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Riassunto del libro “Il diritto dell’Unione Europea” (ultima edizione), Dispense di Diritto dell'Unione Europea

Riassunto schematico e completo, capitolo per capitolo (con indicati i singoli paragrafi), del libro “Il diritto dell’Unione Europea” di Luigi Daniele (ultima edizione).

Tipologia: Dispense

2023/2024

Caricato il 05/04/2024

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valentina-matta-6 🇮🇹

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Scarica Riassunto del libro “Il diritto dell’Unione Europea” (ultima edizione) e più Dispense in PDF di Diritto dell'Unione Europea solo su Docsity! DIRITTO DELL'UNIONE EUROPEA PROCESSO DI INTEGRAZIONE EUROPEA L'integrazione dell'Europa occidentale segue due metodi distinti: uno tradizionale e uno più innovativo. Il metodo tradizionale si fonda sulla cooperazione intergovernativa, per cui gli Stati partecipanti cooperano tra loro come soggetti sovrani, creando strutture per organizzare tale cooperazione. Le caratteristiche di questo metodo sono le seguenti: a) prevalenza di organi di Stati: negli organi siedono persone rappresentanti lo Stato di appartenenza e seguono le direttive impartite dal potere politico nazionale. b) prevalenza del principio dell'unanimità: le deliberazioni degli organi principali vengono prese all'unanimità. c) assenza o rarità del potere di adottare atti vincolanti: le deliberazioni hanno natura di raccomandazioni, le ipotesi di decisioni vincolanti nei confronti degli SM costituiscono l'eccezione e sono subordinate all'unanimità. Gli Stati dell'Europa occidentale seguendo il metodo della cooperazione intergovernativa creano numerose organizzazioni di tipo regionale. Il primo settore in cui il metodo della cooperazione int. trova applicazione è la cooperazione militare, vengono create due organizzazioni : l'UEO e la NATO. La NATO è stata fondata con il trattato di Washington nel 1949, non è un'organizzazione europea in senso geografico poiché vi aderiscono anche Stati extra- europei, l'organo principale è il Consiglio del Nord Atlantico. Anche nel settore dell'integrazione economica il metodo della cooperazione int. trova applicazione. L'occasione viene data dall'esigenza di gestire il c.d. Piano Marshall, piano di aiuti finanziari accordati dagli USA all'Europa volto a favorire la ricostruzione economica degli Stati europei usciti indeboliti dalla seconda guerra mondiale. Un gruppo di Stati dell'Europa occidentale danno vita ad un'apposita organizzazione, l'OECE, con il Trattato di Parigi del 1948, il cui organo principale è il Consiglio. Esauritasi la funzione dell'OECE, alcuni Stati membri danno vita alle tre comunità europee (CECA, CEE, EURATOM). Per quanto riguarda, infine, il settore della cooperazione politica, culturale e sociale va ricordato il Consiglio d'Europa, il cui statuto è approvato il 1949 da dieci Stati dell'Europa occidentale. E' un'organizzazione con obiettivi ampi, tra cui conseguire un'unione più stretta tra i suoi membri, attuare ideali ed principi che costituiscono il loro patrimonio comune, facilitare il loro progresso economico sociale. L'organo principale è il Comitato dei ministri. Lo strumento d'azione del Consiglio d'Europa è predisporre e favorire la conclusione di convenzioni internazionali tra gli SM, le quali sono numerose e toccano molti settori. Lo strumento più rilevante è la CEDU. Il metodo innovativo di integrazione europea è il c.d metodo comunitario. Il metodo della cooperazione int. permette agli Stati dell'Europa occidentale di conseguire in pochi anni importanti risultati, tuttavia, presenta elementi di notevole debolezza. Un primo esempio è la possibilità per le organizzazioni europee, in quegli anni, di agire efficacemente solo attraverso il consenso unanime degli SM. Le caratteristiche del metodo comunitario sono le seguenti: a) prevalenza degli organi di individui: le persone che siedono nelle istituzioni comunitarie rappresentano se stesse, e non lo Stato di appartenenza, la loro indipendenza viene sancita nei Trattai istituitivi attraverso clausole che, da un lato, vietano agli SM di impartire loro direttive, dall'altro prevedono la decadenza delle persone che violino l'obbligo di indipendenza. b) prevalenza del principio maggioritario: si da largo spazio alle deliberazioni a maggioranza (qualificata), per cui il consenso di tutti gli SM no è più indispensabile per l'azione dell'organizzazione. c) ampiezza del potere di adottare atti vincolanti: il potere deliberativo dell'organizzazione si esprime attraverso veri e propri atti vincolanti che creano a carico degli SM obblighi aggiuntivi rispetto a quelli che gli stessi hanno assunto concludendo i Trattati istitutivi. d) sistema di controllo giurisdizionale di legittimità: è necessario che la legittimità degli atti adottati dalle istituzioni possa essere sindacata da un organo giurisdizionale. e) previsione di una partecipazione democratica dei cittadini all'esercizio dei poteri conferiti all'organizzazione, attraverso organi rappresentativi. La nascita del metodo comunitario risale al 9/5/1950 "giornata dell'Europa", che coincide con la famosa dichiarazione Schumann, con la quale si delinea la c.d. Europa a piccoli passi "l'Europa non potrà farsi una volta sola, essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino una solidarietà di fatto". La prima tappa del percorso di avvicinamento a una "Federazione europea" lo ha compiuto il Governo francese dichiarando di voler riunire la produzione franco-tedesca di carbone e acciaio sotto una comune Alta Autorità. Mettere in comune tali produzioni significa eliminare sanguinosi conflitti del passato. La Dichiarazione contiene alcune indicazioni importanti: il perno della nuova organizzazione è costituito dall'Alta Autorità che si vede composta da personalità indipendenti designate dai governi, e le sue decisioni saranno vincolanti per la Francia, la Germania e i paesi che aderiranno. La proposta nasce come progetto franco-tedesco, aperto, però, ad altri Stati, infatti alla fine viene accolta da sei membri fondatori: Belgio, Francia, Germania, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi. Sorge così la c.d. Piccola Europa, questi sei Stati danno vita alla CECA. Con la nascita della CECA si prevede l'istituzione di un mercato comune el carbone e dell'acciaio, comprendente una zona di libero scambio tra gli SM, il divieto di discriminazioni tra produttori, acquirenti e consumatori. Un ruolo centrale è riservato all'Alta Autorità, i cui membri devono agire nella piena indipendenza, può emanare, oltre ai pareri, decisioni e raccomandazioni, i quali hanno effetti obbligatori nei confronti dei destinatari. Il Consiglio speciale dei Ministri e l'Assemblea comune hanno funzioni consultive, mentre la Corte di Giustizia ha funzioni di controllo giurisdizionale. L'autonomia di cui gode la CECA, e in particolare l'Alta Autorità, spiega il termine “ente sovranazionale” usato per definire proprio la CECA, che si presenta come ente detentore di poteri di governo nbon riconducibili agli Stati nazionali. Nel 1952 viene negoziato e firmato il trattato istitutivo della CED, un organo indipendente al quale spetta il comado unificato delle forze armate di tutti gli SM. Questo trattato non entrerà mai in vigore a causa del rifiuto della Francia di ratificarlo. Aderendo alla CED gli SM, infatti, avrebbero trasferito a un ente sovranazionale un attributo essenziale della sovranità nazionale. Dopo il fallimento della CED, nel 1957 vengono firmati due trattati: la CEEA (EURATOM) e la CEE. N.B in seguito al trattato sull'Unione Europea di Maastricht (TUE) la denominazione della maggiore delle tre comunità è mutata in CE. La struttura istituzionale delle due nuove comunità rispecchia quella della CECA: la Commissione( l’Alta Autorità), Consiglio, Assemblea parlamentare, Corte di Giustizia. Il trattato CECA viene definito trattato legge, viceversa il TCE è un trattato quadro. Le istituzioni della CE sono chiamate ad esercitare un vero e proprio potere legislativo, e diversamente dalla CECA, in cui l'organo principale è l'Alta autorità, nella CE l'organo centrale è il Consiglio, al quale spetta l'adozione di quasi tutti gli atti. Sviluppo dell'integrazione comunitaria europea e unificazione del quadro istituzionale. Hanno inizio i tentativi per semplificare la struttura europea e fondere le tre Comunità in una sola. La prima tappa di questo processo è la firma della Convenzione su alcune istituzioni comuni delle Comunità europee. La seconda tappa è costituita dal Trattato che istituisce un Consiglio e una Commissione unici delle Comunità europee. La terza tappa si è realizzata con la scadenza del Trattato CECA, gli SM hanno rinunciato alla possibilità di rinnovarlo. L'esperienza comunitaria in senso proprio si conclude con il Trattato di Lisbona, la Comunità Europea cessa di esistere come ente autonomo e viene incorporata nell'Unione Europea. Di conseguenza il TCE cambia nome e diventa TFUE. Da un lato l'Unione ha visto l'adesione di numerosissimi nuovi Stati appartenenti al Continente, dall'altro si è assistito al primo recesso di un Stato già membro. I trattati istitutivi, infatti, prevedono una procedura per Questo trasferimento di materie del terzo pilastro porta con sè conseguenze sul piano istituzionale: - eliminazione di distinzioni tra tipi di atti che le istituzioni possono adottare - applicazione della procedura legislativa ordinaria - estensione alle materie di terzo pilastro della ordinaria competenza della Corte di Giustizia. Permangono, invece, notevoli distinzioni con l'ex secondo pilastro PESC, la cui disciplina è riservata al TUE, rimanendo soggetta a un regime speciale per quanto riguarda le procedure decisionali, gli atti da adottare, e l'assenza di competenza della Corte di Giustizia. Europa a più velocità La progressiva riconduzione al metodo comunitario di forme di cooperazione che in passato avevano carattere intergovernativo da vita a una contaminazione dello stesso metodo comunitario. Un esempio è dato dalle forme di cooperazione differenziata, applicabile ad un numero ristretto di SM: si trtatta del fenomeno dell'Europa a più velocità. Primo esempio di cooperazione differenziata è l'accordo di Schengen che riduce drasticamente i controlli fisici delle persone alle frontiere, firmato solo da alcuni SM. Secondo esempio di integrazione differenziata riguarda l'UEM, che comporta l'adozione dell'euro come unica moneta avente corso legale, non partecipano tutti gli SM. Anche il MES è stato firmato dai soli SM la cui moneta comune era l'euro al momento della firma. Terzo esempio riguarda il Trattato di Amsterdam, con il quale vengono preposte, attraverso protocolli allegati al TUE, delle clausole a favore del Regno Unito, Irlanda e Danimarca, che consentono a tali SM di non essere vincolati dalle misure adottate nei settori appartenenti all'ex GAI, questa posizione di estraneità è stata confermata dal Trattato di Lisbona per i settori SLSG. Una Costituzione per l'Europa Il Trattato di Lisbona si ricollega a quello di Nizza, al quale era allegata una Dichiarazione per il futuro dell'Europa, in cui si delinea un percorso per avviare un dibattito sul futuro dell'Europa. Il Consiglio europeo di Laeken approva la Dichiarazione di Laeken, che definisce le questioni da risolvere, e l'aspetto più interessante consiste nell'aver deciso di convocare una Convezione. La Convenzione trasmette al Consiglio europeo un progetto di Trattato che istituisce una Costituzione per l'Europa, in relazione alla quale viene convocata un'altra CIG. I lavori di questa si concludono con l'approvazione di un testo di Trattato che adotti questa Costituzione. firmato poi a Roma nel 2004. Tuttavia, solo 18 SM provvedono alla ratifica o ottengono l'autorizzazione parlamentare per procedervi, in Francia e nei Paesi Bassi, infatti, si ha un esito negativo del referendum popolare. A questo punto anche altri Stati decidono di sospendere le procedure di ratifica, e si decide per una pausa di riflessione. Trattato di Lisbona e Unione come ente unico Gli SM decidono di riaprire le trattative per predisporre un nuovo testo di Trattato che, rinunciando agli aspetti problematici del Trattato costituzionale, possa ottenere l'approvazione dei Governi degli SM e dei parlamenti nazionali. Per questo ine convocata una nuova CIG e viene approvato un testo di Trattato che modifica il Trattato sull'Unione Europea e il Trattato che istituisce la Comunità Europea, e viene firmato a Lisbona nel 2007: il Trattato di Lisbona. Rispetto al Trattato costituzionale, quello di Lisbona presenta elementi di continuità ma anche importante differenze. 1) Elementi di continuità: - sopravvivono al nuovo trattato molte delle innovazioni introdotte dal Trattato costituzionale, un esempio è l'attribuzione all'Unione, quale ente unico, della personalità giuridica autonoma. - le principali riforme istituzionali, come la trasformazione del Consiglio Ue in un'istituzione vera e propria, rafforzamento del ruolo del Presidente di Commissione, riduzione della composizione del Parlamento Ue, generalizzazione della procedura legislativa ordinaria. 2) Elementi di discontinuità: - la scelta di procedere ad una de-costituzionalizzazione della riforma. - non si abrogano il TCE e il TUE ma ci limita ad emendarli, i trattati su cui si fonda l'Unione rimangono due. Il TUE viene completamente riscritto e il TCE cambia anche nome, diventando TFUE, che rappresenta il contenitore di tutte le disposizioni giudicate meno importanti rispetto a quelle riservate al TUE. - cambiamenti per gli euro-scettici: l'inserimento di meccanismi di garanzia e a favore degli SM, la ripetuta affermazione del carattere reversibile del processo di integrazione europea (diritto di recesso unilaterale), la previsione di strumenti idonei a impedire un'espansione incontrollata delle competenze dell'Unione. Ritardata entrata in vigore del Trattato di Lisbona Il Trattato necessita della ratifica di tutti gli SM per entrare in vigore. Alcuni problemi di ratifica si verificano in due stati che non avevano avuto problemi a ratificare il precedente Trattato costituzionale: Irlanda e Repubblica ceca. In Irlanda, gli elettori ad un primo referendum popolare votano contro la ratifica, successivamente viene indetto un secondo referendum dal Governo irlandese che ha esito favorevole. Anche in Germania la ratifica al Trattato viene ritardata da un intervento della Corte costituzionale federale. Il Trattato di Lisbona viene poi firmato ed entra in vigore il 1 dicembre 2009. Crisi del debito pubblico e riforma della governance economica A partire dal 2009 si verifica in Europa la crisi del debito pubblico, per cui alcuni Stati si trovano nell'impossibilità di far fronte all'ingente stock di debito pubblico accumulato negli anni passati. In questo quadro si inserisce una riforma che consiste in diverse componenti: - istituzione di un sistema per venire in soccorso agli SM che si trovano in gravi difficoltà finanziarie. - rafforzamento del coordinamento e della vigilanza delle politiche economiche nazionali. Gli SM della zona euro hanno dato vita al Fondo salva-Stati, creato attraverso il Trattato MES, ovvero un accordo concluso da alcuni SM. Si tratta, quindi, di uno strumento estraneo all'ordinamento dell'Unione che svolge, tuttavia, un compito complementare rispetto alle disposizioni del TFUE sull'UEM. Il MES è un'organizzazione internazionale finanziaria, simile al FMI, con sede a Lussemburgo, il cui l'oggetto è fornire assistenza finanziaria agli Stati parte in gravi difficoltà finanziarie, è uno strumento indispensabile al corretto funzionamento della zona euro e alla sua stabilità. Al suo funzionamento partecipano le istituzioni dell'Unione, in particolare la BCE e la Commissione. Cenni sulla natura dell'Europa Definire quale sia la natura dell'Europa costituisce una questione molto dibattuta. La prima domanda da porsi è se si sia formato un vero e proprio Stato in sostituzione degli SM : la risposta è certamente negativa, l'Unione, infatti, non è uno Stato e gli SM