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Forme di Governo secondo Tommaso d'Aquino: Tirannide, Monarchia, Aristocrazia e Democrazia, Dispense di Storia Delle Istituzioni Politiche

Sulla classificazione delle forme di governo secondo tommaso d'aquino, dalla tirannide alla democrazia, passando per l'aristocrazia e la monarchia. La semplificazione dello spettro delle forme di governo e la loro evoluzione storica, dalla fase cinquecentesca alla costituzionalizzazione della monarchia. Il testo illustra come la forma di governo influisce sull'evoluzione politica e introduce concetti come il governo della casa e la cameralistica.

Tipologia: Dispense

2021/2022

Caricato il 05/01/2024

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Scarica Forme di Governo secondo Tommaso d'Aquino: Tirannide, Monarchia, Aristocrazia e Democrazia e più Dispense in PDF di Storia Delle Istituzioni Politiche solo su Docsity! Pariani Andrea 1 PAOLO COLOMBO “GOVERNO” CAPITOLO PRIMO: Governo come regime” 1. Etimologia e metafore: il timone della nave L’origine della parola Governo è concordemente individuata nella voce egea del greco “Kabarna” (timone), termine con il quale si indirizza l’imbarcazione e le si impone la rotta. In questo senso il governo può essere associato al concetto di ciò che indirizza qualcosa al suo fine; “governo” perché lì sta il passaggio fondamentale che, sposta l’oggetto della nostra analisi dal piano più puramente linguistico a quello politico: per associazione, “governare” da atto del dirigere col timone un’imbarcazione, si trasformerà nel muovere i sudditi al debito fine. La metafora della nave è destinata ad uno straordinario successo: “naufragio” della cosa pubblica che si verifica quando non si riesce a condurre sana e salva l’imbarcazione al porto; evitare il naufragio significa così combinare le azioni di reggere, amministrare, comandare ed organizzare dando quindi origine alla moderna accezione di “governo”. Ø L’idea che “governare” equivalga a condurre qualcuno o qualcosa transita attraverso il latino medievale nell’Italiano volgare dove viene registrata ad esempio nel Convivio di Dante agli inizi del 1300 transitando in una società essenzialmente contadina come quella medievale; i diversi dialetti locali fanno propria l’accezione di governare come “guidare”, “reggere” o “curare”. In questo modo il verbo si orienta nel senso di “curare il terreno”. Ø Bono Giamboni impiega il termine “governare” nel senso di amministrare esercitando il massimo potere : non è estraneo il fatto che la somma attività di governo, sul mondo e sull’umanità, viene costantemente intesa come esercitata da Dio (V secolo Salviano di Marsigliaà De gubernatione Dei) Ø Nel francese compare “gubernatif”à concernere l’amministrazione della casa; svolgimento quindi significativo che va ad intrecciarsi con un’analoga accezione originaria di “economia”. Il passaggio fondamentale avviene tra il Quattrocento e il Cinquecento: il termine governo, da un lato rinvia alla forma di reggimento politico, dall’altro comincia ad indicare l’organo politico complesso che amministra e determina l’indirizzo dello Stato. 2. Il governo delle polis La parola “governo” associata ai significati politici per noi oggi più familiari per noi non esiste. Il concetto di governo risulta essere disseminato tra una molteplicità di referenti linguistici. “Basileus”à è termine che si riferisce a quello che chiameremmo re o sovrano “Turannus”à indica il tiranno “Arcon”à il signore oppure il principe, duca Nel tentativo di circoscrivere uno spazio concettuale simile a quello definito dal nostro “governare” si deve ricorrere al verbo “Nemo” che vale per il significato di distribuire, spartire, regnare, governare e amministrare. Il punto cardine di riferimento è il termine “POLIS” che viene associato a governo inteso come una comunità. Questa idea si sovrappone nel lessico della politica occidentale poiché rinvia al “frame of governament” cioè l’impianto delle norme ed istituzioni che regolano una comunità. L’esperienza politica greca dà vita ad una molteplicità di concreti assetti di governo: Aristotele avrebbe raccolto un campionario di oltre 150 diverse “costituzioni” del suo tempo. MODELLO ATENIESE E’ una democrazia fatta di partecipazione diretta all’attività decisionale e al confronto di opinioni che la prepara. Qui sta la ragione della centralità dell’assemblea, di quell’Agorà in cui il cittadino libero va a discutere con i suoi pari, col risultato di convincerli o essere convinto. La grande Pariani Andrea 2 importanza rivestita da queste dinamiche di persuasione si trova dalla nascita della sofistica (sopraffina capacità retorica e oratoria di dimostrare la veridicità di un qualunque assunto e di convincerne gli interlocutori). Il diritto di parola è riconosciuto a tutti, ma entro un numero di soggetti limitato corrispondente ai cittadini liberi (si diventa cittadini solo se si è maschi e figli di entrambi genitori ateniesi). Tutti i cittadini si recano ogni volta in assembleaà affollata per le riunioni dell’Ecclesia da circa 6000 polites su un totale di 25.000/30.000. Questo modello è piuttosto lontano dall’originaria adunanza di tuti gli uomini liberi idonei alle armi tipica delle comunità dei tempi di Omero. L’idea della effettiva e reale presenza di tutti i cittadini è in sostanza mitica. Solo una frazione abbastanza ridotta interviene alle riunioni dell’assemblea in quanto la parte di cittadinanza più povera non può permettersi di perdere decine di giornate di lavoro, spesso non è frequente che si raggiunga il numero massimo di 6000 unità. Per questo motivo i cittadini sono perciò i veri attori della politeia, i primi protagonisti del suo “governo”. Ecco allora che l’Ecclesia vota su temi essenziali e lo fa per alzata di mano. L’assemblea dei cittadini delibera così la fiducia all’operato dei diversi magistrati esprimendosi su approvvigionamenti e difesa, accoglie denunce sui delitti pubblici di maggior gravità. L’aspetto più importante è il fatto che l’ordine del giorno non è a tema libero (aperto) ma è determinato da preventive deliberazioni della “Bulè”à consiglio che rappresenta la suprema autorità esecutiva e coincide originariamente con l’adunanza degli anziani. Il potere della Bule consiste quindi nel deliberare preventivamente sugli argomenti oggetto delle decisioni dell’ Ecclesia. Non si può essere membri della Bule più di due volte nella vita, motivo per cui il numero di coloro che diventano membri del Consiglio è altissimo. Il lavoro del Consiglio è organizzato per il tramite di commissioni che si occupano di diversi aspetti specifici. Il Consiglioà riveste un ruolo in politica estera, in campo finanziario, nel settore militare, in ambito religioso L’Areopagoà è una carica vitalizia e conservatrice, cede così i propri poteri in corrispondenza dell’affermarsi del sistema democratico all’interno del quale si riduce a tribunale pur conservando un carattere sacrale. Arconteà titolo assai generico. Nello schema tradizionale esiste un arconte eponimo, un arconte re (erede del basileus), un polemarco (dotato di poteri militari in seguito attribuiti agli strateghi), sei tesmoteti (funzionari giudiziari con diversi generi di competenze). In Atene non esiste alcuna forma di Cursus Honorum e quindi diventa improprio ragionare in termini di gerarchia tra le cariche. In ossequio all’idea di polis come luogo di dibattito pressoché permanente, i governanti quindi devono dar conto del loro operato anche a coloro che stanno al di sotto della loro carica pubblica. Intorno al IV secolo il sistema è già entrato in crisi in quanto il pensiero greco comincia ad interrogarsi in profondità sul valore dell’esperienza politica della polis. 