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riassunto del libro "la lotta pe le investiture" di D'Acunto, Sintesi del corso di Storia Medievale

riassunto del libro "la lotta pe le investiture" di D'Acunto

Tipologia: Sintesi del corso

2022/2023

Caricato il 20/11/2023

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Scarica riassunto del libro "la lotta pe le investiture" di D'Acunto e più Sintesi del corso in PDF di Storia Medievale solo su Docsity! 1 LOTTA PER LE INVESTITURE Una rivoluzione nascosta -l'umiliazione di Canossa è l'episodio occorso nel gennaio del 1077 presso il castello della Duchessa Matilde durante la lotta politica che vide contrapposta l'autorità della Chiesa, guidata da Gregorio VII, a quella imperiale di Enrico IV, il quale, per ottenere la revoca della scomunica inflittagli dal papa, fu costretto a umiliarsi attendendo inginocchiato per tre giorni e tre notti innanzi al portale d'ingresso del castello, mentre imperversava una bufera di neve - l’episodio di Canossa costituisce uno di quegli eventi-cesura (come la presa della Bastiglia), che scandiscono e sintetizzano il significato di ogni rivoluzione importante. - Non si tratta di una battaglia o scontro violento ma di un episodio che vede un potere politico umiliato e desacralizzato. - “Andare a Canossa” sarebbe diventata una espressione per indicare l’atto di pentirsi e di chiedere umilmente perdono, ammettendo i propri sbagli. -Guido Capitani riflette sul fatto che questa grande sconfitta morale dell’imperatore si rivelerà una grande vittoria politica e, successivamente, una vittoria militare, questo sarà il punto di partenza del fenomeno delle lotte delle investiture. -sotto il pretesto di voler fare una riforma, il papato stava realizzando una rivoluzione -Si può parlare di rivoluzione nel medioevo? La rivoluzione è infatti solitamente associata alla modernità, ne è uno degli aspetti caratterizzanti, in contrapposizione al medioevo come epoca statica e incapace di rivoluzioni. -Questa concezione statica del medioevo è ideologica e artificiale, la stessa modernità può essere descritta come la continuazione di molte esperienze fondamentali dell’occidente medievale - Secondo Paolo Prodi la lotta per le investiture sarebbe di natura rivoluzionaria, l’intera storia dell’Europa occidentale sarebbe da considerarsi come una rivoluzione permanente - il concetto di rivoluzione permanente è di matrice Marxista che intende sottolineare che la rivoluzione non può risolversi in un unico atto -l’ordine politico nato con le costituzioni americane e francesi è il risultato di un processo secolare avviatosi quando nel XI secolo venne elaborata la separazione dei poteri fondata sulla desacralizzazione del potere sovrano che portò ad una sostituzione della sacralità con il patto politico come legittimazione del potere. -il potere politico si configura come il risultato dell’accordo revocabile tra i detentori dell’autorità e i loro sudditi, portando alla nascita dell’idea della rappresentanza, ma anche l’idea di revoca del potere detenuto dalla autorità. - Si apre un precedente concettuale che porterà al primo processo legale a un sovrano (Carlo I nel 1648) e alla prima rivoluzione inglese. -la lotta per le investiture si caratterizzerà per una contrapposizione tra il potere secolare e quello religioso 2 -Il dictatus papae e le lettere di Gregorio VII sono il manifesto di un preciso orientamento ideologico dei riformatori che, nonostante non trovi la sua piena realizzazione in quei documenti e proclamazioni, rafforza l’idea della superiorità del papato su ogni altra autorità terrena. - Secondo Jack Goldstone affinché una nuova ideologia produca azioni rivoluzionanti è necessario che si verifichi un cambiamento nelle posizioni delle élite in modo da dare spazio e opportunità alle masse di mobilitarsi intorno a nuove credenze, le nuove ideologie da sole non bastano per produrre rivoluzioni. -la guerra tra i riformatori gregoriani e l'Impero fu combattuta con le armi vere e proprie, ma fu anche una war of words, di parole scritte e declamate, e di idee che uscirono dalle corti per insediarsi nelle piazze e nelle chiese delle città, coinvolgendo per la prima volta le masse popolari, che fino ad allora avevano assistito passivamente. - I cosiddetti "gregoriani" ebbero l’appoggio di gran parte delle élite europee riguardo ad un'ideologia i cui contenuti ribaltavano l'ordine ereditato dalle generazioni precedenti, ma la diffusero capillarmente grazie a forme di comunicazione nuove e mai fino ad allora sperimentate in Occidente, che mobilitarono specialmente in Italia le masse cittadine attorno a un progetto di Chiesa che era anche un progetto di società. - Ne derivò una trasformazione profonda della struttura ecclesiastica e del potere politico che si articolò in forme nuove che portarono al rafforzamento delle cosiddette monarchie nazionali e in Italia centrosettentrionale alla nascita dei Comuni. - Harold J. Bermann parla in questo contesto di rivoluzione pontificia del 1075-1122, ma evidenzia che essa venne chiamata a quel tempo riforma gregoriana, continuando a celare il suo carattere rivoluzionario. - questa e altre rivoluzioni medievali non erano "narrabili", poiché ogni progetto innovatore (come quello di Gregorio VII) andava nascosta sotto il velo della re-formatio, ovvero della riforma intesa come ritorno a un modello considerato oggettivamente migliore. - La civiltà medievale aveva grandi problemi quando doveva confrontarsi con il cambiamento poiché ogni cambiamento veniva avvertito come intrinsecamente negativo, nel secolo XI paradossalmente la rivoluzione non era invocata o narrata con orgoglio da coloro che la facevano, i quali invece cercavano di nascondere il carattere rivoluzionario del proprio operato. -Al contrario erano i nemici del progetto rivoluzionario a denunciare il carattere eversivo dell'operato dei loro avversari per delegittimarli, essere accusati di intentare progetti rivoluzionari era visto negativamente poiché era inteso come un tentativo di riorganizzare l’ordine del mondo voluto da Dio. - Proprio per questo aspetto le fonti sono di norma testimonianze dei vincitori e raramente dei vini, in modo intenzionale le testimonianze nascondono la rivoluzione molto più di quanto la raccontino. - Nell’introduzione del volume di D’Acunto presenta due interpretazioni: • Augustin Fliche La riforma gregoriana della chiesa porterà ad uno scontro con l’imperatore, Gregorio VII dà lo slancio a questo cambiamento, tutto ciò che viene prima è preparatorio per la riforma, tutto ciò che viene dopo ne è la conseguenza. Vede nella riforma gregoriana il punto centrale della lotta delle investiture dunque inquadrandolo come un fenomeno unitario con Gregorio VII come figura assolutamente centrale. 5 In questa prospettiva l'ecclesiologia (fondamenti dottrinali della fede) funse da tramite non solo tra la spiritualità e le istituzioni ecclesiastiche, ma anche tra le istituzioni politiche e le strutture sociali. -veniva a cadere l'idea stessa di restaurazione postgregoriana intesa come processo di istituzionalizzazione e di irrigidimento giuridicistico lontano dalle più genuine aspirazioni spirituali. - La considerazione positiva di Violante della "Chiesa feudale" veniva dal contatto con il grande maestro della storiografia tedesca, Gerd Tellenbach, che nel 1936 pubblicò il volume Libertas. -Gli storici tedeschi del secondo Reich prestarono grande attenzione alla lotta per le investiture, da loro interpretata come uno scontro essenzialmente politico -secondo Tellenbach, nell'Alto Medioevo era fortissimo il controllo da parte dei laici sulle chiese e sulla Chiesa, ma altrettanto pervasiva era stata la presenza degli ecclesiastici nelle istituzioni politiche. - Nel libro di Tellenbach non vi è distinzione tra Chiesa e Stato, il che ne costituisce il più importante segnale di novità rispetto al precedente dibattito storiografico. -Lo studioso tedesco non giudicava negativamente la situazione precedente alla riforma, poiché la Reichskirche ("Chiesa regia") aveva aperto spazi di azione ecclesiale assai ampi per i fedeli laici, senza intaccare il principio gerarchico che ne prevedeva la diversità di funzioni rispetto ai chierici. - Anche secondo Tellenbach la riforma avrebbe confinato i laici in una posizione di passività, creando una Chiesa a totale controllo chiericale. - Si trattava secondo Violante di una ecclesiologia fondamentalmente unitaria, in cui il potere temporale laico e il potere spirituale ecclesiastico erano un tutto indistinto, realizzabile in vari modi e secondo varie istituzioni, sia con l'appoggio del papa che con quello dell'imperatore. - Dalla metà del secolo XI questo sistema indistinto di potere entrò in crisi sia per il vuoto di potere che si determinò per la minorità di Enrico IV, sia per la maturazione di una nuova autocoscienza ecclesiale che era contraria all'intromissione dei laici nella direzione della Chiesa. In questo ultimo aspetto la prospettiva di Tellenbach è in accordo con l’idea della restaurazione postgregoriana di Morghen e Miccoli -mentre per Miccoli la riforma apri nuovi spazi ecclesiastici ai laici, che fino a quel momento avevano vissuto ai margini della vita religiosa, per Tellenbach la Reichskirche si era retta proprio sulla sostanziale indistinzione di ruoli dei diversi ordines e sulla loro compenetrazione nella gestione della struttura ecclesiastica e politica. - L’opera di Tellenbach non fu accolta positivamente in Italia e in Francia, per motivi diversi la sua impostazione risultava meno maneggevole di quella di Fliche. - il volume Libertas fu recepito da Violante, per il quale il feudalesimo costituiva un elemento positivo della società altomedievale e non un fattore regressivo. -Violante individuava nel 1002 l'anno di inizio dell'età della riforma della Chiesa, con un anticipo di quasi cinquant'anni rispetto alle cronologie abituali. -Questo gli consentiva di valorizzare anche le riforme della Reichskirche volute da vescovi e abati legati all'Impero nella prima metà del secolo XI, mentre la riforma "gregoriana" (di Gregorio VII e dai suoi immediati predecessori e successori) non segnava una vera e propria frattura rispetto alla 6 corrotta Chiesa feudale, che riguardava non solo e non tanto la dimensione "spirituale" ma investiva la storia politica, sociale ed economica. - In Germania la lotta per le investiture ha continuato e ancora continua ad avere un ruolo centrale nel dibattito storiografico, in primis a motivo delle sue implicazioni politiche. -La scuola di Tellenbach, ha approfondito il tema del rapporto tra aristocrazia, chiese e monasteri. -Molto sviluppati sono stati gli studi sull'Impero e sulle sue trasformazioni in coincidenza con i grandi rivolgimenti del secolo XI. - Appare invece singolare il ritardo in questo ambito della storiografia francese, in tutto fedele all'impostazione di Fliche, sia per la resistenza opposta dagli storici d'Oltralpe a qualsiasi tentativo di rimettere in discussione la nozione di reforme grégorienne, sia per la loro tendenza a considerare gli effetti in sede locale della medesima riforma. - In Italia, passata la moda gregorianistica degli anni Cinquanta e Sessanta e la centralità di Morghen nella comunità accademica dei medievisti, si è assistito a un drastico ridimensionamento di questo ambito di studi, che ha tuttavia trovato in Capitani il suo interprete principale, a cui si deve aggiungere, Violante e Giovanni Tabacco. -Tra la fine degli anni Settanta e l'inizio del decennio successivo il testimone degli studi "gregoriani" passò a una generazione di ricercatori che, nonostante fosse in numero superiore rispetto alle precedenti generazioni, vide un crollo quantitativo delle ricerche sul secolo XI, riconducibile al fatto che gli studi di quelli come Morghen sono qualitativamente difficili da superare ma anche spostamento verso il Basso Medioevo del baricentro dell'interesse della medievistica italiana. - Tra le eccezioni va inserito Giuseppe Fornasari, il quale affermava che nella sua profonda istanza riformatrice il pontefice lanciava una campagna di profonda moralizzazione, il cui esito sarebbe la progressiva autonomia del potere ecclesiastico dal potere politico. -Miccoli ha una diversa valutazione degli esiti della riforma del secolo che per Fornasari non può essere ridotta a mera gerarchizzazione istituzionale, essendo l'istituzionalizzazione il risultato dell'ineluttabile passaggio da una fase di stato nascente a una fase di maggiore rigidità. -I convegni del Centro di studi avellaniti hanno rappresentato nel primo decennio del nuovo secolo il principale luogo di incontro per gli studi sul secolo XI e in particolare su Pier Damiani vi fu un rilancio dell'attenzione storiografica su tutto il periodo. La riforma papale: decostruire-ricostruire un paradigma storiografico - Quando si parla di riforma papale si deve considerare l'espressione nell'accezione soggettiva e oggettiva del termine -il papato da un lato promosse e attuò una serie di progetti riformatori, dall’altro fu esso stesso riformato, entrambi questi processi si influenzarono reciprocamente (il soggetto riformatore cambiare man mano che i suoi progetti si realizzano) -nella corte di Leone IX il problema della simonia non esisteva, ma l'impegno del papato per eliminarla generò all'interno della stessa corte molte tensioni tra il clero proveniente dall'area a nord 7 delle Alpi e il clero italiano, che si sentiva particolarmente attaccato dai monaci "tedeschi" come Umberto di Silva Candida, che mettevano in discussione la stessa legittimità della gerarchia ecclesiastica del Regnum Italiae. - si può interpretare in modo nuovo uno dei problemi fondamentali sollevati dalla decostruzione della tesi di Fliche, che sostiene l'esistenza di un programma definito fin dal principio che sarebbe all'origine della réforme grégorienne. Fliche riteneva che la lotta contro la simonia, il nicolaismo e l’investitura laica così come era stata pianificata e realizzata da Gregorio VII rappresentasse la sintesi perfetta dell'intero processo di riforma, tanto che al suo interno si poteva distinguere una fase pregregoriana, una propriamente gregoriana e una postgregoriana. - Capitani in un saggio del 1965 realizzò per primo la decostruzione di questo paradigma di interpretazione dimostrando che l'espressione "riforma gregoriana" era adatta solo per descrivere la riforma di Gregorio VII e che la continuità prospettata da Fliche non trovava riscontro nella realtà. -Mentre in Italia questa è divenuta una ovvietà storiografica, in Francia gli studiosi non si sono mai misurati con questa revisione storiografica, la scuola storica che ruota attorno a Michel Lauwers continua ad affermare l'esistenza di una réforme grégorienne in tutto simile a quella di Fliche. - Un allievo di Capitani, Cantarella, ha ulteriormente approfondito il tema della continuità e della discontinuità nella riforma del secolo XI, si è chiesto se si possa davvero parlare