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Riassunto del libro "Geografia e Antropocene. Uomo, ambiente, educazione", Schemi e mappe concettuali di Geografia

Riassunto completo del libro "Geografia e Antropocene. Uomo, ambiente, educazione" di C. Giorda

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2022/2023

Caricato il 30/06/2023

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Scarica Riassunto del libro "Geografia e Antropocene. Uomo, ambiente, educazione" e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Geografia solo su Docsity! Elisa Bosisio 1 GEOGRAFIA E ANTROPOCENE. UOMO, AMBIENTE, EDUCAZIONE. (di Cristiano Giorda) INTRODUZIONE 1) La ricerca e gli obiettivi di questa pubblicazione. Abbiamo cominciato a studiare l’Antropocene come il segno dell’impronta umana sull’ambiente globale e potremmo terminare definendolo come la prova del sigillo della natura sulla cultura delle società umane. Nel mezzo vi sono però un’infinità di questioni aperte: la più interessante per la geografia è probabilmente la dualità uomo-ambiente. Questo libro nasce con due obiettivi: • indagare il concetto di Antropocene; • capire se il concetto di Antropocene possa in qualche modo cambiare la stessa visione della geografia, interrogandola su come considera e rappresenta il sistema Terra con le relazioni uomo-ambiente e le grandi questioni ecologiche, economiche, sociali e politiche che i suoi studi affrontano. 2) Genesi dell’Antropocene: l’uomo come forza geologica. Il concetto di Antropocene è stato proposto per la prima volta negli anni Ottanta, ma ebbe poco successo fino agli anni Duemila, quando iniziò a guadagnare progressivo consenso e interesse. La pervasività dell’attività umana nei processi biologici che caratterizzano il pianeta è infatti tale per cui abbiamo bisogno di marcare l’ingresso in una nuova era geologica, caratterizzata dall’attività umana. A partire dall’accettazione e dalla diffusione del concetto di Antropocene è iniziato il lungo processo (portato avanti da una serie di istituzioni scientifiche afferenti alla geologia) per ufficializzare l’entrata in una nuova era geologica. Motivo di grande discussione riguarda la datazione di questa nuova era geologica, per la quale esistono oggi quattro differenti ipotesi: 1. avrebbe avuto inizio con le rivoluzioni industriali tra Settecento e Ottocento (e in particolare con l’invenzione della macchina a vapore, 1784); 2. avrebbe avuto inizio da processi di lungo periodo, come agricoltura e allevamento; 3. avrebbe avuto inizio con la prima esplosione di una bomba atomica, avvenuta in Nuovo Messico nel 1945; 4. avrebbe avuto inizio nel 1610, anno in cui una serie di trasformazioni (scientifiche, botaniche, cartografiche, astronomiche e chimiche) arrivano a un punto di svolta. Al di là della scienza e della geologia, il termine è ormai entrato nel vocabolario di diverse discipline e viene utilizzato per catalizzare con forza sempre maggiore l’attenzione sui fenomeni e i processi che legano l’uomo e le società all’ambiente. L’Antropocene genera un’occasione di incontro tra scienze della natura e scienze umane: in relativamente poco tempo i settori disciplinari che si occupano dei Elisa Bosisio 2 fenomeni di globalizzazione e le scienze del cambiamento climatico si ritrovano a leggere i lavori reciproci. Ma cosa ha introdotto il termine “Antropocene” per suscitare un interesse così ampio? Bisogna innanzitutto avere chiaro che l’Antropocene parla dell’umanità come forza geologica. Questa affermazione comporta due importanti considerazioni: • affermare l’umanità come forza naturale significa mettere in discussione la distinzione all’origine della scienza moderna, che divide il conoscibile tra ciò che è naturale (caratterizzato da soggetti ben definiti) e ciò che è culturale (caratterizzato da soggetti poco definiti e mutevoli); • affermare che siamo entrati nell’Antropocene equivale a dire che vi sono azioni che l’uomo in quanto specie ha perpetrato per arrivare a tanto → entra in gioco la nozione di “responsabilità comuni ma differenziate”: essendo i paesi occidentali quelli che più hanno contribuito ad innalzare il livello di inquinamento, saranno anche quelli che più ne dovranno pagare il conto. Ma allora perché indichiamo l’uomo in quanto tale come caratterizzante questa era geologica, quando è il regime ecologico capitalista che ci ha portato dove siamo ora? L’umano agisce sia nella sua forma esistenziale sia in quella normativo-politica. 3) I geografi, l’Antropocene e l’educazione geografica. Partendo dalla geologia e dalla chimica il concetto di Antropocene è quindi passato nel dibattito delle altre discipline, facendo la sua comparsa anche in campo geografico. L’Antropocene ha certamente una dimensione geografica, spazializzata, poiché ciò che viene riassunto in chiave globale presenta in realtà nette differenze regionali e locali che vanno prese in considerazione. Più di altri temi l’Antropocene rappresenta per la geografia una vera e propria sfida, perché la interroga sul cuore stesso del suo soggetto di studio, ossia sulle trasformazioni della superficie terrestre derivate dall’interazione tra società umane e ambiente. Inoltre, la porta a immaginare risposte culturali creative al problema di come abitare il pianeta di fronte ai rapidi processi di cambiamento in atto → quest’ultimo aspetto, che guarda al futuro, coinvolge direttamente il campo dell’educazione geografica. Jamie Lorimer è stato uno dei primi a rivolgere uno sguardo geografico sull’Antropocene, maturando un’approfondita riflessione: egli afferma che l’Antropocene rappresenta la morte pubblica dell’idea moderna della natura separata dalla società. Per molti geografi questa non dovrebbe essere una sorpresa, perché la geografia afferma da molto prima della nascita dell’Antropocene che non c’è mai stato un mondo senza la società umana. Questo approccio si ritrova poi nelle riflessioni di altri autori: ad esempio Castree si interroga su come i geografi possano avere un ruolo come “scenografi” nel descrivere i modi in cui le società umane possono cambiare il proprio rapporto con il mondo. Discutere di Antropocene porta dunque i geografi a interrogarsi sui limiti e sulle prospettive del rapporto tra la specie umana e il suo pianeta. Il terzo pilastro di questo libro riguarda l’educazione: parlare di come gli esseri umani modellano la Terra è una sfida fondamentale per preparare a decidere come affrontare i fenomeni che oggi toccano ogni società e ogni territorio del pianeta. L’Antropocene può dunque essere esplorato anche come preoccupazione per il futuro del pianeta e del genere umano, tramite una didattica attiva e coinvolgente. La geografia può dunque imporsi in campo educativo come disciplina capace di indagare la connessione tra fatti naturali e avvenimenti sociali e le sue conseguenze per la vita umana. Le sfide dell’Antropocene riguardano direttamente il futuro delle comunità umane ed è quindi fondamentale riuscire a definire obiettivi, temi e finalità con cui la geografia possa assumere un ruolo nella costruzione sociale della conoscenza e in azioni volte allo sviluppo della cittadinanza attiva. Elisa Bosisio 5 1.4) Capitalocene. Alcuni sostengono che gran parte della crisi ambientale dell’Antropocene sia il risultato dei modelli di produzione e consumo basati sul capitale. Si tratta di un tentativo di pensare la crisi ecologica in modo da dare maggiore risalto alla dialettica fra natura e società piuttosto che a quella fra natura e uomo. Si tratta di un modo per spostare l’attenzione dalla geologia alla politica; tuttavia tale lettura tende a trascurare la possibilità di cogliere tutte quelle implicazioni che si spingono oltre la geologia e anche oltre la critica del capitalismo. 1.5) Clima. La storia dell’umanità è stata influenzata dal clima, con il quale le comunità umane hanno dovuto fare i conti. A connotare l’Olocene è stato soprattutto il clima, grazie a una fase interglaciale così stabile e tranquilla da sviluppare condizioni molto favorevoli alla specie umana. Il clima si sta rivelando uno dei fattori geografici più mutevoli, ma anche uno dei più impattanti sui processi di territorializzazione. Inoltre, da fattore naturale, sembra possa essere considerato sempre più come elemento legato agli esiti delle azioni umane: tutto ciò sottolinea l’importanza, per i geografi, di confrontarsi con le relazioni clima-comunità umane. 1.6) Conflitti. Quali saranno e cosa riguarderanno le guerre dell’Antropocene? Stranamente gli studi sull’Antropocene trascurano la geopolitica e la geografia politica; eppure sembra davvero che i conflitti e le relazioni geopolitiche saranno legate più che nel passato al cambiamento ambientale, al controllo delle risorse naturali e dei movimenti della popolazione. 1.7) Controllo. L’Antropocene tocca in tanti modi il tema del controllo, del potere e del limite. Da un punto di vista ecologico, sembra affermare che l’uomo ha perso la capacità di poter controllare i processi naturali a proprio vantaggio. Allo stesso tempo, però, attraverso il progresso tecnologico, le azioni umane possono essere capaci di porre rimedio ai guai generati, il che equivale a ritornare alla fiducia nella possibilità di controllare la natura attraverso la sua sempre più profonda umanizzazione. 1.8) Educazione. L’educazione geografica guarda da tempo con attenzione allo sviluppo sostenibile, alla diversità culturale, ai temi della disuguaglianza e dell’inclusione. L’Antropocene va oltre la globalizzazione, anche se i due fenomeni hanno molti punti di contatto e l’educazione geografica ci può mostrare cosa accade nelle diverse regioni e come tutto questo orienta al futuro inteso come progetto per abitare il pianeta, stimola azioni di cittadinanza attiva e si rivolge alle nuove generazioni lasciando la porta aperta alla speranza. 