3. I filosofi della polis La decadenza politica porta come conseguenza l’approccio dei grandi filosofi al tema delle forme di governo. Nella concezione classica la storia viene vista procedere secondo un andamento regressivo allontanandosi quindi dal “meglio” in direzione del “peggio”. 1. Pindaroà primo riferimento all’esistenza di diverse forme di governo: può dominare un singolo, un gruppo ristretto di saggi, una moltitudine. 2. Erodotoà analizza svantaggi e vantaggi di ciascuno dei fondamentali tipi di reggimento politico: democrazia, aristocrazia, monarchia 3. Platoneà ordine decrescente che passa attraverso quattro fasi: timocrazia, oligarchia, democrazia, tirannia (analisi sulla corruzione della polis) Ø TIMOCRAZIAà movimento di transizione fra la costituzione ideale e le tre forme cattive tradizionali. Rappresenta una degenerazione perché gli uomini diventano Pariani Andrea 5 HENRY DE BRACTONà “de legitibus et consuetudinibus Angliae”, trattato giuridico inglese in cui troviamo distinte due aree dii potere regio: 1. Gubernaculumà corrispondente ai momenti in cui il re agisce in modo discrezionale e insindacabile (si muove seguendo i criteri di pura opportunità). L’obiettivo diventa il mantenimento della pace e il monarca si trova ad essere legibus solutus 2. Iurisdicioà secondo questa concezione il potere regale deriva da Dio e ciò che rende il re vicario di Dio in terra è il suo essere “fontana di giustizia”, è il suo ius dicere (dire la legge). In questo caso il monarca non può che essere soggetto alla legge altrimenti diventerebbe il vicario del diavolo: la giustizia infatti è tale perché riflette un ordine delle cose proveniente da Dio. Il mantenimento dell’equilibrio diventa quindi una questione delicata: per uscire dalla iurisdicio ed entrare nel più arbitrario gubernaculum restano il ricorso alla forza e quindi un’azione continua e puntuale dei giudici che fanno da baluardo all’infrazione delle leggi. Leggi e magistrature finiscono con l’operare in difesa dei diritti dei sudditi indipendentemente dalla volontà del monarca. Guberbnaculum e iurisdicio sono due aree che costituiscono l’insieme dei poteri di governo al quale esiste una rete di vincoli stabiliti da consuetudini e da vere e proprie leggi coercitive che il re deve rispettare per giuramento dato al momento dell’ascesa al trono. Si sta delineando in maniere sufficientemente nitida il problema del rapporto tra governo e legge: il problema di stabilire quale dei due elementi sia subordinato all’altro. 3. La funzione di governo e l’entourage del Principe TOMMASO D’AQUINOà lui reinserisce il tema della tirannide all’interno della più ampia questione della classificazione delle forme di governo. Ø Il primo elemento si coglie agevolmente nell’adozione dello schema delle tre forme di governo puro (di uno, di pochi, di molti) e delle tre corrispondenti forme degenerate. Ø Il secondo elemento è percepibile nell’idea che in politica il molteplice procede dall’uno, dal Dio creatore e governatore di tutte le coseà un solo capo è quindi la soluzione migliore (monarchia) Il punto di partenza è quello del buongoverno, e dalla sua distinzione dal malgoverno: distinzione dal malgoverno: distinzione percepibile in base a due criteri fondamentali quali l’osservanza o meno delle leggi e quello della alternativa fra bene comune e bene individuale del governatore. Il potere delle leggi è buono se buone sono le leggi e sono buone le leggi che hanno di mira il bene comune. MARSILIOà individua all’interno della comunità l’esistenza di una pars principans che può essere fatta coincidere con il soggetto governante, entità strumentale ed esecutiva rispetto alla volontà del soggetto legislatore. Marsilio inoltre vuole contestare la plenitudo potestas del Papa argomentata dai dottrinari medievali. Per fare ciò esalta paradossalmente proprio uno dei più forti intrecci stretti della iurisdicio medievale, quello fra legge, pace e monarca; il diritto ha il primato sul potere, e non è disponibile da parte di un principe la cui legittimazione a farsi difensore dell’integrità politica non è più ultraterrena ma sta nell’investitura popolare. Si supera così la necessità di una data forma di regime, quella monocratica, e si comincia a ragionare della “funzione di governo”. Il GOVERNO diventa dunque il posto in cui si concentra la forza e questa intuizione risulterà illuminante per i ragionatori di Stato. MACHIAVELLIà l’idea di “governo” per l’italiano volgare è ormai pronta a ricoprire tutte le manifestazioni del potere espresse dagli antichi romani con la molteplicità di termini latini precedentemente visti. Nel “Principe”, “governare” indica l’esercizio delle supreme funzioni politiche e amministrative di uno Stato. L’azione del governare implica chiaramente l’esistenza di due parti, una detentrice del potere e depositaria dell’autorità indispensabile al suo esercizio, e una soggetta a tali autorità e potere. Tra queste due parti ci deve essere un rapporto costante che traduca in atto la pienezza del Pariani Andrea 6 governo. Disporre del potere non significa di per sé governare: in sostanza si possono avere dei sudditi ma poi si può non governarli. Nel lessico di Macchiavelli “governo” viene riferito anche ad un incarico o un ufficio amministrativo o alle direttive, agli ordini, alle disposizioni che vengono date sempre nel campo dell’amministrazione. (…)”tanto che per paura furono costretti obedirlo e formare uno governo del quale si fece principe” (…) In questa frase la parola “governo” riflette un’idea estremamente attualeà gruppo di persone depositarie del potere politico dirette dalla figura preminente del Principe. Lo spettro delle forme di governo si assottiglia e semplifica sulla base della fondamentale intuizione espressa non a caso in immediata apertura del Principe. Quando Macchiavelli reintroduce la classica ripartizione fra coppie di forme “rette” e “oblique” di governo (aristocrazia/oligarchia, democrazia/oclocrazia, monarchia/tirannide) constata che principati e repubbliche possono attuarsi con modalità distinte e lascia intendere di aver già intuito che una cosa sono le forme di Stato, un’altra le forme di Governo: le prime si declinano nelle seconde. Queste forme miste sono per l’autore degli ibridi irrisolti e si riducono ad espedienti descrittivi messi a punto sul piano concettuale ma privi di un vero riferimento nella realtà. Firenze medicea del XV secolo dove prende il comando un ridotto gruppo oligarchico unito da legami di opportunistica parentela e facente capo alla famiglia Medici. In questi anni il governo fiorentino è un vero intrico di istituzioni. Il comune è l’organo della libera ed autonoma associazione dei cittadini, e come tale ha per base i tradizionali organi comunali: Ø una magistratura collegiale grande, Ø un consiglio grande che ha il sommo potere ed equivale al complesso dei cittadini Ø consiglio ristretto che è una commissione del precedente e dispone di un potere più concreto Tra i cittadini si distinguono i Beneficiati (membri delle famiglie che nel passato hanno ottenuto magistrature comunali). C’è dunque un “governo popolare” esercitato con la partecipazione di tutti i beneficiari ai consigli e un “governo ristretto” che riassume il potere dei consigli in organi formati dalla frazione più potente dei beneficiati stessi. Ma poiché gli uffici restano gli elettivi, tale frazione costituisce un modo per controllarli indirettamente e gestisce lo “squittinio” (antenato dello “scrutinio”)à un’operazione con la quale si designavano i soggetti eleggibili. L’obiettivo era quello di attribuire gli uffici alla cerchia degli amici: con questo scopo Lorenzo il Magnifico affida ad un nuovo Consiglio Maggiore l’incarico dello squittinio. La tendenza risulta evidente: creare organi di governo sempre più ristretti e controllati. Nel 1480 viene creato il Consiglio dei Settanta che in politica determina le elezioni a tutte le cariche principali, comprese anche quelle incaricate della difesa e del debito pubblico. 