’output. Molte volte il costo del cliente si sovrappone al total cost of ownership. Prestazioni di qualità: si possono misurare attraverso la qualità dell’output, ovvero la capacità di soddisfare l’esigenza del cliente. SECONDA PARTE LE DECISIONI NELLE ORGANIZZAZIONI Decisioni organizzative consapevoli: si basano sul processo di identificazione, analisi e risoluzione dei problemi (che non sono necessariamente negativi). Decisioni organizzative inconsapevoli: gli esiti sono rintracciabili dopo e non prima. Decisioni programmate: i problemi prevedibili o ripetitivi, trovati già in passato, tutto si incentra sulla risoluzione del problema. Decisioni non programmate: decisioni da prendere, inaspettate. Il manager deve tracciare una nuova analisi. un aspetto critico è la tempestività, le fasi sulla velocità decisionale delle imprese: meglio prendere tante decisioni (anche sbagliate) piuttosto che nessuna. Le ICT facilitano la condivisione e la comunicazione. Reagire prontamente porta ad eliminare le deleghe le pratiche burocratiche. Tutto ciò porta ai sistemi di decisione automatizzati: l’intervento dell’uomo è ridotto al minimo. E difficile che le decisioni prese portino esiti certi: rischio di incertezza. Numerose variabili: concorrenti, normative, contesto socioeconomico in evoluzione… la teoria classica assumeva che hai deciso fosse sempre consapevole, informato e senza incertezze; il quale pensa solo agli obiettivi, il concetto di ottimizzazione. la difficoltà è definire la funzione obiettivo, quando l’incertezza elevata, è difficile analizzare in maniera sistematica il problema. Razionalità limitata: i decisori non ho ben chiari gli obiettivi, non sono in grado di valutare tutte le alternative. I decisori non cercano un ottimo ma una soluzione soddisfacente. il criterio di soddisfazione fa analizzare le alternative in modo sequenziale, fino a quando non si trova quella soddisfacente. La razionalità perfetta e il comportamento ottimizzante sono applicati in decisioni programmate con un livello di certezza discreto, approccio di tipo management science, conoscenze logico matematiche per risolvere i problemi. La razionalità limitata implicata in decisioni non programmate ed incerte. Conflitto organizzativo: comportamento che si genera tra più interlocutori, che promuovono alternative diverse. Si manifestano sottoforma di coalizioni. Le cause dei conflitti: Scomposizione degli obiettivi: le unità organizzative hanno compiti specifici, per i quali sorgono problemi. esistono sotto obiettivi: direttore di produzione, marketing e vendite. A volte gli obiettivi tra le tre diverse unità sono differenti. Differenziazione: le unità organizzative hanno valori, attitudini e comportamenti diversi, automaticamente ci sono conflitti. Interdipendenza dei compiti: interdipendenza di informazioni tra unità organizzative che portano conflitti. Risorse limitate: competizione per accedere alle risorse migliori (umane, tecnologiche, finanziarie…), che possono essere risorse limitate. La presenza di slack (risorse ridondanti) riduce i conflitti. Risolvere i conflitti è fondamentale,la risoluzione le volte richiede tempo, ma è fondamentale arrivare ad un consenso, in particolare ogni decisione vede un Trade off tra velocità e consenso. Scegliere la prima implica ricorrere al potere, cioè la gerarchia. La seconda implica ricorrere alla politica. Esistono persone che riescono a coniugare questo Trade off, il concetto di leadership. La norma è l’inerzia organizzativa e non la culturali innovazioni (prevale in dimensioni politiche). La percezione del problema è diversa a seconda degli attori. Prendere decisioni sulla base di analogie, cioè ciò che è accaduto in passato in situazioni simili. una critica al modello della razionalità delimitata: non è vero che le organizzazioni decidono senza avere abbastanza informazioni, piuttosto il contrario. Avere molte informazioni soprattutto per i manager può essere un alibi qualora la decisione si rivelasse è sbagliata. In alcune decisioni prevale un carattere semi casuale, tre caratteristiche tipiche: ambiguità, tecnologie, turn-over. Questi tre elementi determinano anarchie organizzate. si va a costruire la metafora del cestino dei rifiuti (Garbage can): il contenuto del cestino dipende dalla sequenza casuale con cui le persone gettano via i loro rifiuti. vi sono quattro plus indipendenti dal qui incrocio casuale nascono le decisioni: i problemi, le potenziali soluzioni, i partecipanti, le opportunità di scelta. Il significato del cestino dei rifiuti è che la razionalità degli attori può tradursi in un irrazionalità sistematica, a causa della complessità nella macchina organizzativa. le decisioni strategiche in realtà chiaramente iniziano con una chiara comprensione dei problemi, piuttosto il contrario. In questo processo vengono individuate tre fasi generiche: identificazione, sviluppo, selezione. Nella fase di selezione vengono scartate le alternative meno attraenti. La critica forse più profonda l’approccio della razionalità limitata: sense making. Sense making è letteralmente “fabbricazione di senso“, cioè l’attribuzione del senso. A posteriori o al massimo durante l’esperienza, gli individui attribuiscono senso all’esperienza stessa. La costruzione di senso si basa sull’attivazione di ambienti. Attivare un ambiente significa selezionare e ordinare gli elementi oggettivi, e le informazioni, tentando di dare loro un senso. Gli ambienti possono subire mutazioni anche drastiche, cambiamenti ecologici. Termini chiave sono: rimozione innovazione, gli individui hanno bisogno di ricordare ma anche di dimenticare: ricordare per riconoscersi, dimenticare ovvero screditare e rimuovere i sensi passati per sostituirli con i nuovi. IL PROCESSO DECISIONALE Esso è costituito generalmente da due fasi: l’identificazione del problema e la soluzione. La prima fase viene anche chiamata problem setting, la seconda problem solving. Problem setting: capire innanzitutto come identificare gli obiettivi quali impatto abbiano. Spesso gli obiettivi sono in contrasto tra loro, molte volte esistono più attori decisionali proprio per questo più obiettivi. L’esistenza stessa di rischio di incertezza costituisce una situazione multi obiettivo. Il tempo è un fattore che determina situazioni multi obiettivo: infatti alcune alternative risultano migliori nel breve termine piuttosto che nel medio o lungo termine. Uno strumento è: l’indicatore di prestazione, utilizzato per misurare i risultati. Inoltre, in un processo decisionale esistono i vincoli, che sono limiti posti alla libertà di decisione di azione: i decisori sono liberi nelle scelte purché si mantengano nello spazio decisionale definito dai vincoli. I vincoli possono essere: esterni (derivano dall’ambiente competitivo), e interni (decisioni di livello superiore), passati (decisioni pregresse). L’attività principale del problem setting è la costituzione di un modello decisionale, che è definito come “rappresentazione selettiva della realtà“. È necessario operare una selezione dei fattori che sono determinanti per le decisioni. I modelli sono semplificativi della realtà, dipendono dagli obiettivi e dei vincoli. Lo scopo di un modello è identificare i fattori rilevanti, per questo le variabili devono essere classificate come: decisionali, ambientali ed endogene. le variabili decisionali sono quelle controllabilità i decisori, le variabili ambientali invece non sono controllabili, le variabili endogene sono i risultati, ovvero gli effetti e le conseguenze delle decisioni. E= f(D,A) (1) Nei processi reali accade che le leve decisionali non abbiano effetti diretti, le decisioni sortiscono effetti intermedi che vengono definiti variabili endogene strumentali (E’), definiti come effetti collaterali. Inoltre importante ricordare il ruolo fondamentale del tempo: Et= ft(E’t, Dt, At) (2) Utilizzo dei modelli analitici nei processi decisionali