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Riassunto del libro "La palla al piede: Una storia del pregiudizio antimeridionale", Sintesi del corso di Storia Contemporanea

Storia Contemporanea Pregiudizio antimeridionale Sud Meridione Mezzogiorno Stereotipi Problemi per l'Italia unita

Tipologia: Sintesi del corso

2021/2022
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Scarica Riassunto del libro "La palla al piede: Una storia del pregiudizio antimeridionale" e più Sintesi del corso in PDF di Storia Contemporanea solo su Docsity! La palla al piede, storia del pregiudizio meridionale - Antonino De Francesco Antimeridionalismo: Le regioni meridionali furono una fonte id drammatiche difficoltà sin dagli inizi stessi dello stato unitario, dove il brigantaggio e il garibaldinismo parvero indicare che le due Sicilie erano caratterizzate da arretratezza ed eversione (sovvertimento dell’ordine costituito). Soltanto la I Guerra Mondiale sembrava aver annullato questo presunto Mezzogiorno arretrato e corrotto, i numerosi soldati giunti dal Sud si riscattarono. Il Mezzogiorno tornò a preoccupare alla fine della II GM, quando tornarono a galla le differenze tra Nord e Sud, che il regime fascista aveva messo a tacere. In quel momento si rischiava l’unità nazionale. L’atteggiamento di sufficienza del Nord nasceva dal convincimento di avere un miglior modello sociale, superiorità politica sul Sud: a Nord la Resistenza aveva dato inizio a una democrazia, al Sud il passatismo favoriva il consenso alla monarchia. Inoltre vi erano stereotipi di antica data sul Sud, antichi come l’Italia unita: omertà, clientelismo, corruzione. Il settentrione era visto come costretto a condurre una corsa da solo, con un peso, una palla al piede che rallenta la marcia spedita dell’Italia. L’antimeridionalismo è un giudizio sommario e inconcludente, che nulla toglie e anzi aggiunge ai problemi dell’Italia unita. Ed è eversivo, perché corre sempre a rimettere in discussione il valore dell’unità italiana.L’antimeridionalismo svolse un ruolo normativo nell’immaginario settentrionale: finì per individuare nel Mezzogiorno l’allegoria dell’Italia peggiore, tramite gli stereotipi sull’impulsività, superstizione, corruzione. De Francesco analizza in questo testo l’uso, di volta in volta diverso, che si è fatto nel tempo di questi stereotipi; studia la storia politica dell’antimeridionalismo negli ultimi 150 anni. E’ importante distinguere Napoli dalla Sicilia nell’analisi, per capire i diversi significati assunti dai pregiudizi, in base al contesto: importante capire come questi sono venuti stratificandosi nel tempo, da quando i due stati meridionali avevano in comune la dinastia dei Borbone. Il Grand Tour fu l’occasione per il Mezzogiorno di diventare conosciuto in tutta Europa e da lì, se non nacquero, conobbero larga diffusione gli stereotipi sulla genti meridionali, più vicine ai popoli orientali che a quelli civilizzati d’Europa. Napoli era vista come la capitale del passatismo, contrapposta alla rivoluzionaria Parigi; napoletani visti come un’immensa plebe di straccioni e anafabeti, un lazzaretto. Il settecento è la stagione in cui gli stereotipi presero forma, ma nel tempo si sarebbero affievoliti o ingigantiti, smorzati o rinvigoriti a seconda dei tempi della politica. Le motivazioni della loro ricomparsa sono sempre diverse. La Sicilia, che sino al 1848 aveva sofferto di pregiudizi simili, poi venne esaltata per il primato di patriottismo, per l’entusiastico sostegno a Garibaldi. Così le parti si rovesciarono per qualche tempo, nei primissimi anni dell’unità: l’isola ebbe un primato patriottico che mise a tacere i pregiudizi. Le fonti che hanno veicolato i pregiudizi sono state i giornali letti al Nord, la letteratura popolare, testi teatrali, canzoni, fotografie, pellicole cinematografiche. Queste avevano grande capacità di riproduzione degli stereotipi, avvolgendo l’immaginario di chi li leggeva a tal punto che andavano a sostituirsi alla realtà. 