di riforma o sarebbe meglio palare di riforme, e si può veramente parlare di papato al singolare in un secolo che ha visto il cambiamento sostanziale dell'istituzione del papato o se non sarebbe meglio parlare di papati e del loro ruolo nei processi di cambiamento delle istituzioni ecclesiastiche -Destrutturare il concetto di riforma significa in primo luogo spostare l'obiettivo da alcune parole d'ordine che si ripetono ossessivamente nelle fonti (simonia, nicolaismo, investitura da parte dei laici) per indirizzarlo sugli strumenti attraverso i quali i papi cercarono di porre su basi nuove il significato concreto della presenza del papato nella società. -in apparenza esiste una perfetta continuità tra le affermazioni e gli interventi di Gregorio VII e Urbano II nella denuncia dei mali che affliggevano la Chiesa ma, se si sposta l'analisi sugli strumenti che essi effettivamente volevano usare per risolvere quei problemi, è evidente che esistono grandi differenze - Mentre Gregorio VII aveva considerato di coinvolgere i monasteri nella riforma, Urbano II cercò di restaurare le circoscrizioni ecclesiastiche tradizionali, ribadendo la centralità della figura del vescovo e riordinando l'intricata matassa dell'assetto patrimoniale e pastorale delle chiese. -La necessità di razionalizzare l'organizzazione ecclesiastica fu per Urbano II molto più importante della necessità di giudicare i comportamenti dei chierici sulla base di una astratta concezione della simonia o del nicolaismo. - Già Gregorio VII aveva spostato il piano della discussione dalla correttezza delle procedure e dei comportamenti verso la più concreta necessità di verificare se un chierico stesse dalla parte sua o di Enrico IV, Urbano II andò molto oltre, applicando quel principio e dando prova di grande disinvoltura nell'accettare i ripetuti cambi di schieramento dei vescovi, pur di poter contare sul loro appoggio, anche al prezzo di trascurare la loro precedente appartenenza politica. -Tutto questo conferma che l'apparente linearità della riforma nasconde in realtà scarti e differenze molto evidenti secondo i tempi e i luoghi e che tali trasformazioni coincisero spesso con il passaggio 10 - L’imperializzazione del papato è legata alla scelta onomastica di Silvestro II, avvenuta all'interno della corte di Ottone III, esattamente come quella di Clemente II e di Onorio II aveva come cornice la corte di Enrico III. L'onomastica pontificia dimostra allora che il progetto di riformare il papato nacque non in contrapposizione con la Reichskirche (chiesa imperiale) ma dentro la Reichskirche, la riforma del papato coincide con la sua imperializzazione, in particolare durante il pontificato di Leone IX. -Con Leone IX e il suo entourage non cominciò la nuova fase della storia del papato che avrebbe portato al gregorianesimo, bensì la sistematica assunzione da parte della sede apostolica delle caratteristiche essenziali dell'istituto imperiale. -Leone IX costruì gradualmente la propria curia riempiendola di chierici e di monaci portatori di istanze riformatrici, che non erano anti-imperiali ma derivavano dalla lotta contro la simonia realizzata da Enrico IlI e dalla sua Hofkapelle ("cappella di corte" o "cappella regia"). -una riforma può essere il risultato completamente inatteso di interventi progettati e pianificati con obiettivi del tutto opposti, il concetto di eterogenesi dei fini è utile in questo contesto per descrivere una riforma nata per rafforzare il papato nell'Impero, che si risolse in una riforma del papato contro l’Impero. -In Francia la prospettiva di Fliche autorizza ancora una visione monolitica della riforma, al contrario la storiografia italiana ha decostruito fin dagli anni Cinquanta del XX secolo la tesi di Fliche e concepito la riforma come progressiva sintesi di idee e strutture contrastanti. - L’istituto storico germanico di Roma ha evidenziato il sempre più forte ruolo di Urbano II nel processo di costruzione di un assetto istituzionale capace di tradurre le istanze riformatrici in un sistema di norme, di dottrine e di strutture sostenuto da una robusta consapevolezza ecclesiologica, affermando provocatoriamente che non fu dunque una riforma gregoriana, ma una riforma urbaniana. - In questi ultimi anni la riforma papale sembra essersi dissolta come oggetto storiografico, forse per effetto del multiforme processo di decostruzione. -Questa sintesi si propone di riprendere i fili di un dibattito storiografico tanto complesso e articolato, mediante un corpo a corpo con le fonti, la speranza è quella di stimolare nuove ricerche e riflessioni intorno a un problema storico non esaurito perché imprescindibile per la comprensione della civiltà europea. La riforma imperiale - L’impero costituiva il vero elemento di raccordo tra gli episcopati e le comunità locali e la centralizzazione pontificia dal XII mise in una crisi irreversibile questo sistema , rappresentando il risultato più eclatante della rivoluzione del secolo XI. - Nella carta di fondazione del monastero di San Miniato al Monte (1018) il vescovo di Firenze Ildebrando definiva Enrico II meum seniorem, imperatorem, questa espressione sintetizza l’istaurazione di un rapporto istituzionale tra il sovrano e i suoi vescovi che era iniziata durante l'età carolingia e che nell'età ottoniana si era rafforzata 11 l’obiettivo degli imperatori era quello di arrivare all’integrazione dei vescovi entro il quadro amministrativo dell’impero. - Il rapporto con il potere politico imperiale non portava alla degenerazione dell'apparato ecclesiastico, ma al contrario contribuiva a sottrarlo al localismo postcarolingio (decentralizzazione del potere pubblico), fungendo da potente fattore di omogeneizzazione culturale e liturgica del personale ecclesiastico. - lo scopo era quello di passare da varie chiese e comunità ecclesiastiche locali ad un sistema verticale con al vertice l’imperatore. - Tale legame con un progetto politico ed ecclesiastico a vocazione universalistica non impedì, ma al contrario favori, l'integrazione dei vescovi con le loro collettività locali, i monasteri episcopali offrivano strumenti comodi ed efficaci a sostegno di svariati progetti politici e religiosi estremamente diversi tra loro. - La fondazione di monasteri costituiva un rimedio alla dispersione del patrimonio e, più in generale, svolgeva la funzione di riserva patrimoniale anche per i laici, il cui recupero costituiva un elemento tipico della politica dei vescovi imperiali di età ottoniana e salica, specialmente a partire dal regno di Ottone III. -Le res Ecclesiae avevano significato pubblico e l'Impero doveva occuparsi di recuperarle e di ricompattarle pro restituenda re publica . - La stabilizzazione patrimoniale di chiese e monasteri coincide in questo senso con la stabilizzazione stessa del potere imperiale nelle sue componenti ideali e pratiche. - Nel corso del secolo XI il tema della libertas Ecclesiae fu affrontato in una bolla pontificia promulgata da Papa Gregorio VII nel 1079 che stabiliva che il Papa non dovesse sottostare all'autorità dell’imperatore. - Già Ottone III e Gerberto di Aurillac, mettendo in rilievo il legame tra riforma morale e recupero dei patrimoni ecclesiastici, gettarono le basi di un dibattito che nella lotta per le investiture avrebbe avuto un ruolo centrale. -Progressivamente si rafforzarono una serie di connessioni istituzionali tra corte imperiale, apparato funzionariale, poteri locali, diocesi e monasteri che consentirono alle collettività locali di strutturarsi con efficacia attorno a complessi patrimoni simbolici fortemente condivisi. - Solo verso la metà del secolo XI la lotta alla simonia maturata all'interno della corte imperiale al tempo di Enrico III (1039-56), pur senza voler mettere in discussione il sistema descritto e mirando piuttosto alla sua purificazione dalle pratiche illecite di finanziamento delle istituzioni ecclesiastiche, provocò una miriade di conflitti locali che, forse al di là delle intenzioni di chi si era fatto promotore di tali idealità riformatrici, minò le fondamenta di quel mondo. - La corte imperiale avvertiva il rischio di una possibile patrimonializzazione dei beni ecclesiastici da parte dei vescovi e delle loro famiglie - Il richiamo alla dimensione del pubblico fu utilizzato negli interventi imperiali per scongiurare questa eventualità, la polemica antisimoniaca ebbe inizio proprio dalla corte imperiale, durante il regno di Enrico III e si diffuse in tutto l’Occidente. -Non è casuale che questa polemica incrociasse il tema delle modalità di circolazione delle risorse economiche all'interno delle istituzioni ecclesiastiche. 12 -Le sottili distinzioni che avevano caratterizzato i dibattiti su questa materia fino al regno di Enrico III nella seconda metà del secolo XI lasciarono il posto alla condanna indiscriminata di qualsiasi forma di ingerenza laicale nella gestione delle chiese, Capitani la definisce la "clericalizzazione della ricchezza". - Enrico III voleva l’osservanza delle regole, tale progetto riformatore non prevedeva l’esclusione dell’autorità laica dalla gestione della Chiesa, ma prevedeva una restaurazione dell’ordine, richiamando la Chiesa all’osservanza della legislazione canonica specialmente in materia di simonia. -Pier Damiani esaltò Enrico III, sottolineandone la rottura con la tradizione imperiale, ma in realtà Enrico III puntava a sottolinearne la continuità. -L’interventismo dell’imperatore in questo contesto toccò il suo apice nella politica estera con il sinodo di sturi del 20 dicembre 1046, convocato per ridare efficienza al papato dopo la confusione data dalla conflittualità dell’aristocrazia romana. -Nel 1045 una rivolta popolare ordita dai Crescenzi aveva costretto Benedetto IX a fuggire da Roma, e al suo posto i Crescenzi avevano insediato Silvestro III, vicino alla loro famiglia, ma che venne a sua volta deposto. -Ogni famiglia della grande aristocrazia romana eleggeva un papa a seconda delle proprie comodità/vantaggi dopo la deposizione di Silvestro III, il pontificato andò dietro pagamento a Gregorio VI, Pier Damiani gli indirizzò una lettera piena di giubilo e anche Ildebrando di Soana gli dimostrò il suo appoggio. -Quando Enrico III scese in Italia per l’incoronazione, pronunciò a Pavia una dura condanna contro la simonia e convocò il sinodo a Sutri. - Gregorio VI si era illuso erroneamente di poter ottenere il sostegno di Enrico III a scapito degli altri due pontefici, anche per il fatto di essere stato l’unico a essersi presentato, gli altri due papi saranno invece condannati quasi automaticamente, al loro posto Enrico III farà eleggere l’arcivescovo di Bamberga con il nome di Clemente II che il 25 dicembre lo incoronerà imperatore. -Clemente II morirà nel 1047 e al suo posto venne eletto il vescovo di Bressanone con il nome di Damaso II, ma il suo pontificato sarà breve e dopo di lui verrà eletto Brunone di Toul con il nome di Leone IX voluto da Enrico III, che sarà pontefice dal 1049 al 1054. -L’imperatore designava il papa scegliendo dalla sua corte di intellettuali, interveniva in quanto patricius romanorum ed esercita il principatus in electione papae (diritti dell’imperatore per l’elezione del papa). -L’imperatore designava il nuovo papa spinto anche da profonde istanze spirituali, Enrico III non voleva ridurre la Chiesa a un mero strumento del regno - non ritenendo sufficiente la semplice nomina imperiale, Leone IX si farà eleggere anche dal popolo e dagli ecclesiastici romani Monachesimo e riforma ecclesiastica - Pier Damiani (1007-1072) fu un insegnante e studioso famoso che si ritirò nel 1034-35 nell’eremo di Santa Croce di Fonte Avellana, dopo essere stato ordinato sacerdote visitò vari monanteri e, ritornato a Fonte Avellana, ne divenne priore nel 1043 15 Esattamente come Giovanni Gualberto a Vallombrosa non aveva fondato la congregazione ma solo il monastero da cui essa sarebbe discesa, così Romualdo non fondò l'ordine camaldolese ma disegnò il centro simbolico e funzionale del futuro ordine Rodolfo affermava che il cenobio era la porta verso il mondo e filtrava i rapporti tra gli eremiti e la realtà esterna, nel cenobio si osservava la regola benedettina in modo più rigido di quanto accadesse negli altri monasteri e si preparavano coloro che con il permesso del priore andavano a vivere nell'eremo, il monastero era caratterizzato dalla superiorità della vita eremitica rispetto a quella cenobitica Il carisma camaldolese era legato a un luogo specifico, non a un modello insediativo replicabile, come dimostrano i monasteri fondati dai camaldolesi che non replicarono le strutture architettoniche e istituzionali il monastero di Camaldoli non fu coinvolto attivamente nella riforma ecclesiastica, soprattutto per i suoi rapporti con i vescovi di Arezzo che erano legati all'impero e da cui avevano ottenuto nel 1052 i poteri comitali Anche le famiglie aristocratiche della zona erano vicine alla Corte tedesca e da loro dipendeva l'espansione e il consolidamento patrimoniale dei camaldolesi Raniero II, nipote del marchese Raniero I amico di Romualdo, verso la fine del secolo XI rappresentò il principale riferimento dell'imperatore Enrico IV in Italia nella fase più dura delle lotte per le investiture, confermando la sua fama di nemico dei riformatori romani già denunciato da Pier Damiani e che aveva portato Gregorio VII a minacciarlo di anatema Questi legami spiegano come mai i camaldolesi non presero una posizione totalmente favorevole al gruppo dei riformatori che si era raccolto attorno alla curia romana a partire dal pontificato di Leone IX Il più antico diploma imperiale per Camaldoli precede di un quarto di secolo il primo privilegio pontificio, il quadro non cambio neanche con i privilegi emanati da Alessandro II e Gregorio VII l'unica azione che vedrai camaldolesi attivi nel processo di riforma sarà l'azione che insieme ai vallombrosani opereranno a Pisa contro il vescovo Dariberto che aveva ricevuto l'ordinazione a diacono da un vescovo simoniaco Il gruppo riformatore romano di Leone IX Leone IX era vescovo di Toul, un'importante diocesi inserita a pieno titolo nel sistema della Chiesa imperiale, nella quale lo aveva insediato suo cugino l'imperatore Corrado II, con il quale era sceso in Italia alla guida delle truppe imperiali Egli era stato assiduo frequentatore della corte e fu scelto come pontefice da Enrico III dopo i brevi pontificati di Clemente II e Damaso II, come i suoi predecessori e come avrebbero fatto i suoi successori conservò la sede episcopale di provenienza dopo essersi messo in viaggio alla volta dell'Italia, Leone IX incontrò Ildebrando di Soana che gli suggerì di farsi eleggere regolarmente dal clero e dal popolo romano, accettò questo consiglio e dopo l'elezione fu consacrato il 12 febbraio 1049 16 questa scelta del Papa di seguire la procedura canonica, non ritenendo sufficiente la nomina da parte dell'imperatore, è stata interpretata dalla tradizione storiografica come l'inizio della riforma ecclesiastica, come