implica che sia definito il traguardo, il tempo entro il quale si pensa di raggiungere tale traguardo. L’aspetto critico per le variabili ambientali riguarda la loro stima e la previsione del valore futuro, è importante quindi riconoscere il dominio ovvero l’ampiezza di manovra concessa ai decisori. Attori diversi potrebbero formulare modelli di supporto alle decisioni diverse, questo è un conflitto organizzativo riconducibile al concetto di differenziazione. Si devono tenere in considerazione i costi e tempi, inutile investire in modelli troppo complessi se non hanno tanti benefici. Le mappe casuali descrivono le relazioni causa effetto tra le variabili in un modello. Una mappa causale è un grafo in cui i nodi sono variabili rilevanti agli archi (positivi o negativi) sono nessi casuali. Gli archi positivi rappresentano situazioni in cui al crescere della variabile causa cresce anche la variabile effetto, e così per il diminuire. Mentre gli archi negativi all’aumento della variabile causa diminuisce la variabile effetto, e viceversa. Le mappe, dunque, rappresentano in modo qualitativo la legge f delle equazioni (1) e (2). Il profitto = ricavi - costi Ricavi = prezzo X vendite Il prezzo è una variabile decisionale, viene fissato liberamente dipende da altre variabili, le vendite dipendono dalla domanda del mercato dalla quota di mercato che ha l’azienda rispetto ai concorrenti. Vendite = domanda di mercato X quota di mercato La quota di mercato dipende dal marketing che è suddiviso in: pubblicità e promozioni, miglioramenti al prodotto, azioni su canali distributivi, manovre sui prezzi (marketing mix). I costi di marketing dipendono da quanto marketing si fa. I costi di produzione dalla quantità di beni prodotti e costi variabili e fissi. Se la quantità venduta uguale alla quantità prodotta, i costi di produzione dipendono dai prodotti venduti. I costi variabili dipendono dalla quantità prodotte da investimenti per migliorare il prodotto. Inoltre le variabili endogene strumentali (E’) sono effetti indiretti che determinano risultati finali. Le mappe, quindi sono efficaci per illustrare le variabili rilevanti e le relazioni che intercorrono. un modello è selettivo e rappresenta in un modo parziale la realtà. Tecniche di previsione: quantitative e qualitative. Tecniche quantitative: richiedono l’utilizzo di dati storici per la variabile oggetto della previsione, essi utilizzano solo quando ci sono informazioni sufficienti sull’andamento passato, le informazioni sono rappresentabili in formato numerico; ed è ragionevole pensare che i fenomeni passati possono accadere anche nel futuro. Nelle tecniche quantitative inoltre ci sono: tecnica esplicativa ed estrapolative. esplicative: si formula una previsione pensando che la variabile da prendere abbia legami con alcune variabili note, facili da calcolare. Cerca di rappresentare un legame causa-effetto, correlazioni tra variabili. Il valore assunto dalla variabile Y un certo periodo può essere valutato da variabili esplicative xi. Yt= f(x1… xn) In questa categoria si usano: regressione lineare, non lineare, multipla, dinamica. Tecniche estrapolative: considerano il sistema di causa per identificare la variabile da prevedere. Cercano una storia passata delle variabili fattori di regolarità e formulano poi una previsione sull’andamento futuro. Yt=f(yt-1,…yt-4…) In questa categoria si usano: smorzamento esponenziale, medie mobili e tecniche ARIMA. Tecniche qualitative: non sono presenti informazioni quantitative, il passato non fornisce previsioni future.si basano dunque sull’opinione di esperti. Esistono: tecniche basate sui giudizi individuali: raccolta di opinioni e giudizi sistematicamente, esempio indagini di mercato. Si può calcolare quindi un’ipotetica domanda potenziale. Tecniche basate su interazioni: la media dei singoli giudizi può portare a valutazioni distorte, quindi gli esperti in questo caso possono interagire giungere ad un accordo sulla previsione, esempi di tecniche basate su interazioni: role playing (attori diversi simulano ruoli diversi) focus group (moderatore che gestisce domande e Target intervistati) e Delphi. In alcuni casi, si effettua una stima di tipo qualitativo, basata in genere sulle esperienze; si tratta di stime soggettive della probabilità, legate al concetto di “fiducia“ o “credenza“. sebbene queste stime possono apparire inaffidabili, un decisori che lei è fermamente convinto si trova comunque in una condizione di rischio e non di incertezza, in quanto dal suo punto di vista è in grado di associare ad ogni possibile evento una probabilità. Il criterio decisionale più semplice è: il valore atteso, definito come la media dei risultati. n= numero di scenari m= numero di alternative Massimo valore atteso= E* E*= max Ei Scegliere, però solo sulla base del valore atteso non offre alcuna garanzia, quando ci si trova in condizioni di rischio non ci si dovrebbe accontentare di conoscere solo il valore atteso di ogni alternativa decisionale, ma si dovrebbe misurare anche il rischio associato. Significa valutare quali risultati possono discostare dal valore medio. La deviazione standard è la misura del rischio associato a ciascuna alternativa, in quanto viene espressa nella stessa unità di misura del valore atteso. L’alternativa più rischiosa può portare a ritorni elevati così come perdite considerevoli, tipico rischio speculativo; scegliere tra un’alternativa con un valore atteso inferiore ma anche un rischio inferiore piuttosto che un’alternativa con valore atteso superiore al rischio superiore. Il rischio in questo caso non è sinonimo di perdita, ma di opportunità. Il decisori può essere: avverso al rischio, propenso al rischio o indifferente al rischio. Nell’ultimo caso l’obiettivo rimane la massimizzazione del valore atteso, perché il rischio non viene considerato. Un decisore avverso al rischio, si trova sempre di fronte a un problema multi obiettivo, che nella maggiore parte dei casi è affetto da Trade off. MAX(E) con σ ≤ σ* È possibile fissare arbitrariamente una soglia massima di rischio accettabile. MIN (σ) con E ≥ E* È possibile fissare una soglia minima di ritorno atteso. MAX (E) con P (V ≤ V min ) ≤ P min È possibile fissare un vincolo sulla probabilità cumulata affinché il ritorno sia inferiore a una soglia predeterminata. MAX (U) con U= E- λ σ La funzione di utilità compone il valore atteso e il rischio. Il parametro λ indica l’atteggiamento dei decisori nei confronti del rischio, se > 0 avverso, <0 propensò, =0 indifferente. Un approccio alternativo alla scelta si basa sul concetto di perdita di opportunità, che consiste nel mancato guadagno, per ciascuno scenario. È possibile quindi costruire una tabella delle perdite di opportunità (PO). Criterio di Pascal: consiste nell’assegnare a ciascuno scenario la stessa probabilità, ed in condizioni di rischio applicare i criteri di massimizzazione del valore atteso e minimizzazione del rischio. Ha senso applicare il criterio di equiprobabilità in condizioni di incertezza, ma nella realtà si applica in condizioni di rischio. Criterio Maximax: identificare per ciascuna alternativa il massimo ritorno possibile, quindi scegliere quella che presenta il valore più alto (Vmax). Si tratta di un criterio ottimistico, poiché si fonda sulla speranza che si realizzi lo scenario più favorevole. È una alternativa rischiosa, poiché in condizioni di incertezza non vi è alcuna garanzia che si realizzi lo scenario migliore. Non considera cosa potrebbe succedere se si verificasse uno scenario sfavorevole. Criterio Maximin: Sì tratta di un criterio pessimistico che considera cioè i risultati nel caso si verifichi lo scenario peggiore. si sceglie un’alternativa che nel caso peggiore fornisce un risultato migliore delle altre. In questo caso l’incertezza viene considerata attraverso il cosiddetto principio di prudenza: esistendo la possibilità, di ottenere un