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Riassunto del libro "Imperium" di G. Traina, Sintesi del corso di Storia Romana

Riassunto sintetico ma completo del libro "Imperium" di Giusto Traina"

Tipologia: Sintesi del corso

2023/2024

Caricato il 11/04/2024

cassandra-nefri
cassandra-nefri 🇮🇹

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Scarica Riassunto del libro "Imperium" di G. Traina e più Sintesi del corso in PDF di Storia Romana solo su Docsity! I. L’impero dei romani e la sua espansione In latino classico, il senso originario del termine “imperium” è “comando, ordine”: il termine deriva dal verbo “imperare”, che originariamente significava “prendere delle misure” e che in età storica è passato a indicare “comandare da padrone” nella sfera privata, riferendosi all’autorità del pater familias nei riguardi dei figli e degli schiavi “esercitare un potere sovrano e prendere ogni misura utile per la cosa pubblica” nella sfera pubblica “dare ordini ai soldati” nella sfera militare. In età repubblicana imperatores erano sia i magistrati superiori (consoli e pretori) sia i promagistrati (ex consoli ed ex pretori) a cui veniva assegnata una provincia. Sempre in età repubblicana a un certo punto imperator divenne un titolo onorifico che i soldati attribuivano per acclamazione al comandante vittorioso, ma anche un appellativo di Giove, padre degli dèi. L’imperium diventa poi la prerogativa del popolo romano di governare il mondo e i suoi popoli, trattando i sottomessi con clemenza e sconfiggendo in guerra chi sottomettersi non vuole, come fa dire Virgilio a Giove in un celebre passo dell’Eneide. Nel 45 a.C. il senato concesse a Giulio Cesare la prerogativa di utilizzare imperator come praenomen, privilegio poi toccato anche al figlio adottivo Ottaviano e ai suoi successori. Ottaviano divenne imperator Caesar il 16 gennaio del 27 a.C., data in cui ricevette dal Senato anche il cognomen Augustus, che significa “degno di lode, venerabile”: una data così importante che indica ancora oggi convenzionalmente il passaggio da repubblica a impero. L’imperium, tuttavia, esisteva almeno dal II secolo a.C., quando si affermò quello che gli storici chiamano “imperialismo romano”, ossia il processo di espansione della potenza romana nel mar Mediterraneo: intorno alla metà proprio del II secolo a.C. lo storico greco Polibio si interrogò su come i Romani fossero riusciti a conquistare quasi tutto il mondo abitato (oikoumene), unificandolo e rendendone unitaria la storia, e analizzò il ruolo dei Romani nella translatio imperii, ossia in quella convinzione tipica dell’età antica che teorizzava l’avvicendarsi degli eventi dagli Assiri in poi in una sorta di staffetta dove l’imperium passava da un popolo all’altro. Per Polibio a detenerlo sono stati in quattro: prima i persiani di Ciro il Grande, che però si trovarono in difficoltà quando si avventurarono oltre il continente asiatico; poi Sparta, che sconfisse Atene nella Guerra del Peloponneso ma la cui egemonia durò solo dieci anni; poi i macedoni di Alessandro Magno, che si erano espansi in Asia ma che non osarono avventurarsi in Occidente: infine i Romani, che invece si erano espansi in tre continenti (Europa, Asia, Africa) ed erano riusciti a sintetizzare le tre diverse forme di governo: monarchia, oligarchia e democrazia. Come era potuto succedere? Virgilio dava molta importanza al potere di Giove; lo storico Tito Livio, invece, sosteneva che fosse merito della combinazione tra “virtus” (il valore militare) e “fortuna” (il caso). Della stessa opinione era lo storico greco Plutarco, che diceva che la potenza romana era riuscita a conciliare queste due entità solitamente in contrasto. I moderni spesso non sono riusciti a capacitarsi del fatto che i Romani attribuissero tutto questo merito alla Fortuna, che tuttavia era per loro una dea molto importante che a Roma stessa aveva ben tre templi dedicati. La Fortuna coronava i disegni audaci dei Romani: non a caso, quando Cesare passò il Rubicone, pronunciò la celebre frase “alea iacta est<o>” (“il dado sia gettato”) con evidente riferimento al gioco d’azzardo, pratica tra l’altro per cui molti imperatori ebbero una passione. Fra questi c’era Claudio, che all’alea aveva dedicato addirittura un trattato, forse per giustificare anche davanti ai moralisti la propria “scandalosa” passione. È proprio nella sua epoca, tra l’altro, che l’autore greco Onesandro, nel suo trattato militare indirizzato a Quinto Veranio, scrive che ad alcuni soldati di un esercito debba essere consentito correre alcuni pericoli per ambizione. Per quanto riguarda le modalità di conservazione del potere, lo scrittore greco Strabone di Amasea spiega che con le loro successive conquiste i romani si sono impadroniti di un territorio considerevole, che amministrano direttamente o tramite sovrani da loro stessi nominati. Per quanto poi riguarda le zone occupate da barbari e nomadi, è più che sufficiente limitarsi a sorvegliare i movimenti di queste popolazioni, non occorre sottometterle, perché la loro conquista non sarebbe di alcuna utilità. L’impero romano non si limitava ai confini delle province, ma si estendeva anche ai regni confinanti, i cui re erano stati spesso imposti da Roma, così come i grandi sacerdoti in alcuni santuari dell’Asia Minore o del Medio Oriente. Ci sono poi i cosiddetti dinasti, capi non abbastanza carismatici per diventare re, e le città greche, cui era stato concesso un particolare privilegio di “libertà” (ovviamente controllata). I romani non esageravano quando facevano coincidere il mondo conosciuto con il territorio controllato dal popolo romano e dal suo imperator. C’erano tante comunità in cui i cittadini romani condividevano lo spazio con sudditi senza questo privilegio: solo nel 212 d.C. Caracalla darà a tutti gli abitanti dell’Impero la cittadinanza romana. Secondo lo storico latino Tacito, questo “corpo enorme” doveva necessariamente essere governato da un principe. Com’è noto, la massima espansione dell’impero fu raggiunta sotto l’imperatore Traiano, che annesse Dacia, Mesopotamia, Armenia e Arabia del Nord. Il processo di espansione in realtà fu annullato almeno un anno prima del 117 d.C.: i Parti riconquistarono presto l’Armenia e Traiano prima dovette rinunciare a trasformare tutta la Mesopotamia in una provincia romana, accontentandosi di nominare un re amico, e poi ritirarsi del tutto fino al fallito assedio di Hatra. L’antichista Mary Sheldon nota che, nonostante la guerra di Traiano e l’intervento degli Stati Uniti in Iraq siano spesso assimilati, l’unica cosa che hanno in comune è il non aver saputo pianificare bene la pace dopo la
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