non hanno perso la loro statualità individuale. Nonostante i numerosi e pesanti vincoli imposti dall'UE agli SM, questi continuano, ciascuno per il proprio territorio, a svolgere tutte le funzioni essenziali di controllo e di amministrazione della sovranità statuale. Le disposizioni delle varie costituzioni nazionali che consentono a ciascuno Stato di partecipare al processo di integrazioni europea, permettono l'accettazione delle limitazioni di sovranità o il trasferimento di porzioni di essa alle istituzioni europee, ma non contemplano l'ipotesi di una fusione degli SM in una entità europea federale. La natura non statuale dell'Unione è legata ad alcune sue caratteristiche: 1) mancanza del potere di definire autonomamente le proprie competenze 2) necessità del consenso unanime del SM per modificare i trattati 3) il diritto di recesso unilaterale di uno SM La 1) caratteristica è legata al principio di attribuzione, per cui l’Unione agisce solo nei limiti delle competenze attribuitele dai trattati e per realizzare obiettivi da questi stabiliti, l'Unione non gode della c.d. competenza della competenza. La 2) caratteristica attiene alla natura dei trattati. Se l'Unione fosse uno Stato federale, i trattati ne rappresenterebbero la Costituzione, e sarebbero per questo modificabili attraverso procedure che richiedono maggioranze particolarmente elevate, ma non l'unanimità degli SM. Proprio il fatto che ci sia bisogno del consenso unanime degli SM dimostra come i trattati abbiano natura di trattati internazionali conclusi tra Stati sovrani. La 3) caratteristica dimostra che l'Unione è una libera associazione di Stati, per cui ciascuno può mettere fine alla propria partecipazione. La seconda domanda da porsi è se l'Unione, allora, costituisca solo una forma di organizzazione internazionale , e sia cioè un ente creato dagli Stati per poter cooperare tra di loro e raggiungere obiettivi comuni, o se sia una figura intermedia che, pur non essendo uno Stato vero e proprio, non è nemmeno una semplice organizzazione internazionale. Nella seconda ipotesi l'Unione sarebbe una realtà originale e dinamica, soggetta a un continuo processo di trasformazione. Il quid pluris che distingue l'Unione è il fatto che gli SM abbiano trasferito a suo favore settori o porzioni della loro sovranità. L'Unione sarebbe, pertanto, un ente titolare di una sua sovranità, nonostante questa sia limitata alle materie previste dai trattati. Nella visione della Corte, gli SM concludendo il TCE ed istituendo la Comunità non si sarebbero limitati ad assumere impegni reciproci, ma avrebbero attribuito al nuovo ente alcuni poteri sovrani. Il carattere sovrano di tali poteri deriva dalla circostanza che l'ordinamento del nuovo ente tocca direttamente i cittadini ed esprime, quindi, un potere di governo, sia pure parziale, su di loro. Le stesse Costituzioni degli SM sono dotate di apposite "clausole europee", se la sottoscrizione dei trattati sulla Comunità rappresentasse solo l'accettazione di vincoli internazionali, non si spiegherebbe la necessità di clausole del genere. La risposta a questa seconda domanda, dunque, è che l'Unione non sia una semplice organizzazione internazionale, ma sia dotata di poteri assimilabili a quelli di uno Stato vero e proprio, d'altra parte, la sovranità statale rimane limitata dalle competenze attribuite all'UE. b) Ha anche funzione di bilancio poichè il Parlamento approva il bilancio annuale dell'Unione, sempre co- responsabile insieme al Consiglio c) Per esercitare le funzioni di controllo politico il Parlamento dispone di canali con i quali riceve informazioni circa l'operato delle altre istituzioni, degli SM e dei privati. Al Parlamento vengono presentate periodicamente relazioni o rapporti dalle altre istituzioni e organi, soprattutto dalla Commissione, la più importante è la relazione generale annuale. Il Parlamento europeo ha anche il potere di procurarsi le informazioni attraverso le interrogazioni e le audizioni della Commissione, del Consiglio europeo, e del Consiglio. Il Parlamento può trarre informazioni altresì dall'azione dei singoli individui attraverso tre strumenti di comunicazione: - petizioni : il diritto di presentarne spetta a qualsiasi cittadino dell'Unione - denunce : riguardo alle quali il Parlamento può decidere di istituire una commissione temporanea di inchiesta - Mediatore europeo : è una persona indipendente e autorevole nominata dal Parlamento europeo che, una volta ricevuta la denuncia, effettua le proprie indagini e ricerca insieme all'istituzione una soluzione per il denunciante. Il Mediatore è privo di potere coercitivo autonomo. 2.4 Il Parlamento dispone di poteri sanzionatori solo nei confronti della Commissione: possibilità di approvare una mozione di censura (sfiducia), in caso di approvazione i membri della Commissione si dimettono collettivamente dalle loro funzioni. Il controllo del Parlamento sull'operato del Consiglio non si traduce, invece, in poteri sanzionatori e riveste carattere morale. Considerata l'assenza di poteri nei confronti del Consiglio, il Parlamento per tutelare le proprie prerogative e impedire che possano essere violate da altre istituzioni, è costretto a percorrere la via inusuale del controllo giurisdizionale. 3. IL CONSIGLIO (art.18 TUE) 3.1 Il Consiglio è un organo di Stati non permanente poichè composto da soggetti che rappresentano direttamente i singoli Stati membri di appartenenza, è un'istituzione unitaria con all'interno una serie di formazioni specializzate a seconda della materia trattata, nelle quali si articola la sua composizione. Di queste formazioni il TUE prevede solo il Consiglio <<Affari generali>> e il Consiglio <<Affari esteri>>, l'elenco delle altre formazioni è stabilito con decisione del Consiglio europeo a maggioranza qualificata. I membri del Consiglio sono: un rappresentante per ciascuno Stato a livello ministeriale , abilitato ad impegnare il governo dello SM rappresentante. 3.2 Organizzazione interna: - Quando si tratta di affrontare un punto all'ordine del giorno, il primo approccio è riservato ai c.d. gruppi di lavoro, che sono riunioni tra rappresentanti degli stati, tecnici, ecc. - Dopo interviene il COREPER, il comitato dei rappresentanti permanenti, composto da ambasciatori che ogni Stato ha dislocato presso il Consiglio, il cui compito è l'esame preliminare di tute le proposte che la Commissione vuole sottoporre al Consiglio. Il COREPER a sua volta si divide in due diverse sezioni, la cui differenza è legata alla maggiore o minore importanza dei temi trattati. - Nelle formazioni specializzate i ministri confermano testi già negoziati e accettati in sede di COREPER. - Queste riunioni sono convocate e gestite dallo Stato che ha la Presidenza, che è semestrale a rotazione per gli <<Affari generali>> e per le altre formazioni, per quanto riguarda, invece, gli <<Affari esteri>> la Presidenza è dell'Alto rappresentante. 3.3 I modi di deliberazione del Consiglio sono: a) maggioranza semplice b) maggioranza qualificata c) unanimità Tra di essi il modo normale di deliberazione è quello a maggioranza qualificata: fino al 2014 ad ogni Stato era attribuito un pacchetto di voti predefinito, e si andavano a sommare i voti degli Stati favorevoli, tuttavia con l'allargamento questo metodo frammentava eccessivamente le coalizioni di stati. Ad oggi, dunque, la maggioranza qualificata si ottiene su base di due criteri: 1) un quorum numerico minimo : i voti favorevoli devono essere non meno di 15 e non meno del 55% del totale dei membri del Consiglio 2) un quorum demografico minimo : i voti favorevoli devono essere espressi in nome di SM la cui popolazione complessiva non sia inferiore al 65% della popolazione totale dell'Unione -> questa modalità può portare a casi in cui una decisone è supportata da tanti SM poco popolosi, e che raggiungono il 65% della popolazione europea lasciando fuori, ad esempio, Francia, Italia, Germania e Polonia: cosa si fa in questi casi? Si procede o no? C'è a questo proposito la c.d. garanzia della minoranza di blocco: istituto che consente di bloccare una decisione anche laddove i requisiti per la maggiorana qualificata siano integrati se almeno 4 stati che rappresentano il 35% della popolazione europea sono contrari, è dunque una via di fuga per i pochi stati più popolosi. Per quanto riguarda, invece, l'unanimità, quando i trattati la richiedono, un solo voto contrario di uno SM è sufficiente a impedire l'approvazione, al contrario l'astensione non fa questo effetto. 3.4 Il Trattato di Lisbona ha introdotto la figura, già citata, dell'Alto rappresentate dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza. Le sue funzioni, quindi, sono: - guidare la PESC - presiedere il Consiglio degli Affari esteri - uno dei vicepresidenti della Commissione E' caratterizzato da una duplice qualità di organo del Consiglio e membro di Commissione, per questo la procedura di nomina coinvolge sia il Consiglio UE sia il Presidente di Commissione. La durata del mandato coincide con quella degli altri membri della Commissione. 3.5 Le funzioni del Consiglio, che esercita congiuntamente al Parlamento, sono: - funzione legislativa - funzione di bilancio Il Consiglio inoltre esercita funzioni di definizione delle politiche e di coordinamento. 4. IL CONSIGLIO EUROPEO 4.1 Il Consiglio europeo è un organo di Stati poichè composto da soggetti che rappresentano direttamente i singoli SM di appartenenza. Il Trattato di Lisbon trasforma i Consiglio europeo in una vera e proria istituzione dell'Unione. La composizione attuale del Consiglio è: - i Capi di Stato e di governo degli SM - il Presidente - il Presidente di Commissione + la partecipazione ai lavori dell'Alto rappresentante (non è un vero e proprio membro) Per quanto riguarda il potere deliberativo: in caso di deliberazione a maggioranza qualificata votano solo i Capi di Stato e di governo 4.2 La nomina del Presidente è affidata al Consiglio europeo con deliberazione a maggioranza qualificata. La durata del mandato è di due anni e mezzo. Le funzioni del Presidente sono la preparazione e la continuità dei lavori del Consiglio europeo , funzioni di rappresentanza esterna dell'Unione per le materie relative alla politica estera e di sicurezza comune. 4.3 Tradizionalmente il metodo di deliberazione tipico del Consiglio europeo è il consenso, che si forma senza bisogno di votare, quando nessuno dei membri si oppone al testo presentato. Il Trattato di Lisbona prevede, però, anche casi in cui si delibera a maggioranza qualificata. 4.4 Le funzioni del Consiglio europeo sono definite dall'art.15 TUE, per cui il Consiglio da all'Unione impulsi necessari al suo sviluppo e ne definisce gli orientamenti e le priorità politiche generali. Il Consiglio è, quindi, il supremo organo di indirizzo dell'Unione, non gli è però concesso interferire nella sfera legislativa. I Trattati assegnano al Consiglio europeo compiti decisionali veri e propri che incidono direttamente sulla vita e l'operato dell'Unione, ad esempio: - ha un ruolo nella nomina di organi monocratici come il Presidente, l'Alto rappresentante, il Presidente della Commissione; - è chiamamto ad assumere decisioni che integrano o danno attuazione ad alcune disposizioni dei trattati; - può essere adito da uno SM che non intenda subire una decisione presa a magg qualificata, ottenendo di bloccare o rinviare la decisione 5. LA COMMISSIONE 5.1 La Commissione è un organo di individui poichè composta da persone che non sono legate da un vincolo di rappresentanza ad uno SM, ma portano nell'istituzione la propria autonoma facoltà di giudizio. La composizione ha subito nel tempo numerosi cambiamenti : in origine il numero dei membri era superiore a quello degli SM, attualmente, invece, è previsto che il numero dei membri sia pari al numero di SM. I membri della Commissione devono soddisfare i requisiti di indipendenza e professionalità, e anche gli SM sono tenuti a rispettare quest'indipendenza senza cercare di influenzarli nell'esercizio dei loro compiti. Il mandato dei membri della Commissione dura 5 anni, durata che è stata armonizzata con quella dei membri del Parlamento europeo. Il mandato dei singoli membri può cessare anticipatamente, in caso di dimissioni individuali o collettive, o in caso di mozione di censura del Parlamento. 5.2 La procedura di nomina è cambiata notevolmente nel corso degli anni, distingue la posizione del Presidente rispetto a quella degli altri membri: 1) fase: individuazione del candidato alla carica di Presidente, politicamente allineato con il Parlamento europeo, effettuata dal Consiglio europeo con deliberazione a magg qualificata; 2) fase: elezione del candidato Presidente dal PE; 3) fase: deliberazione a magg qualificata del Consiglio, con la quale si adotta l'elenco dei commissari selezionati in base alle proposte degli SM; 4) fase: i membri della Commissione sono soggetti al vaglio del PE tramite audizioni individuali; 5) fase: affidata al Consiglio europeo che, sempre a magg qualificata, nomina la Commissione. N.B -> tutta questa procedura NON vale per l'Alto rappresentante. 5.3 Le deliberazioni della Commissione vengono prese a maggioranza del numero dei suoi membri. L'attività della Commissione si è in effetti suddivisa in varie Direzioni generali, ciascun membro ha la responsabilità di una o più Direzioni. 5.4 I compiti della Commissione sono: a) interprete dell'interesse generale dell'Unione, ne detiene la rappresentanza esterna negoziando accordi internazionali; b) ha potere esclusivo di iniziativa normativa; c) potere decisionale di adottare atti delegati ed esecutivi; d) verifica il rispetto del diritto dell'Unione degli SM, delle istituzioni e dei privati 6. CORTE DI GIUSTIZIA DELL'UNIONE 6.1 Il Trattato di Lisbona ha configurato la Corte di Giustizia dell'Unione euroea come Corte unitaria, nonostante si articoli in più rami dotati di autonomia funzionale (piena) e amministrativa (parziale): - Corte di Giustizia, organo giurisdizionale di ultima istanza; - Tribunale, organo giurisdizionale di prima istanza. europeo, al Consiglio e Commissione. Il compito principale del SEBC, invece, è il mantenimento della stabilità dei prezzi. I compiti della BCE: - diritto esclusivo di autorizzare l'emissione di banconote in euro; - potere consultivo; - potere normativo, a dottare regolamenti, decisoni, raccomandazioni e pareri; - potere sanzionatorio in relazione a tali atti; - potere di indirizzo. 8.4 Le agenzie europee sono organi creati inizialmente negli anni '80, che negli ultimi anni hanno avuto un successo significativo. Il processo di integrazione nei decenni si è esteso a materie sempre più tecniche e complesse, per le quali la Commissione non era più in grado di svolgere le sue funzioni. Sono quindi stati creati organismi specializzati di carattere tecnico con specifiche competenze in determinate materie. a) Due categorie generali di agenzie sono: - Agenzie esecutive: strutture della Commissione europea, gestiscono una determinata materia sotto la supervisione della Commissione. - Agenzie indipendenti: legate alla Commissione ma da essa indipendenti a livello strutturale e funzionale. Sono decentrate su tutto il territorio europeo. b) Le Funzioni di queste agenzie sono di tre tipologie: - Agenzie con semplice mandato informativo e di ausilio alle istituzioni europee (FRA, EIGE, ETF); - Agenzie con capacità consultiva diretta e funzione istruttoria (istruiscono pratiche amministrative) e assistenza tecnico-operativa (EMA, EFSA); - Agenzie con poteri regolatori e controllo in alcuni settori. PARTE II LE PROCEDURE DECISIONALI 1. CONSIDERAZIONI GENERALI 1.1 Per procedure decisionali si intende la sequenza di atti o fatti richiesta dai trattati affinché la volontà dell'Unione possa manifestarsi attraverso determinati atti giuridici. Queste procedure hanno prevalentemente carattere inter istituzionale, si compongono di atti o fatti provenienti da più istituzioni, in particolare quelle politiche. A seconda della procedura decisionale applicabile nei vari settori di competenza UE, il ruolo delle istituzioni cambia. I trattati prevedono numerose procedure decisionali e le disciplinano, per questo motivo esse sono inderogabili dalle istituzioni, ciò significa che nessun atto adottato dalle istituzioni può modificare le procedure decisionali previste. Va segnalata, tuttavia, la tendenza ad inserire nei trattati disposizioni che affidano alle istituzioni di disporre il passaggio da una procedura decisionale ad un'altra, o di modificare taluni elementi di qu3ste procedure. 