risultato negativo si cerca di cautelarsi da tale evenienza; non considera i potenziali guadagni massimi di ciascuna alternativa decisionale. Criterio del realismo: combinazione dei due criteri precedenti, è associata ad ogni alternativa una combinazione del suo risultato migliore e peggiore, ottenuta attraverso un “coefficiente di ottimismo“. Un limite di questo criterio: l’arbitrarietà del coefficiente di ottimismo, che rappresenta l’atteggiamento del decisori può influenzare le indicazioni fornite. Criterio Minimax: ad ogni alternativa decisionale si associa il massimo valore della perdita di opportunità, quindi si sceglie quello che presenta il valore minimo. La logica alla base di questo criterio è pessimistica o prudente, si sceglie l’alternativa che in caso sfavorevole permette di minimizzare le perdite. LE DECISIONI INTERATTIVE Il pay off esprime una valutazione quantitativa della soddisfazione del decisore per ciascun esito possibile, incrociando le scelte del decisore con quelle della controparte. L’incertezza strategica è: la scelta che opererà la controparte, deve essere trattata in modo differente rispetto all’incertezza generale. La tabella dei pay-off riporta ogni possibile soluzione, ottenuta da due attori. Per convenzione il primo valore si riferisce all’attore riportato sulle righe, mentre il secondo all’attore sulle colonne. problemi come questi sono affrontati nella teoria dei giochi. la teoria dei giochi può essere definita come la teoria dei comportamenti strategici in cui ogni attore, nel prendere le proprie decisioni deve tener conto delle azioni degli avversari. Ei= f(Di, D, A) [ E= esiti, Di= Decisione attore, D = vettore decisioni, A= ambiente ] Condizioni necessarie per affrontare un problema decisionale con la teoria dei giochi: 1. L’insieme dei giocatori: si assume la presenza di due sole giocatori per semplificare la descrizione. 2. L’insieme di alternative per ogni attore: ogni attore a un insieme finito e conosciuto di alternative. 3. La funzione degli effetti: per ogni attore la funzione traduce le diverse combinazioni di alternative in un risultato. 4. L’ordinamento di preferenze: attribuire un valore ben preciso alle diverse soluzioni, tenendo a mente le proprie preferenze. 5. L’insieme di informazioni: ogni giocatore ha informazioni sia sul problema decisionale che sull’ambiente. Ogni giocatore quindi cerca di scegliere l’alternativa che mira a massimizzare i propri obiettivi. Ogni attore ha una funzione di utilità ui(x), per cui se la soluzione a è migliore di quella di b allora ui a > uib . La tabella dei pay off è lo strumento per la descrizione sintetica delle funzioni di utilità degli attori considerati. Per prevedere il comportamento degli attori esistono: alternative dominanti, efficienza di parete equilibrio di Nash. Alternativa dominante: u I (D i, Dj ) ≥ ui( D i, Dj ) ∀ D i ≠ D i ∀ D j Un’alternativa si dice dominante se procura al giocatore che la sceglie un pay off maggiore di ogni altra sua alternativa, qualunque sia la mossa scelta dall’avversario. se entrambi i giocatori hanno a disposizione. Un’alternativa dominante, la soluzione del gioco è semplice, è data dalla combinazione delle due alternative dominanti; in realtà è sufficiente che un solo attore abbia un’alternativa dominante. Ottimo paretiano o efficienza nel senso di Pareto: un insieme di alternative s è detto ottimo paretiano se non esiste un’altra combinazione s’ tale per cui: ui (s’) ≥ ui (s) ∀i. In altri termini, è una soluzione ottima secondo Pareto se rispetto ad essa non è possibile trovare un’altra soluzione che migliori il pay off di entrambi gli attori e quindi se l’unico modo per aumentare il pay off di un attore è diminuire quello dell’altro. Una soluzione pareto -efficiente é caratterizzata da non contenere nel semipiano alto destro alcuna soluzione del gioco. la soluzione efficiente, è invece la soluzione collettivamente razionale, che migliora il risultato all’insieme degli attori e sarebbe preferibile in un’ottica di sistema. Razionalità individuale diversa da razionalità collettiva. Soluzione di equilibrio di Nash: una soluzione è di equilibrio se, data questa soluzione, nessun attore preso singolarmente ha convenienza a cambiare la propria decisione.Gli equilibri di Nash sono “punti di accumulazione“, quindi sono utili per individuare l’insieme di alternative che formano configurazioni stabili del gioco e verso cui gli attori tendono a portarsi. Si può dimostrare che esiste sempre una soluzione di equilibrio se vi è la possibilità di adottare strategie miste, ovvero se gli attori possono non solo decidere di attuare una alternativa oppure l’altra, ma di adottarle entrambe combinandole fra loro. Una soluzione di equilibrio è frutto della razionalità individuale, mentre l’efficienza è legata alla razionalità collettiva. razionalità individuale e collettiva non sono direttamente collegate, ciò lo si può vedere nel dilemma del prigioniero. Teorema popolare: innanzitutto il gioco deve poter essere ripetuto, se non esiste questa possibilità conviene sempre adottare un comportamento opportunistico. I decisori sono portati a vedere il gioco non come una decisione unica, ma come l’integrale di una serie di interazioni ripetute in cui il pay off considerato al fine della decisione dato dall’insieme di tutti i play-off ottenuti dalle diverse giocate. Deve esistere la possibilità di sanzionare i comportamenti opportunistici. Il futuro deve avere valore per entrambi gli attori. la ripetizione del gioco deve essere interessante per tutti e due gli attori, quindi il pay off ottenuto con un comportamento opportunistico deve essere minore rispetto alla somma dei play-off dati dalle continue interazioni. Al passaggio da uno stadio all’altro il tempo a disposizione per prendere una decisione e il tempo che effettivamente il impieghiamo per prenderla sono differenti. il tempo disponibile prima del pieno impatto è il tempo che è un decisore ha a disposizione per poter reagire e adattarsi al cambiamento prima che questo si manifesti in modo completo. questo tempo diminuisce man mano che gli stadi della conoscenza progrediscono. La funzione tempo è quindi decrescente si azzera nel settimo stadio. Il tempo necessario per reagire al cambiamento è il tempo in cui il decisore ha bisogno per potersi adattare al cambiamento nell’ambiente, Ansoff lo distingue in due componenti: 1)tempo necessario per lo sviluppo delle competenze (Ts) che quello che occorre per costruire ex novo o acquistare dall’esterno le conoscenze per rispondere al cambiamento, decrescente con il progredire degli stadi della conoscenza. Anche quando si trapiantano competenze già formate tra “comprandole“ dal mercato occorre un certo tempo per adattarla all’organizzazione. 