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Riassunto del libro Il sensore che non vede, Sintesi del corso di Storia Del Cinema

Considerazioni del critico Gabriele Perretta sul fenomeno dei media, le loro conseguenze e l’impatto sulla nostra società

Tipologia: Sintesi del corso

2023/2024

Caricato il 10/02/2024

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camilla-calcaterra 🇮🇹

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Scarica Riassunto del libro Il sensore che non vede e più Sintesi del corso in PDF di Storia Del Cinema solo su Docsity! IL SENSORE CHE NON VEDE Gabriele Perretta Il viandante che non vede Il libro illustra alcune delle tendenze culturali contemporanee, è articolato intorno a riflessioni e tendenze dell’opinione pubblica. L’autore per fare queste riflessioni usa delle facoltà sensoriali-organiche: intelletto (recepisce i dati), visione organica (facoltà che analizza i processi dell’intelletto) e morale (etica); di solito queste operano insieme con diverse intensità. Un dispositivo è un luogo illimitato e indefinito dove tutti gli oggetti tecnici sono situati; ci sono dispositivi esterni ed interni. Per analizzare il Sensore che non vede bisogna fare una ricerca semiotica (disciplina che studia i segni e i loro significati) che prende le distanze dai “catastrofisti”, coloro che vedono la catastrofe in tutto, in questo caso questi ritenevano che con le nuove tecnologie fosse finito il regime di verità, invece non è così. La prima risposta ai catastrofisti è che con la nuova era digitale non era finita la fotografia, ma che questa fosse diventata alla portata di tutti (senso sul sensore). Si era già parlato di smaterializzazione della fotografia nel 1800 quando c’era l’analogico, oggi invece c’è il digitale che con smartphone e social diventa alla portata di tutti; col telefono l’apparecchio fotografico diventa versatile e il web è il più importante contenitore di immagini—> sviluppo della cultura dell’anonimato (che però ha sempre un destinatario). Si sviluppa anche l’agilità digitale che permette di modificare la realtà, il Medialismo parla di decostruzzione visuale (prendo solo una parte della realtà, con i telefoni si possono aggiungere filtri…). Il sensore digitale rende la scena sociale più brillante perché possiamo postare e modificare tutto. La fotografia è nata nel 19° secolo, mentre l’arte fotografica nel 20°. Tra il 1930-50 arriva la prima macchina fotografica sofisticata, le pellicole migliorano di qualità e la macchina diventa portatile, ma solo negli anni ’70 l’istantanea diventa un fenomeno popolare. Negli anni 2000 si sviluppano le macchine digitali ultra-compatte che però vengono presto oscurate dagli smartphone (ad oggi nuovamente pop). L’istantanea da l’opportunità di poter diffondere il quotidiano, anche oggi fotografare significa riprodurre all’infinito nel tentativo di raggruppare e condividere il quotidiano (Benjamin, 1936). Anche lo spazio (nuove piattaforme) crea livelli di quotidianità e percezione del reale, bisogna chiarire il ruolo che hanno i “black mirrors” (schermo nero dei dispositivi) nella società; questi dispositivi sono diventati luogo di lotta, di potere, di influenza, di controllo mediatico e di controllo della libertà altrui del guardare e del vedere. La dimensione del vedere permette di fare un’esperienza diretta di quello che vediamo, ma ci ha anche isolato in quanto siamo soli davanti agli schermi, essendo soli davanti allo schermo facciamo l’esperienza dello spostamento, ci proiettiamo in quello che vediamo, ma in questo spostamento non dobbiamo attingere ne da mappe ne dal nostro senso dell’orientamento (spostamento virtuale), il rischio è perdersi nei dispositivi distaccandoci dalla nostra identità. Quando ci immergiamo nelle foto viene a mancare il senso del viaggio e del vagare per arrivare alla meta (dimensione del tra). Questa solitudine è solo apparente perché siamo sempre interconnessi, la vera solitudine è perdersi in se stesso (es: faccio un viaggio per stare solo e staccare da tutto). Il termine Medialismo (teorizzato dall’autore) indica il principio o il metodo della logica visuale da cui può dipendere il ragionamento sulla società mediale. Il Medialismo permette di accertare il significato di parole ardue e concezioni astratte e per determinare i significati dei concetti che riguardano i media e la società mediale. Lo scopo è chiarire o eliminare i problemi tradizionali di fenomenologia dell’arte: nel web siamo sommersi da cyber-parole (che accompagno le immagini e stanno dietro il mondo del web, caratterizzato da concetti difficili) che sono talmente tante e difficili che c’è bisogno da fare chiarezza tramite il Medialismo. Il Medialismo ci orienta in questo linguaggio tecnico. Il Medialismo definisce l’enunciazione visiva, relazione tra la lingua (parole ardue del web) e l’ideologia (concezioni astratte). Con le parole scritte c’è la mediazione del vedere (tramite dispositivi). Quando siamo davanti a questi dispositivi perdiamo la nostra identità (sconoscenza e alienazione di noi stessi), il viaggio che dovrebbero fare i personaggi del sensore che non vede è la ricerca del proprio se che è disorientato. Il sensore che non vede è capace solo di riflettere il mondo (film Blade Runner - close up dell’occhio, occhio senz’anima). Concetto di collocazione (mettersi in posa), in fotografia c’è la posa B, quando tieni aperto l’otturatore per più di 30 secondi, è una posa lunga/lunghissima; mettersi in posa implica una relazione tra chi posa e chi scatta, quest’ultimo è il regista del sensore che non vede in quanto sacrifica la sua vista (svista). Il Medialismo descrive l’esperienza della svista come una cosa traumatica che è interrotta dal clic dello scatto. La fotografia ha lo scopo di cogliere l’attimo. I processi comunicativi sono fatti di un linguaggio segnico che ha regole, forme, strutture e un senso logico. I processi di comunicazione sociale sono correlati da segno e ideologia; il segno (simboli del web) non è solo un riflesso, ma una rifrazione che riflette mondi sconfinati e complessi, lontani da ogni punto di vista. In uno scatto fotografico ci apprestiamo a superare l’immagine ripresa, per giungere al vero senso di essa, bisogna cercare i suoi processi comunicativi (sensore del senso - creatività umana). La realtà può essere rappresentata sia a livello verbale sia a livello visivo. L’arte in quanto tale cerca di rappresentare, attraverso vari mezzi (fotografia, pittura, scultura, grafica, disegno, letteratura), la realtà nel modo più veritiero possibile, favorendo così una conoscenza della realtà che si colloca nella sfera della mimesis. La fotografia e mezzi simili sono protesi della vista, supporti esterni al proprio corpo a cui si delegano funzioni, in questo caso quella di rappresentare la realtà. Possono questi mezzi restituire l’intensità della realtà? Uno dei principi cardine dell’arte stabilisce l’assoluta inscindibilità tra verosimiglianza e rappresentazione secondo cui, nella pittura, dipingere è affermare. Secondo il Medialismo il primo a rompere questo criterio è stato Kandinskij (astrattismo) che ha fatto riflettere sulla differenza tra somiglianza e similitudine. Da sempre la questione della mimesis è stata un elemento indicativo e agisce a livello sociale, rilevando i mutamenti e le problematiche più rilevanti della società; anche nell’odierna società multimediale la questione della mimesis è un tema centrale in quanto la società è inondata di immagini potenti, riproduzioni più reali della realtà. Questa bulimia visiva si configura come volontà di esercitare il potere per educare lo sguardo. Nasce così l’immagine mediale, che non nasce con i media, ma inizia negli anni ’80 col graffissimo. In questo contesto le arti tradizionali, in primis la pittura, sono chiamate a confrontarsi continuamente con la fotografia. Il dasein del corpo che diviene design dell’anima Dasein: esserci, presenza, esistenza L’autore analizza la pratica del tatuaggio, questo rappresenta un deposito sedimentario dell’essere (dasein che diviene design), è un accessorio inamovibile. Il tattoo è un’espressione corporale delle comunità; vi è una gerarchia di gradi di significato, si va dal semplice simbolo grafico a simboli portatori di un messaggio. I tatuaggi parlano di te prima ancora che tu dica qualcosa. L’autore crede che chi si tatua lo fa per conservare una ferita, siccome il tatuaggio è una ferita che ti fai, quello che ti tatui allora deve ricordare una ferita (dolore vissuto). Reputa il tatuaggio un’arte innaturale che si è imposta sulla condizione della nostra memoria biologica. Essendo il tatuaggio portatore di una ferita interiore, questa non guarirà mai perché c’e l’hai per sempre sulla pelle. La simmetria è adoperata nelle creazioni artistiche fin dall’antichità ed è legata al senso