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Riassunto del libro Formazione. I metodi, - Quaglino., Appunti di Metodologia Della Ricerca Sociale Quantitativa

Riassunto dei capitoli, Il caso, Cinema, Outdoor education, Narrazione del sé, Role play, Storytelling.

Tipologia: Appunti

2022/2023

Caricato il 30/06/2024

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alessia-varini-1 🇮🇹

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Scarica Riassunto del libro Formazione. I metodi, - Quaglino. e più Appunti in PDF di Metodologia Della Ricerca Sociale Quantitativa solo su Docsity! METODOLOGIA DELLE ATTIVITÀ FORMATIVE SPECIALI ANNUALE, 10 CFU PROF. 1° SEMESTRE STEFANO PASTA SCRITTURA DI SÉ/NARRAZZIONE DEL SÉ/AUTOBIOGRAFIA (Capitolo di riferimento: autobiografia, Demetrio) Duccio Demetrio è tra i più importanti autori che dagli anni ’90 in poi ha riflettuto sul metodo della autobiografia o narrazione del sé. In area francofona si parla di “storie di vita”, gli inglesi usano il termine di “auto-biografia”, i nord europei lo definiscono “approccio biografico e narrativo”. In Italia, invece, si parla di metodo autobiografico, appunto, a seguito dei lavori di Duccio Demetrio. La ‘scrittura di sé è una pratica narrativa, autobiografia significa raccontare la propria storia di vita, questa parola ha un’origine antica, greca ‘autos’ significa ‘sé stessi’, mentre ‘bios’ significa ‘vita’, ‘grafen’ significa ‘scrivere’. C’è autobiografia quando raccontiamo di noi, della nostra vita, quando i ricordi che abbiamo premono dentro di noi per diventare un libro, un testo, uno scritto; quindi, tutto ciò che è autobiografico rinvia alla nostra persona ed essa è soltanto individuale, non esistono delle autobiografie di gruppo. Le autobiografie possono nascere dal nostro desiderio di parlare di noi ma possono anche essere aiutate da chi ci può consigliare rispetto a quanto di importante possiamo scrivere di noi, della nostra storia. Quindi, c’è un’autobiografia spontanea ma ci sono anche autobiografie che svolgono un’importante funzione di carattere educativo o terapeutico e, in questo caso ci sono delle persone che ti aiutano a scrivere la tua storia. Il professor Demetrio sottolinea come da un lato l’autobiografia nasce da un’abitudine alla narrazione del sé che è presente nelle nostre vite, non per forza in maniera educativa e formativa, ma nasce da un’attenzione alla scrittura che l’uomo e la donna portano con sé anche a livello di tradizione culturale, per esempio la letteratura è un’qualcosa che fa parte della nostra storia. In talune situazioni questo può diventare anche un’occasione di cura o di aiuto al superamento di un trauma, un momento di fatica. La scrittura è una forma di mediazione, quindi io devo ripensare (esercizio di memoria) e narrare/mettere per iscritto qualcosa che ho vissuto in prima persona (esercizio di mediazione), quindi, l’esperienza personale è centrale, imparo a riosservarmi. È un’qualcosa che si fa non solo in termini curativi ma anche formativi, di sviluppo professionale. La narrazione autobiografica consente al soggetto adulto di ripercorrere il proprio vissuto, narrandosi in prima persona ed è un atto che prevede una grande assunzione di responsabilità da parte di chi narra che, attraverso il mezzo della scrittura organizza e struttura la narrazione, riferendosi ad eventi di vita personale. 1 In sostanza, si tratta di una storia raccontata a sé stessi e da sé stessi, pensando che però possa interessare anche altri, l’autore si mette in scena per conoscersi e per farsi conoscere meglio dagli altri. La storia personale diventa, grazie alla narrazione, un percorso di riflessione e di apprendimento nello stesso tempo che, consente al narratore di ragionare su alcuni eventi della propria vita. Nel caso della narrazione del sé, il formatore dovrebbe condividere che questo poi possa essere utilizzato anche da altri (es. un formatore narra come ha gestito un momento difficile e questo può essere utilizzato da altri, allargando il punto di vista). L’autobiografia ha diversi scopi, noi scriviamo per lasciare una traccia di noi, ricordi che possono essere trasmessi ad altri; scriviamo per provare benessere attraverso la scrittura che ci aiuta a superare momenti di disagio o sofferenza e, l’autobiografia rimette in moro il nostro pensiero, la nostra voglia di guardarci intorno e di occuparsi anche delle storie altrui. (libro) La scrittura di sé si tratta di un metodo affidato esclusivamente alla combinazione mente-mano-dita di carattere maieutico, il quale si andrà delineando nel progredire di un lavoro che necessita di un esercizio rigoroso di competenze cognitive peculiari, come quelle riassuntive, introspettive, simboliche, proiettive… La dinamica mentale intrapresa ci vedrà agire, al contempo, come soggetti e oggetti, come narratori e interpreti, come giudicanti e giudicati; ci consentirà di riepilogare non soltanto quanto fatto nella e della esistenza, poiché scrivere di sé significa interrogarsi porre domande, oltre che alla nostra vita, innanzitutto al più generale essersi trovati a esistere. È inseguire a ritroso il senso progresso riuscendo a intravederlo nei giorni a venire, senza rinunciare a stabilire un nesso tra ciò che siamo stati e ciò che potremmo ancora individuare grazie a questa peculiare modalità formatrice. Non vi è dunque formazione alla scrittura di sé che non si annunci come una cifra trasformativa tra le più importanti e impegnative. Che significato, ora, attribuire alla parola “sé”? Chi vi si rivolge come a un destinatario è già quel “sé agente”, scrive perché desidera guardarsi proiettato su una superficie cartacea o di altra natura, come a un altro; ne consegue che il sé al genitivo, che parrebbe il ricevente dei messaggi, ne costituisce anche l'autore. Probabilmente sarà questa presa di distanza tra il proprio corpo vivente e la sua immagine a determinare l'attrazione fatale per la scrittura, ogni autore si stacca da sé per diventare l'alter ego nel testo che va redigendo. Secondo Bruner, la nozione di sé esprime il “prodotto empirico del nostro racconto, non un'essenza da svelare”, raccontando e scrivendo di noi creiamo in corso d'opera la nostra identità non univoca bensì composita, molteplice e mutevole. Il sé si rivela un vissuto narrativo in continua mutazione. Secondo Foucault (antropologo), la scrittura che muove da noi stessi concerne il bisogno di soggettivazione di contro a ogni tentativo di omologazione e soppressione delle differenze operata dai poteri istituzionali. 