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Riassunto del libro "La bella maniera" di A. Pinelli, Appunti di Storia dell'Arte Moderna

Sunto del libro con immagini prese dagli esempi fatti dall'autore, ogni capitolo è stato riassunto tenendo conto degli argomenti principali di cui trattava e seguendo un discorso che collega i vari capitoli.

Tipologia: Appunti

2021/2022

Caricato il 18/09/2022

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Scarica Riassunto del libro "La bella maniera" di A. Pinelli e più Appunti in PDF di Storia dell'Arte Moderna solo su Docsity! Riassunto “La bella maniera”, artisti del ‘500 tra regola e licenza di Antonio Pinelli. Capitolo 1. Vasari e il Pontormo. Il primo capitolo del libro si concentra sul rapporto del Vasari con il Pontormo. Come incipit per il discorso viene riportato un frammento della descrizione da cui si può ben capire l’opinione che lo scrittore aveva sull’artista “non avendo fermezza di cervello andava sempre cose nuove ghiribizzando”, per intendere, come poi scrive Pinelli, l’irrequieta sperimentazione che si può notare nella produzione artistica di Pontormo. Successivamente però viene criticata la solitudine e la timidezza dell’artista, questa critica non viene sfruttata solo per delineare la psicologia dell’imputato ma soprattutto per definire come questa solitudine sia invalidante nella sua pittura. Come per intendere che il fatto che rimanesse sempre da solo lo avesse portato ai risultati che presentava che Vasari in dei passi successivi definisce eccessivo: “come di chi vuol sforzare e strafare la natura”. Molte delle testimonianze della vita del Pontormo arrivano in particolar modo dal suo diario, che non fa altro che confermare il racconto del Vasari (che risulta solo leggermente insaporito). Un aspetto importante della descrizione che fa Vasari è il dare troppo e particolare rilievo all’inizio della carriera dell’artista, con una descrizione accurata e entusiasta della Pala Pucci, definita da Pinelli ancora acerba in quanto opera giovanile. Altra stranezza nella biografia artistica è da intendere a livello generale, Pontormo difatti non viene inserito in quel proemio alla parte terza delle Vite, in cui troviamo molti altri influenti ed importanti artisti a lui contemporanei in cui l’autore sostanzialmente fa una classifica personale degli artisti del tempo. Questa classifica del ‘500 è ovviamente capeggiata dalla triade Leonardo-Michelangelo-Raffaello. Manca però come già detto il Pontormo, per altro toscano come Vasari e morto alla scrittura delle Vite (a parte qualche eccezione una delle regole nella stesura delle Vite di Vasari era quella di non inserire artisti a lui contemporanei viventi, un modo sicuramente per evitarsi critiche aspre e astio). Una delle critiche più pesanti poi che il Vasari decide di fare la fa proprio al Pontormo quando descrive l’affresco del coro di San Lorenzo, la critica si concentra in particolar modo nella modernità di tali affreschi, di cui ora ci rimangono solo gli schizzi preparatori. La distruzione di questi, come anche proposto da Pinelli è probabilmente dovuta anche alla critica che Vasari fa nei confronti di essa. Che ha quindi sicuramente influenzato la scelta della sostituzione dell’affresco. Viene a questo punto citato il trattatello “Il Beneficio di Cristo” da cui Pontormo avrebbe preso ispirazione per la costruzione iconografica del dipinto, oggetto principale della critica vasariana. Seguono poi una serie di collegamenti che riportano alla figura di Pierfrancesco Riccio, committente dell’affresco. Il volume citato è da inserire intanto nella categoria di quei volumi sopravvissuti ai roghi dell’inquisizione. L’affresco quindi appare come un’opera dall’iconografia eretica secondo i dogmi dell’inquisizione. Tuttavia Vasari non sembra riservare critiche solo