del bello, nel tatuaggio si infrange e questa rottura rispecchia i valori culturali dolorosi (Dürer - incisore, le sue opere sono simmetriche e non si possono tatuare, anche il tatuatore è un incisore, ma non può garantire la stessa simmetria). L’autore vede il tatuaggio come qualcosa che usurpa il corpo. Farsi un tatuaggio è un’impresa crudele e dolorosa, il dolore è il prezzo da pagare per avere una marchiatura permanente. Per molti soggetti giovani, il tatuaggio è un modo per rivendicare la loro presenza al mondo (distacco dai genitori - decisioni sul proprio corpo). Corrosione delle forme e delle ideologie critiche In tempi recenti è stata annunciata la fine della critica, oggi è in atto qualcosa che la compromette, c’è un eccesso di positivismo e sta svanendo la critica del negativo. La critica riguarda la parte più oscura dell’opera, il positivismo destabilizza il linguaggio, se si critica si diventa impopolari. Qualsiasi critica negativa è terroristica, la cultura artistica non ammette alcuna negatività in nome della libertà (liberalismo apparentemente democratico). Oggi viviamo in una società che è sempre più acritica. La crisi della critica è una patologia narcisistica. Secondo l’epoca attuale spesso i critici si credono Dio, pur sapendo di non esserlo, perché esercitano il potere critico sulle cose, i critici sono anime allo sbando che osservano la parte nel buio, perché la parte solare non la vedono. Oggi c’è una critica di prodotti commerciali, di artisti di vario genere (cantanti, attori…) popolare, è di tutti, tutti possono criticare o appoggiare l’artista o il prodotto di turno. I media sono un grande contenitore di critiche e giudizio in cui si può criticare tutto. Non contano le idee, ma l’oggetto estetico, i prodotti hit detengono il potere. Stiamo meglio se non proviamo impulsi critici perché questi ci creano solo problemi e tensioni. I critici vengono respinti dagli artisti perché non sono abbastanza inseriti nell’universo accademico o non sono i personaggi di potere che li dovrebbero rappresentare. Senza la critica non proveremmo la sensazione di rifiuto e umiliazione, saremmo più felici e sereni; è la critica d’arte che crea un caos necessario nelle consuete gerarchie di potere del sistema culturale. Modi controversi di enunciazione 1) Attivismo interattivo di una mentalità psico-sociale Bisogna combattere con coscienza in quanto questa è una cosa con cui bisogna fare i conti, anche se non lo si vuole. Dobbiamo portare l’attenzione al quotidiano. L’arte sin dalla fine degli anni ’80 si fa espressione delle vibrazioni dei movimenti che attraversano un territorio, caratterizzato da un suo conflitto, anche i writer degli ultimi anni con le loro lotte e i loro linguaggi hanno avuto un ruolo per farsi sentire. L’arte finalmente è possibile per tutti, e non solo per l’élite dei radical chic. L’arte è “vita che crea” e trasforma un territorio ed è alla portata di tutti. Uno degli obiettivi proposti dal Medialismo è stimolare una modalità artistica per pensare ai percorsi di lotta, che sia in grado di non confinare il proprio universo a valori estranei ai corpi. Ciò che dobbiamo fare è liberare l’immaginazione per cambiare la vita. Perretta cita Felix Guattari (psicanalista, filosofo e politico francese) secondo il quale il rinnovamento sociale era possibile dalle lotte e dalle energie creative, la follia non deve essere ricondotta all'ordine, ma è il mondo moderno (insieme degli ambiti sociali) che deve essere interpretato in funzione della singolarità del folle. È il desiderio a garantire la libera configurazione delle singolarità e delle forze che mettono la storia in movimento. 2) Guattari vede l’arte come una suggestione, una pratica ludica a favore dei folli, tramite l’arte emergono i conflitti. L’enunciazione non è mai individuale, ma è determinata dalla struttura complessa dei rapporti sociali. La soggettività si fabbrica nelle grandi macchine sociali mass- mediatiche e linguistiche che non possono essere qualificate come umane. Accidenti che realismo “realismo orbo” 1)La cultura occidentale è nel caos, da una parte ci sono i liberal-rivoluzionari, avanguardie borghesi che hanno in mano il potere culturale (case editrici, giornali, cattedre universitarie…) e mirano a monopolizzare quei centri per un proprio tornaconto, rifiutano la collaborazione con la cultura popolare e il loro potere influenza i mercati creativi e la società con le sue esigenze e i suoi gusti orientati al trash. Dall’altra ci sono i liberal-moderati che lavorano singolarmente sull’egoismo proprietario, non sono aperti alle necessità di rinnovamento. Tra le due non c’è cooperazione. L’artista ha scarse capacità di engagement ed è dentro il circolo vizioso domanda-offerta che incita i produttori del falso. Si è creata una cultura del falso che vede in conflitto i tradizionalisti e i revisionisti; in Italia non c’è un movimento culturale operante, come invece è successo a Parigi, e non c’è neanche il movimento della sperimentazione, da cui deriva la ricerca della contraffazione contemporanea. 2)Le fake news sono diffuse, ma esiste ancora il senso della verità, basta informarsi per non abboccare alle prime notizie (anche l’artista lo deve fare). Il tema del falso nell’arte si è accentuato con la nascita dell’arte concettuale che ha influito sui “falsi d’artista”. I falsi esistono perché sono richiesti. Non si può più parlare di verità artistica; l’arte e l’artista sono in continua mutabilità, ciò è dovuto al rapporto storico-sociale in cui sono, per apprezzare le nuove opere non bisogna paragonarle alle vecchie, ma bisogna concentrarsi su di esse e apprezzarle. Le fake news sono simili alle leggende del passato che contengono un fondo di verità, ma che man mano che venivano raccontate si aggiungevano sempre particolari fantastici. Le fake news sono articoli con informazioni inventate che hanno l’intento di disinformare (tv, giornali, internet). Le notizie false hanno lo scopo di attirare finanziariamente o politicamente l’attenzione del lettore, oggi si cerca di bloccarle in tempo prima che spopolino, si è pensato di inserire un’intelligenza artificiale come guardia dei media. Uno dei primi casi di fake news fu la trasmissione radiofonica La guerra dei mondi di Orson Welles (1938) in cui fece credere che N.Y. fosse invasa dai marziani—>scalpore e fuga dalla città. Da questo momento la radio fu considerata uno strumento pericoloso perché può strumentalizzare le notizie. Per quanto riguarda i testi scritti, se 10 persone leggono lo stesso libro, avremo 10 interpretazioni diverse. 3)I dispositivi di potere fanno leva sulla paura per manipolare il popolo; la politica della paura è nata con l’attentato alle Torri Gemelle (2001). Politica della paura: tendenza dei mass-media e rappresentanti politici a costruire l’insicurezza sociale e il terrore presentando i fatti che accadono, accentuandone gli aspetti che mettono paura e omettendo quelli rassicuranti. La paura è un prodotto della politica, non è qualcosa che lo Stato deve combattere, ma uno strumento del potere. (Una delle paura più grandi che ci inculcano è la guerra atomica, le 3 potenze sono Usa, Russia e Cina—>first strike). Questo congegno dell’angoscia agisce sempre sulle relazione individuo-società-potere, dovremmo dare più spazio a quelle paure sociali che consentono alle persone di ritrovarsi uniti per lottare insieme per i nostri diritti collettivi e umani, esercitando il nostro diritto libertà e sicurezza. Questo stato di paura è una delinquenza interna, va al di là della destra e della sinistra, lo scopo è la riuscita economico-sociale del paese. La paura, secondo Gunther Anders (autore di opere come Diario di Hiroshima e Nagasaki), può creare coraggio, cioè può essere uno strumento che invece che farci rinchiudere in casa, ci sprona a lottare. Jonas nella sua Etica della responsabilità scrive che la speranza è il motore del nostro agire e delle nostre paure, ci da una spinta che esorta a compiere una resistenza. Jonas afferma che l’unica cosa da fare è sapere, conoscere e creare ponti, cioè comunicazione tra persone e culture per creare una cultura che sappia gestire i conflitti. 4)C’è sempre stato il desiderio di cogliere la natura in ogni suo aspetto e di comprenderla; la natura è fatta di molteplici esseri che hanno una loro identità d’essere (io sono io, l’albero è l’albero). Tramite la macchina fotografica cerchiamo di catturare la natura, la migliore prospettiva per farlo è quella aerea (profondità). 