1.2 Il TFUE riserva all'adozione di atti legislativi alcune specifiche procedure, le c.d. procedure legislative: a) procedura legislativa ordinaria : di applicazione generale, che consiste nell'adozione congiunta di un regolamento, direttiva, o decisione da parte del PE e del Consiglio su proposta della Commissione. b) procedura legislativa speciale : si applica solo nei casi specifici previsti dai trattati, e prevede l'adozione di un regolamento, direttiva o decisione da parte del PE con la partecipazione del Consiglio o da parte di quest'ultimo con la partecipazione del PE. Le procedure speciali hanno in comune solo la partecipazione di entrambi il PE e il Consiglio, però l'esatto svolgimento di ciascuna di esse è definito di volta in volta. E' tuttavia possibile individuare due modelli di gran lunga prevalenti : consultazione e approvazione. Accanto a queste, i trattati prevedono anche procedure non legislative, categoria che comprende procedure per l'approvazione di atti molto diversi tra loro. 2. LA DEFINIZIONE DELLA CORRETTA BASE GIURIDICA 2.1 Per stabilire quale procedura vada utilizzata di volta in volta, occorre definire la base giuridica dell'atto che si intende adottare, quindi si deve individuare la disposizione dei trattati che attribuisce alle istituzioni il potere di adottare un determinato atto. Sarà la disposizione individuata a indicare la procedura decisionale da seguire. A proposito della scelta della procedura decisionale sono sorti molti conflitti tra le istituzioni, più frequenti sono i casi in cui il PE o la Commissione contestano la base giuridica prescelta dal Consiglio, attraverso il ricorso d'annullamento proposto dinanzi la CGUE. 2.2 La corretta individuazione della base giuridica dipende dall'analisi di alcuni elementi oggettivamente rilevabili, soprattutto lo scopo e il contenuto dell'atto. Laddove l'atto vada a modificare un atto già esistente, le istituzioni possono utilizzare la stessa base giuridica precedentemente utilizzata per quest'ultimo. Può accadere che uno stesso atto persegua una pluralità di scopi o presenti contenuti differenziati, in casi del genere la base giuridica va dedotta dal c.d. centro di gravità dell'atto. Qualora non sia possibile determinare il centro di gravità dell'atto, questo dovrà eccezionalmente avere una base giuridica plurima, consistente in tutte le disposizioni dei trattati corrispondenti ai suoi vari scopi e contenuti. Questa soluzione eccezionale non è, però, sempre ammissibile, in particolare non vale se le disposizioni che dovrebbero fungere da base giuridica plurima prevedono procedure decisionali incompatibili. 3. PROCEDURA LEGISLATIVA ORDINARIA 3.1 Secondo l'art. 289 TFUE <<La procedura legislativa ordinaria consiste nell'adozione congiunta di un regolamento, di una direttiva o di una decisione da parte del Parlamento europeo e del Consiglio su proposta della Commissione >> in passato era la c.d. procedura di codecisione. E' invalso pertanto l'uso di riferirsi al PE e al Consiglio come co-legislatori. 3.2 In generale la procedura legislativa ordinaria si apre con la proposta della Commissione, che ha, dunque, potere generale di iniziativa normativa esclusivo, questo perché essa persegue l'interesse generale dell'Unione. Il potere della Commissione non è, però, assoluto, si prevede infatti che in casi specifici gli atti legislativi possano essere adottati su iniziativa di anche altre istituzioni: - di un gruppo di SM, - del PE - su raccomandazione della BCE - su richiesta della CGUE o della BEI Il Parlamento europeo e il Consiglio godono del potere di sollecitare la Commissione a presentare una proposta. Non è prevista alcuna sanzione per il caso in cui la Commissione non si attivi a proposito, non è quindi possibile sostenere che l'astensione della Commissione costituisca una violazione dei trattati. Va considerato che le proposte possono essere sollecitate anche da altre istituzioni, come il Consiglio europeo. Il Trattato di Lisbona introduce un istituto di democrazia partecipativa, consistente nel diritto dei cittadini dell'Unione di invitare la Commissione a presentare una proposta appropriata su materie in merito alle quali i cittadini ritengono necessario un atto giuridico dell'Unione, è la c.d. iniziativa dei cittadini. I cittadini devono essere almeno 1mln di almeno 7 SM. Riferendosi la norma ad un semplice invito, la Commissione non è obbligata a dare seguito alle proposte dei cittadini (v. sent. Puppnick), ma è tuttavia obbligata a garantire che i cittadini possano facilmente accedere a tale meccanismo e a registrare l'iniziativa. 3.3 Partendo dal presupposto che la Commissione è portatrice di un interesse generale dell'Unione, mentre il Consiglio rappresenta gli interessi individuali di ogni SM, il TUE limita il potere del Consiglio di modifica della proposta della Commissione, per cui il Consiglio può emendare la proposta solo deliberando all'unanimità. Questa prassi, se da un lato garantisce che gli atti del Consiglio perseguano l'interesse generale, dall'altro può far nascere una situazione di stallo: il Consiglio non approva la proposta della Commissione, ma non può emendarla se non all'unanimità. Al fine di evitare situazioni di questo tipo, è previsto che la Commissione possa modificare o ritirare la proposta fintantoché il Consiglio non abbia deliberato. La Commissione può anche ritirare la proposta (motivando) quando un emendamento prospettato dal Consiglio o dal Parlamento snaturi la proposta di atto legislativo in modo da ostacolare gli obiettivi da essa perseguiti (Caso C-409/13 Consiglio c. Commissione). 3.4 La procedura si apre con la proposta della Commissione, che viene indirizzata al PE e al Consiglio. -> La prima lettura consiste nell'adozione del PE della propria posizione, che viene trasmessa al Consiglio, il quale la può approvare o no: se la approva l'atto si dice adottato in tale formulazione, se no il Consiglio adotta in proposito una posizione in prima lettura. -> Inizia la seconda lettura e il PE ha tre mesi di tempo per decidere se: i) approvare la posizione in prima lettura del Consiglio o omettere di deliberare nel termine; ii) respingere la posizione; iii) proporre emendamenti. Nel caso sub i) l'atto è adottato in prima lettura del Consiglio ; nel caso sub ii) la procedura si arresta, l'atto non è adottato; invece nel caso sub iii) la Commissione emette un parere sugli emendamenti del PE, e il Consiglio allora può a) approvare tutti gli emendamenti del PE, b) non approvarli. Nel caso a) l'atto si considera adottato, nel caso b) si apre una fese intermedia in cui viene convocato il comitato di conciliazione composto dai membri del Consiglio, che devono approvare con la Commissione un progetto comune: se il comitato lo approva, l'atto è adottato, al contrario l'atto è non adottato. -> La terza lettura si apre se il comitato approva il progetto comune, che deve essere definitivamente approvato dal PE e dal Consiglio. 3.5 Per la procedura legislativa ordinaria nella realtà il vero fattore di successo della prima lettura sono i triloghi: a fronte dei formali passaggi, il negoziato vero e proprio si gioca informalmente in riunione tra Parlamento, Commissione e Consiglio. Queste riunioni servono per facilitare il negoziato. La seconda lettura di solito interessa circa il 20% dei casi che arrivano ad un esito, durante la quale eventuali modifiche alla posizione in prima lettura del Consiglio vengono approvate dallo stesso solo all'unanimità: gentlemen agreement. Come le istituzioni i approcciano a queste procedure: 1) Il Consiglio quotidianamente negozia tra gli Stati e tenta di comporre le differenze tra i vari SM, questo comporta alcune particolarità: Nell'ambito del Consiglio ci sono conformazioni/gruppi di interesse mobili a seconda dei dossier, quindi gli Stati che sono alleati su un dossier, non necessariamente lo sono su un altro. Questo da un lato facilita il negoziato, poiché si arriva alla c.d. settorializzazione delle politiche europee, negoziato orizzontale. 2) Il Parlamento europeo nasce come organo secondario e diventa co-legislatore. A livello di PE non ci sono approcci politici pre determinati alla luce della propria appartenenza, e le alleanze sono molto meno prevedibili e meno influenzate all'appartenenza politica. In molti casi i componenti di uno stesso gruppo politico su alcuni dossier votano in maniera diversa, e componenti di partiti diversi votano invece in maniera concorde su alcuni dossier (senza nascondersi). Questo è spiegato dal modo di funzionamento del Parlamento eu, perché in molti casi sono atti molto tecnici, che si devono basare su dati e informazioni oggettivi che sfuggono a una discrezionalità politica del tutto libera. 4. PROCEDURE LEGISLATIVE SPECIALI: APPROVAZIONE E CONSULTAZIONE 4.1 Nella maggior parte dei casi consistono nell'adozione dell'atto da parte del Consiglio previa consultazione del PE (p. consultazione), in pochi casi l'atto del Consiglio è, invece, sottoposto all'approvazione del PE (p. approvazione). PARTE III L'ORDINAMENTO DELL'UNIONE EUROPEA 1. CONSIDERAZIONI GENERALI 1.1 L'Unione europea è portatrice di un proprio ordinamento giuridico, che si distingue tanto dal diritto internazionale quanto dal diritto interno di ciascuno SM? Inizialmente il quesito si è posto in relazione alla sola CE e al solo diritto comunitario. Il TCE e le norme che ne scaturiscono non si limitano a porre obblighi a carico degli SM, ma toccano la sfera giuridica degli stessi soggetti degli ordinamenti nazionali, che diventano, perciò, anche soggetti dell'ordinamento comunitario. Secondo la Corte, l'ordinamento comunitario è autonomo rispetto agli ordinamenti interni nazionali e rispetto all'ordinamento internazionale generale. Si è però obiettato che la pretesa autonomia dell'ordinamento comunitario rispetto agli ordinamenti interni sia contraddetta dal fatto che l'integrazione di tale diritto nel diritto interno dipenda da un atto di autolimitazione liberamente accettato dagli SM, e che gli stessi potrebbero porre fine a tale integrazione. L'autonomia dell'ordinamento comunitario non sarebbe pertanto piena ma resterebbe condizionata al permanere di una volontà degli SM. L'obiezione si basa su argomenti più teorici che reali, come risulta dalle clausole europee presenti in tutte le costituzioni nazionali, e dall'interpretazione che ne hanno dato le stesse corti costituzionali. Dopo il Trattato di Lisbona e la soppressione della CE e della struttura a pilastri, le caratteristiche di autonomia originariamente riconosciute al diritto comunitario si estendono ora a tutto il diritto dell'Unione. 1.2 Come ogni ordinamento giuridico l'Unione si basa su un sistema di fonti di produzione del diritto articolate secondo una gerarchia: a) i trattati, i principi generali, la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione b) le norme del diritto internazionale generale, gli accordi internazionali conclusi dall'UE con Stati terzi c) atti di base adottati dalle istituzioni d) atti di esecuzione o attuazione della Commissione o del Consiglio La vera distinzione è però tra diritto primario e diritto derivato: -> Per quanto attiene al diritto primario, la giurisprudenza è venuta nel tempo riconoscendo l'esistenza di principi generali del diritto, in particolare quelli attinenti alla protezione dei diritti fondamentali dell'uomo. Il Trattato di Lisbona ha introdotto la Carta dei diritti fondamentali. Sono ricompresi nel diritto primario anche i valori su cui si fonda l'Unione e che sono comuni agli SM, i trattati, protocolli e atti di adesione. -> All'interno del diritto derivato, invece, può stabilirsi una gerarchia tra atti di base e atti d'esecuzione o di attuazione. 1.3 Tra gli atti adottati dalle istituzioni figurano categorie diverse tra loro per natura e struttura. Per quanto riguarda la natura occorre tenere presente la distinzione tra atti legislativi e atti non legislativi. Questa distinzione si basa sulla procedura decisionale applicabile per l'adozione, infatti solo gli atti giuridici adottati mediante procedura legislativa sono atti legislativi, al contrario gli atti adottati tramite procedure non legislative saranno atti non legislativi. Il fatto che un atto sia o meno legislativo comporta alcune importanti conseguenze: - i lavori del Consiglio per l'adozione di un atto legislativo si svolgono in seduta pubblica; - in merito agli atti legislativi sarà esercitato un potere di controllo dai Parlamenti nazionali circa il rispetto del principio di sussidiarietà; - le condizioni di ricevibilità del ricorso d'annullamento delle persone fisiche giuridiche saranno più severe se l'atto impugnato è legislativo. 1.4 Anche dal punto di vista della struttura gli atti delle istituzioni hanno differenze, due prime categorie sono quelle di atti tipici e atti atipici. L'elencazione dei c.d. atti tipici: - regolamenti - direttive -> vincolanti - decisioni - pareri - raccomandazioni -> non vincolanti I pareri e le raccomandazioni non sono vincolanti e non possono fungere da fonte del diritto, tali sono invece i regolamenti, le direttive e le decisioni, che sono tutti atti vincolanti. Non è prevista una gerarchia tra questi ultimi, quindi una direttiva potrebbe abrogare un regolamento o una decisione potrebbe prevedere una deroga rispetto alla direttiva. La tipologia di atti prevista nei trattati non è tassativa né completa, gli stessi trattati prevedono atti non corrispondenti ai tipici, sono i c.d. atti atipici. 1.5 Insieme agli atti atipici vanno annoverati alcuni tipi di atti previsti dai trattati, ma affermatisi solo in via di prassi, soprattutto nel settore della disciplina della concorrenza e degli aiuti di Stato alle imprese. In entrambi questi settori la Commissione gode di poteri diretti di controllo e sanzione, e per orientare i comportamenti dei destinatari di tali poteri la Commissione pubblica periodicamente delle comunicazioni, rendendo noto il modo in cui intende applicare le norme del TFUE. La giurisprudenza ha adottato una posizione intermedia a proposito delle prese di posizione di alcune lettere della Commissione rivolte a SM. 1.6 Gli aspetti comuni a tutti gli atti delle istituzioni: motivazione, firma, entrata in vigore. Gli atti legislativi sono firmati dal presidente del PE e/o dal Presidente del Consiglio, mentre quelli non legislativi dal Presidente dell'istituzione che li ha adottati. 2. I TRATTATI 2.1 Le fonti di diritto primario dell'Unione sono contenute nei due trattati fondativi : TUE e TFUE, due trattati che fissano i valori fondativi e gli obiettivi dell’UE, disciplinano il funzionamento dell’ordinamento UE, e definiscono la base giuridica per l’adozione di atti di diritto derivato. Il rapporto tra i due trattati è paritetico dal punto di vista della natura giuridica, mentre è gerarchico dal punto di vista funzionale, infatti il TFUE è strumentale rispetto al TUE, e le disposizioni più importanti sono contenute in quest'ultimo. Il TFUE, di conseguenza, serve ad integrare e dettagliare la disciplina generale contenuta nel TUE. Tra i due testi esiste un legame funzionale. Anche i Protocolli e gli Allegati ai trattati hanno natura di fonti primarie. L'atto finale delle CIG, convocate per approvare i trattati di revisione o di adesione, reca in allegato alcune Dichiarazioni, di cui ne esistono di due tipi: - dichiarazioni della Conferenza; - dichiarazioni di uno o più SM. Alle prime si riconosce un ruolo più importante per quanto riguarda l'interpretazione delle disposizioni alle quali si riferiscono. 