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Riassunto del libro L'era dello sviluppo sostenibile, Sintesi del corso di Economia Dello Sviluppo

Riassunto del libro L'era dello sviluppo sostenibile

Tipologia: Sintesi del corso

2022/2023

Caricato il 06/06/2023

utente9814
utente9814 🇮🇹

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Scarica Riassunto del libro L'era dello sviluppo sostenibile e più Sintesi del corso in PDF di Economia Dello Sviluppo solo su Docsity! L’ERA DELLO SVILUPPO SOSTENIBILE - Jeffrey D. Sachs Cap. 1 Introduzione allo sviluppo sostenibile CHE COS’È LO SVILUPPO SOSTENIBILE? Si tratta di un modo sia di concepire il mondo sia di un metodo per la soluzione dei problemi globali. Il punto di partenza è il sovraffollamento del nostro pianeta. Attualmente, la popolazione della terra è di 7,2 miliardi di individui. La popolazione mondiale continua ad aumentare rapidamente, a un tasso di circa 75 milioni di persone all’anno; nel giro di una decina d’anni saremo 8 miliardi, e forse toccheremo i 9 miliardi nei primi anni 2040. Questi miliardi di persone sono alla ricerca del loro punto d’appoggio nell’economia mondiale: i poveri lottano per avere il cibo, l’acqua potabile, l’assistenza sanitaria e un rifugio, ne hanno bisogno ai fini della mera sopravvivenza. In breve 7 miliardi di persone stanno cercando di migliorare la propria posizione economica e lo fanno nell’ambito di un’economia mondiale sempre più interconnessa attraverso il commercio, la finanza, le tecnologie, i flussi produttivi, le migrazioni e le reti sociali. Le dimensioni attuali del PML (prodotto mondiale lordo) sono almeno 200 volte quello del 1750. Il nostro mondo è caratterizzato da ricchezze favolose e da estreme povertà: miliardi di persone godono di una longevità e di una buona salute che le precedenti generazioni nemmeno si immaginavano; eppure almeno un miliardo di esseri umani vive in condizioni di miseria tali da dover lottare ogni giorno solo per sopravvivere, affrontando quotidianamente la sfida tra la vita e la morte dovuta alla scarsa alimentazione, alla mancanza di assistenza sanitaria, ad abitazioni malsane, alla mancanza di acqua potabile e alle pessime condizioni igieniche. L’umanità come ogni specie vivente, dipende dalla natura per il cibo, l’acqua le materie prime, in caso di gravi minacce ambientali, quali epidemie e calamità naturali. Facciamo ben poco per proteggere la base concreta della nostra stessa sopravvivenza. La gigantesca economia mondiale sta propiziando un’altrettanta gigantesca crisi ambientale, una crisi che minaccia la vita e il benessere di miliardi di persone e la sopravvivenza sul pianeta di milioni altri specie, oltre la nostra. L’umanità sta alterando il clima, la disponibilità di acqua dolce, la composizione chimica degli oceani e degli habitat di altre specie. Tali cambiamenti sono molto pericolosi. Lo sviluppo sostenibile tenta di capire il senso delle interazioni tra tre sistemi complessi: economia mondiale, società globale e ambiente fisico terrestre. Lo sviluppo sostenibile è anche un pdv normativo sul mondo, cioè raccomanda un insieme di obiettivi cui il mondo dovrebbe aspirare. Le nazioni adotteranno gli OSS (obiettivi dello sviluppo sostenibile) proprio come guida per il corso futuro dello sviluppo economico e sociale del pianeta. Lo sviluppo sostenibile auspica che nel mondo il progresso economico abbia la più ampia diffusione: che la povertà estrema sia eliminata e propone un quadro olistico in cui la società punta a obiettivi economici, sociali e ambientali. Tale concetto viene sintetizzato così: gli OSS richiedono una crescita economica inclusiva dal punto di vista sociale e sostenibile dal punto di vista ambientale. Per raggiungere gli obiettivi economici, sociali e ambientali degli OSS si deve conseguire però un quarto obiettivo: una buona governance. I governi devono svolgere molte funzioni essenziali per la prosperità delle società; fra cui vi sono la fornitura di infrastrutture quali strade, porti ed energia; la protezione degli individui dalla criminalità e dalla violenza; la promozione della ricerca scientifica e delle nuove tecnologie; la messa in atto di norme e regolamenti a difesa dell’ambiente. Una buona governance, nel mondo d’oggi, non può riferirsi solo ai governi, poiché sono spesso le multinazionali a disporre di maggior potere. Il nostro benessere dipende dal fatto che queste grandi aziende agiscano secondo la legge, ma la realtà è spesso opposta: le multinazionali sono spesso gli agenti della corruzione, dedicandosi all’evasione, al riciclaggio di denaro sporco. Perciò ai fini di una società ben ordinata, l’aspetto normativo dello sviluppo sostenibile prevede il perseguimento di quattro obiettivi fondamentali: prosperità economica; inclusione e coesione sociali; sostenibilità ambientale; buona governance da parte di principali attori sociali, governi e aziende comprese. Raggiungere questo scopo è la sfida più importante per la nostra generazione. L’origine del termine “sostenibile” risale a molto tempo fa. Nel 1972, alla Conferenza ONU sull’ambiente umano a Stoccolma, fu portato per la prima volta all’attenzione del mondo il problema del mantenimento della sostenibilità nel contesto della crescita economica. Il best seller “I limiti dello sviluppo” (1972), pubblicato dal Club di Roma, sostenne che la continua crescita economica sulla base dei modelli predominanti avrebbe finito per scontrarsi con la limitatezza delle risorse della Terra, portando a un loro futuro esaurimento e quindi a un controllo dell’economia stessa. Questa idea viene poi ribadita anche nel 1980 e poi, l’espressione sviluppo sostenibile fu adottata anche nel report della Commissione mondiale per l’ambiente e lo sviluppo, il rapporto Brundtland. Questa commissione definì lo sviluppo sostenibile come “quello sviluppo che soddisfa i bisogni del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i propri. Il concetto “intergenerazionale” di sviluppo sostenibile venne adottato diffusamente, anche al summit sulla Terra di Rio de Janeiro nel 1992. Uno dei principi chiave della Dichiarazione di Rio fu che “lo sviluppo attuale non deve minacciare i bisogni della presente generazione e di quelle future”. Nel corso del tempo, tuttavia, la definizione di sviluppo sostenibile ha assunto un’impostazione più pratica che stabilisce un collegamento fra sviluppo economico, inclusione sociale e sostenibilità ambientale. Nel 2002, a Johannesburg, al Summit mondiale sullo sviluppo sostenibile all’ONU, si parla di “integrazione delle tre componenti dello sviluppo sostenibile, sviluppo economico, sociale e ambientale. Questa visione dello sviluppo sostenibile basata su tre componenti viene messa di nuovo in risalto in occasione del ventesimo anniversario del Summit di Rio. Nel documento finale del Summit Rio+20, “The future we want”, si definiscono gli scopi dello Trade-off e sinergie negli obiettivi economici, sociali e ambientali Vi sono importanti trade-off nel perseguire obiettivi economici, sociali e ambientali. Il dibattito verte spesso sul dilemma se “aumentare la torta dell’economia” o “dividere la torta più equamente”. Efficienza significa assenza di sprechi nell’economia; non si può alzare il reddito o il benessere di un individuo senza abbassare quello di un altro. Equità significa correttezza nella distribuzione. C’è un trade-off tra efficienza ed equità: le società che mirano a una maggiore equità introducono inevitabilmente nell’economia delle inefficienze, che portano a uno spreco delle risorse. Questa visione è fin troppo pessimistica, perché a volte perseguire l’equità porta a favorire l’efficienza. Gli investimenti a controllare l’inquinamento possono aumentare la produttività dei lavoratori, poiché fanno diminuire le malattie. Nella ricerca di efficienza, equità e sostenibilità lo sviluppo sostenibile presenta sinergie più che trade off. INTRODUZIONE ALLA CRESCITA ECONOMICA Valutare le dimensioni dell’economia Gli economisti sintetizzano lo sviluppo economico complessivo di un paese facendo riferimento al prodotto interno lordo (PIL) pro capite. Il PIL pro capite si ottiene semplicemente dividendo il PIL per la popolazione. Poiché il PIL è la dimensione della torta economica complessiva, il PIL pro capite è la dimensione della fetta media che spetta a ognuno. Alcune famiglie riceveranno una fetta della torta molto grande, mentre ad altre toccheranno solo delle briciole. Nonostante questo, la fetta media, il PIL pro capite, è correlata strettamente con altre misure del benessere nazionale, quali aspettativa di vita, livelli di istruzione, qualità delle infrastrutture e livelli di spesa personale. Il PIL misura la produzione entro i confini di un paese. Supponiamo che il paese esporti petrolio e che il governo ne sia proprietario per 2/3, mentre 1/3 è delle imprese. Il PIL terrebbe contro di tutto il petrolio prodotto nel Paese, ma il reddito nazionale includerebbe solo i 2/3 dello Stato. Questa misurazione basata sul reddito è il PNL, inferiore al PIL. Per ciascuna produzione dell’economia la quantità prodotta viene moltiplicata per il prezzo unitario, in modo da calcolare il suo valore complessivo; tali valori vengono sommati per calcolare il PIL. A questo livello, il PIL è espresso nella valuta nazionale, come dollaro, euro yen ecc. Per poter fare confronti fra i diversi paesi, le valute vengono convertite in dollari. Dividendo il risultato per la popolazione di ciascun paese troviamo il PIL pro capite, che ci dà un’indicazione del tenore di vita nei vari paesi. Quando confrontiamo i diversi PIL intendiamo confrontare il volume reale di beni e servizi, non la differenza dovuta semplicemente ai prezzi di mercato. Quindi gli statisti, per fare un confronto valido, hanno deciso di ricorrere a un insieme comune di “prezzi internazionali” per calcolare produzione e consumo di ciascun paese. A questa misura rettificata si dà il nome di PIL a parità di potere d’acquisto (PPA); l’uso di un insieme comune di prezzi internazionali ci dà la sicurezza che in ogni paese un dollaro di PIL, se calcolato a PPA (ovvero a prezzi internazionali), ha uno stesso potere d’acquisto in termini di beni e servizi effettivi. Il PIL misura solo i beni e i servizi oggetto di transazioni nell’economia di mercato, non quelli trattati fuori mercato: se una madre si prende cura dei propri figli, non si conteggia nel PIL l’assistenza quotidiana, mentre se la madre si prende cura a pagamento del bimbo della vicina, il compenso entra nel PIL. Il PIL non misura gli “eventi negativi” o i danni. Il PIL pro capite è quindi solo un indicatore approssimativo del vero benessere economico. Che cosa intendiamo quando parliamo di crescita economica? La crescita economica misura la variazione del PIL in un dato periodo confrontato con quello precedente. Insomma, crescita economica significa aumento di PIL. Interessa il PIL pro capite, non il PIL in sé e ci interessa l’aumento della produzione effettiva di beni e servizi, non dei prezzi. Non interessa il PIL a prezzi correnti, bensì a prezzi costanti. Se il PIL pro capite aumenta, anche il benessere economico tende ad aumentare. I paesi più ricchi mediamente hanno un benessere materiale più elevato rispetto ai paesi più poveri. La popolazione dei paesi ricchi tende ad avere livelli di consumo più alti e maggiore sicurezza alimentare, a essere più longeva, più protetta da malattie e catastrofi ambientali. Eppure, l’aumento del PIL pro capite non è una misura perfetta del benessere. Se sommiamo il PIL (a prezzi internazionali costanti) di ogni paese e poi dividiamo il risultato – cui diamo il nome di PML – per la popolazione mondiale per trovare il PML pro capite, scopriamo che quest’ultimo è cresciuto piuttosto regolarmente di circa il 2-3 per cento all’anno. Un modo empirico per determinare la crescita economica è quello chiamata “regola del 70”: prendere il PIL e dividerlo per il tasso annuo di crescita (es. PML pro capite pari al 2% annuo), quindi 70:2=35; 35 sono gli anni necessari affinché le dimensioni dell’economia raddoppino. Se la crescita accelera, il tempo si dimezza. Maddison, studioso di storia economica, stimò l’andamento del PIL pro capite dall’anno 1 d.C, con più dettagli dal 1820. Da qui al 2010, il PIL pro capite è aumentato di 10 volte circa. Prima della Rivoluzione Industriale, la crescita economica fu molto scarsa o nulla, poi il PML cominciò a salire dal 1750 con molta gradualità. Il periodo che inizia nel 1750 viene definito dagli storici dell’economia “era della moderna crescita economica ”. Durante gran parte della storia umana, il prodotto pro capite è stato a un livello molto basso, la maggioranza degli esseri umani viveva di agricoltura e produceva il cibo per vivere. Dagli anni intorno al 1750 incominciò ad accadere qualcosa di nuovo: una crescita economica positiva. Questo avvenne in pochi posti all’inizio (GB e Usa), poi si diffuse. L’incremento del PML fu determinato, all’inizio, dall’aumento delle attività industriali, come l’estrazione del carbone, la fabbricazione dell’acciaio, la produzione tessile. Dopo il 1950 circa, nei paesi ad alto reddito l’aumento del PML è stato individuato nella crescita dei servizi (sistema bancario). 12000 anni fa, gli uomini cominciarono a essere sedentari e coltivare, dimorando in stabili villaggi: siamo nell’era Neolitica (prima=Paleolitico). Anche la popolazione mondiale per molto tempo è rimasta quasi invariata, sempre al di sotto del miliardo, per raggiungere tale numero solo nel 1820. Tra l’1 e il 1820 il tasso annuo di crescita fu in media dello 0,08%, dove i cambiamenti erano solo provocati da guerre, carestie, malattie. Dal 1820 ad oggi la popolazione aumentò moltissimo, grazie a una maggiore capacità di produrre cibo. Dal 1750 circa, gli agricoltori sono stati capaci di produrre più cibo grazie a migliori varietà di sementi, tecniche agrarie, fertilizzanti chimici, attrezzature e macchine per seminare, per trasportare nelle città i generi alimentari. Oggi, la crescita economica è caratterizzata dalla combinazione tra aumento del prodotto per persona e rapido aumento demografico: PML= PML pro capite x popolazione mondiale. Dal 1820, il PML è aumentato di 240 volte, con benefici per il benessere medio, ma anche possibili danni ambientali. La recente crescita in Cina In Cina, paese più popoloso al mondo con 1,3 miliardi di abitanti, è anche una delle economie con lo sviluppo più impetuoso nella storia dell’umanità, almeno dal 1978. Con l’avvento al potere di Deng Xiaoping, ha introdotto alcune riforme del mercato che hanno avviato il paese verso una crescita economica straordinaria, con tassi di sviluppo del PIL vicini a una media annua del 10%. Quindi la Cina ha raddoppiato il suo PIL in 7 anni (70 : 10). In termini di PIL pro capite, la crescita è del 9% annua. Confrontiamo la città di Shenzen nel 1980 e quella del 2013. Oggi è una metropoli, con 12 milioni di persone e ha avuto una crescita esponenziale, come molte città del litorale est della Cina, che sono diventate vere potenze del commercio internazionale. È diventata la fabbrica del mondo e detiene la leadership negli scambi commerciali mondiali. L’economia è passata da rurale a urbana, da agricola a industriale e di servizi; è passata da tassi di fecondità alta a bassi, e da alta a bassa mortalità infantile. L’aspettativa di vita si è molto allungata, la salute pubblica è migliorata e i risultati in campo scolastico sono brillanti. Tutto ciò è accaduto nell’arco di poco più 30 anni. La crescita economica cinese non ha però solo aspetti positivi; ve ne sono almeno 3 molto negativi: 1) la transizione accelerata dell’economia da rurale a urbana e dall’agricoltura all’industria e ai servizi ha scombussolato la vita di centinaia di milioni di persone, provocando una migrazione di massa all’interno del paese e spezzando l’unità familiare. 2) la sperequazione/disparità dei redditi è notevolmente aumentata, in quanto i lavoratori urbani hanno registrato un miglioramento del proprio tenore di vita, mentre il reddito di chi è rimasto nelle campagne spesso è rimasto fermo. 