5)L’uomo ha una propensione nel comprendere la natura, per comprenderla usa sia lo spirito che la materia; la parte sacra del vivere riempie il vuoto dell’incomprensione pur non essendo tangibile, nella storia dell’arte questo concetto è molto evidente. Spesso l’uomo quando non sa spiegare certi fenomeni naturali, li attribuisce al divino. Il naturalismo è la tendenza a vedere nella natura il principio di ogni cosa. La natura è ciò che non è modificato dall’uomo e dalla cultura. Il compito della fotografia è quello di mettere in risalto la natura così com’è, anche se in alcune esperienze fotografiche, come i “Landscape into art”, ogni elemento naturale è subordinato a un significato divino. Spesso le fotografie non vengono viste come semplici scatti della realtà, ma vengono interpretate attraverso una concezione olistica dove ogni elemento raffigurato è la manifestazione di Dio (Emerson e Thoureau). Rapporto natura e anima da sempre presente nell’uomo. Secondo l’autore la scienza non è un racconto fantastico e per la scienza esiste una solo natura, quella che ci sta davanti nella conoscenza percettiva. Non è la natura ad essere divina, ma è l’osservazione soggettiva della natura ad attribuirgli tale significato. 6)La fotografia dal 1850 ha cominciato ad avere un ruolo esplorativo, infatti vi erano le spedizioni governative in varie parti del mondo per fotografare paesaggi lontani dalla propria realtà, c’era anche interesse per le calamità distruttive. C’è un paragone Oriente e Occidente: - in Oriente c’è una visione cosmica e mistica, fusione di tutte le cose che spingono all’introspezione, gli elementi della natura e l’uomo sono inter-connessi in una visione mistica - in Occidente prevale la scienza, ma la fisica moderna ha fatto notare che gli elementi che compongono la materia sono inter-connessi fra loro e tempo e spazio non sono separabili (scienza occidentale che si basa su aspetti spirituali e filosofici). immagini della contemporaneità della vittima metropolitana di turno. Nelle foto che lui realizza non cattura un soggetto, ma più un autoritratto; sembra esserci l’invito palese a guardare in macchina per essere guardato e specchiato dalla macchina stessa. A farsi riprendere sono sempre soggetti anonimi e senza alcuna dimensione personale, che rischiano la condivisione della cecità. La restituzione fotografica di questi ri-scatti (opening people) sono una grande restituzione di buchi neri. Il trash della fotografia di reportage non lascia posto se non a un’interpretazione al primo grado. L’imitazione fotografica è un processo innato usato per raggiungere i modelli con i quali ci si identifica. Se la mimesi si trasforma in emulazione la cosa può diventare pericolosa e negativa. Il processo imitativo nel fotografo dilettante è innato, anche perché in questa fase l’imitazione serve a imparare il linguaggio e a evolversi nel processo di crescita iconografica o iconocratica. I fotofuffologo invece si rispecchia nelle figure emulate per poter diventare il più possibile come loro. Oltre a questa prima parte, fondamentali sono anche tutte le esperienze che il fuffologo vive, che si sintetizzano nel suo Ego. Queste creano il vissuto con il quale il fotofuffologo sperimenta ciò che è al di fuori di Sé. L’Ego non riesce a evitare di lasciarsi influenzare dai personaggi che producono relazioni psichiche, etiche e comportamentali, questo risulta ancora più difficile negli ultimi anni a causa dei social network. Con il web, l’impatto degli altri sulla nostra autostima e molto più intensificata. Questi strumenti rappresentano per i trashporter e i fotofuffologi l’unico specchio nel quale riflettersi. Ritornando alla questione dell’Opening People questo è il prato tipicamente trashporter che ruota in torno ai divieti che la comunità umana ha posto intorno alla sfera dell’immagine e dell’apparenza, di cui il fotografo ha consapevolezza. L’opening People è l’approvazione della morte della fotografia fin dentro la morte dell’arte. L’identità della foto sta continuamente cadendo a pezzi, cadendo nell’oblio degli smartphone. A livello simbolico, il sensore che non vede, la morte e il nulla non esistono più, poiché nel simbolico la vita e la morte sono reversibili. Solo nello spazio dell’Opening People la morte assume un significato irreversibile. La morte diventa un mito come anticipazione dell’opening. Rovesciando la medaglia del concetto di morte dell’occhio, l’elemento chiave che ragiona attorno alla categoria di vita è il concetto di seduzione del trashporter. La seduzione secondo il trashporter è l’orizzonte in cui ci moviamo nel rapportarci con Black Mirror, rivestendo nella relazione un ruolo importantissimo, in quanto la seduzione si attua nel momento in cui lo schermo è spento e già sedotto dall’oggetto di seduzione - “io ti seduco perché sono già sedotto da te: Black Mirror”. Questo ci porta alla conclusione che uno è già schiavo della seduzione (del buio dello schermo) nel momento stesso in cui la attua, perché è già stato sedotto dall’altro. Accesi e Bruciati Il capitolo si rifà alla performance della “Venere degli stracci” di Pistoletto, bruciata in una piazza a Napoli. Comincia così una riflessione sul fatto che ciò che non funziona è proprio l’azione del bruciare, del fare un marchio, quindi una sorta di pretesa di stabilire un canone sull’opera, mentre il Novecento tarda a morire perché sembriamo tutti ancora dentro a residui di quel secolo. Impegno e disimpegno sono le due parole che costituiscono i poli del pensiero artistico contemporaneo e dell’attività dell’arte attuale. L’impegno è sinonimo di coscienza della classe colta e dei padroni della cultura liberale, di verità e della scienza politica in grado di governare le persone più disagiate. Questo tentativo è stato fatto più volte nella storia, Ronald Barthes scrive “dalla parte dei dominati non c’è ideologia, se non appunto - ed è l’ultimo grado dell’alienazione - l’ideologia che sono costretti (per vivere) a riprendere dalla classe che li domina”. Spesso però il destino delle classi meno agiate sembra accanire la propria rabbia contro coloro che già conducono una vita parecchio tormentata (Il cane del padrone morde sempre lo straccione). Anche se la cultura popolare quasi sempre si riscatta - esempio dell’opera di Tom Wesselmann (pag.207). Un insegnamento alla Thich Nhat Hanh (monaco) potrebbe essere: spegni il fuoco della rabbia per riconoscere, circoscrivere e allietare il dolore di una bellezza che può essere di tutti solo se la si accetta filtrata dagli stracci. Alla fine bisogna capire che proprio anche chi brucia viene bruciato. Parlare di incendi artistici e di fantasmi, di razze e migranti, di famiglie e pace estetica, di povertà e di ricchezza espressiva fa diventare i liberi autori e i liberi pensatori, artisti senza legittimità e si subisce una sorta di ostracismo (bando, esilio). Da sempre nell’umanità vige una legge per la quale, nel contrasto tra comprensione e incomprensione estetica, si sceglie l’incendio. Il buon autore d’avanguardia sacrifica alla patria dell’arte borghese la sua cifra poetica - sacrifica alla qualità la quantità della piazza. Oggi chi inscena lo spettacolo della Venere degli stracci non si ritiene soggetto-schiavo ma progetta una nuova libertà. Viviamo una tappa storica fondamentale, in cui la stessa libertà borghese dell’incendio genera nuove detenzioni: accusa le altre classi sociali più povere di essere colpevole dell’incendio. L’oppressione è lo schiavismo della costruzione, l’essere debitori significa essere condizionati dalle scelte dello spettacolo. Al momento questa performance, che dovrebbe essere il nichilismo della sopravvivenza, genera vincolo, obbligo e catastrofe. Ci si sente davvero liberi soltanto in un’autonomia incendiaria, in una felice simulazione della rivoluzione. Si pone oggi il dilemma se l’arte non vada re-incendiata o ritualizzata nell’incendio. Oggi si parla molto di opere pubbliche che si presentano come veste di progressione dell’incendio. Lo sforzo di essere astratti, di somigliare a tutto e a niente, provoca un continuo rimando all’ardore. Il mercato della disoccupazione artistica procrea ininterrottamente feticci viventi. La libertà del rivoluzionario, che assume una forma di funzionalizzazione artistica, è nient’altro che l’eccesso dell’incendio stesso. Oggi l’arte non lavora per i bisogni dell’ecologia o per trasformare l’anonimo cittadino in protagonista dello spettacolo da criticate, ma per il capitale incendiario da consumare e sostenere, quello che si deve trasformare in feticcio artistico. A caratterizzare l’arte post-moderna è l’emancipazione dell’ordine espositivo. L’universo dei potersi artistici attuali è un universo sotterraneo. Da questo punto di vista l’incendio è solo il prevedibile feticcio che possiamo incasellare nei canoni della storia dell’arte. F for Fake: i veri artisti Elmyr, Oja & Orson Il cinema costituisce un atteggiamento letterario-visuale: si tratta di avere fiducia nella capacità della ragione estetica di poter spiegare la realtà che circonda l’uomo. A definire le regole dell’immagini è il regista, colui che ha anche il significato di “morale visuale”. Rispettare