2 piano d'appoggio confortevole per scrivere, e poi cruciale che ogni partecipante possa vedere gli altri ed essere visto, ogni lettura dei propri iscritti deve essere ascoltata, il tempo a disposizione non dovrà prevedere accelerazioni e fretta. 2) Il gruppo : il gruppo costituisce un contenitore simbolico e transizionale ideale, è un fattore fondamentale per la buona riuscita del tragitto formativo, si scrive affiancati si legge con e per gli altri, ci si confronta e si ascoltano storie. 3) Le sollecitazioni : il compito del formatore consisterà nell'offrire, a ciascun membro del gruppo, quelle sollecitazioni memorialistiche che possono condurlo a ritrovare la propria mappa memoriale. Si potrà iniziare suggerendo rievocazioni legate al tempo dell'infanzia per poi procedere in ordine cronologico, dalla prima età a quelle successive. Non va mai dimenticato che l'autobiografia e ricostruzione di quanto il narratore ritiene di aver realmente vissuto. Gli scriventi, inoltre, saranno invitati a: - Costruire la loro intera storia, - stabilire quale genere autobiografico intendono realizzare, - restituire in un insieme il più possibile interconnesso la narrazione della propria storia, - a curare i particolari al fine di arricchire il ritmo della resa narrativa, - a connettersi a sfondi di carattere storico-sociale, al fine di collocare la propria storia dentro contesti non solo ambientali, familiari o comunitari ma più ampi. EFFETTI DELLA NARRAZIONE AUTOBIOGRAFICA IN FORMAZIONE ED EDUCAZIONE La narrazione autobiografica può produrre tre effetti: 1. Effetto di etero-stima : cioè, effetto di stima dagli altri, è presente nel momento relazionale dell’incontro tra chi è protagonista di una vicenda e qualcuno che si mostri interessato ad essa: il narratore si sente riconosciuto e confermato dalla disponibilità di uno sguardo, da parole incoraggianti, dal tempo che gli viene offerto, dalle domande che gli vengono poste ecc… 2. Effetto di auto-stima : si ha quando il processo narrativo dimostra, a chi parla o scrive, di saper narrare e che agli altri vengano offerte occasioni per esprimersi meglio: il narratore viene aiutato ad esprimere la propria soggettività attraverso la riscoperta della propria storia di vita, nel piacere di sentirsi autorizzati a ritrovare la dignità dell’uso della prima persona. 3. Effetto di eso-stima : si ha al termine degli incontri del momento formativo, quando al narratore vengono riproposte le sue storie, affinché 5 possa precisare ed arricchire quanto detto attraverso altri linguaggi: l'autografo si riconosce attraverso quanto realizza e produce. Il narratore rivede il percorso, perché possa magari aggiungere qualcosa, degli elementi in più e a quel punto l’autobiografo si riconosce attraverso quanto realizza e produce. Nella narrazione autobiografica non conta la verità assoluta dei fatti e delle situazioni di vita narrate ma ciò che conta è il significato attribuito, il significato che questi rivestono per la persona. Non tutto si ricorda né si può ricordare, ma ciò che interessa nella narrazione del sé sono i criteri della selezione che spingono il soggetto a ricordare, a trasfigurare o anche a dimenticare. (forma di apprendimento: esperienza, ripetizione e per certi versi, imitazione; forma comunicativa: esplorazione e relazione). ATTIVARE L’AULA Le metodologie formative possono essere divise tra metodi attivi e passivi. Tra i metodi attivi c’è l’attivazione dell’aula, i metodi attivi hanno uno spostamento del formatore dall’essere docente a diventare conduttore. Il conduttore non è direttivo sui contenuti ma è direttivo sulle regole (es. gioco di ruolo), coordina i vari interventi e più che lavorare di trasmissione della conoscenza stimola ponendo delle domande, fa riflettere, tiene acceso il dibattito, si riflette si giunge insieme alla conclusione. Un pensiero attivante ha più impatto sull’apprendimento ma il rischio, rischio delle metodologie attive, è quello del tempo di cui si dispone. La parte più importante del conduttore è la parte finale del metodo attivo, cioè quello di fare sintesi degli elementi emersi, il rischio del debrifing (questa parte finale) è che per ragioni di tempo non venga fatta. Due metodi per attivare l’aula: analisi di caso (con il caso particolare dell’‘autocaso’) e role playing (con il caso particolare del ‘non-active role playing’). L’ANALISI DI CASO (libro Mandel) L’analisi di caso è una metodologia attiva e prevede un’esposizione in forma scritta o orale di un fatto reale o verosimile che diventi uno stimolo per un esercizio di analisi delle cause, degli elementi salienti e delle decisioni da prendere. L'approccio è non direttivo, con il docente che presenta al caso problematico agli studenti, dà loro un tempo adeguato per studiarlo e crea poi, un ambiente favorevole alla discussione di gruppo. Il caso presenta un'esperienza precisa ho un episodio problematico e punta a renderlo generalizzabile, richiedendo ai partecipanti, per risolverlo, un processo di proiezione di sé nella situazione e di conseguente interpretazione. 6 Nello stesso tempo richiede ad ognuno di “essere sé stesso”, cioè di portare il proprio bagaglio di conoscenze e il proprio ruolo organizzativo come elementi per arricchire la discussione e fornire chiavi di lettura diverse. Negli anni i casi sono stati distinti in alcune tipologie a seconda dell'obiettivo che perseguono: - CASI DIAGNOSTICI: presentano una situazione complessa, con molte variabili e informazioni e richiedono di formulare una diagnosi della situazione, selezionando e interpretando i dati forniti. Questo tipo di casi punta a sviluppare la capacità di analisi critica. - CASI DECISIONALI: descrivono una situazione critica iniziale, per la quale i partecipanti devono trovare la soluzione, individuando le modalità più adeguate e prevedendo i rischi. Questo tipo di casi punta a migliorare la capacità di decisione dei partecipanti. - CASI RELAZIONALI: riproducono situazioni di gestione delle relazioni che non prevedono una soluzione unica e corretta, prescindendo così dalla logica del problem solving. Questo tipo di casi punta a sviluppare la capacità di affrontare problemi complessi ed aumentare la consapevolezza, tra i partecipanti, della pluralità di strade possibili per affrontare criticità relazionali da analizzare in modo descrittivo (prima che valutativo) per formulare le modalità di azione con uno ritiene più realizzabili. Tipi di casi così diversi fanno intravedere un utilizzo diverso di questo metodo non solo a seconda degli obiettivi formativi ma anche a seconda dei temi. La tipologia di casi è soprattutto riconducibile agli obiettivi di