3) l’ambiente è stato devastato e l’industrializzazione si è accompagnata a un fortissimo aumento dell’inquinamento. La Cina ha conseguito una spettacolare crescita economica, ma non è ancora riuscita a prendere la Il prodotto mondiale lordo per persona, oggi di circa 12000 dollari, è almeno 100 volte maggiore di quanto non lo fosse all’inizio della Rivoluzione industriale. Tale incremento è causa di una molteplicità di danni per il pianeta. L’attività economica su larga scala sta modificando il clima, i cicli dell’acqua e dell’azoto e la composizione chimica degli oceani. L’uomo sta sfruttando intensivamente così tanti territori da eliminare altre specie. Negli USA, nel 2012, l’Uragano Sandy non è stato l’unico evento disastroso legato ai cambiamenti climatici. I mesi prima, i raccolti subirono grandi perdite dopo una siccità e un’ondata di caldo nel Midwest. Sempre nel 2012, attorno a Pechino, ci sono state grandi inondazioni, così come a Bangkok nel 2011 e in Indonesia nel 2014. Essi hanno influito negativamente sull’economia locale e globale. I singoli eventi disastrosi possono avere svariate cause, ma la categoria delle calamità collegate al clima sta crescendo sia in frequenza sia in gravità. Una tipologia molto importante di shock climatici è quella dei “disastri idro-meteorologici” (precipitazioni intense, forti temporali, uragani, tifoni, inondazioni). Fenomeni di prolungata siccità provocano carestie mortali in Africa, drastiche riduzioni dei raccolti negli USA e forti aumenti degli incendi boschivi in Europa, Russia Indonesia, Australia, Stati Uniti e altre regioni del pianeta. Un’altra calamità connessa al clima è la diffusione nelle colture agricole di malattie e parassiti. I cambiamenti strutturali dei sistemi fisici della terra sono così profondi che gli scienziati hanno assegnato alla nostra era un nuovo nome scientifico: Antropocene o “era dell’uomo”: è l’era nella quale l’umanità, attraverso il fortissimo impatto dell’economia globale, sta creando le maggiori difficoltà ai sistemi fisici e biologici del pianeta. L’umanità sta causando cambiamenti di grande portata. Lo studio dello sviluppo sostenibile, per essere in grado di cambiare rotta e proteggere noi stessi e le generazioni future, deve comprendere questi cambiamenti. Uno dei principali fattori di cambiamento è l’eccessivo utilizzo del carbone, petrolio e gas naturale, le fonti primarie di energia che chiamiamo combustibili fossili. La crescente concentrazioni di CO2 nell’atmosfera rappresenta la principale fonte del cambiamento climatico indotto dall’uomo. Oggi ci sono circa 400 molecole di CO2 per milione, ovvero 400 parti per milione (ppm). Nel corso della storia, la CO2 sale e scende e queste fluttuazioni sono naturali, poiché causate da leggeri cambiamenti dell’orbita terrestre intorno al Sole. Quando l’orbita cambia un poco, tende a riscaldare il pianeta, che quindi porta la rilascio di CO2 disciolta negli oceani, che si disperde poi nell’atmosfera. L’incremento della CO2 è un feedback positivo. Gli scienziati hanno dimostrato che quando la concentrazione atmosferica di CO2 era alta, la terra tendeva a riscaldarsi mentre quando era bassa il pianeta tendeva a raffreddarsi. Nelle fasi del ciclo naturale della CO2 in cui la sua concentrazione era bassa, la Terra era abbastanza fredda da dar luogo a un’era glaciale, con buona parte dell’emisfero settentrionale ricoperto da una spessa coltre di ghiaccio. Negli ultimi 150 anni, la concentrazione di CO2 è salita molto, ma per causa umana: l’uso dei combustibili fossili. La Terra diventerà molto più calda di quanto non lo sia stata agli inizi della civiltà; il livello dei mari si alzerà notevolmente, mettendo a rischio le città costiere e i paesi situati a bassa quota; la produzione agricola subirà frequenti e drastiche riduzioni a causa di temperature elevate, nuovi parassiti infestanti, siccità, alluvioni, diminuzioni della biodiversità e altro. Ecco le attività che alterano il clima e altri sistemi naturali della Terra: lo sfruttamento eccessivo delle fonti di acqua dolce; l’inquinamento dovuto all’impiego massiccio di fertilizzanti chimici; la modifica della composizione chimica degli oceani; la deforestazione per disporre di nuovi pascoli e terreni coltivabili; l’inquinamento da polveri sottili causato da processi industriali. Gli scienziati hanno definito il “limite del pianeta” al di là dei quali non di dovrebbe andare (sono 10): cambiamento climatico, acidificazione degli oceani, esaurimento dell’ozono, ciclo dell’azoto, ciclo del fosforo, uso globale di acqua dolce, cambiamento nell’uso del suolo, perdita di biodiversità, carico di aerosol atmosferico, inquinamento chimico. Nei casi relativi al flusso dell’azoto (derivante dall’impiego dei fertilizzanti) e alla perdita di biodiversità: li abbiamo già oltrepassati. Il genere umano oltrepasserà i limiti operati di sicurezza a meno che il mondo non adotti una strategia intesa a conseguire uno sviluppo sostenibile. LE VIE DELLO SVILUPPO SOSTENIBILE La prima parte dello sviluppo sostenibile, quella ANALITICA, riguarda la comprensione delle interconnessioni fra economia, società, ambiente e politica. La seconda, quella NORMATIVA, consiste nel fare qualcosa per far fronte ai pericoli che ci sovrastano, stabilire gli OSS e conseguirli. Dobbiamo trovare una via globale, costituita da varianti locali e nazionali. Deve essere promosso uno sviluppo economico inclusivo e sostenibile, combinando così gli obiettivi economici, sociali e ambientali. Tutto ciò si può realizzare solo se si raggiunge un quarto obiettivo: una governance adeguata, sia degli stati che delle imprese. L’espressione “governance adeguata” riguarda non solo i governanti ma anche gli imprenditori: il settore pubblico e quello privato devono operare sulla base del principio della legalità, con responsabilità, trasparenza e con il coinvolgimento attivo della pubblica opinione sui temi critici quali l’uso del territorio, l’inquinamento, la correttezza e l’onestà dei comportamenti politici e imprenditoriali. Se l’umanità continuerà a seguire la rotta attuale si vedranno gli scenari chiamati BAU (business as usual = ordinaria amministrazione ); se cambierà rotta si vedrà invece una strada alternativa, che mira non solo alla crescita economica ma anche all’inclusione sociale e alla sostenibilità ambientale: verrà chiamata la strada dello sviluppo sostenibile (in sigla SS). Alcune possibili soluzioni possono essere più costose, come gli edifici progettati appositamente per usare meno energia per il riscaldamento attraverso l’impiego di materiali migliori e di un isolamento più efficiente; oppure come i veicoli elettrici a batteria, ancora costosi se paragonati ai normali motori a combustione interna che “bevono” moltissimo. Lo sviluppo sostenibile è fattibile e alla nostra portata, sebbene qualcuno sostenga invece che gli OSS siano irrealistici e impossibili da raggiungere. L’essenza dello sviluppo sostenibile è un problem solving scientificamente ed eticamente fondato: dobbiamo risolvere molti problemi. Per ottenere uno sviluppo sostenibile è necessario un impegno coordinato e globale in un periodo di tempo relativamente breve. Ogni parte del mondo dovrà essere coinvolta nel problem solving e nell’individuazione di modalità nuove e creative per assicurare una crescita inclusiva e sostenibile. Cap. 2 Un mondo di disuguaglianze I REDDITI NEL MONDO Lo sviluppo sostenibile presenta 3 aspetti principali: sviluppo economico, inclusione sociale, sostenibilità ambientale, tutti sostenuti da una buona governance. Lo sviluppo economico ha molte dimensioni, quindi servono diverse misurazioni. In realtà, ci si può basare su una misurazione, quella del PIL che riguarda la produzione totale realizzata entro i confini geografici di un paese, in genere riferita all’anno. Nel PIL c’è però un punto critico, perché in genere, interessa sapere il tenore di vita di un paese, quindi si prende la produzione totale del paese in un certo tempo e la si divide per la popolazione, trovando il PIL pro capite. I paesi più grandi hanno più persone, più lavoratori e quindi più produzione, ma di questi non si conosce in questo modo se il tenore di vita è davvero migliore di quello dei paesi più piccoli. Quindi il PIL non è esauriente per studiare lo sviluppo economico: vi sono altri indicatori di benessere, come l’istruzione e la salute. Il PIL è usato dalla Banca Mondiale, la quale inserisce gli stati in 3 categorie: a reddito BASSO, se il PIL pro capite è < 1035 dollari l’anno, a reddito MEDIO, se è tra 1035 e 12615 dollari l’anno, a reddito ALTO se supera i 12615 dollari l’anno. Nel gruppo nei paesi a reddito medio, ci sono quelli a reddito medio-basso e medio-alto, con linea di demarcazione a 4085 dollari annui a persona. Paesi ad alto reddito sono USA, Canada, Europa ovest, Giappone, Australia, NZ, Corea del Sud e sono circa 1 miliardo di persone (15% della popolazione mondiale). I Paesi a reddito medio sono i 5/7 del totale (divisi circa a metà tra reddito medio alto e medio basso) sono in Europa Est, Asia, America Latina e Africa del Sud. I paesi a reddito basso, con circa 1 miliardo di persone, sono concentrati in Africa subsahariana e Asia Sud con pochi altri sparsi. Un sottogruppo stabilito dall’ONU è all’interno dei paesi poveri, quello delle persone in situazioni disperate, dove ci sono problemi di povertà, di salute, bassi livelli di istruzione e alta instabilità sociale. Sono luoghi soggetti a siccità, alluvioni, conflitti, violenze: sono i PAESI MENO SVILUPPATI (PMS), molti dei quali non hanno sbocchi sul mare. I PMS comprendono anche molte economie di piccole isole, vulnerabili alle calamità estreme, popolazioni poco numerose e fortemente isolate. Inoltre, i Paesi dispongono di monete nazionali, quindi per calcolare il PIL queste devono essere In parte, il benessere si determina con la possibilità di soddisfare i bisogni materiali e aspirazioni, quindi dal reddito; in parte, dai servizi sociali forniti dallo stato. Le famiglie estremamente povere soffrono la fame, non hanno acqua potabile e servizi igienici, non possono accedere a assistenza sanitaria. I beni materiali però non sono tutto, infatti la loro importanza diminuisce in maniera inversamente proporzionale al reddito, perché al ricco un dollaro in più non cambia la sua giornata, mentre al povero può farlo. Il PIL pro capite dà solo un’idea approssimativa del livello di benessere di un individuo o di una nazione. Bisogna chiedersi come aumentare il benessere umano al di là del reddito. Un modo innovativo è quello di usare l’ISU, un indice che tiene conto del reddito per persona, non misurando il reddito pro capite ma il suo algoritmo, quindi, a ogni livello di reddito via via più alto corrisponde un incremento via via più basso del valore dell’ISU. Tine però anche conto di indicatori relativi alla salute e all’istruzione. Facendo la media ponderata di reddito, salute e istruzione, l’UNDP calcola l’ISU, suddividendo i paesi secondo il livello (alto, medio, basso) di sviluppo umano. Esempi: la Guinea Equatoriale era estremamente povera finchè le compagnie petrolifere internazionali non hanno scoperto e iniziato a sfruttare giacimenti di petrolio e gas. Ma le rendite devono essere usate con prudenza per giovare alla popolazione. A tutt’oggi invece è aumentato molto il PIL pro capite, ma i risultati riguardanti gli indicatori di sviluppo umano, come speranza di vita e alfabetizzazione, sono a livelli bassi. La Guinea Equatoriale è in posizione abbastanza buona (45) per reddito pro capite, ma è al 141° posto per ciò che riguarda l’ISU. La Corea del Sud, negli ultimi 50 anni, ha avuto una grande crescita economica ed è uno dei Paesi più ricchi al mondo, con buona istruzione e miglioramento delle condizioni di salute. È al posto 30 per PIL pro capite e al 15° posto nella graduatoria ISU. Benessere soggettivo Per valutare il benessere, c’è però anche una via meno burocratica e più interessante, ovvero quella dei SONDAGGI, che si servono spesso della Scala di Cantril: si chiede alle persone di posizionare la propria vita su una scala con dieci gradini. La Gallup International è all’avanguardia in questa attività. Si fa distinzione tra due dimensioni diverse della felicità e due tipi di domande per valutarle. Uno è fare domande sulle emozioni recenti, per esempio sulla giornata precedente, e viene definita felicità AFFETTIVA; l’altro modo è fare domande sulla situazione complessiva riguardo alla vita, usando la scala di Cantril: si tratta della felicità VALUTATIVA. Secondo questa valutazione, i paesi più ricchi sono in genere più felici, ma alcuni paesi di reddito medio sono vicini alla testa della classifica della felicità, e alcuni paesi ricchi non sono così felici. America, Europa, Australia, NZ sono in alto nella classifica. Si nota che il reddito per persona conta molto, ma c’è anche un altro elemento, quello del “capitale sociale”, cioè la qualità di ambiente e comunità sociali (lavoro, comunità, fiducia nel governo, qualità della vita sociale…). Anche la salute fisica e mentale hanno un ruolo importante, quindi la disponibilità di servizi per tutelarle è un fattore chiave per migliorare la vita degli individui. Anche i valori di ogni individuo e della società intera sono importanti. Chi è orientato verso valori materialistici, non è felice come chi ha un orientamento meno materialistico. Si rileva un alto grado di felicità negli individui per cui la generosità e l’altruismo sono importanti. Non si può basare la felicità solo sul perseguimento di un alto reddito pro capite, ma si deve assumere un atteggiamento più equilibrato e olistico: la società dovrebbe puntare anche sulla salute, inclusione sociale, correttezza e onestà dei governanti, sull’altruismo. CONVERGENZA O DIVERGENZA Si deve studiare come i paesi poveri possono ridurre e, alla fine, annullare il divario di sviluppo con i più ricchi. Per esprimere questo concetto, gli economisti usano due termini: CONVERGENZA, usato per indicare una riduzione del divario proporzionale tra una paese povero e uno più ricco scelto come termine di paragone. L’opposto è DIVERGENZA, cioè il paese più povero sta diventando ancora più povero se paragonato al ricco. La prima fase della crescita moderna, tra 1750 e 1950, è caratterizzata dalla divergenza, poi dalla convergenza. La rivoluzione industriale diede il primo stimolo al PIL pro capite in Inghilterra, poi in USA, Europa, Australia, NZ, Canada. Questo processo economico, fu improntato alla divergenza, perché in questi paesi i ricchi si arricchivano sempre più, mentre nel resto del mondo, i poveri rimanevano poveri. Poi, nella fese dell’imperialismo, l’Europa assunse il controllo politico di molte zone del mondo, non permettendo la convergenza. I padroni imperialisti non erano interessati allo sviluppo economico e sociale delle colonie, ma le sfruttavano soltanto per le loro risorse naturali, a beneficio della madre patria. Dopo la II GM ci fu la fase caratterizzata dalla fine della dominazione coloniale, con molti paesi al mondo che conquistarono l’indipendenza politica, quindi la crescita economica in questi paesi fu normale, grazie anche ai progressi tecnologici: ecco la tendenza alla convergenza. Uno degli obiettivi dello sviluppo sostenibile è che tutti i paesi oggi a basso reddito riescano almeno a entrare nella categoria dei paesi a reddito medio. La Cina ne è un esempio, perché dal 1978, nel corso di 35 anni, ha ottenuto grandi risultati economici. Ci sono però dei paesi bloccati in condizione di povertà: ne è esempio il Niger, una delle nazioni più povere al mondo e in fondo alla classifica mondiale dell’ISU; non ha imboccato la via della convergenza. È ancora inchiodato sotto i 1000 dollari. Il PIL pro capite cinese è passato da circa il 2% di quello USA a una quota di circa 20%. Il suo reddito è ancora molto più basso di quello USA, ma il divario si è ridotto molto. Il Niger invece è partito da un reddito di circa 4% di quello americano, e nel 2010 la % è scesa sotto il 2, quindi il divario è aumentato e si parla ancora di divergenza. Cap. 3 Breve storia dello sviluppo economico L’ERA DELLA MODERNA CRESCITA ECONOMICA Il mondo che abbiamo esaminato è spaccato, fra 55 paesi ad alto reddito, 103 paesi a medio reddito e 36 paesi a basso reddito (usa: reddito annuo per persona di oltre 50000 dollari; Niger: reddito annuo per persona sotto i 500 dollari). Come si sono formate queste enormi differenze? Prima dell’avvio della Rivoluzione industriale intorno al 1750, i livelli di reddito del mondo erano sostanzialmente uguali e tutti i paesi del mondo erano rurali. Solo a partire dalla Rivoluzione industriale alcune parti del mondo si trasformarono da società rurali a urbane, passando dall’agricoltura di sussistenza a quella ad alta produttività, dall’industria a domicilio a quella moderna, fino a diventare ciò che sono oggi, cioè moderne economie industriali e di servizi a tecnologia avanzata. La nostra specie, L’Homo sapiens, esiste da circa 1.500.000 anni, la nostra civiltà, fondata sull’agricoltura, da circa 10.000 anni. Dall’anno 1 d.C., il valore stimato del PML è rimasto circa invariato per 1800 anni; il decollo inizia nel 1750 e anche oggi l’economia mondiale è in forte crescita. Il prodotto mondiale totale, che è la somma del PIL di ciascun paese è composto da due fattori: il PIL pro capite e la popolazione mondiale. Moltiplicandoli fra loro otteniamo il prodotto mondiale totale. La popolazione è rimasta sostanzialmente stabile per migliaia di anni con una dimensione inferiore al mezzo miliardo di persone al tempo dell’impero romano. A partire dalla metà del Settecento, ha cominciato a crescere rapidamente. Questo incremento demografico fu favorito in gran parte da cambiamenti nel know-how economico e tecnologico, con la possibilità, di nutrire una popolazione numerosa. Anche il prodotto pro capite è cresciuto notevolmente, a partire dall’inizio della Rivoluzione industriale. Il mondo prima del 1750 era un mondo di povertà, con la gente nelle campagne e sempre esposta a rischi. Uno dei maggiori economisti della nostra epoca, fece una descrizione molto accurata di questo lungo periodo di quasi stasi, dai tempi dell’impero romano fino agli inizi della Rivoluzione industriale. La tesi di Keynes è che la tecnologia ha un ruolo cruciale per lo sviluppo economico. Nel corso di un lungo periodo, è rimasta praticamente invariata, tanto che le condizioni erano simili per gli agricoltori del mondo romano e quelli britannici del 1600: tenore di vita più