1.9) Energia. In una visione economica, per la geografia l’energia è stata soprattutto la fonte da ottenere in abbondanza e a buon mercato per sviluppare l’industria e le attività umane. Il problema dell’accaparramento delle fonti energetiche si collegava a problemi geopolitici, commerciali e di possibile esaurimento delle risorse; solo in alcuni casi comparivano nella narrazione le questioni ecologiche e quelle sociali. L’Antropocene ci stimola a rivedere il ruolo dell’energia nella storia della Terra e del rapporto uomo-ambiente, perché è da questa interazione che possiamo capire cosa sta accadendo oggi al clima. • “l’energia non può essere né creata né distrutta, ma solo trasformata” → tutta la vita sul pianeta è legata a processi di trasformazione dell’energia. È qui che entra in gioco la specie umana, poiché ogni forma di territorializzazione del pianeta è legata all’aumento dell’energia a disposizione. Tutti i processi di territorializzazione e di popolamento degli ultimi due secoli si basano in modo sempre crescente sull’uso dei combustibili fossili. Questi ultimi derivano Elisa Bosisio 6 dall’energia solare trasformata e immagazzinata dal pianeta nel corso di milioni di anni; tuttavia oggi la liberazione di energia accumulata nei combustibili fossili è anche la causa del cambiamento climatico, un processo che a sua volta sta generando profondi impatti nell’ambiente e nella società, trasformandosi in un importante agente modellatore di questi ultimi. Bisognerà dunque prestare più attenzione al ruolo dell’energia in tutto questo, poiché essa ha rivoluzionato l’organizzazione dei territori e il rapporto fra società umane e ambiente terrestre. 1.10) Estinzione di massa/biodiversità. L’Antropocene è anche una questione ecologica che raccoglie tutte le emergenze che nascono dall’impatto sulla biodiversità causato non solo dall’azione umana, ma anche dalle sue conseguenze, prima di tutte il cambiamento climatico. A causa della pressione antropica sugli ambienti ci troviamo in una fase di grande estinzione di massa di specie viventi: si tratta della sesta estinzione di specie viventi sul pianeta, la prima però causata dall’uomo. Siamo di fronte a una sfida per la geografia, perché questa estinzione è correlata direttamente a tutti i temi propri della geografia umana (globalizzazione, crescita demografica, urbanizzazione, sfruttamento delle risorse naturali, decisioni politiche e modelli culturali). Il tema dell’estinzione delle specie viventi diventa un nodo centrale nel rapporto uomo-ambiente: il processo coevolutivo tra esseri umani e ambiente terrestre ha infatti un impatto inimmaginabile sulla biosfera. Elaborare il cambiamento causato dall’estinzione delle specie viventi diventa dunque un tema centrale per la geografia umana e culturale. 1.11) Foreste. Passa proprio per le foreste il primo dei limiti concettuali che l’Antropocene tende a scardinare, ossia quello della divisione tra uomo e natura. Le foreste non sono altro che uno dei tanti modi in cui l’interazione dell’uomo con l’ambiente ha prodotto la superficie della Terra come la vediamo oggi. Tuttavia questa interazione è ben poco raccontata nei libri di geografia umana e fisica; è tempo di riscrivere i manuali di geografia e cominciare a cercare una narrazione nella quale l’ambiente è il risultato di interazioni con l’uomo e di cambiamenti, generati da questa interazione, che stanno diventando ogni giorno più evidenti. 1.12) Ibrido. L’ibridazione è innanzitutto tra natura e cultura; essa è l’insieme delle cose che intrecciano natura e uomo in modo inestricabile. La natura dell’Antropocene è ibrida, in quanto prodotto dell’attività umana che altera sistemi ecologici di base con effetti a cascata. Gli ecosistemi dell’Antropocene sono dunque sempre ibridi. 1.13) Irreversibilità. L’irreversibilità è la condizione dei processi ambientali trasformati dall’azione dell’uomo. Cambiano irreversibilmente i cicli geochimici, la composizione delle rocce, il clima, la disponibilità delle risorse naturali, la composizione dell’atmosfera e quindi, di conseguenza, anche lo spazio geografico. L’idea dell’irreversibilità è innanzitutto una presa d’atto: ogni tentativo di ritorno non è mai un ripristino di condizioni precedenti, ma il progetto di un’impronta nuova da dare a un territorio. 1.14) Luoghi di origine e tempi. Bisogna dare una identica rilevanza alla ricerca sia del momento sia del luogo dai quali la rivoluzione dell’Antropocene ha iniziato a espandersi. Se identifichiamo l’inizio dell’Antropocene con la capacità delle attività umane di trasformare in modo irreversibile il paesaggio terrestre rendendo impossibile una distinzione assoluta fra ciò che è opera umana e ciò che non lo è, Elisa Bosisio 7 quello della regione di Las Medulas in Spagna (dove si trovano una serie di miniere d’oro che i Romani sfruttarono intensamente a partire dal I secolo d.C.) potrebbe essere uno dei più antichi luoghi di inizio dell’Antropocene. Continuando a indagare dal punto di vista spaziale, altri luoghi potrebbero però rivaleggiare con questo: le piramidi degli antichi Egizi, la grande muraglia cinese e le rovine di Machu Picchu, ad esempio. Tuttavia, recentemente, sono state scoperte in Sudafrica le tracce di una civiltà scomparsa che ha estratto l’oro da miniere e modificato in modo irreversibile il paesaggio già almeno 70.000 anni fa (o forse addirittura 200.000). 1.15) Luoghi. Per un geografo il racconto dell’Antropocene dovrebbe iniziare basandosi sui cambiamenti dei luoghi. Quali luoghi del pianeta simboleggiano oggi l’Antropocene? • Venezia → si tratta di una città che racconta il legame di una comunità con un ambiente fragile e unico, ossia quello della laguna. Qui, il difficilissimo equilibrio tra l’ambiente e l’uomo viene oggi ulteriormente minacciato dall’innalzamento delle acque dei mari: ciò comporta la creazione di una laguna sempre più artificiale, a causa della sua gestione e conservazione attraverso le dighe del Mose e dell’impatto di turisti e navi da crociera. • Cernobil → si tratta del sito dove da un lato l’impatto geologico dell’azione umana è più rilevabile; dall’altro però l’intera area (senza più presenza umana) sta vivendo uno straordinario fenomeno di rinaturalizzazione. Cernobil è un involontario laboratorio sulla natura post- atomica, perfino rassicurante sulla straordinaria capacità di adattamento delle specie viventi. Da un lato questa vicenda ci fa pensare a quanto poco ancora possiamo dire con certezza delle capacità della natura di sopravvivere e mutare ai cambiamenti impressi dalla specie umana; dall’altro ci mostra come i luoghi possano cambiare irreversibilmente proprio per adattarsi all’azione umana. • Agbogbloshie (periferia di Accra, in Ghana) → qui si trova la più grande discarica di rifiuti tecnologici al mondo, all’interno della quale migliaia di persone lavorano per cercare di riciclare i metalli e le altre parti che possano avere ancora un valore. Anche qui vediamo un esempio di straordinaria capacità di adattamento, ma stavolta da parte degli esseri umani. Nel mondo esistono almeno 50 immense discariche che hanno sviluppato questa funzione insieme residenziale ed economica. I rifiuti, con la loro crescita incontrollata, sono certamente uno dei tratti centrali dell’Antropocene. • Dubai → da un lato si tratta dell’insostenibile prodotto della facile ricchezza generata dal petrolio, la risorsa naturale diventata simbolo dell’Antropocene; dall’altro sembra però poter rappresentare anche la via d’uscita, perché è stata costruita anche per immaginare un’economia alternativa a quella del petrolio. Il turismo porta soldi e il deserto è perfetto per produrre energia solare, oltre al fatto che l’acqua può essere ottenuta dissalando il mare con l’energia del Sole. Dubai è un laboratorio di futuro in quanto luogo di innovazioni in grado di poter cambiare il rapporto con l’ambiente. 1.16) Narrazioni/date. Per individuare l’inizio dell’Antropocene in geografia, i geografi dovrebbero far riferimento alle modifiche dell’ambiente della superficie terrestre e quindi all’uomo agente modificatore del territorio. Bisogna dunque far riferimento a quando ogni parte del pianeta è stata trasformata nei suoi paesaggi dalle conseguenze della territorializzazione umana e dell’impatto delle azioni umane sul cambiamento dei luoghi. Prendendo in considerazione questo aspetto, l’inizio dell’Antropocene può essere retrodatato almeno fino al 1492, data simbolica della scoperta dell’America e punto di inizio delle successive conseguenze. Fra queste, un fenomenale spostamento di Elisa Bosisio 10 passato è completamente interrotta e la varietà di usi differenti del suolo viene bruscamente meno). A rigore, soltanto quest’ultimo può essere definito propriamente un paesaggio dell’Antropocene. 2.2) Appunti per un repertorio essenziale di paesaggi antropocenici. Chiedere al paesaggio di darci una testimonianza esemplare dell’Antropocene significa sforzarsi di dare forma, visibilità e concretezza alle profonde trasformazioni innescate sugli ecosistemi terrestri dall’attuale, dominante, modo di produzione del mondo. Così facendo trattiamo il paesaggio come un indice capace di tradurre una serie di processi ad alta complessità in un’icona immediatamente riconoscibile. Certo, la traduzione in termini paesaggistici dell’Antropocene non può in alcun modo esaurirne la problematizzazione; tuttavia il paesaggio costituisce il grado iniziale, ossia il primo momento della conoscenza scientifica, fondamentale per catturare la nostra attenzione e aprire un orizzonte di ricerca. Fatta questa premessa, riteniamo utile individuare un certo numero di modelli o tipologie paesaggistico – territoriali contrassegnati da specifici processi di modellamento e produzione dello spazio terrestre, che per la loro forza e pervasività possono essere definiti “tipicamente antropocenici”: • Il primo gruppo presenta paesaggi a carattere urbano-industriale con megalopoli, metropoli e altre strutture insediative. Due esempi: - La drammatica testimonianza dell’inquinamento di El Cairo (Egitto) → è la città più inquinata al mondo. - La favela di Rio de Janeiro (la più grande al mondo) → il suo territorio è per lo più sotto il controllo di bande delinquenziali dedite al traffico di droga. • Il secondo gruppo mostra paesaggi di monoculture biotiche adibite al trattamento della materia vivente, con funzioni di approvvigionamento alimentare. Due esempi: - La più grande concentrazione di serre al mondo, che si trova a San Augustìn (Andalusia) → diversi studi e rapporti hanno rilevato la scarsa sostenibilità sociale di questa struttura: molti lavoratori sono immigrati provenienti dall’Africa e dall’Europa dell’Est che vengono assunti senza contratto fisso e senza garanzie e copertura sanitaria perché privi di documenti e alloggiati in baracche senza acqua e servizi igienici. - Le feedlots presso Bakersfield (California) → gli Stati Uniti sono i primi produttori mondiali di carne bovina e per soddisfare questa richiesta si persegue un modo di produrre che è oggetto di critiche da parte degli studiosi dell’Antropocene per i collegamenti con il cambiamento climatico, dovuti al consumo eccessivo di energia da fonti fossili, acqua, sostanze di sintesi e mangimi a base di cereali. • Il terzo gruppo denota paesaggi di monoculture abiotiche, adibite al trattamento della materia inanimata. Due esempi: - La lavorazione delle sabbie bituminose a Fort MacMurray (Canada) → per estrarre queste sabbie la terra è stata scavata ad oltre 60 m di profondità e l’impatto ambientale è molto forte: le popolazioni che vivono a valle del bacino del fiume Athabasca mostrano alti tassi di tumori rari, insufficienza renale, lupus e ipertiroidismo. - Una centrale elettrica a carbone presso Konin (Polonia) → le centrali elettriche polacche e tedesche occupano i primi sei posti nella classifica di quelle più inquinanti e sono responsabili del 30% delle emissioni di mercurio in Europa; il carbone, inoltre, è il combustibile fossile più inquinante ed è la prima fonte di emissioni di anidride carbonica che riscaldano l’atmosfera terrestre. 