nei confronti del Pontormo ma anche un forte rancore nei confronti di Riccio. Il motivo va fatto risalire ad una esclusione a cui Vasari sostenne di essere stato vittima quando Riccio era maggiordomo Ducale ed elargiva quindi tutte le commissioni per conto dello stato mediceo. Vasari successivamente ci tiene a far sapere al lettore di aver avuto una sua rivalsa, difatti scrive di aver dipinto nell’arco di 6 un chiaroscuro in occasione di un battesimo, incarico che il Pontormo aveva rifiutato per i tempi troppo stretti. Si può leggere poi in altre biografie di personaggi appartenenti al gruppo del Riccio che Vasari non si spreca nelle critiche pesanti, insomma si nota un forte rancore nei confronti di questi artisti tale da criticare (come per Pontormo) gli stili di vita e le abitudini di questi. In conclusione Pinelli ci spiega poi il motivo di questo primo capitolo che serviva come preambolo ai capitoli successivi, per far capire al lettore come il contrasto Vasari-Pontormo non sia altro che un esempio molecolare di una situazione molare nell’Italia del ‘500, che vediamo infatti divisa in una prima stagione di sperimentalismo anticlassico (erroneamente spesso definita “primo manierismo”) a cui Pontormo fa da capofila e la cosiddetta “età della maniera”, il cui Vasari se non esponente maggiore perlomeno fa da grande teorico e figura di spicco. Uno spacco generazionale quindi che viene spiegato meglio nei capitoli a seguire. Capitolo 2 Manierismo, uso e abuso di un termine. Il capitolo si concentra su un’analisi semantica sull’uso della parola maniera e manierismo. Di base vengono citati molti scritti in cui questo termine (come si vede del resto anche per altri episodi artistici) viene usato in maniera erronea o eccessivamente frazionato. Pinelli ci fa intendere dopo che è d’accordo con una visione di un altro grande storico dell’arte (Giuliano Briganti) che divide la maniera in due periodi: un primo specificatamente toscano, in cui ovviamente viene collocata anche la nascita del movimento stesso e un secondo con il baricentro a Roma. Nei due casi vediamo che il periodo toscano viene enfatizzato di più da Briganti per via della creazione di opere come il Tondo Doni, la Battaglia di Cascina e il dipinto murale della Battaglia di Anghiari. In questa prima fase vediamo poi figure veramente di spicco. Nel secondo periodo vediamo gli artisti romani confrontarsi con le opere di Raffaello e di Michelangelo in un primo momento (come una sorta di primo trauma) e in un secondo momento nella Roma dopo il ‘27 (Sacco di Roma). Seppure in parte d’accordo con la teoria di Briganti Pinelli illustra poi come questa chiuda un circolo, iniziato dagli storiografi dell’arte nei primi decenni del ‘900 che volevano a tutti i costi dividere in fasi e sottofasi. Briganti ne risulta in parte influenzato e come già scritto: chiude un periodo per aprirne un altro che inizia con due convegni: quello di Roma del 1960 e quello di New York del 1961. Negli ordini del giorno di entrambi figurava una ridefinizione del termine Maniera e Manierismo. Il primo convegno, in breve, non portò a nulla. Il convegno di New York invece, presieduto per altro da Gombrich, il convengo fece effettivamente un salto in avanti, basandosi su due scritti: “Maniera as an aesthetic ideal” di Shearman e “Mannerism and Maniera” di Smyth. Questi costituiscono non solo i pilastri sulla quale si basa il saggio di Pinelli ma soprattutto una svolta importante nella storiografia sul manierismo. È paradigmatico a tal proposito l’esempio di Andrea del Sarto, un classicista senza errori che ebbe la sfortuna di avere nella sua bottega artisti dell’insurrezione anticlassica come Pontormo, il Rosso e Jacone che, è certo, presero le mosse per le loro prime sperimentazioni proprio dalle opere del maestro, isolando e esasperando quei punti che