o meno uguale, medesime tecniche, un mondo quasi immutato su un arco di tempo di ben diciassette secoli. Le curve della popolazione, del prodotto pro capite e dell’innovazione tecnologica cominciano a impennarsi improvvisamente. LA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE E L’INGHILTERRA La crescita economica moderna ebbe inizio in Inghilterra. Si trattò di un evento straordinario raro, eccezionale, che si verificò in Inghilterra a metà del Settecento per poi diffondersi in tutta l’economia mondiale. Per la prima volta, la base economica di una società non era più costituita dall’agricoltura, ma dall’industria, che richiedeva un cambiamento nel know-how e nella tecnologia. Le nuove tecnologie, il motore a vapore, filatura e tessitura meccanizzate, produzione siderurgica su larga scala, furono essenziali. Era necessario aumentare la produttività dell’agricoltura per disporre di un surplus di derrate alimentari da destinare ai R&S. A questo processo contribuisce anche il fatto che le innovazioni possono essere combinate fra di loro, moltiplicandone gli effetti. Fin dagli albori della Rivoluzione industriale ci sono state ondate di innovazione tecnologica. Su queste ondate tecnologiche sono state formulate numerose teorie, la più importante fu quella dell’economista Nicolaj Kondrat’ev. La sua idea principale era che lo sviluppo economico fosse stimolato da ondate di grande cambiamento tecnologico che risalivano alla Rivoluzione industriale. Egli considerò questi cicli di cambiamento tecnologico di lunga durata come i principali fattori trainanti del progresso economico. I seguaci di Kondrat’ev individuano approssimativamente da 4 a 6 cicli di cambiamento tecnologico di lunga durata. Il primo ciclo di Kondrat’ev mette al centro la macchina a vapore (1780-1830). Il secondo ciclo è rappresentato dall’esplosione delle attività nei settori della costruzione delle ferrovie e della produzione di acciaio (1830-1880). Queste tecnologie rivoluzionarono le economie nazionali e quella mondiale poiché ridussero drasticamente i costi di trasporto e quindi permisero di collegare fra di loro anche mercati molto distanti: le materie prime si potevano trasportare, agevolmente e con profitto, e commerciare sui mercati internazionali. Il terzo ciclo è rappresentato dall’era dell’elettricità (1880-1930). Le grandi scoperte nel campo della fisica dell’elettricità risalgono alla fine del Settecento e alla prima metà dell’Ottocento. Poi verso la fine dell’Ottocento, Edison e altri applicarono queste nuove conoscenze scientifiche per darci l’illuminazione elettrica con le lampadine a incandescenza, prima nelle strade delle città, poi nelle case e nelle fabbriche. Il quarto ciclo è l’era dell’automobile, favorendo il trasporto di massa e la crescita delle città, e dell’industria chimica, con nuovi materiali, come fertilizzanti chimici (1930-1970). Potremmo inserire in questo quarto ciclo anche l’era dell’aviazione moderna della prima metà del XX secolo. Il modello a T del 1908, basato sul processo della catena di montaggio, favorì la produzione in serie di auto e camion, che modificò velocemente il nostro modo di vivere. Il quinto ciclo parte intorno al 1970. È l’era dell’ICT resa possibile dalla rivoluzione digitale, che si basa sulla comprensione del fatto che l’informazione complessa si può memorizzare con sequenze di 0 e di 1 (i bit) e che tali bit possono essere elaborati e trasmessi con velocità e precisione inimmaginabili mediante nuove invenzioni quali transistor. L’era dell’ICT ha dato origine all’economia della conoscenza, nella quale enormi quantità da dati possono essere immagazzinati, elaborati e trasmessi a livello globale per essere poi utilizzati in ogni settore economico. L’invenzione e la diffusione della telefonia mobile, e di altri dispositivi palmari, ha fatto della rivoluzione ICT anche una rivoluzione mobile. L’ICT consente grandi passi avanti nella geolocalizzazione, nella mappatura spaziale e in numerose applicazioni in campo geografico. Dalla metà degli anni 50, la capacità di gestire bit e byte è cresciuta di un miliardo di volte. Nel 1990, i cellulari erano 50 milioni, nei paesi ricchi. Nel 2014 erano circa 7 miliardi gli utenti di cellulari, di cui 1 miliardo di smartphone. Il mondo dell’info online è potenzialmente accessibile da quasi tutta la società globale. Ci sarà presto un sesto ciclo Kondrat’ev? Ciò di cui ora abbiamo veramente bisogno sono le tecnologie sostenibili: si parla quindi di ciclo della tecnologia sostenibile, il cui avvento è uno degli scopi dei lavori per conseguire lo sviluppo sostenibile. LA DIFFUSIONE DELLA CRESCITA ECONOMICA Gli USA sono stati il principale leader tecnologico per più di un secolo e fra i paesi all’avanguardia dal 1820. La crescita annua dell’1,7% mantenuta stabile per ben due secoli è un grande risultato, tanto che l’economia che nel 1820 era di 2000 dollari pro capite ora è di circa 52000 dollari. Molte zone del mondo hanno voluto mettersi alla pari con i leader tecnologici e questo secondo tipo di crescita potrebbe anche essere definito come un processo di diffusione, come qualcosa che si propaga da un posto all’altro. Adam Smith, nella Ricchezza delle nazioni, scrisse che per la diffusione ci sarebbe voluto molto tempo e che la crescita economica avrebbe preso avvio lungo le coste per propagarsi all’interno solo con un considerevole sfasamento temporale. È lungo le coste che vi sono le condizioni più agevoli per gli scambi commerciali, per la specializzazione e per la dinamica dei mercati. La causa dello sfasamento temporale sta negli elevati costi di trasporto di beni e servizi verso le zone interne di un paese o di un continente, tranne per le località adeguatamente servite da ponti fluviali o canali artificiali. Oltre due secoli dopo la pubblicazione del libro di Smith, paesi senza sbocco sul mare come Bolivia, Ciad, Niger, e Nepal subiscono gli svantaggi degli elevati costi di trasporto. Comunque, è più probabile che un paese povero situato vicino a uno ricco sia più avvantaggiato e raggiunto prima dalle innovazioni. Nel 1800 i paesi dell’Europa occidentale geograficamente vicini alla Gran Bretagna furono avvantaggiati. La vicinanza quindi gioca un ruolo fondamentale. I paesi ad alto potenziale agricolo hanno maggiori probabilità di incrementare rapidamente i rendimenti delle attività agricole che liberano forza lavoro da impiegare nell’industria e nei servizi. I paesi che dispongono di risorse energetiche (carbone, petrolio e gas, energia idroelettrica, energia solare ed eolica) godono di un forte vantaggio nella crescita catch-up. Nell’800 erano avvantaggiate le regioni ricche di carbone, nel 900 quelle ricche di petrolio e gas naturale; nel XXI secolo saranno forse favorite le regioni desertiche, che dispongono di un altissimo potenziale nella produzione di energia solare a basso costo. È importante anche un ambiente salutare e sano, per avere beneficio dalle onde tecnologiche provenienti dall’estero. Importante è anche la politica: se la politica funziona male, allora la crescita catch-up non è possibile. Nell’800 e fino agli anni ’60/’70 del 900, molti paesi non sono stati in grado di progredire semplicemente perché erano governati da potenze straniere. Gli imperi europei tennero inchiodate nella stagnazione economica la maggior parte dell’Africa e una buona parte dell’Asia. Le grandi potenze non erano interessate allo sviluppo economico delle loro colonie ma solo alla sfruttamento delle loro materie prime. Negli ultimi anni del 1900, i problemi sono più di politica interna che internazionale. Modelli storici della crescita catch-up Ci si domanda quando ciascuna economia riuscì a liberarsi della povertà estrema, quindi quando le onde della crescita economica globale hanno cominciato a arrivare in ciascuna economia nazionale. Il primo paese a raggiungerla fu la GB, poi le onde si sono propagate. Le onde hanno raggiunte l’Europa durante il 1900, mentre per ciò che riguarda il resto del mondo, le onde devono coprire lunghe distanze, affrontare situazioni molto complesse e superare barriere, quindi la crescita catch-up è stata lenta. Il primo passo avanti fuori dall’Europa è stato fatto in USA e Australia, colonizzati dalla GB, anche perché questi insediamenti godevano di condizioni favorevoli, tra cui terreno coltivabile, risorse energetiche, coste adatte a scambi commerciali, legami con l’industria e conoscenze tecniche. L’altro gruppo di paesi comprende Argentina, Uruguay, Cile e Giappone. Il Giappone fu la prima economia asiatica a conseguire la crescita catch-up. Giappone e GB sono simili a livello geografico: isole al largo del continente, protetti dalle invasioni, hanno potuto beneficiare di ampi scambi commerciali con il continente, si trovano dove il clima è temperato, hanno un ambiente salubre, si erano formate, dal 1800, società urbane e politicamente stabili. Alla fine del XIX secolo, l’India, gran parte dell’Asia e tutta l’Africa erano sotto il dominio coloniale europeo; la maggior parte delle regioni colonizzate non conobbe la moderna crescita economica fino alla decolonizzazione avvenuta fra gli anni ’40 e ’60 del secolo scorso. Lo sviluppo economico dopo la seconda guerra mondiale: l’origine della globalizzazione L’inizio del 900 fu un’epoca economica miracolosa. Ci fu un grande aumento della capacità di produrre beni e servizi, soddisfare i bisogni materiali, allungare la durata della vita, risolvere problemi di salute pubblica e fare grandi passi avanti in termini di qualità della vita mediante l’elettrificazione, i moderni mezzi di trasporto e la produzione industriale di massa. Vi erano però anche molte differenze tra ricchi e poveri. La moderna crescita economica era ormai pienamente avviata in Europa e in pochi altri paesi delle zone a clima temperato ma non ancora nel resto del mondo. Alla fine della I guerra mondiale, Keynes volge lo sguardo al periodo prebellico. Parlava da cittadino inglese, brillante e privilegiato, mentre chi si trovava sotto il tallone del domino coloniale non poteva fare altrettanto. Eppure, K., esprimeva anche l’eccezionalità di un’epoca nella quale la moderna crescita si era affermata in molte parti del mondo e aveva già creato un’economia di mercato globale. Quell’economia globale soccombette alla guerra e al caos, con lo scoppio della I GM nel 1914. La I GM provocò molti morti dopo il 1914, il caos economico nei ’20, le dittature di Hitler e Mussolini, la Grande Depressione e, nel 1939, lo scoppio della II GM, che sconvolse il mondo fino al 1945. Alla fine del II conflitto mondiale, molte tecnologie innovative (radar, computer, aviazione, energia persistenza della povertà, l’economista non deve offrire solo una diagnosi, o prescrizione o richiedere un solo consulto, ma dovrebbe fare una diagnosi accurata in base a condizioni, storia, situazione geografica, cultura e struttura economica del paese considerato. Si tratta di una DIAGNOSI DIFFERENZIALE, rifacendosi a un termine medico, con un approccio chiamato “economia clinica”. Si può anche stilare una lista di controllo, come fanno i medici, per una certa “malattia” ancora diffusa nel XXI secolo, cioè la POVERTA’ ESTREMA, entro cui sono intrappolate un miliardo di persone ancora oggi, specie concentrate nell’Africa subsahariana e nell’Asia Meridionale, e in qualche altra zona. La lista di controllo comprende 7 categorie e varie sottocategorie. 1) la condizione di base potrebbe essere la TRAPPOLA DELLA POVERTA’, che si ha quando il paese è troppo povero per investire e cancellare le privazioni materiali. 2) potrebbe essere la conseguenza di POLITICHE ECONOMICHE SBAGLIATE, come un errore nelle strategie di investimento. 3) la povertà potrebbe riflettere il DISSESTO FINANZIARIO dello stato. 4) potrebbe essere dovuta alla POSIZIONE GEOGRAFICA (es. no sbocchi sul mare, o isolato tra le montagne, o soggetto a continue calamità o malattie endemiche). 5) che il paese sia vittima di un CATTIVO GOVERNO, quindi le politiche possono apparire buone, ma poi sono rovinate da corruzione o incompetenza. 6) la causa possono essere le BARRIERE CULTURALI, come la discriminazione della donna. 7) fattore rappresentato dalla GEOPOLITICA, cioè dalle relazioni politiche e di sicurezza che un paese intrattiene con i propri vicini, nemici o alleati. Se un paese è protetto da eventuali attacchi, ha piena sovranità, può stabilire rapporti commerciali pacifici con altri paesi, la geopolitica favorisce lo sviluppo economico. Per esempio, l’Afghanistan non ha sbocchi sul mare, è soggetto a calamità climatiche, dal 1978 ha subito guerre, incursioni, invasioni, attacchi terroristici; ecco perché è uno dei luoghi più poveri al mondo. In Bolivia, in anni 80, ci fu un’iperinflazione, poiché i prezzi aumentavano anche del 10000 per cento all’anno. Era necessario mettere sotto controllo il bilancio. La Polonia, nel 1989 stava passando dal comunismo a un’economia di mercato, dalla dittatura alla democrazia. Anche in questo caso, si parla di alta inflazione e crollo della produzione. Quindi, era necessario impostare una strategia economica che reintroduca le forze di mercato, domanda e offerta. A metà anni 90, in Africa subsahariana le condizioni e le cause all’origine della povertà erano differente dalle cause degli altri due casi. L’Africa era colpita da una grave epidemia di AIDS, quindi aveva bisogno di una diagnosi specifica. I governi sapevano che avrebbero dovuto estendere l’assistenza sanitaria, migliorare l’istruzione, costruire infrastrutture varie, assicurare l’accesso all’acqua potabile e ai servizi igienici, ma non avevano le risorse finanziarie per metterli in atto. Due vie si potevano adottare: una è quella in cui lo stato prenda a prestito i fondi necessari per gli investimenti pubblici e poi si affidi alla futura crescita per ricolmare le proprie casse e restituire i prestiti. La seconda è che governi, aziende estere, le istituzioni internazionali, diano un sostegno temporale per finanziare i bisogni più urgenti. È un sostegno definito AIUTO ALLO SVILUPPO e comprende molti aiuti: si parla di ASSISTENZA UFFICIALE ALLO SVILUPPO, quando stati e agenzie danno l’aiuto. Se viene dato da ONG viene chiamato AIUTO PRIVATO ALLO SVILUPPO. Nel 2000, si sono stilati gli obiettivi del millennio e sono state create delle istituzioni giuste per dare gli aiuti a progetti efficaci. Uno dei principali è il Fondo globale per la lotta all’AIDS, la tubercolosi e la malaria: le donazioni affluiscono dal fondo, che poi le distribuisce ai paesi poveri colpiti da quelle tre malattie. Comunque, resta forte la resistenza nei confronti degli aiuti ufficiali. ULTERIORI CONSIDERAZIONI DI NATURA GEOGRAFICA: TRASPORTI, ENERGIA, MALATTIE, RACCOLTI Spesso i professionisti trascurano le condizioni geografiche come fattore che contribuisce al persistere della povertà. Il PIL pro capite è molto collegato alla situazione geografica. I paesi tropicali sono in genere più poveri di quelli delle zone temperate. I paesi senza sbocchi sul mare, o anche quelli nella cintura dell’Asia Pacifico sono in genere più poveri: sono quindi più vulnerabili. Le grandi città ci sono ovunque, ma soprattutto lungo le coste o all’interno ma sui grandi fiumi, in modo da sfruttare il commercio per via d’acqua, che stimola la crescita economica. Il decollo economico della GB nel 1700 fu favorito dal fatto di essere un paese costiero dotati da molti e buoni porti. E Londra, sul Tamigi, attirò i traffici del commercio internazionale. Inoltre la topografia dell’Inghilterra favoriva la costruzione di canali dove i fiumi non arrivavano. I grandi paesi continentali, come la Russia, sono svantaggiati e anche molti paesi dell’Africa sono privi di sbocchi sul mare; inoltre le merci devono anche passare un confine politico. Un altro aspetto geografico sono le riserve di carbone, perché l’energia è al centro di ogni attività economica. Comunque, anche quei paesi che sono privi di combustibili fossili possono farcela comunque, tramite l’esportazione di merci e servizi per pagare le importazioni energetiche. Alcuni paesi ne dispongono di grandi quantità, altri ne sono privi. Gli USA consumano circa 20 milioni di barili al giorno, ma hanno solo il 2% delle riserve petrolifere mondiali. Il medio oriente invece controlla più del 60% delle riserve petrolifere mondiali. L’Arabia Saudita è dotata di enormi riserve di petrolio e altri paesi dotati sono Iraq, Kuwait, Iran, Venezuela. In africa pochi paesi dispongono di petrolio. Le risorse possono essere un beneficio, ma si parla anche di “maledizione delle risorse”, perché, se gestite male, portano la ricchezza a essere una maledizione. Per esempio, spesso i flussi finanziari derivanti dall’export di petrolio originano forme di corruzione o instabilità politica. Il cattivo uso delle rendite petrolifere portano al dilagare del degrado ambientale. Il clima è un altro aspetto geografico importante per lo sviluppo sostenibile e la crescita a lungo termine, perché influisce su produttività agricola, malattie, scarsità o disponibilità di acqua, vulnerabilità. La classificazione climatica di Koppen mostra diverse regioni climatiche: aree tropicali, con clima caldo durante tutto l’anno; hanno problemi riguardanti la produzione agricola e l’incidenza delle malattie dovute a caldo e umidità. Regioni aride, dove le precipitazioni