segno di una sensibilità nuova e in qualche modo ostile rispetto all'ingerenza imperiale nell'elezione del Papa che si era realizzata in età ottoniana e in tempi più recenti a partire dal Concilio di sutri del 1046 questa interpretazione ha offuscato la reale portata della novità costituita dal pontificato di Leone IX che, al contrario, si caratterizza per essere il primo vero Papa imperiale dell'età delle riforme dato che solo con lui gli orientamenti riformatori di Enrico III poterono essere attuati, a causa della brevità dei due pontificati precedenti la riforma fu all'insegna dell'imperializzazione del papato grazie alla quale la sede romana assorbiva dall’impero molte caratteristiche che ne rilanciarono l'universalità, questo fu possibile quando un gruppo di ecclesiastici vicini alla Corte imperiale si concentrarono attorno al nuovo Papa Bonizone di Sutri afferma nel Liber ad Amicum, un panegirico di Gregorio VII che mescola il piano della cronaca con la dimensione escatologica, che Ildebrando, dopo aver dato al futuro papa il “salvifico consiglio” fu elevato alla dignità di arcidiacono e divenne l'economo della Chiesa romana in questo modo iniziava, secondo il polemista gregoriano, l'avvento di una nuova classe dirigente che aveva la sua principale missione nella lotta contro la simonia e che identificava nella simonia il criterio discriminante per la selezione del personale ecclesiastico e monastico l’evento è identificato come primo episodio di un più generale rinnovamento del gruppo dirigente, che segnava una profonda discontinuità fra il papato precedente e quello rigenerato dal gregorianesimo Nell’opera di Boinzone è nominato anche Pier Damiani, nonostante durante il pontificato di Leone IX il cardinale-eremita ebbe un'importanza trascurabile ma di cui l'autore apprezzava le doti di eloquenza Il pontefice si circondò di ecclesiastici provenienti dalla lotaringia che gli consentirono di mantenere un collegamento tra la chiesa di cui era a capo e l'impero di cui faceva parte, portandolo ad unire un forte spirito di riforma a un accentuato pragmatismo Secondo Fliche al piccolo e battagliero gruppo di collaboratori del pontefice andava il merito di avere elaborato e applicato un programma di riforma che aveva preparato e anticipato gli ordinamenti di Gregorio VII e che era inspirato alle Decretali pseuoisidoriane, una raccolta di false lettere di Papi della Chiesa antica Questo gruppo portò nella curia romana l'intransigenza in materia di ordinazioni simoniache, di investitura laica e di indipendenza dal potere politico, gettando le basi per le successive rivendicazioni di indipendenza del sacerdotium dal regnum che caratterizzeranno lo scontro con Enrico IV Gli ideali riformatori non erano stati trapiantati in Italia dalla lotaringia, Umberto di Silva candida, che il futuro pontefice aveva conosciuto in un monastero francese dipendente dalla diocesi di Toul, non ebbe la possibilità di leggere le Decretali pseuoisidoriane l'imperializzazione del papato sotto Leone IX è dimostrata dall'imitazione dell'itineranza della curia, che riprendeva un uso della Corte imperiale e fu legata anche allo status di papa et episcopus, la conservazione della sede di Toul fu all'origine di alcuni viaggi del pontefice, che non soggiornò a Roma mai consecutivamente per un periodo superiore ai tre mesi 17 Roma rimase presidiata da persone fedeli al pontefice con modalità simili a quelle messe in atto durante i periodi di vacanza della sede apostolica L’inerranza rifletteva una nuova autocoscienza dell'autorità Pontificia e il conseguente aumento della proiezione del papato verso le periferie geografiche della cristianità si passò da un papato re-attivo alle istanze delle periferie a un papato sempre più attivo come dimostra l’uniformazione sotto l'aspetto formale, dopo secoli nei quali le pressioni delle chiese periferiche avevano condizionato in maniera pesante i privilegi pontifici questo fu possibile non per il distacco del papato dall'impero ma al contrario era una conseguenza dell'imitazione del suo funzionamento da parte della sede apostolica in questa prospettiva si colloca anche la riorganizzazione della prassi cancelleresca, gli stessi vescovi partecipi di questa svolta avevano una cultura documentaria maturata nella Chiesa imperiale ed avevano contribuito in misura determinante alla produzione di diplomi imperiali nell'età ottoniana e salica La curia accolse molti chierici e monaci che erano portatori di istanze riformatrici ma non erano assolutamente ostili all'impero, da questi ambienti proveniva anche Umberto di Silva candida, dotato di solide competenze cancelleresce delle quali erano forniti certamente anche Ildebrando di Soana e Pier Damiani La presenza di questi ecclesiastici tra la Corte salica e quella Pontificia conferma quanto fosse l'interazione tra le due curiae, anche l'itinerario del pontefice era sovrapponibile con quello dell’imperatore Enrico III, specialmente quella nell’Italia meridionale, in questo contesto non stupisce la scelta del papa di combattere i Normanni con le armi il pontefice fu descritto a suo agio al comando dell'esercito che nel 1035 aveva accompagnato in Italia Corrado II, Leone IX era stato guerriero anche da vescovo e continuò a considerare perfettamente compatibile con il suo incarico l'esercizio della funzione bellica, solo Pier Damiani prese le distanze da questa politica militarista molti anni dopo la morte del Papa dopo aver condannato l'uso delle armi da parte degli ecclesiastici, l'autore rispondeva all'obiezione di un interlocutore immaginario che citava il caso del pontefice, affermando che le cause le riguardanti le questioni ecclesiastiche dovessero essere risolte in base alle leggi del foro e ai diritti conciliari e sinodali e non con il ricorso alle armi, questa presa di posizione non è presente nelle lettere inviate da Pier Damiani coeve alla battaglia di Civitate del 1035 nel Liber Ghomorrianus, indirizzato al pontefice nella seconda metà del 1049, Pie Damiani denunciava varie forme di intemperanza degli ecclesiastici in materia di omosessualità e ne invocava la deposizione dai loro uffici all'interno della curia era in corso un dibattito tra chi si mostrava inflessibile verso i chierici che si macchiavano di questi peccati e altri sostenitori di tesi più moderate, il fatto che Leone IX avesse attuato le pene proposte da Pier Damiani dimostra che nel suo entourage il dibattito su questa materia era caratterizzato da molte sfumature Anche sulla polemica della simonia si contrapponeva alla posizione più radicale di Umberto di Silvacandida, condivisa da altri provenienti da ambienti legati alla curia imperiale, e quella più moderata di Pier Damiani 20 -le idee di Umberto furono abbracciate dai riformatori radicali come i patarini Lombardi ed i vallombrosiani nel corso della lotta per le investiture ma ebbero scarsa fortuna nel prosieguo del medioevo quando prevalse la prospettiva moderata di Pier Damiani -un altro tema dell'opera contro i simoniaci di Umberto di Silva Candida era la questione dell'investitura laica e della compravendita delle chiese -Guido da Ferrara affermava che tutto quello che riguardava l'ufficio episcopale sul piano spirituale veniva concesso dallo Spirito Santo perché rientrava nella sfera delle cose divine, al contrario le giurisdizioni secolari come le curtes e tutti i beni fiscali erano assegnati alle chiese dal re e in quanto tale passavano in ius divinum solo temporalmente e necessitavano di essere nuovamente confermate altrimenti tornavano nella disponibilità del sovrano -per contrastare la tendenza a scindere l'aspetto sacramentale da quello della temporalità e dei patrimoni connessi con l'ufficio ecclesiastico negli ambienti riformatori si fece strada una linea di pensiero opposta che mirava a ricomporre il nesso organico tra ufficio ecclesiastico e patrimonio, introducendo l'equiparazione tra simonia e profanazione per ribadire la sacralità delle res Ecclesiae -dietro questo riassestamento stava una ridefinizione che, sebbene avesse le sembianze di un'apparente restaurazione, celava in realtà un totale sovvertimento degli equilibri sui quali si era retta la cristianità occidentale, chiudendo le porte a ogni possibile intervento laicale nella gestione dei patrimoni ecclesiastici -durante la lotta per le investiture si rianimò il dibattito sul sacramento dell'eucarestia, secondo Berengario di Tour il Cristo non è presente realmente nelle specie eucaristiche ma solo in maniera simbolica, secondo Aldemanno di Liegi Cristo è sempre presente realmente non solo quando il suo ministro consacra il pane e il vino ma anche quando amministra il battesimo, sebbene nessuna facoltà umana sia sufficiente a intendere la profondità dei sacramenti -nell'estate del 1051 Umberto di Silva candida criticava la posizione di Berengario, che dovette difendersi davanti al sinodo romano nel 1059 e nel 1079, pronunciando una professione di fede che smentiva le sue tesi sull’eucarestia -In entrambe le occasioni egli ottenne l'appoggio di Ildebrando, divenuto Papa Gregorio VII nel 1073, cosa che gli fu rimproverata dai sostenitori di Enrico IV -riforma ed eresia nella seconda metà del secolo generarono intrecci complessi, i fenomeni ereticali non subirono un'inspiegabile battuta d'arresto ma una trasfigurazione che li rense poco identificabili -il concetto di eresia a partire dagli anni 40 del secolo fu utilizzato per stigmatizzare comportamenti e dottrine tenuti da persona non concepite come esterne alla chiesa ma da chierici simoniaci e nicolatri, che, proprio in quanto tali, persero la connotazione dell'ortodossia per essere relegati nell'ambito dell'eresia ma con una concezione molto sfumata del termine -nacque un dibattito tra i riformatori anche su aspetti decisivi come la teologia sacramentale e l’escatologia spesso stimolato dall'intervento dei laici che per la prima volta nel medioevo occidentale si affacciarono sulla scena della grande storia -fino al pontificato di Alessandro II la soluzione di Pier Damiani sulle ordinazioni simoniache sembrò prevalere, ma con l'avvento di Gregorio VII l'adesione al partito gregoriano divenne il vero elemento dirimente a prescindere dalla regolarità dell'elezione dei vescovi 21 -a partire dalla fine degli anni 70 del secolo il tema della corruzione o della purezza dei sacerdoti in relazione alla simonia perdette progressivamente di importanza ma alcune idee che avevano sorretto il dibattito sulla simonia in età pregregoriana furono riprese e adattate ai mutamenti provocati dalla radicalizzazione dello scontro tra papato romano e Corte tedesca -l'altro argomento in discussione era la possibilità di sacerdoti indegni di amministrare sacramenti validi e fu impiegato al tempo di Gregorio VII per tutta la lotta per le investiture nel dibattito circa la validità dei sacramenti amministrati dagli scomunicati -la lotta alla simonia, pur conservando un'apparente centralità, tanto da essere considerata fondamentale anche dal Papa imperiale Clemente III, passò in secondo piano rispetto ai problemi che la guerra tra l'imperatore e il pontefice aveva provocato -il tema della purezza rituale dei singoli chierici o la regolarità della loro ordinazione diventarono irrilevanti di fronte la necessità di portare dalla propria parte il maggior numero possibile di vescovi e grandi abati e la discussione assunse connotati sempre meno teologici e sempre più spiccatamente giuridici Una strana eresia: il nicolaismo -il risultato più eclatante della riforma ecclesiastica del secolo XI fu l'adozione del celibato del clero e a cui si aggiunse un complicato e spesso doloroso travaglio che coincise con una trasformazione della figura del sacerdote -per tutto il secolo VIII sono attestate in Occidente donne che condividevano il ministero dei propri sposi e godevano della pubblica considerazione senza sollevare nessuno scandalo -una decisa opera di razionalizzazione all'interno dell'impero carolingio fu operata dai vescovi e sovrani, impegnati a individuare soluzioni concrete per garantire il rispetto dell'obbligo della continenza sancito dalla legazione canonica a cominciare dalla diffusione della vita comune del clero che rendeva operativa la normativa sull'uso moderato del matrimonio e comportava l'immediata separazione fisica dei chierici dalle loro spose -la deliberazione dei concili della Chiesa visigota emanate nel secolo VI in materia di matrimonio del clero furono riprese alla lettera dai compilatori delle Decretai pseudoisidoriane ma con un sistematico aggravamento delle sanzioni per i chierici che non accettassero il celibato -le donne legate agli ecclesiastici non erano soggette solo alla confisca dei beni e alla reclusione in monastero previste dai concili visigoti ma alla pena più grande della riduzione allo stato servile -contemporaneamente i concili provinciali in tutto l'impero imponevano ai chierici la residenza presso il claustrum annesso alla chiesa e vietavano qualsiasi forma di coabitazione con persone di sesso femminile -da queste norme restava escluso il legame di concubinaggio che si diffuse largamente a partire dall'età post-carolingia a scapito dei matrimoni legali -i figli nati dalle unioni concubinarie dei chierici non avevano diritto né al patronimico né all'eredità paterna, fatto che favorì la tolleranza del fenomeno da parte di un episcopato preoccupato di dover evitare le rivendicazioni ereditarie dei figli che potevano essere avviati alla carriera ecclesiastica 22 - attraverso espedienti giuridici facilmente praticabili i figli dei chierici riuscivano a subentrare ai padri nell'esercizio del ministero, garantendo ai vescovi la continuità della cura pastorale, e nello sfruttamento del patrimonio ecclesiastico e talvolta potevano usare le ricchezze delle chiese anche senza diventare titolari dal punto di vista sacramentale -il controllo delle chiese e dei loro patrimoni, specialmente nelle campagne e, in misura minore nelle città, era sottratto al vescovo, le rendite destinati al corretto funzionamento delle chiese risultavano in mano ai laici -ben consci di questa prassi della struttura ecclesiastica dalla fine del secolo X, i vescovi cercarono di porvi rimedio iniziando una lenta e faticosa opera di riacquisto dei diritti e riaffermando come prerogativa esclusiva del vescovo l’investitura del clero nell'ufficio ecclesiastico -si affermava la necessità di riformare la gerarchia ecclesiastica per fare in modo che lo stile di vita dei chierici fosse profondamente separato e distinto da quello laicale e assumesse a modello la vita monastica -questa metamorfosi dell'immagine del sacerdote costituisce un retaggio della riforma del secolo XI poiché ad essa è legata una più generale trasformazione delle strutture ecclesiastiche che investiva i rapporti tra la componente clericale e quella laicale, Pier Damiani si batteva in quegli stessi anni per una sorta di monacalizzazione dei sacerdoti il movimento della Pataria milanese si scaglierà