2) tempo necessario per l’implementazione del cambiamento (Ti) cioè quello che occorre per realizzare i cambiamenti tecnologici e organizzativi interni e per rendere operante la risposta che si è selezionata. Maggiore è la complessità e la dimensione del sistema maggiore è l’inerzia e dunque il tempo di adattamento alla realtà. Tempo necessario per reagire al cambiamento: Tn= Ts+ Ti Se aspettassimo il pieno impatto avremmo le informazioni complete, tuttavia la decisione sarebbe tardiva. le conseguenze potrebbero essere: rinunciare al vantaggio competitivo di arrivare prima degli altri, essere spiazzati ed andare incontro al declino e rischiare anche l’estinzione. Il punto L nel quale le due curve si incontrano segna lo stato della conoscenza del quale occorre decidere per arrivare almeno puntuali al pieno impatto. Decidere prima del punto L significa cercare di arrivare per prima con tutti i vantaggi e anche i rischi delle decisioni basate sulle poche informazioni, decidere dopo significa minimizzare i rischi ma arrivare in ritardo rispetto al pieno impatto con tutti i rischi e i danni che ne conseguono. Il modello di Ansoff non è identificato in termini di tempo, ma in termini di livello di conoscenza applicabile alla situazione. Ansoff osserva Che possiamo trovarci di fronte a cambiamenti differenti, in cui il mutamenti sono strutturali e alterano profondamente lo scenario, la turbolenza ambientale è perciò un fattore critico. turbolenza ambientale: mutamento dell’ambiente esterno caratterizzato da qualche forma di dinamismo ambientale. Ansoff qualifica la turbolenza ambientale con tre elementi: velocità, novità e complessità del cambiamento. La velocità di cambiamento è inversamente proporzionale all’intervallo di tempo. La velocità influisce sul tempo disponibile prima del primo impatto. All’aumentare della velocità passiamo da cambiamenti riconoscibili, in cui il tempo disposizione rimane elevato fino agli ultimi stadi della conoscenza vere proprie sorprese, che lasciano poco tempo di reagire. È possibile agire sul tempo di sviluppo del processo decisionale (TD) rendendo più rapido il processo di modellizzazione. È possibile anche agire sul tempo di implementazione (TI) , Le strutture organizzative di tipo organico sono quelle più adatte a ridurre tali tempi. È possibile agire anche sul tempo necessario per misurare gli effetti (TM). Negli ambienti turbolenti si tende a privilegiare la tempestività dei sistemi di controllo rispetto alla completezza e il dettaglio delle informazioni: poche informazioni mirate e tempestive. Novità del cambiamento: può essere ricondotta alla legge che descrive le relazioni tra variabili endogene, ambientali e decisionali. Il grado di novità è connesso anche all’insieme di variabili ambientali che occorre considerare all’interno del modello. Variano poi anche i vincoli. Può cambiare anche l’insieme di variabili decisionali che occorre introdurre per far fronte ai cambiamenti esterni, se diventano rilevanti nuove variabili esogene sarà necessario introdurre nuove strategie nuove leve per far fronte a tali cambiamenti. Tanto più elevato il grado di novità tanto più è necessario utilizzare nuove tecniche non basate sul passato, poiché il legame con quanto già accaduto è sempre più lontano. Il passato potrebbe essere fuorviante. Complessità del cambiamento: ovvero numero di variabili e di relazioni interessate dal cambiamento stesso, all’aumentare delle variabili e delle loro interrelazioni diventa più difficile prevedere l’evoluzione dello scenario. L’aumento della complessità comporta un numero elevato di vincoli. L’effetto congiunto della novità e della complessità ambientale è quello di portare un aumento del tempo necessario per reagire al cambiamento. Al variare della turbolenza ambientale il punto critico L si sposta indietro, ovvero al punto “al più tardi“ e arretra negli stadi della conoscenza. Al crescere della turbolenza ambientale le imprese sono costrette a dover decidere avendo minore conoscenza del cambiamento e quindi in condizioni di maggiore rischio, addirittura incertezza. Diventa più complesso prendere decisioni, diventano più importanti sistemi di previsione e di rilevazione dei segnali deboli provenienti dal mercato e dal settore e anche critico riuscire a valutare gli effetti di un cambiamento con profondo anticipo rispetto al piano impatto.Tra il sesto e il settimo stadio della conoscenza la gestione può avvenire tramite controllo e possiamo permetterci di reagire ai cambiamenti in corso identificando l’alternativa migliore. È importante garantire un monitoraggio attento dell’ambiente, che consenta di adottare sistemi standardizzati e reporting. Lo stile del management tende ad essere reattivo, basato su una reazione al cambiamento già osservato. tra il quinto e il sesto stadio l’utilizzo dei dati storici comincia a diventare inadeguato, per la velocità diventano obsoleti. Correi definire una risposta prima di qualsiasi impatto del cambiamento lo stile di management diventa quindi anticipativo. tra il terzo e il quinto stadio è necessario impostare la propria pianificazione su una strategia, quindi non affidandosi solo alle stime sul futuro ma definendo un opportuno approccio per la gestione lo stile di menage ment è esplorativo.. Tra il primo e il secondo stadio è importante catturare i segnali deboli che annunciano il mutamento, i decisori cercano di cavalcare l’onda e indirizzare piuttosto che subire, lo stile di management è così creativo. LE SCELTE STRATEGICHE DI MAKE OR BUY Quali attività svolgere al proprio interno i quali affidare ad imprese esterne? A lungo le aziende hanno optato per una gestione interna, integrazione verticale: l’impresa presidia tutte le attività necessarie alla realizzazione e alla vendita dei propri prodotti, dall’approvvigionamento delle materie prime alla distribuzione dei prodotti finiti. L’integrazione verticale si rivela di successo in contesti competitivi stabili, caratterizzati da domanda di mercato poco variabili. Nel corso degli anni tale modello si è rivelato non sempre adatto ad affrontare i cambiamenti del contesto competitivo. Un motivo l’instabilità dei mercati, il conseguente aumento della variabilità della domanda, è il comportamento stesso delle imprese, che in un contesto competitivo battagliano per sottrarsi reciprocamente quote di mercato, amplificando l’offerta, tagliando prezzi, offrendo servizi addizionali,promozioni… Inoltre la riduzione del ciclo di vita dei prodotti non lascia l’impresa il tempo di ripagare gli investimenti elevati. Avverso all’integrazione verticale è anche l’aumento della varietà dei prodotti. Difficilmente uno stabilimento fortemente integrato è versatile produttivamente parlando. il contenimento dei costi, manodopera energia e materie prime, oggi è un obiettivo chiave per molte imprese, per questo gran parte di quelle occidentali si è trovata costretta a rivolger è l’attenzione ai paesi con un costo basso della manodopera. Le aziende oggi ricercano flessibilità, affidando volentieri ai fornitori il compito di svolgere alcune attività specifiche. Nascono così: deverticalizzazione, terziarizzazione, outsourcing. Inoltre, la ricerca di costi di produzione sempre più bassi a innescato il fenomeno di delocalizzazione in paesi in cui il costo è inferiore. Questo significa focalizzare gli investimenti sulle proprie competenze chiave, far leva sui fornitori esterni per ottenere maggiore flessibilità e per avere competenze specifiche che sarebbero troppo onerose se sviluppate internamente. Una conseguenza della deverticalizzazione è l’aumento del numero dei rapporti di fornitura, nonché le relazioni con i fornitori che sono fondamentali per il successo dell’azienda. Nelle tendenze generali verso l’outsourcing si nota differenza tra i diversi settori, quindi le scelte di make or buy dipendono da caso a caso. Nei settori maturi a basso tasso di crescita risulta più semplice percorrere la strada della riduzione dei costi di acquisto, tramite interventi di razionalizzazione degli acquisti e miglioramenti nella selezione, gestione e valutazione dei fornitori. Nei mercati con tassi di crescita molto elevati la crescita delle vendite è spesso a due cifre anche perché altrimenti si perde quota di mercato e non si regge la competizione, in questi contesti gli obiettivi di aumento della redditività attraverso aumenti consistenti delle vendite sono non solo realistici ma prioritari. Quando il mercato entra nella fase di maturità e le vendite si stabilizzano, l’attenzione dovrebbe spostarsi sugli acquisti e sul loro effetto leva come fonte primaria di redditività. L’effetto leva degli acquisti aumenta all’aumentare dell’incidenza percentuale degli acquisti e della quota parte di costi variabili; ipotizzando che i costi siano interamente variabili l’aumento del fatturato inciderebbe infatti esclusivamente sul tasso di rotazione del capitale e non sul rosso, annullando l’effetto leva delle vendite. Quanto più è elevato il ricorso all’outsourcing e quanto più la struttura di costo è