2.3) Paesaggi antropocenici e paesaggi metabolici. Quale storia, quale futuro? L’Antropocene trova le sue fondamenta spaziali nelle megalopoli e nelle monoculture. Elisa Bosisio 11 La colonizzazione della biosfera da parte della tecnosfera è avvenuta, almeno dalla Rivoluzione Industriale, con modalità agonistiche e antagonistiche, che si sono ripercorse sul paesaggio. Sono stati prodotti sistemi di utilizzo dell'ambiente globale con conseguenze che si manifestano in concomitanza col riconoscimento dei caratteri antropocenici del mondo attuale. Oggi tutto accade come se ci fossero due tendenze antitetiche e mutualmente esclusive: 1. La prosecuzione della tecnificazione del paesaggio alimentata dalle esigenze di crescita economica e tecnologica; 2. L’emergere di una logica di vitalizzazione, cioè la ricerca di un agire sociale che miri a soddisfare i bisogni degli esseri umani, preservando i sistemi naturali che lo sostengono. In cosa può consistere un agire territoriale lungimirante? Occorre soffermarsi sulla diversità che caratterizza le località in cui i residenti manifestano slanci verso il recupero di territori viventi sotto molti profili. Confrontarsi con le diverse configurazioni dell'Antropocene vuol dire tenere conto delle crisi globali collegate alla deterritorializzazione o dissoluzione dei luoghi, con il concorso di altri elementi problematici. 3. EDUCARE (GEOGRAFICAMENTE) ALL’ANTROPOCENE. UNA PROPOSTA DI AGENDA A PARTIRE DALLA “CARTA INTERNAZIONALE SULL’EDUCAZIONE GEOGRAFICA” (di Matteo Puttilli) 3.1) Come abitare il mondo oggi? La sfida educativa dell’Antropocene. Il concetto di Antropocene non è più una novità, ma esiste ormai un universo di progetti e iniziative artistiche e culturali che alimenta e afferma il dibattito sul tema. Discutere di Antropocene oggi significa confrontarsi con un universo di opinioni e di riflessioni di natura multidisciplinare che hanno già esplorato ampiamente i principali limiti e potenzialità. Il concetto di Antropocene è per lo più un termine-ombrello o parola chiave, in cui si ritrovano diverse letture del complesso rapporto uomo- ambiente. La sfida posta dal concetto di Antropocene si definisce nei termini di una provocazione culturale che riporta al centro dell'attenzione la domanda su cosa voglia dire abitare un mondo in cui l'uomo partecipa alle trasformazioni del pianeta, con implicazioni etiche, politiche, sociali, economiche e ambientali. La geografia offre un contributo nell’educare all’Antropocene, vale a dire per formare soggetti consapevoli delle ripercussioni globali e trasversali delle azioni umane e per responsabilizzarli nei confronti del pianeta. 3.2) L’Antropocene nella Carta Internazionale sull’Educazione Geografica. La Carta Internazionale sull’Educazione Geografica (2016) è un documento internazionale promosso dalla Commissione Geografica dell’Unione Geografica Internazionale (UGI). La carta è un documento d’indirizzo sui temi, sui problemi e sule sfide legate all’educazione geografica nel mondo e rappresenta, pertanto, un fondamentale riferimento anche per una riflessione sull’educazione geografica all’Antropocene. Per declinare il tema in una prospettiva geografica, troviamo ampi richiami nel paragrafo “Il contributo della geografia all'educazione”. Qui si trovano quattro passaggi chiave che hanno un forte rapporto con l'Antropocene: • Riconoscimento dell'unitarietà di società e ambiente, che operano congiuntamente nella trasformazione della Terra (condizione preliminare e fondativa dell'approccio geografico); Elisa Bosisio 12 • L’azione trasformativa dell’uomo sulla terra non è omogenea né univoca. Si applica in tanti modi diversi quanti sono i luoghi che l'uomo ha contribuito a costruire e trasformare; • Le forme e i modi in cui i luoghi e i paesaggi della terra sono abitati non dipendono soltanto del rapporto con l’ambiente fisico, ma anche dalle relazioni reciproche tra le diverse società e le diverse culture; • Comprendere, capire e apprezzare i modi in cui la terra è abitata e trasformata costituisce la principale missione educativa della geografia, specialmente per la consapevolezza delle conseguenze delle azioni e decisioni umane. La geografia contribuisce al dibattito mettendo in luce come sotto lo stesso termine ricadano problemi di natura diversi e che operano a scala geografica differente. La Carta enfatizza il contributo educativo della geografia nel formare soggetti consapevoli e responsabili, capaci di riflettere sulle conseguenze delle proprie decisioni e in grado di migliorare i propri contesti di vita. Le questioni sollevate dal tema sono talmente vari che non è pensabile che una sola disciplina possa farsene carico in modo esclusivo, ma grazie alla propria flessibilità e trasversalità, la geografia può assumere una collocazione centrale nell’ambito dell’educazione in tal senso. 3.3) Un’agenda geografica per educare all’Antropocene. É possibile tracciare un'agenda geografica per educare all’Antropocene, che si articola in quattro principi educativi fondamentali: 1. TERRITORIALIZZARE L’ANTROPOCENE → Il discorso sull'Antropocene rischia di essere inefficace se inteso solo in una prospettiva globale e priva di riferimenti spaziali e contestuali che siano in grado di esemplificare tutte le declinazioni possibili del concetto. Il primo compito di un'agenda geografica è quindi la territorializzazione, cioè agganciare il tema a situazioni e casi territorialmente definiti, che facciano vedere ed evidenziare i diversi ordini di problemi posti dal modo in cui il pianeta è abitato e trasformato dall'uomo. L'idea alla base è l'educazione al territorio, cioè la convinzione che nel riferimento al territorio trovino spazio e naturale convergenza le diverse sfide educative della geografia, tra cui l'Antropocene. Fare educazione all’Antropocene attraverso l’educazione al territorio significa trasmettere la consapevolezza che ogni problema di ordine sociale, ambientale, economico, così come ogni possibile soluzione, ha anche una imprescindibile dimensione geografica e spaziale, di cui tenere conto. Pensare spazialmente significa interrogarsi su dove i fenomeni accadano e su cosa possiamo apprendere da ciò che accade nei diversi contesti territoriali. 2. PERSONALIZZARE L’ANTROPOCENE → Un rischio legato alla rappresentazione corrente dell’Antropocene è che i processi e i fenomeni sano percepiti come astratti, freddi e lontani dall’esperienza quotidiana di ognuno di noi o che dipendano da scelte politiche su cui è difficile incidere. Educare geograficamente all’Antropocene significa anche rendere possibile un’appropriazione dei problemi “antropocenici” su un piano personale e prima di tutto affettivo, emozionale e motivazionale. Con questa personalizzazione è possibile costruire la consapevolezza e la responsabilità verso il pianeta che è uno dei principali obiettivi dell'educazione geografica all'Antropocene. La riflessione sulla “geografia delle emozioni” ha dimostrato che non può esserci conoscenza del mondo senza coinvolgimento emozionale e come le emozioni forniscano un senso al nostro stare al mondo, incluse le relazioni con noi stessi e col mondo. Come sostiene Ann Bartos, per prendersi cura di qualcosa, bisogna occuparsene, interessarsene, averla a cuore. Se non si percepisce un problema come proprio non è possibile farsene carico. È sufficiente aver preso parte ad un “Fridays for Future” (dal 2018) per rendersi conto della passione e creatività con cui i manifestanti si fanno interpreti dell'urgenza di un cambio di atteggiamento da parte dei politici nei confronti del clima e dei temi ambientali. Elisa Bosisio 15 multidimensionali: è oggi possibile raccogliere ed elaborare con precisione i dati sul cambiamento climatico-ambientali e interpretare a varie scale spazio-temporali le varie relazioni uomo-natura. Le nuove tecnologie sono di supporto sia all’analisi del contesto geografico-fisico generale, sai all’indagine locale, tramite il rilevamento delle forme e il monitoraggio dei processi morfogenetici. Con questi strumenti è possibile cartografare e interpretare la dinamica ambientale che quotidianamente interagisce con l’attività dell’uomo sul territorio. In una tipica sequenza di ricerca l'inquadramento regionale fornisce le dimensioni e i contorni geografici dell'area in cui analizzare un problema geomorfologico, meglio definita e delimitata a scala locale con modelli digitali del terreno e ortofotografie. Lo studio di terreno e la cartografia geomorfologica esprimono sinteticamente le relazioni tra forme e processi presenti, evidenziando i fenomeni in cui l'attività morfogenetica può rappresentare un pericolo per la stabilità del paesaggio ed un eventuale rischio per l'uomo. I risultati dell'indagine possono essere estrapolati per interpretare gli effetti regionali del cambiamento, definito con precisione su area vasta anche grazie all'analisi di serie storiche di dati. Gli inventari e le sintesi regionali possono confluire nelle infrastrutture di dati usate per la modellizzazione dei processi globali e per la ricostruzione di scenari evolutivi a vario termine. La geomorfologia svolge un importante ruolo nella scienza del sistema Terra in quanto fornisce le basi per comprendere la natura delle diverse forme che condizionano l'ambiente superficiale in cui si sviluppa la biosfera e per interpretare a dinamica dei processi superficiali con cui l'uomo vorrebbe interagire in modo sostenibile. 