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Riassunto del libro "Introduzione all'archeologia" di R. B. Bandinelli., Sintesi del corso di Archeologia

Riassunto completo di tutti e sette i capitoli, compresa la prefazione. Esame con la prof.ssa Facchini per il corso di Beni Culturali.

Tipologia: Sintesi del corso

2017/2018

Caricato il 03/05/2018

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Scarica Riassunto del libro "Introduzione all'archeologia" di R. B. Bandinelli. e più Sintesi del corso in PDF di Archeologia solo su Docsity! PREFAZIONE L’ARCHEOLOGIA COME SCIENZA STORICA L’archeologia ha subìto negli ultimi 50 anni trasformazioni profonde nel suo metodo e scopo: il suo fine non è più la contemplazione della vita antica. La parola “archaiologhia” la troviamo negli autori antichi col senso suo letterale di discorso, indagine sulle cose antiche e quindi delle età che ci hanno preceduto. Possiamo citare come esempio l’opera del grande storico Tucidide, detta appunto “Archaiologhia”, in cui chiari elementi archeologici vengono usati a supporto di una tesi storica. Ma questo metodo si frantumò quando il termine archeologia si applicò allo studio delle antichità in sé e per se stesse, avulse dal contesto storico che le aveva prodotte, abbassandole a mero oggetto di curiosità e limitando il riferimento al mondo greco e romano, cioè a quella che noi chiamiamo antichità classica. Questa ricerca priva di metodo degenerò nelle dispute accademiche in Europa e in Italia. Contro tale archeologia si espresse l’opera di Winckelmann, ovvero “Storia delle arti del disegno presso gli antichi” del 1764, che doveva costituire l’atto di nascita della moderna archeologia. Il suo intento era quello di passare dall’erudizione fine a se stessa e mera curiosità accademica e letteraria ad una ricerca cronologica delle varie fasi dell’arte e della ricerca di supposte leggi che permettessero di raggiungere la bellezza assoluta dell’arte. Si introdussero così due esigenze di ricerca: 1. STORICISTICA; 2. DI DEFINIZIONE ESTETICA. Prevalse la seconda, facendo avanzare lo studio dell’arte antica lungo un solco di accademica incomprensione verso tutto ciò che non corrispondeva ai canoni del neoclassicismo. Tanta fu l’autorità di quei precetti da non farli mutare nemmeno quando fu chiaro che la scultura antica, dalla quale essi erano stati desunti e in base alla quale erano stati formulati, non era vera scultura greca, come si credeva, ma era costituita dalle copie di quelle opere che la tarda cultura ellenistica aveva ritenuto essere degne di riproduzione. Avvenne perciò che si continuò a studiare l’arte greca sulle copie create per i collezionisti dell’antica Roma. L’archeologia venne intesa essenzialmente quale storia dell’arte greca basata sulle fonti letterarie, quindi filologica, mentre lo scavo archeologico era inteso soprattutto quale recupero di pezzi da collezione. Questa archeologia di derivazione winckelmanniana fu posta in crisi e superata da due fattori: 1. STORICISMO: lo storicismo fece la sua comparsa negli scritti del massimo rappresentante della scuola viennese, ALOIS RIEGL. Egli si oppone all’opinione di altri studiosi che considerano decadente l’arte successiva all’età degli imperatori Antonini e dimostrò che essa andasse considerata, invece, quale espressione di un diverso “gusto”, che doveva essere valutata per sé e non per pregiudizio estetico winckelmanniano. Tuttavia, il linguaggio critico di RIEGL apparve così insolito agli archeologi winckelmanniani che il loro massimo rappresentante, ADOLF FURTWAENGLER, confessava a un suo biografo di aver letto tre volte il libro del RIEGL e di non averci capito nulla. Ci vollero infatti due generazioni per comprendere bene l’impostazione idealistica di RIEGL. Non si trattava di una questione di gusto; per comprendere ciò che era accaduto occorreva approfondire l’esame di tutta un’epoca di trapasso. Fu proprio attraverso la storia dell’arte che ebbe inizio il ripensamento di tutto il periodo storico tardo-antico, che oggi è al centro delle esperienze degli storici. 2. ACCRESCIUTA IMPORTANZA DELLO SCAVO: l’archeologia deve agli studi di preistoria e protostoria di aver rinnovato e approfondito il proprio metodo e finalità. Inizialmente, gli archeologi classici (legati alla filologia) ironizzavano sull’attività degli studiosi di preistoria chiamandola “scienza degli analfabeti”, perché priva di fonti scritte. Tuttavia, sono stati proprio questi “analfabeti” a rinnovare la ricerca archeologica. Si è andato perfezionando lo scavo stratigrafico con l’osservazione delle varie successioni. Accanto a questa rigorosa tecnica di scavo si sono associate tecniche scientifiche: tra queste l’esplorazione mediante fotografia aerea. Antonina Messina. Riassunto del libro “Introduzione all’archeologia” di Ranuccio Bianchi Bandinelli. Esame di Archeologia e Storia dell’Arte Greca e Romana, prof.ssa G.M. Facchini. Università di Verona. 