sono molto scarse e le possibilità di avere raccolte quasi inesistenti. Prevale la pastorizia e ancora una vita nomade. Le coltivazioni sono difficili e queste regioni sono vulnerabili alla povertà estrema. Ci sono poi le zone temperate, in cui sia l’inverno che l’estate hanno ragionevole abbondanza di acque. Sono zone privilegiate per la produzione di cereali e sono quelle che hanno i redditi più alti del mondo e dove crebbe lo sviluppo economico. La crescita economica si diffuse anche secondo la “vicinanza climatica”, cioè l’affinità del clima di una località con quello inglese. Vi sono le regioni fredde, dove la stagione delle coltivazioni è breve e le attività agricole sono pressochè impossibili. Il caso principale di una malattia dipendente dal clima è la MALARIA, malattia infettiva trasmessa dalle zanzare e il cui agente patogeno è un microrganismo parassita, il Plasmodium. Una zanzara si infetta quando punge un uomo già contagiato dalla malaria. Dopo circa due settimane, succhiando il sangue da un altro uomo non ancora contagiato, lo infetterà perché gli trasmetterà il Plasmodium. Dopo un po’ questo contrae la malaria. Viene trasmessa solo da un certo tipo di zanzara e solo quando c’è una temperatura di oltre 18 gradi. L’Africa è più soggetta alla malaria, per tre aspetti: alte temperature tutto l’anno, piogge durante tutto l’anno, e la presenza della specie più letale di zanzara, che succhia il sangue alle persone, non al bestiame o altri animali. Il 90% dei decessi per malaria nel mondo si verificano in Africa subsahariana. La malaria frena lo sviluppo economico generale. Oggi comunque le nazioni africane possono usare metodi avanzati per controllare la malaria. Una situazione geografica sfavorevole non impedisce lo sviluppo, ma segnala gli investimenti necessari per superare ostacoli geografici. Per esempio, per la mancanza di sbocchi sul mare si può costruire una buona rete stradale e ferroviaria per raggiungere i porti; per la scarsità d’acqua si può puntare sull’irrigazione usando nuovi sistemi di pompaggio alimentati da energia solare; per la forte incidenza di malattie si possono rafforzare gli interventi della sanità pubblica ; per il rischio di calamità si può monitorare la probabilità di eventi , informando sempre la popolazione e dando adeguate infrastrutture fisiche e sociali; per la mancanza di combustibili fossili, si possono studiare opzioni alternative per avere fonti interne di energia, come idroelettrica, eolica e solare. Il ruolo della cultura: demografia, istruzione, genere La cultura può essere un modo comodo, ma offensivo, per spiegare la povertà di qualcun altro. I ricchi spesso pensano che la loro ricchezza sia data dalla loro cultura superiore, attribuendo ai poveri le colpe di essere pigri o di avere credenze religiose sbagliate. È accaduto con il Giappone: nel 1870, quando era ancora povero, europei e americani condannavano i giapponesi per la loro indolenza. Quando il paese ebbe il boom economico, europei e americani si lamentavano che la cultura giapponese li induceva a lavorare troppo duramente. Gli atteggiamenti culturali cambiano nel tempo, evolvono e possono farlo in modo da favorire lo omogenei. Altre motivazioni sono storiche: per difendersi dalla tratta degli schiavi, si sostiene che molti siano scappati all’interno per stare più al sicuro. Inoltre, in molte zone l’ambiente costiero è sfavorevole agli insediamenti. Nell’Africa est, le coste sono molto aride e i venti portano le piogge sugli altopiani all’interno. Il retaggio coloniale ebbe altre conseguenze: quando l’Africa ottenne l’indipendenza (tra ’50 e ’60 del 1900) gli africani con un buon titolo di studio erano pochi, perché le potenze europee non favorivano l’istruzione; inoltre i paesi colonizzatori non diedero molto alla rete infrastrutturale. In India, c’è una rete ferroviaria integrata, perché la GB, unica potenza coloniale nel paese, creò un’infrastruttura unitaria. In Africa, dove vi erano condizioni topografiche e geografiche difficili e più divisioni politiche, le potenze coloniali non costruirono una rete di trasporti integrata, ma ogni potenza fece per sé, costruendo le proprie ferrovie, spesso da un porto verso una miniera o piantagione, quindi il sistema ferroviario era un insieme scollegato di singole linee. Comunque, i fardelli storici o geografici non sono un destino immutabile, ma sono le motivazioni che devono spingere ad agire. I problemi della povertà estrema si possono risolvere, tramite gli strumenti dell’istruzione, dell’assistenza sanitaria, dell’agricoltura, energia, trasporti, finanza. Cap. 5 Sradicare la povertà estrema PERCHE’ CREDIAMO CHE LA POVERTA’ ESTREMA POSSA ESSERE SCONFITTA Dove la crescita si è verificata, la povertà estrema è diminuita. C’è motivo di credere che la crescita economica sostenuta possa diffondersi alle regioni finora rimaste escluse e quindi eliminare le ultime sacche di povertà. Tale prospettiva non è per nulla certa, non si verificherà spontaneamente ma, al contrario, dovrà essere conquistata attraverso un deciso impegno locale, nazionale e globale. La soglia della povertà stabilita della Banca Mondiale è certamente la più utilizzata. La BM definisce la povertà estrema un reddito inferiore a 1,25 dollari (USA, a prezzi internazionali 2005) al giorno. In base a tale valore, si stimava che nel 2010, le persone sotto la soglia di povertà estrema fossero 1,2 miliardi. È però una definizione un po’ ristretta. Sarebbe meglio definire la soglia della povertà estrema in base alla capacità degli individui di soddisfare i bisogni primari: cibo, acqua, servizi igienici, abitazione, vestiario, accesso all’assistenza sanitaria, istruzione di base, trasporti, energia. Quindi, si definiscono estremamente poveri quegli individui che, per mancanza di reddito famigliare o servizi pubblici, non possono soddisfare i loro bisogni primari. Con questa definizione, se ne contano quasi 2 miliardi. Questi bisogni costituiscono il minimo necessario per la sopravvivenza e la dignità umana. La BM misura anche altre soglie, più alte degli 1,25 dollari al giorno; una di queste traccia il confine a 2 dollari al giorno. Ovviamente, sotto questa soglia si trova una quota più alta di abitanti del pianeta: al 2010, la stima è di 2,4 miliardi di persone. Il tasso di povertà misura la percentuale della popolazione sotto una data soglia di povertà. Dal 1981 al 2008, il tasso di povertà si è dimezzato. Per quanto riguarda le macroregioni, la Cina ha ottenuto una grande riduzione della povertà, con povertà estrema dall’84% del 1981 al 12% nel 2010. In Africa, il tasso di povertà ha cominciato a diminuire solo dal 2000. L’Asia sud è in una situazione intermedia. Con l’impiego di politiche adeguate è possibile prevedere la fine della povertà estrema sul pianeta entro questa generazione, forse per il 2030 o il 2035. L’Africa ha già preso questa strada e recentemente i tassi sono saliti a circa 6% annuo; il successo dipenderà da politiche interne ma anche dalla collaborazione con altre aree del mondo. Keynes evocò l’idea di porre fine alla povertà già nel 1930 (parlava dei paesi ricchi): disse che sarebbe potuta essere una questione passata entro il 2030. E, in effetti, nel 1980 nei paesi ad alto reddito la povertà era scomparsa. Keynes fece quella previsione quando la popolazione era di 2 miliardi, oggi è di 7,2; inoltre lui parlò di assenza di guerre, invece ci fu la disastrosa II GM. Nonostante questi 2 fatti, aumento demografico e persistere delle guerre, l’idea di Keynes è che il progresso tecnologico può porre fine alla povertà: questa idea è valida tuttora. Gli obiettivi di sviluppo del millennio Nel settembre del 2000, oltre 160 capi di stato e di governo si riunirono alle nazioni unite per presentare e comunicare le speranze del mondo per il nuovo millennio. Kofi Annan, all’epoca segretario generale dell’ONU, propose ai leader mondiali una “dichiarazione del millennio” davvero rivoluzionaria. Vennero proposti dei grandi obiettivi globali: diritti umani universali, pace e sicurezza, sviluppo economico, sostenibilità ambientale e una riduzione radicale della povertà estrema. Con la Dichiarazione, i leader mondiali fecero propri 8 obiettivi di sviluppo che ben presto divennero noti come obiettivi di sviluppo del millennio (millennium development goals, MDG). Gli obiettivi sono espressi in modo da poter essere compresi nei villaggi, negli slum, nei posti dove i poveri vivono, lavorano e lottano per la sopravvivenza, ecco perché sono rappresentati con un disegnino. Lo scopo degli obiettivi è migliorare le condizioni di vita delle popolazioni più deboli del pianeta. Ma il loro intento è anche quello di stimolare l’intervento attivo delle varie componenti della società: governo, imprese, comunità, famiglie, gruppi religiosi, studiosi e singoli individui. Gli obiettivi sono intesi a suscitare un ampio cambiamento sociale. Gli otto obiettivi: 1.Sradicare la povertà estrema e la fame; 2. Rendere universale l’istruzione primaria 3. Promuovere l’uguaglianza di genere, in modo tale che le donne abbiano gli stessi diritti degli uomini e le medesime possibilità di accesso al progresso economico; 4. Ridurre la mortalità infantile; 5. Ridurre la mortalità materna e migliorare la salute riproduttiva; 6. Combattere AIDS, malaria e altre malattie importanti; 7. Promuovere la sostenibilità ambientale; 8. Chiede di promuovere una partnership globale per mezzo della quale i paesi ricchi aiutino quelli poveri a raggiungere i primi sette obiettivi. Ogni obiettivo ha specifici target quantitativi e decine di indicatori. Per esempio, l’obiettivo 1 ha tre target: Target 1A. dimezzare, tra 1990 e 2015, la % di popolazione il cui rettito è sotto 1 dollaro al giorno; Target 2A. raggiungere un’occupazione piena e produttiva e un lavoro dignitoso per tutti; Target 1C. Dimezzare, tra 1990 e 2015, la % di popolazione che soffre la fame. Gli MDG hanno attirato l’attenzione mondiale sulle condizioni dei poveri e anche contribuito a stimolare la ricerca di soluzioni per vincere le rimanenti sacche di povertà estrema. Come insegna la storia economica, le forze fondamentali di lungo termine che fanno diminuire la povertà sono tecnologiche. I progressi sono stati veramente notevoli, si sono fatti importanti passi avanti. Il tasso di povertà estrema è drasticamente diminuito: nel complesso, dal 1990 si è più che dimezzato. Gli MDG in Africa hanno avuto un ruolo decisivo nel contribuire a porre fine a un lungo periodo di stagnazione e di povertà crescente e ai inaugurarne uno di povertà in calo, di salute pubblica in miglioramento e di crescita economica più dinamica. Si sono ottenuti buoni risultati anche in molti altri MDG per esempio alla lotta contro le malattie. Oggi, grazie agli MDG e ai relativi piani di assistenza sanitaria, milioni di persone nei paesi a basso reddito sono ancora in vita in quanto hanno potuto usufruire gratuitamente dei farmaci antiretrovirali, veri e proprio “salvavita”. Uno trionfo della sanità pubblica è quello legato alla riduzione dell’incidenza della malaria e dei conseguenti decessi. In Africa, i decessi per la malaria hanno toccato il massimo intorno al 2005 per poi cominciare a diminuire in maniera consistente. Un risultato ottenuto mediante l’intensificazione di piani sanitari per il controllo della malattia basati su numerose tecnologie d’avanguardia. La combinazione di continue innovazioni tecnologie con una corretta “diagnosi differenziale” per individuare i bisogni prioritari di ciascuna regione a basso reddito può dunque indirizzare gli investimenti verso efficaci programmi di lotta alla povertà, che si tratti di infrastrutture, dell’assistenza sanitaria, della disponibilità di acqua potabile e di servizi igienici, o della possibilità di andare a scuola. STRATEGIE PER PORRE FINE ALLA POVERTA’ ESTREMA Ci sono circa 1,2 miliardi di persone che vivono ancora sotto la soglia di povertà stabilita dalla Banca Mondiale (1,25 dollari pro capite al giorno). La regione più colpita dalla povertà è l’Africa sub sahariana: si stima che nel 2010 il 48,5 % della popolazione fosse sotto la soglia di povertà (percentuale oggi in calo). L’altra regione è l’Asia meridionale, dove nel 2010 si stimava un tasso di povertà pari al 31% della popolazione. Nel 2010 le condizioni di povertà in Africa erano di 413 milioni mentre nell’Asia meridionale 507 milioni (da sole queste: 76% di tutta la povertà estrema mondiale). Nell’Asia orientale, il 20% circa della popolazione totale, 250 milioni di persone, si trova ancora in povertà estrema, anche se qui il numero si è ridotto pianificazione familiare. ASIA MERIDIONALE, LA SFIDA PERMANENTE DEGLI APPROVVIGIONAMENTI ALIMENTARI. Nell’Asia meridionale pur avendo fatto progressi nella riduzione della povertà, ci sono ancora 500 milioni di poveri su una popolazione totale di circa 1,6 miliardi di persone. L’India e il Bangladesh sono tra le zone del mondo più densamente popolate. Nel corso della storia indiana, le conseguenze dell’alta densità demografica sono state negative. Negli anni 50 e 60 ritenevano che la popolazione fosse così numerosa che non sarebbero stati in grado di procurarsi le necessarie risorse alimentari. L’India ha evitato le carestie di massa e anche nel corso degli ultimi vent’anni ha avuto una crescita ragionevolmente veloce. Attraverso l’IT l’India si è integrata nell’economia mondiale. Il successo dell’India parte dall’agricoltura, poiché la società era costituita in grande maggioranza da piccoli coltivatori diretti sempre alle prese con la scarsità e l’insicurezza delle risorse alimentari. È stato il grande progresso della tecnologia agricola degli anni 50 e 60 a consentire all’India di superare le ricorrenti carestie del passato e dare inizio a una crescita economica sostenuta. La Rivoluzione Verde ebbe inizio grazie a Borlaug (premio Nobel per la pace), un agronomo che, mentre lavorava in Messico, mise a punto una varietà di sementi ad alta resa per il frumento. Le sementi speciali sviluppate per le condizioni climatiche messicane, furono seminate nei terreni indiani. Il primo anno le cose non andarono bene ma nel secondo anno si vide che quelle varietà funzionavano a meraviglia anche nelle condizioni climatiche indiane, se seminate in modo giusto. Per farla scoppiare questa rivoluzione si inserì il ministro dell’Agricoltura dell’India nella prima metà degli anni 60. I risultati furono sorprendenti, le rese delle colture indiane registrarono un fortissimo aumento. Miglioramento delle sementi, maggiore impiego di fertilizzanti e l’irrigazione grazie ai quali le rese aumentarono. C’è ancora un problema: la rapida crescita demografica dopo il 1965, in cui la popolazione è cresciuta così rapidamente da mangiarsi tutti i guadagni ottenuti nelle rese agricole. Si ha una nuova crisi alimentare. Mentre la produzione di cereali è aumentata di 4 volte, la popolazione si è triplicata, annullando molti alimenti della produzione pro capite. Dai primi 90 in poi, l’incremento demografico indiano ha portato al blocco dell’aumento della produzione di cereali, che oggi è inferiore a quello di 20 anni fa. La stagnazione della produzione pro capite, nelle zone rurali dell’India, una nuova serie di questioni e di tensioni legate alla fame. Il problema di malnutrizione/denutrizione cronica dei bambini. Quando i bambini non ricevono necessari elementi nutritivi, si ha lo stunting ovvero il blocco della crescita, con un basso rapporto altezza/età. Diffuso in Africa e soprattutto in India. Si dovrebbe ricorrere a una Seconda Rivoluzione verde, chiamata Rivoluzione sempreverde, ponendo l’accento non solo sulle rese, ma anche su una maggiore efficienza nel ridurre i consumi d’acqua, fertilizzanti e altro. Dovrà sviluppare colture capaci di resistere a ondate di calore, siccità, inondazioni per via del cambiamento climatico. In India e in Asia devono fare anche fronte al problema della parità dei sessi. Le donne, in molte culture dell’Asia meridionale, sono fortemente penalizzate: a molte non è consentito lavorare, possedere o ereditare beni immobili, gestire denaro. Spesso alle ragazze non viene assicurata né un’alimentazione adeguata, né l’assistenza sanitaria, né al possibilità di avere almeno un’’istruzione. Uno degli strumenti grazie al quale le donne, negli ultimi decenni, hanno potuto emanciparsi è rappresentato dalla micro finanza, il sistema per l’erogazione di piccoli prestiti adeguato ai bisogni delle donne che vivono nelle campagne e si trovano in condizioni di grande miseria. I primi passi vennero compiuti in Bangladesh da due ONG famose in tutto il mondo, che avviarono l’emancipazione femminile nei villaggi mediante gruppi sociali e intrapresero una massiccia espansione della micro finanza attraverso prestiti di gruppo. Si è diffusa nel mondo come strumento di efficacia per l’emancipazione delle popolazioni rurali, per la parità dei sessi e per la produzione di reddito. Una delle caratteristiche rilevanti dell’emancipazione femminile è che ha spronato le giovani a sposarsi più tardi e a ridurre la propria fecondità totale. Declino tasso di fecondità in Bangladesh (attualmente è a 2), grazie al sostegno della micro finanza. La popolazione tenderà a essere stabile. La % di stuning in Asia sud è molto alta e dovuta a 3 fattori: dieta inadeguata, infezioni croniche da parassiti