4.2) Cronologia dell’uomo e della natura. Per descrivere in modo univoco la storia della Terra, gli scienziati si servono della scala dei tempi geologici prodotta dalla Commissione Internazionale di Stratigrafia: è uno strumento in continuo aggiornamento, suddiviso in unità geocronologiche che descrivono lo scorrere del tempo in modo coerente per tutto il pianeta. Queste suddivisioni sono materializzate in particolari corpi rocciosi definiti unità cronostratigrafiche, riconoscibili per il loro contenuto e la discontinuità che le delimitano, rendendole correlabili alla scala locale e globale. Osservando le unità della scala dei tempi geologici risulta evidente che la scansione cronologica aumenta progressivamente di dettaglio avvicinandosi al presente. Noi oggi viviamo nell'Olocene, nel Quaternario, nel Cenozoico. Per convenzione, i tempi geologici sono misurati in milioni di anni e la scala inizia dal “tempo presente”: ciò pone alcuni problemi di sincronizzazione e di sintonia con la misurazione dei tempi della storia umana: • Il tempo presente cambia: bisogna scegliere un valore standard di riferimento per l'inizio del conteggio dei milioni di anni; • Problema geocronologico: la data di inizio della scala di età è stata posta al 1° gennaio 1950. Dopo questa data è difficile ottenere datazioni al radiocarbonio, a causa dei test nucleari in atmosfera. 4.3) Antropocene: tempo di cambiamento e luogo di incontro. Il riconoscimento dell'Antropocene è subordinato all'individuazione nelle successioni stratigrafiche di un limite riconoscibile a scala globale che testimoni il passaggio tra due momenti della storia della Terra ben diversi tra loro. Gli studiosi si sono quindi messi a cercare i segnali antropici più facilmente riconoscibili a scala planetaria, in particolare su due aspetti: • Aspetti evolutivi: quali processi antropici possono produrre un record stratigrafico? Si può individuare un limite geologico? Quando si colloca? • Aspetti funzionali: come si modificano le dinamiche dei processi terrestri per effetto dell’uomo? Che rischi ne derivano? Le ricerche hanno confermato la necessità di una sintesi tra i risultati delle due direttrici, per una Elisa Bosisio 16 definizione e collocazione condivisa dell'Antropocene: è necessario interpretare i segnali registrati nelle componenti delle sfere terrestri in funzione dei relativi processi naturali e antropici, per comprendere quali siano in grado di provocare cambiamenti. L'Antropocene diventa anche luogo di incontro tra le scienze: tutte le ipotesi hanno comportato una profonda analisi comparata degli aspetti evolutivi e funzionali del cambiamento globale. Gli aspetti relativi alle tre ipotesi più accreditate: 1. L’ipotesi di un antropocene precoce: il suo inizio, posto circa 5.000 anni dal presente, è registrato in una carota di ghiaccio della Groenlandia sotto forma di drastico aumento del metano e di anomalie di CO2 atmosferica. Questi segnali indicherebbero i primi impatti globali dell’agricoltura estensiva, in particolare la coltura del riso. 2. L’ipotesi culturale dell’Antropocene: il suo inizio nel 1610 è registrato nella carota del ghiaccio antartico della Law Dome, sotto forma di calo della CO2 atmosferica e di anomalie della temperatura globale rispetto alla media nel periodo 1961-90. Questi effetti sarebbero la testimonianza dell’abbandono delle terre coltivate, del declino di grandi centri abitati e dell’espansione della copertura forestale nel continente americano, conseguenze dell’incontro/scontro fra i popoli del vecchio e del nuovo mondo; 3. L’ipotesi bomba nucleare: l’inizio risale al 1964 circa. Gli effetti degli esperimenti in atmosfera del relativo fall-out atomico globale sono registrati in diversi marker ambientali: picco del radiocarbonio atmosferico negli anelli degli alberi e altre anomalie radiometriche nei sedimenti marini e terrestri. Tra le conseguenze ci sono anche il rapido aumento della CO2 atmosferica. La geografia svolgerà un ruolo fondamentale per il suo carattere interdisciplinare. Dall'incontro tra geografia fisica e umana si ricavano elementi indispensabili per descrivere ed interpretare l'impatto dell'uomo sulla natura. 5. CAMBIAMENTO CLIMATICO E ANTROPOCENE: VERSO UNA RICONFERMA O UNA NUOVA FASE? (di Marco Bagliani e Antonella Pietta) 5.1) Antropocene e cambiamento climatico. Il cambiamento climatico è un argomento centrale nella riflessione sull'Antropocene di questi ultimi anni. Con un articolo su “Nature” (2002), Crutzen sistematizzava la riflessione sul ruolo degli esseri umani nel modellare il pianeta, come altre forze geologiche. Egli proponeva una nuova era, l'Antropocene, in concomitanza con la Rivoluzione Industriale, causa di numerose modificazioni ambientali a scala planetaria; quella più significativa è il riscaldamento globale, causato dalle emissioni di gas serra. Diverse analisi hanno dato voce ad un intenso dibattito, soprattutto rispetto alla determinazione dell'inizio dell'Antropocene. Ruddiman in “Early Anthropogenic Hypotesis” focalizza l'attenzione sulle variazioni della concentrazione atmosferica dei due più importanti gas serra (metano e biossido di carbonio) nel periodo dalla rivoluzione agricola a quella industriale. L'autore nota uno scostamento tra le previsioni sulle dinamiche prettamente naturali a quelle effettivamente misurate; le attività umane hanno quindi influenzato la presenza di gas serra già prima della rivoluzione industriale. Già 8.000-9.000 anni fa, già la pratica di tagliare e bruciare foreste per ottenere appezzamenti coltivabili aveva portato ad un alto aumento di biossido di carbonio. Qualche secolo dopo anche l'utilizzo dell'irrigazione per la risicoltura aumentava i livelli di questo gas. Un gruppo di ricercatori, tra cui Crutzen, propone un'analisi degli impatti antropici sul pianeta Terra, proponendo una nuova periodizzazione divisa in 3 momenti distinti: Elisa Bosisio 17 1. L’Antropocene propriamente detto, con una massiccia influenza antropica sull'ambiente, che viene fatto iniziare con la Rivoluzione industriale o comunque dal 1850 in poi; 2. Il Paleantropocene va dalla comparsa dei primi ominidi e, soprattutto, dalla Rivoluzione agricola, fino a quella industriale, con l'azione umana precedente alla rivoluzione industriale; 3. Una fase ancora precedente in cui non si riscontra un’influenza umana. Il cambiamento climatico è uno degli impatti dell'azione umana che alcuni studiosi collocano già dalla rivoluzione agricola, mentre altri dalla rivoluzione industriale. Questo fenomeno è anche particolarmente esteso, intrinsecamente globale, perché le dinamiche alla base del clima terrestre dipendono dalla scala globale, planetaria. Ogni azione locale che ha effetti sugli equilibri climatici influenza le dinamiche climatiche a scala globale. Alla base del riscaldamento globale vi sono molti comportamenti quotidiani differenti, che vanno dal produrre e consumare energia elettrica allo spostarsi in automobile, dal coltivare riso e mangiare carne, dal riscaldarsi, smaltire i rifiuti e molto altro. 5.2) Il cambiamento climatico. L'Intergovernmental Panel of Climate Change (IPCC) ha il compito di valutare le informazioni scientifiche rilevanti rispetto ai cambiamenti climatici indotti dall'uomo e raccoglie e sintetizza in rapporti periodici le ricerche pubblicate in questo campo. Il quinto rapporto dell’IPCC afferma che il cambiamento climatico è inequivocabile, sin dalla fine del XIX secolo, e può essere provocato sia da cause naturali che antropiche. Le cause naturali possono essere: cambiamenti della quantità di energia emessa dal Sole; piccole variazioni dell'orbita terrestre; caduta di meteoriti, eruzioni vulcaniche, ecc. Gli esperti però sostengono non siano i maggiori responsabili dell'attuale innalzamento delle temperature Essi però riconoscono che i fattori di origine umana siano le cause dominanti del riscaldamento climatico oggi in atto, osservando che le attività umane dal 1951 al 2010 hanno causato più della metà dell'aumento della temperatura superficiale media globale. Cause antropiche: • emissioni di gas serra (trattengono le radiazioni infrarosse in uscita dalla Terra, agendo come una serra che trattiene il calore all'interno); • aerosol e polveri; • cambiamenti di destinazione d'uso dei suoli; I maggiori gas serra sono il biossido di carbonio (CO2), metano (CH), protossido di azoto (N2O) e altri in percentuali minori. Dal quinto rapporto dell’IPCC emerge il contributo dei diversi settori economici all'emissione di gas serra al 2010: il settore energetico che emette soprattutto CO2, mentre circa ¼ è causato dal settore agricolo e forestale. Le lavorazioni industriali, i trasporti e gli edifici sono responsabili in misura minore. Esiste un grande divario tra Stati a medio e basso reddito: gli ultimi mostrano quasi solo emissioni dai settori agricolo e forestale, con un trend il leggera crescita. Quelli più ricchi vedono una riduzione del settore agricolo e un aumento delle emissioni da parte del settore dell'energia e dei trasporti. 5.3) Le politiche per il cambiamento climatico. Per riflettere sulle relazioni tra cambiamento climatico e Antropocene bisogna considerare le politiche a contrasto del riscaldamento globale. In generale di distingue fra politiche di mitigazione e di adattamento. Le prime mirano a eliminare le cause del riscaldamento globale mentre le seconde puntano a limitarne gli effetti. Le politiche di mitigazione offrono spunti per analisi interessanti per la riflessione sul concetto di Antropocene in relazione al cambiamento climatico. Ripercorrendo le tappe dello sviluppo delle politiche di mitigazione si possono distinguere cinque periodi: Elisa Bosisio 20 - Cirrus cloud thinning: rendere più sottili e trasparenti le nubi alte dette cirri, per ridurre la loro capacità di esercitare effetto serra. Vengono iniettati agenti chimici che provocano le formazioni di gocce d'acqua. Impatti possibili: intensificazione del ciclo idrologico, cambiamenti nelle nubi basse, diminuzione dell'umidità troposferica; - Ground-based albedo modification: cambiare artificialmente la capacità riflettente di parte della superficie terrestre, ad esempio colorando di bianco i tetti o coprendo ghiacciai e deserti con teli che riflettono la luce solare, cambiando la riflettività dell'oceano, modificando le tecniche di coltivazione, ecc. Ha impatto sulle precipitazioni nelle zone monsoniche e sulla riduzione delle ondate di calore. Sono tutte metodologie che puntano ad obiettivi ambiziosi e difficili da raggiungere. La maggior parte di questi metodi ha la concreta potenzialità di dare luogo a effetti collaterali negativi irreversibili, perché modificano i meccanismi fisici alla base del funzionamento del sistema climatico globale. Queste metodologie vengono quindi considerate solo come misure supplementari e per periodi limitati, con lo scopo di riportare sotto i 1,5°C le temperature salite al di sopra. 