sbilanciata verso i costi variabili è più forte la leva degli acquisti rispetto a quella delle vendite. Tra mercato oppure integrazione verticale esistono forme intermedie di cooperazione tra aziende: ricorrere al mercato competitivo, instaurare rapporti cooperativi con un numero di fornitori-partner e integrarsi verticalmente, investire in tecnologie impianti capitale umano e strutture organizzative. Mercato cooperativo: implica transazioni spot in un’ottica di breve periodo. I fornitori sono selezionati sulla base di prestazioni a breve e medio termine, si genera in questo modo un mercato intermedio nel quale molti fornitori interagiscono con molti clienti per tenere viva la minaccia di sostituzione e di minimizzare il rischio attraverso la diversificazione delle fonti. le possibilità di ricorrere a questo tipo di mercato permettono all’azienda di avere una propria flessibilità, si può inoltre accedere a nuove tecnologie emergenti. Si garantisce un continuo ed elevato livello di innovazione, in questi casi ricorrere all’outsourcing comporta costi notevolmente minori e spesso prestazioni maggiori rispetto all’integrazione verticale. laddove i costi di transazione risultano essere bassi, l’alternativa dell’outsourcing consente a un’azienda di focalizzarsi sulle proprie core competenze, terziarizzato le altre attività ad attori che dispongono di competenze specifiche e garantiscono prestazioni migliori a costi minori. In una relazione di breve termine è difficile che il fornitore sia disposto a investire per creare una soluzione ad hoc per il cliente, quindi ci si accontenta di ciò che già esiste sul mercato. TERZA PARTE I rapporti esistenti all’interno di una rete di fornitura possono essere classificate in base al tipo di processo dato in outsourcing e alla posizione del fornitore in relazione alla filiera di riferimento. un processo primario coinvolge attività che forniscono valore aggiunto per il cliente finale; un processo di supporto riguarda attività che non impattano direttamente sul valore percepito dal cliente ma che sono necessarie per il funzionamento dell’impresa. Rapporti verticali di filiera: è la relazione che si instaura tra un cliente un fornitore che svolgono attività poste in sequenza. Accordi orizzontali: prevedono una relazione tra due imprese che operano nello stesso stadio della filiera o appartengono a filiere differenti. La gestione delle reti di fornitura è diventato un fattore critico per la competitività delle imprese, sono stati introdotti i termini per presentare le imprese in modo agile leggero alcuni esempi: l’impresa manifatturiera estesa, l’impresa virtuale, keirestu (termine giapponese che indica reti di fornitura piramidali nelle quali i clienti controllano partita il capitale, si ha una relazione rafforzata di partnership). quando la complessità di una rete di fornitura aumenta è necessario organizzare in modo strutturato, così nascono le reti gerarchiche a livelli. I fornitori sono organizzati su più livelli: il primo livello è costituito da imprese che è in grado di consegnare un prodotto già finito al proprio cliente. Questi fornitori poi si avvalgono di fornitori di secondo livello, quelli di secondo di altri fornitori per la produzione del prodotto o del sottosistema del prodotto, e quindi si viene a creare questa catena gerarchica. esistono altre realtà in cui le relazioni di fornitura non sono così verticali, ma si creano rapporti orizzontali. È il caso delle reti di apprendimento o Learning network. In queste reti l’enfasi è sulla condivisione di competenze ed esperienze anche tra imprese che operano a diversi livelli della filiera. GLI ACQUISTI Acquisti diretti: materie prime, semilavorati, attività di produzione demandata ad aziende esterne (acquisti di servizi). Esistono tre tipologie di aziende di servizio: le imprese commerciali, le imprese di servizi product- based, i servizi puri. Le imprese commerciali: acquistano e rivendono prodotti finiti, gli acquisti diretti di beni materiali sono un’attività fondamentale. Imprese di servizi product-based: forniscono un servizio che comprende una parte di prodotti fisici. Servizi puri: non includono alcuna componente materiale, vi sono spesso acquisti diretti di servizi quando è necessario ricorrere a terzi. gli acquisti indiretti: riguardano tutti i beni e servizi che non vengono incorporati nei prodotti/ servizi dell’impresa. sono chiamati materiali ausiliari tutti quei beni di consumo che sono necessari alla produzione, ma non vengono incorporati nei prodotti finiti. L’acronimo MRO (maintaining, repairing and operating materials) indica gli acquisti indiretti di beni di consumo necessari al funzionamento dell’azienda. Una categoria di acquisti indiretti è quella dei beni di investimento, vengono iscritti a bilancio tra le immobilizzazioni, in quanto vengono acquistati non per essere consumati, ma utilizzati a lungo tempo. le varie tipologie di acquisti differiscono per: varietà, il numero di fornitori, i tassi di rotazione, le logiche di programmazione. Viene utilizzato, perciò, la catena del valore di porter, che distingue le attività svolte da un’azienda fra attività primarie e attività di supporto. Le attività primarie richiedono l’acquisto di tutto ciò che verrà in essi incorporato, sono sostanzialmente acquisti diretti. Le attività di supporto, sono tutte le funzioni esercitate all’interno dell’azienda, quindi la gestione delle risorse umane, l’amministrazione, la gestione della tecnologia. Le attività primarie necessitano di una gamma di acquisti ristretta, limitata ai componenti e materiali effettivamente incorporati. Le attività di supporto richiedono una gamma di prodotti e servizi molto più ampia. il numero dei fornitori: gli acquisti diretti sono effettuati presso un numero inferiore di fondi rispetto agli indiretti, in quanto gli acquisti diretti hanno un livello di omogeneità superiore che permette l’accoppiamento della domanda presso un minor numero di fornitori, e dall’altro hanno volumi tali da giustificare sforzi di razionalizzazione delle fonti. Le logiche di programmazione: gli acquisti diretti sono dipendenti dalle attività di previsione della domanda e pianificazione della produzione. In genere gli approvvigionamenti di materiali indiretti di consumo sono effettuati sulla base di previsioni ad hoc, legate al consumo storico. Il processo di acquisto può essere rappresentato come: lo Strategic purchasing, il sourcing e il Supply. Startegic purchasing: È l’insieme di attività di approvvigionamento con forte valenza strategica e costituisce il tratto di unione con la strategia aziendale nel suo complesso. L’azienda che compra deve decidere la struttura della propria rete di fornitura, quanti fornitori attivare per ciascuna categoria di acquisto e quale tipo di rapporti instaurare con ciascun fornitore. esistono quattro approcci: il multiple sourcing, il single sourcing, il dual sourcing e il Parallel sourcing. Il multiple sourcing: il cliente ricorre continuamente al mercato competitivo instaurando relazioni spot di breve termine con i propri fornitori al fine di non essere legato a un singolo fornitore.. Questo approccio è orientato a facilitare l’accesso all’innovazione grazie alla possibilità di affidarsi una volta per volta a un fornitore differente, quello più innovativo. Inoltre, le strategie limitano anche le possibilità di perseguire economie di scala, in quanto il fabbisogno di un determinato componente viene frequentemente frazionato su più fornitori. Single sourcing: in questo caso il cliente si affida a un unico fornitore per l’approvvigionamento di un determinato bene o servizio. La scelta può essere obbligata anche quando, pur in assenza di posizioni di monopolio, il cliente chiede al fornitore di investire in ricerca o tecnologia e il fornitore pretende in cambio l’esclusiva. Relazioni di questo tipo sono generalmente di medio-lungo termine. Esiste