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Riassunto del libro "La lotta per le investiture" di N. D'Acunto, Sintesi del corso di Storia Medievale

riassunto specifico e dettagliato

Tipologia: Sintesi del corso

2022/2023

Caricato il 22/05/2023

Migcht
Migcht 🇮🇹

4.6

(23)

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Scarica Riassunto del libro "La lotta per le investiture" di N. D'Acunto e più Sintesi del corso in PDF di Storia Medievale solo su Docsity! La lotta per le investiture Una rivoluzione medievale 998-1122 Introduzione Una rivoluzione nascosta - l'umiliazione di Canossa è l'episodio occorso presso il castello Matildico durante la lotta politica che vide contrapposta l'autorità della Chiesa, guidata da Gregorio VII, a quella imperiale di Enrico IV, il quale, per ottenere la revoca della scomunica inflittagli dal papa, fu costretto a umiliarsi attendendo inginocchiato per tre giorni e tre notti innanzi al portale d'ingresso del castello di Matilde, mentre imperversava una bufera di neve, nel gennaio del 1077. - l’episodio di Canossa costituisce uno di quegli eventi-cesura (come la presa della Bastiglia), che scandiscono e sintetizzano il significato di ogni rivoluzione importante. - Non si tratta dunque di una battaglia o scontro violento ma di un episodio che vede un potere politico umiliato e desacralizzato. - Andare a Canossa sarebbe diventata una espressione per indicare l’atto di pentirsi e di chiedere umilmente perdono, ammettendo i propri sbagli. - Canossa anche nell’immaginario collettivo ormai ha un’interpretazione comune che si è cristallizzata. Grazie a quel gesto, Enrico IV ottiene poi vantaggi a livello militare. Guido Capitani ci fa riflettere sul fatto che questa grande sconfitta morale dell’imperatore si rivelerà in realtà una grande vittoria politica e militare. Questo sarà il punto di partenza del fenomeno delle lotte delle investiture. - Contesto: sotto il pretesto di voler fare una riforma, il papato stava realizzando una rivoluzione. Ma possiamo parlare di rivoluzione nel medioevo? -> domanda di ricerca. La rivoluzione è infatti solitamente associata alla modernità, ne è uno degli aspetti caratterizzanti. In contrapposizione il medioevo si rivela statico e incapace di rivoluzioni. Questa concezione statica del medioevo è solo ideologica e artificiale? Possiamo interpretare la stessa modernità come la continuazione di molte esperienze fondamentali dell’occidente medievale? - Secondo Paolo Prodi -> la lotta per le investiture sarebbe di natura rivoluzionaria, l’intera storia dell’Europa occidentale sarebbe da considerarsi come una rivoluzione permanente: l’ordine politico nato con le costituzioni americane e francesi sono il risultato di un processo secolare avviatosi quando nel 11 secolo venne elaborata la separazione dei poteri fondata sulla desacralizzazione del potere sovrano che portò ad una sostituzione della sacralità con il patto politico come legittimazione del potere. - Con la separazione dei poteri, il potere politico si configura come un fenomeno privo di ogni sacralità, il risultato dell’accordo revocabile tra i detentori dell’autorità e i loro sudditi. Si sviluppa l’idea della rappresentazione, ma anche l’idea di revoca del potere detenuto dalla autorità. - Si apre cosi un precedente concettuale che porterà poi al primo processo legale a un sovrano (Carlo I nel 1648) e alla prima rivoluzione inglese. - DEF -> Rivoluzione permanente: concetto di matrice Marxista che intende sottolineare che la rivoluzione non può risolversi in un unico atto; di là dal mutamento 1 dell’assetto costituzionale, che è stato visto sovente concludersi in tempi rapidi, la progettata trasformazione dei rapporti sociali ed economici, l’eliminazione di ogni forma di sfruttamento e di alienazione, l’abbattimento di tutte le autorità tradizionali, il mutamento in profondità della cultura e delle coscienze non soltanto richiedono tempi lunghi, ma non possono mai essere considerati propriamente conclusi. - Il dualismo tra potere politico e il potere sacro produsse un continuo movimento dialettico tra potere secolare e potere temporale. - Anche Caporetto verrà utilizzato come modo di dire, per segnalare una sconfitta, una situazione critica (ricordando la grande sconfitta italiana). - Nota: il sistema dei sacramenti in particolare la confessione dei peccati si sviluppa nel secolo 12 sotto il controllo di Roma. - Il dictatus papa e le lettere di Gregorio VII sono il manifesto di un preciso orientamento ideologico dei riformatori che nonostante non trovi la sua piena realizzazione in quei documenti e proclamazioni rafforza l’idea della superiorità del papato su ogni altra autorità terrena. - La storiografia del secolo XI è una storiografia che cerca di semplificare (presentare i nodi essenziali di un periodo molto complesso) e rendere intellegibile un susseguirsi di avvenimenti, svolte dottrinali e giuridiche, di scontri militari, di cambiamenti sistemici. - Secondo Jack Goldstone affinché una nuova ideologia produca azioni rivoluzionanti è necessario che si verifichi un cambiamento nelle posizioni delle élite in modo da dare spazio e opportunità alle masse di mobilitarsi intorno a nuove credenze. Esempio -> cristianesimo nel III e IV secolo. - Le nuove ideologie da sole non bastano per produrre rivoluzioni. - L’ideologia gregoriana fu un fatto elitario o coinvolse le masse, incidendo così sulle strutture fondamentali della società? -> la guerra tra i riformatori gregoriani e l'Impero fu combattuta con le armi vere e proprie, ma fu pure una war of words, di parole scritte e declamate, e di idee che uscirono dalle corti per insediarsi nelle piazze e nelle chiese delle città, coinvolgendo per la prima volta le masse popolari, che fino ad allora avevano assistito passivamente. - I cosiddetti "gregoriani" non solo ebbero l’appoggio di gran parte delle élite europee riguardo ad un'ideologia i cui contenuti ribaltavano l'ordine ereditato dalle generazioni precedenti, ma la diffusero capillarmente grazie a forme di comunicazione nuove e mai fino ad allora sperimentate in Occidente. Mobilitarono specialmente in Italia le masse cittadine attorno a un progetto di Chiesa che era anche un progetto di società. - Ne derivò una trasformazione profonda della struttura ecclesiastica e insieme del potere politico che si articolò in forme nuove che portarono al rafforzamento delle cosiddette monarchie nazionali e in Italia centrosettentrionale alla nascita dei Comuni. - Harold J. Bermann parla in questo contesto di rivoluzione pontificia del 1075-1122, ma evidenzia che essa venne chiamata a quel tempo riforma, la Riforma gregoriana, continuando a celare il suo carattere rivoluzionario. - Non è in realtà vero che i coevi usassero l'espressione reformatio di papa Gregorio VII, ma possiamo invece confermare che questa e altre rivoluzioni medievali non erano "narrabili"', poiché ogni progetto innovatore (come quello di Gregorio VII) andava nascosta sotto il velo della re-formatio, ovvero della riforma intesa come ritorno a una forma, a un modello considerato oggettivamente migliore. - La civiltà medievale aveva infatti grandi problemi quando doveva confrontarsi con il cambiamento poiché ogni cambiamento veniva avvertito come intrinsecamente negativo. Non a caso nel secolo XI paradossalmente la rivoluzione non era invocata o narrata con orgoglio da coloro che la facevano, i quali invece cercavano di nascondere 2 - Secondo Giovanni Miccoli, l'età gregoriana aveva visto convivere tensioni tra loro divergenti e la nascita di un diverso equilibrio ecclesiologico, soffocato però dalla "restaurazione postgregoriana". Traspare da questa impostazione una sorta di dualismo tra le aspirazioni più genuine della riforma e le sue realizzazioni solo istituzionali (per meglio dire clericali) e per ciò lontane dagli ideali originali di rigenerazione del corpo ecclesiale. - Cinzio Violante, allievo di Morghen, imposta il problema in termini del tutto diversi. Per lui spiritualità e istituzioni non costituiscono due poli necessariamente antitetici e nel secolo XI gli ideali riformatori non furono del tutto estranei alle strutture della "Chiesa feudale", che anzi rappresentavano il naturale sbocco e la realizzazione anche di esigenze spirituali. In questa prospettiva l'ecclesiologia (fondamenti dottrinali della fede) funse da tramite non solo tra la spiritualità e le istituzioni ecclesiastiche, ma anche tra le istituzioni politiche e le strutture sociali. Veniva a cadere così l'idea stessa di restaurazione postgregoriana intesa come processo di istituzionalizzazione e di irrigidimento giuridicistico lontano dalle più genuine aspirazioni spirituali. - La considerazione positiva di Violante della "Chiesa feudale" veniva dal contatto con il grande maestro della storiografia tedesca, Gerd Tellenbach, che nel 1936 pubblicò il fondamentale volume Libertas. Gli storici tedeschi del secondo Reich prestarono grande attenzione alla lotta per le investiture, da loro interpretata come uno scontro essenzialmente politico, Tellenbach proponeva invece una visione in parte d’accordo con quella della storiografia francofona. Tale contaminazione traeva origine dal fatto che, secondo Tellenbach, nell'Alto Medioevo era fortissimo il controllo da parte dei laici sulle chiese e sulla Chiesa, ma altrettanto pervasiva era stata la presenza degli ecclesiastici nelle istituzioni politiche. - Nel libro di Tellenbach non vi è distinzione tra Chiesa e Stato il che ne costituisce il più importante segnale di novità rispetto al precedente dibattito storiografico. Lo studioso tedesco non giudicava negativamente la situazione precedente alla riforma, poiché la Reichskinche ("Chiesa regia") aveva aperto spazi di azione ecclesiale assai ampi per i fedeli laici, senza intaccare il principio gerarchico che ne prevedeva la diversità di funzioni rispetto ai chierici. - Anche secondo Tellenbach la riforma avrebbe confinato i laici in una posizione di passività, creando una Chiesa a totale controllo chiericale». - Si trattava, per dirla con le parole di Violante, di una «ecclesiologia fondamentalmente unitaria, in cui il potere temporale laico e il potere spirituale ecclesiastico erano un tutto indistinto, realizzabile in vari modi e secondo varie istituzioni, sia con l'appoggio del papa che con quello dell'imperatore». - Dalla metà del