apprendimento e, una prima ipotesi di obiettivi riguarda lo sviluppo di capacità intellettuali relative alla soluzione di problemi. Si tratta di problemi che si differenziano in due grandi categorie: - Problemi che si basano su informazioni e dati per lo più definite o facilmente definibili e che per essere risolti richiedono ragionamenti complessi e procedure analitiche che conducono a soluzioni a volte pre-codificate. - Problemi che richiedono di adottare, per essere risolti, schemi di ragionamento più liberi o non codificati, relativi non tanto a procedure standard ma ad approcci diversi che possono condurre a una gamma di soluzioni. La finalità è quella di acquisire: capacità di analisi, di diagnosi (individuare il problema), di interpretazione (capire a che cosa è dovuto/correlato), di decisione (cosa fare), di problem solving e di confronto. Il metodo dei casi ha, inoltre, altri obiettivi: - Fornire realismo sull'esperienza indiretta, - Focalizzarsi su problemi concreti, 7 Il gioco di ruolo non si fa perché c’è un dramma da superare ma c’è un’esigenza formativa per cui si decide di metterlo in campo, ha una finalità formativa. È un metodo formativo che non si concentra sui contenuti (l’analisi di caso si), ma si focalizza più sulle dinamiche di gruppo e sulle capacità di relazione. Il roleplay aiuta ad animare l'apprendimento, rendendolo vivo grazie agli aspetti di creatività più di identificazione, oltre, attraverso la simulazione viene attivato anche l'apprendimento motorio affettivo, infatti ci si muove, ci si sposta, si agisce, si vive immettendo nella scena anche emozioni e affetti. Esso assume un valore transizionale, come fattore di transizione tra “far finta” e “fare per davvero”. Per questo, si sono identificate delle caratteristiche essenziali del roleplay: - Una cornice originaria, funzionale a dividere gli eventi che si verificano al suo interno da quelli esterni tipici del mondo reale: il roleplay è una cornice di “come se” primario; - Una cornice secondaria, attraverso la quale si chiede espressamente al partecipante di comportarsi “come se” seguendo condizioni date, cioè, viene chiesto al soggetto di essere nel presente valorizzandone il coinvolgimento e la spontaneità; - Il materiale è rappresentato da un episodio, un evento distaccato dal flusso di continuità del reale, con un inizio ed una fine precisamente individuati. Il roleplay permette a colui che partecipa di agire come se si trovasse in una situazione professionale significativa e, conseguentemente, di sperimentarsi in vista di farne un'esperienza realistica. Il vantaggio del suo utilizzo sta nel fatto che il processo che si sviluppa nel gioco di ruolo non avrà conseguenze direttive nella vita reale, ma mediate dall'elaborazione conseguente all'esperienza didattica È possibile individuare due principali categorie di roleplay, i quali perseguono obiettivi didattici differenti: 1. ROLEPLAY ADDESTRATIVI: sono noti anche come simulazione addestrative proprio per sottolineare la prescrittività di tali tecniche, tipiche di esperienze e addestramento il cui obiettivo consiste nel fare apprendere ai partecipanti regole comportamentali predefinite, funzionali all'esercizio di ruoli che richiedono competenze standardizzate, dove prevale la conformità alle regole stabilite da altri. Quindi consiste nel farsi simulare ai partecipanti una specifica circoscritta situazione per cui è predefinito il modo giusto di parlare e di rapportarsi con l'interlocutore secondo una scansione altamente strutturata. 2. ROLEPLAY FORMATIVI: sono simulazioni utilizzate per apprendere comportamenti non prevedibili in modo preciso ma, piuttosto, criteri di efficacia il cui grado può oscillare tra quelli più prescrittivi e quelli meno prescrittivi basati sulla creatività e riflessività. 10 Per classificare i roleplay il criterio più diffuso nella letteratura è rappresentato dal livello di strutturazione del copione predisposto dal progettista: informazioni sul contesto fisico (dove si svolge la scena), (quali atteggiamenti / valori / credenze / pregiudizi sono predominanti) e comportamentale (come agire). Il copione, in particolare, è l'esito di una progettazione di dettaglio che il formatore ha in precedenza effettuato considerando le variabili in gioco e ipotizzando le possibili dinamiche che ne sarebbero derivate, senza alcuna pretesa di certezza. Il roleplay può quindi essere classificato in tre principali categorie: 1. Strutturato: il copione prevede, oltre alla descrizione del contesto e dei ruoli, anche le indicazioni relative a cosa deve essere detto e fatto nel dettaglio. Risultare artificioso e può semplicemente analizzare il grado di conformità dei soggetti alle istruzioni in precedenza fornite; per contro, l'elevata strutturazione del roleplay rassicura gli attori sul comportamento da assumere, facilita il compito degli osservatori nella raccolta degli aspetti grigi, assicurando al formatore un maggiore controllo delle situazioni e nella gestione del successivo debriefing. 2. Semi strutturato: si indica in modo dettagliato il contesto e la situazione psicologica dei ruoli giocati e si accenna il nodo problematico. E dell'uso di copioni meno vincolanti rispetto a quello strutturato, che lasciano i soggetti una maggiore libertà di interpretazione e di espressione. 3. Non strutturato: si stabiliscono i ruoli e il contesto lasciando liberi gli attori nell’ interazione comunicativa. Non prevede alcune informazioni scritta per gli attori, ma semplicemente coordinate generali relative al contesto che sono fornite dal formatore e comunicate a tutti gli attori; questa tecnica responsabilizza i soggetti sul proprio apprendimento favorendo l'interpretazione creativa e la libertà espressiva e amplificando le innumerevoli possibilità di interpretazione del contesto e delle dinamiche comunicative correlate anche alla libera interpretazione. CONDIZIONI Sul piano formativo, l'uso efficace di questa tecnica dipende da numerosi fattori, tra cui spiccano soprattutto la creazione di una situazione ambientale favorevole e la capacità di fornire al gruppo le giuste informazioni; compiti che in entrambi i casi dipendono essenzialmente dalla competenza e dalla sensibilità del formatore. Relativamente al primo aspetto è necessario allestire un ambiente sociale e psicologico adeguato, raccogliendo informazioni sul contesto, sulle relazioni presenti tra i membri del gruppo, sui problemi che i soggetti percepiscono per essi maggiormente significativi e meritevoli di attenzione. 