il maestro includeva in un equilibrio classico. Questo modus operandi quindi era il rapporto con i grandi maestri del tempo, però per vedere nel dettaglio i rapporti vanno presi caso per caso, senza dare per scontato che ogni artista agisse in questo modo. Ma come per l’esasperazione dei dettagli in Andrea del Sarto si può scavare per vedere quali potevano essere i dettagli esasperabili degli altri maestri: come in Leonardo i paesaggi oscuri e tenebrosi ma più importante forse gli studi degli affetti e delle pose espressive che gli insorgenti ovviamente utilizzeranno come spunto maggiore nella creazione delle pose psicologiche. Dal classicismo cromatico di Bellini e Giorgione prenderanno spunto artisti come Tiziano e Lorenzo Lotto. Il primo per creare una nuova vitalità di fusione tra umanità e natura e il secondo per esaltare le potenzialità espressive malinconiche del romanticismo giorgionesco. Passando poi alla figura di Michelangelo è utile riassumere in una frase ciò che scrive Pinelli; ovvero che Michelangelo sia direttamente che indirettamente funge da principale referente dei più genuini impulsi anticlasssici. Segue poi il racconto delle vicende del restauro della Cappella Sistina che hanno restituito i colori originali dell’intero affresco rivelando così un Michelangelo fortemente colorista. Michelangelo poi al di là della sua importanza artistica fu imputato più volte, essendo proprio principale ispiratore, nelle critiche contro il manierismo. Tant’è che il termine maniera in alcuni scritti arrivò a coincidere con quello di michelangiolismo. Si passa poi a Raffaello, caso più complesso in quanto fervo sostenitore del classicismo più rigido che seppur passando in diversissime tendenze artistiche sempre mantenne quella sicurezza e lucidità nelle sue opere, si specifica che vale sia per il Raffaello giovane sia per il maestro maturo e complesso che divenne negli anni. Raffaello si dimostra quindi lontano dagli insorgenti. Fu proprio lui però che con il suo arrivo a Roma, seguito dalla sua cerchia, tendette a smorzare la tendenza anticlassica. Il trauma quindi generato dal suo arrivo formò una ricerca che andasse tra il michelangiolismo e il raffaellismo, tra classico e anticlassico quindi che fece nascere nei decenni centrali del ‘500 la corrente manierista. Capitolo 6. Dall’anticlassicismo al Manierismo. Si torna al Pontormo, per delineare sicuramente come ci fa intuire il titolo una strada cronologica dai primi decenni del ‘500 alla metà del secolo. Pinelli prende in causa due esempi: la Visitazione dell’Annunziata, databile al 1514-16, e la Pala Pucci del 1518, in queste due opere vediamo un Pontormo giovane e agli inizi della sua carriera che è già segnata da un’insofferenza verso i modelli dei maestri. Si fa l’esempio dei tratti di Andrea del Sarto che Pontormo sembrerebbe aver conservato è in realtà portata alle massime possibili. Riguardando la Pala Pucci si nota ad esempio uno studio della composizione che viene portato su altri piani, mai calpestati dai maestri precedenti. Le figure vengono poste in diagonali e simmetrie ricche di tensione con rimandi a chiasmo un po’ in tutto il dipinto. Ci sono pose, espressioni e movimenti che in qualche modo hanno un doppio nel dipinto, ora specchiato, capovolto o semplicemente copiato. La carica espressiva di ogni personaggio inoltre è molto forte, in particolare quella dei bambini, che non risultato più solo vivaci ma hanno una vitalità sfrenata. Per capire ulteriormente bene le differenze di tecnica e di poetica tra i maestri e la generazione dello sperimentalismo si può notare l’approccio che nella medesima commissione ebbero il Pontormo e Andrea del Sarto. La commissione richiedeva un formato piccolo ed entrambi gli artisti, nel limite delle capacità realizzarono dei capolavori. Andrea del Sarto (qui sopra), realizza