5.5) Conclusioni. Verso una nuova fase dell’Antropocene o verso una sua riconferma? Per ragionare sui possibili sviluppi delle politiche di limitazione del riscaldamento globale vengono illustrate tre diverse possibilità di evoluzione, anche se potranno esserci dinamiche miste tra i diversi scenari: 1. Nessuna immediata decarbonizzazione, ma riduzione delle emissioni progressive, se non lente o nulle. È una congettura possibile, indicata come business as usual. Questi scenari portano ad un intervallo di stime di riscaldamento sicuramente superiori ai 2°C, così che si supereranno i 4°C. Ciò provocherebbe impatti sui sistemi fisici, ecologici, socioeconomici difficilmente immaginabili ad oggi. 2. L'umanità potrebbe optare per una forte e immediata accelerazione delle politiche di mitigazione, che porti ad una diminuzione delle emissioni di gas serra e ad un loro azzeramento entro metà secolo. Potrebbe essere possibile limitare il riscaldamento a 2°C e forse fino a 1,5°C. 3. Massiccio ricorso alle metodologie di geoingegneria prima illustrate, che puntino a mantenere la temperatura planetaria entro limiti accettabili nonostante i livelli di gas serra in atmosfera. È interessante rileggerle alla luce della riflessione sull'Antropocene: - Business as usual: una riconferma delle dinamiche che hanno portato alla definizione dell'Antropocene, in cui il ruolo degli umani è quello di una forza geologica planetaria in grado di portare cambiamenti drammatici e irreversibili nel funzionamento climatico. - Se si avverasse l'accelerazione delle politiche di mitigazione, gli esseri umani dimostrerebbero di cambiare gli equilibri globali planetari in modo responsabile, per cercare di limitare i danni e riportare il sistema climatico al suo precedente equilibrio (Neoantropocene). - Se la geoingegneria non provocasse effetti collaterali, anche questo scenario porterebbe al Neoantropocene. È però possibile che l'uso di questi metodi vada a vantaggio di singoli soggetti o gruppi di potere, provocando squilibri peggiori di quelli che si vorrebbero curare. Elisa Bosisio 21 6. LE MIGRAZIONI E L’ANTROPOCENE (di Fabio Amato) 6.1) La centralità delle migrazioni internazionali. Dal 2015 il tema delle migrazioni internazionali è diventato centrale nelle agende politiche degli Stati europei, ma anche negli Stati Uniti. Questo fenomeno è articolato e spazialmente diffuso e non può essere circoscritto. Negli ultimi decenni le politiche migratorie si sono trasformate a causa di molteplici fattori: la crisi economica nata negli USA nel 2008 e diffusa in tutti i paesi OCSE, gli effetti delle primavere arabe che hanno interessato Medio Oriente e il Nord Africa, la crisi ucraina. Nello scacchiere internazionale emergono nuove aree di potenziale emigrazione: Iraq, Afghanistan, Siria, Somalia, Sudan, Yemen, Libia. Viste le condizioni di fragilità sociale ed economica dei paesi del Sud del mondo si capisce l'incremento dei migranti, passati da 173 milioni nel 2000 a 258 milioni nel 2018, aumentando del 18% negli ultimi 18 anni. Il continente asiatico e quello europeo ne ospitano quasi il 60%, seguiti dalle Americhe e dall'Africa. Per Braudel il ruolo delle migrazioni è sempre stato rilevante nella storia della presenza umana sulla terra. La progressiva occupazione del pianeta è dovuta alla capacità di riprodursi e accrescersi e la capacità di muoversi e migrare. Senza migrazioni non avremmo avuto la civilizzazione, e il conseguente impatto sulla superficie terrestre sempre più rilevante. Le migrazioni nel XIX secolo hanno accelerato il numero degli spostamenti, grazie al miglioramento della tecnologia e alle interconnessioni. Gli ultimi decenni sono ricordati come quelli maggiormente interessati dal processo migratorio, ma è tra il 1850 e il 1920 che si è assistito al più grande movimento di popolazione in proporzione al numero di abitanti della Terra: a cavallo del Novecento si è mosso il 5% della popolazione mondiale, mentre oggi il movimento è intorno al 3,3%. La maggior parte delle migrazioni dai paesi del Sud è guidata dalla mancanza di sicurezza umana, espressa in impoverimento, ineguaglianza, violenza, negazione dei diritti umani e strutture statali deboli. 6.2) Disastri ambientali e migrazioni. Se osserviamo le ripercussioni dell'azione dell'uomo sulle migrazioni, la connessione a cui si guarda è tra cambiamento climatico e migrazione. Oggi, molte questioni ambientali possono essere ritenute responsabili dello sfollamento e delle migrazioni e di solito sono raggruppate secondo la dinamica temporale della catastrofe (evento imprevedibile e non controllabile) che le ha generate. Esistono casi di insorgenza lenta (desertificazione, degrado del suolo, ecc) e insorgenza rapida (cicloni tropicali, forti piogge, ecc). Un filone di studi ritiene che i principali fattori ambientali che possono causare spostamenti che diventeranno più significativi a causa del cambiamento climatico antropogenico sono la maggiore potenza e frequenza di tempeste e inondazioni, la siccità e la desertificazione, oltre all’innalzamento del livello del mare. Questo filone ha avuto molto seguito, producendo un incremento della letteratura accademica, della letteratura grigia e dei report da parte di istituzioni internazionali e di ONG. Secondo Crutzen e Stoermer stiamo vivendo in un'epoca geologica in cui i modelli di produzione e consumo determinano equilibri e squilibri ambientali: le attività umane alterano le forze della natura e hanno ripercussioni sulla mobilità delle persone. Siccità, desertificazione, progetti urbani possono essere imputati di una discreta mobilità che non è ben definita terminologicamente né giuridicamente: i punti critici riguardano l'estensione del fenomeno, le aree coinvolte, le cause, ecc. Spesso si parla di migranti ambientali, profughi ambientali o profughi climatici, anche se la Convenzione di Ginevra riconosce lo status di rifugiato a chi è perseguitato per razza, religione, cittadinanza, appartenenza sociale o per opinioni politiche. Sul tema si sono distinti due gruppi di studiosi della mobilità ambientale, che possono dividersi in allarmisti e scettici. Al centro dell'attenzione c'è il Sud globale e la sua vulnerabilità: i territori dell'Africa subsahariana, il Elisa Bosisio 22 subcontinente indiano e l'area del Pacifico sono ricorsivi per gli allarmisti. Per il filone di studio minimalista il tema delle migrazioni dovrebbe essere letto come un fenomeno sociale, economico, geopolitico non esclusivamente legato alla dimensione ecologica o della protezione umanitaria. L'Africa subsahariana è al centro di riflessioni che riguardano la prospettiva di un'Europa invecchiata e spopolata che diventerà terra di invasione di un'Africa giovane, che porta ad ipotizzare che nel 2050 l'Europa sarà popolata da 150/200 milioni di afroeuropei. 6.3) La naturalizzazione delle categorie di Antropocene. Secondo l’Internal Displacement Monitoring Centre, nel 2018 si sono registrati ben 28 milioni di sfollati in correlazione con conflitti e disastri climatici. Le aree maggiormente colpite sono l'Asia Orientale, il Pacifico e l'Asia meridionale. Dal 2008 al 2014, oltre 150 milioni di persone sono state costretti a spostarsi per eventi meteorologici estremi. Le cause degli sfollamenti per motivi ambientali sono all'85%: si tratta di uno dei più recenti scenari su cui si fonda la letteratura massimalista sulle migrazioni. Dietro questi rapporti si celano ipotesi di scenari futuri in considerazione dell'aumento della temperatura. La Nansen Intitiative on Disasters, Climate Change and Cross-Border Displacement ha promosso a Ginevra un incontro di consultazione globale con l'UNHCR e l'OIM per discutere di cambiamento climatico e delle risposte politiche da fornire, tratteggiando spaventosi futuri per l'Occidente. Nel Quinto Rapporto del 2014, il gruppo di lavoro IPCC II ha sottolineato la pluricausalità e la natura complessa della migrazione ambientale. Fattori socioeconomici, misure di adattamento e scenari di cambiamento climatico hanno un ruolo fondamentale. L'IPCC prevede un aumento dello sfollamento di persone e definisce le regioni del mondo più colpite dai cambiamenti climatici: L'Artico, l'Africa, le piccole isole, i mega delta asiatici e africani. Il cambiamento climatico e i disastri in generale fanno riferimento a mobilità forzate interne ad alcuni paesi; ciò lascia presupporre che i flussi migratori internazionali siano solo un'ipotesi. Due considerazioni: • La prima scelta delle persone non è allontanarsi dal proprio paese; • Chi invece paga il vero prezzo è colui il quale, in condizioni di estrema fragilità, non riesce a muoversi. Dietro le mobilità internazionali esistono progetti di consapevolezza che impediscono alla povertà assoluta di muoversi. Il Sud globale è sempre più il luogo della preoccupazione morale occidentale, citando il geografo Dennis Cosgrove per cui bisogna farsi carico dei drammi di persone incapaci di agire. Inoltre, sempre più spesso, le migrazioni sono considerate una minaccia o un problema e si sottolinea poco che i disastri ambientali colpiscono anche il Nord del mondo (1,2 milioni di sfollati non oggetto di scenari catastrofici). La pluralità delle cause di migrazioni del XXI secolo pone domande su temi sociali, economici, ambientali, sollecitando le relazioni tra Nord e Sud del mondo e le categorie di giustizia legate alla vulnerabilità e accessibilità delle risorse. In alcuni contesti scientifici questi effetti ambientali sono dettati dagli esiti del sistema economico imperante. La tematica dell'impronta ecologica e la possibilità per una parte della popolazione mondiale di proseguire lo sfruttamento delle risorse per salvaguardare certi livelli di consumo si correlano con un forte deficit ecologico che impatta maggiormente nelle aree più svantaggiate del mondo in termini socioeconomici (Capitalocene). 