violentemente contro il concubinato degli ecclesiastici, la normativa sul matrimonio del clero previsto a Milano per coloro che erano unius uxori viri e che, con il permesso del vescovo, venivano successivamente promossi agli ordini sacri, rifletteva un’ecclesiologia secondo quale la condizione matrimoniale e il ministero sacerdotale non costituivano una realtà giustapposta ma si integravano organicamente in una dimensione autenticamente religiosa -se questa considerazione dello stato di vita coniugale poteva risalire a una sensibilità santambrosiana non poteva dirsi lo stesso del matrimonio del clero che Ambrogio reputava assolutamente illegittimo -la comunanza della disciplina milanese con quella vigente nella chiesa orientale, da qui differiva solo per il divieto del matrimonio dei vescovi, derivava dall'accettazione di fonti canoniche comuni, in particolare dei decreti dei più antichi concili di area greca, che circolavano anche nelle collezioni canoniche occidentali -nella Milano altomedievale che Pier Damiani, noto per il suo estremismo antinicolaita, considerava decorata da un clero esemplare, il matrimonio dei chierici era giustificato sulla base del decimo canone del Concilio di Ancyra del 314 -i diaconi che al momento dell'ordinazione avessero dichiarato al vescovo la propria indisponibilità al celibato e avessero in seguito preso moglie avrebbero potuto continuare nel loro ministerio, al contrario i diaconi che avessero scelto il celibato al momento dell'ordinazione ma poi si fossero sposati avrebbero perso il diaconato -il diritto canonico conteneva una pluralità di comportamenti ammessi e con diverse intensità ritenuti legittimi in materia di celibato ecclesiastico, a fronte di questa pluralità, a partire dalla metà del secolo XI con il rafforzamento del centralismo papale e con l'acuirsi delle contraddizioni interne al sistema della Chiesa imperiale prese corpo in Occidente una riflessione teologica, una legislazione e un'opera di propaganda per instaurare una disciplina del celibato ecclesiastico rigorosa e uniforme 25 le concubine, con le mogli e di coabitare con donne diverse da quelle con cui il Concilio di Nicea ha permesso di vivere soltanto per ragioni di necessità (la madre, la sorella, la zia) -ancora più esplicito e radicale nelle sue deliberazioni fu il secondo Concilio lateranense del 1139 che al canone sei prevedeva che quanti avessero contratto matrimonio o avessero concubine fossero privati dell'ufficio e del beneficio ecclesiastico -seguiva un canone in cui si proibiva la frequentazione delle messe celebrate da chiedergli sposati o comunque concubinari e si disponeva la separazione delle mogli di ecclesiastici e religiosi che eventualmente avessero contratto un matrimonio anche formalmente regolare -queste unioni, fatte contro le norme ecclesiastiche, non erano ritenute un matrimonio, si eliminava la radice l'obiezione che per secoli avevano sollevato quanti difendevano le proprie nozze nel nome della loro indissolubilità -la sempre più profonda divaricazione delle prerogative, delle competenze e del genere di vita di chierici e laici erano il risultato più evidente e clamoroso della rivoluzione del secolo XI, la fine della Chiesa imperiale portava con sé la netta distinzione della sfera temporale da quella secolare -i riformatori non riuscirono nell'immediato a vietare il conferimento degli ordini maggiori a persone legate da precedenti vincoli matrimoniali ma conseguirono il risultato di imporre un'immagine del sacerdote che non ammetteva nessuna commistione tra identità clericale e quella laicale Lo scisma del 1054 - La disciplina del matrimonio ha costituito una delle principali differenze tra la Chiesa cattolica e quella ortodossa, nell’Oriente bizantino la castità era obbligatoria solo per i monaci, mentre al clero in cura d’anima era (ed è tuttora) consentito il matrimonio. -Nel 1054 si arrivò lo scisma tra le due Chiese, anche perché il ruolo di assoluta preminenza del papa era incompatibile con il policentrismo tipico della cristianità tardoantica e altomedievale radicato ad oriente. - La posizione preminente del vescovo di Roma era riconosciuta, ma la massima autorità della Chiesa di Costantinopoli era il patriarca. -nei fatti le Chiese d’Oriente erano state subordinate all’imperatore bizantino anche se è errato parlare di cesaropapismo, atteggiamento politico che induce il monarca ad avocare a sé la facoltà di legiferare e giudicare in materia religiosa e teologica, per gli ortodossi non esiste il papa come monarca della chiesa, quindi non può esserci cesaropapismo, si tratta solo di un’interpretazione a posteriori -Sebbene le discussioni che portarono alla rottura del 1054 non vertessero direttamente sul primato romano, era chiaro come i contenuti del nuovo papato fossero incompatibili con il sistema politico ed ecclesiastico imperniato sulla centralità dell’imperatore. -Nella primavera del 1053 Leone IX incaricò Umberto di Silva Candida di tradurre dal greco il pamphlet contro l’obbligo di usare pane azzimo nella liturgia, che, pensato per attenuare le tensioni, divenne paradossalmente la causa scatenante del conflitto. -Argiro di Bari, catapano d’Italia e rappresentante più importante dell’impero in Italia, temeva che l’eventuale successo del progetto di riconciliazione ridimensionasse la sua potenza, fece quindi 26 pervenire lo scritto contro gli azzimi proprio a Umberto di Silva Candida, esponente più radicale e timoroso che qualsiasi riavvicinamento tra Roma e Costantinopoli limitasse l’intraprendenza del papato riformatore. - Umberto considerò l’opuscolo un attacco al primato della Chiesa romana e aggiunse al nome dell’autore quello del patriarca di Costantinopoli Michele Cerulario, per provocare l’indignazione di Leone IX. -Il papa convocò nel 1053 un concilio a Bari per trattare la questione del Filioque (in occidente si credeva che lo Spirito Santo procedesse dal Padre e dal Figlio, in oriente solo dal Padre), la riflessione sul mistero della Trinità aveva pesanti implicazioni politiche. -la valorizzazione occidentale del Figlio comportava una diversa percezione del ruolo storico della Chiesa e ne doveva scaturire un nuovo ordine in cui il papato assumeva un’assoluta quanto inedita centralità. -Leone IX inviò legati a Costantinopoli nel gennaio 1054, che intrattennero buoni rapporti con l’imperatore Costantino Monomaco, ben diversi i rapporti con il patriarca Michele Cerulario, nell’impossibilità di sanare il conflitto i legati deposero una bolla di scomunica nei suoi confronti sull’altare della basilica di Santa Sofia. -Questo scisma fu percepito dai contemporanei come una rottura momentanea, che per giunta non coinvolgeva l’imperatore bizantino, ma solo il patriarca di Costantinopoli, nel 1058 papa Stefano IX esplorò la possibilità di riconciliazione, ma il tentativo fu abortito sul nascere. -I rapporti tra Roma e Costantinopoli andarono progressivamente affievolendosi anche per la sempre più forte affermazione da parte del papato, in oriente il Patriarca aveva competenza in materia dottrinale, il potere laico, secondo la tradizione romana, mantenne competenze di natura disciplinare -sorgerà un problema gerarchico tra le due realtà, in occidente proprio la riforma del secolo XI distinguerà nettamente il ruolo del pontefice da quello dell’imperatore, che venne estromesso dalla gestione della chiesa, in oriente rimase la possibilità del basileus di interferire nella chiesa e nelle questioni spirituali. Il decreto del 1059 sull’elezione del papa - Morto Leone IX, Umberto di Silva Candida, il cardinale Bonifacio di Albano e l’arcidiacono Ildebrando si recarono a consultare Enrico III circa la scelta del nuovo papa, che cadde su Gebeardo, vescovo di Eichstatt e parente sia dell’imperatore che del defunto papa, che prese il nome di Vittore II (1054-57) in perfetta continuità rispetto al pontificato di Leone IX e alla Chiesa imperiale tedesca. -Il 5 ottobre 1056 morì Enrico III, lasciando erede il figlio Enrico VI di sei anni, che fu affidato a Vittore II, che morì però un anno dopo, al suo posto fu eletto Federico di Lorena, abate di Montecassino con il nome di Stefano IX. -L’impero tornava ad assumere una connotazione prevalentemente tedesca e il papato andò maturando una sempre più precisa consapevolezza dei risvolti pratici del primato petrino, vi fu un 27 susseguirsi convulso di esperimenti volti a trovare soluzioni efficaci a problemi contingenti, come accadde con il decreto del 1059 che regolamentava l’elezione del papa. - Alla morte di Stefano IX (1058) l’aristocrazia romane capeggiata dai Tuscolani insediò papa Benedetto X, a Siena fu eletto papa il vescovo di Firenze Gerardo con il nome di Niccolò II (1058-61), azione interpretata come la prima vera, significativa e autonoma vittoria di Pier Damiani, Umberto di Silva Candida e Ildebrando di Soana, resa possibile dalla potenza militare di Goffredo il Barbuto (marito di Beatrice di Canossa, padre di Matilde di Canossa). -L’appoggio di Goffredo e di famiglie dell’aristocrazia romana verso Niccolò II portò a una rapida eclissi di Benedetto X, con il definitivo tramonto dei Tuscolani. - Era necessario individuare una procedura che mettesse la sede apostolica al riparo dalle ingerenze dell’aristocrazia romana, nel sinodo quaresimale del 1059 fu emanato il decreto sull’elezione pontificia. -Il Decretum de electione papae è pervenuto in due redazioni, una modificata da Clemente III (antipapa di Gregorio VII). -Il decreto mirava ad escludere l’aristocrazia romana dalla scelta e ad assicurarne il monopolio dell’elezione ai cardinali vescovi. -Il decreto sull’elezione del papa reca nella parte narrativa iniziale un riferimento esplicito alle difficoltà sorte all’indomani della morte di Stefano IX e ai colpi inferti dai simoniaci, fautori di Benedetto X, alla chiesa romana, seguiva la descrizione procedura di elezione, che era assegnata esclusivamente ai cardinali vescovi nella versione originale -La dignità cardinalizia in questo periodo era riservata esclusivamente ai clerici cardinales che reggevano la più importanti chiese di Roma. -Lo strumento per affrontare le future elezioni pontificie era pronto, ma paradossalmente gli stessi riformatori che avevano elaborato e fatto approvare il decreto non ne rispettarono le procedure per i due successivi pontefici - Il diritto dei cardinali di eleggere il papa costituisce un punto di non ritorno, il procedimento per prevedeva che i cardinali vescovi aprissero la discussione, chiedendo in seguito agli altri cardinali di intervenire, infine al resto del clero e al popolo si consentiva di acclamare l’eletto. Alessandro II e lo scisma di Cadalo - Umberto di Silva Candida e Niccolò II morirono nel 1061 e così vennero meno il perno ideologico del gruppo riformatore e colui che aveva garantito equilibrio. -I riformatori scelsero come successore il vescovo di Lucca, Anselmo da Baggio che prese il nome di Alessandro II (1061-73), la sua elezione non fu immediata e dai riformatori non era partita nessuna iniziativa per coinvolgere la corte imperiale per concordare l’elezione o almeno per ratificarla una delegazione di nobili romani si recò in Germania per chiedere al giovane Enrico IV di far valere il titolo di patricius Romanorum. 30 - si ignora il significato del termine Pataria ma vi sono alcune ipotesi formulate, la più probabile è forse quella che la ricollega al paté del dialetto milanese, in cui il termine equivale a straccivendolo e, traslato, a straccione -quale che sia la vera etimologia, è indubbio che tale denominazione venne applicata dagli avversari, in accezione dispregiativa, ai seguaci di un movimento sorto verso la metà del sec. XI nella parte più umile del popolo milanese contro gli abusi ecclesiastici e l'oppressione dell'alto clero. -il movimento va riconnesso storicamente con l'elezione a vescovo di Milano di Guido, successore di Ariberto. -per regolare la successione dopo la morte di Ariberto i membri del clero e del popolo proposero all'imperatore quattro candidati appartenenti al clero urbano ai quali il sovrano preferì Guido da Velate, membro della nobiltà del contado milanese, in quel modo i capitanei (strato superiore dell'aristocrazia cittadina) non avrebbero potuto controllare il centro nevralgico della vita non solo religiosa ma anche politica e amministrativa della città -il vescovo aveva ampi poteri civili a cui univa la possibilità di creare una clientela vassallatica grazie al patrimonio della Chiesa ambrosiana -la scelta di Enrico III era dettata dalla necessità di controllare la città ed evitare gli scontri che l’avevano contrapposta all'impero ai tempi di suo padre Corrado - i capitanei compresero subito il significato della scelta del sovrano ma, nonostante una resistenza iniziale, Guido fu accolto dalla città senza molti problemi anche per il favore di cui godeva presso i ceti intermedi della società milanese, che avevano mal sopportato l'egemonia dei capitanei sul sistema ecclesiastico -i capitanei reagirono con un’azione simbolica, i membri dell'alto clero, appartenenti all'aristocrazia cittadina, abbandonarono l'arcivescovo sull'altare durante la liturgia -segui un'accusa di simonia di fronte a Papa Leone IX che tuttavia era strettamente legato alla chiesa imperiale e non potete fare altro che giustificare e assolvere un vescovo insediato direttamente dall'imperatore, a dimostrazione del fatto che durante il suo pontificato la riforma imperiale e la riforma papale si identificavano -Guido fu assolto dal sinodo del 1050, anche il pontefice cercava di consolidare la sua posizione nella città, mostrando come grazie alla sua mediazione l'onore della Chiesa ambrosiana era stato rispettato -L'opposizione al vescovo e in genere all'alto clero simoniaco e corrotto (Bonizone da Sutri afferma che su mille preti milanesi forse cinque non erano simoniaci) fu guidata dal diacono Arialdo e dal chierico Landolfo e trova il suo appoggio nel prete Anselmo di Baggio, futuro vescovo di Lucca (1057) e dal 1061 papa col nome di Alessandro II. -Arialdo aveva iniziato una predicazione richiamando la necessità per gli ecclesiastici della povertà e, soprattutto, della castità, in modo che essi potessero distinguersi con il loro stile di vita dai laici l'obiettivo dei patarini era mettere in evidenza l'incompatibilità dello Stato di vita clericale con il matrimonio, giustificando l'uso della violenza contro i sacerdoti ritenuti indegni -Gli scontri esplosero il 10 maggio del 1057 quando, durante la transizione delle reliquie di San Nazaro, i patarini orchestrano un tumulto che mise in fuga i sacerdoti che stavano recitando l'ufficio divino 31 -L'aperta campagna contro il vescovo condotta da Arialdo indusse Guido, dietro sollecitazione di papa Stefano IX, a riunire un concilio, ma Arialdo e Landolfo non si presentarono. -Scomunicati, i due si appellano a Roma e una prima missione romana guidata da Ildebrando trovò che la pataria si fosse ormai organizzata come una lega decisa a tutto. -la patria