3. La ragion dello Stato e i poteri del governo XVIIà si entra nella vera e propria storia lessicale e concettuale di “governo”. Lo scopo è quello di definire la non nuova concezione di “reggimento” politico ovvero la “forma di governo”. Questo problema della forma continua infatti ad essere centrale al punto che il parallelismo con l’anima governante il corpo viene spostato ad opera di Paolo Paruta “tra tutte le cose umane niuna è più importante in una città che la forma di governo”. La ragion di Stato ha ormai forgiato strumenti di analisi di tale forza realistica da permettere ai suoi protagonisti di penetrare le questioni di cui si occupano guardando dietro la facciata fin lì costruita dalle dottrine precedenti. Pariani Andrea 7 La prima conclusione è che tanto la tripartizione aristotelica monarchia/aristocrazia/democrazia quanto il binomio machiavelliano principato/repubblica rappresentano delle semplificazioni abbastanza forzate. Le forme del governare sono quindi “ varie e differenti”. Prende così forza un approccio geo-climatico alla questione della instaurazione dei regimi destinato a riemergere costantemente da lì in poi. Per la ragion di Stato, non c’è verità politica assoluta, né sistema di istituzioni per sé ottimale. Così come non esistono tipi “puri” di governo e ogni Stato si regge in fondo secondo forme miste. Occorre andare oltre le apparenze per riuscire a vedere la vera struttura di un governo e rendersi conto che un sistema repubblicano aristocratico può originare un governo stretto come un governo largo. Un senato è diverso da un’assemblea popolare: il grado di partecipazione può variare e può contraddire quelli che in teoria sono i tratti distintivi di quel regime: una democrazia può creare un’oligarchia. Le forme di governo ideale sono quindi MASCHERE dietro le quali si cela l’effettivo potere di una minoranza organizzata. Il punto focale dell’attenzione della ragion di Statoà Il governo come comando, l’esercizio potere. Considerazione raggiungibile solo se si porta in primo piano la figura del “governante” La legittimazione del governatore è in definitiva un falso problema; conta semmai l’effettiva detenzione del potere, legata alla sua conquista, e poi la sua conservazione connessa ai modi e all’efficacia del suo esercizio. Non esistono tiranni ed eroi ma solo governanti più o meno abili nello svolgere il loro compitoà tema del “buon governo” secondo il quale il principe pone nuovamente attenzione a questioni come i bene de sudditi, al fiorire dell’economia e all’intelligente sfruttamento del territorio. “QUALE E’ LA FORMA IDEALE DI GOVERNO?” BOTEROà (…) ”il decidere qual forma di governo debba essere all’altra preferita non è impresa così facile come altri forse si stima. “ (…) Diventa quindi impossibile decidere quale si ala migliore forma di governo inoltre “Cristo non prescrisse nessuna forma di governo temporale, ma lasciò in libertà degli uomini l’elezione di quel che più loro convenisse”. 4. Dal “governo della casa” alla Cameralistica: le radici storiche delle figure istituzionali di governo La fase cinque e seicentesca ha un passaggio importantissimo da segnalarci; si tratta della “economica” o arte di governare la casa che in Italia, tra il XVI e il XVII secolo, fiorisce all’interno di una più vasta produzione “nobiliare”, la quale a propria volta assembla realtà domestica e familiare di ampio respiro politico. La scienza della famiglia svolgeva un ruolo di raccordo tra la sfera domestica e quella pubblica mettendone in rilievo le reciproche affinità andando a disegnare così un modello nobiliare che coincideva con un preciso ordine sociale e politico. Il governo della casa si intreccia con il governo civile. La “casa” in questione è quella del Principe che rappresenta il culmine della società nobiliare. proprio in questa fase storica comincia ad attuarsi il processo di separazione fra i beni reputati di proprietà personali e ciò che è astrattamente “pubblico” e dunque fuori della disponibilità di chi detiene il potere governo. Il Principe amministra lo Stato come fosse la sua Azienda assumendo sempre di più le veci di un “sovrano tutore” il cui compito è quello di far fruttare il regno e renderlo prosperoso assicurando con ciò buone condizioni di esistenza e di lavoro dei suoi abitanti, garantisce inoltre la conservazione e la stabilità del potere principesco. Pariani Andrea 10 principio della legittimità della contestazione e dell’uccisone del re divenuto tiranno, mirano ad opporsi al nascente assolutismo europeo. In questo periodo spiccano anche Francois Hotman e Junius Brutus nei quali si può osservare come la visione organicista fin lì conosciuta viene rivoluzionata: il corpo politico è essenzialmente quello del popolo indipendentemente dalla presenza della “testa” regia. Il principe può essere quindi pensato non solo come testa o cuore dell’organismo politico bensì come un delegato che svolge una funzione: GOVERNARE Quali le conseguenze di una simile impostazione? E’ del tutto evidente che in una comunità ci debba essere qualcuno che regga il timoneà Althusius distingue in modo nitido i concetti di imperium e gubernatio. Si inizia anche per questa strada ad immaginare una funzione di governo. Si ragiona in termini di poteri derivanti, in un senso ancora assai primitivo; il popolo istituisce i re e per conseguenza il potere del popolo è superiore a quello del re. Si può cominciare ad intravedere già la dinamica costituente e la supremazia del potere popolare incarnato nell’organo rappresentativo elettivo. JEAN BODINà teorizza la sovranità, esiste un “potere assoluto e perpetuo che è proprio dello Stato”. In termini di governo chi si trova a capo di una comunità dispone della facoltà di derogare alle leggi civili e che le stesse norme che egli emana non lo vincolano perché non e possibile comandare su se stesso. Nessuna regola patteggiata fra due parti può dunque essere concepita. Ci sono dei limiti ma stanno sul piano della legge divina, del diritto naturale e delle cosiddette “leggi fondamentali della monarchia” (successione al trono, tutela della proprietà…). La sovranità è indivisibileà il governo misto è tutt’altro che il migliore: là dove esiste, il paese non trova pace e il regime che si realizza appare come una corruzione dello Stato. Uno Stato in grado di assumere solo tre forme: monarchia, aristocrazia, democrazia. Esempio: Se una monarchia diventa democratica in senso pieno, cessa di essere monarchia per diventare democratica, e così via. L’attacco al governo misto è diretto. L’idea di una politica risultato di una combinazione di più elementi invece che di garantire una unitarietà è concepibile solo ad un livello secondario o subordinato a quello statale: il livello appunto del governo che cessa di identificare in sé la forma politica di massimo grado. Per Bodin il “governo misto” non equivale alla somma di parte distinte ciascuna delle quali in possesso di una sovranità limitata ma ad una situazione nella quale esiste un potere prevalente e altri a lui subordinati che non costituiscono lo Stato ma il governo. Considerando ancora lo stato di Franciaà il re è lo Stato e lo Stato coincide con il monarca sovrano e con il suo dominio, mentre il governo è effettivamente di altri nel senso che sta sempre più diventando