2.2 Una questione molto dibattuta è quella della natura giuridica dei trattati: i trattati vanno considerati semplici atti internazionali, oppure, nel loro insieme, come una carta costituzionale? A sostegno della prima tesi può invocarsi la circostanza che il TCE e il TUE e tutti i trattati che li hanno modificati, sono stati conclusi nelle forme e con i procedimenti di trattati internazionali. A sostegno, invece, della seconda tesi è possibile ammettere che i trattati assolvano ad una funzione di natura costituzionale. Da un lato, infatti, definiscono la struttura e il funzionamento istituzionale dell'Unione, le varie procedure per l'adozione di atti; dall'altro, definiscono i settori attribuiti alla competenza dell'Unione, prevedono norme che dettano i valori, i principi e le regole applicabili ai vari settori. La disciplina contenuta nei trattati, inoltre, è inderogabile dalle istituzioni e dagli SM, se non seguendo apposita procedura di revisione. All'interno dell'Unione, infine, opera la CGUE che assicura la piena applicazione del diritto dell'Unione, nonché la tutela giurisdizionale dei diritti spettanti agli amministrati. Gli aspetti che differenziano i Trattati UE dai trattati internazionali sono: il contenuto, l'interpretazione, e la rigidità. 2.3 Interpretazione. La CGUE considera e adopera i trattati come una costituzione (non si intende una costituzione di tipo statuale, ma del quadro costituzionale di un ordinamento per contribuire alla realizzazione del processo di integrazione). Tale concezione si riflette nei criteri interpretativi seguiti dalla Corte, che si discostano notevolmente da quelli usati per i trattati internazionali. La Corte ricorre con grande libertà ai criteri di tipo contestuale e teologico. Un altro criterio interpretativo applicato alle norme del Trattato è quello dell'effetto utile, per cui tra le varie interpretazioni la Corte preferisce quella che consente di riconoscere alla norma maggiore effettività possibile, in modo che gli scopi a cui la norma è rivolta possano essere raggiunti più compiutamente. Si ha, dunque, la lettura delle disposizioni non solo per il loro contenuto, ma anche per gli effetti che esse producono in concreto (C-45/86 , Commissione c. Consiglio). 2.4 Rigidità. I Trattati possono essere modificati solo ricorrendo alle procedure previste a questo scopo dagli stessi trattati, in particolare dall'art.48 TUE che disciplina le procedure di revisione. la più importante è la procedura di revisione ordinaria, la sola ad avere un campo d'applicazione generale. Ci sono poi due procedure di revisione semplificate, che si applicano, la prima, solo a determinate parti dei trattati, la seconda solo per modificare le procedure decisionali. La procedura di revisione ordinaria si suddivide in numerose fasi, di cui le prime hanno carattere preparatorio, mentre nelle fasi finali vengono assunte le deliberazioni vere e proprie. La procedura: 1. presentazione al Consiglio di un progetto di modifica da parte del governo di qualsiasi SM, del PE, o della Commissione; 2. decisione del Consiglio europeo a maggioranza semplice che provvede all'esame delle modifiche trasmesse dal Consiglio; 3. convocazione da parte del Presidente del Consiglio europeo di una convenzione per esaminare i progetti di modifica e adottare per consenso una raccomandazione per la CIG; 4. convocazione della CIG formata dai rappresentanti dei governi degli SM per stabilire le modifiche da apportare ai trattati; 5. ratifica delle modifiche approvate da tutti gli SM. Sono le costituzioni nazionali che definiscono se e in quali casi ala ratifica debba essere sottoposta a referendum popolare o se sia possibile esperire un ricorso costituzionale contro il provvedimento di ratifica. 2.5 Accanto alla procedura ordinaria sono state previste due procedure semplificate di revisione. 1. Una di queste può avere ad oggetto solo modifiche alla parte terza del TFUE, senza che questo comporti un'estensione delle competenze attribuite all'Unione. Nella procedura l'unica differenza rispetto a quella ordinaria è che si evita la convocazione della convenzione e anche quella della CIG, viene affidato al Consiglio europeo il compito di definire le modifiche con propria decisione. 2. L'altra procedura ha ad oggetto le modifiche delle procedure decisionali, in particolare le disposizioni del TFUE o del Titolo V del TUE (PESC) che prevedono che : - il Consiglio deliberi all'unanimità in un settore o in un caso determinato - il Consiglio adotti atti legislativi secondo una procedura legislativa speciale. Nel primo caso è possibile stabilire che il Consiglio deliberi a maggioranza qualificata, nel secondo che si passi a una procedura legislativa ordinaria. Questa procedura di revisione semplificata si differenzia da quella ordinaria poiché al posto della ratifica da parte degli SM è sufficiente la delibera unanime del Consiglio con l'approvazione del PE, e per l'obbligo di notifica di ogni iniziativa del Consiglio europeo ai parlamenti nazionali + il potere di quest'ultimi di porre il veto. 2.6 Vi sono dei limiti intrinsechi al potere di revisione, quindi delle parti dei trattati che non possono essere modificate? 4. LA PROTEZIONE DEI DIRITTI FONDAMENTALI 4.1 L'obiettivo di proteggere i principi volti alla protezione dei diritti umani all'interno dell'ordinamento dell'Unione, inizialmente faceva affidamento solo su principi generali tratti dalle tradizioni costituzionali comuni agli SM e dai trattati internazionali. Dopo l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona la situazione è molto cambiata, è stata infatti introdotta la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione, all'art.6 TUE, attribuendole valore di diritto primario. Dal testo dell'art.6 risulta che la protezione dei diritti umani nell'Unione trova la sua fonte e la sua disciplina in una pluralità di strumenti normativi: - La Carta dei diritti fondamentali dell'Unione. - La CEDU - I principi generali e le tradizioni costituzionali comuni degli SM. Degli strumenti richiamati si ricorda che solo i principi generali e la Carta dei diritti fondamentali sono vincolanti per l'Unione, la CEDU, infatti, per il momento non vincola direttamente l'Unione. 4.2 Inizialmente vi era la completa assenza di qualsiasi riferimento alla tutela dei diritti umani nel TCE, il che aveva portato la giurisprudenza a teorizzare l'esistenza dei principi generali che assicuravano la protezione di tali diritti, per la cui ricostruzione occorreva trarre ispirazione da: - i trattati internazionali in materia; - in particolare la CEDU; - e le tradizioni costituzionali comuni agli SM. Inizialmente si era immaginato che la CE potesse aderire alla CEDU, la quale costituiva già una fonte di ispirazione per la ricostruzione dei principi generali dell'Unione, tale progetto si era però arenato. 4.3 L'affermazione della giurisprudenza della Corte di giustizia secondo cui esistono principi generali dei diritto che proteggono i diritti fondamentali e che vincolano le istituzioni, è collegata alla presa di posizione assunta negli stessi anni dalle Corti costituzionale italiana e tedesca. La posizione delle due Corti costituzionali: le norme costituzionali che proteggono diritti fondamentali della persona umana devono essere rispettate anche dagli atti adottati dalle istituzioni dell'Unione, in caso contrario le due Corti si riservano il potere di assicurare la prevalenza delle norme costituzionali, impedendo che l'atto comunitario trovi applicazione nel diritto interno. La soluzione prospettata dalle due Corti comportava un grave attentato al carattere unitario del diritto comunitario ( Caso Solange ). Secondo l'impostazione della CGUE: a) i diritti fondamentali vanno tutelati nell'ordinamento comunitario in quanto rientranti nei principi generali del diritto b) al fine di definire il contenuto di tali diritti e la loro tutela la Corte utilizza come fonti di ispirazione le tradizioni costituzionali comuni agli SM e i trattati internazionali ( Caso Stauder ). La soluzione elaborata dalla giurisprudenza è stata poi consacrata nell'art.6 TUE precedente il Trattato di Lisbona (che lo ha poi riformato). (parte sulla CEDU sul libro pag.209) 5. LA CARTA DEI DIRITTI FONDAMENTALI 5.1 Alla CGUE spetta il compito non solo di individuare quali diritti siano fondamentali, ma anche delineare il contenuto e la portata dei diritti così individuati. Per ovviare all'originaria assenza di riferimenti alla tutela di diritti umani, e all'impossibilità di una rapida adesione alla CEDU, si è deciso di predisporre la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione. - Nel 1992 con il Trattato di Maastricht per la prima volta il diritto dell'Unione colma il silenzio dei trattati, e viene inserito l'art.6 espressamente indirizzato alla tutela dei diritti fondamentali. Il testo originario dell'art.6, anche se rappresentava un passo in avanti, nella sostanza non diceva nulla di nuovo, perchè si limitava a codificare la giurisprudenza già esistente, mancava un elenco dei diritti che l'Unione facesse proprio. - Nel 2001 viene proclamata la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione (Carta di Nizza): per la prima volta abbiamo una "magna carta" dei diritti che l'Unione si impegna a tutelare. La Carta viene tuttavia privata di valore giuridico vincolante, al primo momento della sua proclamazione, è un semplice documento programmatico. La Corte inizia solo a citarla come ausilio imperativo. - La svolta si ha con il Trattato di Lisbona: la riforma dell'art.6 che attribuisce alla Carta valore di diritto primario e dunque valore giuridico vincolante, quindi la Carta oggi è un parametro di validità del diritto dell'unione, e tutto il diritto derivato deve rispettarne i principi, qualora non li rispetti, può essere oggetto di annullamento. La Carta è posta allo stesso livello del TUE e del TFUE. La Carta oggi si presenta così: composta da 6 titoli ciascuno dedicato a macro argomenti, all'interno dei quali troviamo i diritti relativi a questi argomenti. La Carta in sé è un documento molto succinto, e si è pensato di affiancarla a delle "spiegazioni", che indicano come la Carta debba essere letta. La Carta disciplina al suo interno sia diritti che principi, questa distinzione ha una conseguenza giuridica importante: - perché di regola i diritti fanno sorgere autonomamente posizioni giuridiche, cioè incidono sulla sfera giuridica dei destinatari; - i principi, invece, non sono autosufficienti, le disposizioni che contengono dei principi devono essere concretizzate attraverso ulteriore disciplina di diritto derivato. Per i principi, ciò che incide sulla sfera personale è la sua concretizzazione in norme di diritto. 5.2 La funzione della Carta risulta dal preambolo: a) la Carta non ha valore normativo, perchè non crea diritti che non siano già ricavabili dalle fonti richiamate b) la Carta ha invece carattere documentale, poichè riassume in un unico testo l'elenco e la descrizione dei diritti fondamentali ricavabili dalle suddette fonti e già facenti parte dei principi generali del diritto. Il rapporto tra le fonti richiamate dalla Carta solleva alcune difficoltà. Si pone il problema di stabilire come regolarsi in caso di non coincidenza tra i diritti previsti dalla Carta e quelli ricavabili dalle altre fonti citate nel preambolo. 5.3 Le clausole orizzontali trovano applicazione trasversalmente a tutto il testo della Carta, danno le coordinate per capire come interpretare la Carta e come applicarla: - art.51 : ambito di applicazione della Carta (soggettivo e oggettivo) - art. 52 (1) : criteri per restrizioni giustificate - art. 52 (3) e 53 : livello di protezione, rapporto tra Carta e altre fonti che disciplinano diritti fondamentali ART.51 : Chi è vincolato alla Carta? Le disposizioni della Carta si applicano alle istituzioni, agli organi, organismi dell'Unione e agli SM, esclusivamente in attuazione del diritto dell'Unione. Gli organi, quindi, devono rispettare la Carta anche quando agiscono al di fuori dell'Unione? Un esempio a questo proposito: Il caso Ledra : alcuni ciprioti contestarono la validità di un protocollo di intesa concluso tra MES e Cipro volto ad un piano di assistenza finanziaria e impegno ad effettuare una serie di riforme strutturali. Il MES non è parte dell'ordinamento dell'UE, ma la Commissione ha negoziato per il MES il protocollo d'intesa. I ciprioti ritengono che alcune clausole di questo protocollo ledano il loro diritto di proprietà, qui il primo nodo giuridico: si può invocare la Carta a loro vantaggio? Il protocollo di intesa è un atto di diritto internazionale con partecipazione della Commissione europea ai negoziati, ma la Corte dichiara che il protocollo non è imputabile alla Commissione, non essendo un atto dell'Unione. Alla Commissione non vengono neanche dati poteri decisionali. Si parla quindi di fonti che non fanno parte dell'ordinamento europeo. Tuttavia, la Corte individua le funzioni attribuite alla Commissione nell'ambito del MES: la Commissione è infatti chiamata a vigilare una corretta applicazione e rispetto del diritto dell'Unione, il suo ruolo di custode dei trattati le impone di astenersi dal firmare un protocollo di intesa che vada contro i diritti fondamentali dell'Unione. Definire l'ambito di applicazione del diritto dell'Unione verso gli Stati: tre situazioni individuate in giurisprudenza: 1. Lo Stato attua il diritto dell'Unione se sta dando seguito ad obblighi europei. Es. caso Wachauf : un signore allevatore conduceva un'azienda agricola sul fondo altrui in locazione, in un periodo in cui ogni Stato poteva produrre solo un tot di latte all'anno, e se eccedeva questo quantitativo riceveva delle sanzioni. Il proprietario del fondo non lo autorizza più a continuare la sua attività, perchè la normativa del tempo consentiva di ottenere un indennizzo una volta cessata l'attività di produzione di latte. Problema: non veniva presa in considerazione la figura di chi produceva. Per il signore gli SM stavano violando un suo diritto di libertà economica. La CGUE evidenzia che nel momento in cui gli SM danno seguito ad obblighi che vengono dal diritto dell'unione, devono assicurarsi che i diritti dei cittadini siano rispettati. 2. Lo Stato fa ricorso a una possibile deroga rispetto a una regola generale del diritto dell'Unione. Caso ERT: il legislatore greco aveva previsto per legge che solo la ERT potesse operare nel campo delle comunicazioni radio e televisive, attribuendo alla ERT il monopolio in ambito radiofonico e televisivo. Problema in Unione europea, in cui vige il principio dell'apertura del mercato alla libera concorrenza. A Salonicco si era avviata una radio locale, dando inizio ad una controversia interna. Salonicco invocava le norme del Trattato sul mercato interno che vietano il monopolio, mentre il governo greco giustifica la propria decisione con il fatto che le informazioni che circolavano nel Paese dovessero essere veritiere e quindi controllate. Anche dove uno Stato non stia applicando il diritto dell'Unione, anzi stia cercando di derogarlo, può farlo nella misura in cui questo comportamento non violi i diritti fondamentali. Se nel derogare il diritto dell'Unione si viola un diritto fondamentale, la deroga è considerata in contrasto il diritto dell'unione. 