1. Ozio e maccheroni Nel corso del Settecento, la riscoperta dell’antichità greco-romana suscitò grande interesse per l’Italia Meridionale. Viaggiatori da tutta Europa si avventuravano nella penisola, nella ricerca di un mondo diverso, dove l’incontro con le comunità del luogo fosse come coi selvaggi di terre lontane. Più che un’ esperienza culturale era l’opportunità per ribadire il livello della civiltà europea. L’Italia meridionale, prima culla della civiltà, ora un “paradiso popolato da diavoli”. I napoletani visti come “lazzari”= volubili, violenti, passionali, superstiziosi, che mangiavano “maccheroni per strada con le mani”.Secondo Montesquieu il carattere dei napoletani nascerebbe dall'assuefazione al clima vulcanico e sulfureo, che indurrebbe alla fiacchezza e alla passionalità → nesso clima-carattere. L’aumento demografico di Napoli nel corso del Settecento rendeva la città brulicante di uomini, che costituiva l’aspetto più attraente per i visitatori. I lazzari, nelle descrizioni della città erano sempre al centro della scena sociale, allegoria di un mondo sociale deformato. → L’insistenza su questi tratti probabilmente era anche sapientemente messo in circolazione dagli stessi gruppi di potere napoletani, per ricordare la necessità della loro presenza regolatrice per mantenere un precario equilibrio sociale. Nel 1798 Ferdinando di Borbone, re di Napoli, fece guerra ai francesi ma, presto vinto, scappò in Sicilia abbandonando il suo popolo. La città di Napoli rimase preda di una violenza cieca e gli autori francesi descrissero la controrivoluzione napoletana: il Mezzogiorno risultava come roccaforte di barbarie, idolatria e controrivoluzione. Secondo l’opinione pubblica internazionale, la società meridionale era divisa: da un lato l’elite, una ristretta minoranza di uomini colti partecipi alla vita europea, dall’altro una moltitudine analfabeta e rissosa ostile ad ogni cambiamento. Vincenzo Cuoco, un patriota molisano, accusa le élite di seguire modelli stranieri anziché costruire una cultura politica nazionale, ma non si può costruire una repubblica cominciando dal disprezzare la nostra nazione. La Repubblica nasceva insomma sotto il segno di una guerra cittadina tra patrioti e plebe: i patrioti non hanno saputo ascoltare i bisogni popolari, puntarono alla moralizzazione delle plebi trascurando le loro aspettative concrete. Vincenzo Cuoco elogiò nei suoi scritti la Rivoluzione di Masaniello (1647): Masaniello organizzò una rivolta contro il governo spagnolo, la sua opera lasciò il segno. Masaniello, che lungo tutto il Settecento aveva raffigurato la violenza plebea e testimoniato della natura brutale del popolo di Napoli, si trasformava, nella penna di Cuoco, nel vero esempio che i napoletani dovevano seguire. Cuoco reputava il popolo meridionale, sino ad allora non considerato, un soggetto politico rivoluzionario pari ai patrioti → discorso rivoluzionario. A Cuoco, che credeva in un destino comune per l’Italia, avrebbero guardato con largo interesse i repubblicani. Fuori dall’Italia invece i luoghi comuni sui meridionali si mantennero costanti e, nonostante il Sud detenne a lungo il primato patriottico, l’esotismo prevalse sulla concretezza del dato storico. 2. Le due Sicilie Ferdinando di Borbone ottenne dalle potenze vincitrici di Napoleone riunite a Vienna la possibilità di fondare il Regno delle Due Sicilie (1816): uno stato che chiudeva la parentesi del decennio francese, ma manteneva l’impianto burocratico dello stato napoleonico, trasformavano la miseria dei quartieri in uno stereotipo pittoresco, vita di strada dominata dai guaglioni. La lotta tra Nord e Sud si sviluppò anche in politica: Crispi e Turati giudicati per la loro identità isolana. Per l’ottica settentrionale, vi erano due Italie, due moralità distinte, una lotta tra Medioevo feudale e industrializzazione settentrionale. Crispi trionfò al Sud, mentre al Nord vinse l’opposizione. La mafia perdeva il carattere di associazione malavitosa, diveniva un tratto caratteriale dei siciliani tutti: “mafia è una malattia siciliana che penetra nel corpo sociale, è in tutti, nessuno è immune”. Fu fatto largo uso del concetto di “atavismo” di Lombroso, applicato alla classificazione delle razze umane. Una stirpe di origine africana lontana poteva essere la radice profonda del degrado della vita morale. Vi era in Italia, secondo alcuni falsi scienziati, la miscela di due diverse razze: quella aria, proveniente dal Nord Europa, e quella mediterranea, di origini africane. Nei primi anni del XX sec il duello tra le due civiltà proseguiva, si inabissò solo apparentemente durante la Grande Guerra, immediatamente riproposto all’indomani della disfatta di Caporetto. 