una struttura complessa e articolata in istituti che hanno ormai accumulato in molti casi una lunga storia. Il punto di crescita del potere monarchico assoluto è il centro; il nucleo di attrazione è il re tale ancora per diritto divino e perciò stesso irresponsabile. Il re è dunque libero di creare la legge soprattutto per mezzo di ordinanze, egli è comunque circondato da esponenti dei diversi interessi presenti nel regno (città, corporazioni, università, banche…) i quali ottengono in vari modi di far ascoltare la propria voce presso la Corte. Per quanto assoluto, il monarca deve pur sempre operare entro la logica di mediazione e compromesso. Pariani Andrea 11 Non si deve nemmeno pensare all’assolutismo d’antico regime come ad un lungo periodo contraddistinto da un uniforme governo personale del monarca: questo vale solo per alcune fasi specifiche dell’esperienza storica in questione, corrispondenti ai regni di Enrico IV e Luigi XV. Per molti aspetti si risolve ancora in un MINISTERIATOà modalità di governo in cui un altissimo personaggio dirige lo Stato rendendo conto direttamente al sovrano (Richelieu). Per tutto il cinquecento, sono i Consigli politivi, amministrativi e giudiziari ad avere il maggior peso in modo che lo stesso re possa svolgere la sua attività all’interno di un Consiglio ristretto di vertice. Nel corso del XVIII secolo, quando il monarca non è in grado di assicurare l’unità di governo i “ministri” formano un comitato nel quale gli affari generali possono essere trattati anche in assenza del Capo di Stato. Diventa quindi necessario analizzare le figure dei Consigli, Segretari e dei ministri. 1. CONSIGLIà in principio, vi è la curia regis (una assemblea a cui partecipano solo gli uomini molto vicini al re e che formano il suo consiglio privato e personale con competenze altissime). La Curia si qualifica sempre più come istanza politica e si ramifica in una serie di istituti a sé stanti quali: Ø Camera dei conti Ø Parlamento di Parigi Un Gran Consiglio ha competenze genarli, dipende in tutto dal re e vede una partecipazione abbastanza allargata. Ad esso sono affiancati tre Consigli: Conseil d’En Haut (molto ristretto e destinato alle questioni di alta politica), Conseil des depeches (composizione più estesa e si occupa dell’amministrazione interna del regno), Conseil des finances (non ammette i Segretari di Stato, è presieduto personalmente dal monarca e dirige la politica finanziaria) 2. SEGRETARI DI STATOà aumentano l’importanza in corrispondenza al declinare delle antiche cariche di corte formatesi presso la Casa Reale e man mano che i servizi relativi alla persona del monarca si organizzano indipendentemente dall’attività di governo. Fa eccezione il Cancelliere che rimane il più altro funzionario di Stato. Le competenze dei segretari mutano intorno al 1626 anno in cui viene fissato a 4 nel numero di essi e si occupano rispettivamente di affari esteri, marina, esercito e casa del re. Inoltre, sono a capo di uffici molto complessi e allo stesso tempo sono sottoposti al Controllore delle Finanze che verifica che ogni atto amministrativo sia coperto finanziariamente. Infine dipendono sempre di più dall’opinione pubblica che si interessa alla loro scelta. 3. MINISTROà per tutto il XVII secolo il nome di “ministro” non indica tanto un ufficio quanto una funzione ad hoc, un incarico che dipende da una decisione del monarca sempre revocabile. L’opinione pubblica gli attribuisce la qualifica di ministro principale, primo servitore, del re. (Marziano era un illustre ministro) I parlamenti francesi sono plurimi perché prima di tutto sono corti di giudicatura che amministrano sul territorio (giustizia delegata). Tali corti (Parigi, Pau, Metz, Douai…)svolgono la funzione di registrare le ordinanze regie: funzione in partenza formale ma che con il tempo origina un vero e proprio diritto di “rimostranza” ovvero la possibilità di rifiutare la registrazione di essa rendendo così non operativa la decisione del monarca. Parlamento e corona si trovano così spesso a gareggiare; i parlamenti francesi inoltre si tecnicizzano in senso giuridico e giurisdizionale mancando l’obiettivo di costruirsi una piena credibilità rappresentativa che non sia quella della nobiltà di toga che in larga misura si vede. Pariani Andrea 12 In sostanzaà L’ASSOLUTISMO finisce per creare un sistema di governo irrimediabilmente afflitto da un “deficit rappresentativo” molto più evidente lungo il corso del XVIII secolo. Questa mancanza non potrà mai essere colmata dagli Stati Generali, assemblee notabili e parlamenti. Questo è il motivo per cui in Francia perdura la Monarchia Assoluta. 2. Il Governo misto inglese 1215, anno in cui viene siglata la Magna Charta Libertatum, riconosce per la prima volta un nucleo di limiti al proprio potere. Giovanni Senza Terra lascia in eredità alla storia inglese almeno due legati duraturi: Ø l’istituzione di un consiglio comune costituito da poco più di una ventina di altissimi feudatari Ø il principio secondo il quale nessun uomo libero può essere tassato senza il proprio consenso. Si tratta di due elementi destinati ad intrecciarsi. Il Parlamento inglese diventa un’istituzione assai più efficiente rispetto alle altre assemblee europee: la House of Commons, ha un numero di membri quasi dieci volte superiore a quello delle Cortes castigliane e doppio rispetto a quello dei deputati del Terzo Stato Francese. Inoltre gode di una omogeneità sociale e di un sistema elettivo che resterà immutato nei secoli fino alla riforma dei “borghi putridi” attuata nel 1832. Il punto fondamentale è il fatto che tiene il controllo sulle imposte straordinarie. La Corona manca del potere di tassare liberamente i sudditi così come quello di legiferare a piacimento. Tra il Cinquecento e il Seicento, il piatto della sovranità è in gioco anche sull’isola britannica e Camere e Corona se lo disputano con accanimento: 1. le camereà contano sia sul proprio valore rappresentativo 2. coronaà impiega l’arma del libero potere di convocazione del parlamento, che le consente di lasciare inattivo l’avversario per periodi lunghissimi di tempo finché la necessità di nuovi introiti non le imponga un rinnovato confronto diretto. THOMAS SMITHà (De Republica Anglorum) eleva il Parlamento a sede del potere “più alto e assoluto” del regno in virtù della sua natura rappresentativa 1. Da un lato si è ormai entrati in una logica di ripartizione delle prerogative o di separazione dei poteri. Il parlamento ha infatti il potere di dichiarare la legge e decidere il carico fiscale; il re dispone delle funzioni di carattere internazionale per cui nomina alle cariche pubbliche, amministra il paese con la collaborazione dei ministri e scioglie le Camere. Tale divisone è decisiva per l’avvicinamento tra “governo” ed “esecutivo” che si compirà nella logica costituzionale disegnata dalla rivoluzione francese. 2. Dall’altro lato si va definendo un passaggio raffinato della teoria rappresentativa. Si costruisce l’idea di una rappresentanza “virtuale” che svincola i mandatari dalle direttive dei propri mandanti e li rende invece esponenti dell’intero corpo politico. Si cerca la formula ideale in grado di fissare tale idea garantendo il massimo di operatività politica e si presentano perciò i deputati come rappresentanti di entità spersonalizzate quali il regno, il paese, il popolo. Nel corso del XVII secolo è in gioco la titolarità della sovranità, si sta precisando la divisione dei poteri costituzionali. THOMAS HOBBESà una sovranità assoluta e indivisibile che attira la sua attenzione assai più del governo. Non esistono limiti di sorta a un potere sovrano né nelle leggi naturali, né in quelle Pariani Andrea 15 Bolingbroke e Blackstoneà mettono con decisone l’accento sul fatto che il “buon governo” è solo quello che rispetta le regole consolidate, vale a dire la costituzione. (…)”il governo costituzionale di questa isola è così perfettamente temperato e coordinato che niente può metterlo in pericolo, danneggiare e distruggere l’equilibrio del potere tra la branca della legislatura e le altre componenti.