secolo XI questo sistema indistinto di potere entrò in crisi sia 1. per il vuoto di potere che si determinò per la minorità di Enrico IV, sia 2. per la maturazione di una nuova autocoscienza ecclesiale che era fortemente contraria l'intromissione dei laici nella direzione della Chiesa. In questo ultimo aspetto la prospettiva di Tellenbach è in accordo con l'impostazione di Morghen e Miccoli, con la loro idea della restaurazione postgregoriana. Tuttavia, mentre per Miccoli la riforma apri, sia pure transitoriamente, nuovi spazi ecclesiastici ai laici, che fino a quel momento avevano vissuto ai margini della vita religiosa, per Tellenbach la Reichskirche si era retta proprio sulla sostanziale indistinzione di ruoli dei diversi ordines e sulla loro compenetrazione nella gestione della struttura ecclesiastico- politica. - L’opera di Tellenbach non fu accolto positivamente in Italia e in Francia. Per motivi diversi la sua impostazione risultava meno maneggevole di quella di Fliche. Non sorprende invece che il volume Libertas fosse recepito da Violante, per il quale il 5 feudalesimo costituiva un elemento positivo della società altomedievale e non un fattore regressivo. Violante individuava nel 1002 l'anno di inizio dell'età della riforma della Chiesa, con un anticipo di quasi cinquant'anni rispetto alle cronologie abituali. Questo gli consentiva di valorizzare anche le riforme della Reichskirche volute da vescovi e abati legati all'Impero nella prima metà del secolo XI mentre la riforma "gregoriana" (cioè di Gregorio VII e al limite dei suoi immediati predecessori e successori) non segnava una vera e propria frattura rispetto alla corrotta Chiesa feudale, che riguardava non solo e non tanto la dimensione "spirituale" ma investiva la storia politica, sociale ed economica. - In Germania la lotta per le investiture ha continuato e ancora continua ad avere un ruolo centrale nel dibattito storiografico, in primis a motivo delle sue implicazioni politiche. La scuola di Tellenbach, tra le più importanti dell'intera storiografia tedesca, ha approfondito il tema del rapporto tra aristocrazia, chiese e monasteri. Molto sviluppati sono stati altresì gli studi sull'Impero e sulle sue trasformazioni in coincidenza con i grandi rivolgimenti del secolo XI. - Appare invece singolare il ritardo in questo ambito della storiografia francese, in tutto fedele all'impostazione di Fliche, sia 1. per la resistenza opposta dagli storici d'Oltralpe a qualsiasi tentativo di rimettere in discussione la nozione di reforme grégorienne, sia 2. per la loro tendenza a considerare gli effetti in sede locale della medesima riforma. - In Italia, passata la moda gregorianistica degli anni Cinquanta e Sessanta e insieme con essa la centralità di Morghen nella comunità accademica dei medievisti, si è assistito a un drastico ridimensionamento di questo ambito di studi, che ha tuttavia trovato in Capitani il suo interprete principale, a cui dobbiamo aggiungere, Violante e Giovanni Tabacco. Tra la fine degli anni Settanta e l'inizio del decennio successivo il testimone degli studi "gregoriani" passò a una generazione di ricercatori che, nonostante una numerosità superiore rispetto alle precedenti generazioni, vide, tranne alcune eccezioni di cui si dirà, un crollo quantitativo delle ricerche sul secolo XI riconducibile 1. al fatto che gli studi di quelli come Morghen, sono qualitativamente difficili da superare ma pure 2. allo spostamento verso il Basso Medioevo del baricentro dell'interesse della medievistica italiana. - Tra le eccezioni a cui si accennava, va inserito Giuseppe Fornasari. «nella sua profonda istanza riformatrice il pontefice lancia una campagna di profonda moralizzazione», il cui esito sarebbe «la progressiva autonomia del potere/servizio ecclesiastico dal potere/servizio politico».Miccoli, ha una diversa valutazione degli esiti della riforma del secolo XI che per Fornasari giustamente non può essere ridotta nei termini di mera gerarchizzazione istituzionale, essendo l'istituzionalizzazione il risultato dell'ineluttabile passaggio da una fase di stato nascente a una fase di maggiore rigidità. I convegni del Centro di studi avellaniti hanno rappresentato nel primo decennio del nuovo secolo il principale luogo di incontro per gli studi sul secolo XI e in particolare su Pier Damiani vi fu un rilancio dell'attenzione storiografica su tutto il periodo. La riforma papale: decostruire-ricostruire un paradigma storiografico - Quando parliamo di riforma papale dobbiamo considerare l'espressione nell'accezione soggettiva e oggettiva del termine. Il papato infatti da un lato 1. promosse e in una certa misura attuò una serie di progetti riformatori, dall’altro 2. fu esso stesso riformato nel corso del cosiddetto lungo secolo XI. Entrambi questi processi si influenzarono reciprocamente. 6 - Arriviamo con questo a individuare una prima caratteristica fondamentale della riforma del papato e della riforma in generale: il soggetto riformatore cambia man mano che i suoi progetti si realizzano, perfino quando tali progetti riguardano ambiti della realtà a esso esterni. Esempio-> nella corte di Leone IX il problema della simonia non esisteva, ma l'impegno del papato per eliminare tali forme di finanziamento illecito dell'apparato ecclesiastico generò all'interno di quella stessa corte molte tensioni tra il clero proveniente dall'area a nord delle Alpi e il clero italiano, che si sentiva particolarmente attaccato quando monaci "tedeschi" come Umberto di Silva Candida mettevano in discussione la stessa legittimità della gerarchia ecclesiastica del Regnum Italiae. Per sintetizzare possiamo dunque dire che il riformatore cambia con la riforma. - Alla luce di quanto si è appena detto possiamo interpretare in modo nuovo uno dei problemi fondamentali sollevati dalla decostruzione che la storiografia ha operato della tesi di Fliche: Fliche sostiene l'esistenza di un programma definito fin dal principio che sarebbe all'origine della réforme grégorienne. Fliche riteneva che la lotta contro la simonia, nicolaismo e investitura laica così come era stata pianificata e realizzata da Gregorio VII rappresentasse la sintesi perfetta dell'intero processo di riforma, tanto che al suo interno si poteva distinguere una fase pregregoriana, una propriamente gregoriana e una postgregoriana. - Capitani in un saggio del 1965 intitolato Esiste un'" eta gregoriana" realizzò per primo la decostruzione di questo paradigma di interpretazione dimostrando che l'espressione "riforma gregoriana" era adatta solo per descrivere la riforma di Gregorio VII e che la continuità prospettata da Fliche non trovava riscontro nella realtà. Mentre in Italia questa è divenuta una ovvietà storiografica, in Francia gli studiosi non si sono mai misurati con questa revisione storiografica. - Per esempio la scuola storica che ruota attorno a Michel Lauwers, caratterizzata da un'altissima raffinatezza dell'outillage concettuale, continua tuttavia ad affermare l'esistenza di una réforme grégorienne in tutto simile a quella di Fliche. - Un allievo di Capitani, Cantarella, che richiama da anni l'attenzione sui rischi insiti in questa interpretazione, ha ulteriormente approfondito il tema della continuità e della discontinuità nella riforma del secolo XI proprio con riguardo alla storia del papato. -> Cantarella si è chiesto: Si può davvero dire riforma o sarebbe meglio dire riforme, e si può veramente parlare di papato, al singolare in un secolo che ha visto il cambiamento sostanziale dell'istituzione del papato? Non sarebbe meglio parlare di papati e del loro ruolo nei processi di cambiamento delle istituzioni ecclesiastiche? La risposta è si. Destrutturare il concetto di riforma significa infatti in primo luogo spostare l'obiettivo da alcune parole d'ordine che si ripetono ossessivamente nelle nostre fonti (simonia, nicolaismo, investitura da parte dei laici) per indirizzarlo sugli strumenti attraverso i quali i papi cercarono di porre su basi nuove il significato concreto della presenza del papato nella società. - Differenza tra Gregorio VII e Urbano II: Per esempio se leggiamo le lettere di Gregorio VII e analizziamo gli interventi di Urbano II, vediamo che in apparenza esiste una perfetta continuità tra i due pontefici nella denuncia dei mali che affliggevano la Chiesa. Tuttavia, se spostiamo l'analisi sugli strumenti che essi effettivamente volevano usare per risolvere quei problemi, è evidente che esistono grandi differenze. - Mentre Gregorio VII aveva ancora considerato essenziale coinvolgere i monasteri nella riforma, - Urbano II cambiò strategia, cercando di restaurare le circoscrizioni ecclesiastiche tradizionali, ribadendo la centralità della figura del vescovo e riordinando l'intricata 7 perché nella pseudodecretale di Urbano I aveva trovato una specie di programma del proprio pontificato. - Riformare il papato significava tornare all'antico. In particolare con Gregorio VII Roma diventò il centro simbolico di una costruzione propriamente politica. A questo proposito i Mirabilia Urbis Romae costituiscono il punto di arrivo (siamo nel 1143) di un processo di appropriazione della liturgia imperiale da parte del papa. Più che una visita delle chiese stazionali per significare l'unità pastorale e liturgica della comunità cittadina, il papa "occupava" gli edifici per dare dimostrazione del potere universale della sede pontificia. Dall'ultimo terzo del secolo XI le processioni erano cambiate. I laici erano stati emarginati e il papa si presentava come prete e sovrano della Roma Felix. Le processioni servivano allora a enfatizzare la rivendicazione da parte del pontefice della giurisdizione sulla città. Se consideriamo questi aspetti della Symbolisierung (le scelte onomastiche e quelle liturgiche e artistiche) del papato appare del tutto evidente la continuità che esiste tra il papato del secolo XI e quello del XII. - Il personaggio di Silvestro II e le preoccupazioni dei riformatori: L’idea di un lungo secolo XI è confermata. Più difficile appare inserire in questa cronologia dilata una figura come Silvestro II. Silvestro II e Gregorio VII, erano entrambi dediti al culto dei demoni e percepiti dai fedeli dell’imperatore come eversivi rispetto all'autorità imperiale. Proprio Silvestro II, fin da quando era abate di Bobbio, aveva introdotto alla corte di Ottone III la preoccupazione per