1 L’archeologia si è maturata così a vera e propria scienza storica: anziché sulle fonti scritte, essa si basa sui dati materiali che una civiltà produce. Inoltre, a differenza delle fonti letterarie, il dato archeologico è imparziale, ma bisogna saperlo interpretare. Fra storici dell’antichità e archeologi gli uni non possono fare a meno degli altri: il dato archeologico va confrontato col documento storico e il dato storico, a sua volta, col documento archeologico. Antonina Messina. Riassunto del libro “Introduzione all’archeologia” di Ranuccio Bianchi Bandinelli. Esame di Archeologia e Storia dell’Arte Greca e Romana, prof.ssa G.M. Facchini. Università di Verona. 2 III. L’ARCHEOLOGIA FILOLOGICA La filologia sorse nel periodo del tardo ellenismo; si affermò particolarmente in Germania e si divise in due rami: 1. GRAMMATICA COMPARATA; 2. CRITICA DEI TESTI. Fu il secondo a indirizzare l’archeologia con lo scopo di ricostruire la storia della scultura greca. Dopo il Winckelmann prende avvio, dunque, il periodo filologico. Proprio questa scuola scoprì che il Winckelmann non aveva mai visto originali greci, ma solo copie romane. Fra i primi studiosi di questo periodo si ricordano: 1. OVERBECK; 2. FRIEDERICHS; 3. BRUNN. Compito del criterio filologico è quello di studiare con metodo critico i testi antichi da cui trarre notizie relative agli artisti, cercando di mettere d’accordo le varie fonti e di correggere filologicamente i testi corrotti. Il problema che si pone agli studiosi è, pertanto, di mettere d’accordo monumenti e fonti. Questo fu il tema fondamentale della scuola filologica. Il cui ultimo e più grande rappresentante fu ADOLF FURTWAENGLER: come per un testo antico si cerca (attraverso l’analisi critica) di stabilire la versione più vicina al testo originale, attraverso le varie copie di età romana si cercò di ricostruire il testo originale delle opere greche. Si cercò dunque di procedere con delle identificazioni: 1. La prima riguarda l’APOXYOMENOS di Lisippo (copia in Vaticano). Della statua non abbiamo numerose repliche (caso isolato), mentre un indizio che si tratti di un’opera famosa è di solito dato proprio dal fatto di trovare numerose repliche. Questa identificazione permise di capire che le statue in bronzo potevano essere copiate in marmo, lasciando però tracce della diversa tecnica utilizzata. Ne sono un esempio i puntelli: la statua in bronzo ha un suo equilibrio statico; la copia in marmo, invece, ha bisogno per la statica dei punti di appoggio (un troco d’albero, una colonnetta); perciò, dove ci sono puntelli le statue non sono originali, ma copie. Fu questo un primo esteriore criterio di classificazione. 2. Altra identificazione fu quella del DORIFORO di Policleto, partendo da una replica del museo di Napoli. Il FRIEDERICHS notò che di questo tipo di statua atletica c’erano numerose repliche, perciò doveva trattarsi di una statua famosa. Da ciò la consapevolezza che si trattasse non di un originale, ma di una delle tante copie. Attraverso lo studio della capigliatura, il FRIEDERICHS giunse al convincimento che doveva trattarsi di un bronzo. Studia poi la composizione della figura, che è armoniosa e rivela che l’artista cercava l’equilibrio delle varie parti della figura: si nota lo schema a “chiasmo”, cioè le masse del corpo come formanti una X. Viene riconosciuta giusta la ricostruzione del copista di Napoli, che aveva messo in mano alla statua una lancia (DORIFORO = portatore di lancia). Studiando vari elementi stilistici il FRIEDERICHS arrivò all’identificazione del DORIFORO che, come quella dell’APOXYOMENOS, non è stata mai più posta in dubbio. Sulla base di questo metodo, molti altri studiosi cercarono di identificare numerose copie con gli originali descritti nelle fonti. Tuttavia, nell’800 si finì per studiare più le copie di età romana che gli stessi originali, che venivano messi in luce nello stesso tempo dalle varie campagne di scavo. Questa tendenza a ricostruire una storia dell’arte greca tutta sulle copie trovò la sua massima espressione nel FURTWAENGLER, il quale approfittò dei progressi fatti dalla fotografia. Il pericolo maggiore di questo metodo era dato dal fatto che si finiva per ricostruire l’arte greca attraverso le copie, trascurando gli originali anche là dove essi esistono. Se da un lato alcune identificazioni non sono più state messe in dubbio, dall’altra invece vi furono dei ripensamenti. Ne è un esempio la vicenda di EIRENE e PLOUTOS di KEPHISODOTOS. Pervenuta a Antonina Messina. Riassunto del libro “Introduzione all’archeologia” di Ranuccio Bianchi Bandinelli. Esame di Archeologia e Storia dell’Arte Greca e Romana, prof.ssa G.M. Facchini. Università di Verona. 