3. Ci sono però anche situazioni in cui lo SM non sta attuando il diritto dell'UE, ma comunque il comportamento di uno Stato ha un collegamento di una certa consistenza con il diritto dell'Unione europea. La CGE ritiene che ci sia un collegamento di una certa consistenza se la normativa del diritto nazionale anche solo contribuisce a dare seguito ad un obbligo derivante dal diritto dell'Unione, oppure quando persegue scopi tipici anche della normativa del diritto dell'Unione in quel settore, o quando la normativa nazionale incide su normative europee gia esistenti. Es. caso Siracusa: signore aveva commesso una serie di abusi edilizi in Sicilia, zona tutelata per il suo pregio paesaggistico. Dopo un obbligo di demolizione delle opere eseguite abusivamente, il signore agisce contro la P.A lamentando una violazione dei diritti di proprietà, invocando la Carta che prevede il diritto di proprietà, argomentando come le sue opere non fossero così turpi rispetto al contesto e sul fatto che il diritto dell'Unione disciplini il diritto ambientale. La CGE ritiene che le argomentazioni del signore fossero vaghe e che la ragione della demolizione delle opere fosse il vincolo paesaggistico (tutela paesaggio diverso da tutela ambiente), quindi fuori dall'ambito di applicazione del diritto dell'Unione. In questo caso il collegamento di una certa consistenza non è rilevato. ART.52 (1) : I diritti fondamentali tutelati dalla Carta possono subire limitazioni ad alcune condizioni: - per necessità di bilanciare due o più diritti; - in situazioni in cui si perseguono interessi oggettivi che abbiano portata generale. Secondo la norma una limitazione all'esercizio dei diritti fondamentali della Carta è possibile solo nel rispetto di quattro condizioni cumulative: a) deve essere prevista dalla legge, avere un suo fondamento normativo b) deve rispettare il contenuto essenziale del diritto protetto, bisogna garantire un'essenza minima connaturata a quel diritto. il contenuto essenziale varia a seconda del diritto c) si deve orientare o al bilanciamento di due o più diritti, o alla tutela di un interesse generale riconosciuto dall'Unione d) deve essere necessaria a soddisfare l'interesse pubblico perseguito e proporzionata a tal fine. Il principio di proporzionalità ha una tipica articolazione in tre passaggi: 1. idoneità rispetto al fine perseguito 2. necessità, la CGE valuta se la misura che limita il diritto è l'unica possibile, è la meno restrittiva possibile 3. proporzionalità in senso stretto, la CGE verifica che le conseguenze in concreto per il soggetto coinvolto non siano eccessive, sproporzionate. degli accordi conclusi senza la partecipazione degli SM. In teoria, invece, non appartengono all'ordinamento dell'Unione quelle parti dell'accordo misto che hanno ad oggetto materie rientranti nella competenza dei soli SM. Distinzione difficile da tracciare. La CGUE ha dichiarato che un accordo internazionale non può pregiudicare il sistema delle competenze definito dai Trattati. 7.6 Il valore giuridico degli accordi internazionali e il loro rango nel sistema delle fonti dell'ordinamento dell'Unione: a) Per quanto attiene ai Trattati, gli accordi internazionali sono ad essi subordinati e devono rispettarli. In caso contrario, l'accordo internazionale è illegittimo e può essere annullato. b) Gli accordi internazionali sono anche subordinati ai principi generali, in particolare quelli che tutelano i diritti fondamentali dell'Unione, e alla Carta. c) Per quanto riguarda i rapporti tra gli accordi internazionali e gli atti delle istituzioni, i primi prevalgono, infatti <<gli accordi conclusi dall'Unione vincolano le istituzioni dell'unione e gli SM>>. Le istituzioni non possono adottare atti che non rispettino un accordo concluso dall'Unione, in caso contrario l'atto confliggente può essere annullato. In generale, quindi, gli accordi internazionali fungono da parametro di legittimità degli atti delle istituzioni. 8. I REGOLAMENTI 8.1 Il regolamento viene descritto all'art. 288 TFUE : << il regolamento ha portata generale. Esso è obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile in ciascuno degli SM >>. 8.1 La caratteristica della portata generale indica che il regolamento ha natura normativa, pone regole di comportamento rivolte alla generalità dei soggetti, si applica a situazioni oggettivamente determinate. Può darsi che il campo di applicazione sia talmente esiguo che si possa individuare a priori coloro ai quali il regolamento si applicherà, in questo caso la natura di regolamento non viene meno purché la qualità di destinatario dipenda da una situazione obiettiva di diritto o di fatto, definita dall' atto ( Binderer ). 8.2 La seconda caratteristica è l'obbligatorietà integrale: il regolamento deve essere rispettato in tutti i suoi elementi, nella sua interezza. Si rivolge soprattutto agli SM, esplicitando che essi non possono lasciare inapplicate talune disposizioni del regolamento, limitarne il campo di applicazione dal punto di vista temporale, subordinarle a condizioni d'applicazione non previste ovvero introdurre facoltà di deroga non contemplate dal regolamento stesso. Spesso, tuttavia, sono gli stessi regolamenti a lasciare agli SM la definizione di alcuni aspetti integrativi dell'atto (es. adozione di sanzioni) ( C-39/72 Commissione c. Italia ). 8.3 L'ultima caratteristica del regolamento è la diretta applicabilità in ciascuno degli SM. In primo luogo riguarda l'adattamento degli ordinamenti interni degli SM. In genere i trattati non si preoccupano di stabilire come gli SM dovranno dare applicazione agli atti obbligatori che gli organi dell'organizzazione adottano. L'art.288 ha invece inteso disciplinare tale importante aspetto prevedendo che l'adattamento degli ordinamenti interni al regolamento avviene direttamente, cioè immediatamente e automaticamente. Nel momento in cui entrano in vigore nell’ordinamento europeo, i regolamenti sono applicabili anche in ciascuno SM. Un eventuale atto di recepimento sarebbe non solo superfluo, ma anche incompatibile con l'art.288. La diretta applicabilità non esclude che gli SM siano chiamati ad adottare provvedimenti integrativi. L'applicabilità diretta dei regolamenti implica la loro capacità di produrre effetti diretti all'interno degli ordinamenti del SM, la c.d. efficacia diretta. ( Caso F.lli Variola ). 9. LE DIRETTIVE 9.1 Il terzo comma dell'art.288 TFUE prevede che <<la direttiva vincola lo SM cui è rivolta per quanto riguarda il risultato da raggiungere, salva la competenza degli organi nazionali in merito alla forma e i mezzi>>. 9.2 La direttiva, pur essendo un atto vincolante, ha portata individuale, dunque i destinatari sono definiti in ciascuna direttiva, che possono consistere in uno o più SM. Quando la direttiva è rivolta a tutti gli SM, si parla di direttive generali. Le direttive mirano ad ottenere il riavvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli SM in determinate materie. Le direttive rappresentano uno strumento di normazione in due fasi: la prima accentrata a livello dell'Unione, dove vengono fissati gli obiettivi e i principi generali, e la seconda decentrata a livello nazionale, dove ciascuno SM attua gli obiettivi e i principi generali fissati nella direttiva. 9.3 La direttiva è obbligatoria in tutti i suoi elementi (obbligatorietà integrale), gli SM non possono quindi applicarla selettivamente o parzialmente. A differenza del regolamento, la direttiva si limita a imporre agli SM un risultato da raggiungere, lasciandoli liberi di scegliere le misure di adattamento. La direttiva, quindi, comporta un obbligo di risultato, mentre il regolamento impone un obbligo di mezzi. La direttiva richiede agli SM un'attività di attuazione della direttiva, scegliendo i mezzi e le forme appropriate. 9.4 Quanto alla diretta applicabilità, la direttiva non ne gode, poiché per sua natura richiede l'attuazione da parte degli SM attraverso apposite misure. Gli SM sono tenuti ad adattare il diritto interno in modo da assicurare che il risultato voluto dalla direttiva sia raggiunto. In mancanza, la direttiva non è in grado da sola di ottenere il risultato voluto. La direttiva non gode di efficacia diretta nella stessa maniera in cui ne godono i regolamenti, affinché possa parlarsi di efficacia diretta delle direttive è necessario che siano soddisfatte alcune condizioni temporali e individuate dalla giurisprudenza della Corte (vedi più avanti). 9.5 Risulta che l'attuazione da parte degli SM sia un momento centrale e problematico per una direttiva. L'obbligo di attuazione della direttiva è assoluto per ogni SM al quale la direttiva è rivolta, l'unica ipotesi in cui è possibile omettere di attivarsi si ha quando uno SM riesce a dimostrare che il proprio ordinamento interno è già perfettamente conforme alla direttiva. L'obbligo va adempiuto entro il termine di attuazione fissato dalla direttiva stessa, perentorio e imperativo. L'obbligo di trasposizione sorge dal momento in cui la direttiva entra in vigore. In pendenza del termine, lo SM non può adottare provvedimenti in contrasto con la direttiva, è il c.d. obbligo di standstill o di non aggravamento. Il principio di leale collaborazione impone agli SM di comunicare all'Unione le misure di attuazione che essi hanno adottato. 9.6 Gli SM sono competenti quanto alla scelta delle forme e dei mezzi di attuazione, scelta che, però, non è del tutto libera. Nella scelta delle forme e dei mezzi si deve tenere conto della gerarchia delle fonti di diritto interno. Devono essere scelti strumenti di attuazione che garantiscano trasparenza e certezza del diritto. 9.7 Occorre soffermarsi sul contenuto delle direttive. Il meccanismo prospettato dall'art.288 si articola intorno al binomio risultato/forze e mezzi: il primo viene definito dalla direttiva, le forme e i mezzi vengono scelti dalle autorità competenti di ciascuno SM. Questa differenza è difficile da tracciare, infatti determinati risultati non possono essere definiti limitandosi ad indicare obiettivi e principi generali, ma richiedono l'elaborazione di un quadro normativo dettagliato. Non è pertanto possibile individuare in via generale uno spazio di competenza riservato agli SM, oltre il quale la direttiva non può mai intervenire. 10. LE DECISIONI 10.1 All'art.288 TFUE sono disciplinate le decisioni <<la decisione è obbligatoria in tutti i suoi elementi>> <<se la decisione designa i destinatari è obbligatoria soltanto nei confronti di questi>>. La categoria comprende due tipi di atti: - le decisioni individuali - le decisioni generali 10.2 La decisione individuale coniuga due caratteristiche: come il regolamento è obbligatoria in tutti i suoi elementi e deve essere rispettata nella sua interezza; come la direttiva non ha portata generale, vincolando solo i destinatari designati nella stessa. Le decisioni individuali rivolte agli SM sono simili alle direttive, qualora impongano un obbligo di facere, anche se quest'obbligo nelle decisioni è spesso molto più specifico e lascia allo SM un margine di discrezionalità molto più ristretto. Esistono anche decisioni che impongono obblighi di non facere, in questo caso lo SM si deve astenere dall'attività vietata. Le decisioni individuali rivolte ai singoli hanno natura amministrativa, i casi più importanti sono le decisioni nell'ambito della disciplina della concorrenza. 10.3 Le decisioni generali hanno natura varia. Gli esempi più importanti sono le decisioni adottate nell'ambito delle procedure di revisione dei trattati. 11. GLI ATTI DEL SETTORE PESC 11.1 Gli atti giuridici attraverso i quali l'Unione conduce la PESC sono di due tipi: a) orientamenti generali b) decisioni Gli orientamenti generali sono atti del Consiglio europeo e definiscono le linee guida su cui l'Unione deve muoversi nel settore della politica estera e sicurezza comune. Le decisioni invece sono atti del Consiglio, e possono assumere vari contenuti. Gli atti che sono adottati nel settore PESC non hanno mai carattere legislativo, le decisioni, però, vincolano gli SM. 12. L'ADATTAMENTO DELL'ORDINAMENTO ITALIANO AL DIRITTO DELL'UNIONE 12.1 Come si è visto, i trattati si presentano nella forma di normali trattati internazionali. L'ordine di esecuzione di ciascun trattato è stato dato con la medesima legge con cui il Parlamento italiano ha autorizzato la ratifica del trattato stesso. Il ricorso ad una legge ordinaria per eseguire trattati così importanti ha dato luogo a difficoltà, molti, infatti, ritenevano necessaria una norma costituzionale ad hoc che autorizzasse l'accettazione delle limitazioni di sovranità nazionale a favore della Comunità, e poi dell'Unione. Una norma del genere non è mai stata introdotta. In assenza di una norma costituzionale specifica si è ritenuto di poter ricondurre l'adesione italiana alla Comunità, e poi all'Unione, all'art.11 Cost: non è solo una norma permissiva, ma anche una norma procedurale, che consente di accettare limitazioni di sovranità, senza necessità di dover procedere ad una revisione costituzionale. 12.2 Più difficile è stato il compito di assicurare l'attuazione in Italia del diritto secondario o derivato, in particolare rispetto alle direttive, richiedendo ciascuna di esse un'attuazione che il legislatore è tenuto ad effettuare entro un termine stabilito. Inizialmente in Italia si ricorreva alla delega legislativa al Governo, tale sistema comportava però problemi di ordine giuridico e pratico. giudice applicarlo nei giudizi di propria competenza. Questo presupposto richiede che la norma specifichi almeno i seguenti tre aspetti: a) il titolare dell'obbligo; b) il titolare del diritto; c) il contenuto del diritto-obbligo creato dalla norma stessa. Può accadere che una stessa norma sia considerata sufficientemente precisa per determinati fini e non per altri. In altri termini, la diretta efficacia si determina anche in funzione del contenuto del diritto che si intende azionare. 2.4 Il presupposto dell'incondizionatezza attiene all'assenza di clausole che subordinino l'applicazione della norma ad ulteriori interventi normativi da parte degli SM o delle istituzioni dell'Unione, ovvero consentano agli SM un ampio margine di discrezionalità nell'applicazione. L'esistenza di norme che consentono agli SM di derogare all'applicazione di un'altra norma per determinati motivi non esclude di per sè l'efficacia diretta di quest'ultima. I presupposti di precisione e di incondizionatezza assumono importanza decisiva quando la norma di diritto dell'Unione abbia effetto di determinare o di aggravare la responsabilità penale dei singoli. Il giudice chiamato a farne applicazione dovrà tenere conto dei principi generali e in particolare del principio della determinatezza della legge applicabile e che costituisce espressione della certezza del diritto. Esso implica che la legge definisca chiaramente i reati e le pene che li puniscono. Si tenga infine conto che ai fini della verifica dell'efficacia diretta, la destinarietà formale della norma non ha alcun rilievo. In particolare la circostanza che la norma si rivolga agli SM o alle istituzioni non comporta necessariamente che sia priva di efficacia diretta. 2.5 In linea di massima, i presupposti dell'efficacia diretta sono gli stessi qualunque sia il tipo di norma dell'Unione rispetto alla quale il problema si pone, anche se le caratteristiche proprie di ciascuna fonte portano delle differenze. Per quanto riguarda le disposizioni dei trattati va rilevato che alcune di esse si riferiscono espressamente ai singoli. Un esempio sono le norme in materia di concorrenza, queste norme sono direttamente efficaci, nel senso che sono direttamente opponibili alle imprese interessate. Anche norme dei trattati formalmente rivolte agli SM possono produrre effetti diretti, qualora siano dotate dalle caratteristiche della sufficiente precisione e della incondizionatezza. Le norme dei trattati producono effetti diretti tanto nei rapporti verticali quanto in quelli orizzontali. E' possibile invocare il disposto non solo nei confronti di un'autorità pubblica ma anche nei confronti di un privato. Si parta di efficacia diretta orizzontale e verticale. ( Caso Van Gend and Loos ; Angonese ; Ghebard ). 2.6 Il problema dell'efficacia diretta si è posto anche nei confronti dei principi generali e delle norme della Carta dei diritti fondamentali. Per quanto riguarda i primi, la Corte ha accordato efficacia orizzontale al principio di non discriminazione sulla base dell'età in materia lavoristica. Quanto alla Carta , le sue norme, in quanto dirette a tutelare i diritti individuali delle persone, godono in generale di efficacia diretta, nel senso che possono essere invocate dagli interessati in rapporti verticali, cioè a difesa di comportamenti lesivi assunti dai poteri pubblici. Le disposizioni della Carta contenenti meri principi (invece che diritti) non sarebbero in grado di produrre effetti diretti. ( Caso Association de Mediation Sociale ; Egenberger ; Brosson ). 