aveva ormai un carattere eversivo poiché aveva infranto il divieto per gli inferiori di accusare i superiori (un diacono ed un chierico stavano accusando un vescovo) -I patarini adottarono le dottrine radicali di Umberto di Silva candida in materia di ordinazioni simoniache, affermando che non fosse valida qualsiasi ordinazione fatta da un simoniaco -il movimento non era generalmente ostile al clero, i patarini erano convinti della necessità di avere un clero degno per guidare i fedeli alla salvezza, mentre gli eretici lo avrebbero portato alla dannazione - sotto Nicolò II fu inviata una seconda missione guidata da Pier Damiani che riuscì a calmare le acque, ottenendo la sottomissione del clero simoniaco ed il giuramento che esso si sarebbe astenuto da questo peccato -nonostante la fiducia che Guido aveva ottenuto, i patarini furono delusi dall'andamento della legazione che aveva rafforzato il sistema politico ed ecclesiastico che essi osteggiavano -una terza delegazione stabili che la simonia e il nicolaismo potevano essere combattuti solo rimanendo sotto le insegne della Chiesa e secondo le procedure tradizionali del diritto canonico -nei suoi scritti Pier Damiani rigettava qualsiasi ingerenza laicale nell'ambito del magistero che doveva restare saldamente in mano ai sacerdoti ma era convinto dell'utilità per la chiesa che i laici e il clero minore potessero ricorrere contro il proprio vescovo presso le autorità ecclesiastiche -Arilaldo si recò a Roma nel 1060 con la speranza di riaprire il caso dinanzi al sinono quaresimale ma Guido, con l'appoggio dei vescovi della provincia ecclesiastica milanese, riuscì a vanificare la sua iniziativa -Guido fu successivamente accusato di non aver rispettato il giuramento e nel 1066 e fu scomunicato da Alessandro II. -I partigiani di Guido cercarono di vendicarsi convocando un'assemblea dei milanesi per accusare pubblicamente i capi dei patarini di voler sottomettere la chiesa ambrosiana al papato -l'appello al patriottismo ambrosiano indusse molti patarini ad abbandonare i loro capi, lasciando spazio alle vendette dei nemici, portando ad una vera guerra civile durante la quale Arialdo, cacciato dalla città coi suoi seguaci, fu proditoriamente assassinato (28-29 giugno 1066). -Prese le redini del movimento il laico Erlembaldo (fratello di Landolfo, morto nel frattempo) che, dopo aver ricompattato il movimento, costrinse l'arcivescovo alla fuga e occupò Milano dandosi alle più feroci rappresaglie. - Una nuova missione romana inviata a Milano nel 1067 ottenne le dimissioni dell'arcivescovo, ma la situazione, anziché calmarsi, precipitò nello scisma giacché, mentre i partigiani di Guido (morto il 23 agosto 1071) fecero eleggere e investire da Enrico IV il suddiacono Goffredo come nuovo arcivescovo, i patarini non vollero riconoscere a Enrico il diritto di investitura ed elessero a loro volta il chierico Attone (Epifania del 1072) che fu proclamato arcivescovo da Alessandro II. 32 -Goffredo, consacrato dai vescovi di Lombardia per ordine di Enrico IV e scomunicato dal papa, tentò invano di penetrare in Milano, tenuta saldamente dai patarini. - Morto Alessandro II, Gregorio VII, pur accordando tutta la sua simpatia ai patarini e al loro capo Erlembaldo, entrò in trattative con Enrico per una soluzione pacifica del conflitto e indusse finalmente l'imperatore a desistere dal suo atteggiamento -solo durante la Quaresima del 1074, Gregorio proclamò Attone arcivescovo ma il 30 marzo 1075 (Lunedì santo) un incendio scoppiò a Milano e distrusse gran parte della città -i patarini furono accusati di avere appiccato il fuoco, nacquero nuovi disordini, durante i quali Erlembaldo sarà ucciso (5 aprile 1075). -Con la morte di Erlembaldo termina la storia della pataria milanese, l'elezione da parte di Enrico IV di un nuovo vescovo, Tebaldo, e la reazione di Gregorio VII a questa aperta violazione dei patti appartengono alla storia del conflitto fra Enrico IV e Gregorio VII. La pataria fiorentina - Le idee di Umberto di Silva Candida avevano trovato terreno fertile presso Giovanni Gualberto e i suoi monaci, che da Vallombrosa scesero a Firenze animati dalla lotta alla simonia. - l’obiettivo dei monaci era il neoeletto alla diocesi di Firenze, Pietro Mezzabarba, la cui elezione era avvenuta all’interno di un contesto politico ed ecclesiale molto confuso. - Pietro riassume e sintetizza in se le caratteristiche della cosiddetta chiesa feudale e al contempo le sue convulsioni seguite alle critiche mosse dai riformatori radicali. - Bernoldo di Costanza, cronista tedesco di parte gregoriana informa che molti fiorentini prestarono giuramento a Pietro. -l’agiografo vallombrosano Andrea di Strumi riferisce che le accuse mosse al vescovo simoniaco portarono a un conflitto all’interno del clero e del popolo. -Quando Pier Damiani si recò a Firenze nella primavera del 1067 per tentare di mettere fine allo scontro tra i monaci e il vescovo, il popolo si presentava diviso. - Pietro, durante il suo episcopato, ha lasciato poche tracce documentarie ma tutte convergono nel dimostrare che il suo operato pastorale fosse del tutto in sintonia con i doveri annessi alla funzione episcopale secondo il modello di vescovo imperiale che i riformatori della curia detestavano, come dimostra la fondazione del monastero femminile di san Pietro maggiore all’inizio del 1067, secondo l’usanza comune dei vescovi imperiali nell’età ottoniana e salica. - Il fatto che Pietro fosse inserito a pieno titolo nel sistema ecclesiastico e godesse di consenso non bastarono per dissuadere i monaci e Giovanni Gualberto dall’attaccarlo pubblicamente sulle piazze. -Pietro aveva ottenuto la cattedra episcopale versando un pagamento ingente alla camera regia di Pavia, ed era di conseguenza ritenuto un simoniaco - gli attacchi dei monaci portarono molti fedeli a rifiutare i sacramenti amministrati da chierici legati a Pietro poiché, secondo le tesi di Umberto di Silva candida, la simonia aveva le caratteristiche di una malattia infettiva e contagiava anche i collaboratori di un simoniaco. 35 - L’elezione è per molti versi problematica, non vi fu un’elezione vera e propria ma fu un’orchestrata acclamazione, nonostante il decreto del 1059 l’imperatore non era stato minimamente coinvolto e, per compensare parzialmente questa mancanza, Gregorio chiedeva a Desiderio di informare l'imperatrice Agnese che risiedeva presso l'abbazia -La scelta onomastica non fu casuale, ma fu un onore a Gregorio VI, deposto nel concilio di Sutri del 1046, e tradiva la sua indole rivoluzionaria - i papi precedenti avevano scelto di chiamarsi con i nomi di papi le cui lettere (false) erano raccolte nelle Decretali pseudoisidoriane. -Altro modello per Ildebrando era Gregorio I Magno, simbolo del pontificato forte dell'alto medioevo -La ricostruzione dell’acclamazione di Gregorio VII è quasi perfettamente sovrapponibile con quella dell’elezione di Gregorio Magno raccontata da Giovanni Diacono, anche nel caso di Gregorio Magno vi era stata l'elezione da parte del clero e del popolo romano e vi era stata un'accusa mostra dei Longobardi sulla regolarità dell'elezione. -Bonizone di Sutri crea il mito di Ildebrando come eroe e protagonista della riforma, narrando di come fosse stato il popolo romano ad acclamarlo come pontefice -Egli riferisce anche che la prima preoccupazione del nuovo papa fu quella di comunicare a Enrico IV l’elezione, l’imperatore avrebbe inviato il vescovo Gregorio di Vercelli per confermare l’elezione e partecipare alla sua consacrazione. - secondo Bonizone il nuovo pontefice ammonì subito Enrico IV, affermando che non avrebbe più tollerato la vendita degli episcopati e intimò di dichiararsi suddito della sede apostolica ma di questa iniziativa di Gregorio VII non si hanno prove, così come dell’atteggiamento sfrontato del neoeletto nei confronti dell’imperatore. -Bonizone dà quasi l’impressione che Gregorio VII avesse fretta di voler aprire subito la guerra con l’imperatore -la sua elezione fu il primo evento oggettivamente eversivo, al di là delle immediate intenzioni di Gregorio la sua elezione costituisce un punto di svolta e una cesura rivoluzionaria Prime schermaglie - Nel primo anno e mezzo di pontificato, Gregorio non scrisse mai all’imperatore, anche se il 24 giugno del 1073 gli fece recapitare un messaggio attraverso Beatrice e Matilde di Canossa in cui lo richiamava all’amore della Chiesa romana - Secondo Gregorio VII il re-imperatore non era affatto al vertice della cristianità, il papa dettava i tempi e i modi dell’incoronazione imperiale, il potere regio riguardava i laici e non poteva intromettersi nel governo della Chiesa - si creò una frattura ideologica tra regno e sacerdozio, che dovevano procedere in concordia e armonia, ma spettava al papa stabilire le condizioni per le quali tale unità di intenti era possibile e realizzabile. 36 - La distanza tra questa ideologia e la tradizione consolidata da tre secoli era davvero grande, i gregoriani mettevano in discussione la legittimità stessa del potere imperiale, che innescò un processo di inarrestabile desacralizzazione del potere regio. Enrico IV: riformatore geniale o conservatore tradizionalista? - L’atteggiamento remissivo tenuto da Enrico IV nel 1073 si spiega con le grandi difficoltà che stava fronteggiando a nord delle Alpi, che lo spingevano ad evitare una lotta su due fronti e dal fatto che da Gregorio VII dipendeva la sua possibilità di ricevere l’incoronazione imperiale. Enrico sarà un assoluto protagonista del processo di trasformazione dell'impero, anche a causa della straordinaria durata del suo regno (dal 1056 al 1106) -A differenza di ciò che era accaduto sotto i Carolingi, che avevano potuto sfruttare una rete di funzionari itineranti (i missi) e di rappresentanti del potere Regio sul territorio (conti e marchesi) sotto gli Ottoni e i Salii l’Impero divenne una struttura eterogenea e policentrica difficile da controllare in maniera centralizzata, la natura stessa del potere regio mutò, caratterizzandosi non più un fattore di dominio ma di integrazione. - Durante la tarda età salica vi fu un forte impulso verso una costruzione sociale e regia, non a caso il concetto di obbedienza, mutato dalla tradizione monastica, fu usato sia da parte gregoriana sia imperiale. -Alla fine del secolo XI la scena istituzionale europea era caratterizzata da una pluralità di autorità in netto contrasto con la monocromaticità del potere regio dell'inizio dello stesso secolo -I nemici tedeschi di Enrico IV lo accusavano di avere provocato una rivoluzione e si opponevano alla persona del sovrano, che non aveva rispettato i confini tradizionali del proprio officio - La pubblicistica antienriciana chiamava tiranno il nuovo monarca e riecheggiava così lo scontento dell’alta aristocrazia tedesca, che mal sopportava le innovazioni introdotte dalla dinastia salica nel rapporto tra i nobili e il re i polemisti imperiali non mettevano in discussione il sistema nel suo complesso ma accusavano il sovrano di non essere idoneo al Regno, nonostante i suoi meriti individuali e quelli della sua dinastia Molti auspicavano il ritorno al modello di cristianità che si era configurato durante il Regno di Enrico III, che aveva mantenuto le strutture dell'impero e che vedeva l'imperatore come defensor e paticius della Chiesa romana -Benzone d’Alba, equivalente di Boinzone di Sutri sul fronte imperiale, attingeva dalla sacra scrittura le ragioni a sostegno del monarca per interpretare la storia dell'impero alla luce della storia della salvezza e tracciare una linea di continuità con la romanità classica, affermano che l'impero pagano prefigurava quello cristiano come l'antico testamento fa col nuovo, -ai gregoriani che invocavano la ferocia degli imperatori Pagani per negare la funzione provvidenziale dell'impero Enrico IV ricordava che la persecuzione di Gregorio era peggiore di quella di Decio, perché l'imperatore aveva privato i martiri solo della vita terrena mentre Ildebrando condannava i cristiani alle fiamme dell'inferno 37 -Strumento essenziale della comunicazione politica divennero le lettere, la lotta per le investiture rinnovò le funzioni dell’epistolografia perfino nelle sue strutture formali, per rispondere alle esigenze di ribattere agli attacchi polemici degli avversari -Guido da Ferrara utilizzava la figura di Mosè per giustificare il controllo delle cariche ecclesiastiche da parte degli imperatori, i quali non erano dei semplici laici ma delle persone scelte da Dio -per Benzone solo il sovrano poteva fregiarsi del titolo di vicario di Cristo sulla terra, che doveva essere conteso con il Papa, che fino ad allora si era fregiato di quello di vicario Di Pietro - L’autocoscienza dinastica dei Salii era particolarmente indigesta all’aristocrazia tedesca e rappresentava una delle più eclatanti novità della rivoluzione di Enrico IV, identificata nel concetto di dinastia come fattore legittimante della regalità. -I Salii scelsero il duomo di Spira come luogo di sepoltura dinastica, quando suo figlio Enrico V, con l’appoggio dei principi, lo catturò e depose, Enrico IV chiese di essere sepolto a Spira anche se scomunicato e il figlio acconsentì, andando anche contro il parere di alcuni principi, perché era ormai entrato nella logica nuova della sua dinastia e il duomo di Spira svolgeva una funzione propagandistica. - Anche in Italia Enrico IV pose dei finanziamenti per i restauri di chiese in rovina, colpisce l’assenza di palazzi regi nell’elenco dei restauri, i Salii soggiornarono di solito nelle residenze episcopali. -a causa degli scontri armati i sovrani preferirono non insediarsi nelle città poiché, anche in quelle a loro più fedeli, la loro vita era in pericolo -Con i Salii maturò una trasformazione importante nella concezione della regalità e del potere come elemento transpersonale che si tramanda nella dinastia, mentre ciascuno degli Ottoni aveva avuto la propria corona con la quale era stato sepolto, Ernico III per la prima volta aveva ereditato quella del proprio predecessore, Enrico IV considerava la corona un attributo della regalità. -Enrico IV realizzò una serie di riforme, modificando sostanzialmente i funzionamenti effettivi dell’Impero, decidendo la concentrazione dell’alta giustizia nelle mani dei re, creando un aggregato statale in cui era incorporato tutto il territorio, anche quello dell'alta aristocrazia, creando una legislazione della pace e promuovendo l’organizzazione dei beni fiscali su base signorile. - Si riteneva necessaria la costruzione di una base popolare e cetuale più larga del regno, tale obiettivo fu raggiunto agevolando l’ascesa dei ministeriali che, dalla condizione di non liberi, grazie al favore di Enrico IV si trasformarono in una élite con compiti di amministrazione - L’imperatore sostenne alcune città dell’Italia centrosettentrionale, mirando a erodere il potere dell’aristocrazia, ad esempio concedendo l'esenzione dalla giurisdizione marchionale nei territori dei Canossa -il sovrano era