la visuali significa seguire le regole dettate da qualcun’altra e evitare la responsabilità di scegliere, ricordando che le regole vengono stabilite da chi ha il potere di costruire, montare e distribuire le immagini, e che il potere è una prerogativa di chi non si farebbe nessuno scrupolo per ottenerlo. Diverso è considerare il concetto di “vero” e “falso” dal punto di vista mediale. L’enorme differenza tra etica e morale è una delle prime necessità di assunzione di responsabilità. Noi dobbiamo scegliere e ogni scelta porterà la nostra visualità in una direzione o nell’altra. Heinz von Foerster, padre del costruttivismo, ha sempre definito il suo imperativo etico: agisci sempre in modo da aumentare il numero delle tue scelte - non lasciare mai che la tua libertà finisca dove inizia quella dell’altro. In inglese la parola verità si traduce con truth che deriva da un termine sassone che significa fede: una cosa è vera perché ho fiducia in chi parla, perché mi “affido”. A mettere in discussione il valore della verità si aggiungono anche il cinema e la letteratura con un nuovo attacco frontale. Cosa rimane del cineasta astratto, quando rinunciando al falso conforto della cinematicità, ai prestigi della verità, ci si ritrova a confrontarci con la diversità delle menzogne, con il plurale concreto dei segni e delle pratiche significanti? Il cinema di Orson Welles svolge e pone nuovamente il problema dei rapporti reciproci della scrittura artistica, dell’attraversamento dell’arte e dell’esistenza. Imparando a restare nel film la Menzogna perde la sua identità. L’autore impara semplicemente a non credere, non avere fede. Il lettore si fa spectator di diverse illusioni. L’attitudine del cinema è semplice, non si presenta mai in prima persona. Tra i film di Orson Welles interessante è F for Fake, considerato un esempio di saggio cinematografico. Orson Welles nell’incipit del film dichiara che: questo film parla di inganni, di truffe e anche di falsità. Anticipando così ogni pregiudizi da parte dello spettatore, ma aggiunge: quasi tutte le storie celano più o meno qualche menzogna, ma non questa volta, è la mia promessa. Nella prossima ora ciò che ascolterete sarà verità vera, basata su fatti veri. Welles conferma quindi che il suo film sia basato su eventi realmente accaduti. Il regista racchiude gran parte della sua poetica-artistica in questo film-saggio. L’arte, nel film, è rappresentata come errore, adulterazione, ciarlataneria della quale anche Welles è succube e artefice. Egli appare spesso ripreso davanti ad una moviola cinematografica, strumento che crea la slealtà del montaggio. F for Fake potrebbe essere considerato una sorta di autobiografia intellettuale attraverso cui il regista esprime la considerazione che gli provava di se stesso, come uomo e come artista. Il film è un saggio personale sulle interrelazioni tra arte, denaro e ciarlataneria. Welles a fine film rivela il trucco delle sue stregonerie, nel tentativo di mostrare il vero fine del film. Richiama alla memoria la promessa fatta inizialmente sottolineando come per un’ora lui avrebbe raccontato solo il vero, ma quell’ora era ormai passata e negli ultimi diciassette minuti non ha fatto altro che mentire. La verità è che lui ha falsificato la vicenda artistica, cercando di renderla reale. Ciò che lui ha spacciato per vero è l’arte - lo stesso Picasso sosteneva che l’arte fosse una menzogna in grado di far capire la verità. Wanda Wulz sovrappone il suo viso a quello di un gatto. Halbert Bayer da l’illusione in una delle sue fotografie di essersi staccato un pezzo di braccio come fosse parte di un puzzle. Nella storia della contemporaneità, fu nei primi anni ’70/80 con l’affermazione delle teorie di genere che la “riflessione del vedere” divenne uno strumento importante per colore che iniziavano a vagliare le posizioni personali all’interno di un contesto politico e creativo. Gli artisti vedevano le fotografia come un mezzo con cui esprimere la loro equivalenza in termini di razza, genere e sessualità. Le indagini dimostrano che gli occhi potevano svolgere varie funzioni piuttosto che limitarsi a essere una semplice esternazione di un sentimento interiore. Le voci di artisti americani neri, femministe e gay, ebbero un forte impatto su numerosi autori della scena europea. Adrian Piper - Mythic Being; I/You. L'artista documenta con 10 fotografie la sua trasformazione da donna a uomo. Il pronome personale mobile del titolo evidenzia non solo l'indagine del sé ma anche le opinioni inerenti agli stereotipi di genere, di razza e di visione. Robert Mapplethorpe - realizza foto con maestria (in studio) che ebbero un ruolo importante nell'assicurare un posto di primo piano all'occhio omoerotico e gay nella scena artistica di New York. Utilizzare fotografie in cui l'osservatore non è né protagonista della raffigurazione né autore della stessa, può essere un processo molto utile per aiutare lo spettatore a riflettere sul suo modo di sentire e comprendere la realtà che lo circonda. Di fronte ad una rappresentazione ogni soggetto può riconoscerla solamente perché riesce incarnarla interiormente e a viverla a partire dal proprio essere originale. La soggettività è componente imprescindibile dell'inconscio e della comprensione e si realizza nelle percezioni. Lo stesso Aristotele sosteneva che: nulla vi è nella mente che non passi prima attraverso i sensi. Le fotografie rappresentano il medium che attraversi lo sguardi permette di iniziare una riflessione sui rapporti che il sé intrattiene con il mondo circostante. I processi di riconoscimento che si possono avviare sono molteplici, ma tutti partono dalle sensazione prodotte dalle immagini come segnali dell’essere. Barthes lo chiama “punctum” mentre Pirandello “punto vivo” - si tratta di quelle profondità sconosciute di sé che vengono punte dall’immagine, facendo affiorare sensazioni strettamente connesse alla parte più vera e intima del nostro sguardo. Di fronte a questo tipo di immagini è interessante avviate un’azione di mimesis espressiva volta a cogliere l’essenzialità della realtà rappresentata, favorendone la comprensione e la riflessione sulle sensazioni personali che tale pratica accende nell’attore. Partendo dai sentimenti suscitati dall’opera e attraverso l’utilizzo di mimesis impressive, si produce allo stesso tempo una sensazione di piacere nella visione e si alimentano il piacere e le emozioni derivanti da questa pratica. Ognuno deve avere il diritto di manifestare liberamente il proprio vedere e di avere la consapevolezza di ciò che può vedere. 3. L’occhio delle persone ha come normale paragone la macchina fotografica. Tuttavia l’occhio è assai più complicato e delicato. Oltre ai possibili problemi legati alla vista, l’occhio può ingannarci fornendo immagini non perfettamente identiche alla realtà, le illusioni ottiche. Una di queste potrebbe essere legata al fatto che “vedere” il colore bianco non è compito degli occhi: questi percepiscono certe intensità della luce che il linguaggio riunisce sotto il vocabolario “bianco”. Vedere una cosa è sempre interpretarla e scambiarla con un’altra. Le tinte non sono qualcosa che noi definiamo, ma dei nomi e questi nomi servono a comunicare qualcosa. 4. Tutto ciò che, nel linguaggio, esprime, non può essere espresso; questo è il Mistico. Ciò che eccede il mondo non è dicibile, pensabile, perché noi siamo sempre già nel mondo, siamo sempre già nel linguaggio. Esso si mostra nel linguaggio stesso e non può vivere in questa dimensione. Secondo Wittgenstein la dimensione fondamentale è quella della vista. Il resto può giacere nel silenzio. Di ciò di cui non si parla si deve tacere. A questo punto viene spontaneo chiedersi se imparare a esercitare la letteratura artistica significhi anche imparare a vedere, a gettare sulle cose uno sguardo diverso, ovvero esercitare la visione a diventare “puro occhio sul mondo”. 5. Per comprendere la relazione tra gli occhi e il resto del corpo si può pensare al fatto che nel caso dei pesci il sistema nervoso e quello digestivo sono collocati lungo una stessa linea dritta, questo dimostra l’essenza di una precisa connessione. Possiamo quindi dire che gli occhi sono la principale rappresentazione delle condizioni del fegato - molti inconvenienti di quest’organo possono essere rilevati con la semplice osservazione dell’occhio. Se il volto è l’anima del corpo, l’uomo si arresta tremante di fronte all’infinita possibilità di manifestare o nascondere l’essere. Nel volto il movimento della vita si riflette in maniera interiore a differenza del resto del corpo, dove prevale una dinamica più esteriore. Per corredare la natura delle idee è necessario confrontarsi con l’espressività del volto. Se esaminassimo l'ambiente teatrale, performatico, fotografico e video, facendo tappa nello specifico della multimedialità ritrattistica, potremmo notare che la maestria dell'artista dipende essenzialmente dalla quiete e dall'ampiezza del movimento dello sguardo che osserva, cura, solleva, definisce, socializza. 