2.7 Il problema dell'efficacia diretta si pone anche riguardo agli accordi internazionali conclusi dall'Unione con Stati terzi. E' possibile che i soggetti privati siano interessati a far valere la disciplina contenuta in tali accordi, per contestare la legittimità dei comportamenti degli SM o delle istituzioni. L'analisi svolta dalla Corte circa l'efficacia diretta degli accordi internazionali è rivolta al contesto. L'analisi si svolge in due tempi: a) occorre dimostrare che la natura e la struttura dell'accordo permettono di riconoscere effetti diretti alle sue disposizioni in generale; b) è necessario provare che la specifica disposizione presenti le caratteristiche della sufficiente precisione e incondizionatezza. 2.8 Riguardo ai regolamenti, il problema dell'efficacia diretta ha scarsa consistenza. Infatti, la caratteristica della diretta applicabilità implica che le disposizioni dei regolamenti siano anche capaci di produrre effetti diretti. Il principio subisce una certa attenuazione nel caso di regolamenti che richiedono l'emanazione da parte degli SM di provvedimenti di integrazione o di esecuzione. In questi casi, in mancanza dei provvedimenti nazionali, si deve verificare che la disposizione regolamentare presenti i presupposti di sufficiente precisione e incondizionatezza. I regolamenti producono effetti diretti nei rapporti verticali e in quelli orizzontali. 3. CASI PARTICOLARI : DIRETTIVE E DECISIONI 3.1 Anche le direttive possono essere direttamente efficaci, devono presentare le caratteristiche di sufficiente precisione e incondizionatezza. Le differenze riguardano il momento a partire dal quale l'efficacia diretta si produce e i soggetti nei cui confronti può essere fatta valere. 3.2 Per quanto riguarda la portata temporale, occorre tenere presente che, per sua natura, la direttiva non è concepita come fonte di effetti diretti. Hanno, invece, efficacia normativa interna meramente indiretta o mediata, capita infatti spesso che gli SM attuino le direttive in ritardo o in forme non corrette, in modo da impedire il raggiungimento del risultato voluto. Solo in casi del genere si pone il problema di stabilire se la direttiva ha efficacia diretta. Pertanto di effetti diretti di una direttiva non può parlarsi se non dopo la scadenza del termine per l'attuazione concesso agli SM. Prima di questo la direttiva non può, nè intende, produrre effetti diretti. 3.3 La seconda differenza riguarda la portata soggettiva dell'efficacia diretta di una direttiva. La giurisprudenza ha riconosciuto anche alle direttive non attuate la possibilità di produrre effetti diretti. La Corte ha introdotto un nuovo argomento che sembra assimilare l'efficacia diretta della direttiva a una sorta di sanzione a carico dello SM inadempiente. Infatti, lo SM che non ha recepito la direttiva, deve subire le conseguenze del proprio inadempimento e non può impedire ai singoli di avvalersi dei diritti ad essi riconosciuti dalla direttiva inattuata, è il c.d. principio dell'estoppel. Dato che l'efficacia interna della direttiva inattuata è conseguenza dell'obbligatorietà della stessa nei confronti degli SM, è naturale che la Corte abbia limitato tale efficacia ai soli rapporti verticali, quindi ai rapporti in cui la direttiva è invocata contro un'autorità pubblica. La direttiva inattuata non può produrre effetti diretti nei rapporti orizzontali e addossare obblighi a soggetti privati, che non sono responsabili della mancata attuazione. Se ai singoli privati si imponessero obblighi in base a una direttiva non attuata si violerebbe il principio della certezza del diritto. La direttiva ha solo efficacia diretta verticale, mentre è priva di efficacia nelle seguenti situazioni: a) quando la direttiva è invocata da un soggetto pubblico contro un privato (rapporti verticali invertiti); b) quando la direttiva è invocata da un soggetto privato contro un privato (rapporti orizzontali). ( Caso Van Duyn ; Ratti ) 3.4 Di fronte a una direttiva inattuata è opportuno stabilire se il soggetto nei cui confronti si intende invocare la direttiva è un soggetto pubblico o un soggetto privato. A questo proposito, la Corte interpreta molto ampiamente la nozione di soggetto pubblico, l'obbligo di attuare la direttiva grava sugli organi centrali dello Stato, ma anche su: a) ente di diritto pubblico interno o organismo privato b) che opera sotto l'autorità o il controllo dello Stato c) ovvero incaricato dallo Stato dello svolgimento di un compito d'interesse pubblico e che dispone di poteri che eccedono quelli risultanti dalle norme applicabili ai rapporti tra singoli. E' pacifico che una direttiva inattuata possa essere invocata nei confronti di autorità fiscali, delle autorità di polizia, della magistratura, delle autorità competenti in materia di immigrazione. ( Caso Foster ; Farrell ) 3.5 Questo rifiuto di riconoscere efficacia diretta orizzontale a una direttiva inattuata è oggetto di molte critiche da parte della dottrina. Ad esempio, una direttiva in materia di lavoro potrebbe essere considerata, a parità di tutte le altre circostanze, direttamente efficace o meno a seconda che sia invocata da un dipendente pubblico o da un dipendente privato, andando così a creare una sorta di discriminazione. Un atteggiamento che potrebbe ridurre la rilevanza della distinzione tra efficacia diretta verticale e orizzontale consiste nel non sollevare la questione d'ufficio, in assenza di un'apposita questione pregiudiziale sul punto da parte del giudice nazionale, la Corte ritiene di doversi pronunciare sull'interpretazione della direttiva senza porsi il problema del se tali effetti possano essere fatti valere nel contesto del giudizio a quo. Ci sono alcune eccezioni al principio giurisprudenziale che nega l'efficacia diretta orizzontale di una direttiva. a) Una prima eccezione riguarda situazioni che si potrebbero definire rapporti triangolari, in cui un privato invoca l'applicazione di una direttiva inattuata nei confronti di un organo pubblico, ma anche nei confronti di altri soggetti privati, la cui posizione verrebbe compromessa dall'applicazione della direttiva (controinteressati), ( Caso Fratelli Costanzo ). b) La seconda eccezione riguarda un tipo particolare di direttive: quelle che sottopongono le misure degli SM a una procedura di controllo. Tali direttive non sono dirette ad attribuire diritti a soggetti privati o a definire la disciplina delle loro relazioni contrattuali, dunque la direttiva inattuata non influisce sulla disciplina dei rapporti tra privati, ( Caso Unilever ). c) La terza eccezione riguarda le norme delle direttive usate come parametro di valutazioni di condotte individuali, per effetto di un rinvio da parte di un regolamento dell'Unione. La direttiva non rileva in quanto tale ma solo al fine di integrare la disciplina contenuta in strumenti direttamente efficaci. d) Una quarta eccezione è il caso di direttive che attuano un principio generale del diritto o un diritto fondamentale ( Caso Kukucdeveci ; Mangold ). 3.6 Raramente la Corte è stata chiamata a pronunciarsi sull'efficacia diretta delle decisioni. Essendo l'efficacia diretta delle decisioni una conseguenza della loro obbligatorietà nei confronti degli SM a cui sono rivolte, si deduce che le decisioni siano prive di efficacia diretta orizzontale. ( Causa 9/70 Grad ). 4. L'OBBLIGO DI INTERPRETAZIONE CONFORME 4.1 Si è visto come esistano numerosi motivi che possono escludere l'efficacia diretta di una norma dell'Unione, in ipotesi del genere occorre domandarsi se la norma dell'Unione possa, nondimeno, assumere valore normativo indiretto nell'ordinamento degli SM, e quindi essere presa in considerazione dai giudici. L'individuazione di forme di efficacia indiretta del diritto dell'Unione è stata valorizzata in particolare rispetto alle direttive. 4.2 La prima forma di efficacia indiretta consiste nell'obbligo di interpretazione conforme: quando gli operatori giuridici sono chiamati ad applicare norme interne, sono tenuti a interpretarle in conformità con il diritto dell'Unione, anche se questo non è direttamente efficace. Tale obbligo si ricollega all'obbligo di leale collaborazione. L'obbligo di interpretazione conforme è altresì manifestazione dell'obbligo imposto a tutte le istituzioni degli SM di dare pieno effetto alle varie norme dell'Unione. La differenza tra efficacia diretta e obbligo di interpretazione conforme risiede nel fatto che, mentre nel primo caso il giudice disapplica la norma interna confliggente con la norma dell'Unione, nel secondo caso egli applica pur sempre la norma interna, ma interpretandola in modo aderente a quella dell'Unione. L'obbligo di interpretazione conforme è stato affermato, inizialmente, quando il giudice nazionale si trova a dover interpretare e applicare le disposizioni che uno SM ha specificatamente adottato per attuare una 8. LA GIURISPRUDENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE 8.1 La piena accettazione del principio primato da parte della Corte costituzionale italiana è risultata difficoltosa. Inizialmente la Corte parte dall'assunto che l'unico procedimento attraverso cui una legge in vigore può essere resa inapplicabile è la dichiarazione di incostituzionalità. Da ciò la Corte costituzionale deduce che le norme del TCE hanno rango di legge ordinaria e sono pertanto destinate a cedere di fronte a una norma di legge successiva. Contrasto tra la posizione della CGUE e della Corte costituzionale: secondo la prima, il giudice nazionale deve sempre applicare le norme dei trattati, disapplicando qualsiasi norma interna contraria; secondo la Corte Costituzionale, invece, il giudice italiano può applicare le norme dei trattati solo se non sia intervenuta una legge interna successiva incompatibile. 8.2 Un primo avvicinamento della Corte italiana alla posizione della CGUE si ha valorizzando maggiormente l'art.11 Cost, deducendo che tale norma non solo consente all'Italia di accettare limitazioni di sovranità con legge ordinaria, ma esige anche che il legislatore rispetti le limitazioni e non la ostacoli attraverso l'emanazione di leggi successive incompatibili. In simili evenienze la norma di legge è incostituzionale per violazione dell'art.11, tuttavia la Corte italiana ritiene ancora che tale vizio non possa portare alla disapplicazione della norma direttamente da parte del giudice ordinario, rendendosi sempre necessario il ricorso alla Corte Costituzionale. 8.3 Il sopravvivere della sentenza Simmenthal costringe la Corte italiana a modificare il proprio orientamento. L'aspetto di novità è il rifiuto di assimilare le norme dell'Unione a norme nazionali di legge, da ciò discende l'impossibilità di applicare ai conflitti tra le une e le altre i metodi di risoluzione previsti per i conflitti tra norme interne. Trattandosi di norme di ordinamenti diversi, gli eventuali conflitti vanno risolti in base al criterio della competenza. Occorrerà pertanto stabilire se la materia rientri tra quelle in relazione alle quali l'Italia ha accettato di limitare la propria sovranità in favore dell'Unione, compito che deve svolgere il giudice ordinario. Il giudice non deve dare importanza all'aspetto cronologico. La giurisprudenza successiva ha riconosciuto al giudice il potere di applicare direttamente le norme dell'Unione, lasciando inapplicate le leggi interne incompatibili. 8.4 La Corte costituzionale esclude in due ipotesi il potere del giudice di applicare immediatamente la norma dell'Unione e di disapplicare l'eventuale legge interna confliggente, esigendo che sia sollevata questione di costituzionalità. Si tratta di casi riservati alla competenza residua della Corte costituzionale. a) La prima ipotesi riguarda l'eventualità di una norma dell'Unione contraria ai principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale e ai diritti dell'uomo, in questo caso il giudice deve sollevare questione di costituzionalità (teoria dei contro-limiti). b) La seconda ipotesi in cui la Corte Costituzionale si riserva il potere di intervenire, si ha in presenza di norme di legge dirette a impedire il rispetto dei principi fondamentali dei trattati. 8.5 Il riconoscimento del potere in capo al giudice nazionale di disapplicare la norma interna confliggente con quella dell'Unione, e applicare immediatamente quest'ultima, vale solo per le norme dell'Unione che abbiano efficacia diretta. In caso di contrasto con una norma dell'Unione priva di efficacia diretta, il giudice deve sollevare davanti alla Corte costituzionale eccezione di costituzionalità. PARTE V IL SISTEMA DI TUTELA GIURISDIZIONALE 1. CONSIDERAZIONI GENERALI 1.1 L'ordinamento dell'Unione comprende un sistema di tutela giurisdizionale che assicura la protezione delle persone giuridiche sorte per effetto dell'Unione. Tale sistema è ripartito su due livelli: - la Corte di giustizia dell'Unione - gli organi giurisdizionali degli SM Al primo livello spettano in via esclusiva alcune azioni enumerate dai trattati, le c.d. competenze dirette, che sono: a) ricorso per infrazione b) ricorso d'annullamento c) ricorso in carenza d) ricordo per risarcimento N.B -> l'invalidità di un atto di portata generale può essere fatta valere, non solo in via diretta attraverso un ricorso d'annullamento, ma anche in via d'eccezione nell'ambito di un'altra controversia di competenza della Corte di giustizia, in cui venga in rilievo l'applicazione dell'atto stesso, la c.d. eccezione di invalidità. La Corte esercita anche una competenza cautelare, competenze consultive, e competenze per grado. Al di fuori di tali azioni, vige la competenza dei giudici nazionali, ai quali i soggetti interessati all'applicazione di una norma dell'Unione possono rivolgersi e chiedere loro la tutela giurisdizionale delle posizioni giuridiche loro spettanti. 1.2 I due livelli di tutela giurisdizionale non operano in maniera del tutto distinta. Per evitare che, nell'applicare il diritto dell'Unione, i giudici degli SM pregiudichino l'uniformità delle disposizioni di tale diritto, i trattati hanno previsto uno strumento di raccordo con la CGUE : il rinvio pregiudiziale. Attraverso esso il giudice ha l'obbligo o la facoltà di deferire alla CGUE le questioni riguardanti il diritto dell'Unione. In questo modo si instaura una collaborazione che consente di preservare il carattere uniforme delle norme dell'Unione anche nel momento applicativo. La CGUE quando si pronuncia in via pregiudiziale esercita una competenza indiretta, conosce solo delle questioni di diritto dell'Unione deferite dal giudice nazionale, al quale spetta di decidere l'intera controversia. 1.3 Secondo la Corte questo sistema di tutela giurisdizionale è completo, e rispetta il principio generale ad una tutela giurisdizionale effettiva. Il titolare di una posizione giuridica derivante da norme dell'Unione deve poter esperire un ricorso effettivo contro atti delle autorità pubbliche di uno SM che violino tale sua posizione. Un soggetto che viene pregiudicato, invece, da un atto delle istituzioni deve poter ottenere anche lui il controllo giurisdizionale della validità di tale atto. Qualora dovessero darsi delle lacune, nel senso che manchi un rimedio giurisdizionale effettivo per ottenere protezione di determinate posizioni soggettive, queste dovrebbero essere colmate attraverso un'interpretazione evolutiva delle norme applicabili. L'insufficienza dei rimedi esperibili dinanzi la CGUE non comporta la violazione del diritto ad un rimedio giurisdizionale effettivo, qualora esista un rimedio adeguato che possa essere azionato. Nell'ipotesi che nessun rimedio giurisdizionale effettivo esista, sorge la necessità di colmare la lacuna in via interpretativa. 1.4 Qualora la legislazione di uno SM in materia di ordinamento giudiziario non sia tale da assicurare il rispetto del diritto ad un rimedio giurisdizionale effettivo, la stessa può essere oggetto di un rinvio pregiudiziale, con conseguente obbligo del giudice a quo di disapplicarla. D'altra parte, in una situazione del genere, lo SM responsabile può essere oggetto di un ricorso d'infrazione e riconosciuto colpevole di una violazione del diritto ad un rimedio giurisdizionale effettivo. 