5 Roma, questa statua di donna reggente un bambino appoggiato al suo braccio sinistro fu interpretata da vari studiosi, tra cui Winckelmann e BRUNN e non tutte le incertezze sono state superate. Non si cerca di sminuire il valore della ricerca filologica, ma si mette in evidenza il fatto che perse di importanza quando ebbe più fini di carriera accademica che concreta ricerca storica. Il problema emerse anche quando si tentò di ricostruire la pittura classica andata perduta per mezzo della pittura di età romana detta “pompeiana”. Anche in questo caso, le fonti hanno trasmesso un’immagine dell’arte greca fissata in canoni estetici che sono veri soltanto in parte. Come reazione a questo errore si manifestò la tendenza a trascurare la tradizione delle fonti antiche e a guardare alla pittura pompeiana direttamente, considerandola unicamente come pittura romana. Fu sempre il FURTWAENGLER che portò al massimo successo questo metodo di ricostruzione degli originali attraverso le copie; ma oltre a queste c’era da tener conto di una varietà infinita di imitazioni con varianti. Ne è un esempio la statua onoraria di Augusto trovata a Prima Porta, una variante travestita del DORIFORO di Policleto. Diventa quindi un’impresa classificare tutte le varianti per ricostruire gli originali dell’arte greca. Non ci si curò, invece, di usare queste copie per studiare il gusto di età romana, dell’età cioè alla quale queste copie appartengono. Ma il problema non si poneva visto che l’obiettivo era ricostruire l’arte greca, considerata la sola educativa. Questi studi basati sulle copie romane hanno contribuito a perpetuare a lungo una visione falsata dell’arte greca, allontanando dalla nostra sensibilità moderna e dalla nostra cultura la conoscenza dell’arte greca nei suoi valori essenziali. Numerosi scritti di artisti e di critici moderni hanno negato l’arte greca. Ma, esaminando questi scritti, vediamo che la polemica contro l’arte greca non fu in realtà contro di questa, ma contro l’immagine che di essa avevano diffuso gli archeologi dell’800, immagine formatasi a contatto non degli originali, ma delle copie romane. È anche avvenuto, infatti, che alcuni di questi critici, posti a contatto con i veri originali greci, divenissero esaltatori. Antonina Messina. Riassunto del libro “Introduzione all’archeologia” di Ranuccio Bianchi Bandinelli. Esame di Archeologia e Storia dell’Arte Greca e Romana, prof.ssa G.M. Facchini. Università di Verona. 6 IV. LE FONTI LETTERARIE La filologia permise all’archeologia di fare grandi passi in avanti, ma fece perdere alla nostra cultura il contatto con l’essenza dell’arte greca. Il punto di partenza degli studi filologici furono le fonti letterarie, ricercando nei monumenti la conferma alle notizie senza però porsi il problema del valore critico di tali fonti, appartenenti ad una cultura ben lontana da quella che aveva presieduto alla creazione delle opere più alte dell’arte greca. Le fonti possono essere: 1. DIRETTE: sono costituiti dagli scrittori che ex professo si sono occupati di cose d’arte; 2. INDIRETTE: costituite dalle opere letterarie nelle quali incidentalmente è contenuta la menzione di un’opera o le notizie su un artista, o sono espressi giudizi critici. Le fonti per noi più importanti sono: • NATURALIS HISTORIA di Plinio; • PERIEGESI DELLA GRECIA di Pausania. Altre fonti invece sono state raccolte dall’OVERBECK nel 1868 e pubblicate in un volume intitolato “Le fonti letterarie antiche per la storia dell’arte greca e romana”; in queste opere si trovano accenni ad un’opera d’arte. -PLINIO- Rimane la fonte più completa e preziosa, anche se con dei limiti. In una lettera di presentazione dell’opera all’imperatore Vespasiano, Plinio dice che si tratta di una raccolta di dati di fatto relativi al mondo della natura; vi sono 20.000 notizie degne di memoria tratte dalla lettura di circa 2000 volumi. I libri che ci interessano particolarmente sono il 34, 35 e 36, nei quali tratta della scultura; parlando dei metalli tratta del bronzo e della metallotecnica e, parlando delle terre colorate, tratta della pittura. Bisogna tenere in considerazione il fatto che si tratta di notizie raccolte da un autore che di arte non se ne intendeva e che ha riferito le notizie che