consapevole dell'inarrestabile processo di localizzazione del potere e cercò di inserirsi nel mosaico politico del Regno italico appoggiando le forze emergenti e bisognose di legittimità come le città che potevano tornare utili nello scontro con Matilde di Canossa e con il papato, oppure famiglie marchionali nemiche dei riformatori -Il tentativo di riforma non sortì però gli effetti desiderati, al contrario, finì con l’aumentare il peso specifico dei principi nella definizione stessa del potere regio, essi rivendicavano il diritto di partecipare alla gestione del Regno e all'assegnazione delle cariche civili ed ecclesiastiche, presentandosi accanto al re come una corporazione rappresentativa dell'impero 40 -forte della vittoria contro i Sassoni, Enrico convocò al sinodo di Worms (24 gennaio 1076) i vescovi tedeschi e lombardi, che denunciarono Gregorio VII per la sua protervia contro i vescovi e per la sua elezione irregolare. -Ugo Candido lo accusò di essere stato eletto illegalmente e di essere l’amante di Matilde di Canossa. -Erico dichiarò di essere costretto a dare il proprio assenso alla sentenza emanata dai vescovi a Worms e invitò il popolo e il clero di Roma ad allontanare Ildebrando ed accogliere il nuovo pontefice da lui nominato. -Enrico cercava di far passare il tutto come una decisione che arrivava dalla comunità ecclesiastica stessa e non come una sua personale iniziativa - Nel febbraio del 1076 Gregorio VII reagì scomunicando sia i vescovi che Enrico IV, il pontefice affermava di agire in virtù del potere di sciogliere e di legare (espressione che allude da un lato alle decisioni dottrinali, dall'altro al potere disciplinare, riferito alla facoltà di infliggere e di togliere la scomunica) che il Papa deteneva in quanto vicario del beato Pietro -il provvedimento scioglieva i sudditi da ogni obbligo di fedeltà al sovrano e ridava fiato alle speranze dei Sassoni. -lo stesso clero che aveva sostenuto il sovrano e ne aveva legittimato l'azione iniziò a prenderne le distanze, con ragioni non diverse da quelle che muovevano il malcontento dell'aristocrazia tedesca, i timori per la sempre più chiara deriva autoritaria del sovrano si univano alle preoccupazioni legate a quella che Weinfurter ha definito “la nuova religione dei vescovi” già a partire da Enrico III e in particolare all'interno della Hofkappele, da quale provenivano molti vescovi posti al vertice delle diocesi più importanti, si era sviluppata una sensibilità nuova che aveva trovato nei Papi e nei loro legati dei fautori molto battaglieri -si trattava di un atteggiamento di rinnovata attenzione verso la regolarità delle procedure di scelta e di insediamento del personale ecclesiastico, una sensibilità che aveva suscitato nelle diocesi l'esigenza di tutelarsi per evitare gli eventuali riflessi negativi derivanti dalle contestazioni mostre ai vescovi circa la regolarità delle loro elezioni -questo processo di legittimazione comportava la fissazione della memoria storica dell'episcopato locale con ricostruzioni tese a mettere in rilievo il prestigio narrando la Fondazione da parte di un Santo vescovo quando non addirittura la apostolicità. -il nuovo atteggiamento si collegava soprattutto alla mutata concezione della responsabilità sacerdotale e in particolare all'idea della peculiare sollecitudine del vescovo nei riguardi della sua chiesa e della pace dell'impero, nonché alla sua funzione di mediazione nel conseguimento della salvezza da parte dei fedeli -la pressione esercitata dal papato sui vescovi sia in Italia che in Germania aveva dato i suoi frutti e la paura della censura Pontificia aveva messo in agitazione molti di coloro i quali erano stati precedentemente schierati dalla parte dell'imperatore -nei grandi stava maturando la convinzione che la preoccupazione per l'onore dell'impero non coincidesse più con il sostegno e con l'aiuto da accordare sovrano i timori erano connessi con la posizione dei vescovi in quanto autorità dotate di poteri civili, le loro preoccupazioni coincidevano con quelle della aristocrazia del Regno inserita nell'apparato funzionale, 41 spaventata dal successo del sovrano sui sassoni e dalla conseguente durissima rappresaglia in contrasto con le promesse di non punire i ribelli la crudeltà del sovrano aveva colpito i nobili tedeschi che insieme ai vescovi pensarono di approfittare della scomunica e dello scioglimento dei sudditi dall'obbligo di fedeltà del sovrano - si decise di procedere all'elezione di un nuovo sovrano ma l'assemblea convocata nell’ottobre del 1076 si concluse in modo interlocutorio perché il sovrano si impegnò a riappacificarsi con il pontefice -una nuova assise fu convocata per il gennaio dell'anno seguente ad Augusta e sarebbe stata presieduta dal pontefice in persona -il pontefice partì da Roma per recarsi in Germania e l'assemblea fu rinviata al 2 Febbraio successivo proprio per consentirgli di arrivare e di approfittare della debolezza del sovrano di fronte alla pressione dei principi tedeschi -il re vedeva con sospetto la trappola che gli si parava dinanzi, qualora si fosse sottomesso al Papa sarebbe restato un re sotto tutela ma non accettando il compromesso avrebbe rischiato che i principi eleggessero un nuovo re al suo posto approfittando della scomunica -egli doveva impedire che il papà arrivasse in Germania andandogli incontro, scese in Italia con un piccolo seguito dopo aver varcato fortunosamente le alpi e seppe che il Papa si era fermato nel castello di Canossa, dove anche egli decise di recarsi La fine di un mondo: Canossa - Il 20 gennaio 1077 la comitiva regia aveva raggiunto il castello dove era ospitato Gregorio VII, con Matilde di Canossa, la marchesa Adelaide di Susa, vari membri dell’aristocrazia del Regno Italico e l’abate Ugo di Cluny, padre spirituale di Enrico IV, che avevano cercato di attutire il contrasto tra papa e imperatore. -il papa non sembrava affatto ben disposto verso il sovrano, sperava di approfittare della sua posizione di debolezza per trasformarlo in un docile alleato - Preso atto dell’inutilità dei mediatori, Enrico IV decise di fare il primo passo, il 25 gennaio arrivò alle porte del castello di Canossa e rimase tre giorni davanti al portone del castello in misero abbigliamento e a piedi nudi -Il giovane Enrico aveva lo scopo di inscenare un momento di pentimento e umiliazione per costringere il papa a revocare la scomunica -la fermezza di Gregorio VII si stava trasformando in tracotanza e rischiava di far apparire il pontefice come un tiranno arrogante, violento e privo di cuore -il pontefice non poté fare altro che revocare la scomunica, moralmente costretto a farlo, e riammettere il sovrano nella comunità cristiana. -Ugo di Cluny, Matilde di Canossa e Adelaide di Susa si fecero garanti degli impegni assunti dal sovrano -Le lacrime versate dai due contendenti avevano un preciso valore rituale di dimensione penitenziale. 42 -al Bacio della pace ed alla messa seguì un convivium, che aveva un ruolo fondamentale nel lessico politico altomedievale, durante i banchetti si solennizzavano le alleanze e le pacificazioni. -l’evento di Canossa è stato associato da Althoff alla pratica della deditio, e non alla purgaio, alla quale alcuni imperatori di epoca carolingia si erano sottoposti, il sovrano si era comportato come un ribelle sconfitto e si era umiliato di fronte a un potere che aveva offeso -Weinfurter integrava questa lettura con un'altra che mirava a mettere in rilievo il significato penitenziale del sovrano, la cui iniziativa di presentarsi in vesti umili davanti al castello aveva preceduto la conclusione delle trattative e che la deditio si integrasse con un rituale dall'evidente struttura e finalità penitenziale -il re aveva ricondotto mediante il suo comportamento il rituale di sottomissione alle forme della penitenza ecclesiastica, l'episodio di Canossa rappresenta un esempio lampante del rapporto ancora esistente tra le espressioni di umiltà, di carattere tanto religioso quanto secolare, e le dinamiche della politica -la componente liturgica, in quanto forma codificata di comunicazione simbolica, aveva inequivocabili valenze istituzionali che dall'ambito ecclesiastico e religioso si traslavano nelle prassi politiche, diventando atti di governo -non si trattava di un qualcosa di naturale o spontaneo ma del risultato di strategie meditate e di reazioni in tempo reale di fronte alle mosse dell'avversario -l'episodio di Canossa dimostra quanto pesasse la cultura degli ecclesiastici che nell'una e nell'altra Corte contribuirono alla soluzione del conflitto per via rituale -l'interesse politico, in particolare per il Papa, non era disgiunto dalla forma assunta dalla soluzione del conflitto, fu proprio l'intuizione che aveva indotto il sovrano mettere in scena una deditio che mise alle corde il pontefice, obbligato a concedere il perdono al penitente che si umiliava -nella messa in scena di Canossa il ribelle, trasformatosi in penitente, aveva costretto l'offeso vincitore a concedergli il perdono, altrimenti si sarebbe trasformato in un impietoso tiranno -l'episodio di Canossa fu interpretato in maniera divergente anche dai contemporanei, l'efficacia delle risoluzioni dei conflitti per via rituale era affidata alla capacità degli attori in conflitto di trovare azioni utili ai singoli e i gruppi sociali coinvolti -questo valse non solo per Canossa ma anche per le ordalie, come la prova del fuoco di Pietro Igneo, i cui effetti non furono apprezzabili nell'immediatezza ma solo dopo che gli attori in campo poterono misurarne l'impatto presso soggetti non direttamente coinvolti nel rito ma che potevano essere danneggiati dai suoi esiti immediati -nel caso di Pietro Igneo fu decisivo il ruolo del marchese Goffredo il barbuto, per Canossa i convitati di pietra furono i principi tedeschi, che con la loro interpretazione fuorviante ne vanificano la possibilità regolatrice dei rapporti tra Corte regia e papato -non era chiaro se il pontefice, perdonando il sovrano, lo avesse sciolto solo dalla scomunica oppure lo avesse integrato nel pieno possesso di re e di potenziale imperatore Il pontefice, Ugo di Cluny e gli esponenti del Regno italico presenti a Canossa potevano dirsi soddisfatti, ciò non valeva per i sassoni e per i principi tedeschi, che si comportano come se nulla fosse successo a Canossa, continuarono ad avversare la politica autoritaria del sovrano ed elessero 45 -Sulla base di questo modello antico di convivenza e reciproca influenza tra nobiltà e curia, Cencio agiva in conformità con la tradizione, anche la sua ingerenza nell’elezione di Gregorio VII appare come l’ennesimo e normale intervento dell’aristocrazia romana nella scelta dei pontefici. - Quando Cencio confessò a Gregorio VII di voler entrare in monastero, il papa glielo vietò e gli ordinò di conservare la sua carica, per continuare a combattere per la giustizia, in questo modo egli avrebbe vissuto la sua militia per cristo. - al papa stava a cuore un problema di tipo politico all’interno del quadro riformatore della chiesa, egli affermava che vi erano molti fedeli tra monaci, sacerdoti, guerrieri ma che invece vi erano pochi principi davvero animati dalla fede. -Il papa sapeva di aver bisogno di questi principi per poter lottare contro l’imperatore, ma soprattutto per il ruolo che essi svolgevano nella società, amministrando in particolare la giustizia, fu questo a motivarlo nel proibire a Cencio di lasciare la sua carica di perfetto e non il fatto che pensasse che monaci e laici non potessero ottenere gli stessi meriti. -Gregorio VII voleva quindi preservare il maggior numero di alleati fedeli a lui e assicurare l’esistenza della chiesa romana, che secondo lui, era a rischio. - tempo dopo la morte di Gregorio VII esule a Salerno, scappato da Roma per via delle forze imperiali, Bonizone di Sutri affermò che la vera vittoria per la chiesa è dunque l’apparente sconfitta, la chiesa cresce quando è oppressa, come appunto avveniva durante le persecuzioni dell’antichità, ecco perché il martire è il perfetto cristiano. -Cencio, nel momento in cui viene sconfitto ha ottenuto con il martirio la vera vittoria del cristiano. - Per i patarini la penitenza, i patimenti, il martirio a imitazione della passione e della morte di cristo sulla croce era il fine ultimo dell’essere dei buoni fedeli. - Tutta la trattatista politica altomedievale aveva giustificato l’impiego legittimo della violenza da parte del re, nella sua funzione di difensore ecclesiale, era dunque normale e giustificata la militia dei sudditi sotto le insegne reali. -Nella seconda metà del XI secolo e in particolare durante il pontificato di Gregorio VII, la rottura della collaborazione tra il papa e l’imperatore pose in modo nuovo il tema della militia dei cristiani, essi combattevano non più come sudditi del re, ma esclusivamente in quanto cristiani. - Per Bonizone tutti i cristiani erano al servizio di dio ed erano tutti milites contro l’eresia, Cencio incarnava la figura del perfetto Miles Dei, la sua azione assumeva una valenza anche a prescindere dall’ufficio che egli ricopriva nella società. -Per Bernoldo di Costanza invece Cencio non è al servizio di Dio, ma del papa, e la sua lotta non è all’eresia ma è tesa a sconfiggere i sostenitori di Enrico IV. -La posizione di Bertoldo è motivata da riflessioni politiche inerenti allo scontro tra papato e impero, egli basa la sua analisi sulla attualità politica e non si cela dietro retoriche teologiche. - il mondo monastico ebbe molte riserve sulla visione militante del cristiano in senso armato tanto amata da Bonizone e dal papato, i monaci consideravano non legittimo l’uso della violenza da parte dei cristiani e facevano fatica a riconoscere una forma di militia non metaforica che scardinava lo schema degli ordines in cui la vita monastica era considerata il culmine dell’esperienza cristiana. 