e agenti patogeni, mancanza di accesso all’acqua potabile e ai servizi igienici. Si dovrebbe quindi migliorare le diete, impiegare farmaci che prevengono, disporre di acqua potabile e servizi igienici. L’India, usando l’IT, è pronta a fare un passo avanti nello sviluppo sostenibile: c’è bisogno però di una leadership efficace e un governo all’altezza della situazione. UNO SGUARDO RAVVICINATO AGLI AIUTI UFFICIALI ALLO SVILUPPO Con la trappola della povertà, il problema è che un paese potrebbe essere troppo povero per fare il primo passo per raggiungere almeno il primo gradino della scala dello sviluppo. I leader spesso non dispongono del denaro necessario. Il paese impoverito ha bisogno di una mano per salire la scala dello sviluppo. L’idea di un’assistenza ufficiale allo sviluppo (ODA), cioè di un sostegno da parte di governi o enti internazionali, circola fin dagli anni immediatamente successivi alla seconda guerra mondiale, quando gli stati uniti lanciarono il piano Marshall per contribuire alla ricostruzione dell’Europa dopo la guerra. Offrì un’iniezione temporanea di fondi per la ripresa economica. Piano che durò quattro anni e diede risultati spettacolari nell’aiutare l’Europa occidentale a rimettersi in piedi -> Un sistema di sovvenzioni e prestiti a bassi tassi d’interesse intesi non solo ad aiutare la ricostruzione postbellica ma anche incentivare la crescita economica di lungo termine, per esempio, nei paesi africani e asiatici, poveri e di recente indipendenza. I sostenitori dell’ODA come strumento a lungo termine sono pochi, ma tutti questi pensano che debba essere una misura temporanea per aiutare i paesi poveri a fare gli investimenti iniziali. Cina e Corea del Sud sono esempi di paesi che dipesero dagli aiuti esteri finchè furono poveri, per poi liberarsi da questa dipendenza e trasformarsi in paesi donatori. Intorno al 1970, gli aiuti ufficiali allo sviluppo divennero un pilastro fondamentale. Si fece appello ai paesi ricchi perché finanziassero quelli poveri, donando l’1% del PIL per sostenerli (0,7% tramite canali ufficiali, 0,3% da privati). Gli USA danno invece un contributo pari al 0.18% del PIL e solo 5 paesi raggiungono la soglia-obiettivo dello 0,7% del PIL: Svezia, Norvegia, Danimarca, Lussemburgo, Paesi Bassi. Gli aiuti ufficiali allo sviluppo devono attenersi a dei criteri: 1. Il denaro deve andare ai paesi poveri, 2. Deve essere fornito da un ente ufficiale del paese donatore, 3. Dev’essere impiegato per lo sviluppo economico del paese. Distinzione fra tipologie di aiuti tra cui l’intervento di emergenza, come l’invio dei generi alimentari durante una carestia, che è detto soccorso umanitario, oppure aiuti che incrementano la dotazione di beni capitali, o le capacità della popolazione, o gli investimenti sociali. Gli aiuti indirizzati male o di cui si fa cattivo uso finiscono per andare sprecati, mentre gli altri possono essere cruciali per aiutare i paesi a conseguire i MDG. Dopo il 2000, c’è stato un notevole incremento degli aiuti indirizzati ai problemi della salute, che ha svolto un ruolo decisivo nell’aiutare i paesi poveri a tenere sotto controllo AIDS, malaria e tubercolosi, e a rendere sicura la maternità, per quanto riguarda sia il parto che la sopravvivenza dei neonati. Gli aiuti ufficiali allo sviluppo possono fare la differenza, poiché sono fondate su un’accurata diagnosi differenziale. PROGETTARE INTERVENTI PRATICI: IL CASO DEI MILLENNIUM VILLAGES Progetto del Millennio delle Nazioni Unite è QUADRIENNALE (2002-06). In una speciale Assemblea generale, nel 2005, gli stati adottarono numerose idee chiave su come procedere per raggiungere gli MDG. Ci si impegnò nella realizzazione di tali idee in alcune località dell’Africa rurale, per capire come le idee raccolte funzionassero sul campo. Prende così avvio il decennale Progetto Millennium Villages (MVP), in alcune zone agricole dell’Africa (10 paesi). Lo scopo era quello di come si potevano affrontare gli MDG in ciascuna di queste particolari piccole zone, perché ognuna di esse presenta problemi specifici. Per esempio, l’Africa fu divisa in territori in base alle tecniche e produzioni agricole peculiari. Aree lungo coste est: MAIS; Etiopia Nord: cereale chiamato TEFF, usato per produrre un ottimo pane; area che si estende da ovest a est: CEREALI in ambienti aridi. Si voleva vedere come si potevano affrontare gli MDG in ciascuna di queste zone agro-ecologiche. Anche l’incidenza delle malattie è differente nelle zone. Con l’aiuto dei governi locali il MVP individuò 10 villaggi rurali molti poveri. Ci si servì di tutti gli 8 MDG come principi guida per promuovere lo sviluppo a lungo termine di quei villaggi. Il progetto usò gli aiuti per un ammontare di 60 dollari pro capite annui durante i primi 5 anni; i governi e le ONG ne misero altrettanti a disposizione, così si arrivò a 120 dollari annui per abitante di questi villaggi: costruzione di estinzione non è naturale. 8. Il carico di aerosol atmosferico. Quando bruciamo carbone, biomasse, gasolio vengono immesse nell’aria piccole particelle che determinano un grande inquinamento nell’aria, dannoso per i polmoni. La categoria successiva è quella dell’inquinamento chimico. Le industrie usano grandi quantità di terreno e di acqua e immettono nell’ambiente molte sostanze inquinanti. Quando l’umanità oltrepassa tutti questi limiti ne consegue un grande cambiamento nel funzionamento degli ecosistemi, che, a loro volta, minacciano il benessere umano. Il cambiamento climatico indotto dall’uomo, che si manifesta specie nell’aumento delle temperature, ha già aumentato l’impatto in molte parti del mondo. All’aumento della temperatura media globale si è accompagnata una maggior frequenza di ondate di caldo estremo, dal 1950 al 2011 sono aumentate moltissimo (da 1-2 volte ogni 1000 gg a 50-100 volte ogni 1000 gg). DINAMICA DELLA CRESCITA La sfida, importante e impegnativa, è quella di volere lo sviluppo economico e avere bisogno allo stesso tempo della sostenibilità ambientale, due cose che sembrano contraddirsi, ma sono compatibili se si seguono politiche intelligenti. Bisogna realizzare uno sviluppo economico che rimanga entro i limiti del pianeta. 7,2 miliardi di persone hanno un PIL medio pro capite di circa 12000 dollari; nei paesi ad alto reddito, il PIL è circa tre volte sopra la media; nei pvs è di circa 7000 dollari. Supponiamo che questi riescano a portarsi sullo stesso livello dei paesi ricchi: il processo di recupero innalzerebbe il loro reddito a 36000 dollari e il reddito medio mondiale allo stesso livello. È un incremento enorme per un’economia mondiale che ha già oltrepassato i limiti del pianeta. Si prevede un aumento della popolazione già da metà secolo, poi di più a fine secolo: è improbabile che gli attuali pvs chiudano INTERAMENTE il divario rispetto ai paesi ricchi. I calcoli vanno però rivisti tenendo conto di due fattori: un recupero incompleto e una crescita economica persistente nei paesi ad alto reddito. Quanto è più povero un paese, a meno che sia estremamente povero, tanto più grande è il margine per un rapido recupero. Nel tempo, i più poveri, crescendo più rapidamente, riducono il divario rispetto ai più ricchi. Man mano che si riduce il divario, si riduce anche il tasso di crescita dei paesi più poveri. Iniziano crescendo molto rapidamente, poi, una volta diventati più ricchi, si avvicinano al leader tecnologico e i loro tassi rallentano fino a convergere. È la teoria della convergenza. Se tutto ciò si trasforma entro il 2050, assumendo che i paesi ad alto reddito crescano dell’1% annuo e che i poveri recuperino pian piano fino a convergere, allora il divario, prima molto presente, si ridurrà moltissimo. Un altro fenomeno da tenere presente è la dinamica demografica, che sembra essere in continua crescita. Nel grafico, con la scala logaritmica, quando la curva diventa orizzontale, verso fine secolo, significa che il tasso di crescita della popolazione mondiale sta rallentando e si prevede che la popolazione si stabilizzerà. Viviamo in un mondo che preme contro i limiti del pianeta nella sua crescita economica. Tale crescita, se viene perseguita usando le tecnologie e i modelli economici attuali, porterà l’umanità a sfondare i limiti. LA QUESTIONE ENERGETICA L’economia mondiale si è sviluppata sulla base dei combustibili fossili, dalla macchina a vapore nel 1700, poi la macchina a combustione interna nel 1800 e, infine, la turbina a gas nel 1900. È difficile la sfida per cui bisogna abbandonare i combustibili fossili nel corso del XXI secolo, ma sono ora un pericolo, a causa della CO2 che emettono. Una soluzione potrebbe essere quella di usare meno energia, ma non è semplice perché l’energia serve per lavorare. In futuro, servirà più energia ma i combustibili fossili porteranno a un grande cambiamento climatico indotto dall’uomo. Nell’uso totale di energia rientrano combustibili fossili, legna da ardere, energia idroelettrica, geotermica, eolica, solare, nucleare. Un raddoppio delle dimensioni dell’economia è associato a un raddoppio dell’uso di energia primaria. Quando l’economia cresce, l’uso di energia tende a crescere di pari passo. Per ogni 1000 dollari di produzione, si usano 190 KG di petrolio o di un suo equivalente in contenuto di energia. L’ammontare di CO2 dipende dalla fonte di energia. Energia idroelettrica, solare, eolica non rilasciano CO2, quindi sono ideali per prevenire i cambiamenti climatici. Nel 2010, l’economia mondiale valeva circa 68 trilioni di dollari e nello stesso anno il mondo ha rilasciato 31 miliardi di tonnellate di CO2 nell’atmosfera. Il 46% di ogni tonnellata di CO2 rilasciata è sospesa nell’aria, il rimanente si deposita in oceani, terreni, vegetazione. Gli scienziati parlano di PARTI PER MILIONE, invece di molecole per milione e usano l’abbreviazione ppm. Nel 2010, i 14 miliardi di tonnellate sospese nell’aria hanno aumentato la concentrazione di CO2 di 1,8 ppm. La concentrazione varia nel corso delle ere geologiche a seguito di cambiamenti naturali. Negli ultimi 200, e ancor più 100, anni la concentrazione è schizzata alle stelle, perché l’uomo ha scoperto come usare i combustibili fossili in grande quantità. In tempi brevi si prevede di raggiungere i 450-500 ppm di CO2 e questo porta alla forte possibilità che il pianeta sia di 2°C più caldo del pre-Rivoluzione industriale. Ciò implica aumenti di temperatura maggiori alle alte latitudini e cambiamenti nel sistema climatico; il livello degli oceani si innalzerà molto. Se non si attua un cambiamento di rotta, assisteremo a un forte incremento delle ondate di caldo, a forti siccità, inondazioni, tempeste, estinzione di specie, cattivi raccolti, aumento livello dei mari e forte acidificazione degli oceani. Tre sono i pilastri per una decarbonizzazione, cioè un modo di produrre energia con molta meno CO2: 1. L’efficienza energetica, cioè usare molta meno energia per unità di PIL; 2. L’energia a basso tenore di carbonio, cioè produrre elettricità con l’energia eolica, solare, nucleare, in modo da ridurre molto le emissioni di CO2; 3. Spostamento dall’uso di combustibili fossili a quello dell’elettricità a basse emissioni di carbonio (per esempio, le auto a motori elettrici alimentati da batterie caricate con energia a basso tenore di carbonio). Ci sono a disposizione potenti tecnologie a bassi tenori di carbonio a prezzi che registrano forti flessioni per l’energia eolica e solare. LA QUESTIONE ALIMENTARE C’è un settore che ha un impatto ambientale molto elevato, provocato dall’uso dell’energia, è l’agricoltura, necessaria per mangiare, quindi sopravvivere. Quasi tutti i limiti del pianeta sono collegati all’agricoltura: - Cambiamento climatico: quando il suolo di trasforma in terreno agricolo o pascolo, le emissioni di CO2 che ne derivano contribuiscono al cambiamento climatico. - Acidificazione degli oceani. L’agricoltura contribuisce a emettere CO2, che porta all’acidificazione di oceani. - Riduzione dell’ozono. I CFC usati in produzione e stoccaggio di prodotti alimentari sono il fattore che determina la riduzione del gas ozono. - Flussi di azoto e fosforo, la cui principale fonte è l’uso di fertilizzanti chimici. - Sfruttamento eccessivo delle riserve di acqua dolce. L’agricoltura usa molte risorse idriche. - Biodiversità. L’agricoltura “semplifica” la biodiversità, perché spesso l’uomo sceglie una sola variante genetica di una singola coltura. Può ridurre la biodiversità anche usando pesticidi e erbicidi che avvelenano. - Aerosol. L’agricoltura contribuisce all’aerosol tramite polvere o combustione di residui agricoli. - Inquinamento chimico, perché l’agricoltura è spesso ad alta intensità chimica, implicando fertilizzanti chimici, pesticidi, erbicidi e altri trattamenti del terreno. L’agricoltura ha poi altri impatti negativi, tra cui il sistema alimentare, poiché dà origine a nuovi agenti patogeni; per esempio, l’allevamento industriale di pollame produce una ricombinazione di geni di batteri e virus. L’interazione dell’industria alimentare con agenti patogeni di tipo selvatico ha forse originato diverse malattie infettive emergenti. Malthus trascurava il potenziale del progresso tecnologico e gli economisti, a loro volta, trascurano i danni ambientali causati dall’agricoltura moderna; certo, il sistema agricolo mondiale alimenta il pianeta, ma non lo fa in modo sostenibile. Bisogna correggere questo sistema agricolo: si ha bisogno di trovare una nuova strada per l’energia e nuovi sistemi agricoli, adatti alle condizioni ambientali locali e che producano meno danni. DINAMICA DEMOGRAFICA E SVILUPPO SOSTENIBILE Quante più persone ci sono sul nostro pianeta tanto più sarà impegnativo conciliare gli obiettivi economici di un miglioramento degli standard di vita personali con i limiti del pianeta. I paesi poveri con alti tassi di fecondità sono spesso bloccati in una trappola demografica e, avendo molti bambini, è più probabile che essi crescano nella povertà. Quando le famiglie hanno molti figli, non riescono a fornire a ciascuno l’investimento in capitale umano (salute, cibo, nascosti. 3. Norme culturali: a volte le pratiche sono illegali, ma gli atteggiamenti nella società, come discriminazione nei confronti delle minoranze, trovano un prolungamento nelle condotte sociali e culturali. Riguardo all’inclusione sociale, nella storia vi sono state diverse scuole di pensiero e 6 principali approcci: 1.L’ETICA DELLA VIRTU’, di cui sono esempio Buddha (Asia sud e est), Confucio (Cina e Asia nord-est), Aristotele (mondo Occidentale). Nel pensiero di questi 3 grandi saggi, c’è l’appello al singolo perché coltivi atteggiamenti e comportamenti appropriati al vivere in società e al raggiungimento del benessere. Per Aristotele, gli individui non devono privarsi dei beni mondani, ma nemmeno desiderarli avidamente. Anche Confucio pensava che gli individui dovessero autonomamente coltivare la virtù, come altruismo, benevolenza e propensione a comportarsi correttamente. L’obbedienza ai genitori è una delle massime virtù. Per Buddha, l’aspirazione è sfuggire alla sofferenza liberando la mente dalle illusioni. Per tutti e 3, i desideri materiali non sono gli strumenti giusti per raggiungere la felicità a lungo termine; la compassione, moderazione e consapevolezza segnano il sentiero verso il vero benessere a lungo termine. L’etica della virtù è basata sull’idea che gli uomini hanno una responsabilità nei confronti degli altri. La compassione è il filo che unisce queste filosofie. 2.Approccio filosofico che trae spunto dalle GRANDI RELIGIONI, che concordano su una regola aurea: il principio di uguaglianza, secondo cui l’umanità è tutta figlia di Dio. Le principali religioni di questo tipo mostrano molta attenzione ai poveri. 3.ETICA DEL DOVERE, incarnato dal filosofo illuminista Kant, secondo il quale etica significa adottare un criterio di comportamento universale: gli individui dovrebbero comportarsi secondo quelle massime che possono fungere da leggi universali, quindi agire secondo principi validi universalmente. 4.L’UTILITARISMO, secolare, non religioso. Sorse verso fine 1700, dal filosofo e politico britannico Bentham, che disse che il fine della società è la felicità e che il fine di un sistema etico dovrebbe essere la massima felicità per il maggior numero di persone. La società quindi dovrebbe massimizzare l’utilità delle persone, intesa come stato psicologico di benessere. Il fine è massimizzare il benessere generale della società, considerato la somma delle utilità dei membri della società. I seguaci di tale approccio sono favorevoli all’idea di prelevare, per esempio, 100 dollari a un ricco per darli a un individuo povero e affamato. Molti economisti dicono però che questa ridistribuzione utilitaristica avvenga a discapito dell’efficienza economica, produca distorsioni, inefficienze e sprechi, spingendo le persone a lavorare meno duramente. 5.Il LIBERTARISMO, sorto in GB insieme all’Utilitarismo. Questa posizione sostiene che la libertà è il massimo precetto morale: ciascuno ha la libertà di scegliere il proprio progetto, quindi il male peggiore si ha quando lo stato sopprime le libertà individuali. Per esempio, i libertari considerano quasi tutta la tassazione un’intrusione illegittima nella libertà dei contribuenti. 