trovava, talvolta senza capirle. Tra l’altro, Plinio si è trovato nella difficoltà di riportare in latino espressioni greche, altre volte ha dovuto tradurre cercando nuovi termini, e ciò ha dato luogo ad equivoci. Inoltre, Plinio ha attinto a scritti del tardo ellenistico di carattere retorico, di tendenze molto diverse; da qui le contraddizioni del suo testo. Perciò, se da un lato le notizie che questi testi conservano possono essere preziose, dall’altro i giudizi critici sono da valutarsi solo come testimonianza del gusto del tempo nel quale essi stessi scrissero. E poi, anche se quel giudizio fosse contemporaneo alle opere, non è detto che sarebbe un giudizio criticamente esatto: siamo noi che dobbiamo dare un nostro giudizio, valido anch’esso per il nostro tempo. -PAUSANIA- Questa fonte fa parte degli scritti di autori detti “periegeti”, cioè descrittori di viaggi, autori di guide per il forestiero che visitava i grandi santuari. Ci restano 10 libri, privi di proemio e chiusura, ma forse lasciati interrotti dall’autore. L’autore segue un ordine geografico preciso, cominciando dall’Attica e promettendo di estendere la periegesi al di là della zona considerata, progetto che non deve essere stato mai attuato, e di considerare anche la Tessaglia, della cui mancanza bisogna dolersi perché gli scavi recenti hanno messo in luce diverse attestazioni di civiltà antiche. L’intento di Pausania era quello di realizzare un libro di lettura, fornendo la conoscenza dei luoghi e dei monumenti, prendendo spunto anche da periegeti precedenti, storici ma anche poeti (come Omero). Per alcune di queste località è sorta però la questione se Pausania abbia visitato le zone personalmente oppure no, ma è certo che alcuni dei luoghi di maggiore importanza siano stati da lui visitati, come l’Acropoli di Atene e i santuari di Olimpia e Delfi. In effetti, in questi luoghi si è potuto riscontrare spesso una precisa rispondenza tra il testo di Pausania e quanto è stato messo in luce dagli scavi. Ne è un esempio il santuario di Olimpia: per prima cosa fa una descrizione del santuario a livello topografico, parlando anche dei monumenti prossimi al tempio; del suo interno Pausania parla di un Hermes di Prassitele, di cui non si ha Antonina Messina. Riassunto del libro “Introduzione all’archeologia” di Ranuccio Bianchi Bandinelli. Esame di Archeologia e Storia dell’Arte Greca e Romana, prof.ssa G.M. Facchini. Università di Verona. 7 Di grandissima importanza furono le scoperte fatte in Grecia. Nella seconda metà dell’800 si organizzavano le prime grandi spedizioni di scavo da parte di inglesi, tedeschi e francesi. I primi sono gli scavi di Samotracia, seguiti poi da quelli ad Atene, Dipylon (dove apparvero per la prima volta i vasi di stile geometrico); Olimpia (tempio di Zeus); Efeso (tempio di Artemide); Pergamo, dove fu messa alla luce tutta una città e i suoi problemi urbanistici. I sovrani di Pergamo favorivano la cultura, le biblioteche, le arti e furono collezionisti di opere d’arte delle scuole di età classica. Pergamo fu un centro vivo di cultura. Altri scavi importanti furono quelli di Delo e Delfi: Delo era un’isola dedicata al culto di Apollo e per questo fu proibito di abitarvi (non vi si poteva né nascere né morire); in età romana fu invece consentito abitarvi e si formò un villaggio. Quelli di Delfi sono più importanti: qui vi era il più grande santuario dopo quello di Olimpia. Altre spedizioni di scavi furono quelle in Asia Minore, dove venne trovato un heroon, cioè un’area sepolcrale particolarmente sontuosa, come numerose altre dell’Asia Minore, circondata da un recinto decorato da lastre a rilievo, dove riecheggiano composizioni delle pitture di Polignoto. Fino al IV secolo, infatti, si trova nei paesi asiatico-ellenistici la caratteristica di grandi sepolcri monumentali a forma di piccolo tempio, espressione tipica di questi sovrani locali i quali si facevano costruire la tomba chiamando artisti greci. Così gli artisti greci si sono trovati di fronte a un tema nuovo, perché in Grecia non esistevano edifici simili: la decorazione di edifici destinati all’esaltazione del principe defunto. Il Mausoleo di Alicarnasso è l’esempio più clamoroso e famoso di questo tipo di costruzioni. Lo scavo per il mausoleo fu condotto dagli inglesi e il materiale scultoreo si trova tutto al British Museum. Le sculture sono di grande importanza come sculture originali da attribuire agli scultori Skopas, Bryaxis, Leochares e Timotheos, che secondo le fonti avevano decorato il monumento. Tuttavia, se un certo accordo tra gli studiosi è stato raggiunto per le attribuzioni a Skopas, per