(…)” Il governo perciò può essere “costituzionale” o “non costituzionale”. Si va facendo strada l’idea che il governo debba rispettare l’impianto normativo dettato dalla costituzione e dall’altro, che costituzione e governo siano due entità separate e distinteà non era allora scontato e irrilevante. MONTESQUIEUà 1734 pubblica “Esprit des Lois”, di cui una parte considerevole tratta delle riflessioni sulla Constutution d’Angleterre. La preoccupazione dell’autore è l’enorme varietà delle forme di governo che aspira a padroneggiare attraverso l’osservazione empirica e la individuazione delle regolarità che vi sottostanno. L’autore prende quindi in considerazione la casistica politica più ampia possibile e si domanda quali siano i motivi di tanta variabilità che può essere contenuta in una tipologia semplificata: tre forme di governo esistenti (repubblicano, monarchico, dispotico) dipendenti però da molteplici cause fisiche (naturali, geografiche, economico-sociali e spirituali). In questo approccio articolato, alla genesi dei regimi sta un elemento importante perché lega le diverse esperienze istituzionali di ogni popolo al momento storico: L’Esprit de Lois mette in chiaro che la “costituzione” politica di una comunità, origina dall’ambiente in cui si sviluppa e ha basse probabilità di adattamento ad altre latitudini. L’Europa lavora da secoli alla costruzione di governi moderati. In questo senso è preferibile la forma monarchica, perché il potere del re può venire in essa bilanciato dai corpi intermedi che impediscono al sovrano di abusare della propria autorità; occorre evitare la concentrazione del potere. Quale espediente costituzionale permette un simile gioco di contrappesi? La risposta sta ovviamente nel sistema inglese in cui il controllo fra poteri si realizza attraverso la loro divisione in legislativo, esecutivo e giudiziario. È una divisione giocata in termini funzionali e sempre meno in termini di governo “misto”. Il testo scritto da Montesquieu mette a disposizione delle imminenti rivoluzioni l’arma più potente: progettare con la sola forza della ragione un “nuovo ordine delle cose”. L’autore non fa tutto da solo ma si fa aiutare anche dagli scritti di Jean Jacque Rousseau; da questo incrocio nasce un “mix” di teorie ed esperimenti istituzionali capace di svellere la nozione di governo dalla posizione in cui si trovava da secoli. ROUSSEAUà (Contract Social), testo pubblicato nel 1762 in cui viene espresso il concetto che ciascun uomo diventa cittadino e si sottomette alla volontà generale e dunque alle leggi dello Stato. Questa assimilazione tra volontà generale e legge, conserva dei margini di adattamento e di elasticità ma è utile anticipare che sarà utilizzata e sviluppata dal costituzionalismo settecentesco. La concezione di Rousseau di un’autorità legislativa risiede nella totalità del popolo sovrano, che porta alla luce la volontà generale consentendo ai poteri di esistere e stringere il nodo fra volontà politica, sovranità e legislazione generale. In che misura questo discorso influisce sull’evoluzione del governo? Pariani Andrea 16 Intanto, permette un ulteriore sviluppo interpretativo dei tipi di regime: la sola forma di Stato legittima risulta essere la repubblicano-democratica cioè quella fondata sulle leggi. All’interno di una repubblica è poi possibile che varino le forme di governo: monarchica, aristocratica democratica. Rousseau ha ben presente le esperienze di democrazia dirette di certe piccole comunità svizzere e le giudica irrealizzabili all’interno di sistemi politici più estesi. Le preferenze dell’autore vanno quindi ad una aristocrazia elettiva sul modello della repubblica di Ginevra. L’autore è consapevole che non esistono governi semplici e sono quindi di fatto tutti misti, con poteri divisi nessuno dei quali può dirsi sovrano. Importa molto di più la spiccata centralità assunta dal fattore legislativo che sposta il governo su un piano subordinato: la funzione esecutiva. Il governo perde così di importanza in quanto non c’è più niente e nessuno da guidare e da dirigere e diventa semplicemente potere esecutivo che dipende dalla volontà generale. C’è sempre il pericolo che i governanti si mettano al servizio di interessi e volontà particolari: per questo motivo devono essere limitati e il popolo deve sempre potersi riprendere il potere che ha solo temporaneamente e parzialmente delegato. Si evidenzia così lo scarto fra la filosofia precedente e la moderna scienza politica. La questione diventa “geometrica”, passando dalla dimensione della razionalità formale e a quella scientifica della misurazione di limiti, perimetri di azione, pesi e contrappesi. Consideriamo la realtà americana (antecedente alla rivoluzione francese del 1789) I possedimenti nordamericani percepiscono il modello della monarchia bilanciata e vivono la pratica istituzionale ad esso collegata. Dipendono in primis dalla Corona che opera le concessioni di sfruttamento di quei territori; vengono poi tassati dal parlamento di Londra dal quale dovrebbero sentirsi rappresentati in virtù della teoria della rappresentanza “virtuale”. Verso la metà del Settecento, i coloni hanno ormai alle spalle una tradizione di governo dualista abbastanza consolidata: da un lato un organo monocratico e dall’altro un’assemblea. Ma la vita di chi deve colonizzare un territorio inospitale lascia poco spazio alla dipendenza da poteri lontani o di chi cerca di sfruttare a distanza le risorse del nuovo mondo. Emerge così una marcata tendenza all’autogoverno che si traduce in spontanee riunioni dei capi di famiglia e poi in assemblee rappresentative locali. Le regole di base su cui ci si accorda, vengono spesso messe per iscritto ispirandosi sempre al modello delle concessioni le quali si fondano appunto su concreti atti documentarià si assiste così alla nascita di forme embrionali di costituzione scritta. Quando il contrasto fra madrepatria e colonie raggiungono i livelli di frattura rivoluzionari, gli americani hanno già implicitamente elaborato una forma di governo tendenzialmente non troppo dissimile da quella inglese. Ma la rivoluzione è prima di ogni cosa il risultato di uno scontro in materia di tassazione con il parlamentoàsi tratta dunque di una rivoluzione monarchica. non c’è differenza verso il potere governativo monocratico, semmai verso il legislativo. La costituzione federale prevede infatti un presidente eletto dal popolo dotato di forti poteri e che sia in grado di inserirsi nell’operato del Congresso bicamerale grazie al veto sospensivo delle leggi. Ma il Senato deve dare il proprio consenso ai principali atti presidenziali che ricalcano quelli di prerogativa regia inoltre, può giudicare il capo dello Stato nei casi di impeachment. La continuità con il modello monarchico inglese si coglie nella collocazione di una figura monocratica al vertice del sistema e nella previsione di aree di intersezione fra le sfere d’azione dei diversi poteri costituiti. Eppure compaiono degli elementi innovativi: Pariani Andrea 17 Ø Il carattere elettivo del presidenteà sottende una concezione del potere esecutivo assai “governativa”: il presidente, resterà l’esecutivo e sarà molto più che tale infatti acquisisce un vero e proprio potere governante. Ø Soluzione