6.La FILOSOFIA DEI DIRITTI UMANI, che offrono un’altra motivazione a favore dell’inclusione sociale. Si ritiene che ogni essere umano abbia dei diritti umani fondamentali, che devono essere protetti da società e stato. I diritti umani comprendono diritti politici, civili e anche economici, quindi il diritto a soddisfare i bisogni materiali fondamentali. Chi sostiene questo approccio dice che lo stato deve dare servizi pubblici e una tassazione per questi servizi pubblici, al contrario di quello che dice il libertarismo. Questo approccio è forse quello predominante e presenta aspetti validi e attraenti. Gli economisti, a volte, danno un altro nome ai bisogni fondamentali, “beni meritori”, cioè quei beni e servizi che dovrebbero essere accessibili a tutti. Beni meritori sono in genere l’istruzione, perché gli individui ne hanno bisogno e perché la loro diffusione universale fa progredire tutta la società. Adam Smith diceva che l’istruzione è un bene meritorio, dicendo che tutta la società è avvantaggiata quando la popolazione è ben istruita. L’istruzione di massa quindi dovrebbe essere pagata dalla società nel suo insieme. Anche la sanità è considerata un bene meritorio, perché aiutando le persone a stare bene si aiuta tutta la società, quindi i governi dovrebbero assicurare una copertura sanitaria universale anche per controllare la diffusione di malattie infettive. In generale, il pensiero etico ha un ruolo vitale per una buona politica pubblica. DICHIARAZIONI DELLE NAZIONI UNITE, ACCORDI E MDG Dopo la II GM si costituirono le nazioni unite e nel 1948 fu adottata la Dichiarazione universale dei diritti umani, la cui idea principale era che, soddisfacendo i diritti di tutte le persone al mondo, si poteva garantire la dignità e migliorarne il benessere economico e anche contribuire a evitare un’altra guerra mondiale. Tutti gli stati membri devono tendere a insegnare, raccomandare, rispettare e attuare tutti i diritti della dichiarazione. Nel documento vi sono molti diritti: per esempio, diritto alla sicurezza sociale, quindi a un reddito di base che tuteli la dignità umana e consenta di soddisfare bisogni umani elementari, diritto al lavoro, diritto al riposo e al divertimento, diritto a un livello di vita adeguato alla salute e al benessere dell’individuo e della famiglia; le mamme e i bambini hanno particolari cure e assistenza. Inoltre, poi ognuno ha diritto all’istruzione, quella elementare è obbligatoria, un bene meritorio, e dovrebbe riguardare tutti al mondo. La dichiarazione è concepita come proclamazione di un ordine sociale e politico in cui i diritti enunciati possano essere realizzati progressivamente. Dopo la Dichiarazione vi sono stati due accordi internazionali che hanno contribuito a dargli attuazione. Uno è il PATTO INTERNAZIONALE SUI DIRITTI CIVILI E POLITICI (ICCPR) e l’altro è il PATTO INTERNAZIONALE SUI DIRITTI ECONOMICI, SOCIALI, CULTURALI (ICESCR). Il primo si concentra sui diritti di cittadinanza e sulla protezione dagli abusi dello stato. Vi sono vari articoli, tra cui quello che dice che la legge difende il diritto alla vita, che nessuno può essere torturato, né essere tenuto in schiavitù. Inoltre, viene riconosciuto il diritto alla libertà e alla sicurezza degli individui. Si afferma poi il diritto di cittadinanza, si afferma la libertà di pensiero, la protezione dei bambini e l’uguaglianza della legge. Questi diritti, in generale, non sono sempre una realtà quanto invece dovrebbero esserlo, ma sono ben accettati in linea di principio. L’ICESCR riconosce il diritto al lavoro, il diritto a condizioni di lavoro eque e favorevoli, il diritto di ciascuno di costruire sindacati e aderirvi. Si proclama il diritto alla sicurezza sociale, quello a un livello di vita adeguato. Vi è poi il diritto a godere delle migliori condizioni di salute fisica e mentale che sia in grado di conseguire. C’è poi il diritto a partecipare alla vita culturale. I diritti economici, sociali, culturali possono essere realizzati solo con il tempo, così come quelli civili e politici: realizzazione progressiva, non immediata, per tutti. La maggior parte dei governi ha firmato entrambi gli accordi, gli USA solo il primo: il filone libertario dell’opinione pubblica non accetta il ruolo dello stato nel raggiungimento di obiettivi economici. Il libertarismo è una linea di pensiero popolare specie in USA e altri paesi di cultura anglosassone. L’ONU, poi, ha adottato molti obiettivi più specifici, tra cui i MDG del 2000, con lo scopo di realizzare i diritti umani e soddisfare i bisogni fondamentali. SOCIETA’ DIVISE L’inclusione sociale mira a una prosperità diffusa, all’eliminazione della discriminazione, a una giustizia imparziale, a mettere ognuno nelle condizioni di soddisfare i suoi bisogni fondamentali e a un’alta mobilità sociale. Nessuna società realizza una uguaglianza uniforme e nessuno lo vorrebbe. Le persone sono diverse e ci si aspetta tali differenze. Alcune società però hanno differenze nei risultati economici che vanno al di là di quelle che emergerebbero normalmente, dal ventaglio di differenza tra individui. A eccezione del Canada, le Americhe sono una parte del mondo con redditi molto disuguali, mentre l’Europa occidentale ha una distribuzione piuttosto equa, specie l’Europa dei paesi nordici, che riunisce le società più uguali al mondo e con un coefficiente di Gini molto alto. La storia dell’America è complessa e spiega i motivi di tali disuguaglianze: Colombo e gli europei che sbarcarono a fine 1400 godevano di due grandi vantaggi: avevano armi molto potenti e portavano con sé agenti patogeni che si diffusero in tutte le popolazioni non protette dei nativi americani, provocando morti di massa. Le Americhe si svilupparono come società di conquista. Poi, dal 1500, ci fu la tratta degli schiavi, dall’Africa occidentale verso le regioni tropicali e subtropicali delle Americhe (non arrivò in Canada). Dalle Americhe emerse una società complessa, con diversi gruppi e diversa ricchezza. Nel tempo, i tre gruppi sociali, europei, indigeni amerindi, schiavi africani, mescolandosi divennero molto complessi e in molte parti delle Americhe ci sono popolazioni delle METICCE. Poi, questi gruppi si trovarono ad affrontare situazioni difficili dal pdv politico, sociale ed economico: ecco le disuguaglianze di potere. La situazione delle Americhe nella mappa di Gini riflette l’eredità delle società create dalla conquista europea. Anche la povertà ambiente sicuro, istruzione, competenze base, esperienza sul lavoro. Gli investimenti nella salute di un bambino aiutano a creare le basi della salute dell’adulto. La prima infanzia riveste una straordinaria importanza per il fatto che è la fase di formazione del nostro cervello. 2. Nozione di “ciclo vitale” individuale. La capacità la salute e la produttività a ogni stadio del suo ciclo vite dipendono dalle scelte effettuate in stadi precedenti. Ogni stadio configura le condizioni per l’evoluzione dei successivi. La sicurezza della madre durante la gravidanza, un parto sano, la buona salute del neonato, un’alimentazione idonea sono tutti elementi di straordinaria importanza, per la sopravvivenza durante l’infanzia ma anche per una vita produttiva e fiorente da adulti. Lo sviluppo cognitivo di un bambino comincia in età precoce. Lo sviluppo celebrale è correlato a un ambiente amoroso e tranquillo, in uno stretto legame affettivo con le persone che si prendono cura di lui. Il processo di formazione di istruzione dovrebbe cominciare già prima che inizi la scuola primaria. Sono sempre più numerosi i paesi che introducono classi pre-scuola materna per aiutare l’apprendimento. L’istruzione primaria oggi è riconosciuta a livello globale come bisogno e diritto fondamentale. XXI secolo un’istruzione primaria non basta più. Tutti i bambini hanno bisogno di un’istruzione secondaria, seguita da qualche forma di formazione professionale per acquisire competenze specifiche. Il tasso lordo di iscrizione misura il numero di bambini di ogni età che frequentano la scuola primaria diviso per la popolazione composta dai bambini nella fascia di età prevista per la scuola primaria. Nel 2010, questo ha superato il 100%, cosa possibile perché, a volte, sono iscritti alla scuola primaria bambini più grandi (negli anni 70 era 85%). A livello mondiale, le bambine in età scuola primaria oggi sono in grandissima misura iscritte a questo livello di scuola. Il gap a livello di scuola primaria, nel 2010, si è chiuso. Ai livelli superiori, invece, i progressi sono molto minori. Nelle zone di povertà estrema i livelli di istruzione secondaria sono inadeguati ancora oggi. Ancora più variegata è la situazione dal punto di vista dei livelli di istruzione più elevati. Con lo stadio di sviluppo attuale, ogni economia, ricca o povera, ha bisogno di un buon gruppo di laureati. LO SVILUPPO NELLA PRIMA INFAZIA Uno dei progressi più significativi nella comprensione del capitale umano nell’arco del ciclo vitale riguarda lo sviluppo nella prima infanzia. Negli ultimi vent’anni la ricerca ha evidenziato la straordinaria importanza della prima infanzia, soprattutto nei primi 3 anni di vita, quando il cervello si sviluppa in maniera dinamica e differenziata. È importante l’ambiente pre-scolare, che comprende salute, alimentazione, sicurezza fisica e preparazione pre-scolare, da 0 a 6 anni. È dunque cruciale investire precocemente nella salute, nel benessere, in un ambiente sicuro e nello sviluppo cognitivo dei bambini piccoli. La quantità cumulativa di stress che un bimbo piccolo affronta, forgerà lo sviluppo cognitivo e fisico e le condizioni di vita da adulto. L’esposizione a rischi biologici e psico-sociali, vivendo in un ambiente non sicuro, può influenzare lo viluppo cerebrale e compromettere il successivo sviluppo del bambino sul piano sia cognitivo sia fisico. Occorrono investimenti integrati e precoci, che possono avere enormi ritorni sociali, compreso un aumento del reddito nazionale grazie alla maggiore produttività della popolazione. I ritorni sono molto elevati quando gli investimenti sono fatti negli anni formativi dello sviluppo cerebrale, quindi in età pre-scolare; mano a mano che l’età aumenta, i ritorni che si possono ottenere con investimenti aggiuntivi in capitale umano si abbassano. Le famiglie più ricche possono sostenere i costi per gli investimenti negli anni prescolari del figlio. I genitori con reddito basso tenderanno a non investire a sufficienza nei loro bambini, che quindi diventeranno adulti per essere a loro volta genitori a basso reddito. Qui il governo può svolgere un ruolo cruciale, ad esempio il finanziamento statale può assicurare l’accesso a programmi prescolari. Inoltre, anche buone competenze dei genitori hanno un importante ruolo nello sviluppo cognitivo del bambino. Le società che investono molto negli anni prescolari, offriranno ai bambini poveri una maggiore mobilità sociale verso l’alto, con società più inclusive e produttive. La scuola per l’infanzia consente ai bimbi più poveri una mobilità verso l’alto, permettendogli di avvicinarsi ai risultati dei bimbi più ricchi. I benefici che si possono ottenere investendo molto nell’istruzione primaria, e non solo, sono diversi: riguardano i guadagni futuri, la riduzione della criminalità e il minor costo che ne deriva per il sistema giudiziario. Inoltre vi sono benefici duraturi nelle qualità non cognitive della personalità, quali la perseveranza, la motivazione, l’abitudine allo studio e alla socievolezza. Negli USA, un sistema giudiziario non all’altezza e l’insufficienza di investimenti nei bambini hanno portato a una popolazione carceraria ampia, di 2,4 milioni, di cui molti giovani provenienti da famiglie povere, cresciuti in ambienti tesi: l povertà si è trasmessa da una generazione all’altra, passando tramite il processo della criminalità e prigione. I bambini traggono benefici dagli investimenti fatti per loro, non solo a livello di sviluppo cognitivo, ma anche di qualità sociali, non cognitive. I RITORNI CRESCENTI DELL’ISTRUZIONE E LA RISPOSTA IN TERMINI DI OFFERTA Il gap tra i paesi ricchi e poveri , famiglie ricche e povere resta significativo nell’accesso all’istruzione secondaria. Tanti giovani non sono pronti per il college quando finiscono le superiori, perché non hanno goduto di un ambiente famigliare fertile né dell’accesso a una scuola dell’infanzia, primaria e secondaria di qualità. Negli USA, riguardo al completamento della scuola superiore, il tasso è fortemente aumentato nel corso del tempo fino a raggiungere il 90% oggi. Per quanto riguarda il college, si è mosso in modo meno deciso. Nonostante i forti segnali degli enormi benefici derivanti da una laurea, i numeri hanno smesso di crescere. Le tasse sono estremamente alte e continuano a crescere. Proprio quando la società dovrebbe aiutare i giovani a investire nell’istruzione universitaria, i suo altissimi costi ostacolano la risposta dell’offerta a un’evidente domanda. Inoltre, il, completamento degli studi universitari riguarda molto di più i ragazzi di famiglie ricche. Divario evidente non solo nel reddito a anche nella razza e nella appartenenza etnica. Negli USA, nel casso dell’istruzione universitaria, ai giovani si chiede di chiedere dei prestiti e così il governo ha però creato un livello di indebitamento studentesco molto alto e in crescita, di circa 1000 milioni di dollari. E a farsi prestare i soldi sono i ragazzi poveri, i quali probabilmente non riusciranno a portare a termine gli studi e non avranno quindi il reddito necessario per pagare il debito. Una soluzione potrebbe essere in un decisivo abbassamento delle tasse universitarie, a cui l’istruzione online potrebbe dare un importante contributo. LA MOBILITA’ SOCIALE Secondo il grafico (pag. 272), i ragazzi che nel 1988 frequentavano la terza media, sono suddivisi in 3 categorie secondo il reddito delle famiglie: il quartile inferiore (25% più povero), quello mediano (dal 25 a 75%) e quello superiore (dal 75% in poi). Si calcolano i risultati scolastici ottenuti nel 2000: vi sono 4 categorie di risultati: 1. Nessuna istruzione post- secondaria; 2. Un diploma di scuola post-secondaria, ma nessun diploma di laurea di primo grado; 3. Una laurea di primo grado; 4. Una laurea di secondo grado o titolo più alto. Ragazzi del quartile più povero: 48% privo di un diploma di scuola secondaria, 7% con laurea di I Grado e nessuno con quella di II Grado. Quartile più ricco: 4% privo di un diploma di scuola secondaria, 51& con laurea di I Grado e 9% di secondo o più alto. La disuguaglianza di reddito che i ragazzi affrontavano in terza media si sarebbe riprodotta da adulti. I bambini poveri tendono a diventare adulti poveri e per i ricchi è lo stesso; ma se sul piano dei guadagni la correlazione tra genitori e figli è scarsa, allora si dice che la mobilità sociale è alta. Paesi equi sul piano della distribuzione del reddito hanno un’alta mobilità sociale, mentre quelli più disuguali tendono ad averne una bassa. Il reddito dei genitori è un buon indicatore del reddito futuro dei figli. Per esempio, anche in Canada nascere poveri significa prevedere che si resti poveri, ma la mobilità sociale verso l’alto è maggiore rispetto agli USA. Società più eque, in genere caratterizzate anche da un ruolo forte del governo nel garantire uno sviluppo dei bambini nella prima infanzia, finiscono per avere una maggiore mobilità tra generazioni. Le socialdemocrazie scandinave raggiungono risultati economici eccellenti nell’inclusione. IL RUOLO DELL’ISTRUZIONE UNIVERSITARIA NEL PROGRESSO TECNOLOGICO L’istruzione universitaria gioca un ruolo chiave in due tipi di crescita: crescita endogena e crescita catch-up. Per crescita endogena si intende la crescita economica basata su nuove conquiste tecnologiche come la rivoluzione in corso nell’ICT. Conquiste grazie al risultato delle attività di ricerca e sviluppo (R&S). La crescita è decisamente concentrata nei paesi ad alto reddito, ma, per esempio, anche la Cina ha da poco aumentato i suoi investimenti per tentare di costi aggiuntivi: milioni di vite potrebbero essere salvate, il sistema economico potrebbe registrare un’impennata nella crescita economica e, entro poco tempo, il paese potrebbe pagarsi da solo i conti della sua sanità. Il tasso di mortalità dei bimbi sotto i 5 anni: 2010-2015 è stata del 52 per mille (7/1000 dei paesi ricchi, 57/1000 per i pvs e 99/1000 per i PMS). Un altro punto cruciale è la mortalità materna, misurata dal numero di morti riconducibili alla gravidanza ogni 100.000 nati vivi. Nel 2013 si parlava di 450 decessi su 100.000 nati vivi. I poveri muoiono per cause per cui muoiono anche i ricchi: cancro, malattie cardiovascolari, diabete, ma muoiono anche per malattie contagiose o altre infezioni. La denutrizione indebolisce le capacità del sistema immunitario di resistere alle infezioni. Le disparità si registrano anche all’interno di uno stesso paese: è il caso degli USA, con la costa nord-est con aspettative di vita elevate e il profondo sud, invece, ha aspettative molto inferiori da anni. Per misurare i risultati in termini di salute si usano vari indicatori statistici: l’aspettativa di vita alla nascita, U5MR e MM. Una altro concetto importante è quello degli anni di vita corretti in base alla disabilità (DALYs). Un anno di vita con una disabilità è conteggiato come porzione di un anno di vita perso, dove la misura della porzione dipende