6. Leggendo i ciechi di Bruguel si ha la sensazione che l’autore proceda verso un’interrogazione della visione in modo originario. Già dal titolo si individua il soggetto dell’interrogazione e il suo medium: lo spirito di corrispondenza e l’occhio. L’occhio è l’apertura verso il mondo, nel quale il nuovo lavoro sulla mediali vorrebbe ricollocare il nostro spirito. Questo tentativo e reso possibile dall’arte e in modo particolare dalla convergenza di vecchi e nuovi media. Tale mediazione si sviluppa da una questione precida: il manipolandum che le persone pensano di essere e che sono diventate entrando in un regine di cultura dove non esiste né il vero né il falso in merito a se stessi e alla storia. Attualmente le installazioni e i docu-film sono un’espressione di tale intento e sviluppano l’interessante intreccio tra scienza e arte, laddove quest’ultima ci ricolloca negli spazi dai quali i sofismi della razione ci hanno allontanato. Bisogna comprendere che il corpo operante ed effettuale è un intreccio di visione e movimento. Questo corpo rientra nel mondo visibile, ne fa parte e per questo possiamo indirizzarlo nel visibile. È possibile perché tutto ciò che vedo è principio alla mia portata, segnato sulla mappa dell’io posso. L’enigma di questo doppio intreccio mondo-corpo sta nel fatto che il corpo è insieme vedente e visibile, ma poiché vede e si muove, tiene le cose in cerchio attorno a sé. Si comprende che il corpo è quel medium tra lo spirito e il modo. La visione è pensiero che decifra i segni dati nel corpo. 7. Il paesaggio umano è complesso, è da intendersi come immagine simbolica, come reportage, senza con questo perdere la sua caratteristica fondamentale, necessaria per farsi riconoscere. P. Brueghel il Vecchio dipinse la Parabola dei Ciechi. Essendo un’opera destinata a supporti di fruizione popolare deve andare oltre gli aspetti più descrittivi per arrivare a colpire: il fruitore di immagini vs la parola e le persole vs le immagini. Il cieco e l’artista si trovano in una situazione consimile, appesi al buio e nell’invisibile, alla ricerca di un sostegno che possa fornire loro un’orma o un percorso. Il limite di questo accostamento sta nel fatto che il cieco non può fare altrimenti, mentre l’artista è mosso da un’altro tipo di esigenza che lo spinge ad addentrarsi in un territorio in cui la vista l’abbandona e nel quale deve imparare a orientarsi con altri mezzi. Il mondo del cieco e il mondo dell’artista è lo stesso di quello delle persone comuni, a cambiare sono i modi di accessibilità al mondo, che ci costringe a ripensare in maniera paradossale la metafora della visibilità. Il bello di Brueghel il Vecchio è la Parabola, il suo incorreggibile punto di riferimento della cultura verbo-visiva. La Parabola ha sempre estratto con precisione le minime debolezze dell’isola. In questa ambiguità oscillante tra iconofilia e iconoclastia, fonda ancora le sue fortune mediali, prestandosi sulle le spoglie dei ciechi. L’operatore mediale concentra la sua attenzione sulla caratteristica dell’occhio altrui. Questa relazione tra la Parabola dei ciechi e il mondo visto costituisce la struttura del sensore che non vede. L’ambigua struttura del corpo umano che si è trasferito fra gli schermi, suggerisce che la visione non può essere ritrovata solo come un incontro fra ciò che si fa storia di vita e l’ocularità ricettrice eterogenea. Trasferendo nella sfera visiva ciò che appartiene ad altri campi sensoriali, l’operatore mediale si spinge oltre i dati visuali in senso stretto ed amplia la potenzialità della visione. L’operatore mediale non è la persona che racconta la visione, bensì la condivisione, l’origine del dirlo che fa vedere l’universo di sofferenze gettate nel mondo in cui si costruiscono gli sguardi. L’operatore mediale ritiene che la nostra conoscenza de La Parabola dei Ciechi è l’unico mezzo per andare al cuore delle cose: pensare il composto di anima e corpo senza sciogliersi in sovrapposizioni astratte; è il compito fondamentale dell’installazione mediale. Attraverso l’esperienza del video e della fotografia si enfatizza questo sospendersi della visione sulla soglia del tatto relativo, per conservarsi in apertura all’evento. La trascendenza che abita la nostra immanenza è analoga all’invisibilità complementare alla visibilità, e non può essere esaurita da nessun tentativo panottico, pena la rinuncia della tensione vitale che abita l’osservatore, il curatore e l’artista che si predispone alla sorpresa dell’evento. Un occhio che voglia vedersi come vedente non troverà altro che se stesso. Anche noi , guardando la Parabola, abbiamo bisogno di un’indicazione esterna per capire che non si tratta di noi autoproiettato. Derrida riguardo a questo si pose questo interrogativo: si si tratta di sapere se la vista è un'esperienza del primo tipo, vale a dire che a che fare con ciò che sta di fronte, vedo ciò che è qui davanti a me, oppure se la vista a che fare con l'invisibilità, o con una visibilità che non si pone nell'oggettività o nella soggettività la possibilità essenziale del visibile, non è visibile. Tutto questo ci aiuta a capire come la sfera del sensibile e dell'intelligibile non siano separate. Possiamo fare come la letteratura artistica non appartenga solo a regno del visibile ma condivide in larga misura una cecità altrettanto “matriciale”. La cecità accompagna sia l'inizio della curiatorialità nell'ascesa al di fuori del senso comune, sia la sua fine nella difficoltà di potersi riadattare alla scarsa luminosità della cavità dell’occhio. 8. La multimedialità è una delle sostante principali del nostro immaginario: i suoi frame, i suoi ambienti immersivi e le sue icone condensano e rappresentano i temi della vita sociale e del sentire contemporaneo e conferiscono efficacia visiva ad aspetti fondamentali del dibattito sui media. Da questa osservazione possono essere prese due considerazioni. La prima relativa all’oggetto: l’arte plastica post-anni ’80. The Square si trova a fare i conti con la retorica delle arti visive, con degli argomenti più complessi e difficilmente penetrabili della modernità espositiva, considerando lo stesso museo come l’atteggiamento modernista basato su una illusione semiotica. Ostlund ha scelto di confrontarsi con un mondo e un temperamento della neo-avanguardia diversi dal proprio. Lo stile della neo-avanguardia gli appare infatti opaco. È questa elitaria catastrofe dell’incompreso che colpisce e inquieta il regista. La seconda delle considerazioni è legata alla problematicità del caso The Square, nel contesto storico attuale; evidentemente sia l’analisi nel sistema artistico degli anni ’70 che di quello attuale non può essere risolto addizionando né cercando una relazione empatica e né da quell’uso parassitario dell’affermazione teorica che equivale alla messa in gioco delle prospettive e del pensiero altrui. The Square affiora come un’apparente rottura, una inconciliabile frattura creatasi nel momento stesso in cui l’esperienza artistica abbandona valori consunti e convenzioni decadute. Tutto il cinema di Ostlund è percorso da un particolare tono di irriverenza, in cui la trasgressione della norma sociale si attua attraverso la forza destrutturante della regressione e della nullità. Il punto di riferimento di questa filmici mediale restano i centri del sistema dell’arte. Si può dire che il film ripercorre in flashback un passato dell’arte malinconico e costellato di morte, con una punta di “cattiveria necessaria” verso il mestiere dei curatori e dei registi museali, Ostlund è assai più furbo perché coglie il rapporto psicologico delle due figure del direttore- curatore-narciso e della messa in ridicolo di se stesso. Non sarebbe un film realizzato da una coscienza critica mediale, se non ci fosse una critica emergente e tagliente della società che ritrae. Abbiamo un mondo e un mondo dell'arte che non sa capire se stesso, che è diventato talmente autoreferenziale da parlare solo linguaggi impenetrabili, all'interno di una serie di macchine espositive tutte uguali e conformi allo standard del dada-capitale: musei che espongono se stessi, il proprio vuoto senza la spinta per creare niente. Ciò che The Square porta allo scoperto è che esiste una generazione di curatori e di direttori di musei per la quale l'arte contemporanea è la vita e la vita è il sistema dell'arte contemporanea, puoi passare le ore nei corridoi di un museo, poi quando arriva l'ultima sala puoi infilarti un soprabito nero e andare nei corridoi di un altro museo, ricorrendo altri mucchi di cenere e altri minimalismi. Dov’è la suggestione della cura? 1. Cos’è la curatorialità? Da dove arriva? Questa