però un forte pericolo di monopolio laterale per il cliente. Tra i due estremi esistono approcci più intermedi, il duello sourcing : è una variante del single sourcing, il cliente mantiene un fornitore principale per la maggior parte del fabbisogno e uno di riserva per la parte rimanente. Parallel sourcing: é costituito da una serie di relazioni esclusive di single sourcing, a ciascuna delle quali è dedicato a soddisfare il fabbisogno di un componente per una determinata famiglia di prodotti finiti, la differenza rispetto al multiple sourcing è che ogni fornitore è dedicato a una famiglia specifica di prodotti finiti. esso si configura come un approccio manageriale innovativo volta a migliorare il Trade-off tra efficacia e rischio nei rapporti di fornitura, infatti riunisce i vantaggi del multiple e del single. inoltre, anche il vantaggio di mantenere viva una certa competizione, tra i fornitori: ciascuno di essi sa che se non si comporta in modo opportunistico e mantiene livelli qualitativi alti potrà essere rimpiazzato con un altro rapporto. Marketing di acquisto: consiste nell’esplorazione del mercato di fornitura, al fine di mantenersi aggiornati sullo stato dell’arte della tecnologia, di conoscere l’offerta di aziende che non sono attuali fornitori ma che potrebbero diventarlo. Inoltre, include anche il monitoraggio della concorrenza. I fornitori potenziali vengono quindi valutati sulla base di una varietà di parametri. Il marketing di acquisto include anche la qualifica dei fornitori che consiste in un approfondimento di analisi tramite visite ispettive e valutazione di campioni di prodotti. Alle volte esiste un avere propria certificazione di idoneità. La gestione dei fornitori consiste nella scelta strategica di quale rapporto instaurare con ciascun fornitore, i rapporti di partnership richiedono un’attenzione particolare e la loro costruzione richiede quindi tempo ed energie manageriali. È necessario decidere se delegare ad un fornitore la gestione di un insieme complesso di componenti e i relativi Sab fornitori, il cosiddetto bundled outsourcing. La valutazione strategica dei fornitori consiste nel periodico controllo del comportamento di ciascuno di essi e dei risultati della relazione instaurata. Sourcing: consiste nella scelta di uno specifico fornitore per soddisfare il fabbisogno di acquisto. La definizione delle specifiche consiste nella traduzione del fabbisogno di acquisto espresso nel cosiddetto “cliente interno“ in specifiche il più possibile dettagliate che riguardano le caratteristiche tecniche dell’oggetto di acquisto. Quando nessuno dei fornitori qualificati è in grado di fornire quanto richiesto è necessario attivare le operazioni di scouting, operando quindi nuove attività tipiche del marketing di acquisto. una volta individuati i possibili fornitori, viene messa una richiesta di offerta, che consiste nel comunicare le specifiche preventivamente definite in modo da formulare un’offerta di fornitura, tale offerta deve includere le caratteristiche tecniche che il fornitore è in grado di fornire. Una volta raccolte le offerte si passa alle negoziazioni e selezione. La stipula del contratto costituisce l’atto finale del processo. Si passa quindi al Supply: È l’acquisto vero e proprio, i contratti sono chiusi cioè validi per un unico acquisto. L’attività di Supply viene integrata ogni volta che è necessario Ri approvvigionarsi del bene in questione, contratti di questo tipo sono chiamati contratti aperti o contratti quadro. Il sotto processo di Supply è innescato dall’emissione dell’ordine di acquisto, che consiste nella definizione precisa delle quantità e dei tempi di consegna richiesta al fornitore. La funzione acquisti, una volta emesso l’ordine procede all’ exepditing, cioè chiedere al fornitore lo stato di avanzamento della fornitura e la conferma della data. La ricezione e il controllo consistono nelle operazioni di scarico merce dei veicoli, registrazione e trasporto in magazzino. una volta consegnato quanto richiesto, il fornitore emette la relativa fattura e si attiva la procedura di pagamento. Infine, la valutazione operativa del fornitore, cioè si registra il rispetto dei tempi e i modi di consegna pattuiti e si raccolgono le informazioni sulla qualità. L’organizzazione sugli acquisti: il processo di acquisto non è mai gestito interamente dalla funzione in completa autonomia, ma ad alcune attività in particolare da quella strategica. quali criteri di raggruppamento si utilizzano all’interno della funzione acquisti? Le imprese con più sedi operative devono gestire un livello di centralizzazione degli acquisti. Quindi, la scelta fra gestire gli acquisti delle varie sedi locali direttamente dalla sede centrale oppure delegare. si osserva un’evoluzione storica del ruolo della funzione acquisti, coerentemente con la progressiva crescita della rilevanza degli approvvigionamenti conseguente alla deverticalizzazione delle aziende, esistono quindi quattro stadi di sviluppo: il primo stadio è quello dell’azienda imprenditoriale, in cui tutte le decisioni di acquisto sono accentrate nella proprietà e non esistono unità organizzativa dedicata a quest’attività. Il secondo stadio è quello degli acquisti frammentati, e tipico della realtà in cui gli acquisti non hanno una particolare rilevanza e sono considerati come un’attività puramente operativa di supporto. Il terzo stadio è la creazione di un ufficio acquisti, vero e proprio che centralizzi le procedure di acquisto. Si fa riferimento all’ampliamento delle responsabilità, includendo anche il sourcing oltre al Supply, si riflette dunque una posizione più in alto nell’organigramma aziendale. infine, la direzione acquisti vera e propria, esiste una stretta relazione fra gli acquisti e le altre primarie direzioni aziendali, alla luce della loro interdipendenza strategica. Il ruolo del buyer, in questo caso diventa quello di vero e proprio processo owner, in quanto deve gestire rapporti di partnership che richiedono il coinvolgimento di molte funzioni aziendali. Criteri di raggruppamento: gli input corrispondono alle categorie merceologiche. Un caso estremo di organizzazione orientata agli input è quello della key account buying, in cui viene dedicato un buyer a un singolo fornitore molto importante. Gli output corrispondono a prodotti finiti o servizi erogati dall’azienda. molte aziende danno la propria funzione acquisti una struttura ibrida, ovvero adottano in parte il criterio degli input e in parte quello degli output. un altro esempio di struttura orientata agli output è quella di un’azienda che opera in sedi geograficamente disperse, consiste nella replicazione delle attività di acquisto per ogni sede o paese in cui si opera. Tuttavia le imprese multinazionali possono scegliere tra un’ampia gamma di soluzioni organizzative per gestire gli acquisti soprattutto in termini di livello di centralizzazione. Le alternative sono due: centralizzare gli acquisti attraverso un’unica struttura che soddisfa i suoi bisogni di tutte le sedi oppure decentralizzarli duplicando le strutture di acquisto. Non è corretto parlare di centralizzazione in modo generico, in quanto lo strategic purchasing è il sourcing si prestano ad essere centralizzate (decisioni strategiche), mentre il Supply è difficile da centralizzare (decisione operativa). Il concetto di centralizzazione fa riferimento alle decisioni strategiche. Si individuano variabili rilevanti che guidano nelle scelte fra la generalizzazione e la localizzazione: l’esistenza di comunanza, la rilevanza degli acquisti, l’importanza del potere contrattuale, la necessità di competenze specialistiche, l’esigenza di integrare le attività delle sedi locali con quelle dei fornitori, la localizzazione necessaria per evidenziare le sedi geograficamente disperse, il mercato di fornitura poiché influenza la scelta in particolare se è locale È preferibile una struttura