dalla gravità della disabilità. Vivere un anno con una disabilità grave quali paraplegia, schizofrenia o cecità conta come una frazione ragguardevole di un anno di vita perso. L’indice DALYs di una popolazione è la somma degli anni di vita persi e quelli persi per disabilità. È uso corrente dividere il DALYs totale per la popolazione al fine di calcolare il DAYLs pro capite. Gli indici DAYLs pro capite vengono utilizzati per capire il differente carico di malattie nelle diverse aree del mondo. Se il DALYs pro capite è alto, significa che il carico di malattia è alto. Il carico di malattia registrato nell’Africa sub sahariana è il più alto relativamente a HIV/ AIDS. È fortemente concentrato nelle prime 3 categorie: HIV/AIDS, malattie contagiose e condizioni legate a gravidanza e nutrizione. Quindi non è un carico legato a un fenomeno di carattere generale, ma specifico: riguarda malattie infettive, gravidanza-parto e nutrizione. Nei paesi ad alto reddito, la maggior parte delle malattie contagiose è assente. Altre malattie come infezioni respiratorie si curano con gli antibiotici. Spiccano anche le malattie cardiovascolari in Europa e Asia centrale. In Russia e in altre regioni dell’ex Unione Sovietica gli uomini di mezza età soffrono pesantemente di infarto e altri disturbi cardiocircolatori: probabilmente a causa di stile di vita (fumo, alcol, poco esercizio fisico). POVERTA’ E MALATTIA Il problema dei costi elevati e crescenti del sistema sanitario è al primo posto nelle agende politiche ed economiche dei paesi ricchi. Povertà e cattiva salite vanno di pari passo. Un persone malata è impossibilitata a lavorare al pieno delle sue capacità e di conseguenza perde reddito. Una comunità o un paese con un’altra incidenza di malattie perde reddito sia per la conseguente perdita di produttività sia per gli alti costi del sistema sanitario. Le malattie che colpiscono i bambini piccoli impattano negativamente sull’intero sviluppo del ciclo vitale. Un tasso alto di mortalità infantile può risultare dannoso per la situazione demografica. Se i genitori a basso reddito vogliono essere sicuri di crescere un figlio che sopravviva a loro, sia per ragioni culturali che per pragmatiche ragioni economiche, possono scegliere di averne molti per garantirsi che almeno uno di loro sopravviva, con la preferenza per i maschi valida tuttora in numerose culture, in particolare Africa e Asia. Così l’obiettivo di avere tre o più figli maschi può portare ad averne sei o più maschi e femminile, determinando una crescita estremamente rapida della popolazione e livelli molto bassi di investimento per bambino in salute, alimentazione e istruzione. Un’altra conseguenza negativa a livello economico è il costo diretto dell’assistenza sanitaria. È quindi ovvio che gli investitori vogliano investire in aree ad alta incidenza di malaria o AIDS. Inoltre questi tipi di infezione non aiutano il turismo. La freccia però va anche nella direzione opposta: dalla povertà alla malattia. La povertà provoca un cattivo stato di salute. Spesso un individuo povero non si può permettere di rivolgersi a un dottore, può non essere in grado di comprare le medicine o di pagare il trasporto per andare in ospedale. La povertà è collegata anche alle condizioni ambientali in cui si sviluppano le malattie. Chi vive in aree rurali in povertà non riesce spesso ad attingere acqua potabile né di fognature. Inoltre, molte malattie sono quindi diffuse dalla defecazione all’aperto. La povertà ha anche a che fare col non sapere né leggere né scrivere né far di conto. Chi è analfabeta può avere grosse difficoltà a capire come rispettare una prescrizione o una cura farmacologica. Chi vive in povertà può anche essere esposto a lavori pericolosi, il rapporto di causalità va quindi in due direzioni e se le frecce si incontrano si può cadere in un circolo vizioso, anche se è anche possibile che questo si tramuti e diventi un circolo virtuoso. È compito della politica contribuire a spezzare il circolo vizioso e creare una spirale positiva di salute e sviluppo. Come spezzare il circolo vizioso di povertà estrema e malattia? La prima cosa da fare è implementare un sistema sanitario di base per tutti. La seconda è aiutare le comunità povere a nutrirsi meglio, lo si può fare arricchendo e integrando la loro dieta alimentare o migliorando le loro conoscenze riguardo ai regimi salutari. Le infrastrutture rappresentano un altro tipo di investimento in salute pubblica, quando si interviene su acqua potabile, fognature, energia, strade e comunicazioni. Gli investimenti in energia elettrica servono a far funzionare i refrigeranti negli ambulatori dove si conservano vaccini o la strumentalizzazione necessaria per terapie ostetriche di emergenza. Gli investimenti di infrastrutture idriche contribuiscono a far funzionare gli impianti di irrigazione per migliorare l’agricoltura. Le strade sono importanti per raggiungere i presidi sanitari. Nel 1990, sono morti 12 milioni di bambini sotto i 5 anni, nel 2010 7,6 milioni. Di questi, 6 milioni hanno interessato Africa subsahariana e Asia sud, frutto di malattie infettive o legate alla nascita oppure all’alimentazione. Nel 1990, 88 bambini su 1000 non sono arrivati ai 5 anni nel mondo. Nel 2010 57 su 1000, un valore ancora troppo. Un’altra grande categoria, quella dei decessi alla nascita, comprende asfissia o altro trauma durante il parto, nascita prematura. Molte di queste possono essere ricondotte a carenza di condizioni igieniche o assenza di attrezzature per aiutare i neonati a respirare. PROGETTARE E FINANZIARE SISTEMI DI ASSISTENZA SANITARIA DI BASE NEI PAESI A BASSO REDDITO La sanità si occupa della cura e della salute di una popolazione, attraverso il lavoro dei medici e infermiere, ma anche con altri strumenti. L’attenzione per l’acqua, l’accesso alle zanzariere contro la malaria e un’ampia gamma di vaccini efficaci sono esempi di strumenti critici per la sanità al di là del lavoro dei medici e infermieri. L’epidemiologia misura in maniera sistematica l’incidenza della malattia e se si concentra sui meccanismi di trasmissione. Gli epidemiologi devono comprendere le varie categorie di malattia, chi ne è colpito e come si trasmettono. È inoltre importante esaminare gli interventi fattibili, sia direttamente nel settore della sanità sia nei settori strettamente collegati dell’alimentazione, dell’agricoltura e delle infrastrutture. Il terzo passaggio è la “progettazione di sistemi”. Supponiamo che si abbia creato una lista di interventi necessari: ogni bambino dovrebbe essere vaccinato, ogni famiglia dovrebbe avere zanzariere e ogni madre dovrebbe essere sottoposta a un certo numero di visite prenatali. La progettazione di sistemi crea un modo per fornire questi interventi in maniera appropriata ed efficace. Queste sono le sfide che un’iniziativa deve affrontare. Costruire un sistema sanitario pubblico dal nulla in un insediamento molto povero è un lavoro estremamente difficile e importante. Il sistema sanitario coinvolge soprattutto gli individui della comunità che chiedono assistenza e hanno bisogno di entrare in contratto con le strutture sanitarie; ci dovrebbe essere fiducia verso i CHW e le famiglie dovrebbero anche capire quale sia il comportamento da avere quando si è colpiti da una malattia. Un buon sistema, inoltre, non solo monitora i risultati ai fini della gestione, ma valuta anche le prestazioni. Se i dati mostrano che una madre è morta di parto, il personale sanitario dovrebbe indagare sulla morte, stabilire se era prevedibile. Si tratta di un sistema di feedback. Poi c’è il finanziamento: una comunità povera avrà bisogno di aiuti per far sì che il sistema sanitario affronti l’incidenza della malattia. Tra gli interventi possibili ci sono quelli per la malaria: si può proteggere la popolazione con farmaci che uccidono l’agente patogeno Plasmodium, oppure usando larvicidi che uccidono le larve prima che diventino zanzare, o ancora si possono distribuire zanzariere trattate con insetticidi. In dollari 2013, un sistema sanitario di base che affronti le malattie può oscillare tra 60 e 90 dollari all’anno a persona, che possono essere troppi per il governo di un paese molto povero. C’è bisogno di aiuti finanziari esterni. In Europa e negli USA il bilancio della sanità è di 3-4000 dollari all’anno a persona, mentre un paese povero non può arrivare spesso nemmeno quelle molto malate. Il mercato assicurativo si restringerà o addirittura collasserà. Il sistema americano, purtroppo, ha questo problema. Il costo della spesa a persona negli USA sta aumentando ancora. Nei paesi ricchi, la spesa standard è di 4000 dollari all’anno a persona. Negli anni 80, gli USA spendevano circa il 9% del reddito nazionale, nel 2009 il 18% (in genere si spende circa il 10% del reddito nazionale). In un recente lavoro, una delle principali organizzazioni scientifiche che studiano il sistema sanitario americano, l’Istitute of Medicine of the U.S. National Academies of Science, ha scoperto che sprechi, le frodi e gli abusi nel sistema ammontano al 5% del reddito nazionale americano, circa 750 miliardi di dollari l’anno. Le cause sono le fatturazioni eccessive, lo spreco di risorse, gli esami ripetuti, la frode pura e semplice e gli elevati costi del management. In altre parole, gli Stati Uniti stanno spendendo per la sanità il 18% del PIL, in valore reale, ottengono solo il 13% del reddito nazionale. Negli USA i pagamenti privati rappresentano più della metà delle spese totali, quindi è il sistema sia più costoso sia più privato. Un’altra disparità è negli stipendi. Negli Stati Uniti, i medici guadagnano molto di più dei medici di altri paesi. Il sistema americano è notevolmente costoso, non perché fornisca una gamma di servizi eccezionale rispetto agli altri paesi, ma perché i costi unitari degli interventi e dei farmaci sono molto più alti. Ultima dimensione di questo problema: la politica. Negli Stati Uniti il settore sanitario è in grado di opporsi a una regolamentazione efficace o a una sostituzione con il sistema pubblico. Il settore sanitario, è quello che più contribuisce al finanziamento delle campagne elettorali, quindi i politici sono più attenti ai loro interessi che a quelli dei cittadini. Le opzioni di riforma: 1. Passare da un sistema a pagatore unico come in Canada. Il sistema sanitario canadese è di alta qualità e costa molto meno, perché i governi delle provincie canadesi pagano la maggior parte dei costi. 2. Il sistema definito “tutti pagatori”. I pagamenti per la sanità verrebbero dai datori di lavoro, ma la regolamentazione eviterebbe un potere di monopolio nello stabilire i prezzi. Ci sarebbe un unico prezzo, noto al pubblico, per ogni servizio. A ospedali e medici non è quindi consentito praticare un prezzo di monopolio. 3. Capitazione. Invece di pagare servizio, l’ospedale o il medico riceve un ammontare fisso all’anno per paziente, indipendentemente dagli specifici servizi che devono essere resi durante l’anno. La tecnologia può dare un importante contributo alla riduzione dei costi, con la tecnologia dell’informazione, i sistemi intelligenti e anche con i pazienti che monitorano i loro valori fondamentali da casa. Così è anche possibile che CHW a basso costo somministrino alcuni servizi ora forniti da medici e infermieri a costi alti. Ci sono tante strade per introdurre riforme. Bisogna, in parte, cambiare gli incentivi e si devono impiegare le nuove tecnologie. Naturalmente, il tipo di riforma dipende anche dalla politica. Cap. 10 La sicurezza alimentare APPROVVIGIONAMENTO SOSTENIBILE E FINE DELLA FAME Una buona parte dell’umanità è malnutrita e gravi minacce alla sicurezza alimentare si vedono all’orizzonte. Le prime avvisaglie risalgono al 1789, quando Malthus affrontava la questione sicurezza alimentare vs crescita demografica: qualunque aumento della produzione che possa allontanare dalla morsa della sicurezza alimentare porta a un incremento della popolazione, che induce subito a una nuova insicurezza alimentare. Il problema oggi è ancora più complesso, perché una percentuale alta della popolazione è malnutrita, la popolazione complessiva continua a crescere (75 milioni di persone in più all’anno), i cambiamenti climatici sono una minaccia per la produzione futura, molti cambiamenti climatici e alimentari sono causati dallo stesso sistema alimentare. La piaga della malnutrizione riguarda il 40% della popolazione mondiale. Ci sono diversi tipi: 1. La DENUTRIZIONE, cioè un’assunzione insufficiente di calorie e proteine (870 milioni di persone). 2. La FAME NASCOSTA, o carenza di micronutrienti (zinco, ferro, vitamina A), che espone l’organismo a infezioni. 3. OBESITA’, cioè eccessiva assunzione di calorie, che porta a un peso non proporzionale all’altezza (Obeso: BMI > 30, Sovrappeso: BMI > 25) 1/3 degli adulti al mondo è sovrappeso e 10/15% è obeso. Complessivamente, sono 3 miliardi le persone malnutrite, circa il 40% del pianeta. La fame cronica riguarda essenzialmente l’Africa (1/3 della popolazione) subsahariana e l’Asia Sud (20-30%). La gravità della denutrizione cronica dei bambini è misurata con diversi indicatori: Stunting, cioè il blocco della crescita, caratterizzato da un basso rapporto altezza/età, dato da un apporto calorico insufficiente o da una dieta inadeguata o da infezioni croniche. Wasting, più preoccupante, il deperimento, dove è il rapporto peso/altezza a risentirne. È una situazione che spesso mette in pericolo la vita. C’è differenza tra denutrizione cronica e acuta: quest’ultima è conseguenza di guerre, disastri naturali, siccità e spostamenti della popolazione. Violenza e conflitti spesso dilagano laddove si soffre la fame. La fame nascosta colpisce chi soffre di malnutrizione cronica ma anche chi assume una quantità adeguata di calorie ma non una varietà sufficiente di nutrienti. Le % più alte riguardano la zona a sud del mondo. L’obesità si trova all’estremità opposta: USA, Mex, Venezuela, molti paesi del Medio Oriente, nord Africa, Sudafrica hanno un tasso superiore al 20%. Ciò in parte è dovuto alla quantità complessiva di calorie ingerite e in parte è il risultato della sedentarietà dei contesti urbani. Sarebbe quindi sufficiente modificare la propria dieta e fare più movimento, seguendo le nuove indicazioni delle scienze della nutrizione. Una dieta salutare comprende cereali integrali, verdure, frutta e grassi vegetali. Le carni rosse e prodotti con alto indice glicemico (riso, patate), dovrebbero essere moderati. Alla base della piramide vi è l’attività fisica quotidiana. Il 40% del mondo è malnutrito e in più si assiste alla destabilizzazione delle derrate alimentari provocata dagli shock climatici e da altre avversità ambientali, mentre la popolazione aumenta e c’è anche un aumento della domanda di cereali: tutto ciò porta a un rialzo dei prezzi. Dal 1970 al 2000, i prezzi sono sempre scesi, perché la produzione superava la domanda, poi i prezzi hanno cominciato a salire. Per i ricchi questo aumento era solo una scocciatura, anche perché solo il 6% dei consumi degli USA riguarda il cibo. Al contrario, l’alimentazione assorbe gran parte del reddito dei poveri, fino ad arrivare al 45% in Kenya: questa relazione inversa tra reddito totale e percentuale destinata al cibo è detta LEGGE DI ENGEL. SISTEMI DI COLTIVAZIONE, ECOLOGIA E SICUREZZA ALIMENTARE Una delle sfide è anche la grande varietà di sistemi di coltivazione, quindi per incrementare le rese in agricoltura non c’è una soluzione universale, perché gli agricoltori si differenziano per tipo di coltivazione, difficoltà in termini di clima, terreno, acqua, topografia, biodiversità, costi di trasporto. Sulla terra, i terreni agricoli sono il 10% della superficie terrestre, quelli destinati al pascolo il 25%. Le aree dove le colture rappresentano più del 50% comprendono il Midwest USA, alcune zone dell’Europa occidentale, centrale e est, Russia, Cina, India. In Africa e Sud America, pascoli e colture sono indifferenziati. Le zone più aride in genere vengono destinate al pascolo, quelle semiaride sono abitate da popolazioni nomadi. Le aree forestali sono essenzialmente due: 1. Foreste pluviali all’altezza dell’equatore, dove i raggi scaldano molto il terreno, l’aria umida si alza e il vapore acqueo si condensa e provoca abbondanti piogge (alte temperature e tante piogge). Sono 3 le grandi foreste pluviali del pianeta: Amazzonica in Sud America, il Bacino del Congo e l’arcipelago indonesiano nel sud-est asiatico. 