due operette in cui sostanzialmente mantiene lo stile che lo ha sempre caratterizzato, rispettando i limiti del formato piccolo ma dando la stessa aria compositiva dei quadri di grande formato. Il Pontormo al contrario (a destra) è suggestionato dalle stampe di Durer e Luca da Leyda. La sfida che si era messo il Pontormo era quella, come si può notare vista la riuscita, di inserire una grande quantità di figure raccontando “una storia assai grande pur di figure piccole”. Oltre ad essere multifocale (cosa che manca ad esempio in Andrea del Sarto, che sceglie una sola focalizzazione nel dipinto) è anche pluridirezionale, e non manca lo stacco netto tra un gruppo di persone e un altro che sembrano tutte raccontare una storia diversa. Inoltre è di grande importanza, in quanto anche come dettaglio virtuoso quella scala curvata e scorciata. Con questa operetta il Pontormo ci segnala come si sia definitivamente staccato dalla scuola di Andrea del Sarto, andando per la sua strada fatta di sperimentalismi e “nuovi trovati”. Questa sperimentazione dell’artista culmina con una delle opere che oggi è considerata tra le più importanti di questo secolo: la deposizione della Cappella Capponi. Cui per altro Vasari non dedica che alcune critiche righe. Il gioco delle ritmiche già visto per la Pala Pucci qua lo vediamo maggiormente sfruttato e tutta la composizione è impregnata poiché non rimane solo un gioco di movimenti e di espressioni ma anche di rimandi cromatici che “si chiamano l’un l’altro”. L’esempio del Pontormo ci comunica Pinelli non è casuale, difatti è uno dei pochi esponenti importanti del periodo dello sperimentalismo che mantenne fede al suo stile fino alle ultime opere. Anche personaggi come Rosso Fiorentino che pur seguendo il Pontormo per un periodo, ad un certo punto della carriera iniziò a produrre dipinti molto più classici acquistando eleganza e tecnica ma non novità. Segue una serie di vicende che spiegano il motivo per cui a Roma probabilmente il manierismo attecchì maggiormente che si può riassumere nei fatti subito prima e subito dopo il sacco di Roma del ‘27. Prima del sacco sappiamo stava iniziando a formarsi a Roma una scuola di giovani artisti che si era raccolta subito dopo la morte prematura di Raffaello, questa breve esperienza durò fino al Sacco. Tra il ‘20 e il ‘27 però troviamo appunto questo germe molto fertile da cui poi si svilupperà la tradizione manierista effettiva. Il periodo dal ‘20 al ‘27 è stato nominato come “manierismo clementino” o “stile clementino”. Uno storico dell’arte, André Chastel, ha poi tracciato il tipico scenario di questo quasi decennio. Lo storico parla di un’atmosfera particolarmente edonistica, che vede per altro la nascita di stampe erotiche e una produzione artistica molto sperimentale. Il trauma del sacco è però la parte più importante, poiché vediamo la fuga di tutti questi artisti da Roma per portare il messaggio manierista in tutti gli angoli d’Italia. La circolazione poi di stampe, bronzi e quadri di piccole dimensioni contribuiranno ulteriormente alla diffusione del linguaggio manierista. La maniera sappiamo poi si diffonderà non solo in tutta la penisola italiana ma anche nel resto d’Europa, per altro con maggior facilità visto che molte regioni, soprattutto a nord, non erano state che sfiorate dal Rinascimento. ___________________________________________________________________________ Parte Seconda. Introduzione. Il paragrafo introduttivo alla seconda parte del libro è utile per delineare i caratteri principali che l’autore ha affrontato fino a questo momento, per poi fare un piccolo schema di quelli che saranno i capitoli a seguire. 