gli altri artisti (nonostante siano tra i principali del tempo) si è tuttora in grande incertezza. Il che sottolinea quanto poco si conosca in realtà la scultura greca del IV secolo. Molto importanti furono poi le scoperte dello SCHLIEMANN. Egli, amante di Omero, iniziò nel 1871 degli scavi che gli permisero di scoprire non solo Troia, ma anche il Tesoro di Atreo di Micene e la tomba di Clitennestra, mettendo in luce (oltre a oggetti d’oro di importante fattura) la civiltà pre-ellenica di cui fino ad allora si era ignorata la presenza. Tuttavia, come scavatore improvvisato ha mostrato che ogni scavo distrugge le testimonianze del passato e che questa distruzione è irrimediabile se lo scavo non è eseguito obiettivamente. In seguito però lo SCHLIEMANN, che non era archeologo, divenne via via più prudente nelle sue ricerche. Nella scoperta delle civiltà pre-elleniche furono fondamentali anche gli scavi a Creta, che videro la partecipazione di inglesi e italiani che misero in luce l’esistenza di diversi palazzi nell’intera isola. Importantissima fu poi la decifrazione della scrittura lineare B da parte dell’inglese VENTRIS nel 1953, come anche la scoperta del mondo mesopotamico e gli influssi sull’origine dell’arte greca. Verso la fine dell’800 fu approfondita la conoscenza dell’Acropoli di Atene, tornata a mostrare a poco a poco il suo aspetto originale con la demolizione delle costruzioni che l’avevano trasformata in fortezza sin dal medioevo. Dalla demolizione di queste fortificazioni emerse così tanto materiale da poter ricostruire i propilei e il tempietto di Athena Nike che sorgeva sul bastione. Al tempo stesso venne posta in luce tutta la documentazione dell’acropoli arcaica, grazie alla scoperta della cosiddetta “colmata persiana”. Di fronte a queste continue scoperte, la ricostruzione erudita delle grandi personalità artistiche tradizionali passò in secondo piano rispetto alla ricerca delle grandi linee di svolgimento dell’arte greca e l’individuazione delle singole “scuole”. VI. RICERCHE TEORICHE E STORICISMO AGLI ALBORI DEL NOVECENTO Verso la fine del periodo filologico si colloca la figura dello studioso EMANUEL LOEWY, che cercò di riprendere la ricerca del Winckelmann sull’essenza dell’arte. I suoi studi toccano due punti essenziali: 1. RAPPORTO TRA ARTE GRECA E IL VERO DI NATURA; 2. PERSISTENZA ICONOGRAFICA. Antonina Messina. Riassunto del libro “Introduzione all’archeologia” di Ranuccio Bianchi Bandinelli. Esame di Archeologia e Storia dell’Arte Greca e Romana, prof.ssa G.M. Facchini. Università di Verona. 10 In merito a questo secondo punto gli archeologi spesso non ne tengono conto a sufficienza, anche se (soprattutto per l’arte antica) bisogna tenere presente che l’artista è un artigiano che lavora così come imparato nella bottega; ma ogni artigiano di talento aggiungerà piccole varianti, che sono espressione della sua personale genialità e che verranno riprese dai suoi successori. Con l’andare del tempo si giunge in tal modo a innovazioni anche profonde. Ne è un esempio la figura del KOUROS che, da un punto di vista iconografico, continua senza alcun mutamento dal VII al VI secolo a.C.; tuttavia, nella sua uniformità tipologica, non c’è un kouros uguale all’altro. Finché esiste nell’arte una forte tradizione artigiana (come nell’arte antica), la persistenza degli schemi iconografici è fortissima. Quando si studia una rappresentazione bisogna esaminare da dove proviene lo schema iconografico e cercarne i precedenti: solo dopo tale ricerca si può stabilire la posizione storica dell’opera e valutare il contributo personale dell’artista. Questo fu l’argomento dello studio del LOEWY. Il primo punto, invece, riguarda la rappresentazione della realtà, del vero, della natura; cioè del modo nel quale l’immagine naturale viene trasformata in immagine artistica. Con il Winckelmann si era arrivati a parlare di “tipi ideali”, di idealizzazione delle forme reali, cioè della selezione del più bello. Questa formula però subì (alla fine dell’800) una prima revisione in base alle tendenze positivistiche. Innanzitutto ci fu il danese JULIUS LANGE, il quale definì alcune leggi della concezione artistica del periodo più arcaico dell’arte greca: la prima di queste leggi è, per importanza, quella della FRONTALITA’: qualsiasi immagine riprodotta dall’artista subisce una sorta di schiacciamento. La figura non ha profondità; è una visione lineare e simmetrica, come se una linea tagliasse verticalmente in due la figura, passando dal vertice della testa e dall’ombelico, separando il corpo in due parti uguali e simmetriche. Da queste leggi il LANGE desumeva le