11 Relativamente al secondo aspetto, al gruppo dei partecipanti devono essere fornite informazioni utili affinché essi possano dare significato e direzione all'esperienza, in particolare è necessario spiegare loro finalità e modalità di svolgimento del roleplay, assicurandoli sugli imprevisti che potrebbero derivare da situazioni di sovraesposizione relazionale. Tra questi, rischi di disturbo sul piano emotivo per gli attori coinvolti nella simulazione, conseguenza dell'insorgere del senso di inadeguatezza, del timore di essere giudicati e talvolta perfino di essere ridicolizzati agli occhi altrui. Un aspetto da non sottovalutare è che il roleplay è sempre un gioco di specchi dove, nel mettersi in gioco, i soggetti apprendono sempre qualcosa di sé attraverso l'altro e viceversa. MODALITÀ STANDARD DI CONDUZIONE DEL ROLEPLAY: - Presentazione della metodologia didattica - Scelta del tema - Individuazione degli attori - Assegnazione del compito al gruppo - Warming up (il gioco vero e proprio a inizio con questa fase che comprende tutte quelle tecniche volte a “riscaldare per far salire”, ovvero creare un clima caldo e stimolante che faciliti l'assunzione di ruolo da parte degli attori grazie al quale può prendere il gioco) - Messa in scena - Commento - Conclusioni - Cooling off (la funzione di “raffreddare” l'esperienza, consiste nel fare uscire gli attori del gioco, prendendo le distanze da quello che è successo, i soggetti devono essere ricollocati nella realtà) - debriefing (spazio di riflessione sul gioco). FASI DEL GIOCO DI RUOLO - Riscaldamento - Realizzazione - Raffreddamento - Rielaborazione RUOLI Nel gioco di ruolo ci sono diversi ruoli: - Gli attori - Gli osservatori: un’osservazione partecipata - Il gruppo 12 - QUANDO: Il momento all'interno del percorso formativo - COME : le modalità di utilizzo. Quest'ultimo passaggio è quello più delicato e sono state individuate 5 principali modalità di utilizzo del materiale cinematografico: 1. Il riscaldamento: il materiale cinematografico può rappresentare un momento di riscaldamento, è fondamentale per quanto riguarda l'energia, infatti, all'inizio di una giornata oppure alla ripresa dei lavori dopo una pausa è importante aiutare i partecipanti ad una partecipazione attiva e il materiale cinematografico è in grado di suscitare questo effetto, sia perché crea una netta separazione tra ciò che sta per accadere e ciò che è accaduto prima sia perché stimola l'attenzione degli individui agendo sul versante cognitivo e su quello emozionale. È importante anche l'entrare in tema, infatti il materiale cinematografico consente di prendere contatto con un concetto, un'idea o una problematica, ovvero di richiamarlo alla memoria o costruirne una rappresentazione in modo più efficace di quanto potrebbe riuscire il formatore con le sue parole. È importante anche fare gruppo, condividere la visione e la riflessione sui film potrà favorire la disponibilità dei singoli partecipanti a entrare in relazione, a collaborare e mettersi in gioco nel percorso formativo. 2. l'esempio: ovvero quando il materiale cinematografico offre una dimostrazione chiara e puntuale di una teoria, di un concetto di un comportamento che il formatore vuole illustrare ai partecipanti. 3. il caso: un video dotato di una trama efficace può essere utilizzato dal formatore per rappresentare un caso da discutere in aula, suscitando commenti, riflessioni e ipotesi di problem solving e decision making più ricchi di quelli che si potrebbero ottenere mediante una storia scritta, grazie al più elevato livello di coinvolgimento che il materiale audio visivo è in grado di attivare. 4. l'esercizio: siamo in presenza di un esercizio quando una scena di un film rappresenta lo stimolo per un compito che i partecipanti sono chiamati a svolgere; con l'esercizio i partecipanti sono chiamati a mettere realmente in pratica la soluzione proposta con la possibilità di verificarne i risultati raggiunti e confrontarli con quelli ottenuti dagli altri partecipanti. 5. la metafora: il video rappresenta un rinvio metaforico in grado di semplificare pensieri complessi e chiarire concetti teorici, promuovendo la possibilità di appropriarsene. 3. La messa a punto dei materiali : è importante mettere a punto strumenti di descrizione e analisi dei video perché il materiale cinematografico non può essere semplicemente “fatto vedere” ai partecipanti ma, il suo valore per l'apprendimento sarà tanto maggiore quanto più essi saranno in grado di comprenderlo, approfondirlo e interiorizzarlo. 15 Il formatore deve, quindi, mettere a punto una vera e propria scheda di descrizione del materiale cinematografico che comprenda: dati, trama, descrizione della sequenza, temi centrali, rimandi retorici, trascrizioni della sequenza e modalità di utilizzo. A fianco di questa scheda, un secondo materiale da predisporre rappresentato dalla checklist per la riflessione che comprende un sistema di sollecitazioni e domande che possono essere rivolte al partecipante per condurlo alla ricerca di contatto con la propria esperienza personale e professionale. 4. L'azione in aula : all'interno di questa pluralità di possibili modalità di lavoro è importante evidenziarne un percorso di utilizzo del materiale cinematografico costruito intorno al ciclo di Kolbe, che lega il momento dell'esperienza/azione a quello dell'osservazione, della concettualizzazione e della sperimentazione che conduce a una nuova esperienza, cioè, le attività d'aula possono essere progettate per condurre i partecipanti verso queste attività. Nella fase dell'osservazione è utile chiedere ai partecipanti innanzitutto un commento ai comportamenti degli attori, formulato in funzione al contenuto formativo in questione; è possibile poi avviare una ricerca di veri e propri esempi positivi e negativi del comportamento oggetto di apprendimento. Nella fase di concettualizzazione gli esempi ritrovati possono essere utilizzati in modo induttivo per mettere a fuoco le buone pratiche che si ritengono non solo valide nel contesto in cui è ambientato il video ma, anche trasferibili alla propria esperienza. Inoltre, è possibile poi riprogettare, ovvero, è possibile formulare ipotesi relative a modi alternativi di agire che i differenti personaggi avrebbero potuto utilizzare per risultare più efficaci. La fase della sperimentazione è dedicata alla messa in scena delle indicazioni di riprogettazione emerse nel corso della seconda fase, i partecipanti prendono il posto degli attori del film e rifanno la sequenza, si tratta di una vera e propria attività di role play. Alla quarta fase si aggiungerà successivamente: 5. La valutazione dei risultati . MATERIALI DIDATTICI IN FORMA AUDIOVISIVA in rete è possibile individuare i sei principali tipi di filmati didattici: - Lezioni : la lezione viene solitamente utilizzata dai formatori al fine di arricchire il corso con la “presenza” di un grande esperto sul tema in oggetto, può seguire poi un dibattito guidato dal formatore stesso. - Video testimonianze - Video casi : questo genere di filmati didattici propone storie di eccellenza che si distinguono per il successo ottenuto nell'ambito di uno specifico processo organizzativo. 