6.4) E allora sono tutti migranti ambientali? Le migrazioni hanno assunto aspetti e connotazioni più articolate dal XIX secolo in poi e ciò negli ultimi quarant'anni ha subito un'accelerazione tale da essere definita era delle migrazioni. Questo è dovuto al fatto che la crisi ambientale produce esiti drammatici in più contesti la cui soluzione richiede tempo e un'inversione di rotta della logica di Elisa Bosisio 25 Tesson, immerso nel paesaggio siberiano, avverte la capacità di resistenza delle aree meno toccate dalla presenza umana: “[...] Qui la natura non sarà mai sottomessa; esiste solo a beneficio delle anime prive di ogni ambizione. La taiga non si presta ai progetti di fertilizzazione. […] Qui, in questo anfiteatro, gli elementi regnano per l'eternità. C'era stata qualche lotta ai tempi del magma, ma ora regna la calma. Il paesaggio è il riposo della geologia”. Lo sfruttamento delle risorse naturali da parte dell'uomo è uno dei cardini definitori dell'Antropocene, non sempre materialmente percepibile e rilevante, che produce anche un forte impatto sulla qualità della vita e sulla cultura. Tesson indica la perdita del senso estetico come un aspetto caratterizzante della nostra epoca: “Come nasce il cattivo gusto? […] La corsa dei popoli verso il brutto rappresenta il principale fenomeno della modernizzazione. Per rendersene conto basta girare una città cinese, osservare i nuovi codici di decorazione delle Poste francesi o il modo in cui si vestono i turisti. Il cattivo gusto è il denominatore comune dell'umanità”. L'Antropocene è caratterizzato da una perdita di gusto in cui l'abbandono del senso estetico segna uno scadimento dell'aspetto esteriore delle cose, ma anche un sintomo del malessere esistenziale profondo. Occorrerebbe uscire da un'ottica che mette l'uomo al centro del mondo; bisogna recuperare una visione più ampia, in grado di apprezzare il ruolo del mondo inanimato, quello vegetale e quello animale che dispiegano le loro bellezze attorno a noi. Tesson identifica poi i valori che caratterizzeranno l'esistenza nel prossimo futuro: “Il freddo, il silenzio e la solitudine sono condizioni che un giorno si pagheranno a peso d'oro. Su una terra sovrappopolata, surriscaldata e rumorosa una capanna in una foresta è l'eldorado. 1500Km più a sud ribolle la Cina dove un miliardo e mezzo di esseri umani tra non molto resterà senza acqua, senza boschi, senza spazio. Vivere tra alberi d'alto fusto vicino alla più grande riserva d'acqua dolce del mondo è un lusso. Un giorno lo capiranno anche i petrolieri arabi, i nuovi ricchi indiani e gli uomini d'affari russi che combattono la noia nei saloni di marmo dei grandi alberghi. Allora sarà tempo di salire verso latitudini più alte e spostarsi nella tundra. La felicità abiterà oltre il 60° parallelo Nord”. Helene Grimaud ragiona sul fatto che la paura non possa essere l'unico punto di partenza per strutturare un cambiamento radicale e sentito. L'educazione ad un comportamento più responsabile non può avvenire solo con una prospettiva catastrofica, ma deve essere basato su un apprezzamento e una valorizzazione consapevole nei confronti delle forme di vita non umane e dell'equilibrio ecologico dell'ecosistema terrestre. 7.4) Prospettive didattiche per l’utilizzo della letteratura nello studio dell’Antropocene. La fonte letteraria è un proficuo luogo di riflessione per pensare le caratteristiche dell'antropocene. Si può comporre un mosaico di punti di vista, annotazioni, suggerimenti che rendano complessa l'analisi del concetto stesso. L’utilizzo congiunto dell'insegnamento della geografia e della letteratura sembra dunque costituire un promettente strumento di comunicazione riguardo alla complessità delle questioni in gioco nella discussione su queste tematiche. La profondità storica della produzione letteraria permette di indagare, attraverso un approccio ecocritico, l'affermarsi di una sensibilità ecologica che ha portato alla messa a fuoco del concetto stesso di antropocene. La dimensione comparatistica della letteratura permette un'analisi delle aree sociali e culturali in cui il pensiero sull'antropocene si consolida e diffonde. Attraverso il coinvolgimento dei testi letterari, si crede dunque sia possibile non soltanto fornire un ampliato repertorio di immagini, informazioni e contesti di ambientazione narrativa, ma anche proporre uno sguardo critico in grado di leggere con attenzione i processi in corso, di decodificarli e analizzarli in una crescita di consapevolezza che appare eticamente doverosa. Elisa Bosisio 26 7.5) Conclusioni. Il potenziale successo del termine Antropocene risiede in un'accresciuta comprensibilità del termine stesso. L'interesse nei confronti di questa parola non può non affondare in una sensibilità verso le problematiche ecologiche che stanno diventando protagoniste nel paesaggio mediatico e ideologico attuale. Il termine dovrebbe entrare nel linguaggio giornalistico, in quello politico e nelle sedi istituzionali dove si possono e si devono prendere decisioni di contrasto all'inquinamento, alla base dei cambiamenti climatici contemporanei. Elisa Bosisio 27 PARTE SECONDA Casi e luoghi della geografia dell’Antropocene 8. FIGURA DELL’ANTROPOCENE NEGLI OLIVI DI PUGLIA (di Michele Bandiera) Le vicende legate alla Xylella Fastidiosa in Puglia sono una manifestazione di alcuni caratteri fondamentali legati al discorso sull'antropocene. Si parlerà di tre figure: - piantagione; - ibrido; - politiche del non-umano. 8.1) La Puglia come giardino. La piantagione, forma e distanza estetica. In Puglia l’olivo caratterizza l’economia, l'identità, le tradizioni, permea e invade moltissime forme della vita sociale e della storia. Lo spazio viene quindi organizzato nel modo più efficiente possibile in ottica produttiva. Tuttavia, questa semplificazione ecologica porta forme di spoliazione e alienazione: la piantagione monocolturale. Donna Haraway a tale proposito propone il concetto di Plantationocene, cioè l’era delle piantagioni. I processi di alienazione, sfruttamento e spoliazione che hanno accompagnato questa forma colturale sono caratterizzate dall'ingerenza della razionalità spaziale moderna, che vede lo spazio come astratto e uniforme. La piantagione ci porta nell'intersezione tra il disciplinamento delle persone e quello delle piante. Il concetto di Plantationocene impone di porre l'attenzione sulla coltivazione di cibo e sulla piantagione come sistema di lavori forzati multispecie. La piantagione prepara il campo per la proliferazione di alcuni e l'eliminazione di altri e riorganizza la vita delle specie nel mondo. La piantagione richiede un genocidio o una rimozione, o qualche forma di cattività, e il rimpiazzo della forza lavoro locale con altre venute da fuori in modo violento (vincoli contrattuali, contratti ineguali o schiavitù assoluta). A partire dal Settecento alcuni personaggi illustri si interessano alle malattie dell'olivo e alle tecniche per incrementare la produzione combattendo la misera condizione dei braccianti. Negli stessi decenni, Carlo III di Borbone promosse l'intensificazione della coltivazione di olivo in Puglia con le defiscalizzazioni ed una riforma fondiaria. La richiesta di olio per lubrificare le macchine per la filatura del cotone dell'industria tessile nordeuropea incentiva gli impianti di nuovi olivi. L'olivicoltura si inserisce in un sistema sociale polarizzato che poteva contare sulla manodopera bracciantile come lavoro a bassissimo costo e in mano inglese. Ad oggi la Puglia presenta un paesaggio di tipo pezzato: coltivazioni biologiche di olio di oliva di altissima qualità si alternano a coltivazioni ancora orientate alla vendita di olio per altri fini oltre a quello alimentare, fino ad arrivare a campi abbandonati. L'olio è presente in molti diversi prodotti e può assumere diverse ed eterogenee forme. A differenza di ciò che si può pensare, la produzione di olio è lontana dall'essere completamente dedicata all'olio extravergine d'oliva. Nel Settecento l'olio era usato come lubrificante per le macchine tessili e, con l'invenzione della pressa idraulica, si iniziò ad Elisa Bosisio 30 comunità. 9.1) Cenni teorici sull’Antropocene. Zalasiewicz e i suoi collaboratori offrono gli strumenti essenziali necessari per definire l'Antropocene come epoca geologica successiva all'Olocene. Emerge però il problema della datazione dell'Antropocene: c’è chi parla di un'accelerazione dei processi a metà del XX secolo e chi invece parla di PaleoAntropocene, cercando nella preistoria i segni della capacità trasformativa dell'uomo. È a tal proposito interessante la posizione di chi parla di Early Anthropogenic Hypotesis, pensando che l'Antropocene sia iniziato con la Rivoluzione agricola neolitica. Essi sostengono che, attraverso evidenze scientifiche derivate da concentrazioni di gas serra in atmosfera, l'avvio delle attività agricole abbia modificato le concentrazioni segnando nel tardo Olocene un impatto antropico sulle dinamiche chimiche terrestri. Si tratta di una posizione interessante che permette di approcciare lo studio del rapporto tra uomo e bosco, che interagiscono biologicamente e culturalmente. Le conseguenze epistemologiche di questo approccio rischiano però di svuotare di senso il concetto stesso di Antropocene, facendolo coincidere con l'Olocene e con tutti i processi di interazione tra uomo e Terra. 