caratteristiche dello stile arcaico. Per esempio, una figura è vista di profilo nelle gambe e di fronte nel torso: questa torsione del busto forma uno schema figurativo che è lontano dalla realtà. Non troveremo mai in un viso di profilo l’occhio di profilo, ma di prospetto. Queste convenzioni sono particolarmente evidenti nell’arte egiziana e i greci le assunsero inizialmente dall’Egitto. Ma ciò creò in passato l’equivoco di definire “stile egiziano” lo stile arcaico. Il LANGE invece notò che questa legge della frontalità si ritrova in tutte le civiltà antiche; egli ritenne la frontalità diretta conseguenza dell’incapacità di avvicinarsi al vero. Ma egli non si accorse che questa frontalità, comune a tutte le espressioni artistiche primitive, nell’arte greca era divenuta un altissimo stile. Giudicando la frontalità come elemento primitivo si ribadiva il concetto di provvisorietà dell’arte arcaica, di stadio di preparazione all’arte classica. Occorreva superare questo concetto evoluzionistico e a questo proposito un tentativo fu fatto da LOEWY. Egli si sganciò da questa visione del LANGE perché capì che la frontalità arcaica non era dovuta a incapacità, ma ad un determinato processo di concezione dell’atto artistico. Dimostrò che l’artista primitivo non opera affatto imitando un determinato oggetto della natura, ma crea seguendo un ricordo, un’immagine mentale che gli presenta l’oggetto sotto l’aspetto più semplice. Perciò l’artista primitivo non farà mai un piede che sia visto di punta e non di profilo, e l’occhio lo farà sempre come visto di faccia, cioè di forma ellittica, forma più chiara che quella della veduta di profilo. E così, se l’artista primitivo vorrà disegnare una foglia di vite, lo farà a memoria e il risultato sarà una foglia che avrà le caratteristiche più riconoscibili della sua specie, ma non sarà la copia di una determinata foglia. È stato però moto difficile vincere la mentalità evoluzionistica. Il DELLA SETA si occupò del problema del superamento della legge della frontalità nell’arte greca, che noi designiamo col passaggio dall’arte arcaica all’arte classica. Per lui la frontalità venne superata per una maggiore conoscenza dell’anatomia e impostò su di essa tutto lo sviluppo dell’arte greca sotto l’etichetta di “ricerca anatomica”, come se essa si proponesse solo tale conoscenza. È vero che nel passaggio dall’arcaico al classico vi è un arricchimento di dettagli anatomici, ma questo è finalizzato a differenziare i vari piani nel chiaroscuro. È proprio l’introduzione di elementi chiaroscurali a rompere la frontalità arcaica, cercando di raggiungere la piena corporeità di una figura che si muova nello spazio. Con questi tre studiosi si indirizza l’archeologia verso problemi di carattere non più filologico, ma di interpretazione del fatto artistico. Antonina Messina. Riassunto del libro “Introduzione all’archeologia” di Ranuccio Bianchi Bandinelli. Esame di Archeologia e Storia dell’Arte Greca e Romana, prof.ssa G.M. Facchini. Università di Verona. 11 Agli inizi del ‘900 si entra in una nuova fase degli studi di archeologia: se la storia del Winckelmann era stata concepita in base alla conoscenza di sole copie, si arriva ora a studi che prendono in considerazione solo gli originali, piuttosto di porsi determinati problemi formali. In questo senso verte l’opera di ERNST, nella quale non ci si basava più sulle copie, ma su piccoli bronzi, opere originali minori, con il fine di ricostruire le varie scuole, le officine artigiane; tutto un lavoro di analisi formale. Un’influenza diretta fu quella della scuola viennese, ed in particolare con WICKHOFF e RIEGL, entrambi storici dell’arte medievale e moderna che si sono occupati di storia dell’arte antica per chiarire i rapporti con quella dei secoli successivi. -RIEGL- Egli superò il concetto di decadenza introducendo quello di “gusto”. Secondo tale teoria ogni epoca della storia determina un proprio gusto; non è lecito perciò confrontare il gusto di un’epoca con quella di un altro. Ritenne di poter articolare tutta l’arte dell’antichità in tre periodi: 1. TATTILE-RAVVICINATO (o MIOPE): esempio arte egiziana; 2. TATTILE A VISTA NORMALE: esempio arte greca classica; 3. OTTICO-ILLUSIONISTICO (o PRESBITE): esempio arte romana del tardo impero. Il passaggio da una scultura di epoca classica a quella del tempo di Costantino, se da un lato può sembrare rozzo e grossolano, d’altra parte bisogna riconoscere che i rilievi di età costantiniana contengono le premesse necessarie per la fioritura dell’arte bizantina. Quindi non è decadenza, ma una tendenza secolare. Resta però il quesito di come si