16 - Video narrativi : l'obiettivo di questo genere di materiali filmici e attivare momenti di discussione a 360 ° sui temi proposti proprio a partire da un mix tra racconti diretti ed evocazioni visive, capaci di sollecitare un registro di pensiero meno razionale. - Video workshop : si tratta di video anche piuttosto lunghi dedicati a un unico tema che propongono attività di problem solving o decision making commentate da un esperto che sostiene il gruppo in apprendimento sia nell'individuazione di errori nel processo di lavoro sia nella scelta degli approcci più efficaci per fronteggiare la situazione illustrata. - Video sportivi : possono essere utilizzati come riscaldamento all'inizio di un corso ma, anche con finalità di apprendimento e miglioramento della prestazione se il docente li trasforma in un caso da analizzare o trova in essi uno spunto per progettare un esercizio. Importante è l’utilizzo del video non solo come fruizione ma anche come produzione come metodo educativo. Il video ha diverse funzioni e può portare diverse cose all’interno di un percorso didattico, la costruzione partecipata di contenuti per produrre dei video porta i bambini e ragazzi coinvolti ad un impegno attivo, spesso divertente e riesce a dare tanto valore al processo quanto all’esito, riesce a restituire delle riflessioni sia per come viene costruito il video ma lascia anche delle riflessioni sull’esito, riflettendoci. La grande novità del Web sociale (Web 2.0) è il fatto che il video (ma non solo), non solo è fruito ma è anche prodotto. È importante ricordare che l'utilizzo di modalità formative ispirate alla multimedialità dovrà tener conto delle progressive evoluzioni che si registreranno nelle peculiari modalità di apprendimento della specie dai nativi digitali. Da un lato, si dovrà tener conto che per questa generazione di nuovi soggetti per i quali, l'immagine in movimento è la fonte primaria di comprensione della realtà, non sarà più un evento eccezionale ritrovare la proiezione di ispezioni cinematografici in occasione di un'attività formativa ma, sarà perfettamente normale, il formatore deve però, utilizzare un codice di comunicazione ben conosciuto e molto utilizzato. Dall'altro lato, si dovrà ricordare che il ritmo della narrazione a cui i nativi digitali sono abituati è molto rapido, in questo senso, potrebbe essere vantaggioso ed efficace approfondire una tematica attraverso l'ascolto di un racconto, di una storia. OUTDOOR EDUCATION (capitolo Quaglino, formazione e metodi) 17 3. La terza fase è la SPERIMENTAZIONE ATTIVA: ovvero trasferire e sperimentare in situazioni nuove gli apprendimenti acquisiti. ORIGINI OUTDOOR EDUCATION Storicamente essa è la più antica delle metodologie di formazione esperienziale, nasce nel 1941 a opera del pedagogista tedesco Kurt Hahn, il quale fonda la primavera scuola di outdoor education nel Galles. Si chiamava “scuola di formazione accelerata del carattere”, si rivolgeva ai giovani dell'aristocrazia inglese per svilupparne un carattere forte ed eticamente corretto ed era finalizzata a operazioni di salvataggio in mare. La sua missione era quella di formare nei giovani un carattere completo, sicuro di sé, a tutto tondo. Questa scuola raccoglie un successo crescente durante la guerra per l'addestramento dei marinai ma anche successivamente alla fine della guerra come modello educativo. L'idea ispiratrice dell'approccio pedagogico di Hahn è “the aim of education is to impel young people into value forming experiences”, cioè “lo scopo dell’educazione è quello di spingere i giovani verso esperienze che formino valore”. Nella scuola, lui offre un percorso formativo strutturato in una serie di attività sfidanti ma nelle quali i partecipanti hanno comunque la possibilità di terminare la prova con successo; attraverso queste conquiste successive, essi scoprono che possono fare un po’ di più di quanto credevano di poter fare. Ma cos’è l’outdoor education? È un metodo esperienziale per la formazione che prevede percorsi formativi nella natura, in cui i partecipanti, incontrandosi fuori dai ruoli e dai contesti organizzativi consolidati e rigidi, vivono esperienze di apprendimento coinvolgenti emotivamente, affrontando compiti e situazioni nuove, spesso impreviste, riflettendo su quanto accaduto e sviluppando così le competenze target e le capacità di apprendere dall'esperienza. La specificità dell’OT è di essere una metodologia ad alta valenza formativa che propone percorsi esperienziali progettati a seconda degli obiettivi formativi e di apprendimento concordati, è caratterizzata da una prolungata interazione e da un coinvolgimento delle persone che, sono costantemente stimolate da un consulente esperto ad analizzare e commentare l'esperienza, allo scopo di raggiungere quegli obiettivi specifici. In primo luogo, la valenza formativa di un progetto in OT è rappresentata dal portare i partecipanti fuori dalla realtà quotidiana, offrendogli uno spazio di libertà per esplorare e sperimentali possibili modalità relazionali, comportamentali e decisionali. Infatti, l’OT è innanzitutto una metafora di libertà sia a livello intellettuale sia fisico, sottolineata anche simbolicamente dall'invito a tenere un abbigliamento informale durante tutto il progetto; le esercitazioni sono pensate come una serie di attività metaforiche, ludiche e volutamente spiazzanti rispetto alle tipiche attività sulle quali le persone sono impegnate sul lavoro. 