2. IL RICORSO D'INFRAZIONE 2.1 L'oggetto del ricorso è la violazione da parte di uno SM di uno degli obblighi a lui incombenti in virtù dei trattati. Per Stato membro si intende lo Stato-organizzazione comprensivo di tutte le articolazioni in cui è organizzato l'esercizio del potere pubblico sul territorio statale. Lo SM può essere chiamato a rispondere di comportamenti facenti capo al governo nazionale, a poteri indipendenti rispetto a quello esecutivo o ad enti territoriali con autonomia. 2.2 L'oggetto del ricorso può riguardare la violazione di qualsiasi obbligo derivante dai trattati o dagli atti adottati in base ad essi. Sono frequenti i ricorsi per mancata o non corretta attuazione delle direttive entro il termine. Sono previste eccezioni per cui il ricorso di infrazione non è esperibile: 1. Una prima eccezione riguarda il rispetto del divieto di disavanzi eccessivi. 2. Una seconda eccezione riguarda le materie rientranti nella PESC, il ricorso per infrazione non è esercitabile per violazioni commesse dagli SM nell'ambito della PESC. 2.3 Un caso a parte è costituito dalle violazioni da parte degli SM dei valori di cui all'art.2 TUE, su cui l'Unione è fondata. Per violazioni di questo genere è prevista un'apposita procedura di natura politica: - procedura di pre-allarme in casi di evidente rischio di violazione grave da parte di uno SM; - procedura di constatazione di una vera e propria violazione grave e persistente di uno SM dei valori di cui all'art.2; - procedura di sanzione che può far seguito alla precedente. 2.4 Non è necessario dimostrare la presenza di un atteggiamento psicologico di colpa o di dolo da parte dello SM o dei suoi organi. Lo SM non può addurre giustificazioni tratte da eventi interni quali lo scioglimento anticipato del Parlamento o una crisi di governo. Non può invocare difficoltà derivanti, ad esempio, dalla necessità di rispettare determinati adempimenti costituzionali. Né, infine, può addurre motivi fondati su cause di forza maggiore o di ordine pubblico. Nemmeno è possibile trarre giustificazioni dal comportamento, anch'esso contrario al diritto dell'Unione, tenuto da altri SM. 2.5 Il procedimento per proporre un ricorso per infrazione varia a seconda del soggetto che ne assume l'iniziativa. L'ipotesi più frequente è che sia la Commissione ad aprire il procedimento, ma c'è anche la possibilità che ad agire sia uno SM. Non è consentito, invece, ai singoli di proporre ricorso per infrazione e rivolgersi direttamente alla CGUE, questi potranno denunciare la violazione alla Commissione o al proprio SM. In entrambi i casi sono previste due fasi: a) fase precontenziosa preliminare; b) fase contenziosa dinanzi la Corte. La fase precontenziosa ha due scopi: in primo luogo favorisce la composizione amichevole della controversia, imponendo alle parti discutere tra di loro si può anche evitare l'intervento della Corte; in secondo luogo, la fase ha uno scopo processuale, poichè il suo svolgimento è condizione di ricevibilità del ricorso alla Corte. La fase contenziosa prevede il ricorso alla CGUE e l'emanazione di una decisione giudiziaria. 2.6 Nel casi disciplinati dall'art.258, la scelta di dare avvio al procedimento, quella di portarlo avanti o porvi termine spettano alla Commissione, che gode di ampio potere discrezionale. La Commissione dispone degli elementi forniti da eventuali denuncianti, da organizzazioni private o pubbliche attive sul territorio dello SM, e dallo SM stesso. La prima ipotesi è quella in cui la persona fisica o giuridica impugna un atto adottato <<nei suoi confronti>>, cioè un atto di cui il ricorrente sia anche il destinatario. In questo caso occorre solo dimostrare di avere interesse a ricorrere, quindi che la posizione giuridica del ricorrente è pregiudicata dalla permanenza dell'atto impugnato. La seconda ipotesi è quella della persona fisica o giuridica che impugna un atto di cui formalmente non è il destinatario. Il ricorrente deve dimostrare che l'atto <<lo riguarda direttamente e individualmente>> La terza ipotesi è una deroga rispetto alla seconda. La persona fisica o giuridica ricorrente in questo caso non è il destinatario dell'atto impugnato, l'atto deve essere a) un atto regolamentare e b) non comportare alcuna misura di esecuzione. Per impugnare questo tipo di atto il ricorrente deve dimostrare che l'atto lo riguarda direttamente, e non anche individualmente (condizione più difficile da dimostrare). Questa terza ipotesi rappresenta un tentativo di attenuare il rigore che la giurisprudenza aveva dimostrato. 3.5 Perchè una persona fisica o giuridica possa impugnare una decisone rivolta ad un'altra persona fisica o giuridica, l'onere probatorio da superare non è eccessivo. Basta dimostrare che il ricorrente è portatore di un interesse qualificato all'annullamento dell'atto. Un tale interesse è spesso implicito nel fatto di aver provocato l'avvio del procedimento o nell'avervi partecipato. In casi del genere, la ricevibilità del ricorso viene ammessa senza procedere a un esame differenziato dell'interesse diretto rispetto a quello individuale. 3.6 Qualora, invece, l'atto impugnato sia costituito da un regolamento o da una decisione rivolta agli SM, l'onere probatorio che il ricorrente non privilegiato deve superare è maggiore. Le difficoltà non riguardano tanto l'interesse diretto, inteso come dimostrazione che il ricorrente è pregiudicato direttamente dall'atto impugnato. Quanto alle decisioni rivolte agli SM, si tratta di provare che le autorità nazionali non dispongono di alcun potere discrezionale riguardo all'applicazione della decisione, o che hanno già manifestato ina nticipo la loro volontà do dare piena applicazione all'atto. 3.7 Il vero scoglio è costituito dall'interesse individuale, a proposito del quale la giurisprudenza applica una formula rigorosa, risalente alla sentenza Plaumann <<chi non sia destinatario di una decisione può sostenere che questa la riguardi individualmente solo qualora il provvedimento lo tocchi a causa di determinate qualità personali, ovvero particolari circostanze atte a distinguerlo dalla generalità, e quindi lo identifichi alla stessa stregua dei destinatari>>. Da questa formula si intuisce che ciò che rileva non è che l'atto impugnato colpisca il ricorrente, ma a quale titolo il ricorrente viene colpito. Non basta che ciò avvenga in quanto il ricorrente appartiene a una categoria di soggetti individuata, in casi del genere il ricorrente è colpito alla stregua di ogni altro appartenente alla medesima categoria e non <<alla stregua dei destinatari>>. Occorre invece dimostrare che l'atto ha preso in considerazione proprio la posizione individuale del ricorrente e pertanto: a) produce effetti giuridici solo sulla sua posizione individuale ovvero b) produce sul ricorrente effetti giuridici diversi rispetto a quelli che si producono a carico di tutti gli altri soggetti. Conviene soffermarsi sui casi in cui l'interesse individuale può essere considerato sussistente. In passato è stato talvolta necessario ricorrere allo smascheramento dell'atto: il ricorrente doveva dimostrare che l'atto non era quel che appariva, ma era una decisione individuale nei suoi confronti. In altri casi, è sufficiente dimostrare che l'atto contiene disposizioni che riguardano in maniera individuale determinati operatori economici. La presenza di un interesse individuale è inoltre dimostrata dalla circostanza che l'atto impugnato contenga un espresso riferimento a determinati soggetti. L'interesse individuale può anche derivare dalle caratteristiche del procedimento che conduce all'atto impugnato. Qualora sia prescritto che il procedimento coinvolga obbligatoriamente determinati soggetti o sia garantita la partecipazione di altri soggetti interessati, si presume che tutti questi siano portatori di un interesse qualificato che consente loro l'impugnazione dell'atto. 3.8 Le notevoli difficoltà che le persone fisiche e giuridiche incontrano per dimostrare l'esistenza delle condizioni previste dall'allora vigente disciplina, aveva evidenziato il rischio che si potessero produrre lacune nel sistema di tutela giurisdizionale in alcune situazioni in cui i soggetti pregiudicati non dispongono di alcun rimedio giurisdizionale effettivo. Ciò avrebbe comportato una violazione del diritto ad un rimedio giurisdizionale effettivo. La terza ipotesi stabilisce condizioni di ricevibilità dei ricorsi individuali meno severe, prevedendo che l'atto riguardi il ricorrente <<direttamente>> . Tali condizioni valgono solo se oggetto di impugnazione sono a) gli atti regolamentari e b) che non comportino alcuna misura di esecuzione. Riguardo alla nozione di <<atti regolamentari>> originariamente era agevole pensare che ci si riferisse ad atti di portata generale ma privi di natura legislativa. Ad un’interpretazione più estensiva della nozione di atti regolamentari, la giurisprudenza è pervenuta includendovi anche atti diversi dai regolamenti, come ad esempio le decisioni , purché di portata generale e non adottate secondo procedura legislativa. Recentemente sono state incluse negli atti regolamentari anche le decisioni rivolte a un singolo Stato. La nozione di atti regolamentari è stata estesa altresì ad atti non adottati da un'istituzione bensì da altri organi. Quanto alla condizione che l'atto non richieda <<misure di esecuzione>> la giurisprudenza è stata finora alquanto restrittiva. 3.9 I vizi di legittimità che possono essere fatti valere nell'ambito di un ricorso per annullamento sono: a) incompetenza; b) violazione delle forme sostanziali; c) violazione dei trattati o regola di diritto relativa alla loro applicazione; d) sviamento di potere. L'incompetenza può essere esterna o interna: si ha incompetenza interna nel caso in cui l'istituzione che emette l'atto non ha il potere di farlo, perchè tale potere spetta a un'altra istituzione; si ha incompetenza esterna quando nessuna istituzione ha il potere di emanare l'atto in questione, che non rientra nella competenza dell'Unione. La violazione delle forme sostanziali sussiste quando non sono rispettati i requisiti formali tanto importanti da influire sul contenuto dell'atto. Può trattarsi di forme relative al procedimento da seguire per l'emanazione dell'atto. Un atto adottato senza l'osservanza di tali formalità è viziato e deve essere annullato. Altre ipotesi di forme sostanziali attengono all'atto in quanto tale, la più importante è la violazione dell'obbligo di motivazione, violazione che è rilevabile d'ufficio (l'obbligo di motivazione mira a consentire agli interessati di conoscere le ragioni del provvedimento adottato per poterne valutare la fondatezza). L'obbligo di motivazione risulta violato quando la motivazione è del tutto assente o quando è insufficiente. Il vizio della violazione dei trattati o di qualsiasi regola di diritto relativa alla loro applicazione è il più frequentemente invocato, poichè esso ingloba anche l'incompetenza e la violazione delle forme sostanziali. L'ultimo vizio di legittimità è lo sviamento di potere, che si ha quando un'istituzione emana un atto che ha il potere di adottare, perseguendo però scopi diversi da quelli per i quali il potere le è stato attribuito. Tale vizio è riscontrabile in casi molto rari. 3.10 Il termine del ricorso è di due mesi. Esso decorre: a) dalla pubblicazione sulla GU b) dalla notificazione, se l'atto è notificato c) in mancanza di pubblicazione o notifica, dal giorno in cui il ricorrente ha avuto conoscenza dell'atto. 3.11 Qual è l'efficacia delle sentenze di annullamento? All'art.264 il primo comma pone la regola generale disponendo che <<se il ricorso è fondato, la Corte di giustizia dichiara nullo e non avvenuto l'atto impugnato>>. La sentenza ha quindi portata generale e retroattiva: l'atto è nullo erga omnes, e la nullità retroagisce al momento in cui l'atto è stato emanato. Il secondo comma prevede invece un'eccezione per cui <<la Corte, ove lo reputi necessario, precisa gli effetti dell'atto annullato che devono essere considerati definitivi>>. La CGUE può quindi limitare gli effetti della sentenza che annulla l'atto. 3.12 Il controllo sugli atti delle istituzioni esercitato dalla Corte è un controllo di mera legittimità. La sentenza si limita ad annullare l'atto, quando sia riscontrata l'esistenza di un vizio di legittimità. 4. LA COMPETENZA PREGIUDIZIALE : CONCETTI GENERALI 4.1 La CGUE può o deve essere chiamata a pronunciarsi in via pregiudiziale sulle questioni riguardanti il diritto dell'Unione che si pongono nell'ambito di un giudizio instaurato davanti a un <<organo giurisdizionale di uno SM>>. La competenza a pronunciarsi in via pregiudiziale è esclusiva della Corte. In base alla competenza pregiudiziale, la Corte conosce di determinate questioni di diritto dell'Unione solo in seguito al rinvio operato da un giudice nazionale, nell'ambito di un giudizio iniziato e destinato a concludersi dinanzi lo stesso giudice nazionale. La pronuncia della Corte ha natura pregiudiziale sia in senso temporale, perchè precedete la sentenza del giudice nazionale, sia in senso funzionale, perchè strumentale rispetto alla emanazione di tale sentenza. E' una competenza indiretta poichè l'iniziativa di rivolgersi alla Corte non è assunta dalle parti interessate, ma dal giudice nazionale. E' anche una competenza limitata, perchè la Corte può esaminare solo le questioni di diritto dell'Unione sollevate dal giudice nazionale. 4.2 Le ragioni che hanno portato a introdurre questo tipo di competenza sono legate ad alcune caratteristiche dell'Unione: da un lato, il sistema decentralizzato di applicazione del diritto dell'Unione, dall'altro l'essere la maggior parte delle norme dotate di efficacia diretta. Era frequente l'insorgere di controversie tra privati o tra privati e autorità intorno all'applicazione del diritto dell'Unione. Tali controversie, in quanto non sottoposte dai trattati alla competenza diretta dell'Unione. 4.3 Lo scopo del meccanismo è duplice: da un lato, esso tende a evitare che ciascun giudice interpreti la validità delle norme dell'Unione in maniera autonoma; d'altro lato mira a offrire ai giudici uno strumento di collaborazione per superare le difficoltà interpretative. La competenza pregiudiziale è finalizzata non solo a evitare divergenze nell'interpretazione del diritto dell'Unione, ma anche a garantire tale applicazione offrendo al giudice il mezzo per sormontare le difficoltà. 4.4 L'importanza della competenza pregiudiziale è ampiamente riconosciuta dalla dottrina e della giurisprudenza della Corte. Testimonianza dell'importanza che la Corte annette a questo meccanismo è la posizione da lei assunta contro ogni disposizione nazionale che ostacoli o limiti la facoltà dei giudici nazionali di operare rinvio. 4.5 La competenza pregiudiziale viene in rilievo anche sotto il profilo del diritto fondamentale a un rimedio giurisdizionale effettivo. Omettendo di sollevare una questione pregiudiziale davanti alla Corte, quando invece le circostanze lo richiederebbero, il giudice nazionale, soprattutto se di ultima istanza, pregiudica il diritto dei soggetti interessati a un rimedio giurisdizionale effettivo. 5. L'OGGETTO DELLE QUESTIONI PREGIUDUIZIALI 5.1 La competenza pregiudiziale della Corte può riguardare questioni di interpretazione o di validità. 5.2 Le questioni pregiudiziali di interpretazione possono avere ad oggetto: a) i trattati b) gli atti compiuti dalle istituzioni dagli organi e dagli organismi dell'Unione Per <<trattati>> si intendono il TUE e il TFUE nella versione applicabile ai fatti della causa pendente davanti al giudice nazionale, compresi i protocolli e gli allegati, tenendo conto degli emendamenti intervenuti o degli adattamenti apportati. 8. FACOLTA' E OBBLIGO DI RINVIO 8.1 Rispetto al rinvio pregiudiziale, la posizione dei giudici varia a seconda che essi emettano decisioni contro le quali sia possibile proporre un ricorso giurisdizionale di diritto interno oppure no. Nel primo caso, il rinvio pregiudiziale è oggetto di una facoltà, mentre nel secondo caso il giudice è sottoposto a un obbligo di rinvio. La ratio è duplice: da un lato, nel caso di giudizio di ultima istanza, un errore del giudice nel risolvere questioni di diritto dell'Unione resterebbe senza ulteriore rimedio, quindi, in questo caso, l'obbligo di rinvio costituisce l'estrema forma di tutela ai soggetti interessati alla corretta applicazione del diritto dell'Unione. D'altro lato, l'erronea soluzione data da un giudice di ultima istanza a questioni di diritto dell'Unione rischia di consolidarsi nel tempo. 