federalistaàintroduce nel panorama delle forme di governo, una nuova variante. Il federalismo si basa su un collegamento consensuale di più stati-territori che danno origine a una entità statale nuova e ad essi sovraordinata senza per questo abdicare totalmente dalla propria sovranità e autonomia amministrativa. Si vengono così a creare diversi livelli di governo ciascuno con propri poteri derivati dalla carta costituzionale. La più rivoluzionaria delle innovazioni statunitensi è rappresentata dalla comparsa del soggetto costituente che si pone a monte della forma di governo. Attraverso un atto di volontà politica preciso, espressivo della sovranità del popolo e produttivo di un atto scritto fondante il regime vengono determinate le “leggi fondamentali”. I poteri sono tutti intrinsecamente limitati in quanto costituiti e dunque rinchiusi ciascuno entro un’area d’azione non oltrepassabile senza sconfinare nella incostituzionalità. Ciò che adesso ci interessa è cogliere l’importanza del principio regolativo che presiede al rapporto fra costituzione e governo. La formulazione forse più nitida della relazione esistente fra governo e costituzione viene offerta da THOMAS PAINEà (Rights of a man, being an answer to Mr.Burke’s attack on the French Revolution); in questa opera l’autore scrive a chiare lettere che una “Costituzione non è l’atto di un governo ma del popolo che costituisce un governo e il governo senza costituzione è potere senza diritto.” Il governo viene dopo la costituzione: è un male necessario dal quale la società deve difendersi, limitandolo. Paine riflette anche la diffidenza della Revolution verso l’esecutivo monarchico. Il medesimo principio di dipendenza del governo dalla costituzione assume un sapore assai diverso nelle ex- colonie americane. Si vanno quindi a profilare due movimenti rivoluzionari: 1. Quello americanoà crea un sistema politico originale su un territorio istituzionalmente vergine fortemente bisognoso di una strutturazione ispirata alle condizioni storiche e ambientali. 2. Quello franceseà si scontra viceversa con un regime antico consolidato da secoli di pratica e di consuetudini; se vogliono realizzare le proprie aspirazioni politiche, i costituenti parigini devono abbattere quel regime. In questo senso la rivoluzione francese “rigenera” (il potere monarchico). Questa rigenerazione si produce nello scontro fra un legislativo rappresentativo delle nuove istanze e un esecutivo che difende il vecchio sistema di governo e l’impianto feudale dei privilegi. 4. Governo e costituzione: le identità si differenziano La rigenerazione rivoluzionaria deve attuarsi impiegando una nuova e indispensabile arma: LA COSTITUZIONE. L’accezione rivoluzionaria di costituzione emerge da un complicato processo di definizione ma che non gli sottrae una pluralità di significati destinata ad essergli propria fino ad oggi. La prima fase della rivoluzione coincide con lo scontro fra: Ø i sostenitori della “nuova” costituzioneà sono i fautori della rigenerazione costituzionale e auspicano la stesura di una Carta scritta fondata su principi totalmente nuovi Ø i sostenitori dell’”antica” costituzioneà ritengono che anche laddove si vogliano realizzare delle riforme del sistema politico francese, non comporti la necessità di una costituzione che deve corrispondere alle regole fondamentali del regime in quanto rappresenta la forma di governo nella sua essenzialità Pariani Andrea 20 artefici in modo che la Convenzione si rimettesse al lavoro e si affidasse a una commissione degli Undici con il compito di preparare un nuovo progetto costituzionale. Quella partorita dalla Convenzione è una creatura costituzionale destinata a una sua esistenza piuttosto contradditoria. La percezione della necessità di un governo forte si scontra con la precisa volontà di mantenere i poteri rigidamente separati nella speranza di evitare derive analoghe a quella della tirannide giacobina. Si riconoscono due partiti: 1. Il governo propriamente detto (la pensee) 2. Amministrazione (l’action) Una divisone che finisce per collocare legislativo ed esecutivo su due piani privi di reciproci collegamenti da cui deriva una paresi istituzionale con continui colpi di Stato. Il problema era stato intuito con anticipo da Sieyes che sostiene la necessità di creare un potere neutro che sia custode della costituzione e capace di sbloccare gli stalli istituzionali. Il regime che prende vita con la costituzione dell’anno III viene battezzato con il nome di Direttorioà sia la sua nascita che la sua fine sono stati segnati da un colpo di Statoàla caduta del direttorio è causata da una azione militare da parte di Bonaparte il quale pone le basi dell’epopea napoleonica e le acquisizioni rivoluzionarie in campo governativo con un Regime –il Consolato- che riceve nuovamente il nome del vertice esecutivo che definisce per la prima volta quest’ultimo con la parola “governo”. Dunque, quello che poteva essere un più efficace esecutivo collegiale si trasforma in governo monocratico; è rilevante accennare come l’anno VIII acquisisca consapevolezza di molti punti decisivi per l’evoluzione del governo in direzione della sua forma più moderna. 5. Il governo parlamentare Le monarchie “restaurate” sono monarchie costituzionali le quali, già con questa denominazione mostrano di assorbire dalla rivoluzione, nel proprio modo di intendere il governo, molto più di quanto ci tengano a mostrare. Nel frenetico accavallarsi delle sperimentazioni prodotte dal decennio 1789-1799 c’è quasi tutto ciò che serve alla edificazione del nuovo stato costituzionaleà tuttavia un punto essenziale è rimasto in sospeso, ed è quello del collegamento tra il legislativo parlamentare (elettivo e rappresentativo) e il governo (tendenzialmente collegiale). E’ un punto rimasto in sospeso perché troppo spesso considerato dal razionalismo rivoluzionario nei termini di una progettualità costituzionale eccessivamente tecnica incapace di vedere che il collegamento fra i due organi nasconde il flusso politico dei nuovi sistemi. Sono emersi le due principali componenti del problema governativo dell’ottocento il quale è infatti: Ø Il secolo delle monarchie costituzionali con poche eccezioni ( federazione svizzera e la repubblica francese del 1848)à tale è la forma di governo che contraddistingue il percorso post-rivoluzionario; possiamo assumere la tendenza a coniugare costituzione e monarchia come la direttrice dell’evoluzione istituzionale ottocentesca Ø Il XIX lavora costantemente alla elaborazione della forma parlamentare che è il prevalente modo contemporaneo per sciogliere il nodo dei rapporti fra governo e parlamento Cosa si intende per forma di governo parlamentare? FORMA DI GOVERNO PARLAMENTAREà un sistema politico-istituzionale al cui interno la compagnia governativa per poter operare, deve godere dell’appoggio di una maggioranza parlamentare che si traduce nella tendenza di approvare i provvedimenti legislativi necessari a dare corpo alle decisioni ministeriali il che si traduce nella “fiducia”à una manifesta accettazione preventiva della composizione del governo e della sua linea politica. Se la fiducia viene meno il governo NON è più legittimato a restare in carica e deve presentare le dimissioni. Un voto di sfiducia infatti segnala un conflitto fra legislativo ed esecutivo. E’ possibile che allora i deputati si facciano da parte: il capo di stato scioglie il corpo rappresentativo e rimette il potere di dirimere il conflitto fra gli elettori. A seconda che il voto produca una maggioranza in linea con gli Pariani Andrea 21 ordinamenti della Camera o con quelli del Governo, sarà l’uno o l’altro organo ad avere ottenuto ragione. Questo