9.2) Le foreste e l’Antropocene. Diecimila anni fa le Terra era con tutta probabilità in gran parte ricoperta da una fitta foresta naturale. A partire almeno dalla Rivoluzione neolitica l’uomo ha avviato un processo di graduale frammentazione delle superfici forestali, che oggi si presentano con una grande distribuzione irregolare sul pianeta. Si tratta di un fenomeno correlato con il graduale processo di perdita di biodiversità che ha caratterizzato l’Olocene. Potremmo considerare la deforestazione del pianeta come uno dei più evidenti segni del fatto che da lungo tempo ci troviamo nell’Antropocene. Si stima che attraverso l'agricoltura, la pastorizia, la deforestazione e le bonifiche negli ultimi duemila anni l’uomo abbia ridotto del 45% la massa vegetale globale. Negli ultimi 250 anni il processo ha subito un'accelerazione e si è calcolato che a partire dal XVIII secolo circa il 19% di foreste e boschi è stato eliminato e la superficie convertita all'agricoltura è aumentata di quattro volte e mezza. A partire dalla Rivoluzione Industriale l'uomo ha aumentato la propria necessità di spazi per attività economiche e abitative, in linea con l'aumento della popolazione e l'allargamento delle attività economiche. La deforestazione non ha avuto la stessa intensità in tutto il pianeta: dalla preistoria ad oggi si stima che le perdite maggiori abbiano riguardato le foreste delle fasce temperate, seguite da quelle subtropicali. Attualmente si nota un rallentamento nel tasso di riduzione, dovuto a processi di riforestazione in alcune regioni, intensi nel periodo 1990-2010. Tra il 1960 e il 1990 si è registrato un aumento della deforestazione nelle regioni tropicali in Africa, America Latina e Asia. Ciò ha portato ad una perdita di foreste primarie senza precedenti: 30% in Indonesia, 9,7% in Brasile. La deforestazione non è inevitabile e irreversibile: in molti Paesi dell'Asia orientale, dell'Europa mediterranea e del Nord America si registra un trend positivo, definito forest transition, ed è collegato all'abbandono di pratiche culturali tradizionali per ragioni economiche e all'avvio di flussi migratori da aree rurali ad aree urbane. La rinascita delle foreste ha molte cause, che trovano diverse declinazioni nei vari contesti regionali in relazione a fattori politici, economici, sociali e culturali: - Messa a dimora di nuovo legname perché le vecchie foreste erano state rimosse; - Gli incendi boschivi sono stati maggiormente controllati; - I terreni agricoli sono stati abbandonati e riportati alla foresta; - La domanda di legname è diminuita. La transizione in alcune regioni compensa in parte la generale perdita di foreste e contribuisce a mantenere un equilibrio, ma porta con sé alcune problematiche: Elisa Bosisio 31 - Le nuove foreste non hanno la medesima forza di quelle originarie; - I nuovi ecosistemi impiegheranno molto tempo per raggiungere una condizione di stabilità interna; - Boschi e foreste necessitano dell’intervento umano per sopravvivere; - L’abbandono porta al degrado ed espone le foreste a un maggiore rischio di distruzione, come per esempio il numero degli incendi nelle regioni mediterranee negli ultimi anni. Le sfide ambientali che boschi e foreste si trovano ad affrontare a causa degli esseri umani sono tante: - l'introduzione di specie alloctone; - la selezione di specie economicamente utili all'uomo; - l'inquinamento atmosferico; - le modificazioni genetiche di alcune specie; - l'adattamento al cambiamento climatico. 9.3) Le foreste pluviali di latifoglie tropicali e subtropicali: l’Amazzonia nell’Antropocene. Numerose evidenze antropologiche, geologiche ed ecologiche dimostrano che il suolo amazzonico ha subito importanti modificazioni a causa dell'attività umana fin dalla preistoria e che la foresta amazzonica ha prosperato per gran parte della storia umana. Il sistema ecologico scoperto dai conquistatori era la prova che l'uomo può modificare l'ambiente senza distruggerlo. L'Amazzonia si può quindi descrivere come una foresta antropizzata, talvolta definita come foresta culturale o oligarchic forest. Essa è l’insieme di molte foreste che presentano numerose differenziazioni regionali; tuttavia, vi sono alcuni elementi di fondo che le rendono tutte simili tra loro a causa della dominanza di un piccolo gruppo di specie vegetali, la maggior parte delle quali devono il loro ruolo all’interazione con gli uomini. Queste piante, definite “oligarchi”, sono un gruppo di specie predominanti; gli alberi dominanti in Amazzonia sono quelli che hanno beneficiato dell'interazione con le comunità indigene, perché sono stati coltivati o perché gli è stato costruito attorno un habitat a loro congegnale. L’impatto dell’attività coloniale predatoria è stato devastante, perché ha sottratto alla foresta il fondamentale sapere delle popolazioni locali, generando uno squilibrio che oggi sta causando danni molto gravi all'intero sistema amazzonico. Negli ultimi decenni questo processo è diventato sempre più importante e non rallenta, come dimostra il caso del Parco nazionale Yasuni in Ecuador. Dal 2013 il presidente Correa ha promosso una politica di sfruttamento delle risorse petrolifere disponibili nel sottosuolo continentale e oceanico. Una delle aree più ricche si trova appunto in questo parco, che tutela l'estremità occidentale della foresta amazzonica, una delle regioni con maggiore biodiversità dell'intera Amazzonia e del mondo, in cui vivono anche gruppi di indigeni. Inizialmente sembra però che il presidente si sia impegnato a tutelare questo luogo avviando una campagna con cui l'Ecuador ha chiesto al mondo di aiutarlo a compensare i mancati guadagni per tutelare l'ecosistema e garantire ai popoli locali di vivere nelle loro terre. Dal 2010 sono però emerse notizie su accordi con compagnie petrolifere per lo sfruttamento di quest'area e dal 2013 è cominciato lo sfruttamento di una piccola porzione del parco. La compagnia PetroAmazonias ha cominciato il suo lavoro nel parco e ha costruito strade all'interno del parco per rendere accessibili i pozzi. Da ciò è nata un'intensa lotta ambientalista che ha portato ad un referendum, nel 2018, che ha bloccato il progetto. L'importanza di questo parco non sta solo nella ricchezza del suo sistema ecologico, ma anche nel suo valore simbolico, come testimonianza del ruolo responsabile che l'uomo potrebbe svolgere sul pianeta, se lo volesse. Elisa Bosisio 32 9.4) Le di latifoglie e le foreste miste temperate: i boschi europei nell’Antropocene. In Europa i forti tassi di urbanizzazione raggiunti con la conclusione della transizione demografica e della terziarizzazione dell'economia hanno portato all'abbandono di molte regioni montuose e collinari, in passato sfruttate per scopi agro-silvo-pastorali. Fin dall'antichità l'economia delle civiltà europee ha avuto un forte legame con i boschi. Prima dell'arrivo degli umani il continente europeo era decisamente diverso, con un imponente sistema forestale che lo caratterizzava dall'Olocene. Oggi ne restano solo piccole parti: - Foresta di Bialowiezà (tra Bielorussia e Polonia, Patrimonio dell'umanità); - Foresta di Perucica (foresta vergine della Bosnia Erzegovina). Le foreste vergini sono ecosistemi forestali sviluppati in condizioni naturali, senza l’influenza di attività antropiche; da non confondere con le foreste naturali, cresciute sulla linea di successione naturale. Le foreste naturali hanno infatti risentito di attività antropiche, ma da tempo sono soggette a un regime che esclude interventi umani. In Europa, nella quasi totalità dei casi, piuttosto che di foreste vergini sarebbe più corretto parlare di foreste naturali o Old Growth Forest, foreste con determinati requisiti e con popolamenti forestali che in passato sono stati usati dall'uomo ma che sono molto vecchi e con una buona naturalità, avendo la possibilità di evolversi in assenza di un intervento antropico. Alcune stime: - circa il 50% delle foreste delle regioni temperate è vetusto; - le foreste vergini si trovano in particolare elle regioni boreali e tropicali (Canada, Brasile, Russia); - in Europa ci sono piccole foreste vergini in Scandinavia, nei Balcani, Carpazi e nei Rodopi, mentre nelle Alpi sono scomparse; - in Italia non ci sono foreste vergini, ma alcuni boschi stanno guadagnando crescenti livelli di naturalità, diventando foreste vetuste. Nelle Alpi ci sono pochi esempi, come la Riserva di Paneveggio, in Trentino. Sugli Appennini abbiamo le foreste di La Verna e Sasso Fratino nel Parco nazionale delle foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna. 9.4.1) IBRIDAZIONI: IL BOSCO COME ELEMENTO DEL TERRITORIO. Gli ambienti forestali europei sono quasi totalmente ibridi, risultanti dall'interazione tra uomo e natura. Per lungo tempo i boschi sono stati elementi fondamentali dell’economia agraria, configurandosi come elementi chiave di siatemi socioeconomici rurali basati sulla silvicoltura e sul pascolo. Ciò ha portato alla radicale trasformazione degli ecosistemi, che hanno assunto specifici valori sociali e culturali, che hanno dato loro un significato ambientale e paesaggistico. Dal punto di vista della geografia l’interazione uomo-natura è già implicita nel concetto di ambiente; l’introduzione del termine paesaggio nello studio dei boschi è utile a sottolineare il peso delle variabili sociali, culturali e soggettive nel processo di attribuzione di significato a determinati contesti spaziali. Il processo di riforestazione in atto non è positivo in senso assoluto, molte volte crea una perdita di biodiversità. Si tratta di un ennesimo segno delle criticità ambientali derivanti dai cambiamenti contemporanei relativi alle pratiche antropiche. I boschi europei possono essere considerati antromi, cioè biomi il cui funzionamento è basato sull'interazione uomo- natura; eliminare la variabile uomo vuol dire quindi destabilizzarli. Si realizza una perdita ecologica ma anche geografica: un bosco abbandonato in fase di rinaturalizzazione spontanea diventa uno spazio residuale, avulso dai processi di appropriazione da parte delle comunità antropiche e pertanto difficilmente destinato ad una fase di riterritorializzazione, dopo la deterritorializzazione avvenuta a seguito dell'abbandono. 9.4.2) NARRAZIONI: IL BOSCO E LA RAPPRESENTAZIONE DEL TERRITORIO. I boschi hanno significato anche dal punto di vista culturale. I significati attribuiti ai boschi nell’attualità sono al contrario Elisa Bosisio 35 territorio dal mais, la cui monocoltura è alla base delle rappresentazioni simboliche dell'area (Corn Belt). La produzione di cibo ha portato trasformazioni radicali: - nella litosfera, con la degradazione dei suoli; - nell'idrosfera, con l'aumento dei nitrati; - nella biosfera, vegetale e animale, a causa della sostituzione delle specie originarie con la monocoltura di mais. Le conseguenze sull’atmosfera invece sono globali: l’agroindustria cerealicola e l’allevamento intensivo fondano infatti la propria efficienza sul consumo di combustibili fossili e rappresentano una delle principali fonti di gas serra. Gli impatti ambientali sono notevoli, incidono su tutte le componenti dell'ambiente (suolo, acqua, aria, esseri viventi) e sono multi-localizzati (influiscono anche su luoghi molto lontani). Molti studiosi di scienze della Terra hanno identificato alcuni ambiti in cui l'impatto dell'uomo sugli equilibri ambientali lascia ipotizzare l'ingresso in una nuova era geologica. Essi coincidono spesso con gli ambiti in cui i food studies identificano i principali impatti ambientali della produzione di cibo agroindustriale e globalizzata: si tratta della trasformazione dello strato di sedimenti (suolo) che ricopre le terre coltivabili, ridotto in estensione e spessore dall’erosione e fortemente degradato da pratiche di coltivazione e allevamento che non rispettano i cicli naturali di rigenerazione. 