non arriva da nessuna parte, semplicemente esiste. Il punto è come si usa? Come si gestisce la curatela? Chi sono i curatori? Nella nostra abitudine di dividere le cose abbiamo creato anche l’habitus curatoriale. Da una parte le idee, dall’altra il servizio, l’economia - da una parte il curatore, dall’altra gli account - da una parte i gruppi di potere, dall’altra i centri dei media - da una parte il pubblico dell’arte che confezione la ricezione dei messaggi più attivi, dall’altra parte quello che mi emette, la nazionalizzazione sovrana, lo stato truccato che dell’arte contemporanea non è abituato a saperne. Il conformismo curatoriale imputa una fobia degli intellettuali e dei movimenti artistici alla loro origine borghese: si difendono dalla cultura curatoriale di massa perché mandano in frantumi il loro privilegio curatoriale. Il rappresentante più noto della concezione funzionale dell’élite è probabilmente Karl Mannheim, che negli anni del nazionalismo chiedeva quali fossero le condizioni più idonee per la formazione e la selezione di élite favorevoli alla democratizzazione come fenomeno culturale, e quali rapporti esse dovessero stabilire con le masse. La concezione funzionale dell’élite può dare origine a tipologie molto differenti, a seconda del ramo di attività e du curatorialità. Gli anni ’60 hanno visto affermarsi il concetto di élite politico-curatoriale (élite-dominante). Millis definendo l’élite, in termini istituzionali, definiva indirettamente anche il ruolo del nuovo manager: l’élite curatoriale - costituita da coloro che occupa le posizioni di vertice nelle grandi imprese, nelle forze armate, nel governo, nell’amministrazione e nell’organizzazione di enti e fondazioni che sdoganano la mediazione tra mercato e istituzione. La percezione della curatorialità è piramidale. In alto i curatori che usano l'istituzione liberale e assetata di potere, più in basso i merchants che usano i denaro, i clienti che usano l’intelligenza e infine il consumatore che fa finta di utilizzare l’istinto cercando di mascherare le fobie. In sintesi la società dell'ideazione, quella della produzione curatoriale, è dominata da fobie neoliberali e pianificatrice. La curatorialità è dei tutori fobici, è di loro spettanza, sembra che sia il loro diritto. Cos’è un’ideazione? Attività di formazione, ordinamento e connessione delle idee. In arte il termine è impiegato per indicare il normale svolgimento del pensiero e della realizzazione di una mostra in opposizione al suo alterarsi in caso di disturbo. L’associazionismo ritiene che l'ideazione sia il risultato della combinazione di elementi di ordine sensoriale che si organizzano sulla base di determinati leggi associative, mentre il cognitivismo ritiene che l'ideazione non sia guidata dalle associazioni, ma dalla comprensione logica di un ex-posizione. L'aspetto più negativo della curatorialità artistica e letteraria è legata alla confusione che continuamente si compie tra i concetti di gusto, di genio, di gender e di cura. Da tutto questo né deriva che la curatorialità non ha più la capacità e la forza di esprimere un giudizio chiaro su un gruppo di opere che ha scelto. 2. Cos’è la cura? Il termine si riferisce all'insieme dei mezzi terapeutici di passaggio da crisi dell’arte a uno studio propositivo. Cura è sinonimo di trattamento curatoriale, che nel caso delle crisi artistiche, trova la sua espressione nelle varie forme di “ecologia espositiva”. La cura artistica non può prescindere da quella relazione che viene evidenziata tra intervento estetico e intervento etico-politico. M. Foucault esclude che possa esserci una psicoterapia in grado di operare come una nel senso di guarigione estetica, perché è nella natura di ogni arte e di ogni esistenza artistica incontrare degli ostacoli che danno un’opportunità di riflessione o per aggiustare forme improprie di adattamento dell’Io. (esempio Leonora Carrington). Questa concezione della cura ha delle analogie con la nozione heideggeriana di cura. Attraverso la ricostruzione dei diversi momenti storici in cui la cura entra in crisi e dei momenti politici che e evidenziano le contraddizioni, Nancy Fraser propone la sua visione di State- manegement capitalism. Nella società del lavoro e della creatività, il curatoriale sta diventando raro come l’aria respirabile nella città. Eppure si esige da tutti di curare, se vogliono vivere. Ogni giorno vengono lanciate nuove proposte su come ripotrebbe ritornare al curatoriale pieno nel campo dell’arte e del suo mercato. Nessuna di queste però ha mai funzionato. Niente riesce a invertire questa tendenza. La verità è che la crisi è stata rimandata più volte grazie all’espansione assoluta della produzione. Ma la crisi del meccanismo di valorizzazione del capitale culturale è diventata palese dopo il 1970, ovvero in pieno periodo storco-concettuale. Sono proprio gli eredi di M. Duchamp ad aver portato l’ideologia del ready-made a moneta di scambio ideologicamente liberista, come adesso è palese che l’arte relazionale è mossa dall’universo politico dello stesso state-manegement capitalism. La cura costituisce sempre un'astrazione che isola un aspetto della vita umana dal suo contesto, opponendo l'attività produttive alla riproduzione domestica, alla cultura, al gioco, ai riti. Non può opporre la buona cura come impegno concreto alla cura come cattivo lavoro astratto, perché non possono che esistere, come le due facce della stessa cura. La produzione di valori curatoriali d'uso possibili può essere altrettanto tautologica quanto quella di cure di scambio. Le storie della Carrington e quella della Federici, per quanto siano scisse tra di loro e non centro niente l'una con l'altra, sono entrambe vissute da gente che non si definisce curatoriale, ma lo è per davvero. Il progetto di lavoro della Biennale del 2022 tende a dimostrare che ogni azione curatoriale, unica, originale, porta risultati impensabili alla macchina del capitale, anche se al primo istante non ce ne rendiamo conto. La Carrington è colei che usa la fantasia, esprime liberamente i suoi sentimenti che poi il gallerista venderà a qualcuno. Curatore e artista è colui che usa la fantasia finalizzata. La Federici è una figura centrale nel movimento globale Non Una di Meno. Il suo femminismo non c’entra niente con la rivoluzione borghese della Carrington. Il suo femminismo però pone il valore della vita umana al centro. Curatorialità è un modo di vedere le cose. È l’opposto di abitudinarietà, una condanna all’innovazione costante che potrebbe provenire dalla rivolta borghese della Carrington piuttosto che dallo spirito domestico delle donne dell’America Latina. I curatori devono essere gli account executive, gli stategic planare, gli esperti di marketing, le persone e le femministe che lavorano dentro all’ambito della comunicazione. La curatorialità, secondo il piano della direzione artistica della Biennale, non è solo una tecnica da applicare a qualche lavoro specifico. È la vita stessa di ogni strategia anti-comune. Punto decisivo: l’uscita dalla società della cura coatta non è un’utopia. Non si tratta di dire no al lavoro. È la stessa società culturale che sta abbandonando l’arte e la cultura. Il capitale non ha più bisogno degli artisti, degli intellettuali e dei creativi e mette fuori corso interi reparti creativi, ma contemporaneamente simula il veritativo dell’arte e della cultura. La demolizione dell’industria culturale è già avvenuta in bona parte del mondo ed è in atto nel resto. Bisogna reintegrare le sfere separate della vita, ritornare a una riproduzione complessiva della società, in cui la produzione economica non è un fattore a sé, alla quale vengono subordinate tutte le altre condizioni. Un tale superamento del lavoro presuppone un cambiamento dei paradigmi di civiltà. Un cambiamento da cui dipende giorno per giorno il destino di una parte dell’umanità. Le due dimensioni della sensibilità 1. Fotografare per esporsi, esporsi per fotografare o per essere fotografati. Forse il destino del fotografo è nella possibilità di questa tautologia il fare immagine è uno dei dati essenziali della nostra civiltà. Fotografi, artisti, attori… sono i veri padroni autonomi e fondatori dell’incredibile rivoluzione mediale a cui noi assistiamo o qualche volta partecipiamo. Il fotografare è anche più dell’essere, è staticità, proiezione. Per essere bisogna scattare, bisogna esistere insieme all’essenza dello scatto. Si fotografa per essere fotografati, si esiste per essere vagamente in una foto. Ognuno è così convinto di ciò che vede, da considerare sempre vero il Il liberalismo ci dice che è necessario vedere la scienza in un modo nuovo, e che la letteratura dovrebbe capire che il suo futuro è nei laboratori. Bisognerebbe quindi scrivere nuove pagine di letteratura che integrino scena e sapere umanistico, per fabbricare