46 - Pier Damiani non riteneva il martire la figura culmine dell’esperienza cristiana e della devozione a cristo, non concepisce l’ingerenza dei laici nel mondo ecclesiastico, al contrario le forze riformatrici gregoriane vedono nel martire e nella partecipazione militante e violenta dei fedeli il vero culmine dell’esperienza cristiana. - Nella collezione canonica di Matilde di Canossa e di Gregorio VII la militia christi teorizzata dai riformatori aveva trovato una sistemazione giuridica, ma il diritto canonico fino al XIII secolo non legò questa forma di cristianizzazione all’esperienza militare, conservando invece la concezione agostiniana della guerra giusta. - i sostenitori dell’impero come Guido di Ferrara respinsero l’argomento sostenuto dai gregoriani secondo cui l’uso delle armi sarebbe stato necessario per liberare e difendere la proprietà della chiesa. -Si aprì dunque un forte scontro tra la posizione gregoriana che voleva appropriarsi del diritto di armare i propri fedeli e la posizione tradizionale monastica e della corona che vedevano tale tentativo come tradimento e una dichiarazione di guerra. -la posizione tradizionale ebbe un arresto decisivo con l’inizio delle crociate che diede ulteriore respiro all’idea di militia christi. -Non tutti gli studiosi vedono una continuità tra la concezione militante gregoriana e l’uso della forza contro gli infedeli delle crociate, in generale non vi sono elementi sufficienti per negare del tutto il legame tra riforma ecclesiastica e crociata. -la lotta per le investiture tra papato e impero del secolo XI è un avvenimento senza il quale sarebbe stato impensabile il ruolo assunto dalla curia romana nella promozione e nella guida del movimento crociato. -la progressiva affermazione dell’idea che il cristiano, in quanto tale e non più come suddito del re, potesse conseguire dei meriti spirituali combattendo era l’effetto più clamoroso della desacralizzazione del potere politico attuata da Gregorio VII. La scomunica del 1080 -La scomunica fu l'evento principale della rivoluzione del secolo XI ma solo nel 1080 il suo potenziale eversivo produsse risultati dirompenti -il sinodo quaresimale del 1078 aveva stabilito che le ordinazioni amministrative degli scomunicati erano prive di validità, la decisione sarà rinnovata dal sinodo del 1080 -in questo stesso sinodo il pontefice comminò la scomunica contro gli arcivescovi Tedaldo di Milano e Guiberto di Ravenna e scomunicò nuovamente il sovrano, accusato di non aver mantenuto gli obblighi presi a Canossa -il primo obiettivo propagandistico del pontefice, espresso nel suo Registro, era quello di giustificare l'atto gravissimo che stava compiendo (la scomunica del re) ma ancora più di rispondere alle accuse che gli erano state mosse a livello personale -l'inizio autobiografico vedeva il pontefice rivolgersi direttamente agli apostoli Pietro e Paolo, il suo scopo era di liberarsi dall'accusa di aver agito perché mosso dalla smania di potere, e affermava 47 quanto poco di volontario e di preordinato vi fosse stato nella sua vita e come egli fosse stato regolarmente costretto ad accettare cose che non voleva, compreso il papato -il pontefice non accusava apertamente Enrico IV di essere il mandante dell'attentato della notte di Natale del 1075, ma le allusioni fatte al demonio non consentivano di distinguere l'esecutore materiale del misfatto da colui che nel seguito del documento veniva indicato come nemico da abbattere, ovvero il re -soltanto la funzione propagandistica del documento giustifica l'autobiografia altrimenti del tutto inutile in un protocollo dal valore strettamente giuridico -la cronaca della biografia si unisce con il disegno provvidenziale, se Pietro e Paolo erano i veri registi tutta la vicenda allora il sovrano, agendo contro il Papa, stava offendendo gli apostoli e Cristo stesso -il pontefice aveva perdonato il re poiché, confuso e umiliato, Enrico aveva chiesto di essere sciolto dalla scomunica promettendo di correggersi per il futuro -il pontefice lo aveva riammesso nella chiesa ma non lo aveva reintegrato nel Regno da cui lo aveva deposto e non aveva ordinato che fossero di nuovo osservati gli obblighi di fedeltà a cui sudditi erano tenuti ma dei quali li aveva sciolti nel sinodo del 1076 -due vescovi avevano giurato che l'imperatore avrebbe mantenuto gli impegni ma gli stessi vescovi e principi tedeschi si erano successivamente rivolti al Papa perché il sovrano si comportava in tutt'altro modo -essi avevano eletto Rodolfo di Svevia senza dire nulla al Papa ed egli si era subito premurato di assicurare al pontefice che era pronto a obbedirgli - il pontefice mantenne un atteggiamento neutrale tra i due contendenti, rinviando a un accordo per la soluzione della vicenda e minacciando di scomunicare chi avesse cercato di impedire che ciò avvenisse -Gregorio VII affermava che chiunque fosse stato fedele al pontefice avrebbe ricevuto l'assoluzione da tutti i peccati e la benedizione degli apostoli Pietro e Paolo la fedeltà al re appoggiato dal Papa era messa in relazione con l'assoluzione dei peccati, il meccanismo era simile a quello utilizzato in futuro da Papa Urbano II per quanti avessero accettato il suo invito a partecipare alla crociata -Il Papa era consapevole che, deponendo il sovrano, stava compiendo un'azione inedita e, per rafforzare la sua posizione, affermava che tutto ciò che era accaduto non dipendeva dalla sua volontà, ma erano i santi Pietro e Paolo a scegliere per lui, egli voleva dimostrare come la chiesa romana fosse in terra l'espressione del potere dei due apostoli -il re di Germania, destinato a diventare imperatore ed assumere il rango di vicario di Cristo sulla terra, veniva trattato dal pontefice come un qualsiasi nobile di provincia ribelle perché la sua carica come tutte le forme del potere terreno era nella disponibilità del Papa che agiva in nome degli apostoli e di Dio La desacralizzazione del potere politico nella lettera di Ermano di Metz 50 l'appoggio da lui dato a Berengario di Tour, definito eretico e cultore manifesto della divinazione dei sogni, negromante travagliato da uno spirito serpentino e quindi deviato dalla vera fede -i vescovi giudicavano che fosse da deporre ed espellere canonicamente il pontefice qualora egli non avesse abbandonato la sua sede spontaneamente dopo la condanna Lo scisma guibertista -Clemente III scelse questo nome per sottolineare la continuità con Clemente II, il primo Papa imperiale intronizzato da Enrico III nel 1046, la sua elezione aprì uno scisma la cui durata superò quella del pontificato di Gregorio VII, dato che il papà di nomina imperiale visse 15 anni più a lungo di Ildebrando -Clemente III, che godeva di un vasto consenso nel Regno italico, giunse a Roma scortato dal sovrano e da un forte esercito che cinse d'assedio la città e il 27 maggio 1084 fu intronizzato solennemente e incoronò l'imperatore il 31 marzo 1084 -due mesi dopo i Normanni guidati da Roberto il Guiscardo riuscirono a liberare Gregorio VII portandolo a Salerno dopo aver saccheggiato la città eterna, dove il pontefice morì il 25 maggio 1085 in una condizione di prigionia dei suoi alleati -lo scisma gubertista rappresentò una novità rispetto ai precedenti conflitti per il controllo del papato poiché non si confrontarono semplicemente due o più persone appoggiate dalle relative fazioni e dai loro gruppi parentali ma si scontrarono due concezioni della Chiesa e del mondo che la rivoluzione di Gregorio VII aveva reso inconciliabili -a causa di tale discontinuità rispetto alla precedente storia degli scismi la frattura diede un forte impulso alla produzione di scritti -mentre la tesi sostenuta dai gregoriani lasciò cospicue tracce negli archivi e nelle biblioteche accadde il contrario per il sistema della Chiesa regia inteso e incarnato da Clemente III e dei suoi numerosi e potenti sostenitori italici -le informazioni a sostegno di Enrico IV e di Clemente III sono pervenute esclusivamente attraverso codici non italiani, sebbene fossero stati scritti in buona parte in Italia -le tesi sostenute da Clemente III sanno considerate inutili nell'ottica della fine della lotta per le investiture e della Chiesa a guida papale, sarà il mondo protestante, ostile alla tirannia Pontificia, a riscoprire questi documenti -la stessa figura di Clemente III sarà oggetto di dibattito, oltre che i miracoli avvenuti presso la tomba o nel giorno dell'anniversario della sua morte la sua Santità era certificata da ordalie che avevano coinvolto preti da lui ordinati e presbiteri che ne contestavano la regolarità di ordinazione -sarà Papa Pasquale II a stroncare sul nascere il culto di Clemente, ordinando che il suo cadavere fosse riesumato e gettato nel Tevere, procedura che ricalcava consapevolmente l'ingiuria della salma di Formoso, che era stato accusato di aver favorito l'imperatore tedesco Arnolfo -la volontà del nuovo pontefice di annullare la memoria e la presenza fisica di Clemente spiega la sistematicità della damnatio memorie nel Regno italico di colui che la tradizione ecclesiastica continua a considerare un antipapa ma che era stato considerato Papa per molti anni in molte diocesi 51 Ritorno all’ordine: Urbano II - Il fronte riformatore fu scosso da una crisi lunga e difficile dopo la morte di Gregorio VII, a cui succedette Desiderio, abate di Montecassino, papa con il nome di Vittore III, che tuttavia morì pochi mesi dopo, indicando come successore Odone di Chatillon. -Un gruppo di cardiali lo elesse come Urbano II, egli poté entrare a Roma, mentre Clemente III cominciava a perdere terreno nell’Urbe. - Urbano II consolidò il legame con i Normanni investendo Ruggero Borsa del titolo di duca di Puglia e suo fratello Boemendo del Principato di Taranto, concedendo al Conte Ruggero I di Calabria e Sicilia la Legazione apostolica nel 1098. -in Italia meridionale occorreva latinizzare le chiese di rito greco, non ebbero successo i tentativi di riconciliazione con la Chiesa Ortodossa. -Al concilio di Piacenza del 1095 si tornò a discutere delle ordinazioni, definendo quelle fatte da vescovi scismatici e simoniaci prive di validità, ma solo se l’ordinato conosceva questa condizione di chi gli conferiva l’ordinazione. - Erano presenti al concilio gli ambasciatori dell’imperatore bizantino Alessio I, che invocava l’aiuto dei cavalieri occidentali contro l’invasione dei Turchi selgiuchidi -un anno dopo il papa bandì prima crociata per prestare soccorso all’imperatore, avviando il processo che culminò nella conquista di Gerusalemme del 1099. - Urbano II cercava di riformare la struttura ecclesiastica e di riconsolidare le circoscrizioni ecclesiastiche parrocchiali, penalizzando il ruolo dei monasteri e scontrandosi con gli orientamenti riformatori radicali dei vallombrosani. - Urbano II invocava un ritorno all’ordine e perseguiva una sorta di normalizzazione della rivoluzione, occorreva intensificare l’uso della intepretatio, grazie alla quale il papa giudicava a proposito dell’applicabilità delle leggi emanate da lui stesso o dai suoi predecessori a seconda del caso -I vescovi ordinati irregolarmente o legati in precedenza al fronte imperiale potevano essere giustificati e arruolati nel fronte urbaniano attraverso una riordinazione -La situazione era profondamente mutata e occorreva ridimenzionare l’importanza dello scacchiere italiano per riproporre i temi della riforma su una scala più ampia, allargando il teatro alla Francia e all’Inghilterra attraverso l’impiego massiccio di legati. - nel 1089 al sinodo di Melfi il papa rilanciò l’azione riformatrice, trattando i temi della simonia, del celibato del clero e dell’investitura laica, ribadendo il divieto per i chierici di prestare il giuramento feudale ai signori laici e affermando che gli ecclesiastici dovevano rispondere solo alla chiesa che vede al suo vertice il papa. -per riportare Clemente III a Roma Enrico IV, con una nuova spedizione militare, espugnò Mantova e poi Canossa, nel 1092 e chiese a Matilde, in cambio della pace, di riconoscere Clemente III, ma la contessa rifiutò e mise in difficoltà l’imperatore agevolando la ribellione di suo figlio Corrado, incoronato re d’Italia a Milano. Matilde fu in grado di riconquistare la pianura padana e Urbano II nel 1094 tornò a controllare Roma 52 La “normalizzazione” della vita regolare Urbano II, con la collaborazione dell'abate generale dei vallombrosani, aprì una fase nuova nella storia vallombrosana, gettando le basi della costruzione di una congregazione centralizzata e meglio controllabile e azzerando ogni possibile azione autonoma dei monaci toscani nella lotta contro la simonia nel privilegio concesso nel 1090 il pontefice descriveva una congregazione al capo della quale poneva il monastero di Vallombrosa e stabiliva le regole per l'elezione dell'abate generale Quando fu abate Bernardo degli Uberti, a partire dal 1092, nuovi monasteri vallombrosani sorsero in Toscana e nelle regioni limitrofe ma anche in Italia settentrionale dove il primo cenobio fu fondato nel 1096 I vallombrosani erano ormai partecipi degli ideali e dei progetti di Urbano II e volevano partire per la crociata ma un intervento del Papa, invocato probabilmente dall'abate, lo impedì il pontefice lodava il loro buon proposito ma affermava che coloro i quali avevano lasciato il mondo scegliendo la milizia spirituale non potevano prendere le armi per partire il divieto non andava inteso in senso assoluto poiché si dava a vescovi e abati la possibilità di autorizzare la partenza di chierici e monaci che lo desiderassero, ma il concetto di milizia spirituale e quello di crociata dovevano restare distinte l'elevazione al cardinalato di Bernardo degli Uberti suggellava la ritrovata alleanza fra papato e vallombrosani e la definitiva accettazione da parte di questi ultimi delle direttive romane la lotta antisimoniaca venne condotta da Bernardo non in quanto vallombrosano ma in quanto vescovo di Parma, lo stesso accade al vescovo di Pistoia Pietro, un fedelissimo di Matilde di Canossa -già al tempo della contestazione orchestrata da Giovanni Gualberto e dei suoi monaci contro il vescovo Pietro Mezzabarba, Papa Alessandro II gli aveva inviati a tornare al monastero, vietando loro di aggirarsi per villaggi, castelli e città -Nel 1101 la congregazione assunse una fisionomia sempre più precisa sia sul piano giuridico che su quello spirituale, ispirandosi ai valori della carità, dell'obbedienza e del disprezzo del mondo, ordinando di evitare i mercati e i negozi secolari e ponendo la parola fine alle lotte antisimoniache grazie all'appoggio del papato poté iniziare l'espansione vallombrosana fuori dai confini della Toscana, la normalizzazione assunse l'aspetto di un ritorno al rispetto integrale della regola di Benedetto In questi processi ebbe un’importanza fondamentale la messa per iscritto di norme, agiografie e usi liturgici, le ricerche su singole comunità hanno rilevato che i margini di autonomia delle dipendenze sia vallombrosane che camaldolesi restarono molto ampi anche dopo l’emanazione dei privilegi pontifici del 1090 e 1113. Il processo di stabilizzazione fu alla base della prodigiosa crescita della rete monastica, un’espansione di queste dimensioni doveva generare problemi di compatibilità con il sistema delle diocesi, ma il privilegio di Urbano II del 1090 autorizzava i vallombrosani a scegliere il vescovo per il crisma, l’olio santo, le consacrazioni e le ordinazioni, purché fosse in comunione con la chiesa romana. 