la ricostruzione dei patrimoni ecclesiastici che unita alla valorizzazione delle origini antiche di quei beni rappresentò una delle principali tematiche affrontate dai riformatori. Tale contaminazione di elementi simbolici e di preoccupazioni di natura patrimoniale perdura fino al secolo XII. - Info di contesto: Torniamo ai già citati Mirabilia Urbis Romae. Essi organizzano lo spazio e l'immagine di Roma attorno all'antichità e al contempo servono come una specie di registro delle proprietà della Chiesa. Infatti erano inclusi nei libri amministrativi della Camera apostolica, come accadeva al Liber politicus, che includeva un ordo della liturgia papale ed era trasmesso nella parte del Liber censuum scritta dal canonico Bernardo, a cui sono attribuiti anche i Mirabilia. - L’imperializzazione del papato: La scelta onomastica di Silvestro II infatti avveniva all'interno della corte di Ottone III, esattamente come quella di Clemente II e di Onorio II aveva come cornice la corte di Enrico III. L'onomastica pontificia dimostra allora che il progetto di riformare il papato nacque non in contrapposizione con la Reichskirche (chiesa imperiale) ma dentro la Reichskirche. Possiamo anzi affermare che la riforma del papato coincide con la sua imperializzazione, in particolare durante il pontificato di Leone IX. - Concetto -> Con Leone IX e il suo entourage non cominciò la nuova fase della storia del papato che avrebbe portato al gregorianesimo, bensì la sistematica assunzione da parte della sede apostolica delle caratteristiche essenziali dell'istituto imperiale. Tutto questo fu reso possibile non dal distacco dal vertice imperiale, ma al contrario era una conseguenza dell’imitazione che il papato stava cercando di compiere. Leone IX costruì gradualmente la propria curia riempiendola di chierici e di monaci portatori di istanze certamente riformatrici, che non erano anti-imperiali ma derivavano dalla lotta contro la simonia realizzata da Enrico IlI e dalla sua Hofkapelle ("cappella di corte" o "cappella regia"). - Apprendiamo allora che una riforma può essere il risultato completamente inatteso di interventi progettati e pianificati con obiettivi del tutto opposti. - Il concetto di eterogenesi dei fini è utile in questo contesto per descrivere una riforma nata per rafforzare il papato nell'Impero, che si risolse in una riforma del papato contro l’Impero. In Francia la prospettiva di Fliche autorizza ancora una visione monolitica 10 della riforma. Al contrario la storiografia italiana ha decostruito fin dagli anni Cinquanta del XX secolo la tesi di Fliche e concepito la riforma come progressiva sintesi di contrastanti idee e strutture. - L’istituto storico germanico di Roma ha evidenziato il sempre più forte ruolo di Urbano II nel processo di costruzione di un assetto istituzionale capace di tradurre le istanze riformatrici in un sistema di norme, di dottrine e di strutture sostenuto da una robusta consapevolezza ecclesiologica. -> Non dunque una riforma gregoriana, ma una riforma provocatoriamente urbaniana. Violante in una sintesi sul secolo XI individuava nel 1002 l'anno di inizio dell'età della riforma della Chiesa, valorizzando anche le riforme della chiesa imperiale. - In questi ultimi anni la riforma papale sembra essersi dissolta come oggetto storiografico, forse per effetto del multiforme processo di decostruzione. Questa sintesi si propone di riprendere i fili di un dibattito storiografico tanto complesso e articolato, mediante un corpo a corpo con le fonti. La speranza è quella di stimolare nuove ricerche e riflessioni intorno a un problema storico non esaurito perché imprescindibile per la comprensione della civiltà europea. La riforma imperiale - L’impero costituiva il vero elemento di raccordo tra gli episcopati e le comunità locali e la centralizzazione pontificia dal XII secolo mise in una crisi irreversibile questo sistema: questo fu il risultato più eclatante della rivoluzione del secolo XI. Vi era un rapporto istituzionale tra il sovrano e i “suoi” vescovi che aveva preso corpo nell’età carolingia e che si rafforza nell’età ottoniana. La sintesi di universalismo e dimensione locale trovava nella fondazione dei monasteri episcopali uno strumento privilegiato, provando che tali istituzioni erano dotate di un elevato livello di plasmabilità e versatilità. La fondazione dei monasteri costituiva un rimedio alla dispersione del patrimonio ecclesiastico. Andò così rafforzandosi una serie di connessioni istituzionali tra corte imperiale, apparato funzionariale, poteri locali, diocesi e monasteri. Irruppe verso la metà dell’XI secolo una nuova sensibilità anti-simoniaca maturata alla corte imperiale di Enrico III (1039-56), che mirava a rimuovere le pratiche illecita di finanziamento delle istituzioni ecclesiastiche. - Nella carta di fondazione del monastero di San Miniato al Monte (1018) il vescovo di Firenze Ildebrando definiva Enrico II «meum seniorem, imperatorem ». Questa espressione sintetizza l’istaurazione di un rapporto istituzionale tra il sovrano e i suoi vescovi che era iniziata durante l'età carolingia e che nell'età ottoniana si era ulteriormente rafforzato. L’obiettivo era quello di arrivare all’integrazione dei vescovi entro il quadro amministrativo dell’impero. - Il rapporto con il potere politico imperiale non portava alla degenerazione dell'apparato ecclesiastico, ma al contrario contribuiva a sottrarlo al localismo postcarolingio (decentralizzazione del potere pubblico), fungendo da potente fattore di omogeneizzazione culturale e liturgica del personale ecclesiastico. -> lo scopo era quello di passare da varie chiese e comunità ecclesiastiche locali, ad un sistema verticale con al vertice l’imperatore. - il rischio di patrimonializzazione: Negli ambienti imperiali fu avvertito con molta precocità il rischio derivante dalla possibile patrimonializzazione dei beni ecclesiastici da parte dei vescovi e delle loro famiglie. La polemica anti-simoniaca di Enrico III si diffuse a macchia d’olio e nella seconda metà dell’XI secolo si arrivò a una condanna indiscriminata di qualsiasi forma di ingerenza laicale nella gestione delle chiese. 11 - Tale legame con un progetto politico ed ecclesiastico a vocazione tendenzialmente universalistica non impedì, ma al contrario favori, l'integrazione dei vescovi con le loro collettività locali. - In questo senso i monasteri episcopali erano uno strumento privilegiato, una dimostrazione del fatto che le istituzioni erano dotate di un elevato livello di plasmabilità e di versatilità, offrendosi come strumenti comodi ed efficaci a sostegno di svariati progetti politici e religiosi estremamente diversi tra loro. - La fondazione di monasteri costituiva un rimedio alla dispersione del patrimonio ecclesiastico (e più in generale svolgeva la funzione di riserva patrimoniale anche per i laici), il cui recupero costituiva un elemento tipico della politica dei vescovi imperiali di età ottoniana e salica, specialmente a partire dal regno di Ottone III. Le res Ecclesiae avevano significato "pubblico" e l'Impero doveva occuparsi di recuperarli e di ricompattarli pro restituenda re publica. - La stabilizzazione patrimoniale di chiese e monasteri coincide in questo senso con la stabilizzazione stessa del potere imperiale nelle sue componenti ideali e pratiche. - Nel corso del secolo XI il tema della libertas Ecclesiae (una bolla pontificia promulgata da Papa Gregorio VII nel 1079 che stabiliva che il Papa non dovesse sottostare all'autorità dell’imperatore) sarebbe stato al centro dei dibattiti. - Già Ottone III e Gerberto di Aurillac, mettendo in rilievo il legame tra riforma morale e recupero dei patrimoni ecclesiastici, gettarono le basi di un dibattito che nella lotta per le investiture avrebbe avuto un ruolo centrale. Progressivamente si rafforzarono una serie di connessioni istituzionali tra corte imperiale, apparato funzionariale, poteri locali, diocesi e monasteri che consentirono alle collettività locali di strutturarsi con efficacia attorno a complessi patrimoni simbolici fortemente condivisi. - Solo verso la metà del secolo XI la lotta alla simonia maturata all'interno della corte imperiale al tempo di Enrico III (1039-56), pur senza voler mettere in discussione il sistema ora descritto e anzi mirando piuttosto alla sua purificazione dalle pratiche illecite di finanziamento delle istituzioni ecclesiastiche, provocò una miriade di conflitti locali che oggettivamente (forse al di la delle intenzioni di chi si era fatto promotore di tali idealità riformatrici) minò le fondamenta di quel mondo. - La corte imperiale avverti il rischio di una possibile patrimonializzazione dei beni ecclesiastici da parte dei vescovi e delle loro famiglie che pure ne deploravano la dispersione. - Il richiamo alla dimensione del publico fu utilizzato negli interventi imperiali per scongiurare questa eventualità. La polemica antisimoniaca ebbe inizio proprio dalla corte imperiale, durante il regno di Enrico III e si diffuse in tutto l’Occidente. Non è casuale che questa polemica incrociasse il tema delle modalità di circolazione delle risorse economiche all'interno delle istituzioni ecclesiastiche. Le sottili distinzioni che avevano caratterizzato i dibattiti su questa materia fino al regno di Enrico III nella seconda metà del secolo XI lasciarono il posto alla condanna indiscriminata di qualsiasi forma di ingerenza laicale nella gestione delle chiese. -> Capitani la definisce la "clericalizzazione della ricchezza". - Enrico III voleva l’osservanza delle regole: Tale progetto riformatore non prevedeva l’esclusione dell’autorità laica dalla gestione della Chiesa, ma prevedeva una restaurazione dell’ordine, richiamando la Chiesa all’osservanza della legislazione canonica specialmente in materia di simonia. Pier Damiani esaltò Enrico III, sottolineandone la rottura con la tradizione imperiale, ma in realtà Enrico III puntava a sottolinearne la continuità. L’interventismo dell’imperatore in questo contesto toccò il suo apice nella politica estera con il sinodo di sturi del 20 dicembre 1046, convocato per ridare efficienza al papato dopo la confusione data dalla conflittualità 12 vivace dibattito tra i riformatori anche su aspetti decisivi come la teologia sacramentale e l’ecclesiologia, stimolati dall’intervento dei laici. Fino al pontificato di Alessandro II la soluzione