mondi. Questo costruire mondi si lega molto anche all’idea di tecnologia e di progresso. Il liberalismo sembrerebbe quasi vicino ad una fusione della tecnologia della distruzione, della psicologia e del controllo degli uomini - manipolazione degli uomini per scopi incompatibili alla loro libertà. Queste tecnologie però non devono farci deviare nell’oscurantismo inducendoci a parlare dell’inferno della tecnologia e a desiderare di ritornare ai vecchi tempi, in quanto ogni tempo ha avuto le sue tecnologie di distruzione e di seduzione delle anime. Un esempio di tecnologia con caratteristiche positive è quella della nanotecnologia: è in grado di intervenire in situazioni di salute e di alleggerimento del peso di lavoro. Se la nanotecnologia tende a perfezionare un qualsiasi sistema di fabbricazione, questo effetto bottom-up in arte non ci deve riportare all’iperrealismo, ma un'immagine nano-tecnologica che inevitabilmente perfeziona i dettagli della fotografia, nel senso che trasferisce la fotografia nell'universo delle tecnologie di controllo sistemico totale. L’iper-liberismo è diventato attraente solo attraverso una mediazione, ovvero lo schermo come prolungamento dello sguardo umano. I social media sono a oggi il primo mezzo di comunicazione di massa, dove chiunque può far sentire la propria voce iper-liberale, tuttavia molti finiscono a perdersi in essi. 2. Se si accetta il significato debole del termine ideologia, il liberismo è quell'insieme di idee e valori riguardanti la realizzazione teorico pratica della libertà politica all'interno della società a capitalismo maturo e a democrazia rappresentativa. Il prologo nel cielo del liberalismo si può far risalire alla crisi del the Christian Commonwealth - fondata sul duplice potere del papato e dell’impero. Luigi divina dei due poteri comportava una concezione autoritaria e gerarchica della società medievale. La decadenza però di questa società inizia con la formazione dei liberi comuni, nei quali i cittadini godono di diritti che costituiscono un'anticipazione del liberalismo. L'umanesimo assume suo fondamento l'uomo, e la riforma protestante che introduce la libertà di credere secondo coscienza, offrono altri importanti contributi alla genesi del liberalismo e per certi versi al liberismo. Dunque il liberalismo settecentesco di stampo individualistico si fonda su principi che già consentono l'elaborazione di una coerente dottrina funzionale allo sviluppo e alla convalida del capitale. Ogni singolo è titolare di diritti e originali e irrinunciabili; in seconda luogo si respinge la concezione assolutistica del potere sovrano e viene affermata l'idea di uno Stato basato sulla divisione dei poteri, che assicurano ogni cittadino il godimento di diritti irrinunciabili. Ogni persona stabilisce un proprio confronto con il divino e rifiuta l'assolutismo, l'autorità e la gerarchia dell'istituzione ecclesiastica. Sono questi i fondamenti teorici del liberalismo. Il liberalismo settecentesco si fonda però sull'idea che l'interesse privato e l'interesse pubblico convergano. Figuro come Rousseau, Burke e Hegel mettono in crisi questo postulato fino a capovolgerlo. Dopo l'unificazione dell'Europa il liberalismo non solo non ebbe maggiori consensi, ma non seppe evitare che movimenti, come quello conservatore e quello progressista, si diffondessero e rafforzassero il loro potere tra le masse. Ieri come oggi la difficoltà da parte del liberalismo e di adattarsi all'urgenza dei cittadini - ciò che ha permesso ai movimenti più sensibili di assumere la guida degli Stati contemporanei. 3. Non c'è mento politico, partito, sistema economico che non ricorre al potere seduttivo dell'iconocrazia e della tecnocrazia, per consolidare il proprio dominio. Negli anni ’90 il sistema tecnocratico prometteva di poter lavorare meno e avere più tempo libero. P. Bourdieu chiarisce il legame tra valorizzazione e profitto nell'ambito del consumo culturale, ma anche come le varie dimensioni della cultura legittima vengono prodotte da differenti occasioni di poter valorizzare la competenza culturale. Vengono così considerate le pratiche di investimento come parte della generale strategia di riproduzione e di avanzamento di classe. Si comincia così a capire che il capitale simbolico è tale fin quando resta proprietà di pochi. Va comunque tenuto presente che la ricerca di proprietà è esclusive e tipica soltanto della borghesia, il cui gusto è orientato propriamente al senso di distinzione. Bourdieu sembra accettare positivamente il fatto che l'artista tedesco, Hans Haacke abbia lavorato alla produzione di opere in grado di inquietare la natura stessa dell'arte e di mettere in discussione i nessi che legano la produzione e l'esposizione dell'opera al contesto politico e al tessuto socio economico. Haacke ha assecondato la necessità di guardare in maniera critica l'istituzione artistica, per meglio comprendere i meccanismi e svelarne il funzionamento. questa esigenza da parte degli artisti a preso il nome di Institutional Critique, e ha definito una pratica che interroga, commenta e problematizza un discorso attorno le diverse istituzioni artistiche. La partita dell’Institutional Critique è definita in generale dal suo esplicito oggetto ovvero l'istituzione, che si riferisce in primo luogo a spazi creati e organizzati per presentare l'arte stessa. L’organizzazione si impegnò nell'analisi critica delle strutture e della logica dei musei e delle gallerie d'arte, ma espose anche il campo funzionale del sistema. Webber suggerisce che l'economia gioca in un certo senso, nella società moderna, il ruolo che giocava il sacro ordinamento burocratico nelle società tradizionali come prodotto di indifferenza azione sociale. I nemici più pericolosi della democrazia sono i membri di una nuova classe dominante. Per raggiungere il loro scopo cerca di assicurarsi la proprietà e il controllo dei media. Il popolo è ingenuo e soprattutto si può ingannare facilmente. La forma uniforme 1. Im-mascherare la logica fittizia del mondo costituisce un passaggio chiave per poter eludere i pericoli di cui tutti sono medesimi portatori. Il controllo del “capo su capo” nei riguardi della pubblica sicurezza, si legittima in nome di una nuova incostituzionalità. Il fascismo degli altri secoli era molto più ipocrita, quest’ultimo è invece vestito di incompetenza, di sopruso, di macchina del potere per il potere. Basta affermare il piano repressivo. La motivazione è quella di adottare misure autorizzare scritte male - come norme scritte male - per usare la scrittura come una violenza contro la violenza. 2. Affermazione di Carlo Emilio Gadda (pag. 313) 3. Il rapporto del potere con la macchina è uno dei temi preferiti della letteratura di anticipazione. La macchina si presenta sotto un aspetto ambivalente: incide sula condizione del lavoro astratto ma implica il distacco dell’uomo dall’oggetto di produzione. Marcia su Roma è il titolo realizzato da Mark Cousins. Il film prende spunto dalla rilettura filologica di Paradisi, come documento ufficiale del partito fascista, sulle giornate che portarono Benito Mussolini alla guida del suo primo governo. Kyo uno dei personaggi del film è una donna della classe operaia che incarna il sentimento della gente comune, dapprima esaltata sostenitrice del regime e poi disillusa e critica. Melloni e i Fascisti di Marte 2 ha l’aria di essere un film fantascientifico ma rappresenta invece un bagno di realtà. Il protagonista questa storia è un politico in pensione. Questo, ormai rimasto vedovo, dovrebbe lavorare a un progetto segreto di ricerca di segnali di comando extraterrestri pre governo in carica, ma ormai vicino al fallimento è bloccato il lutto come in una dimensione politica estinta nel Codice Rocco. 