tipo di sistema impiega molto tempo ad affermarsi; Ø Nei primi decenni del ‘700 cominciano ad acquisire grande rilevanza la figura del Primo Ministro e quella del Cabinet ministeriale. E’ Walpole il principale promotore di questa trasformazione Ø Sempre negli stessi anni si rafforza l’idea di bipartitismo tramite: • whigsà si legano alla dinastia garantendosi un monopolio di governo per quasi cinquanta anni • toriesà obbligati a calarsi nel ruolo dell’opposizione Walpole, leader whig, non si accontenta dell’appoggio regio e cerca costantemente la fiducia della camera rappresentativa. Ø Acquisisce nuova veste “costituzionale” il principio The King can do not wrong, tradotto nella formula per cui il monarca non può agire mai da solo ma necessita per ogni provvedimento della firma di un ministro competente che sia anche responsabile politicamente della decisione assunta Nonostante tutti questi complicati passaggi, il sistema parlamentare è avviato e le dimissioni obbligate del primo ministro Fredrick North nel 1782 possono essere considerate il segnale che esso riprende rapidamente a funzionare. Non per nulla sono dimissioni che coinvolgono tutti i ministri: una primizia di responsabilità solidale che impiegherà anni per affermarsi completamente. D’altro canto, l’idea che il re debba scegliere i componenti del Gabinetto tenendo conto dell’opinione pubblica rappresentata in parlamento è sempre più salda ma fatica a presentarsi totalmente credibile in una situazione in cui è proprio il governo a manipolare le elezioni. Il sistema appena descritto viene considerato il non plus ultra in fatto di regimi politici, anche e soprattutto perché si vede in esso, la manifestazione più avanzata del processo di affermazione delle libertà e dei diritti. Si vogliono spesso rintracciare ad ogni costo i tratti di un governo parlamentare che ancora non sono presenti. Incorre in questo difetto anche la storiografia italiana che presenterà il regime nato dallo Statuto Albertino 1848 come una forma di governo parlamentare quando questo passaggio non si è mai verificato del tutto. Divenne chiaro, osservando anche al regime inglese di come si stessero trascurando alcuni elementi essenziali. Walter Bagehot (1867 The English Constitution)à descrive un sistema composto da una parte “efficiente” (struttura di governo che lega il parlamento al Cabinet) e una parte “nobile” (radicata nel passato e capace di forte influsso psicologico; il suo vertice è la Corona). L’autore lascia chiaramente intendere che il re può influenzare fortemente l’attuarsi degli automatismi presupposti dal sistema parlamentare (ad esempio consentendo o meno a sciogliere la Camera su richiesta dei ministri). In breve ci si continua ad imbattere nella Corona (a partire dall’Inghilterra fino a tutti i paesi in Europa ancora pregni dello spirito della Restaurazione). Qui sta il puntoà è molto probabile che le monarchie costituzionali siano indispensabili incubatrici della forma di governo parlamentare e che la figura del monarca sia una tessera fondamentale del puzzle parlamentaristico che si sta creando in quegli anni. Il re gioca in partenza un ruolo attivo nella forma di governo parlamentare così come attuata nell’Ottocento. Solo con il passare del tempo e l’evolversi della politica partitica, la sua centralità si attenua e si assiste a un processo di “spersonalizzazione”. Appare quindi evidente come tale forma di governo nasce su prerogative che assegnano alla Corona diversi incarichi: Ø Nomina e revoca dei ministri Pariani Andrea 22 Ø Scioglimento della Camera elettiva Ø Potere di assegnare l’incarico di formazione del governo In molti casi il re si impegna personalmente e direttamente nel conseguire tali compiti; basti pensare all’orleanismo (Luigi d’Orleans)à termine usato ad indicare una forma di governo “dualista” nella quale il monarca giostra in prima persona all’interno dell’arena politico-istituzionale avvalendosi concretamente delle prerogative che la costituzione gli riconosce. Quello che ci importa notare è che una forma di governo parlamentare priva dell’apporto del capo dello stato è per lo più un anacronismo. Le compagnie governative infatti si appoggiano sulla doppia approvazione regia e assembleare. La soluzione a quel problema lasciato dalla rivoluzione francese, la costruzione di un collegamento fra legislativo ed esecutivo, viene perseguita attraverso un forma di governo che trova inizialmente il proprio fulcro nella Corona e nei suoi poteri costituzionali. Se si parte da questo presupposto, l’affermarsi della forma di governo parlamentare in senso compiuto è il risultato di uno svolgimento che appunto occupa tutto il XX secolo. Si tratta di uno svolgimento non lineare, a velocità variabile e spesso contraddistinto dalla convivenza tra novità istituzionali e retaggi di antico regime. Affinché si realizzi un governo parlamentare propriamente detto occorre che gli attori del potere esecutivo, i ministri, diventino responsabili politicamente di fronte al parlamento: occorre cioè che si superi la fase in cui esse rispondono solo penalmente e diventa necessaria invece una risposta politicaà poter essere sindacabili relativamente all’opportunità delle decisioni assunte in qualità di ministro, inoltre questa responsabilità deve allargarsi molto al di là dei singoli provvedimenti ministeriali. Perché ciò avvenga occorre che compaia un nuovo soggetto istituzionale: IL CONSIGLIO DEI MINISTRIà solo quando il corpo dei ministri è concepito ed opera come un tutto unico e non come una formazione di organi autonomi a sé stanti, diventa possibile una sua responsabilità collegiale di fronte all’assemblea rappresentativa. La collegialità dell’esecutivo è strettamente legata all’emergere della figura di un leader governativo: PRESIDENTE DEL CONSIGLIOà riceve dal Capo dello stato l’incarico di formare il governo del quale costituisce il vertice; talvolta appare come un primus inter paris, altre volte come un vero e proprio capo di governo artefice dell’indirizzo politico del paese (Bismarck). Solo quando questa forma assume contorni sufficientemente definiti si può parlare di “fiducia”à anche il parlamento deve trasformarsi e il cambiamento coincide con la comparsa dei partiti. Per la maggior parte dell’Ottocento, i parlamenti d’Europa continentale funzionano con dinamiche molto differenti rispetto a quelle che consideriamo noi oggi: non esistono raggruppamento politici ben definiti e istituzionalizzati, e i deputati si aggregano per lo più seguendo il consenso attorno a sé. Ne risulta una politica parlamentare ristretta a una porzione ridotta di cittadini e gestita da una classe politica di livello sociale elevato e assai omogenea. Ma una rappresentanza affidata al notabilato si fa via via impraticabile entro società sempre più complesse che spostano il potere concreto sul piano dell’amministrazione della vita quotidiana, nelle mani di una burocrazia in continua crescita. Con la progressiva apertura alle masse popolari si pongono le premesse per l’organizzazione del processo elettorale e dell’attività parlamentare attraverso strutture sempre meglio organizzate di propaganda, di mobilitazione e partecipazione politica. Nascondo dunque schieramenti ideologici ben definiti e diventa indispensabile l’associazione di ogni neonato governo con una piattaforma quanto più possibile precisa che garantisca la possibilità di fare affidamento sulla maggioranza parlamentare. La stessa compagine dei ministri è assemblata tenendo conto di tale maggioranza. Ecco che si definisce il legame a doppia corda fra governo e parlamento in cui appaiono evidenti due fattori: Pariani Andrea 25 Parallelamente si rintraccia