8.2 La nozione di giudice di ultima istanza dipende dalla possibilità concreta di proporre un'impugnazione contro le decisioni del giudice, e non soltanto dal rango che occupa nell'ordinamento giudiziario nazionale. 8.3 La facoltà di rinvio che spetta ai giudici non di ultima istanza implica che questi sono liberi di scegliere se sollevare o meno le questioni di diritto dell'Unione alla CGUE, anche d'ufficio. Tale libertà si estende anche al momento in cui effettuare il rinvio. La facoltà di rinvio non può essere limitata per effetto di norme processuali nazionali (es: norme che impongono al giudice di rinvio il rispetto dei punti di diritto stabiliti dalla Cassazione). 8.4 Nell'interpretare la portata dell'obbligo di rinvio a carico dei giudici di ultima istanza, la Corte ha introdotto alcuni elementi di flessibilità, tali da rendere meno netta la distinzione tra giudici di ultima istanza e non. La corte ha individuato alcune ipotesi in cui il rinvio, anche in ultima istanza, può essere omesso, in casi del genere si parla di mera facoltà di rinvio anche per i giudici di ultima istanza: a) quando la questione sia materialmente identica ad un'altra, sollevata in relazione ad analoga fattispecie, che sia stata già decisa in via pregiudiziale; b) quando la risposta da dare alle questioni risulti da una giurisprudenza costante della Corte che risolva il punto di diritto litigioso; c) quando la corretta applicazione del diritto dell'Unione si imponga con tale evidenza da non lasciare adito ad alcun ragionevole dubbio sulla soluzione da dare alla questione sollevata. Delle tre ipotesi quella dell'atto chiaro è la più delicata, per definire bene il campo d'applicazione la Corte precisa che al giudice di ultima istanza è fatto obbligo di procedere ad alcune verifiche (...). La Corte ha statuito che il giudice di ultima istanza che decida di non rivolgersi alla Corte deve sempre fornire una motivazione del suo rifiuto. Inoltre l'obbligo di rinvio non è escluso solo perchè nell'ambito dello stesso procedimento c'è già stato un primo rinvio alla CGUE. Il comportamento del giudice di ultima istanza di omettere di rinviare alla Corte senza prestare una motivazione, potrebbe comportare responsabilità dello Stato e dare luogo a un risarcimento danni a favore del singolo i cui diritti siano stati lesi dalla pronuncia giudiziale. La violazione dell'obbligo di rinvio pregiudiziale potrebbe inoltre indurre la Commissione ad avvioare la procedura di infrazione. La distinzione tra giudici di ultima istanza e quelli delle istanze inferiori è stata ulteriormente attenuata introducendo un'ipotesi di obbligo di rinvio anche per i giudici non di ultima istanza. Esso riguarda solo le questioni pregiudiziali di validità, avendo la Corte negato che un giudice nazionale da solo possa accertare l'invalidità di un atto dell'Unione. Da ciò discende che, qualora ritenga fondati i motivi di invalidità addotti dalle part riguardo un atto delle istituzioni, il giudice anche se non di ultima istanza è obbligato a rinviare alla CGUE. Perchè l'obbligo di rinvio scatti, non basta che le parti abbiano sollevato motivi di invalidità, ma occorre anche che il giudice adito li consideri fondati. 9. IL VALORE DELLE SENTENZE PREGIUDIZIALI 9.1 Le sentenze rese dalla CGUE in un procedimento, per prima cosa, vincolano il giudice che aveva effettuato il rinvio, questi non può discostarsene, ma può soltanto adire nuovamente la Corte ove lo ritenga necessario. La sentenza della Corte assume un valore generale, che travalica i confini del giudizio nel cui ambito le questioni pregiudiziali sono state sollevate. Qualunque giudice nazionale, che si trovi a dover risolvere questioni sulle quali la Corte si è già pronunciata con sentenza pregiudiziale, deve adeguarsi a tale sentenza, salva la possibilità di rivolgersi di nuovo alla Corte. 9.2 Il valore generale delle sentenze pregiudiziali di interpretazione risulta da quanto si è detto a proposito dell'obbligo di rinvio: l'esistenza di una sentenza emessa dalla Corte nel quadro di un procedimento pregiudiziale, rende superflua la proposizione di un nuovo rinvio sulle stesse questioni e lo esenta, anche se di ultima istanza, dall'obbligo di rinvio. 9.3 Il principio è stato affermato con chiarezza nel caso di sentenze pregiudiziali di validità che dichiarano l'invalidità di un atto delle istituzioni. 9.4 In linea di principio tutte le sentenze pregiudiziali hanno valore retroattivo, L'interpretazione contenuta in una sentenza pregiudiziale chiarisce il significato e la portata della norma quale deve o avrebbe dovuto essere intesa e applicata dal momento della sua entrata in vigore, e la norma così interpretata può è deve essere applicata dal giudice anche a rapporti sorti prima della sentenza. Il principio retroattivo delle sentenze pregiudiziali della Corte va conciliato con il principio generale della certezza del diritto. Di conseguenza un soggetto che non abbia agito in giudizio entro il termine previsto dall'ordinamento, non può, scaduto il termine, invocare una sentenza pregiudiziale emessa dalla Corte, a meno che il termine in questione non sia irragionevole. Inoltre la Corte si riserva il potere di limitare nel tempo la portata delle sentenze pregiudiziali sia di interpretazione, che di validità. PARTE VI LE COMPETENZE DELL'UNIONE 1. CONSIDERAZIONI GENERALI 1.1 La questione da affrontare riguarda la definizione della portata delle competenze attribuite all'Unione e delle modalità del loro esercizio in relazione alle competenze statali. Inizialmente il problema si è posto nei confronti della CE, che ha infatti avuto una vita molto più lunga, nel corso della quale si è assistito ad uno sviluppo ampio e articolato delle sue competenze. La CE era caratterizzata da un'impostazione sovranazionale, che la rendeva molto autonoma rispetto agli SM, e questi non sempre riuscivano a controllarne i processi decisionali. Grande era il rischio che si verificasse una estensione eccessiva delle competenze della Comunità (competence creep), senza passare attraverso la procedura di revisione dei trattati e privando, così, gli SM del loro potere di veto individuale. Questo spiega come mai il problema delle competenze sia stato affrontato già con il trattato di Maastricht, principalmente con riferimento al TCE, nel quale all'art.5 sono stati enunciati i principi generali: il principio di attribuzione, il principio di sussidiarietà e quello di proporzionalità. In un secondo momento, si è avvertita l'esigenza di avviare una disciplina di più ampia portata da dedicare al problema delle competenze. Il Trattato di Lisbona ha rafforzato lo status dei principi enunciati prima, erigendoli a principi applicabili all'intera Unione. Il Trattato di Lisbona, inoltre, codifica e chiarisce la distinzione tra le categorie di competenze dell'Unione fornendone un'elencazione categoria per categoria. La Corte ha affermato che le norme sull'attribuzione e la ripartizione delle competenze rientrano nel <<quadro costituzionale>> dell'Unione. 1.2 L'art.5, par 1, TUE enfatizza la centralità del principio di attribuzione disponendo che <<la delimitazione delle competenze dell'Unione si fonda sul principio di attribuzione>>. Il par 2 definisce che in virtù di tale princpio <<l'Unione agisce esclusivamente nei limiti delle competenze che le sono attribuite dagli SM nei trattati per realizzare gli obiettivi da questi stabiliti>>. Questo perchè l'Unione non è un ente a finalità e competenze generali, e può agire solo nei settori in cui un suo intervento sia contemplato dai trattati e solo per gli obiettivi che questi prevedono. Viene quindi posto l'accento sul carattere derivato delle competenze dell'Unione. L'altra frase del par.2 dell'art.5 esprime l'idea di specialità delle competenze dell'Unione rispetto a quelle degli SM, per cui << qualsiasi competenza non attribuita all'Unione nei trattati appartiene agli SM>>. Il principio di attribuzione esige che per ciascun atto dell'Unione sia indicata la base giuridica su cui l'atto è fondato. Gli SM e le Corti Costituzionali sono molto attenti affinchè tale principio venga rispettato e che le istituzioni non eccedano le competenze attribuite. 1.3 La portata del principio di attribuzione risulta meno rigida di quel che potrebbe sembrare. La CGUE ha ammesso che, pur in mancanza di un'espressa attribuzione di poteri, l'Unione possa essere considerata competente quando l'esercizio di un certo potere risulti indispensabile per l'esercizio di un altro potere espressamente previsto ovvero per il raggiungimento degli obiettivi dell'ente, questi sono i c.d. poteri impliciti. 1.4 I trattati stessi prevedono una sia pur parziale deroga della competenza d'attribuzione, attraverso una disposizione nota come clausola di flessibilità <<Se un'azione dell'Unione appare necessaria, nel quadro delle politiche definite dai trattati, per realizzare uno degli obiettivi di cui ai trattati senza che questi ultimi abbiano previsto i poteri di azione richiesti a tal fine, il Consiglio, deliberando all'unanimità su proposta della Commissione e previa approvazione del Parlamento europeo, adotta le disposizioni appropriate>>. L'inserimento di una tale disposizione rivela come gli stessi SM siano coscienti dell'impossibilità di definire in anticipo e con esattezza i poteri di cui l'Unione potrebbe avere bisogno per raggiungere i suoi fini. Occorre che siano soddisfatte delle condizioni: a) La nuova azione deve essere necessaria nel quadro delle politiche definite dai trattati per realizzare uno degli obiettivi di cui ai trattati. Questa condizione comporta un notevole margine di discrezionalità in favore delle istituzioni, infatti la vastità degli scopi previsti è tale che qualsiasi azione potrebbe essere connessa con essi. b) I trattati non devono aver previsto i poteri d'azione richiesti a tal fine. c) La nuova azione non può comportare un'armonizzazione delle disposizioni legislative o regolamentar degli SM. d) La nuova azione non può servire per il conseguimento di obiettivi riguardanti la PESC. La clausola di flessibilità consente nuove azioni, ma non deroghe o deviazioni rispetto alla disciplina materiale fissata nei trattati. Ad esempio, non sarebbe possibile riattribuire agli SM competenze conferite dai trattati all'Unione. La stessa soluzione negativa vale per il caso in cui le disposizioni che si vorrebbero fondare sulla clausola di flessibilità siano tali da modificare la struttura istituzionale dell'Unione, come delineata dai trattati. E' invece possibile riconoscere all'Unione nuovi poteri, nel senso di consentirle di intervenire in settori non menzionati espressamente dai trattati. forisca gli elementi necessari a valutare il rispetto di questi principi. Il profilo di maggior interesse è la scelta di affidare ai parlamenti nazionali un importante ruolo, essi esercitano il controllo del rispetto del principio di sussidiarietà. A ciascun parlamento o camera è attribuito il potere di formulare un parere motivato o di non conformità del progetto al principio di sussidiarietà. Il trattato prevede due diverse modalità di controllo di sussidiarietà: i c.d. cartellino giallo e cartellino arancione. Qualora si siano espressi per la violazione del principio in esame parlamenti o camere che rappresentino 1/3 di voti disponibili, si applica la procedura del cartellino giallo : il progetto deve essere riesaminato dal suo autore. Il c.d. cartellino arancione è previsto se per l'adozione dell'atto si deve eseguire la procedura legislativa ordinaria, in questo caso se contro il progetto sono stati espressi pareri negativi che rappresentano la maggioranza semplice dei voti attribuiti ai parlamentari, la Commissione, se decide di mantenere l'atto, deve emanare un parere motivato, ma se la maggioranza dei membri Parlamento o 55% membri Consiglio sono contrari la proposta viene abbandonata. 3.4 Il principio di sussidiarietà può essere oggetto di controllo giurisdizionale o si tratta di un'indicazione meramente politica rivolta alle istituzioni? La Corte ha accettato di estendere il proprio sindacato al rispetto del principio in esame, sottolineando che <<in seconda battuta>>, dopo le considerazioni di carattere politico dei parlamenti, il controllo del rispetto del p. di sussidiarietà spetta alla Corte. Bisogna tenere però a mente che la scelta di ritenere un atto conforme a tale principio è affidata alla sfera di discrezionalità politica riservata alle istituzione. In un primo tempo, la violazione del principio di sussidiarietà era stato invocato dai ricorrenti come vizio di motivazione. Successivamente, la Corte è stata chiamata a verificare l'esistenza della violazione del principio in esame in quanto vizio autonomo. La Corte ha precisato che la verifica del rispetto del principio di sussidiarietà va effettuata sotto due profili distinti: 1) esaminare se l'obiettivo dell'azione progettata potesse essere meglio realizzato dall'azione dell'Unione 2) esaminare che l'azione dell'Unione non abbia oltrepassato la misura necessaria per la realizzazione dell'obiettivo. In sede di controllo giurisdizionale la Corte può anche essere chiamata a sindacare il rispetto delle garanzie procedurali previste dal Protocollo 2. 4. IL PRINCIPIO DI PROPORZIONALITA' 4.1 L'ultimo dei principi richiamati è quello di proporzionalità, l'art.5, par.4 prevede che <<In virtù del principio di proporzionalità, il contenuto e la forma dell’azione dell’Unione si limitano a quanto necessario per il conseguimento degli obiettivi dei trattati.>> Anche questo principio attiene alle modalità di esercizio delle competenze dell'Unione. Tanto nei settori di competenza esclusiva quanto in quelli di competenza concorrente, l'intervento dell'Unione deve essere limitato a <<quanto necessario per il conseguimento degli obiettivi dei trattati>>. Il principio in esame ha la funzione di tutelare gli SM da interventi dell'Unione di portata ingiustificatamente ampia. Il principio in esame e quello di sussidiarietà rispondono a un'esigenza comune. 4.2 Gli SM non hanno esitato a utilizzare il p. di proporzionalità per contestare la legittimità di atti delle istituzioni ritenuti eccessivamente invasivi delle loro competenze. In questi casi la Corte verifica se: a) i mezzi contemplati dall'atto dell'Unione siano idonei a conseguire il fine perseguito e b) che non vadano oltre quanto necessario per raggiungerlo; questa seconda condizione implica che, qualora sia possibile una scelta tra più misure, si deve ricorrere alla meno restrittiva. La Corte limita il proprio riesame alle ipotesi di errore manifesto, sviamento di potere o manifesto travalicamento dei limiti della discrezionalità. La Corte ha chiarito che il principio di proporzionalità non risulta violato per il semplice fatto che un atto legislativo dell'Unione possa incidere più su uno SM che su altri. 4.3 L'esigenza di rispettare la proporzionalità comporta restrizioni non solo in relazione al contenuto dell'atto, ma anche per quanto riguarda la scelta del tipo di atto da adottare. Infatti il TFUE dispone che <<qualora i trattati non prevedano il tipo di atto da adottare, le istituzioni lo decidono di volta in volta, nel rispetto delle procedure e del principio di proporzionalità>>. 4.4 N.B il principio di proporzionalità in esame è diverso dal principio generale di proporzionalità: ques'ultimo si è affermato come strumento di protezione dei singoli nei confronti delle istituzioni ovvero delle autorità degli SM, ed esige che i sacrifici e e limitazioni di libertà imposte ai singoli non eccedano quanto necessario per il raggiungimento dello scopo perseguito. Il principio di proporzionalità all'art.5, par.4, TUE, invece, attiene solo al rapporto tra le competenze dell'Unione e quelle degli SM.
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