formi e si costituisca il gusto, e cioè comprendere perché gli artisti di un determinato periodo abbiano voluto fare in un determinato modo e non diversamente e quali sono le necessità che creano il loro gusto. -WICKHOFF- Basandosi sulle idee di RIEGL, egli tracciò una sintesi dello svolgimento dell’arte romana, che in seguito non fu più sottoposta a revisione. Secondo lui i romani sarebbero stati gli eredi del patrimonio artistico ellenistico, ma hanno prodotto elementi artistici nuovi e originali. L’originalità dell’arte romana viene individuata in tre punti: 1. RITRATTO REALISTICO; 2. CONCEZIONE SPAZIALE E PROSPETTIVA; 3. NARRAZIONE CONTINUATA (ovvero disporre vari episodi di una narrazione storica o mitologica uno accanto all’altro sullo stesso sfondo paesistico e senza nessun distacco, senza nessun elemento figurativo di separazione, come nella Colonna Traiana, mentre era considerata tipica dell’arte greca la suddivisione in episodi staccati, come nella decorazione templare dorica). In un primo momento nessun archeologo si rese conto delle sue idee rivoluzionarie, ma quando divennero note la sua teoria fu accolta senza nessun remore e senza nessuno spirito critico. Per questo è necessario esaminare attentamente la sua visione. 1. Il ritratto romano si basa su premesse sociali, politiche e religiose diverse da quelle che videro il tardo sorgere del ritratto nell’arte greca. Sicuramente non si tratta di imitazione, ma probabilmente sono stati artisti greci al servizio del patriziato romano a far sorgere il filone della ritrattistica repubblicana. 2. La scoperta della spazialità pittorica in realtà risale all’arte ellenistica, ma la questione emerge già nella ceramica protoattica, come segno distintivo dell’arte greca rispetto a quelle del bacino mediterraneo. 3. Per quanto riguarda la rappresentazione continua, essa ebbe radici nella pittura ellenistica, ma fu sviluppata e resa forma compositiva corrente durante l’età romana, dove servì alla tematica narrativa e celebrativa delle imprese militari e civili. Secondo WICKHOFF la novità della rappresentazione continua è connessa con il diverso punto di vista in cui si pone lo spettatore: quello greco è estraneo alla scena e vede da un punto esterno le figure che si muovono parallelamente al fondo del rilievo, Antonina Messina. Riassunto del libro “Introduzione all’archeologia” di Ranuccio Bianchi Bandinelli. Esame di Archeologia e Storia dell’Arte Greca e Romana, prof.ssa G.M. Facchini. Università di Verona. 12 schematismo privo di qualsiasi valore critico, senza distinzione di qualità. La definizione critica di un Maestro ha ragione d’essere solo se ci si trova di fronte ad un’opera di eccezionale qualità dalla quale si possono far discendere altre opere; oppure quando sia possibile costituire un gruppo di opere che abbiano caratteristiche sufficienti a farle assegnare alla stessa mano o almeno alla stessa officina. Una ricerca di storia dell’arte si deve articolare in questi gradi: • Classificazione e inquadramento cronologico dell’opera d’arte, mediante una ricerca filologica, con ausilio di testi letterari ed epigrafici e del materiale archeologico di ogni specie, confermata da un riconoscimento delle qualità stilistiche esteriori dell’opera d’arte, degli “elementi morelli ani” (Giovanni Morelli sottolineò che ogni artista ha una specie di cifrario, usa nelle sue opere dei particolari secondari sempre uguali che possono aiutare a determinarne la paternità); • L’indagine più storica, che sulla base del materiale classificato cerca di giungere alla ricostruzione dello svolgimento della produzione artistica e ad individuarne le forze motrici che determinano quello svolgimento, forze che hanno le loro radici nella società. Infatti, secondo Bandinelli, l’arte è sempre espressione della libertà dei gruppi socialmente attivi in un determinato periodo storico. Non parla di gruppi dominanti perché ci sono stati periodi storici che videro la compresenza di più correnti artistiche, indirizzi e gusti diversi, ognuna delle quali non è casuale, ma fa capo ad un gruppo sociale, che agisce entro la compagine della società dell’epoca. Quando l’uno o l’altro di questi gruppi diventa politicamente egemone, vi è invece una ricostituita unità artistica (esempio età di Augusto o quella di Costantino). L’importanza dei fattori sociali non deve però far dimenticare la distinzione tra storia sociologica dell’antichità e storia dell’arte antica: la prima usa le opere d’arte come documenti per la ricostruzione della storia sociale di un’epoca; la seconda invece è centrata sull’analisi formale dell’opera d’arte e tiene conto