prospettata da Pier Damiani sulle ordinazioni simoniache sembrò prevalere, ma con l’avvento di Gregorio VII l’adesione al “partito” gregoriano divenne il vero elemento dirimente, a prescindere dalla regolarità dell’elezione dei vescovi. I riformatori gregoriani rifiutavano queste pratiche e con esse la complicazione del dibattito sulla simonia, vedendola come espedienti messi in atto dai fautori della Reichskirche. Alla fine degli anni Settanta il tema della corruzione perdette progressivamente importanza, ma alcune idee furono riprese nello scontro tra papato e impero. La lotta alla simonia, pur conservando un’apparente centralità, tanto da essere considerata fondamentale dal papa imperiale Clemente III, passò in secondo piano rispetto ai problemi che la guerra tra Enrico IV e Gregorio VII aveva provocato. La questione della simonia - Verso la metà del secolo XI, all’interno della corte imperiale di Enrico III (1039-56) comincia a nascere una nuova sensibilità anti simoniaca. Sappiamo dunque che l’ideologia di Flichte era errata, sebbene molti studiosi ci rimangono particolarmente legati. La simonia è la possibilità di comprare le cariche ecclesiastiche in cambio di denaro. L’immoralità di questa pratica indebolisce anche la persona dell’imperatore come figura di governo. Enrico III capisce che non è visto di buon occhio. Si inizia dunque a distinguere fortemente l’ottenere un incarico per merito o per averlo comprato/aver dato qualcosa in cambio. - La simonia è dunque praticata da un individuo che mira al vantaggio economico della carica e i suoi privilegi/beni annessi: egli potrà infatti recuperare il denaro donato attraverso i benefici, mettendo le mani sul patrimonio economico ecclesiastico passandolo alla sua famiglia. La polemica della simonia nasce nella corte di Enrico III, perché all’imperatore vengono sottrati beni della sua chiesa imperiale Questa polemica non nasce a Roma, al centro della chiesa, ma al di là delle alpi, nella sede imperiale. - L’imperatore mobilita i più grandi intellettuali e uomini di fede con l’intento di conferire una maggiore efficienza al sistema. Fornisce dunque un modello di governo al papa e agli ecclesiastici. Si sente l’esigenza di una riforma morale nella conduzione delle pratiche/cariche ecclesiastiche. - L’elezione papale: Il popolo era strettamente legato alle importanti famiglie tramite le clientele e l’elezione del papa non seguiva di norma precise procedure. In questo caso il papa era stato nominato dall’imperatore, ma non ritenendo la nomina dell’imperatore sufficiente, il neo papa accoglie questo consiglio del riformatore romano (Ildebrando). - Si sente il bisogno di riformare la chiesa: Si parte dal presupposto che la chiesa voglia escludere l’imperatore dalla gestione della vita del clero: non è propriamente così. Leone IX scende in Italia già sapendo di dover intervenire nella vita della chiesa. Ci si ispira al modello di riferimento dell’impero (che aveva influenzato l’organizzazione ecclesiastica a forza di intervenire nelle questioni religiose): Enrico III offrirà un modello (quello del governo imperiale) alla chiesa, oltre a veri e propri provvedimenti (ad esempio opponendosi alla simonia). In realtà è quindi il papa che attua gli orientamenti riformatori di Enrico III, tramite una riforma imperiale/ un’imperializzazione del papato. La chiesa assorbe perciò le caratteristiche imperiali. Per il momento avremo riforme e cambiamenti solamente a livello morale. Solo da 15 Gregorio VII i cambiamenti saranno anche politici, con una vera e propria rivoluzione politica. Leone IX 1049-1054 - Con Leone IX assistiamo all’avvento della nuova classe dirigente ai vertici della curia romana, del papato. Leone IX è il primo papa imperiale dell’età delle riforme. Il papa era sostenuto dalla corte imperiale e da Ildebrando di Soana (un esponente del clero romano). Ildebrando assume il ruolo di economo della chiesa romana, un ruolo politico importante per la gestione della chiesa. Inoltre Ildebrando consiglio a papa Leone IX di farsi eleggere regolarmente dal clero e dal popolo romano. L’obiettivo di questo gruppo, di questa nuova classe dirigente (corte imperiale e Ildebrando) sarà la lotta alla simonia, vista come un elemento di discontinuità per il periodo religioso precedente, e al nicolaismo. Si arriverà alla deposizione di vescovi, cardinali e abati simoniaci. Tra gli appartenenti di questo gruppo troviamo Umberto di Silva Candida, Stefano di Borgogna, Ugo Candido, Federico di Lorena, Pier Damiani (tutti dell’impero tedesco e della corte imperiale). Avremo dunque una riforma dei costumi del clero attuata da questo nuovo gruppo. - La riforma di Leone IX fu principalmente l’imperializzazione del papato. La curia papale assorbi dall’impero molte caratteristiche che ne rilanciarono l’universalità su basi nuove. - Leone IX: I collaboratori di Leone IX sono portatori di istanze riformatrici ma non sono anti-imperiali. Sono al seguito di Enrico III. La tensione anti-simoniaca nasce nella cerchia dei chierici vicini a Enrico III e si diffonde a cascata. Riforma dei costumi si attua in conformità con la riforma imperiale, parte da Enrico III. Leone è perfettamente in conformità con l’immagine di vescovo/guerriero di matrice ottoniano: al comando dell’esercito di Corrado II contro i normanni nel 1025. Egli si inserisce perfettamente nelle ideologie dell’epoca. Non si vuole opporre all’imperatore, ma solamente combattere determinati usi del clero. - Simonia e concubinismo: Ambito di riforma voluta dall’impero. Ecclesiastici che si muovono intorno a Enrico III. Riforma del papato e della chiesa, all’inizio sorretta dall’impero e alla fine emarginazione del papa. Leone IX, vescovo di Toul, cugino di Corrado II. Era stato scelto da Enrico III come papa. Accogliendo il suggerimento di Ildebrando di Soana si fece eleggere dal clero e dal popolo romano e fu consacrato nel febbraio 1049. Non ritiene sufficiente la nomina imperiale e segue la procedura canonica: inizio della riforma ecclesiastica (secondo la storiografia tradizionale). Scelta del papa influenzano altri fattori (es. ecclesiastici che vogliono comunque mantenere un certo potere). In realtà è il papa che attua gli orientamenti riformatori di Enrico III. - Ingiudicabilità del papa, è un concetto che diventerà una colonna portante dell’ideologia papale di detenzione di entrambi i poteri. - Decratali pseudo-isidoriane: collezione canonica che si presenta come opera di un Isidoro mercator (o peccator, secondo i codici) nome anch'esso falso e da non confondersi con Isidoro di Siviglia, e che contiene le false decretali. Si tratta di una delle più abili falsificazioni che la storia ricordi. La collezione comprende lettere di papi, per la maggior parte apocrife, e canoni conciliari autentici. Essa è stata 16 compilata utilizzando una collezione canonica più antica, la cosiddetta Hispana, ma pervenuta ai compilatori nella forma detta Hispana gallica, e da essi rimaneggiata, ristabilendo in parte l'ordine cronologico alterato nella gallica. Ritocchi e interpolazioni, sia per maggiore chiarezza, sia tendenziosamente, furono introdotti anche nei testi. Lo scopo era quello di affermare la dignità episcopale contro l’invadenza dei signori laici e la legittimità dell’intromissione dei vescovi nella vita dell’impero, nella gestione del potere temporale. L’invenzione della simonia: Pier Damiani e Umberto di Silva Candida - Simonia: nascita del termine -> Simone il mago (atti degli apostoli) che avrebbe offerto del denaro agli apostoli per acquistare il dono di Dio (possibilità di trasmettere lo spirito santo con l’imposizione delle mani). Da qui lo scambio di cariche del clero in cambio di denaro. Tentativo di ottenere una carica ecclesiastica pagando. In occidente pratica sempre condannata, ma solo dalla metà del secolo IX si apre un’aspra polemica sullo scambio di risorse e uffici ecclesiastici (prima considerati abbastanza normali). Ora diventa un problema politico e non solo un’accusa morale. - Una pratica difficile da condannare: Mentre era relativamente facile stabilire quali comportamenti fossero riconducibili al nicolaismo, lo stesso non accadeva per le accuse di simonia, per le quali era più complicato capire con precisione quali pratiche fossero da condannare. In generale definire la simonia in quel periodo rimase una operazione estremamente controversa. - La posizione più intollerante verso la simonia continua ad essere quella della corte imperiale. Non stupisce vedere che la posizione più estrema contro la simonia è quella di Umberto di Silvia Candida e dei chierici legati alla corte imperiale di Enrico III. Mentre la più moderata è quella di Pier Damiani, condivisa da gran parte del clero italico. Quello tedesco spinge per il cambiamento, riforma ai costumi del clero. - Esempio riportato da D’Acunto: vescovo di Firenze (Pietro Mezzabarba) afferma tranquillamente in pubblico di aver pagato ben 3000 libre per comprare l’episcopato del figlio. Pratica molto diffusa all’epoca che godeva di un grande consenso sociale. Spesso il pagamento riguardava la conferma del rapporto vassallatico con l’imperatore connesso alla funzione episcopale. - Si tratta di una polemica molto sentita negli ecclesiastici alla corte di Enrico III. Pier Damiani (punto di riferimento culturale dell’epoca) affronta questo problema in un suo trattato (Liber Gratissimus). Sono valide o meno le operazioni effettuate da un ecclesiastico simoniaco? Lui stesso era stato ordinato gratis da Gebeardo arcivescovo di Ravenna considerato un simoniaco per il suo rapporto con Corrado II (si diceva che avesse pagato per la sua carica, nominato da Corrado). Pier Damiani non era simoniaco, ma Gebeardo sì, e dunque si crea un problema. - Molto più radicale la visione di Umberto di Silva Candida, con il suo trattato Adversus simoniacos (1057-1060): le ordinazione impartite dai simoniaci sono prive di validità perché i simoniaci non possono amministrare i sacramenti. Questo metterà in difficoltà molti individui, che temevano per questo di essere condannati alla dannazione. I simoniaci non avevano ricevuto lo spirito santo, per questo non potevano trasmetterlo (neanche gratis). Anche se avevano pagato in cambio della 17 1054 si arrivò allo scisma tra le due Chiese, anche perché il ruolo di assoluta preminenza del papa era incompatibile con il policentrismo