decentralizzata se è globale è preferibile centralizzata, l’esistenza di vincoli sulla base di fornitura. La matrice di Kraljic: L’importanza strategica di un bene l’acquisto misura il suo contributo alle prestazioni competitive dell’azienda distinguendo tra acquisti strategici e acquisti che non forniscono vantaggi competitivi. L’importanza strategica dipende da alcuni fattori: l’incidenza di costo, tanto maggiore è tanto maggiore è l’influenza del singolo acquisto, un secondo fattore il contributo alla qualità, un terzo fattore consiste nel contributo ai differenziali competitivi. La seconda dimensione di classificazione è la difficoltà del mercato di fornitura, anche per quei beni per i quali esiste un mercato competitivo possono esistere delle difficoltà di approvvigionamento. Certamente è rilevante la concentrazione del mercato di fornitura: se esistono pochi fornitori questi avranno un elevato potere contrattuale che permetterà loro di influenzare i prezzi in termini di contratto. Inoltre i costi logistici, alcuni beni voluminosi e pesanti diventano antieconomici se vengono trasportati troppo lontani, restringendo quindi fortemente il numero di fornitori effettivamente disponibile. Infine un terzo fattore è la capacità produttiva complessiva dei fornitori: se il mercato di fornitura opera a elevati livelli di saturazione della capacità produttiva da un lato il potere contrattuale dei fornitori aumenta in quanto non hanno problemi di domanda dall’altro aumenta anche il rischio di ritardi nelle consegne in caso di picchi di domanda o imprevisti. Commento su ogni quadrante della matrice: acquisti non critici, si tratta di beni e bassa importanza strategica e bassa difficoltà di mercato, che possono essere approvvigionati efficacemente sul mercato competitivo. Acquisti leva, si indicano i beni a elevata importanza strategica e bassa difficoltà di mercato, il nome è dovuto alla possibilità per l’impresa di sfruttare il proprio potere contrattuale per ottenere pedaggi significativi; l’importanza di questi beni fa sì che l’obiettivo degli acquisti sia da un lato il garantire la qualità e la stabilità della fornitura dall’altro di cercare di contenere i costi. Le negoziazioni collaborative mirano a massimizzare i benefici di entrambe le parti creando un valore aggiunto che viene spartito fra il cliente il fornitore (logica Win-Win). È importante la spartizione, in un contesto di collaborazione vi sarà dunque una negoziazione: ruolo fondamentale degli acquisti nel momento in cui si avvicina una partnership. L’aspetto importante è che le parti ne ricavi in una sensazione di equità e di correttezza commisurata alla forza in un campo. cautele per i rischi: contratti quadro, monitoraggio delle prestazioni, investimenti relazionali, condivisione di conoscenza, trasparenza e il riconoscimento dei costi, reputazione. Un rapporto di collaborazione fra cliente e fornitore può riguardare due ambiti fondamentalmente distinti: il primo è “sviluppo dei nuovi prodotti“. Questo tipo di partnership a una collaborazione tecnologica, in quanto le tue aziende instaurano un rapporto di stretta interazione riguarda le attività di sviluppo che richiedono il contributo delle conoscenze tecnologiche di entrambi gli attori. Il secondo ambito può riguardare il ciclo logistico- produttivo, non include solo attività di trasformazione trasporto ma anche attività di scambio informativo, decisionali transazioni finanziarie. una partnership in questoambito viene definita collaborazione operativa, in quanto comporta la realizzazione coordinata e congiunta di attività operative legate al ciclo logistico produttivo. La collaborazione tecnologica, codesign, consiste nella collaborazione fra cliente e fornitore nelle attività di progettazione ed ingegnerizzazione di nuovi prodotti. Il co design si colloca in una posizione intermedia fra altre due forme di sviluppo dell’innovazione: l’acquisto a catalogo e la Subfornitura. Nell’acquisto a catalogo e il fornitore che progetta, si è già progettato in precedenza, e quindi il cliente acquista attingendo appunto da un catalogo, il cliente non interviene nella fase di progettazione. Nella Sab fornitura invece si delega un fornitore per la realizzazione di un bene completamente progettato dal cliente. Il codesign prevede la partecipazione di entrambi le parti al processo di progettazione. Gli obiettivi sono: la riduzione dei tempi e dei costi di sviluppo nel miglioramento della qualità e dell’innovatività dei prodotti. Per realizzare il codesign è necessario che vengano soddisfatti alcuni prerequisiti: il cliente il fornitore devono possedere entrambi adeguate competenze progettuali ed essere in grado di interagire fra loro. perlopiù si parla di competenze complementari, affinché si ottengono risultati che non sarebbero possibili con una progettazione autonoma; è importante la fiducia reciproca. Codesign di tipo function: clienti e fornitori collaborano per progettare ex novo un componente, del quale vengono ridefinite le prestazioni le funzionalità il contenuto tecnologico. Codesign di tipo process: oggetto della progettazione congiunta il solo processo produttivo, che deve essere migliorato per ridurre i costi di realizzazione del prodotto finale. Molte volte non si vuole creare ex novo, ma si vogliono sfruttare al meglio gli investimenti fatti nel passato. il processo decisionale si definisce separato, in quanto vi è una netta separazione dei ruoli: il cliente definisce gli obiettivi della collaborazione, il fornitore specifico eventuali vincoli e propone le alternative progettuali, il cliente infine valuta le alternative. Il processo decisionale condiviso se il rapporto è definito di joint development. Tutte le fasi del processo decisionale infatti sono svolte congiuntamente l’attività di sviluppo effettivamente svolta da entrambi i partner contemporaneamente tramite frequenti contatti. Quest’ultimo rapporto è più generoso del precedente in termini di tempo e di costi, ma permette di ottenere risultati desiderati laddove il rapporto di tipo deliberi non riuscirebbe, evitando così costi di un fallimento del progetto. Incrociando le due dimensioni di classificazione si ottengono quattro possibili combinazioni: function delivery, process delivery, joint process development e joint function development. Il design deve anche venire in uno stadio più anticipato del processo di sviluppo di nuovi prodotti; in particolare è necessario che il cliente coinvolga il fornitore ben prima di aver completato la progettazione del prodotto. Si parla di early supplier involvement : lo scopo di questo approccio è duplice da un lato attivando subito il fornitore si cerca di ridurre il tempo complessivo di sviluppo dall’altro si vogliono sfruttare al meglio le competenze del partner per massimizzare l’innovatività. Gli strumenti per favorire l’interazione fra clienti e fornitori in fase progettuale: team working, colocation, strumenti informatici, interazioni a distanza. La collaborazione operativa consiste nel coordinamento fra cliente e fornitore nell’ambito delle attività di previsione della domanda, determinazione dei fabbisogni, emissione degli ordini eccetera. In una Relazione continuativa il ciclo di queste operazioni si ripete numerose volte ed emerge la necessità di effettuarle nel modo più coordinato ed economico. Non è indispensabile che vi sia o vi sia stata collaborazione tecnologica per passare a quella operativa: molte aziende pur continuando a progettare prodotti adottano forme avanzate di coordinamento del ciclo logistico-produttivo. Collaborazione operativa quindi si può dire che si punta a migliorare tutte le prestazioni operative: i costi,tempi, la qualità e la flessibilità. Ha senso parlare di collaborazione quando si tratta di un rapporto prolungato nel tempo, non di certo una transazione spot. Nella collaborazione tecnologica ogni forma di relazione a un costo di