20 Il principio sul quale si basa, infatti, è quello di permettere ai partecipanti di vedere con più accettabilità alcune delle dinamiche relazionali interne agli individui e tra di loro in gruppo, attraverso le metafore rappresentate dalle attività proposte. La consapevolezza della metafora e quindi, della finzione rassicura e permette uno sguardo su di sé e sugli altri più dialogante e meno giudicante. La finzione l'elemento centrale del processo di apprendimento. L’OT ricorda, inoltre, come sia sempre indispensabile l'altro e, più in generale, il gruppo perché la presenza dell'altro ci permette di riflettere su noi stessi, di differenziarci e di capire in quale misura le nostre azioni sono funzionali o meno al raggiungimento di un risultato. Su cosa si basa? - COMPONENTE ESISTENZIALE: l'attenzione è rivolta al qui ed ora, questo facilita il collegamento tra i processi di apprendimento e le situazioni concrete che si stanno vivendo; le attività da svolgere richiedono ai partecipanti di utilizzare risorse concrete e ottenere obiettivi precisi il cui raggiungimento è immediatamente verificabile e, i successi e i fallimenti producono effettivi cambiamenti nelle strategie di comportamento individuale e di gruppo. L'autonomia del partecipante è fondamentale, esso è infatti libero di decidere il suo livello di coinvolgimento nelle diverse attività che gli vengono proposte, di trovare in essi e parallelismi tra le attività e la propria vita professionale, di riflettere con gli altri e concettualizzare quanto appreso in modo da poterlo trasferire nella quotidianità. La formazione essenziale è fortemente legata alla realtà, le situazioni che i partecipanti affrontano sono percepite come reali e concrete in quanto si trovano ad affrontare una serie di problemi reali con persone reali, in tempi reali, con regole reali. - UTILIZZO DELLA METAFORA: le attività proposte risultano formative in quanto legate, metaforicamente, all'uso di determinate competenze utili nel proprio contesto organizzativo. Le metafore, sotto forma di attività esperienziali, dovranno essere capaci di far emergere atteggiamenti, comportamenti, criticità e problematiche tipiche del contesto professionale, così da poterle affrontare spogliate dalle difese, che la finzione consente, per attivare nuove modalità e risorse individuali di gruppo. Allora, quello che viene appreso durante la formazione può essere trasferito al proprio contesto professionale. - GIOCO, SFIDA, CREATIVITÀ: i partecipanti si confrontano con un terreno sconosciuto e sono costretti a adattarsi, a correre dei rischi, a operare anche senza conoscere tutte le risposte e a gestire situazioni di ambiguità. Avanzare in un ambiente sconosciuto crea un clima di avventura che è un supporto pedagogico prezioso per attivare un atteggiamento euristico e permette un apprendimento sulla scoperta. 21 Calati in un contesto ludico, dove è previsto il raggiungimento di un obiettivo, i partecipanti attivano il proprio sistema agonistico che li porta ad assumere comportamenti sfidanti sia nei confronti delle proprie possibilità sia nei confronti degli altri componenti del gruppo, traendo da questa dinamica verso sé stessi e gli altri il conseguente apprendimento. Le attività inusuali e gli strumenti didattici vengono percepiti dai partecipanti come giochi e questo aspetto è funzionale per abbassare le difese individuali, creare un clima rilassato e destrutturato e a sospendere il giudizio. - COINVOLGIMENTO: i partecipanti sono i protagonisti attivi delle attività; l'apprendimento avviene attraverso un circolo virtuoso che vede alternarsi il proprio coinvolgimento intellettuale a quello fisico. - IMPORTANZA DELL’ OSSERVAZIONE E DELLA RIFLESSIONE: l'obiettivo è quello di sospendere le azioni ripetitive che caratterizzano la quotidianità e creare uno spazio di riflessione per ripensare a sé stessi e alle dinamiche che hanno avuto luogo in un gruppo impegnato a raggiungere un obiettivo. Il partecipante è stimolato a osservarsi mentre agisce e a osservare il comportamento degli altri, attivando un processo di apprendimento continuo che valorizza il fermarsi a riflettere su quanto accaduto per trarre utili indicazioni da tenere in conto ad approcci futuri. Ciò che produci apprendimento e il fatto di “rifletterci su”. - DIVERTIMENTO E SORPRESA: le attività svolte dai partecipanti hanno un carattere inaspettato, sono accadimenti che il gruppo si trova ad affrontare in maniera apparentemente non programmata; infatti, il programma delle attività e le localizzazioni devono rimanere sconosciute fino allo svolgimento delle stesse. La sorpresa aumenta il coinvolgimento dei partecipanti e favorisce un migliore impatto emotivo. - GRUPPO: L’OT ci ricorda come sia sempre indispensabile l'altro e in maniera più generale, il gruppo; infatti, le attività sono pensate per essere affrontate in gruppo. La soluzione pratica può essere raggiunta attraverso il coinvolgimento di tutti e grazie a un'efficacia gestione delle dinamiche relazionali tipiche di un lavoro di gruppo. La presenza e il contributo degli altri ci permette di riflettere su noi stessi e sulle nostre caratteristiche individuali, di differenziarci confrontando somiglianze e diversità, di capire in quale misura le nostre azioni sono funzionali o meno al raggiungimento di un risultato e di valorizzare le personali strategie di comportamento. Il gruppo, allora, facilita lo scambio di idee e il confronto autonomia creativa in rapporto paritetico; riduce dipendenza dal formatore; maggiore creatività di pensiero; facilita accoglienza e accettazione di diversi punti di vista (delle diversità); assunzione di responsabilità da parte di tutti e possibilità di confronto 22 conoscersi e di instaurare un rapporto meno formale e meno condizionato dall'ambiente lavorativo. - Fa sì che le emozioni incanalate in processi di apprendimento. DIGITAL STORYTELLING NARRARE CON LE TECNOLOGIE Con il termine ‘storytelling’ si intende l'arte di creare le immagini di una storia attraverso le parole, la gestualità, l'utilizzo del corpo e la modulazione della voce. Dunque, lo storytelling è un'arte, forse la più antica. Affonda le sue radici nelle società orali dove la tradizione veniva insegnata e tramandata attraverso lo storytelling poetico, poi, con i poemi omerici e con la transizione dalla cultura orale alla cultura alfabetizzata abbiamo la prima conferma storico-antropologica di come la poesia e lo storytelling sia nei dispositivi educativi della comunità greca. La successiva diffusione dell'alfabetizzazione favorì poi la diffusione di una nuova modalità alternativa alla poesia, ovvero la prosa, essa divenne un nuovo veicolo di fatti e teorie e della ‘Storia’, cioè quella narrazione continua e sistematica dei fatti del passato ritenuti importanti per la memorizzazione della specie umana. A questo punto si determina una differenza tra la Storia (history) intesa come resoconto di sequenze di fatti realmente accaduti nel passato e, la storia (story) intesa come narrazione orale o scritta di vicende immaginarie o verosimili. Alla storia, come story, viene attribuita a una complessa funzione comunicativa e ricreativa che varia dall'intrattenere, al convincere, all'educatore e che si gioca su una dinamica di interazione tra autore e fruitore. In essa il fruitore conferisce all'autore il permesso di abdicare a quella esigenza di verità che è proprio della history e, l'autore accoglie questo permesso giocando con la propria creatività. Precondizione, quindi, indispensabile per la creazione di una storia è un patto di collaborazione narrativa tra un autore è un suo possibile lettore, che permette alla narrazione di sottrarsi alle condizioni di verità in cambio di mondi possibili, di coinvolgimento emotivo, di suspence e di sorprese. Tutto questo chiarisce come lo storytelling sia essenzialmente un'attività collaborativa con una funzione comunicativa ed educativa. Gli studi di Bruner ci spiegano che alla base dello storytelling c'è una capacità costitutiva degli esseri umani: il pensiero narrativo. 