7. La Vandea d’Italia Durante la stagione giolittiana le critiche al Mezzogiorno divennero un tema sempre più diffuso nella stampa del Nord. Moltissimi arresti di uomini politici, affiliati a camorra. es. l’onorevole Palizzolo, sotto processo per il delitto di un altro uomo politico Notarbartolo, condanna di 30 anni di reclusione poi prosciolto. A Palermo aspettavano tutti il rientro di Palizzolo con grandiosi festeggiamenti per una pronta rielezione in parlamento. Il Corriere della sera affermò che il popolo meridionale festeggiava Palizzolo come la Madonna. Nel 1905 un altro fatto di cronaca: un uomo, lo scultore Cifariello, aveva assassinato la moglie dopo averla sorpresa con l’amante. Molti giornali del Sud si schierarono a favore dell’uomo, la popolazione napoletana pure. La famiglia della donna chiese di trasferire il processo in un’altra città,visto che Napoli era priva della necessaria imparzialità; venivano spesso derisi dalla folla mentre applaudivano l’uomo. Nel 1908 Cifariello fu assolto: dimostrazione di come nel Mezzogiorno il delitto passionale era un “delitto meritorio”, che non poteva condurre a una punizione perché restituiva il perduto onore al marito. Nel Mezzogiorno plebe e aristocrazia erano intrecciati da interessi comuni, dalla stessa camorra. Lo scoppio della Grande Guerra mise a tacere la denuncia della diversità politico culturale delle due parti d’Italia per lo sforzo comune, ma destinata a tornare appena dopo. L’onorevole Nasi fu colui che esaltò senza precedenti i siciliani, aizzando gli animi. Antigiolittiano, antifascista. La nascita del regime lo allontanò dal parlamento. 8. L’Africa in casa All’indomani della creazione del Partito fascista, il programma rimaneva abbastanza vago rispetto al Meridione. Le cose cambiarono con la crescita di consensi nel Mezzogiorno, che impose al fascismo di considerare il problema politico della bassa italia. Il fascismo iniziò ad essere popolare al sud quando Mussolini nel 1923 si fuso coi nazionalisti. I fascisti pretendevano di aver risolto la cosiddetta questione meridionale e di rappresentare la nuova Napoli, moderna, egemonica, diversa dalla città dominata da guaglioni e camorra. Ma il trionfo del regime e i suoi intenti modernizzatori sui luoghi comuni nei riguardi del Mezzogiorno fu di breve durata: l’immagine di Napoli pittoresca e caratteristica prevalse. La fine della guerra spalancava la porta agli egoismi particolaristici, contrapposizione Nord- sud: all’indomani della Liberazione l’unità d’Italia era tutta da ricostruire. Tornava l’antinomia tra Nord progressista e repubblicano e Sud conservatore, monarchico. In Calabria nasceva la ‘ndrangheta, organizzazione malavitosa nella regione: le cosche locali, le ‘ndrine, controllavano gli appalti e le riscossioni ed erano legati ai partiti di governo. I malavitosi si sentivano un contropotere, in assenza dello stato. Il popolo dell’Aspromonte, chiuso in se stesso, senza legami col mondo di fuori, vive estraneo al resto d’Italia. 9. Tutte le corna del presidente All’indomani della seconda guerra mondiale, il Mezzogiorno tornò subito a essere un problema: Napoli e la Sicilia venivano ancora percepiti come due mondi distinti. A questo ha contribuito anche il cinema neorealista e il teatro verista, che offriva un’immagine del Mezzogiorno folcloristica e stereotipata, dove Napoli era una terra incontaminata per la sua tendenza a resistere ai cambiamenti che la preservava (es. L’oro di Napoli). Napoli era vista come un mondo antico che prospera nonostante la volgarità moderna del Nord, come un contraltare di una Milano dominata dalla barbarie dei tempi nuovi. Invece la Sicilia veniva ancora vista come un mondo dominato da brigantaggio e malaffare. Negli anni ‘60 iniziava una nuova stagione nei rapporti tra le due Italie: un atteggiamento paternalistico del Settentrione, di chi osserva compiaciuto i progressi del Mezzogiorno. La Sicilia iniziò una rottura: si poteva notare la “vecchia sicilia”, coi suoi costumi arcaici, e la “nuova sicilia”, ansiosa di scrollarsi il giogo della mafia → il delitto d’onore era riconosciuto, mentre lo stupro di una ragazza e il rifiuto del padre del matrimonio riparatore della figlia col suo violentatore. Negli anni ‘70 ci fu la marea terroristica: assassinio di Aldo Moro, Falcone e Borsellino.. Tra gli anni ‘90 e Duemila la presenza della camorra si era fatta più opprimente, la corruzione era a livelli spaventosi.
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