realizzazione quindi non è giustificata per tutti i rapporti di fornitura. Ottenere visibilità sul partner può essere considerato il primo livello della collaborazione operativa. Si forniscono al partner tutte le informazioni che possono aiutarlo a pianificare le attività nel modo più efficiente, un ulteriore ambito di condivisione delle informazioni riguarda le prestazioni del fornitore. La comunicazione dal fornitore al cliente permette di conoscere subito eventuali problemi e cercare di cautelarsi. Inoltre, la collaborazione operativa si può spingere anche oltre alla visibilità per giungere a un livello superiore, integrazione. Integrare i sistemi logistico produttivi di cliente fornitore significa occuparli fisicamente, con modalità che vanno da alterare il modo di operare di ciascuna parte con un costo è un impatto decisamente più elevato rispetto alla sola condivisione di informazioni. Esistono diverse informazioni che vengono scambiate fra cliente e fornitore, ciò che le differenzia è il contenuto. Un secondo problema è la scelta del mezzo di comunicazione. Esistono: strumenti tradizionali, sistemi proprietari, EDI, EDI su Internet, extraNet. principali tecniche utilizzate per l’integrazione: vendor management inventory, consignment Stock, continuous replenishment, collaborative planning, colocation, just in time , Kanban . SUPPPLY CHAIN MANAGEMENT Il successo di un’impresa deriva anche dall’insieme di relazioni che si sta aura un monte con i diversi livelli di forniture a valle con i propri clienti. Ciò richiede lacapacità di visione di governo dell’intera filiera produttiva (supply chain management o supply network management). Le tendenze verso l’outsourcing non fanno altro che accentuare la rilevanza di questi approcci. Si definisce la distribuzione fisica, intesa come insieme di attività svolte al fine di alimentare il processo produttivo di un’impresa con le materie prime di distribuire il prodotto finito ai propri clienti. negli anni 80 emerge il termine stop line c’è in management come integrazione di flussi fisici e informativi oltre i confini della singola impresa, coinvolgendo quindi la catena dei fornitori e dei clienti: dai fornitori di materie prime fino ai consumatori finali. Il Supply chain management è un approccio orientato ai processi per la gestione dei flussi fisici, informativi ed economico finanziari lungo l’intera rete di fornitura e di distribuzione, dei fornitori iniziali fino ai clienti. Il primo aspetto alla base della Supply chain management e la gestione dei processi, al di fuori dei confini aziendali; il coordinamento di attività che coinvolgono diverse imprese, questi processi includono la gestione delle relazioni con i clienti finali e le attività di marketing, ricerca e sviluppo e di nuovi prodotti da lanciare sul mercato, la gestione la previsione della domanda eccetera. il secondo è la gestione dei flussi fisici, informativi ed economico finanziari; coordinare la produzione e il trasporto di materie prime, componenti e prodotti finiti lungo l’intera filiera produttiva. L’ultimo concetto è la gestione della rete di fornitura e di distribuzione, un insieme di imprese che operano in cascata, dalle fonti iniziali di materie prime fino ai consumatori finali. La Supply in Chen osservata non solo dall’esterno, bensì dal punto di vista di una singola impresa, consiste di due reti distinte una a monte (upstream network) formata dai fornitori diretti, una valle (downstream network) formata dai clienti diretti. Ciascuna rete presenta un determinato numero di livelli (dimensione verticale) e ogni livello include un numero di imprese clienti o fornitori (dimensione orizzontale). Il costo logistico totale sostenuto da una rete di imprese il livello di servizio fornito dal cliente finale sono le due dimensioni principali di performance. tra costo e servizio esiste la classica relazione di Trade-off: le azioni finalizzate a contenere il costo logistico totale rischiano di penalizzare il livello di servizio e viceversa. Si possono ridurre i costi aumentando i livelli di servizi, come? Attraverso l’innovazione. Il costo logistico totale costituito da un insieme di costi elementari che è necessario sostenere lungo la Supply chain per consegnare i prodotti al cliente finale. Livello di servizio significato esempio tempi di consegna, puntualità, flessibilità eccetera. Il basso livello di servizio gravi conseguenze sulla Supply chain, il cliente ed il fornitore dovrebbero cercare di accordarsi per mantenere elevato il livello di servizio nell’interesse di entrambi. Esistono tre approcci differenti per la gestione di questo Trade-off: approccio di marketing, approccio di budget, approccio analitico. Supply chain efficiente: questa strategia adatta quando la prevedibilità della domanda e la stabilità dei processi produttivi e logistici sono elevati. si ha una centralizzazione della pianificazione della gestione delle scorte e lungo la filiera tramite tecniche di ottimizzazione che riducono i costi operativi. Al fine di coordinare un sistema complesso di ridurre i lead time, fondamentale é l’ automazione degli scambi informativi tra fornitori e clienti lungo la filiera. Supply chain reattiva: quando la domanda di mercato è fortemente variabile o comunque imprevedibile. Da una parte è difficile pianificare i fabbisogni dei prodotti finiti, dall’altra i processi e le tecnologie consentono di sviluppare una gestione flessibile. Diventa importante la riduzione dei lead time di approvvigionamento, per rispondere alle esigenze del cliente. Supply in Chen orientata alla gestione dei rischi: la domanda di mercato è piuttosto prevedibile, ma le imprese devono cautelarsi da eventuali problemi nei processi operativi di fornitura. L’attenzione e per la gestione dei rischi, i quali possono essere strutturali, oppure anomali, un’impresa potrebbe accumulare scorte di sicurezza oppure potrebbe selezionare alcuni fornitori di riversa da attivare nel caso in cui quelli abituali non fossero in grado di soddisfare le richieste, questa strategia beneficia largamente la potenza dei sistemi informativi e di comunicazione. I diversi attori possono così coordinarci velocemente per affrontare eventuali crisi. Supply in Chen agile: le filiere più complesse da gestire sono quelle in cui la domanda è fortemente variabile e/o imprevedibile e il processo di produzione è fortemente instabile, è necessario essere in grado di combinare approcci reattivi approcci di gestione del rischio anche a costo di modificare continuamente la propria Supply chain per garantire le richieste di mercato ed affrontare eventualmente problemi di approvvigionamento. in molte aziende convivono diverse strategie di Supply chain ad esempio per prodotti diversi. Per ottimizzare il Trade off tra costo e servizio lungo la Supply chain è necessario valutare, da un punto di vista operativo, quando eseguire le diverse attività che consentono di consegnare il prodotto nelle mani del cliente finale, l’obiettivo è ritardare il più possibile lo svolgimento delle attività che conferiscono personalizzazione al progetto in modo da seguirle solo quando il cliente richiede veramente un prodotto con certi attributi personalizzati. Si parla quindi di posticipazione o anche di Mas-carta mise Shawn per definire la capacità di operare sul larga scala ma offrendo al cliente un prodotto su misura. Le logiche Push e Pull fanno parte dei metodi di gestione dei processi aziendali. Logica Push: avviamento dell’attività in un determinato stadio della filiera in anticipo, sulla base di previsioni, vengono pianificate tutte le attività che dovranno essere svolte al fine di soddisfare il fabbisogno che si manifesterà. Una logica di tipo pulla implica l’avviamento dell’attività in un determinato stadio della filiera solo nel momento in cui lo stadio a valle manifesta una richiesta.
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