tutta una serie di formule prodotte attraverso aggettivazioni tese a fotografare molteplici aspetti che quel governo sempre più mostra di saper assumere (“governo amico”, “invisibile”, “di serie B”). Setacciando il lessico della letteratura specialistica ci si imbatte in forme di Ø “governo diviso”à descrivere una situazione in cui maggioranze facenti capo a forze politiche contrapposte controllano rispettivamente l’elezione del capo dello Stato e del parlamento. Ø “governo di partito”à descrivere quel sistema nel quale i partiti costituiscono il principale fattore ordinativo dei rapporti fra le istituzioni Ø “policy government”à governo solitamente diviso incapace di seguire un preciso filo di conduzione e costretto a inseguire i singoli obiettivi Le principali forme di governo sono sostanzialmente due (a cui successivamente se ne aggiungono altre): 1. FORMA DI GOVERNO PARLAMENTARE (precedentemente analizzata)à assume nel mondo contemporaneo forme differenti a seconda del combinarsi di molte variabili diversamente meno intrecciate fra loro entro l’arco dei possibili sistemi democratici 2. FORMA DI GOVERNO PRESIDENZIALEà comporta un capo di Stato eletto a suffragio universale, titolare del potere esecutivo non revocabile se non in eventualità eccezionali e leader di una compagine ministeriale che risponde solo a lui e non al parlamento 3. FORMA DI GOVERNO SEMI-PRESIDENZIALEà forma di governo relativamente nuova (1958-1962 Francia della Quinta repubblica) che implica la contemporanea presenza di un capo di stato a elezione diretta e di un capo del governo emanazione della maggioranza parlamentare. La sua particolarità consiste nella possibile divergenza di segno politico fra queste due cariche che possono essere il prodotto di risultati elettorali contrapposti. Quando le forze politiche di destra controllano l’una e quelle di sinistra l’altra, si genera il caso del “governo diviso” in cui il presidente della repubblica tende a spostarsi nella posizione di super partes di arbitro del gioco politico 4. FORMA DIRETTORIALEà applicata nella Confederazione elvetica, trova un precedente storico nella Francia rivoluzionaria dell’anno III. E’ caratterizzata dalla propensione a riflettere il pluralismo culturale tipico di quel paese. Peculiare è anche il rapporto tra il vertice esecutivo (Consiglio federale) e l’assemblea federale (due camere rappresentative) che elegge i sette membri del Consiglio e tra loro individua il presidente del Consiglio stesso che è allo stesso tempo presidente della Confederazione il tutto bilanciato dalla impossibilità da parte del legislativo di revocare il potere esecutivo. 5. CANCELLIERATO TEDESCOà sistema che limita i poteri del capo di Stato ma intuisce un forte capo del governo. La peculiarità consiste nel meccanismo della cosiddetta “sfiducia costruttiva”, grazie al quale il Bundestag può togliere l’appoggio al cancelliere solo se al contempo indica al presidente della repubblica un successore da nominare. L’obiettivo è quello di garantire un alto tasso di governabilità disincentivando le azioni distruttive da parte delle ali estreme dello schieramento partitico (es. Repubblica di Weimar) 6. POLIARCHIAà (parte del discorso legato alle forme di governo “possibili”)àRobert Dahl descrive questo come un sistema in cu vigono le componenti fondamentali del paradigma democratico e dove esiste una pluralità di centri di potere. Restando nell’ambito delle più scontate forme di governo si corre il rischio di perdere di vista la parola “governo”, la cui presenza è poi l’indicatore principale dei percorsi evolutivi seguiti dal relativo concetto: l’incapacità mostrata dal governo di rimanere una identità istituzionale che vada al di là delle sue componenti personali e “partitiche”. Pariani Andrea 26 GEORGE BURDEAUà “governo”à distinzione tra democrazia governata e democrazia governante al fine di mostrare l’insufficienza di una logica interpretativa fondata solo sul rapporto fra organi costituzionali. Questa intuizione segnala come sia alla costellazione di idee gravitanti attorno a “governo” che occorre richiamarsi quando si voglia misurare il divario fra le pratiche codificate di amministrazione del sistema e le effettive necessità, aspettative e domande che dal sistema stesso emergono. LEIMOTIVà accompagna la politica, non solo quella italiana, tra la fine degli anni ’70-’90 e rappresenta il tema della governabilità: 1. Si rileva l’inadeguatezza dei congegni istituzionali predisposti alla regolazione della vita governativa. La ridottissima durata media in carica delle compagnie ministeriali produceva ingovernabilità ovvero una impossibilità di progettare e realizzare politiche che non fossero di breve periodo 2. Si leggono le difficoltà nella gestione del sistema in termini di overload, sovraccarico di domande dovuto alla crescita qualitativa e quantitativa dei compiti dello Stato Ciò spiega il tradursi del binomio governabilità/ingovernabilità a quello massimo/governo minimo in cui l’idea di autorità capace di andare oltre il Minimal State predicato a lungo come forma di buongoverno per cui allargamento di potere equivaleva a un malgoverno. Quel che si cerca di fare è consolidare l’immagine e la pratica di un apparato governativo a più livelli, in grado di alleggerire il sovraccarico che grava sul centro e di avvicinare ai cittadini le loro richieste. Di fronte alle nuove sfide di europeizzazione e globalizzazione in corso, si parla di multi-level- governanceà ci si riferisce ad un sistema in cui coesistono e interagiscono tre livelli di governo (Europeo, statale, sotto-statale) e che produce decisioni attraverso un processo continuo di negozio non organizzato privo si centro. Questa di governance è un’idea che ha avuto origine negli ultimi anni con successo straordinario: nel 2000 la C.E. ha presentato questa riforma come uno dei suoi quattro obiettivi strategici e nel 2001 ha prodotto un Libro Bianco avente come oggetto la governance europea. Attualmente si utilizza questo concetto in due accezioni principali: 1. (fine anni ’80)à nuovo stile di governo distinto dal modello del controllo gerarchico e caratterizzato da un maggior grado di cooperazione e dall’interazione fra stato e attori non statuali all’interno della rete di decisioni miste pubblico/private 2. derivazione dal campo dell’economia dei costi di transazioneà modalità distinte di coordinamento delle azioni individuali intese come fonti primarie, di costruzione dell’ordine sociale. Per estensione si è arrivati a definire come governance qualsiasi forma di coordinamento sociale. Il risultato cui si è giunti attraverso questo percorso è la disillusione circa l’esistenza di un efficace centro di controllo politico. Questa ha fatto si che si ricercassero delle alternative tra cui i principi di mercato e l’auto-organizzazione orizzontale ovvero l’autogoverno locale, gli accordi neo corporativi e i casi di regolazione sociale. Nel frattempo altre sfide erano sopraggiunte a modificare le dimensioni nazionali di quelle e di tutte le altre questioni legati alla governance: integrazione europea e globalizzazione. Da qui si arriva ad una multi-level governance come tentativo di un risposta credibile. Non a caso ormai è comune parlare di “governo europeo”. La scansione a più livelli della governance risulta meno affidabile davanti ad un global system “privo di alcun soggetti dotato di potestà direttiva e dove manca qualsiasi cornice istituzionalizzata”. E’ probabile che la ricerca di soluzioni per il XXI secolo debba muoversi vero una multi-governance ovvero verso una convivenza di molti differenti modi di governance.
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