1. La trasformazione dello strato di sedimenti che ricopre le terre coltivabili, accelerata da un'agricoltura intensiva industriale e degradato da pratiche di coltivazione e allevamento che non rispettano i cicli naturali di rigenerazione. L'agricoltura intensiva, che usa fertilizzanti, antiparassitari e diserbanti di sintesi, ha alterato i cicli biogeochimici naturali di alcune sostanze presenti nel suolo, rompendo gli equilibri preesistenti. 2. Gli effetti sulla qualità e quantità delle risorse idriche a scala locale e globale. Si calcola che la produzione agricola sia responsabile del 70% dei prelievi idrici globali e questo dato è destinato ad aumentare senza contromisure adeguate. In Italia sono stati rilevati pesticidi nel 63% delle acque superficiali italiane e nel 31,7% di quelle sotterranee. 3. Gli impatti dell'agricoltura intensiva sull'atmosfera con la diffusione di agenti inquinanti e l’emissione di gas serra. Secondo uno studio del 2005, l'agricoltura sarebbe responsabile del 12% delle emissioni antropogeniche di gas climalteranti su scala globale. A questi bisogna aggiungere le emissioni derivanti dal trasporto di materie prime e prodotti finiti, che spesso copre distanze anche intercontinentali. 4. I sistemi del cibo contemporanei sono causa di importanti impatti sulla biosfera. L'agricoltura intensiva (ma anche l'urbanizzazione) ha portato alla trasformazione di molti ecosistemi naturali (biomi) in “antromi”, cioè pattern ecologici che hanno origine dall’interazione diretta dell’uomo con l’ambiente naturale e gli ecosistemi preesistenti, determinando una forte riduzione delle specie naturali nei territori più produttivi dal punto di vista agro-industriale. I mercati globali di prodotti agricoli sono dominati da poche varietà, quelle più efficienti dal punto di vista produttivo e più apprezzate dai consumatori. Questa riduzione di biodiversità produttive rende fragili le aree di produzione e i mercati di arrivo. Una delle specie animali simbolo dell'impatto dei sistemi del cibo umano è il pollo, allevato come fonte principale di proteine per gran parte degli abitanti della Terra. Oggi, la popolazione di polli è superiore a quella di tutte le altre specie di volatili; si stima che in Europa i polli di allevamento siano più di quella del totale delle specie degli esemplari di uccelli selvatici più diffuse. L’impatto del sistema alimentare globale sulla biosfera si è spinto tanto in profondità da modificare la stessa struttura costitutiva di alcune specie animali e vegetali, ovvero il loro DNA. In Europa la comunità scientifica è divisa sull'uso degli OGM; le filiere agroindustriali globali e i mercati nordamericani sono ampiamente occupati da Elisa Bosisio 36 prodotti geneticamente modificati. Oggi il 75% dei cibi industriali consumati dagli statunitensi contiene almeno un ingrediente geneticamente modificato. 10.2) Cibo, capitalismo e Antropocene: una lettura critica. I sistemi del cibo hanno avuto un ruolo rilevante nel trasformare la Terra fino alle soglie di questa possibile nuova era geologica, soprattutto attraverso agricoltura e allevamento. Alcuni ritengono che l'avvio dell'Antropocene coincida con la scoperta dell'agricoltura e la diffusione di insediamenti umani stanziali. L'umanità ha prodotto cibo senza che si manifestasse il rischio globale di superare i limiti planetari della sostenibilità, spingendo il pianeta verso un futuro di incertezza. Gli equilibri si sono modificati a partire dall'uso dei combustibili fossili connesso alla Rivoluzione industriale e con l'incremento della forza e intensità degli impatti antropici sull'ambiente, a partire dal secondo dopoguerra (Grande Accelerazione). Un gruppo di ricercatori ha analizzato i dati relativi ad un insieme di variabili legate a diversi ambiti dell'azione umana (popolazione, numero di veicoli a motore, uso di acqua, consumo di fertilizzanti, consumo di carta, ecc) osservando che dagli anni Cinquanta del XX secolo tutte aumentino a ritmi prima sconosciuti. Nel 2015 queste variabili sono state messe in relazione con variabili ambientali (concentrazione di biossido di carbonio e metano, temperatura della superficie terrestre, acidificazione degli oceani, concentrazione di nitrogeni nelle acque, ecc), mostrando una correlazione tra la diffusione del sistema industriale e la trasformazione antropogenica degli equilibri ambientali. Un'accelerazione è avvenuta anche nei sistemi di produzione e distribuzione di cibo, a partire dal secondo dopoguerra. Philip McMichael riconosce in questa trasformazione l'inizio di un nuovo regime del cibo che si è evoluto verso: - la globalizzazione commerciale e produttiva; - il rafforzamento del ruolo del capitale transnazionale nell'industria e nelle filiere del settore agroalimentare; - ilruolo delle biotecnologie. La teoria dei regimi mette in luce la pervasività dell'economia capitalista globalizzata del plasmare i sistemi del cibo. Una critica che viene mossa è quella di non considerare sufficientemente la diversità con cui i sistemi si articolano nelle diverse parti del mondo e della numerosità di pratiche che si pongono in opposizione al sistema dominante. I sistemi del cibo contemporanei sono caratterizzati da geografie diseguali, con alcune regioni pienamente inserite nelle dinamiche globalizzate di produzione intensiva agro-industriale; altre maggiormente caratterizzate da sistemi di piccola scala più rispettose degli equilibri locali. Sono caratterizzati dalla coesistenza di paradigmi produttivi e di consumo diversi, talvolta in competizione tra loro, che definiscono la rete multiscalare di reti del cibo (food networks). Anche il concetto di Antropocene viene criticato dalle scienze sociali, per l'assenza di una lettura socio-politica degli impatti dell'uomo sugli equilibri planetari. Non tutti i sistemi sociali e non tutti i modelli economici impattano sull'ambiente allo stesso modo: alla base della Grande Accelerazione c'è l'affermazione dell'economia industriale e finanziaria capitalista e della concezione utilitaristica delle risorse ambientali che essa veicola. Jason Moore consiglia di sostituire la parola Antropocene con quella di Capitalocene. Anche la produzione, la trasformazione, la distribuzione e il consumo di cibo veicolano la relazione con la natura (alla base delle trasformazioni dell'Antropocene), quando queste si basano sulle logiche dell'economia capitaliste globalizzate, che hanno: - concentrazione del potere nelle mani di pochi attori economici; - catene del valore lunghe o addirittura globali; - netta separazione tra produttore e consumatore; - approccio predatorio verso le risorse ambientali. Elisa Bosisio 37 L'economia di piantagione ne è un esempio lampante. Infatti, alcuni studiosi riuniti ad Aarhus con Donna Haraway per discutere di Antropocene hanno proposto di diffondere il termine Plantationocene. 10.3) Conclusione. Come si mangia nell’Antropocene? Intorno al 2050 la popolazione mondiale raggiungerà i 10 miliardi di individui. Ognuno di loro dovrà nutrirsi per circa tre volte al giorno, con alimenti che dovranno essere prodotti, distribuiti e consumati. Ciò vuol dire che senza un cambiamento radicale nei sistemi del cibo su scala globale, le pressioni sugli equilibri ambientali sono destinate a crescere e a spingere il pianeta Terra oltre i limiti della sostenibilità. Ammettere l'esistenza di una nuova epoca planetaria significa porsi il problema di come gestire i nuovi equilibri. Il dibattito è ricco di contributi. La EAT (Lancet Commission on Food, Planet, Healt) ha pubblicato un rapporto in cui propone una serie di strategie considerate necessarie per garantire diete salutari e sistemi del cibo sostenibili a tutti gli abitanti della Terra nel 2050, attraverso una grande trasformazione alimentare, fondata soprattutto sul cambiamento delle diete individuali e sulla transizione dei sistemi produttivi verso una maggiore sostenibilità ambientale, basata su criteri scientifici misurabili. Il tema dell'accesso al cibo è stato spesso dibattuto. Le diseguaglianze non sono una conseguenza voluta, ma un elemento strutturale del sistema agroindustriale capitalistico, che si fonda su relazioni di dipendenza tra territori e su geografie del cibo diseguali. Si sono quindi sviluppate proposte di sistemi produttivi differenti, fondati sulla sovranità alimentare, sulla de-mercificazione del cibo, su economie del cibo non basate sul sistema del capitalismo neoliberista. Individuare le radici dell'Antropocene nel sistema economico e politico permette di immaginare, proporre, sostenere e praticare alternative, anche nella produzione e consumo del cibo. 11. PERCHÉ UN MUSEO DELLE TECNOLOGIE DELL’ANTROPOCENE? (di Frank Raes) 11.1) Perché un museo? Il Museo delle Tecnologie dell’Antropocene (situato a Laveno Mombello, in provincia di Varese) è una collezione costruita per indagare l’Antropocene attraverso oggetti e abbinamenti inconsueti che fanno riflettere sulla forza dell'uomo sulla natura. Noam Chomsky suggerisce che il linguaggio è evoluto per pensare e non per comunicare. Comunicare, con la parola o la scrittura, è un processo lineare, pensare è un processo libero. Nella nostra testa le parole possono non avere una direzione precisa e poi cristallizzarsi in un'idea che può durare nel tempo, che può essere comunicata, ma nella maggior parte dei casi si dissolve di nuovo. 11.2) Qualche cenno storico e filosofico. È sotto gli chi di tutti il fatto che viviamo in un mondo complesso e caotico: questa non è necessariamente una visione negativa o pessimistica. È chiaro, comunque, che c’è una quantità crescente di problematiche (come il cambiamento climatico) che nessuna istituzione o disciplina della Modernità (scienza, politica, religione) riesce più a gestire da sola. Il concetto di Modernità è già di per sé complesso. Autori come Pinker e Rosling ritengono che con l'arrivo della Modernità le cose siano sempre migliorate, fino ad oggi. Il tempo moderno è sempre in corso e la Modernità si basa sulla ragione, sulle scienze e sull'umanesimo e garantisce un progresso continuo per l'umanità. Il Museo si ispira a Latour, con le sue critiche alla Modernità e ai moderni: egli ipotizza che la modernità sia stata solo una costruzione teorica (non siamo mai stati moderni). L'autore ritiene che la modernità vada resettata per meglio gestire i nostri problemi collettivi.
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