1. La Maniera in Vasari: analisi di come si evolve nel lessico di Vasari il termine maniera e del suo rapporto col manierismo in sé. 2. Ut pictor poeta: “un pittore come poeta” e anche il capitolo 3. Realtà e finzione servono per comprendere il metalinguaggio della maniera, come arte nata nell’arte, non solo pittorica ma anche allargata negli altri campi artistici. 3. K 4. Tramonto della Maniera: il crepuscolo e la crisi della maniera nel suo rapporto con la controriforma. Verrà analizzato un trattatello di Ludovico Dolce “Il dialogo della pittura” per capire meglio quale sia la strada percorsa dal manierismo che lo condurrà alla sua fine. Capitolo 1. “Maniera” in Vasari. Il termine “maniera” compare per la prima volta in scrittura con il libro “Il libro dell’arte” di Cennino Cennini, che ancora, come si vedrà non commenta negativamente ciò che poi sarà ufficialmente riconosciuto come difetto: ovvero copiare la maniera di un maestro per farne un’arte propria. Addirittura scrive di una “teoria dell’imitazione di un solo maestro”. Con Cennino Cennini abbiamo poi una conferma del fatto che il termine “maniera” fosse inteso al tempo nella stessa accezione con la quale noi intendiamo “stile”. Non solo riferito ad un artista ma anche ad un’aerea geografica o ad un periodo storico: “la maniera tedesca”, “la maniera antica”. Da altri scritti vediamo come prima dell’uso nella famosa cadenza negativa il termine maniera fosse usato anche per definire una certa abilità, in un brano critico vengono commentati gli edifici dei Gotti con la frase “privi di ogni grazia e senza maniera alcuna”. Vediamo quindi come in questo caso la maniera è affiancata al concetto di grazia e di eleganza. Anche il Vasari stesso userà il termine più e più volte nelle Vite, sin dall’inizio dello scritto con b. L’ossimoro e il doppio ossimoro intrecciato. Come nell’esempio del capitolo precedente in questo vediamo la piccola analisi sull’ossimoro nel suo uso massiccio nella produzione poetica del tempo ma anche in pittura. Tuttavia non ci si ferma solo al semplice ossimoro come figura accoppiata ma opposta al soggetto della rappresentazione/poesia ma anche alla sua evoluzione presentandosi rovesciato, sdoppiato, specchiato. A questo proposito è utile vedere gli esempi che vengono citati anche nel libro, qui di fianco Lorenzo Lotto e Gaspare Celio sotto. Il doppio ossimoro intrecciato viene definito come l’apoteosi dell’acrobazia retorica, un esempio in letteratura lo vediamo in testo dedicato all’arte in cui l’autore scrive “il natural artifizio e l’artificiosa natura” per descrivere le caratteristiche di un giardino manierista. Altro esempio in pittura lo vediamo però in una tipica rappresentazione degli artisti della maniera che figurava come un esercizio e una prova schiacciante di virtuosismo: il rappresentare allo stesso tempo “il dinanzi” e “il didietro” di una figura. Di tutti gli esempi sul libro ne metto solo due perché tanto è piuttosto facile da comprendere come raffigurazione. Si conclude poi che, nonostante nel ‘500 la cosa venisse vista come una grande prova di tecnica da parte dell’artista Leon Battista Alberti, della generazione precedente, criticava aspramente in uno scritto chiunque facesse pose troppo complesse e fuori dall’ordine naturale. c. La figura serpentinata. Michelangelo fu il primo ad utilizzare nelle sue sculture, ma anche in molti dei suoi dipinti, la figura serpentinata come metodo di realizzazione di figure dinamiche anche in pose che relativamente potrebbero essere statiche. Il genio della vittoria di Michelangelo è il paradigma scultoreo insieme al ratto della Sabina di Giambologna. In particolare nel caso del secondo è utile sapere come il soggetto del gruppo sia stato trovato solo dopo la realizzazione, l’opera in sé voleva solo essere un esempio di virtuosismo da parte dell’artista. d. Pittori e poeti. Leon Battista Alberti suggeriva nel trattato sulla pittura di avere familiarità con i poeti e i letterati, perché da essi è possibile apprendere