solo dei rapporti sociali alla base della nascita dell’opera. Quindi, una cosa è voler fare storia dell’arte tenendo conto dei rapporti sociali sui quali si basa la nascita dell’opera d’arte e altra cosa è voler usare le opere d’arte come documento per la ricostruzione della storia sociale di un’epoca. Nel primo caso si fa storia dell’arte, nell’altro si fa storia o sociologia. Nonostante questa distinzione, non manca chi ritiene che le considerazioni storico-economiche e la ricerca delle basi ideologiche della produzione artistica non abbiano niente a che fare con la storia dell’arte, ne siano, anzi, un inquinamento. In questa avversione dobbiamo distinguere due motivi diversi. Vi è chi osteggia questa metodologia perché vi scorge lo spettro del marxismo; e vi è chi, da un punto di vista più storicistico, legato al pensiero dell’idealismo, è rimasto ancora al concetto di assoluta autonomia e individualità della creazione artistica e rifiuta ogni contaminazione da parte della sfera economica e politica. Ma il ritenere che il modo di produzione della vita materiale condizioni il processo della vita sociale e spirituale non significa affatto ridurre tutta la storia al mero fattore economico. Se questa è la critica mossa dagli idealisti, d’altra parte i marxisti accusano di essere caduti nel formalismo. L’autore però spiega che non vi è pericolo che l’indagine storica cada nel formalismo e perda in tal modo ogni contatto con la storia, riducendola a un puro gioco intellettualistico, perché si è posto l’accento sulla necessità di ancorare i fatti dell’arte nello svolgimento concreto della storia. I più rigorosi fra gli studiosi distinguono una “storia dell’arte” da una “scienza dell’arte”: quest’ultima in realtà ha sostituito la vecchia indagine estetica e si volge alle opere d’arte per farne sempre nuove letture, dalle quali trarre nuove interpretazioni in senso assoluto e universale, anche del tutto estranee all’orizzonte culturale dell’artista che creò quelle opere, e quindi come ricerca estetica autonoma e non storica. Gli archeologi però preferiscono attenersi alla ricerca storica, che chiarisca il processo di creazione e produzione di una determinata opera in quel determinato tempo. Bisogna, inoltre, collocare l’opera in un processo di produzione più generale. Agli archeologi quindi bisognerà dire che debbono imparare a distinguere due diversi momenti di indagine, uno dei quali è più proprio della loro ricerca specifica, mentre l’altro è più universale. Dell’opera d’arte è possibile accertare non solo la cronologia (relativa o assoluta), ma anche la ricostruzione di sfere di contatti commerciali, dalla quale si possono dedurre anche conclusioni di storia economica e politica. Antonina Messina. Riassunto del libro “Introduzione all’archeologia” di Ranuccio Bianchi Bandinelli. Esame di Archeologia e Storia dell’Arte Greca e Romana, prof.ssa G.M. Facchini. Università di Verona. 15 Questo tipo di ricerca rientra nel fine specifico dell’archeologia: ricostruzione della storia attraverso i documenti materiali di una civiltà (più ampia) o di una cultura (più ristretta); ricostruzione da porre accanto ai dati storici derivanti dalle fonti letterarie. Quello della storia dell’arte, invece, è diverso: chiarire la formazione dell’opera d’arte nell’esperienza in atto e la sua sopravvivenza. Ogni opera d’arte presenta il problema della sua costituzione formale, e questa ha luogo ne momento in cui l’artista “inventa” una forma, un motivo, e lo realizza. Ma tale realizzazione è connessa con la cultura figurativa che la circonda. Nasce così un problema che può dirsi di linguaggio, ma si presenta al tempo stesso il problema del suo significato espressivo. Ogni opera d’arte è il prodotto di una particolare sensibilità, capacità e cultura dell’artista, ma può voler contenere un messaggio sorretto da una particolare idea di quello che possa e debba essere arte: sono due aspetti diversi che vanno considerati ognuno per conto proprio. Questa duplicità deriva dalla natura stessa dell’evento artistico: il quale è da un lato il prodotto storico di una civiltà, ma è anche espressione di un bisogno istintivo della natura umana. L’unico modo per acquisire il fatto artistico è di storicizzarlo; ma ciò significa anche sottoporre il fatto artistico a un giudizio di valore e seguirne gli sviluppi nella sua perenne esperienza. Antonina Messina. Riassunto del libro “Introduzione all’archeologia” di Ranuccio Bianchi Bandinelli. Esame di Archeologia e Storia dell’Arte Greca e Romana, prof.ssa G.M. Facchini. Università di Verona. 16
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