tipico della cristianità tardoantica e altomedievale. - La posizione preminente del vescovo di Roma era riconosciuta, ma nei fatti le Chiese d’Oriente erano state subordinate all’imperatore bizantino. È errato parlare di cesaropapismo (Atteggiamento politico che induce il monarca ad avocare a sé la facoltà di legiferare e giudicare in materia religiosa e teologica) è solo un’interpretazione a posteriori. La massima autorità della Chiesa di Costantinopoli era il patriarca. Sebbene le discussioni che portarono alla rottura del 1054 non vertessero direttamente sul primato romano, era chiaro come i contenuti del nuovo papato nuovi fossero incompatibili con il sistema politico ed ecclesiastico imperniato sulla centralità dell’imperatore. Nella primavera del 1053 Leone IX incaricò Umberto di Silva Candida di tradurre dal greco il pamphlet contro l’obbligo di usare pane azzimo nella liturgia, che, pensato per attenuare le tensioni, divenne paradossalmente la causa scatenante del conflitto. Argiro di Bari, catapano d’Italia e rappresentante più importante dell’impero in Italia, temeva che l’eventuale successo del progetto di riconciliazione ridimensionasse la sua potenza, fece quindi pervenire lo scritto contro gli azzimi proprio a Umberto di Silva Candida, esponente più radicale e timoroso che qualsiasi riavvicinamento tra Roma e Costantinopoli limitasse l’intraprendenza del papato riformatore. - Umberto considerò l’opuscolo un attacco al primato della Chiesa romana e aggiunse al nome dell’autore quello del patriarca di Costantinopoli Michele Cerulario, per provocare l’indignazione di Leone IX. Il papa convocò nel 1053 un concilio a Bari per trattare la questione del Filioque, cioè che in occidente si credeva che lo Spirito Santo procedesse dal Padre e dal Figlio, in oriente solo da Padre. Alla valorizzazione occidentale del Figlio comportava una diversa percezione del ruolo storico della Chiesa e ne doveva scaturire un nuovo ordine in cui il papato assumeva un’assoluta quanto inedita centralità. Inoltre, vi fu la spinta verso l’affermazione del celibato del clero con avvicinamento al modello monastico. La riflessione sul mistero della Trinità aveva implicazioni pesanti di ordine ecclesiologico e di conseguenza “politico”. - La scomunica: Leone IX inviò legati a Costantinopoli nel gennaio 1054, che intrattennero buoni rapporti con l’imperatore Costantino Monomaco. Ben diversi i rapporti con il patriarca Michele Cerulario, la cui bolla di scomunica i legati deposero sull’altare della basilica di Santa Sofia. Questo scisma fu percepito dai contemporanei come una rottura momentanea, che per giunta non coinvolgeva l’imperatore bizantino, ma solo il patriarca di Costantinopoli. Nel 1058 papa Stefano IX esplorò la possibilità di riconciliazione, ma il tentativo fu abortito sul nascere. I rapporti tra Roma e Costantinopoli andarono progressivamente affievolendosi anche per la sempre più forte affermazione da parte del papato. - Ortodosso = giusta dottrina, universale (secondo loro). Patriarca ha competenza in materia dottrinale. Il potere laico (secondo le tradizione romana) mantiene competenze di natura disciplinare. Per gli ortodossi non esiste il papa, come monarca della chiesa (quindi non può esserci cesaropapismo). La figura dell’imperatore è centrale. Problema gerarchico tra le due realtà. In occidente proprio la riforma del secolo XI distinguerà nettamente il ruolo del pontefice da quello dell’imperatore (che viene estromesso dalla gestione della chiesa). In oriente possibilità del basileus di interferire nella chiesa e nelle questioni spirituali. 20 Il decreto del 1059 sull’elezione del papa - Morto Leone IX, Umberto di Silva Candida, il cardinale Bonifacio di Albano e l’arcidiacono Ildebrando si recarono a consultare Enrico III circa la scelta del nuovo papa. La scelta cadde su Gebeardo, vescovo di Eichstatt e parente sia dell’imperatore che del defunto papa, che prese il nome di Vittore II (1054-57) in perfetta continuità rispetto al pontificato di Leone IX e alla Chiesa imperiale tedesca. Il 5 ottobre 1056 morì Enrico III, lasciando erede il figlio Enrico VI di sei anni, che fu affidato a Vittore II, che morì però un anno dopo. Fu eletto Federico di Lorena, abate di Montecassino con il nome di Stefano IX. - Con questa sfasatura cronologica l’autorità imperiale subì un’involontaria battuta di arresto. L’impero tornava ad assumere una connotazione prevalentemente tedesca e il papato andò maturando una sempre più precisa consapevolezza dei risvolti pratici del primato petrino. Vi fu un susseguirsi convulso di esperimenti volti a trovare soluzioni efficaci a problemi contingenti, come accadde con il decreto del 1059 che regolamentava l’elezione del papa. - Alla morte di Stefano IX (1058) l’aristocrazia romane capeggiata dai Tuscolani insediò papa Benedetto X. A Siena elessero papa il vescovo di Firenze Gerardo con il nome di Niccolò II (1058-61), interpretata come la prima vera, significativa e autonoma vittoria di Pier Damiani, Umberto di Silva Candida e Ildebrando di Soana, resa possibile dalla potenza militare di Goffredo il Barbuto (marito di Beatrice di Canossa, padre di Matilde di Canossa). L’appoggio di Goffredo e di famiglie dell’aristocrazia romana portò a una rapida eclissi di Benedetto X, con il definitivo tramonto dei Tuscolani. - La necessità di una norma: Era necessario individuare una procedura che mettesse la sede apostolica al riparo dalle ingerenze dell’aristocrazia romana. Nel sinodo quaresimale del 1059 fu emanato il decreto sull’elezione pontificia. Il Decretum de electione papae è pervenuto in due redazioni, una modificata da Clemente III (antipapa di Gregorio VII). Il decreto mirava ad escludere l’aristocrazia romana dalla scelta e ad assicurarne il monopolio ai cardinali vescovi. Il decreto sull’elezione del papa reca nella parte narrativa iniziale un riferimento esplicito alle difficoltà sorte all’indomani della morte di Stefano IX e ai colpi inferti dai simoniaci, fautori di Benedetto X, alla chiesa romana. Seguiva la descrizione della precisa procedura di elezione, nella versione originaria l’elezione è assegnata esclusivamente ai cardinali vescovi. La dignità cardinalizia in questo periodo era riservata esclusivamente ai clerici cardinales che reggevano la più importanti chiese di Roma. Lo strumento per affrontare le future elezioni pontificie era pronto, ma paradossalmente gli stessi riformatori che avevano elaborato e fatto approvare il decreto non ne rispettarono le procedure per i due successivi pontefici - Il diritto dei cardinali di eleggere il papa costituisce un punto di non ritorno. Il decreto dice che il papa può essere lontano da Roma e anche un papa di un’altra diocesi. Procedimento: I cardinali vescovi aprono la discussione, poi chiedono agli altri cardinali di intervenire, infine al resto del clero e al popolo si consente di acclamare l’eletto. Alessandro II e lo scisma di Cadalo - Umberto di Silva Candida e Niccolò II morirono nel 1061 e così vennero meno il perno ideologico del gruppo riformatore e colui che aveva garantito equilibrio. I riformatori scelsero come successore il vescovo di Lucca, Anselmo da Baggio che prese il nome di Alessandro II (1061-73). - La sua elezione non fu immediata e dai riformatori non era partita nessuna iniziativa per coinvolgere la corte imperiale e concordare l’elezione o almeno ratificarla. Una 21 delegazione di nobili romani si recò in Germania per chiedere al giovane Enrico IV di far valere il titolo di patricius Romanorum. Fu convocato un concilio a Basilea nel quale fu eletto papa il vescovo di Parma, Cadalo, con il nome di Onorio II nell’ottobre del 1061, de facto la corte imperiale non riconosceva Alessandro II, aprendo un nuovo scisma, che assunse una piega militare. Il vescovo di Alba fu mandato a Roma dall’imperatrice Agnese per consentire a Onorio II di entrare in città e Alessandro II trovò rifugio in un monastero. - Beatrice di Canossa spinse il marito Goffredo a raccogliere un forte esercito nei pressi di Ponte Milvio. Alessandro II fece ritorno a Lucca. Nell’aprile del 1062 l’arcivescovo Annone di Colonia, favorevole ad Alessandro II, aveva rapito Enrico IV e costretto l’imperatrice Agnese a ritirarsi in convento. Con un nuovo intervento dei Normanni e con le forze di Goffredo il Barbuto, Alessandro II tornò a Roma nel 1063 e Cadalo venne definitivamente condannato. Riprese l’attività riformatrice. La pataria milanese - Nell’XI secolo un peso particolare ha l’esperienza patarinica, movimento riformatore sostenuto dal popolo e durato circa un ventennio, che trova nella curia romana un totale appoggio. In esso il Papato vede, infatti, una forma di difesa del proprio potere su quello temporale. - Ignoriamo il significato del termine Pataria; vi sono alcune ipotesi formulate. La più probabile è forse quella che la ricollega al paté del dialetto milanese, in cui il termine equivale a straccivendolo e, per traslato, a straccione; ma quale che sia la vera etimologia, è indubbio che tale denominazione venne applicata, in accezione dispregiativa, dalla parte avversa, nei confronti di un movimento ad alta partecipazione popolare. Il nome fu dato dagli avversari ai seguaci di un movimento sorto verso la metà del sec. XI nella parte più umile del popolo milanese contro gli abusi ecclesiastici e l'oppressione dell'alto clero. - Contesto storico: Il movimento va riconnesso storicamente con l'elezione a vescovo di Milano di Guido, successore di Ariberto. L'opposizione al vescovo e in genere all'alto clero simoniaco e corrotto (Bonizone da Sutri afferma che su mille preti milanesi forse cinque non erano simoniaci) è guidata dal diacono Arialdo secondato dal chierico Landolfo e trova il suo appoggio nel prete Anselmo di Baggio, futuro vescovo di Lucca (1057) e nel (1061) papa, col nome di Alessandro II. L'aperta campagna contro il vescovo condotta da Arialdo induce Guido, dietro sollecitazione di papa Stefano IX, a riunire un concilio, ma Arialdo e Landolfo non si presentano. Scomunicati, i due appellano a Roma: una prima missione romana guidata da Ildebrando, futuro Gregorio VII, trova che la pataria si è ormai organizzata come una lega decisa a tutto.