molte cose a riguardo della pittura. Per molti artisti sappiamo poi che questo interesse verso la letteratura diventerà anche un impegno diretto, molti artisti infatti si cimenteranno nella poesia e nella scrittura (tra questi anche Michelangelo). La metafora gioca un ruolo importante nei tentativi poetici degli artisti. La stessa metafora che ritroviamo visivamente nelle famose opere ritrattistiche dell’Arcimboldo. e. La grottesca: capriccio, controsenso e improvvisazione. Questo capitolo si collega a quello sopra, in quanto molti poeti/pittori si cimentavano nella scrittura di letteratura leggera o comunque nella produzione di sonetti canzonatori e di semplice trovata. Lo stesso ruolo che questo tipo di poesia giocava nel suo campo lo facevano le grottesche nella pittura manierista. Queste figurazioni entrano nel repertorio pittorico quando vengono scoperte nel 1400 nella domus aurea di Nerone. La grottesca dalla sua scoperta ha una notevole fama nel ‘500 quando divine un paradigma di licenza creativa e fantastica. Nei trattati del tempo la grottesca viene presentata come fosse la prova del nove dell’ut pictura poesis, a conferma del fatto che l’arte avesse gli stessi diritti perché può concedersi le stesse licenze senza essere schiava del verosimile e del naturale. Per questo motivo chiaramente la ritroviamo nel periodo manierista. Lo stesso ruolo della grottesca in pittura lo giocava l’intermezzo nel teatro, usato man mano nel ‘500 come massima espressione della creatività dello scenografo o del costumista. Un critico dell’epoca arrivò a definire come l’intermezzo stesse man mano prendendo sempre più importanza rispetto all’opera principale. Capitolo 3. Realtà e finzione. Il capitolo si concentra maggiormente sui caratteri principali della rappresentazione manierista. Tagli diagonali, personaggi di quinta, figure violentemente scorciate, tre esempi che Pinelli fa di tre delle scelte principali degli artisti manieristi nella costruzione di una composizione. Diventano abituali anche le immagini incomplete che dilatano la rappresentazione oltre i confini della tela, a destra un esempio. Questa uscita serviva di base come scusa per avere una relazione diretta con lo spettatore, mettere lo spettatore stesso all’interno dell’ambiente del dipinto e farlo immedesimare. Pinelli cita un altro esempio oltre quello delle figure incomplete che troviamo nell’Incendio del borgo e nella Cacciata di Eliodoro di Raffaello, rispettivamente sono la donna con la brocca rivolta verso la scena e il ragazzo alla colonna. Figurano come partecipi e testimoni allo stesso tempo, dando importanza anche a chi osserva la scena (come lo spettatore esterno) in modo da farlo sentire il più possibile all’interno del dipinto. a. La maniera e il teatro. Una delle altre figure utilizzata spesso dai pittori manieristi è quella dell’astante, personaggio all’interno del quadro che non partecipa alla scena principale e invita lo spettatore ad osservarla, gesticolando e indicando i vari personaggi. È lo stesso ruolo dello Sprecher a teatro, che Sphyer (non è importante il nome) paragona agli attacchi impetuosi dello scrittore verso il lettore. Lo sprecher mette il quadro e lo spettatore in un rapporto immediato ma equivoco. Un esempio tratto è quello della flagellazione di Federico Zuccari, in cui sprecher e figure di quinta sono posti con l’unico scopo di comunicare con l’osservatore, seguendo una prassi quasi totalmente manierista. Non ci stupisce quindi che il teatro sia uno dei luoghi nella quale gli artisti della maniera possono sentirsi più liberi di esprimersi in assoluto, oltre che un luogo in cui la fantasia può volare liberamente. La metamorfosi nel teatro e la possibile realizzazione di enormi scenografie di fantasia sono due dei tanti esempi.
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