55 i Pisani nel 1081 avevano ricevuto un diploma dall'imperatore che ne garantiva l'assoluta fedeltà all'impero e che aveva dichiarato edificabili le aree lungo il corso del fiume Arno, fino ad allora proprietà del demanio regio e che scatenò la guerriglia urbana tra le grandi famiglie di armatori di navi che erano desiderosi di garantirsi l'accesso diretto al fiume e al mare esattamente come era accaduto a Milano il vescovo cercò di ricomporre i conflitti interni alla città e tra la città e il contado, fungendo da mediatore e minacciando la scomunica e l'anatema contro chiunque avesse violato il patto raggiunto ha un carattere più politico il cosiddetto lodo delle torri di cui Dariberto, tra i 1088 e il 1092, fece da parte costituzionale, dopo che le famiglie in lotta avevano prestato un giuramento per porre fine ai conflitti il documento vietava per il futuro costruire o restaurare le torri oltre una certa altezza, le torri preesistenti dovevano essere abbassate e a nessuno sarebbe stato consentito di distruggere o danneggiare la casa di un altro L'altezza della torre era considerata un indicatore della potenza della famiglia che vi abitava, nello stesso documento del vescovo sono presenti considerazioni di natura militare poiché la costruzione di una torre più alta assicurava una posizione di vantaggio nel combattimento insieme alla limitazione dell'altezza delle torri il documento prevedeva il divieto di costruire vicino o dentro le case torrette d'avvistamento o manufatti in legno con funzioni militari, era fatto divieto di gettare sassi o frecce dalle case proprie o altrui il vescovo si era trovato ad agire in accordo con le più importanti famiglie della città per eliminare i conflitti Esattamente come a Milano la collettività cittadina era già strutturata sul piano istituzionale come comunità politica, Dariberto cita l'assemblea dei cives e l'assemblea deliberante mentre il populus era già un soggetto in grado di garantire il rispetto della legge in nome dell'utilità comune non si è ancora in presenza di un'accezione territoriale del potere cittadino perché il giuramento di comune concordia valeva per i residenti che avevano volontariamente aderito al patto (coniuratio) a Pisa come a Milano la civitas si stava organizzando in forme istituzionali rinnovate soprattutto per regolare i conflitti tra le famiglie più potenti e aveva stipulato un patto giurato di cui il vescovo si impegnava a essere il garante in virtù della capacità di scomunicare chi avesse osato contravvenire alla pace e alla concordia i cittadini avrebbero dovuto tenere lontano chiunque avesse infranto il patto, che era già dannato e separato dal corpo ecclesiale e non avrebbe potuto entrare con lui in comunione in chiesa la scomunica è usata con uno scopo civile e politico per isolare chi turbava la pace interna nella città, e mirava a regolare i conflitti interni al mondo cittadino o nella sua proiezione verso la campagna, essa era uno strumento molto usato durante la lotta per le investiture dai fautori del partito imperiale e dei loro avversari, ma a Pisa non fu più usato contro i moltissimi sostenitori dell'imperatore ancora presenti in città ma contro chi minacciava la pace, il nuovo equilibrio politico tra le famiglie potenti e tra la città e la campagna l'adesione all'uno o all'altro partito in lotta era ormai considerata ininfluente o meno importante della pace tra i cives 56 l'analogia tra Milano e Pisa è resa più evidente dal fatto che anche il vescovo Dariberto predicò la crociata nella sua città, coagulando attorno ai progetti di espansione in Oriente tutta la cittadinanza e spingendo il comune a organizzare una numerosa flotta e affidarne il comando al vescovo a cavallo tra i secoli XI e XII i Papi, lungi dal voler realizzare una precisa e coerente strategia, cercavano di inserirsi in maniera molto empirica, tenendo linee di condotta non di rado contraddittorie e improvvisate la particolare situazione che si venne a creare nelle città tra i ceti dominanti locali e le istituzioni ecclesiastiche non fornì ai Papi uno spazio di manovra indiscriminatamente ampio da consentirgli di sostituire l'impero nel controllo dei vescovi in questa fase non emerge l'affermazione del primato della sede apostolica e della centralizzazione Pontificia ma risalta il nuovo protagonismo delle collettività urbane mentre anche i vescovi, che erano stati il centro del sistema della chiesa imperiale durante l'età ottoniana e salica, nei primi decenni del secolo XII divennero una fazione tra le altre nel gioco degli equilibri locali Questa tendenza conferma le dinamiche che regolavano le elezioni episcopali, nelle quali la progressiva limitazione degli interventi regi e imperiali non comportò un automatico incremento dell'influenza del papato poiché la scelta dei vescovi fu sempre più condizionata dagli equilibri all'interno delle città e della sua chiesa locale l'autocoscienza cittadina aveva trovato piena espressione anche all'interno del sistema della Chiesa regia fin dall'età carolingia, quando i vescovi avevano fornito la sintesi tra i grandi progetti di società e identità locali, la lotta per le investiture determinò la trasformazione di quelle forme di una coscienza cittadina a Milano la chiesa ambrosiana perdette gradualmente la propria vitalità e progressivamente fu letta in una chiave esclusivamente municipalistica, quasi del tutto priva delle caratteristiche antiromane che al tempo della pataria avevano infiammato le folle non si può stabilire una derivazione meccanica del movimento comunale dalla lotta per le investiture, le situazioni descritte per l'anno 1100 hanno solo alcune premesse di questi sviluppi poiché a Pisa e Milano i vescovi, la cui elezione era ancora collegata alla lotta tra papato e impero, furono capaci di condizionare gli sviluppi politici e sociali delle rispettive città, la lotta tra il Papa e l'imperatore erose progressivamente la solidità del sistema regio, aprendo le porte alla crescita dei comuni come istituzioni totali, capaci di metabolizzare al proprio interno i conflitti e di produrre sintesi tra i gruppi sociali che di volta in volta si affacciarono sulla scena delle città italiane con il bisogno di avere una adeguata rappresentanza politica e istituzionale il risultato di questi processi fu un vuoto di potere in cui le gerarchie tradizionali avevano perso la loro capacità di attrazione, i comuni furono una reazione difensiva alla crisi in un quadro non di contestazione ma di compromesso tra le diverse frazioni o tra i diversi strati dell’élite urbane, tra i vescovi e i capi cittadini laici e tra questi capi e la comunità nel suo complesso Alla ricerca di un compromesso: Pasquale II il passaggio al secolo XII iniziò con la scomparsa dalla scena politica e istituzionale di alcune figure che avevano caratterizzato lo scontro, nel 1100 era morto Clemente III, da molti considerato un 57 antipapa, l'imperatore Enrico IV abdicò nel 1105 e morì nel 1106 ma da qualche anno era stato emarginato da Enrico V il 29 luglio del 1099 moriva Urbano II, già il successivo 13 agosto il cardinale diacono di San Clemente Raniero fu eletto Papa con il nome di Pasquale II Dopo aver preso stabile possesso della città di Roma dopo un anno di conflitti ne conservò il controllo per i successivi tre lustri, elemento molto importante nell'ottica delle effimere conquiste della città e delle repentine fughe da parte dei Papi e degli antipapi nei secoli precedenti lo stabile controllo di Roma poneva Pasquale II in una posizione diversa e migliore rispetto a quella dei suoi predecessori, costretti a guardarsi continuamente le spalle quando vi risiedevano e a cercare ossessivamente di tornarvi quando ne erano esclusi proprio la sicurezza con cui poteva guardare alla situazione romana consentì al pontefice di assentarsi anche per lunghi periodi così da sfruttare i vantaggi dell'itineranza per rendere presente il papato ormai consapevole della sua dimensione universale e avvezzo alla sua proiezione attraverso le periferie del mondo cristiano oltre al vantaggio logistico e strategico legato al controllo di Roma, Pasquale II beneficiava della componente simbolica e della forza legittimante garantita dall'urbe, oltre a poter vantare di essere il primo Papa moderno a regnare su Gerusalemme all'indomani dell'esito della prima crociata Dopo la morte di Clemente III, la cui fama di santità post mortem fu stroncata con una sistematica damnatio memorie, il pontefice non ebbe mai dei concorrenti credibili sebbene l'imperatore Enrico V avesse continuato a contrapporgli dei Papi di nomina imperiale Silvestro IV era stato consacrato in Laterano nel dicembre del 1105 con l'assenso di Enrico V, ma, nonostante ciò, l’imperatore non si fece scrupolo nel gennaio del 1106 a inviare a Pasquale II un'ambasceria che lo raggiunse in Francia e gli sottopose un primo abbozzo di compromesso volto alla completa pacificazione tra la corte tedesca e il papato riformatore questo improvviso voltafaccia del sovrano contro il Papa da lui supportato dimostrava la scarsa coerenza e l'estemporaneità delle iniziative intraprese non solo dall'imperatore ma da tutti gli attori presenti sulla scena politica e istituzionale del primo quarto del secolo XII, l’incoerenza dipendeva innanzitutto dal convulso succedersi di scelte che non avevano nulla di razionale e preordinato Nessuno dei Papi creati dall'impero o dall'aristocrazia romana dopo Clemente III riuscì a ottenere una credibilità paragonabile a quella di cui egli aveva goduto, questi antipapi furono privi del consenso duraturo e fattivo dell'imperatore e dei vescovi del Regno italico la diversa qualità della presenza dei Papi concorrenti costituì un elemento di indubbia debolezza del fronte degli avversari dei riformatori romani, nessuno degli antipapi poté, nemmeno nelle intenzioni di Enrico V, costituire un'alternativa credibile per la cristianità occidentale, l'unico vero interlocutore dell'imperatore era il Papa di Roma La questione dello scisma rappresentò la differenza fondamentale tra l'età Clementina e la fase successiva che preludeva a quella degli scismi del secolo XII, in cui la componente politica era l'unica vera discriminante mentre i contendenti non presentavano differenze e peculiarità di natura teologica o canonistica 60 gli espedienti istituzionali dei comuni nascenti erano la conseguenza della confusione causata dalla lotta per le investiture, lo scisma gubertista aveva imposto alle collettività locali di schierarsi per l'uno per l'altro vescovo, delegittimando l'istituto episcopale e facendo venir meno un rapporto di secolare collaborazione tra il vescovo e la città e privandoli della legittimità con cui essi da secoli esercitavano poteri di natura pubblica la reazione violenta dei vescovi e di quei cardinali fedeli all'impostazione intransigente di Gregorio VII nel breve periodo riuscì a invalidare l'accordo di Sutri il sovrano fu incoronato del maggio del 1111 e fece ritorno in Germania, successivamente il Papa denunciò di essere stato costretto dall'imperatore ad accettare quelle clausole inaccettabili perché privato della libertà dal sovrano che minacciava ritorsioni sulla stessa città di Roma, da questa condizione deriva la necessità di emanare il privilegio che contraddiceva le dottrine dei precedenti pontefici il pravilegium di Sutri non fu mai dichiarato nullo, sebbene questa fosse l'intenzione di molti vescovi che parteciparono al sinodo lateranense del 1112, in cui Pasquale II riuscì a imporsi per l'ennesima volta sui cardinali più fedeli alla linea gregoriana, emarginandoli dal governo della Chiesa romana Pasquale II desideroso di giungere gradualmente ai propri fini attraverso una serie di accordi limitati nel tempo e ancor più nell'interpretazione che essi sarebbe stata data ogni volta A ciò si deve aggiungere che il pontefice aveva affermato su basi nuove il primato romano, stabilendo una volta per tutte che il Papa non poteva essere eretico in quanto la misura dell'ortodossia e dell'eresia era lui stesso la costrizione era una delle modalità dell'emergenza e l'emergenza era il quadro all'interno del quale si poteva legittimamente sospendere la legge, il pontefice, come aveva istituito la prassi e la dottrina dell'ultimo mezzo secolo, era il titolare unico insindacabile di questa prerogativa, il primato consentiva al papa regnante di modificare le proprie decisioni e le risoluzioni dei suoi predecessori Pasquale II riconobbe di aver sbagliato a Sutri ma solo come uomo e non come pontefice, i compromessi che in fatto di investitura avevano ridimensionato la sacralità del potere imperiale, riducendo la questione a un problema procedurale, avevano consentito alla sede pontificia di affermare il principio che nel Papa risiedeva il fondamento della norma e dell'ortodossia e, di conseguenza, anche dell'eresia Concordato di Worms - Il pravilegium di Sutri è il punto di partenza per un altro compromesso (il concordato di Worms/Callistinum). -Nonostante il deterioramento delle relazioni tra Pasquale II e Enrico V, le trattative continuano e portano ad un compromesso, concluso da Callisto II (1118-1124) e siglato il 23 settembre 1122 - Il concordato segna nella storiografia la fine della lotta per le investiture, in poche righe vengono liquidati decenni di accaniti e sofisticati dibattiti. -Ad Enrico venne riconosciuta una funzione di controllo e garanzia della regolarità delle elezioni di vescovi e abati, il concordato fu una sconfitta dell’ideologia gregoriana poiché non era più in discussione il diritto del re di intromettersi nelle elezioni dei vescovi, gli uffici ecclesiastici 61 continuavano ad essere concepiti all’interno del quadro tradizionale dell’ordinamento pubblico, con la sopravvivenza dell’idea di chiesa imperiale -per fare in modo che il papato potesse difendere una versione propagandistica, l’imperatore rinunciava alle investiture con l’anello e il pastorale e concedeva in tutto l’impero che le elezioni e le consacrazioni dei vescovi e abati fossero libere, in cambio l’imperatore poteva concedere le regalie all’eletto prima della consacrazione in Germania e Borgogna. Risoluzione - Nel 1125 morirà Enrico V, l’impero entrerà in una fase di crisi pesante che si chiuderà solo con l’elezione di Federico Barbarossa (1152). -dopo il 1122 avvenne una disarticolazione dell’ordinamento pubblico e del sistema politico ecclesiastico di età ottoniana e salica, basato sulla collaborazione tra vescovi e impero, vi sarà in Europa uno sviluppo dei comuni e delle monarchie. -Papato e impero miravano al potere universale del mondo cristiano ma erano progressivamente venuti meno come poteri centrali -la centralizzazione pontificia portò ad un progressivo controllo sui vescovi da parte del papato ed all’affermazione di una chiesa a carattere verticistico. - La potenzialità della fitta rete vescovile non poté mai essere compiuta per via della frammentazione del quadro politico e soprattutto per via del rapporto decadente dei vescovi ed ecclesiastici con le società cittadine, la strategia dei pontefici non fu inspirata da una strategia unitaria e preordinata, la riforma del papato non fu il risultato di una serie progressiva di successi. -l’ingerenza pontificia sulle chiese locali venne ostacolata dai comuni e dalle monarchie, i vescovi avevano perso il protagonismo politico dei secoli IX-XI. -Il celibato del clero sancì la divisione della società, con i chierici schierati con il papa ed i laici schierati con i re, il papato riassorbì quasi tutte le competenze del sacro che avevano innervato il potere imperiale dall’età carolingia.
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