È inviata da Roma, essendo papa Nicola II, una seconda missione guidata da Pier Damiani: che riesce a calmare le acque ottenendo la sottomissione del clero simoniaco. Ma fu una sottomissione solo apparente. Guido fu denunciato a Roma (1066) e scomunicato, o quanto meno minacciato di scomunica, da Alessandro II. I partigiani di Guido cercarono di vendicarsi: scoppiò una vera guerra civile durante la quale Arialdo, cacciato dalla città coi suoi seguaci, fu proditoriamente assassinato (28-29 giugno 1066). Prese le redini del movimento il laico Erlembaldo (fratello di Landolfo, morto nel frattempo) che costrinse l'arcivescovo alla fuga e occupò Milano dandosi alle più feroci rappresaglie. 22 considerato come diretta manifestazione della volontà divina e della propria innocenza) per sostenere la sua innocenza. - L’ordalia si sarebbe tenuta il 13 febbraio 1068 e la cosa non piaceva ad Alessandro II che riteneva la pratica una invenzione popolare, non prevista dalla legge canonica. In realtà la pratica non era mai stata condannata da nessun sinodo e la loro validità era ammessa dalle principali collezioni canoniche. Nel frattempo il vescovo si stava liberando di tutti i chierici che non gli fossero totalmente leali. L’ordalia attiro una grande massa di persone. La prova consisteva nel dover camminare tra le fiamme, ed era quindi una spettacolo a priori per la folla al di la della questione simoniaca. Pietro Igneo (rappresentante dei monaci) usci illeso dalla prova, dimostrando la veridicità di quanto dicevano i monaci. Questo fu sufficiente per sancire la definitiva vittoria dei monaci agli occhi della folla. Non sappiamo se veramente Pietro Igneo abbia passeggiato tra le fiamme. L’efficacia propagandistica della prova consisteva nella sua capacità di produrre consenso tra i fedeli contro Pietro mezzabarba. L’esito della conquista propagandistica dell’ordalia fu la deposizione del vescovo da parte di un sinodo il 13 marzo 1068. - Dopo la deposizione: nei fatti il vescovo rimase in carica anche dopo la risoluzione del sinodo, il marchese Goffredo il barbuto non volle accettare la decisione e fece si che il vescovo restasse al suo posto. Tuttavia verso luglio il vescovo stesso si arrese all’idea di poter ancora ricoprire la carica e si ritiro nel monastero di pomposa. Pietro Igneo divenne invece una figura di spicco del movimento riformatore e divenne per volere di Alessandro II cardinale nel 1072. Questo gesto da parte del papato non va letto come un appoggio all’estremismo antisimoniaco. La curia romana continuo ad avere molti dubbi e perplessità nei confronti del movimento patarino. Al contrario Gregorio VII diede il suo incondizionato appoggio al movimento patarino e all’estremismo anti- simoniaco. Gregorio VII invitava i monaci vallombrosani ad estirpare il male eretico della simonia. Clero cardinale - Cardinali vescovi: sono 7, delle 7 diocesi a ridosso di Roma. Esponenti di un clero esterno alla diocesi. Dovevano assicurare il servizio liturgico settimanale al Laterano (Regione di Roma dove sorge il complesso monumentale che fa capo alla basilica di S. Giovanni in Laterano, sede del pontefice dall’età di Costantino fino alla partenza dei papi per Avignone, 1305) pur non facendo parte della diocesi di Roma. - Cardinali preti: prestavano servizio liturgico nelle 4 basiliche patriarcali, le 4 chiesi importanti di Roma dopo il Laterano, più o meno 7 per basilica (circa 28). - Cardinali diacono: sette diaconi palatini e dodici diaconi regionali, leggevano il vangelo al Laterano e nelle chiese stazionarie di Roma, chiese lungo la via crucis. Potere non elevato. - Successivamente il numero scenderà ma questi ora sono quelli che devono eleggere il papa (esclusi i laici dunque). I laici dovevano solo acclamare, non interferire nella scelta. - Versione guibertista: si dice che il testo sia stato modificato, aggiunte cose. Recupera nel testo l’onore e la revertia dovuti al re di Germania, futuro imperatore. Ruolo all’imperatore da riconoscere, probabilmente consultazione all’imperatore in merito alla 25 scelta del pontefice. Probabilmente circolavano entrambe le versioni per non generare opposizione della corte di Germania. Anche in Italia importanti forze militari. Non ci si può inimicare l’imperatore tedesco in maniera così cruda. Segna modo di procedere nell’operato del pontefice. Sinodo quaresimale del 1063 1. Condanna definitiva di Cadalo 2. Conferma dei provvedimenti contro simonia e nicolaismo 3. Divieto di cumulo dei benefici senza consenso del vescovo locale 4. Promozione della pratica della vita comune del clero 
 Per i riformatori, ormai, l’impero non è più un promotore della riforma ma un ostacolo per l’azione riformatrice. Prima di questo momento non era mai sorto un contrasto tra la corte imperiale e il partito riformatore. 
 
 Frattura del decreto in electione papae, - Non sono i cardinali a trovarsi e decidere, ma questa scelta viene imposta loro dal popolo (controsenso perché era il leader del partito riformatore). Non vi fu una e propria elezione e l’imperatore non fu informato né coinvolto. A sostegno di Gregorio VII abbiamo diversi tratti in sua difesa: Manegoldo di Lautenbach Liber ad Gebeardum (1085) per sostenere la correttezza della sua elezione e quello di Bonizione di Sutri, Liber ad amicum per dimostrare che l’elezione era avvenuta secondo le norme vigenti. Le testimonianze sono uno strumento di lotta e di propaganda (non consentono una ricostruzione neutra e oggettiva degli eventi). - Si formano come mai prima di quel momento due poli distinti: quello romano e quello tedesco. Emerge la spaccatura tra la curia pontificia e la corte tedesca (Enrico IV ancora minorenne). Enrico IV (1056-1106 governa per mezzo secolo, personaggio storico che ha calcato la scena storica a lungo, e influenzato gli evventi). - Enrico IV ha grandi difficoltà in Germania: Enrico sorvola sull’atteggiamento dei gregoriani perché ha bisogno dell’incoronazione imperiale per legittimare il suo potere: esce dalla minorità nel 1065. L’impero è una struttura eterogenea e policentrica, difficile da controllare (non vi è un potere centrale in Germania): difficoltà nell’affermazione del potere regio. I grandi principati aspirano ad una autonomia sempre maggiore. La dinastia di Franconia tenta di imporre l’accentramento del potere suscitando la reazione dell’aristocrazia tedesca. - Emerge anche il tema dell’ereditarietà della corona. Il re come una sorta di princeps inter pares che non interviene e non vincola il potere dei principi. Riforme regie: trasformazione della concezione della regalità. Riforme strutturali per rendere effettivo il potere del re/imperatore (con Enrico III e Enrico IV): 1. Concentrazione dell’alta giustizia/diritto d’appello nelle mani del re, 2. Organizzazione dei beni del demanio regio/imperiale, 3. Sostegno ad alcune realtà cittadine per minare il potere dei grandi aristocratici (ad esempio nei territori dei Canossa), 4. I principi non più percepiti come cooperatori del re (così in età ottoniana) 26 - vi è quindi un conflitto tra il re è l'aristocrazia soprattutto in ambito tedesco. I principi pretendono maggiore potere (anche nella definizione ed elezione del potere regio). Rivendicano il diritto di partecipare alla gestione del regno (e all’assegnazione delle cariche). Durante la minorità di Enrico IV hanno messo le mani sulle risorse imperiali. Quando il re tenta di riequilibrare il sistema (ad esempio recuperando territori) esplode lo scontro. - Esplode la rivolta: luglio 1073 il duca Ottone di Nordheim chiama i Sassoni alla rivolta. Una mobilitazione impressionante. 1075 repressione sanguinosa della rivolta (un esercito possente devasta duramente i territori dei ribelli, che alla fine sono costretti alla resa). Indiscutibile vittoria del re sui Sassoni che preoccupa la restante aristocrazia tedesca (si teme l’autoritarismo del giovane sovrano). - Sinodo quaresimale del 1075: duro intervento contro cinque consiglieri del re, accusati di favorire la simonia. La corte tedesca diventa l’obiettivo da colpire perché è da qui che emergono i problemi simoniaci. Alcuni vescovi tedeschi e italiani furono sospesi; Dionigi vescovo di Piacenza fu deposto. Scontro tra due diverse concezioni dell’episcopato: tradizionale (collegialità episcopale, vescovi partecipi di un unico potere con il papa che deve governare insieme agli altri vescovi) e gregoriana (supremazia papale). Gregorio VII sta alzando la gravità dello scontro. Il Papa diventa vero capo della cristianità occidentale, rivendica il suo ruolo di vertice, il primato petrino. Papa a furor di popolo - Alessandro II morì il 21 aprile 1073 e occorreva trovare una soluzione che evitasse un eventuale nuovo scisma come era successo nel 1059. In realtà successe il contrario e quella di Ildebrando di Soana non fu nemmeno un’elezione. Con il pontificato di Gregorio VII abbiamo un cambio nella qualità e quantità delle fonti, grazie a una fioritura della libellistica e alla presenza del Registro, con le raccolte di lettere del pontefice. - Quello di Gregorio VII è uno dei pochi registri pervenuti prima del 1198, con quelli di Gregorio Magno e Giovanni VIII. Nel registro vi erano testi scritti dai collaboratori del papa e anche composti direttamente dal pontefice. Il Registro di Gregorio VII si apre con una sorta di resoconto ufficioso dell’elezione del pontefice. I cardinali e il clero della chiesa romana dichiaravano eletto Ildebrando il 21 aprile 1073, lo stesso giorno della tumulazione di Alessandro II, alla presenza e con il consenso di vescovi, abati chierici e monaci e con l’acclamazione delle folle. - Un sinodo del 607 sanciva che dovessero passare almeno tre gironi dall’inumazione del pontefice prima che ne fosse eletto uno nuovo. Nel Registro appare non casuale il riferimento all’insistenza del clero e dei laici. Gli stessi elementi si ritrovano anche in una lettera che Gregorio VII inviò a Desiderio, abate di Montecassino e a Guiberto, arcivescovo di Ravenna per comunicare l’elezione, ma in quel caso troviamo il riferimento ai tre giorni passati prima dell’acclamazione. - L’elezione è per molti versi problematica: non vi fu un’elezione vera e propria ma fu un’orchestrata acclamazione. Nonostante il decreto del 1059, l’imperatore non era stato minimamente coinvolto. La scelta onomastica non fu casuale, ma fu un onore a Gregorio VI, - deposto nel concilio di Sutri del 1046 e inoltre tradiva la sua indole rivoluzionaria: i papi precedenti avevano scelto di chiamarsi con i nomi di papi le cui lettere (false) erano raccolte nelle Decretali pseudoisidoriane. Altro modello per Ildebrando era Gregorio I 27 Dinastia di Franconia esercita potere nella Sassonia tramite controllo militare, tutto ciò crea scontento nella aristocrazia sassone. I toni si alzano: i Dictatus papae e la prima scomunica di Enrico IV - Il papa Gregorio VII iniziò il suo progetto di riforma, ribadendo i provvedimenti anti-simoniaci e anticoncubinari. Il sinodo quaresimale del 1075 segnò una vera e propria svolta. Forse le difficoltà di Enrico IV con i sassoni spiegano la durezza degli interventi contro cinque consiglieri del re, minacciati di scomunica. - Si trattava di provvedimenti pericolosi per Enrico IV. Venne minacciato di scomunica anche il re di Francia Filippo I, mentre vennero direttamente scomunicati Roberto il Guiscardo e Roberto di Loritello in quanto invasori delle terre di San Pietro. Il Registro non contiene attestazioni precoci di divieto dell’investitura laica. - Gregorio VII prevedeva di agire da solo. Manifesto del suo progetto politico è il Dictatus papae, con le sue 27 proposizioni. Essi sono privi di datazione, ma vengono tradizionalmente attribuiti al marzo 1075. L’opinione prevalente degli studiosi è che i Dictatus papae siano una serie di massime raccolte in un documento personale, non destinato alla pubblicazione. - L’assunto fondamentale è che la chiesa romana è stata fondata solo da Dio, non può sbagliare e la misura della fede è la Chiesa romana stessa. Il vero protagonista è il papa: definito come unica autorità imperiale. Con Ildebrando l’imperializzazione del papato diventa una appropriazione degli elementi simbolici della tradizione imperiale. - La novità introdotta da Gregorio VII va letta come un sintomo del tentativo del papato di assorbire la gestione dell’eredità romana e in particolare quella imperiale. Le proposizioni del Dictatus papae legittimavano anche la prassi di sciogliere i sudditi dal vincolo di fedeltà al sovrano, qualora esso fosse stato giudicato iniquo. - Si aprì una trattativa con Enrico IV che restò in stallo per diversi mesi. Nel Natale del 1075 un fautore dell’imperatore tentò di uccidere il papa, che riuscì a salvarsi. Forte della vittoria contro i Sassoni, Enrico convocò al sinodo di Worms (24 gennaio 1076) i vescovi tedeschi e lombardi, che denunciarono Gregorio VII per la suo protervia contro i vescovi per la sua elezione irregolare. Ugo Candido lo accusò di essere stato eletto illegalmente e di essere l’amante di Matilde di Canossa. - Enrico dichiarò di vedersi costretto a dare il proprio assenso alla sentenza emanata dai vescovi a Worms e invitava il popolo e il clero di Roma ad allontanare Ildebrando ed accogliere il nuovo pontefice da lui nominato. -> Enrico cerca di far passare il tutto come una decisione che arriva dalla comunità ecclesiastica stessa. - Nel febbraio del 1076 Gregorio VII reagì scomunicando sia i vescovi che Enrico IV. Si trattava di un fatto del tutto privo di precedenti storici. Quel provvedimento scioglieva i sudditi da ogni obbligo di fedeltà al sovrano e ridava fiato alle speranze dei Sassoni. Questa pressione esercitata dal papa sui vescovi diede i propri frutti, costringendo Enrico a tentare di riappacificarsi con il papa. La fine di un mondo: Canossa - Il 20 gennaio 1077 la comitiva regia aveva raggiunto il castello dove era ospitato Gregorio VII, con Matilde, la marchesa Adelaide di Susa, vari membri dell’aristocrazia del Regno Italico e l’abate Ugo di Cluny, padre spirituale di Enrico IV, che avevano 30 cercato di attutire il contrasto tra papa e imperatore. Il papa non sembrava affatto ben disposto verso il sovrano. - Preso atto dell’inutilità dei mediatori, Enrico IV decise di fare il primo passo. Il 25 gennaio arrivò alle porte del castello di Canossa e rimase tre giorni davanti al portone del castello in misero abbigliamento, a piedi nudi e vestito di lana. Il giovane Enrico aveva raggiunto il suo scopo -> quello di inscenare un momento di pentimento e umiliazione per costringere il papa a revocare la scomunica: la fermezza di Gregorio VII stava trasformandosi in tracotanza. La fermezza di Gregorio rischia di apparire come un tiranno arrogante privo di perdono, apparire tracotanza, insensibilità al perdono di mostrarlo come un tiranno violento privo di cuore. Dunque non può che revocare la scomunica, moralmente costretto a farlo. - Era inevitabile per il papa la revoca della scomunica. Le lacrime versate dai due contendenti avevano un preciso valore rituale di dimensione penitenziale. Seguì un convivium, che aveva un ruolo fondamentale nel lessico politico altomedievale. A Canossa il sovrano si era comportato come un ribelle sconfitto, il re aveva ricondotto il rituale di sottomissione alle forme della penitenza ecclesiastica. - Ma l’assoluzione della scomunica comporta la reintegra nei poteri di re e di potenziale imperatore? Più tardi Gregorio dirà di non averlo reintrodotto nel regno (minimizzando la portata dell’assoluzione di Canossa). I Sassoni e i principi tedeschi si comportano come se nulla fosse successo a Canossa ed eleggono un nuovo re, Rodolfo di Svevia. Inizialmente Gregorio resta neutrale: vuole recarsi in Germania per decidere la vertenza e mostrarsi come colui che deve decidere tutto. - Il conflitto va avanti: Enrico torna in Germania e sconfigge i suoi avversari militarmente (non aiutati dal papa). 1080 Gregorio rinnova la condanna della simonia e scomunica nuovamente Enrico IV per aver congiurato con alcuni vescovi contro il papa, e per non aver corretto i suoi comportamenti come promesso a Canossa. Enrico è deposto; si riconosce la legittimità di Rodolfo di Svevia, già eletto dai principi tedeschi. - Nelle lettere che Gregorio VII invia a Ermanno di Metz, vescovo di Metz (sostenitore di Enrico IV), (Ermanno) gli chiede come abbia potuto scomunicare l’imperatore. Dopo la prima scomunica il papa elenca una serie di casi storici di scomuniche di imperatori (Zaccaria deposto re dei Franchi, Ambrogio scomunicato da Teodosio). - Dopo la seconda scomunica ribadisce le stesse cose e aggiunge alle sue argomentazioni la lettera di papa Gelasio all’imperatore Anastasio, la quale in sostanza afferma che l’autorità dei sacerdoti è più importante del potere regio, sottomesso secondo Gregorio VII ai sacerdoti e a maggior ragione al papa. La legittimazione della violenza rivoluzionaria - ogni rivoluzione che si rispetti ha bisogno dei suoi martiri, di persone la cui uccisione è motivo di pulsioni che agitano la società e mettono in moto i cambiamenti per sovvertire il sistema - Cencio di Giovanni Tignoso, il suo assassino, lui che era uno dei principali collaboratori e alleati di Gregorio VII desto una forte impressione nei cronisti contemporanei. Egli fu il primo martire dei tempi nuovi e la sua figura rappresenta quella del perfetto Miles christi. 31 - Questa nuova riflessione sulla figura del martire nasce da una trasformazione profonda degli ecclesiastici intorno a due problemi fondamentali: 1. In quale misura è possibile per un cristiano usare le armi e uccidere? 2. Che posto hanno i laici nella chiesa e nella società? - Questi due temi sono al centro del dibattito rivoluzionario -> la legittimità della violenza e la scelta dei soggetti autorizzati ad agire all’interno del movimento rivoluzionario e riconosciuti come tali. Dal secondo tema scaturisce poi la considerazione in merito a quale società i rivoluzionari auspicano e attendono come risultato della loro azione? - Come sempre nella lotta per le investiture gli intellettuali coinvolti non si mossero da preoccupazioni di carattere teologico e canonisti, ma ricorsero agli strumenti della teologia e del diritto canonico per risolvere e dare un senso ai fenomeni quotidiani di guerra. In sintesi -> queste riflessioni erano strumenti di lotta ed erano mosse prima di tutto da motivazioni pratiche e strumentali - Pier Damiani descrive Cencio come un laico molto devoto, dai comportamenti molto simili a quelli di monaci e sacerdoti. Egli era una persona molto devota alla preghiera e questo a Pier non piaceva molto. Pier avrebbe preferito che cencio svolgesse le sue funzioni di prefetto urbano piuttosto che cercare la propria salvezza egoistica trascurando il bene della comunità. In sostanza Pier non vede bene le aspirazioni del prefetto verso una più intensa partecipazione alla vita ecclesiale. Cencio assolve già il suo ruolo spirituale facendo un lavoro per la comunità. - Pier Damiani sulla militia christi: per Pier l’unica militia possibile era quella della tradizione monastica, di coloro chiusi nei monasteri combattevano con le armi spirituali contro il male. Egli era molto critico della politica di Leone IX di conferire contenuti militari effettivi alla presenza del papato nella società. Pier credeva fortemente nella separazione degli ordini, nella separazione del mondo ecclesiastico da quello laico. Cio era del tutto contrario alla corrente di pensiero che si sviluppa a partire dagli anni 70 del XI secolo che vede una valorizzazione del ruolo ecclesiale dei secolari (laici). Cencio pero a differenza di come la storiografia contemporanea ha interpretato i fatti, non cercava una partecipazione ecclesiale sulla base di un modello nuovo, ma al contrario sulla base di un modello antico secondo d’acunto. Egli può essere considerato l’ultimo di una lunga schiera di nobili romani che per secoli aveva orientato in maniera decisiva la sede apostolica e la stessa scelta di papi. Sulla base di questo modello antico di convivenza e reciproca influenza tra nobiltà e curia, cencio agiva in conformità con una tradizione antica secondo d’acunto. - Una prospettiva antica su Cencio: quelle che per Pier sono i tentativi di un laico di imitare le pratiche ecclesiali di sacerdoti sono in realtà pratiche del tutto conformi e in continuità con una tradizione altomedievale che risultano giustamente incomprensibili alla luce delle successive trasformazioni della chiesa romana. L’attitudine di Cencio è l’estrema manifestazione di un mondo antico, spazzato via dai riformatori. - Esempio -> anche l’ingerenza di Cencio nell’elezione di Gregorio VII appare come l’ennesimo e normale intervento dell’aristocrazia romana nella scelta dei pontefici. - Quando Cencio confesso a Gregorio VII di voler entrare in monastero il papa glielo vietò. Gli ordino di conservare la sua carica, per continuare a combattere per la giustizia. Cosi egli avrebbe vissuto la sua militia per cristo. 