25 Grazie al pensiero narrativo gli esseri umani interpretano la realtà, producono significati e li condividono, il pensiero narrativo si occupa della dimensione soggettiva dell'esperienza umana, si occupa di azioni, emozioni, sensazioni, intenzioni proprie dell'uomo. La narrazione è la modalità principale con cui dall'infanzia fino all'età adulta si sviluppano la mente e l'identità personale, ciò che non viene strutturato in forma narrativa nella memoria viene dimenticato. La capacità di narrare si amplifica e si potenzia attraverso i processi educativi e didattici e, viene stimolata e si sviluppa dall'incontro, durante l'infanzia e l'adolescenza, Colle grandi narrazioni proprie di ogni tessuto culturale. Per cui il pensiero narrativo sta alla base dello storytelling. Cosa vuol dire narrare? La radice di ‘narrare’ significa ‘conoscere, rendere noto’ e ‘fare, agire’. Il narrare coinvolge altre persone ed è uno strumento importante di interpretazione della realtà per interagire con il mondo sociale in cui viviamo. La narrazione ha valenze conoscitive ed emotive e risponde al bisogno dell’individuo di definirsi come ‘soggettività dotata di scopi e intenzionalità’, ricostruendo gli avvenimenti della propria vita, in modo tale che siano in linea con l’idea di sé. La narrazione ha diverse funzioni: 1. CONCETTUALE: facilita il riconoscimento di un oggetto all'interno di un determinato contesto, con una storia passo dei concetti, è una funzione cognitiva; 2. RAPPRESENTATIVA: io rappresento qualcosa in un sistema socioculturale, io inserisco una rappresentazione di un concetto all’interno di una dinamica socioculturale; 3. INTERPRETATIVA O INFERENZIALE: è possibile attribuire all'oggetto delle proprietà, non percepite direttamente, io interpreto quel determinato concetto; 4. ESECUTIVA: metto in campo delle questioni che sono la narrazione di questo concetto, è in grado di ottenere le informazioni necessarie per la risoluzione di un problema. COS’È UNA STORIA Una storia è una collezione di fatti, organizzati e ordinati nel tempo, che suggeriscono una relazione di causa-effetto fra alcuni avvenimenti; inoltre, ogni storia parla di avvenimenti e di questioni specifiche riguardanti persone e, le persone sono i soggetti della trama narrativa. La storia è una modalità specifica per rappresentare mettere in scena l'intenzionalità e l'emotività degli esseri umani. MECCANISMI DI FUNZIONAMENTO DELLE STORIE 26 Bruner nel 2006 afferma che ci sono due meccanismi di funzionamento delle storie: 1. Schemi narrativi : chiamati anche ‘script’, sono sequenze di eventi di tipo generico, di cui la nostra memoria tiene traccia attraverso la costruzione di mappe cognitive. Tutte le azioni che nella giornata di un individuo si ripetono con similitudini sono apprese nella nostra mente come fossero storie. 2. Narrazioni personali : sono ricordi episodici che spesso non hanno legami cronologici o sequenziali. La narrazione è perciò importante per fissare il ricordo, ma al contempo svolge la funzione di rielaborarlo o modificarlo. Sono due meccanismi tra di loro complementari, in entrambi i casi io fisso nella mia memoria qualche cosa. Egan sostiene che qualsiasi disciplina possa assumere la forma di una storia; essendo di facile comprensione le storie generano elevati livelli di impegno e attenzione rispetto alla semplice enunciazione dei fatti e rendono avvincente l'apprendimento. L'organizzazione delle esperienze umane avviene sotto forma di racconti e, la narrazione favorisce l'acquisizione di una sensibilità culturale tale da consentire la realizzazione di processi riflessivi, formativi e trasformativi dei gruppi. Di fatto si può sostenere che attraverso la narrazione è possibile attivare veri e propri processi di costruzione di nuove conoscenze e quindi di apprendimento: l'organizzazione dei contenuti in una narrazione ordinata li rende sicuramente maggiormente fruibili e facilmente utilizzabili dai destinatari finali. Il pensiero narrativo può quindi essere concepito come una modalità cognitiva attraverso cui gli individui strutturano l'esperienza, costruendo l'interazione con il mondo esterno. Gli accadimenti, le azioni e i comportamenti di descrittivi dalla narrazione vengono spiegati e compresi, quindi è possibile affermare che essa rappresenta un'operazione fondamentale della mente umana a comprendere processi di sese-making. Il raccontare e ascoltare storie costituisce un'occasione di grande efficacia e utilità nel contesto dell'educazione e della formazione. Lo storytelling genera un apprendimento spiegabile con il modello dell'apprendimento inconscio offerto da Erickson e Rossi, loro propongono un modello di apprendimento basato su 5 fasi: 1. Fissazione dell'attenzione: l'introduzione di una storia di solito porta l'ascoltatore a focalizzarsi sulla situazione in atto e sulle proprie sensazioni, lasciando perdere altri pensieri o fattori di stress. 2. Depotenziamento delle cornici abituali e dei sistemi di credenza: l'ascoltatore si immerge completamente nella storia che viene raccontata, in uno stato del tutto assimilabile alla trance ipnotica. 