2. La foresta boreale che si estende su gran parte di Eurasia e Canada. La posizione di terreni agricoli e foreste dipende da condizioni ambientali (temperatura, piogge, topografia, possibilità di irrigazione). Maggiori densità abitative sono alle latitudini medie (acqua abbondante, terreni, buone, temperature moderate=presupposti per dedicarsi a agricoltura). Oggi le foreste a rischio sono molte, perché vengono occupate pian piano: il ritmo di deforestazione è insostenibile. L’Africa è caratterizzata da una varietà di climi che richiedono sistemi agricoli diversi, che portano a risultati economici diversi. Si suddivide in 14 zone agroambientali. Eccone alcune: Bacino del Congo non è molto produttivo in termini di sostanze nutritive e la foresta è sfruttata per i prodotti che può dare. La stessa cosa succede nelle colture arboree del Golfo di Guinea. Allontanandosi dall’equatore, verso i poli, le piogge diminuiscono e diventano un fenomeno più stagionale: vi sono colture annuali. Nell’Africa est prevale il mais. Verso i poli si arriva alle regioni aride, dove le piogge sono troppo scarse per coltivare, ma sufficienti per mantenere umidi i pascoli per il bestiame di passaggio. Alcuni paesi dell’Africa si estendono su più zone, per es. il Kenya è un mosaico di diversi sistemi, come l’Etiopia (pastorizia, coltivazioni di pianura e sugli altopiani). A questi diversi ecosistemi corrispondono diverse etnie, razze, religioni,c he danno vita a una varietà sociale e culturale. Non ci si è però resi conto della gravità della crisi delle regioni iperaride, come il Corno d’Africa e il Sahel, spesso dedite solo alla pastorizia, in genere molto povere, dipendenti dalle piogge e che risentono dei cambiamenti climatici, dell’incremento demografico, dell’incremento della fame. Sono situazioni che portano del mondo. Con il tempo poi ci saranno milioni di rifugiati ambientali e questi nuovi arrivati, poveri, si troveranno ad affrontare un ambiente molto ostile. Per andare verso lo sviluppo sostenibile, ci sarà bisogno di risposte diverse, di natura olistica, che tengano ben presente il contesto locale, quindi ogni regione del mondo dovrà trovare il proprio cammino verso l’agricoltura sostenibile. Si potrebbero migliorare le capacità di coltivazione, cioè essere produttivi in termini di resa per ettaro e più elastici di fronte alle avversità. Si ha bisogno di un’altra Riv. Verde che porti a coltivare nuove varietà adeguate alle sfide ambientali in atto. Si tratterà di concentrarsi su varietà resistenti al clima, soprattutto resistenti alla prolungata mancanza d’acqua. Molti ritengono che la modificazione genetica sia dannosa per l’ambiente e anche per la nostra salute; in realtà, queste tecnologie possono aiutare e quindi vanno di certo testate. Un’altra azione da intraprendere è di rendere alcune coltivazioni più nutrienti. Si potrebbe ovviare a certe mancanze rendendo più nutrienti alcuni alimenti di base (per es. il riso). Oggi gli scienziati stanno modificando il genoma del riso arricchendolo di beta-carotene, in modo che i bimbi che si nutrono di quel riso ricevano la vitamina A. una terza dimensione in cui muoversi è quella dell’agricoltura di precisione, che mira a ridurre il consumo di acqua, azoto e altri fattori, in modo che a un maggior quantitativo prodotto possa corrispondere un minore impatto ambientale. Questa si basa su tecnologie informatiche e consente di usare in modo efficiente le risorse e di usare un minor quantitativo di fertilizzanti. Le info sulla qualità del suolo ottenute grazie a strumenti portatili o satellitari consentono di prendere decisioni più accurate. Un altro passo da compiere è la gestione idrica, cioè si deve ridurre la quantità di acqua utilizzata. Importante è anche la migliore gestione delle fasi di raccolto, stoccaggio e trasporto per evitare pesanti sprechi. Le stime parlano di perdite attorno al 30-40% della produzione alimentare totale dovute all’azione di roditori e insetti, marciume, esposizione alle intemperie. È fondamentale trovare anche modelli imprenditoriali migliori per i piccoli agricoltori. Sono risultati che possono essere raggiunti tramite la creazione di cooperative o piccole organizzazioni locali. Infine, ci dobbiamo assumere la responsabilità della nostra salute e del nostro modo di approcciare le questioni alimentari. I nostri governi spesso hanno sostenuto prodotti sbagliati: è stato incoraggiato molto il consumo di carboidrati, grassi e altri cibi fast dannosi per la salute. Il cammino verso lo sviluppo sostenibile comporta una modifica dei comportamenti, una coscienza pubblica, una responsabilità individuale e politica, una mobilitazione di nuove tecnologie. L’agricoltura sostenibile e la sicurezza alimentare continuano a presentare un grande problema, irrisolto ma risolvibile. CAP. 14 OBIETTIVI DI SVILUPPO SOSTENIBILE GLI OBIETTIVI 1972: Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente umano, a Stoccolma. Nel frattempo si pubblicò “I limiti dello sviluppo”, che sottolineava le difficoltà derivanti dal coniugare la crescita economica e sostenibilità ambientale. 1992: Conferenza di Rio, su ambiente e sviluppo, dove si adottarono due accordi multilaterali: La convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici e la Convenzione sulla diversità biologica. 2012: Summit di Rio + 20, Conferenza sullo sviluppo sostenibile. La sfida del 1972, quella di coniugare crescita economica, inclusione sociale e sostenibilità ambientale non era ancora stata vinta, anzi si è era fatta più dura. Inoltre, i principali trattati ambientali non erano riusciti nel loro intento. La prima cosa che si dichiarò nel documento “The future we want” è che non ci si deve dare per vinti. Inoltre si disse che tra tutte le sfide, quella della lotta alla povertà estrema era la più urgente, perché è una questione di vita o di morte per circa 1 miliardo di persone. In più, ogni anno muoiono nel mondo 6,5 milioni di bambini sotto i 5 anni. Analizzando gli MDG e riscontrando quali fossero stati i buoni risultati nei 12 anni trascorsi, i leader mondiali capirono che il mondo aveva bisogno di adottare un approccio analogo sullo sviluppo sostenibile. I leader concordano di passare da MDG a SDG (sustainable development goals). A differenza degli MDG, che riguardavano quasi esclusivamente i paesi poveri e vedevano coinvolti quelli ricchi solo come donatori, gli SDG sarebbero stati applicati a tutto il pianeta. Gli USA hanno bisogno di imparare a vivere in maniera sostenibile quanto il Mali. Tutti i paesi devono promuovere l’inclusione sociale, la parità di genere e sistemi energetici a basse emissioni di CO2 e resilienti. Dopo Rio + 20, si è creato un network globale dedicato alla risoluzione dei problemi legati allo sviluppo sostenibile, il Sustainable Development Solutions Network (SDSN). Alla base dell’SDSN c’è l’idea che il mondo abbia bisogno di nuovi obiettivi, di motivazione politica e volontà, ma anche di un nuovo modo di risolvere le questioni in tema di salute, istruzione, agricoltura, città, tutela della diversità biologica. Si sono proposti un insieme conciso di 10 obiettivi da cui partire, gli SDG, da adottare nell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel settembre 2015. Si sono proposti 10 obiettivi, ognuno dei quali con alcuni target specifici e diversi indicatori numerici, da applicare dal 2016 al 2030: 1.Porre fine alla povertà estrema e alla fame: raggiungere tutti gli obiettivi riguardanti la fame, i ritardi nella crescita infantile, malnutrizione, insicurezza alimentare e offrire un supporto speciale ai paesi più vulnerabili. 2.Raggiungere lo sviluppo economico compatibile con i limiti del pianeta, in modo da stabilizzare la popolazione mondiale entro metà de secolo. 3.Assicurare un apprendimento efficace a tutti i bambini e i giovani, per la vita e il sostentamento, cioè ogni bambino deve poter sviluppare le capacità di cui ha bisogno per essere produttivo. Si deve promuovere lo sviluppo di buone capacità e un’istruzione adeguata. 4.Raggiungere l’uguaglianza di genere, l’inclusione sociale e i diritti umani per tutti, perché ancora oggi la discriminazione è una barriera enorme. 5.Garantire salute e benessere a tutte le età, quindi garantire una copertura sanitaria universale e promuovere politiche che aiutino i cittadini a fare scelte sane e sostenibili in tema di alimentazione, esercizio fisico. 6.Migliorare i sistemi di coltivazione e aumentare la prosperità delle aree rurali: si devono quindi migliorare le pratiche agricole, le infrastrutture rurali, l’accesso alle risorse per aumentare la produttività delle attività agricole, dell’allevamento e della pesca; ridurre l’impatto ambientale. 7.Rendere le città inclusive, produttive e resilienti; l’obiettivo richiede lo sviluppo di nuove forme di governance basate sulla partecipazione. 8.Frenare il cambiamento climatico indotto dall’uomo e assicurare l’energia sostenibile. Si chiede di ridurre le emissioni di gas serra derivanti da industria energetica, agricoltura e urbanizzazione e promuovere energia sostenibile per tutti. Entro il 2050, il mondo deve dimezzare le emissioni di gas serra. 9.Assicurare i servizi ecosistemici e la biodiversità, così come la buona gestione di acque e altre risorse naturali. 10.Trasformare la governance ai fini dello sviluppo sostenibile, quindi ci si deve impegnare per una buona governance e massimizzare gli sforzi per arrestare la corruzione. Poi il 25 settembre 2015, in occasione del Summit delle Nazioni Unite a NY, si sono approvati 17 nuovi obiettivi: 1.Porre fine alla povertà in tutto il mondo. 2.Eliminazione della fame: raggiungere una sicurezza alimentare, avere forme di agricoltura sostenibile, abbattere la malnutrizione. 3. Promuovere una vita sana a tutti gli stadi evolutivi dell’età, quindi ridurre la mortalità materna, infantile, problemi legati a epidemie, ridurre l’abuso di droghe e alcool. 4. Assicurare la diffusione di un’educazione per tutti, nel corso di tutta l’esistenza. 5. Raggiungere l’equità di genere: le donne devono poter accedere agli stessi servizi cui accedono gli uomini. 6. Assicurare una disponibilità e una gestione sostenibile di acqua per uso domestico e collettivo, per tutti. 7. Accesso all’energia a buon mercato, affidabile e sostenibile, per tutti. 8. Promuovere una crescita economica, che sia sostenibile e in linea con i limiti del pianeta. 9. Costruire una società resiliente, che sappia adattarsi ai cambiamenti del mondo di oggi. 10. Ridurre le disuguaglianze a livello economico, attraverso un buon coordinamento politico. 11. Rendere le città degli insediamenti esclusivi, sicuri, resilienti e sostenibili. 12. Assicurare produzioni e consumi sostenibili. 13. Fare un’azione urgente per combattere il cambiamento climatico e il suo impatto ambientale. 14. Conservare e sostenere l’uso di oceani, mari, risorse marine per lo sviluppo sostenibile. strategico. Alcuni settori hanno però di fondi pubblici, per esempio le scienze di base. I fondi pubblici sono importanti per la previdenza sociale per chi rimane senza lavoro o si trova ad affrontare circostanze difficili. I paesi ricchi hanno un ruolo fondamentale per aiutare quelli poveri a raggiungere anch’essi gli obiettivi. Ci sono poi molte aree in cui il settore privato è il naturale strumento finanziario per produrre progresso: è il caso dell’edilizia e dei sistemi energetici. Anche quando il finanziamento è del settore privato, è importante disporre di un contesto normativo adeguato e giuste misure correttive affinché i privati investano nella giusta direzione e vengano aiutati e guidati. Il dibattito sull’assistenza ufficiale allo sviluppo (ODA) è aperto. Alcuni sono critici a riguardo, altri sostengono invece che sia uno strumento vitale e cruciale per le organizzazioni e per i programmi di sviluppo rivolti alle popolazioni più povere del pianeta. Per alcuni gli aiuti sono necessari e la soluzione sono sempre i mercati, per altri gli aiuti sono uno spreco, altri ancora pensano che siano debilitanti, visto che portano a una mentalità di dipendenza. Gli aiuti senz’altro possono essere vitali in certe situazioni, specie quando la povertà è estrema e le persone si trovano di fronte a eventi che mettono a repentaglio la loro vita, come malaria e AIDS, acqua potabile, rete fognaria. I mercati non possono soddisfare i bisogni dei più poveri, quindi vanno aiutati in altro modo. Una soluzione potrebbe essere quella di raccogliere i fondi di tanti donatori in un contenitore comune in modo da snellire al massimo le procedure. Bisogna poi sottoporre gli aiuti all’esame di esperti e poi monitorare la situazione. Stendere un piano d’azione e poi monitorare da vicino le diverse fasi. Gli aiuti in questo modo funzionano, infatti per i GFATM i risultati ci sono stati e il sistema è ben tenuto sotto controllo, così è possibile interrompere, controllare, correggere e quindi proseguire. C’è quindi bisogno di chiarezza e di capire in quali direzioni vi siano maggiori possibilità di successo. L’efficacia dell’ODA e del finanziamento pubblico richiede un processo di pianificazione, backcasting, roadmapping, monitoraggio, valutazione e aggiornamento delle strategie. I costi degli SDG si aggirano intorno all’1-2% della produzione mondiale annua: un tale impegno finanziario non manda in bancarotta il mondo. PRINCIPI DI BUONA GOVERNANCE Lo sviluppo sostenibile è caratterizzato da 4 dimensioni, perché alle tre tradizionali si deve anche aggiungere la buona governance: non si tratta solo di politica e di governi, ma anche delle principali organizzazioni che sono attori chiave dello sviluppo sostenibile, tra cui le aziende private. La buona governance riguarda sia il settore pubblico sia quello privato. Invece di direttive universali, si possono stabilire principi di governance condivisi tra pubblico e privato: 1. La responsabilizzazione, cioè governi e aziende devono essere responsabili delle loro azioni e questo criterio dovrebbe valere per qualsiasi sistema politico. 2. La trasparenza, perché come cittadini, singoli, esseri umani possiamo ritenere governi e organizzazioni responsabili di azioni e comportamenti solo se ne siamo informati. Tutti i governi, qualunque sia il sistema politico, hanno il dovere di essere trasparenti. 3. Partecipazione, cioè la capacità dei cittadini e degli stakeholder di partecipare al processo decisionale. Una buona attività economica adotta sempre un approccio multistakeholder. 4. Il principio “chi inquina paga”, in base al quale ognuno pulisce dove ha sporcato. Si tratta di internalizzare le esternalità, cioè le aziende e consumatori devono sopportare tutti i costi sociali derivanti dal loro modo di agire. Si dovrebbe insistere perché le aziende smettano di creare danni esterni, anche se la legge dovesse permetterglielo (nel caso del trasferimento di un’azienda in un altro paese, magari più povero). Una buona governance non deve causare danni. 5. Infine, la buona governance ha un chiaro impegno rispetto allo sviluppo sostenibile: i governi sono responsabili rispetto ai bisogni del pianeta, infatti buona governance vuol dire anche senso di appartenenza e di partecipazione universale. Se questi concetti vengono adottati a livello universale si possono davvero compiere passi avanti e i governi potrebbero collaborare in modo più efficace. LO SVILUPPO SOSTENIBILE E’ REALIZZABILE? Alcuni personaggi hanno espresso dubbi a riguardo, facendoci riflettere: l’urbanista Jane Jacobs dice che secondo lei si sta procedendo bene, ma le cose stanno peggiorando. Le comunità si stanno sfilacciando, il concetto di bene comune sta scomparendo, i governi sono più sensibili agli interessi personali che ai bisogni reali. Lord Martin Rees dice che la via d’uscita c’è, ma la situazione è drammatica. I sostenitore dell’ecologia James Lovelock ha dichiarato che siamo già al di là dei margini di sicurezza planetari e che buona parte del mondo è destinata a soccombere. Ci sono potenti interessi privati, come quelli delle società petrolifere, che hanno agito con chiarezza e ostacolato il cambiamento. Comunque, non si devono perdere le speranze, perchè si sono capite le strade da seguire, le tecnologie che possono decarbonizzare il sistema energetico, identificato le tecnologie che possono consentire di economizzare in termini di superfici coltivabili, incrementare la produttività, ridurre flussi di azoto e fosforo. Inoltre, le idee contano e sempre, nel corso della storia, le idee hanno promosso il cambiamento e alcune hanno dato vita ai più importanti movimenti degli ultimi due secoli: un esempio è la fine della schiavitù, grazie all’impero britannico, che nel 1807 la abolì definitivamente e nel 1833 estese il provvedimento a tutto l’impero. Un altro mutamento fu la lotta contro il colonialismo, guidata da Gandhi, la cui leadership ha contribuito a mettere fine al colonialismo e ha ispirato molti movimenti per i diritti civili, umani. Altro mutamento è quello che riguarda il movimento per i diritti umani, in parte guidato da Eleanor Roosvelt, sostenitrice della Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo, un documento morale che ha cambiato il mondo e ha reso possibile iniziative come gli MDG. Idee che hanno ispirato il movimento per i diritti civili, sostenuto da Martin Luther King, e la proposta di pace del presidente Kennedy all’URSS. Il 10 giugno 1963, Kennedy tenne il discorso sulla pace: è un discorso di valori, diritti umani e idee, e la principale è che l’umanità può risolvere i problemi in modo pacifico e vivere insieme perché quello che abbiamo in comune è più importante di quello che ci divide. “Dobbiamo concentrarci su una pace più pratica e più raggiungibile. La vera pace deve essere il risultato dell’impegno di molte nazioni, la somma di molti atti, deve essere dinamica, non statica”. Kennedy lottava contro il divario tra USA e URSS, tra i loro valori e sistemi politici, ma egli espresse ciò che erano gli interessi comuni. “Respiriamo tutti la stessa aria, tutti abbiamo a cuore il futuro dei nostri figli e tutti siamo mortali. Sta a noi, oggi, vedere se riusciremo a guidare il mondo verso uno sviluppo sostenibile.
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