4. Dovrei messaggio a Benjamin propone un'analisi della violenza nel suo rapporto con il diritto e la giustizia, inquadrando la relazione tra violenza e potere dello Stato. Il culto della violenza si colloca nell'ambito della legittimità dei mezzi. Si può pensare la violenza come uno strumento virtuosamente accettabile per arrivare ai fini ritenuti giusti. La separazione tra la violenza e la legittimità non dipende dal valore degli scopi, ma dall'interesse del diritto a monopolizzare la violenza. Di fronte al pericolo della violenza del singolo Benjamin afferma che è interesse del diritto stesso concentrare il monopolio della violenza nelle mani dello Stato. Il trust della violenza è empirico per il mantenimento dell'ordine sociale, per salvaguardare il diritto stesso. Il punto cruciale sta nella regolarizzazione dell'uso della violenza da parte del potere. Nel caso dello Stato la violenza non è impegnata a fini naturali, ma come garanzia del diritto dello Stato a esercitare violenza. Secondo Benjamin qualsiasi contratto giuridico conferisce a una delle parti il diritto di ricorrere alla violenza, in caso della violazione dello stesso. In un altro saggio Benjamin presenta rovescio della medaglia della guerra imperialista fornendo qualche utile indicazione in merito al nostro concetto di una pratica attivistica pura, che riesce a scrollarsi di dosso il rapporto con l'arte, ed è semmai da utilizzarsi come arma politica di contro alla estetizzazione della vita politica praticata del fascismo. Un attivismo come questo non può che muovere proprio da quella povertà di esperienza che Benjamin rivendica non semplicemente come il portato di una deprivazione e cioè di una esperienza della povertà, ma come nuova dimostrazione creativa e costruttiva di impoverimento. Essere poveri mette nelle condizioni di dover rinunciare a beni e servizi che spesso ci danno per scontati. Dalla condizione di povertà deriva infatti una nuova condizione di esonero dall'esperienza e cioè da una eredità umana non più utilizzabile per vivere e percepita solo come fardello. La povertà se riesce a ritagliarsi l'ambiente in cui poter risaltare, può farsi portatrice di una inedita effettività espressiva che può dimostrare la sua valenza positiva nel saper costruire a partire dal poco un poco che non riguarda la criticismo poverista e neanche l'operativismo culturale. Giustificazioni precarie Chi è e che cos'è oggi il motore dell'opera d'arte? Come facciamo a definire quell'oggetto transitivo un oggetto macchinico, tra estetica della politica e politica estetica? Cos'è un'opera d’arte? Non è facile dare una forma il più possibile razionale all'universo artistico contemporaneo, in cui la materia più diffusa dell'arte è il gioco dell'inganno, la menzogna.spesso temiamo che descrivendo l'enigma in cui si trovano le arti contemporanee, dobbiamo ricorrere proprio a quelle mediazioni che opacizzano la chiarezza più che svelarla. Lotman si impegna a scoprire ciò che si cela fra comprensione e incomprensione dell’arte. Possiamo restare osservatori, al di fuori di qualsiasi dogma ideologico; o possiamo scegliere di gettarci nel turbinio dell'arte moderna e farci trasportare dai limiti e dalle infinitudini della sua forma. Infine, possiamo anche scegliere di gettarci nel dialogo, ma trasformati in soggetti autonomi e autovalorizzati, dove dobbiamo essere pronti a risalire la complessità del conflitto per portare a termine i suoi fini. Il Governo del Mondo è quindi rimesso nella Provvidenza, la quale rivolge il suo soffio onnipotente dove e come vuole. Per De Maistre l’opera politica della provvidenza è tanto più riuscita quanto più questa aderisce in tutto e per tutto al pessimismo strategico e conservativo - funzionale alla destra. L’orrore e il cinismo della nuova destra paralizza, ammutolisce, blocca o fa fuggire. Dal panico non nasce il pensiero razionale. Una buona politica dovrebbe nascere dal bisogno e dalla necessità, e dovrebbe saper vincere le sue paure e le paure che vuole infondere nel altri per controllarli. Il motivo per cui alcuni dicono che la politica attuale nasce dall’entusiasmo per l’ordine, è perché cercano un elemento emotivo unitario che stia alla base di tutti i processi di pianificazione. Il terrore manca del carattere di universalità: non vale in tutti i casi in cui la ricerca politica del popolo si attiva. Secondo De Maistre la rivoluzione francese e poi Napoleone hanno reso l’umanità inferma e senza fede. Per restaurare le antiche forme di vita sociale occorre un atto straordinario e apocalittico della provvidenza. Si deve avere quindi una fede cieca verso la religione e verso la politica. È dio che fa i potenti della terra e dispone della storia. Quando l’uomo si illude di agire da solo dimentica il suo creatore. L’uomo non ha bisogno di altro se non delle credenze. Bisogna quindi che ci sia una religione dello stato come una politica dello stato - occorre che i dogmi di queste due siano universali e forti in grado di reprimere la ragione individuale. Le istituzioni, le leggi, i diritti… hanno origine divina. L’uomo è uno strumento nelle mani della Provvidenza. Il discorso politico maistriano è mistico, questo lo rende radicale e pessimistico, ma anche il più votato a contaminarsi del campo del post-modernismo. Un altro ragionamento di De Maistre vede la guerra come divina per le sue conseguenze di origine sovrannaturale. De Maistre costruisce un vero e proprio sistema autoritario, dove la fede costringe l’uomo a contemplare con rassegnazione l’inefficienza delle proprie azioni. Dispositivi di controllo emergenti? La vittoria elettorale delle destre ha suscitato diversi commenti dalla stampa internazionale. Le nuove minacce di fascismo e dispositivi autoritari hanno cambiato le persone e i loro modi di pensare. Criticare le diverse politiche di Draghi, della Meloni, delle associazioni a delinquere… è impossibile senza criticare le nuove forme di neo-capitalismo, assimilato dal programma delle destre occidentali. Una critica della comunicazione è impossibile senza dare tutte le teorie. L’impresa del neo-fascismo è un dispositivo in atto, che ci permette di vedere come l’autorità della politica sia diventata la fabbrica della propaganda nera. l’Italia è il nuovo laboratorio delle destre oltranziste, dove si sperimentano nuove forme di governo. Tutti i commenti sulla lobby nera non fanno che dimostrare l’impotenza della democrazia e della sua deriva ideologica, invece che democratica. Negli anni ’60/70 le trame nere erano a un passo dal fascismo becero e rosso o verso un pan- tradizionalismo senza svolta organica, oggi siamo tendenti all’autoritarismo. Per noi oggi, l’occidente potrebbe significare un nuovo laboratorio di sperimentazione del rinnovamento del Capitale, che una restrizione di spazio politico. È molto difficile che i vari fenomeni sociali e politici sotto il nome del fascismo corrispondano fedelmente a una definizione unitaria, anzi sono tra loro molto diversificati. Nella storia sono stati proposti sei modelli: - Fascismo come corruzione - Fascismo come effetto sicuro della crescita storica di alcuni paesi - Fascismo come passassimo di classe - valido per quelli precedenti alla seconda guerra mondiale - Fascismo come fenomeno dispotico e confuso dello stalinismo - Fascismo come dottrina della crisi del mondo occidentale contemporaneo - Fascismo come carattere singolare di chi ne è attratto, a causa di repressioni sessuali e desideri di ordine, disciplina e eterodirezione Il fascismo italiano fu una reazione violenta la movimento di classe nelle campagne e nelle fabbriche. Il possibilismo ideologico è una caratteristica del fascismo. Questo fattore è unito con la subordinazione delle idee all’azione - il fascismo di presenta pieno di certezze perché si proforme come tradizione di uno spirito di vita e d’azione. Il luogo sociale di massa dei fascismi è sempre stato nelle classi medie e nelle élite giovanili. Se si osserva la realtà ci si rende conto che i risultati di questa spensierata società dei consumi sono i risultati di una dittatura, di un fascismo. Questo odio però si dirige in certi casi in buona fede e in altri in perfetta malafede, ovvero sui fascisti archeologi invece che sul potere reale. Meloni ha vinto le elezioni non perché proprietaria di una nuova formula magico-politica, ma perché presenta in maniera emblematica la figura dell’imprenditrice populistica. Il suo successo orale non è dovuto a una manipolazione dei media, ma una complicità reale profonda con un nuovo modo di produzione della narcosi populistica. Il fatto che questo nuovo populismo fascista utilizzi la provocazione come modalità strategica di comando e di organizzazione deve solo farci capire che si è entrati in un altro paradigma, il quale il rapporto tra economico, sociale e politico è sconvolto. Axel Kuhn sosteneva che se una società moderna sia più o meno minacciata dal fascismo dipende dal modo in cui essa ha percorso la fase della rivoluzione industriale. Il fascismo nasce nella società completamente sviluppata che ha percorso una determinata strada verso l'epoca moderna. Il fascismo quindi non appartiene al passato: è un pericolo per la società moderna. ——————————————————————————————————————————— Come si fa a vedere? Per vedere bisogna ri-acquistare la consapevolezza e la capacità critica, non bisogna affidarsi al relativismo che frena la società. Bisogna acquistare una sorta di cultura dello scetticismo, di mettere in dubbio. Lo scetticismo è stato staccato dal … critico - si traduce la parola scetticismo da una parola greca che significa trascendete (terzo occhio), mettersi in collegamento con il trascendente, per questo bisogno prendere consapevolezza. Per acquisire consapevolezza dovremmo metterci in contatto con il terzo occhio , l’occhio della mente che è arricchito dal dubbio e dalle certezze che vendono dall’esperienza.
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