3. Ricerca inconscia: l'ascoltatore, stimolato da ciò che ascolta, tende automaticamente a ricercare nei propri ricordi, apprendimenti 27 Rispetto a un normale documento multimediale si distingue per la forma narrativa che struttura i contenuti multimediali e la forte valenza emotiva che mira al coinvolgimento. Fare digital storytelling vuol dire scrivere e raccontare una storia, raccontarla a livello di audio, di video e immagini e montarla, crearla e editarla. La storia deve essere sempre condivisa, è una narrazione fatta per uscire. Il digital storytelling dura dai 3 ai 5 minuti, è brevissimo. Le storie digitali hanno una tessitura, un intreccio di immagini, narrazioni e voce insieme a musica, dando così una profonda dimensione e colore psicologico intenso di personaggi, di situazioni, di esperienze e di stati d’animo, con effetti emozionali importanti su lettore con il quale riesce a stabilire un rapporto empatico. Il processo di elaborazione del digital storytelling richiede creatività, abilità di scrittura e lavoro di squadra. Ovviamente bisogna selezionare le esperienze rilevanti, trasmetterle in un insieme coerente di personaggi, eventi e luoghi e ci vuole capacità di comunicazione e problem solving. Le narrazioni efficaci prendono l’apprendimento, si apprende tantissimo con le storie, colpiscono i principali canali di apprendimento, quello uditivo e quello visivo e uniscono i partecipanti in una storia della comunità stessa, da leggere e riscrivere in continuazione. Digital Storytelling come: • saper comunicare la storia che racconto, • saper utilizzare contenuti e logiche tipiche del digitale, • saper "scrivere" in un sistema narrativo coerente, coinvolgente e condivisibile. Il digital storytelling nasce dallo ‘story center’ che è un centro culturale nato negli Stati Uniti tra gli anni ’70 e ’80, è molto giocane come tipo di metodologie, nasce con un’idea, ovvero, quella che le storie hanno sempre un centro variabile e il fondatore, Jhon Lambert dice che il punto focale di una storia è sempre deciso dal narratore, tutto il resto rimane sfocato ma questo non vuol dire che non esista. Lui dice che una storia ben fatta, un digital storytelling ben fatto ha 7 punti: 1. Un punto di vista: qual è il punto di vista dell'autore sui temi della storia; 2. Una domanda drammatica: una domanda chiave mantiene l'attenzione del fruitore a cui viene data risposta verso la fine della storia; 3. I contenuti emozionanti: fatti importanti che si connettono al fruitore in maniera potente e personale; 4. Il regalo della tua voce: un modo di personalizzare la storia e di aiutare il fruitore a capire il contenuto, a volta la voce viene sostituita dalle scritte; 5. La potenza della colonna sonora: musica o altri suoni che supportano integrano la storia; 6. Economia della selezione: utilizzare il giusto contenuto per non sovraccaricare il fruitore, decido di mettere il punto focale su una o due cose, non di più. 30 7. Il ritmo: il ritmo della storia ne esplicita le fasi lente e le fasi incalzanti, non è mai un ritmo lento Le storie di successo sono di personaggi, di memorie, avventurose ma sono anche di amore, di scoperta e mi permettono, molte volte, di rivedere la mia vita, io mi immedesimo e rivedo qualche cosa di me stesso. Nella pratica i passaggi da seguire sono: - FASE 1, METTI A FUOCO L’OBIETTIVO: Cosa vuoi trasmettere? A chi è rivolto il tuo video? - FASE 2, IDEAZIONE: L’idea prende forma! Crea il tuo storyboard o la tua sceneggiatura per abbozzare la struttura del tuo video. - FASE 3, PRODUZIONE: Ricerca e crea i materiali, clip, video, foto, testi, musiche... - FASE 4, POST-PRODUZIONE: Assembla e fai editing, confeziona il tuo racconto in un formato creativo, coerente e stilisticamente all’idea iniziale. Schematicamente, si possono individuare 8 schemi narrativi ricorrenti: - Viaggio dell’Eroe: Schema classico centrato sulla figura dell’eroe che abbandona la propria dimora per intraprendere un viaggio verso luoghi sconosciuti. Tipico di fiabe, racconti fantastici e videogame. - Montagna: Distribuzione della tensione fino al raggiungimento di un picco e alla successiva discesa. Tipica delle serie televisive o dei film di suspense. - Cerchi concentrici: Diverse strutture narrative si intersecano. La narrazione contenente il messaggio centrale interagisce con le altre che sono finalizzate a elaborare e/o spiegare la prima. - Realtà/speranza: Si sviluppa su due piani contrapposti che si intrecciano continuamente e rappresentano l’uno “come le cose sono” (realtà) e l’altro “come le cose dovrebbero essere” (speranza). Tipico delle retoriche evocative, ma anche di molti spot pubblicitari. - Nel vivo dell'azione: Schema in cui la narrazione comincia direttamente nel pieno dell’azione, per spiegare solo successivamente quanto accaduto prima e poi preparare la sua conclusione, spesso modificando il senso di quanto visto inizialmente. Tipico dei racconti d'azione. - Idee convergenti: Differenti filoni di pensiero o nuclei tematici convergono per formare un’unica idea narrativa. Può essere utilizzata per mostrare come una storia sia il risultato di molteplici sentieri che ad essa conducono e che la strutturano. 31 - Falsa partenza: La narrazione ha inizio con un intreccio apparentemente prevedibile che si interrompe bruscamente per dare luogo a un nuovo inizio. Tipico dei cortometraggi o delle serie web. - Struttura a petalo: Schema narrativo che organizza storie multiple che si muovono intorno allo stesso concetto centrale, verso cui possono convergere o divergere. Tipico dei film a episodi. Il digital storytelling risente di alcuni aspetti tipici della comunicazione digitale (Rose, 2013): • mette insieme la dimensione personale a quella collettiva, • è tendenzialmente una narrazione veloce e sintetica, • utilizza materiali reperibili online (mix e mashup), • agevola una distribuzione orizzontale, • si struttura in una logica crossmediale e transmediale (Jenkins), • supporta l’autorialità attenta. IN CAMPO EDUCATIVO In campo educativo ci sono 4 tipi di storie: 1. AUTOBIOGRAFICHE: quando chiediamo a qualcuno di raccontare qualcosa di sé, 2. STORIE SOCIALI, MEMORIE COLLETTIVE: 3. STORIE CREATIVE: quando si crea dal nulla qualcosa, 4. STORIE SU CONTENUTI DISCIPLINARI: per lavorare su un determinato contenuto. Il selezionare o narrare storie che possiedono la caratteristica di presentare piccoli problemi o anche complessi sotto forma di casi specifici reali e concreti, è il primo passo per un'organizzazione didattica funzionale al nostro cervello perché serve come organizzatore anticipato, in cui si espongono i problemi concreti e come strumento di valutazione, trovando il modo migliore per risolvere i problemi in contesti emotivamente coinvolgenti in un tempo prestabilito. In educazione, esso mi permette di ampliare la mia formazione, di approfondire molte cose perché è uno spazio creativo. Lo svantaggio è che fare digital storytelling non è rapido. Il digital storytelling in aula - Storie di vita (fare memoria), - Racconti di teorie o invenzioni (ricostruire, esercitare il problem solving), - Documentazione di processi (fare metariflessione), - Narrazione del sé (riconoscersi e ritrovarsi). 32
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