32 - Al sinodo di Worms fu eletto Guiberto di Ravenna con il nome di Clemente III (1080-1100), nome in continuità con l’ultimo papa intronizzato da Enrico III, Clemente II. - Iniziava uno scisma lungo e complicato. Clemente III, che godeva di un vasto sostegno nel Regno Italico, giunse a Roma scortato da Enrico IV, che cinse d’assedio la città e il 24 marzo 1084 intronizzò solennemente Clemente III. - I Normanni, guidati da Roberto il Guiscardo, riuscirono a liberare Gregorio VII e portarlo a Salerno, dove morì il 25 maggio 1085. - In questo scisma non si erano confrontate due persone o aristocrazie, ma due concezioni della Chiesa, del mondo e delle loro reciproche relazioni. Tutti i libelli a sostegno di Enrico IV o Clemente III ci sono pervenuti esclusivamente attraverso codici non italiani. Ritorno all’ordine: Urbano II - Il fronte riformatore fu scosso da una crisi lunga e difficile dopo la morte di Gregorio VII (25 - maggio 1085). Desiderio, abate di Montecassino, papa con il nome di Vittore III accettò solo il 21 marzo 1087, ma morì pochi mesi dopo, indicando come successore Odone di Chatillon. Un gruppo di cardiali lo elesse come Urbano II il 12 marzo 1088 e poté entrare a Roma, mentre Clemente III cominciava a perdere terreno nell’Urbe. - Urbano II consolidò il legame con i Normanni investendo Ruggero Borsa del titolo di duca di Puglia e suo fratello Boemendo del Principato di Taranto, concedendo al Conte Ruggero I di Calabria e Sicilia la Legazione apostolica nel 1098. - L’Italia meridionale costituì la base operativa di Urbano II. Nel 1089 a Melfi rilanciò l’azione riformatrice ribadendo i principi enunciati da Gregorio VII in materia di simonia. In Italia meridionale occorreva latinizzare le chiese di rito greco. - Non ebbero successo i tentativi di riconciliazione con la Chiesa Ortodossa. Al concilio di Piacenza del 1095 si tornò a discutere del tema classico delle ordinazioni, ma con accenti che tradivano tempi nuovi: le ordinazioni fatte da vescovi scismatici e simoniaci erano prive di validità, ma solo se l’ordinato conosceva questa condizione di chi gli conferiva l’ordinazione. - Erano presenti al concilio gli ambasciatori dell’imperatore bizantino Alessio I, che invocava aiuto ai cavalieri occidentali contro l’invasione dei Turchi selgiuchidi, un anno dopo il papa inviava i cavalieri a prestare soccorso all’imperatore, con quello che risultò poi nella conquista di Gerusalemme del 1099. - Urbano II cercava di riformare la struttura ecclesiastica e cercò di riconsolidare le circoscrizioni ecclesiastiche parrocchiali, penalizzando il ruolo dei monasteri. Si scontrava con gli orientamenti riformatori radicali dei vallombrosani. - Urbano II invocava di fatto un ritorno all’ordine per realizzare una rivoluzione silenziosa, perseguiva una sorta di normalizzazione della rivoluzione. Occorreva, per Urbano II, intensificare l’uso della intepretatio, grazie alla quale il papa giudicava a proposito dell’applicabilità o meno delle leggi emanate da lui stesso o dai suoi predecessori. - In pratica il papa giudica se le leggi emanate da lui stesso o dai suoi predecessori siano di volta in volta applicabili. Il papa decide se la legge si applica o meno a seconda del caso. I vescovi ordinati irregolarmente o legati in precedenza al fronte imperiale possono essere giustificati e arruolati nel fronte urbaniano attraverso una riordinazione. - Inedita era la spregiudicatezza con la quali i vescovi ordinati irregolarmente o legati in precedenza al fronte imperiali furono giustificati e arruolati senza colpo ferire attraverso una riordinazione del fronte urbaniano. La situazione era profondamente mutata e occorreva ridimenzionare l’importanza dello scacchiere 35 italiano per riproporre i temi della riforma su una scala più ampia, allargando il teatro alla Francia e all’Inghilterra attraverso l’impiego massiccio di legati. - Urbano II: consolida il legame con i normanni (riconosciute le investiture dei domini che hanno conquistato e concessioni di privilegi, sostegno militari dell’azione riformatrice della chiesa, sostengono il potere gregoriano). 1089 sinodo di Melfi il papa rilancia l’azione riformatrice (simonia, celibato del clero, investitura laica). Viene ribadito il divieto per i chierici di prestare il giuramento feudale ai signori laici. Gli ecclesiastici devono rispondere solo alla chiesa che vede al suo vertice il papa. - Enrico IV con una nuova spedizione militare espugnò Mantova e poi Canossa nel 1092. Clemente III poteva rientrare a Roma. Enrico IV chiese a Matilde, in cambio della pace, di riconoscere Clemente III, ma la contessa rifiutò e mise in difficoltà l’imperatore agevolando la ribellione di suo figlio Corrado, incoronato re d’Italia a Milano. Matilde riconquistava la pianura padana e Urbano II nel 1094 tornava a controllare Roma. La “normalizzazione” della vita regolare - Urbano II, con la collaborazione dell’abate generale dei vallombrosani, Bernardo degli Uberti, aprì una nuova fase nella storia vallombrosana, con la costituzione di una congregazione tendenzialmente centralizzata e azzerando ogni possibile azione autonoma. Durante l’abbaziato di Bernardo degli Uberti, nuovi monasteri sorsero. I monaci che volevano partecipare alle crociate furono fermamente dissuasi dal papa, dicendo che coloro i quali avessero lasciato il mondo scegliendo la milizia spirituale non poteva prendere le armi e partire. - Si dava però a vescovi e abati la possibilità di autorizzare la partenza di chierici e monaci che lo desiderassero. L’elezione al cardinalato di Uberti suggellava la ritrovata alleanza tra papato e vallombrosani e la fine dell’appassionante storia delle lotte anti-simoniache dei vallombrosani. Nel caso dei vallombrosani alla normalizzazione assunse l’aspetto di un ritorno al rispetto integrale della Regola di Benedetto. - In questi processi ebbe un’importanza fondamentale la messa per iscritto di norme, agiografie e usi liturgici, che consentiva l’indefinita replicazione di modelli standardizzati di vita regolare. Le ricerche su singole comunità hanno rilevato che i margini di autonomia delle dipendenze sia vallombrosane che camaldolesi restarono molto ampi anche dopo l’emanazione dei privilegi pontifici del 1090 e 1113. - Il processo di stabilizzazione istituzione fu alla base della prodigiosa crescita della rete monastica. Un’espansione di queste dimensioni doveva generare problemi di compatibilità con il sistema delle diocesi, ma il privilegio di Urbano II del 1090 autorizzava i vallombrosani a scegliere il vescovo per il crisma, l’olio santo, le consacrazioni e le ordinazioni, purché fosse in comunione con la chiesa romana. Per i camaldolesi un buon numero di privilegi pontifici garantiva un equilibrio abbastanza stabile. 36 La lotta per le investiture e l’origine dei Comuni italiani - In Italia la “grande svolta” non è stata posta in relazione con l’evoluzione interna del mondo feudale, ma con lo sviluppo dei Comuni. Riesce difficile identificare linee generalati per l’estrema variabilità delle dinamiche interne di ciascuna città. Questo vale sia per l’origine dei comuni sia per la lotta per le investiture. - La nascita dell’autonomia cittadine è generalmente percepita come un fenomeno indipendente dalle dinamiche del mondo ecclesiastico e quindi dalla lotta per le investiture, che in realtà svolse un ruolo centrale. La particolare situazione che si venne a creare nelle città tra i ceti dominanti locali e le istituzioni ecclesiastiche non fornì ai papi uno spazio di manovra indiscriminatamente ampio e tale di consentirgli di sostituirsi facilmente all’Impero nel controllo dei vescovi per la frammentazione del quadro politico. - In questa fase non emerge l’affermazione del primato della seda apostolica, ma risalta piuttosto il nuovo protagonismo delle collettività urbane. L’autocoscienza cittadina aveva trovato piena espressione anche all’interno del sistema della Chiesa regia fin dall’età carolingia. La lotta per le investiture determinò però la trasformazione di quelle forme di autocoscienza cittadina. A Milano, la peculiare ecclesiologia della Ambrosiana Eccclesia perdette gradualmente la propria vitalità. - La lotta tra papato e impero ha giocato un ruolo importante nella affermazione delle città settentrionali dell’Italia. È difficile stabilire una meccanica derivazione del movimento comunale dalla lotta per le investiture. La lotta tra papa e imperatore erose progressivamente la solidità del sistema regio, aprendo le porte alla crescita dei Comuni come “istituzioni totali”. Alla ricerca di un compromesso: Pasquale II - Con la morte di Urbano II nel 1099, l’avvento di Pasquale II finiva un’epoca per la storia del papato. Nel 1100 era morto anche il cosiddetto antipapa Clemente III, l’imperatore Enrico IV aveva abdicato nel 1105 ed era morto l’anno successivo. - Il passaggio al secolo XII coincise con una svolta che coinvolse i vertici supremi della società occidentale. Pasquale II prese possesso di Roma dopo un anno di conflitti e ne conservò il controllo per quindici anni. Lo stabile controllo della città poneva Pasquale II in una posizione migliore rispetto a quella dei suoi predecessori e la sicurezza con cui poteva guardare alla situazione romana consentì a Pasquale II di assentarsi anche per lunghi periodi. - Poteva persino vantarsi di essere il primo papa moderno a regnare su Gerusalemme, visto l’estio della prima crociata il 15 luglio 1099, e non ebbe mai concorrenti credibili, sebbene Enrico V avesse continuato a contrapporgli i suoi papi. Silvestro IV fu consacrato solennemente in Laterano nel dicembre del 1105 con l’assenso esplicito di Enrico V, ma già nel 1106 cercava di riappacificarsi con il papato, abbandonando il “suo” papa. C’è una incoerenza comune nella prima parte del XII secolo, che dipendeva dal convulso succedersi di scelte che poco o nulla aveva di razionale e di preordinato. - La morte di Clemente III segnò anche nella storia dei cosiddetti antipapi una svolta: nessuno dei papi creati dall’Impero o dall’aristocrazia romana dopo di lui (Tedorico, Adalberto, Silvestro IV e Gregorio VIII) riuscirono ad ottenere credibilità, soprattutto perché manco vi era il consenso duraturo e fattivo dell’imperatore. 37
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