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Riassunto del libro LA RADIO NELLA RETE (Giorgio Zanchini) - UNIVERSITA' IULM, Sintesi del corso di Storia Della Radio E Della Televisione

Riassunto del libro LA RADIO NELLA RETE (Giorgio Zanchini) per l'esame di radio, docente Gaia Varon - UNIVERSITA' IULM (1° anno CMP)

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

In vendita dal 05/05/2020

Nik0011
Nik0011 🇮🇹

4.6

(43)

71 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Riassunto del libro LA RADIO NELLA RETE (Giorgio Zanchini) - UNIVERSITA' IULM e più Sintesi del corso in PDF di Storia Della Radio E Della Televisione solo su Docsity! 1 LA RADIO NELLA RETE La conversazione e l’arte dell’ascolto nel tempo della disattenzione (Giorgio Zanchini) Oggi la radio, come tutti gli altri media, è nella rete. La rivoluzione digitale è stata ed è per la radio una sfida radicale: si sono moltiplicati gli strumenti che ci permettono di ascoltala, è diventata ancora più interstiziale, si è ibridata con i social media, si è adattata ai tempi febbrili e distratti della contemporaneità. La radio è un medium che si è rivelato molto adatto alla conversazione approfondita e raziocinante, allo scambio delle idee, al confronto senza strepiti e spettacolarità eccessivi; la radio è il medium di un senso solo. La radio era già stata trasformata nei suoi modi e contenuti dall’avvento delle altre radio, quelle che hanno rotto il monopolio pubblico, le radio libere, le radio comunitarie, le radio commerciali, che hanno spesso migliorato la radio pubblica, che rischiava di non capire il proprio tempo. La radio sta cambiando e intercetta bene le caratteristiche e le necessità del tempo presente (frammentazione, parcellizzazione, partecipazione, ascolti brevi e distratti e format che assecondano questa domanda). Numeri, tendenze, previsioni La tecnologia ha mutato e sta ancora mutando i modi e i termini della relazione tra chi sta dietro al microfono e chi ascolta, il modo in cui si partecipa, ha inserito il medium radio in un campo crossmediale, che a sua volta ha effetti non irrilevanti sui contenuti che si trasmettono. La radio gode di buona salute, perché è coerente con l’innovazione tecnologica, è al passo con la trasformazione, usi e consumi radiofonici mutano di continui e pedinano i cambiamenti. In alcune aree economicamente poco sviluppate è tutt’oggi il medium più diffuso. C’è una correlazione stretta tra regimi politici e modello pubblico-privato. Nei paesi di debole libertà politica la radio è spesso centralizzata e controllata dai governi, gli esempi più evidenti sono le autocrazie asiatiche, le teocrazie medio-orientali e Cuba. Il web e la webradio stanno ridefinendo il quadro anche fuori dall’Occidente, perché le generazioni più giovani hanno stili di vita che le avvicinano a quelle occidentali. L’incremento portato dal web rende inoltre difficile un calcolo globale del numero delle webradio (~50.000 emittenti attive) e indebolisce la divisione classica tra pubbliche, commerciali e comunitarie. Fare una webradio è semplice, e se non si bada al bacino di ascoltatori (talvolta piccolissimo), ci si può sbizzarrire con le passioni più diverse, specie musicali, di nicchia. Gli studiosi parlano di tendenza alla monotematizzazione e alla segmentazione, con quei rischi di omofilia presenti oggi più in generale nel campo mediatico. Tutti i media hanno vissuto e stanno vivendo una mutazione nei modi di produzione e di fruizione, e nei contenuti. È cambiato molto anche il modo di produrre e di ricevere informazioni. Il broadcasting (“semina larga”) è una parola che definisce la trasmissione circolare via etere di contenuti di interesse generale non indirizzati a un destinatario particolare ma a tutti gli apparecchi che si trovano nell’area di ricezione. Attualmente viviamo nella cosiddetta “età dell’abbondanza”: digitale e Internet hanno contribuito ad arricchire le piattaforme attraverso le quali si può ascoltare la radio. tecnicamente gli strumenti attraverso i quali è possibile l’ascolto sarebbero 18, i principali sono: Fm, onde medie, onde lunghe, onde corte, televisione digitale, tutti i tipi di telefoni mobili, satellite, web, social network. Tra i portati di maggior rilevanza della rivoluzione digitale c’è senz’altro il podcast, fusione tra i termini di iPod e broadcasting, è il sistema che ti permette di scaricare su qualsiasi dispositivo audio delle trasmissioni, e di ascoltarli quando si desidera. Ogni giorno vengono ascoltati circa 21 milioni di ore di podcast. I grandi giornali, le grandi riviste e molti siti di informazione nativi digitali offrono ormai sui loro siti, sulle loro newsletter, programmi audio via podcast. Grazie al web si è rotto il secolare meccanismo dell’ascolto in simultaneità. Col podcast e lo streaming e uno smartphone è possibile selezionare e riascoltare ciò che si desidera quando si vuole, dove si vuole, senza limiti. Un dato indicativo è che alcuni dei programmi più scaricati degli ultimi anni sono presenti solo sul sito delle radio e non vanno in onda nel palinsesto ordinario. Si sta poi assistendo a una proliferazione di radio settoriali, specializzate nei generi e nei periodi musicali più diversi; è il volto radiofonico del fenomeno delle nicchie. La rete offre dunque straordinarie opportunità alla radio, ma pone anche sfide 2 difficili: il pubblico giovanile (diminuisce un po’ dovunque), la diffusione musicale (la radio non è più il canale prevalente, ma si usano YT, Spotify, ecc), la multimedialità (la radio deve ripensarsi su piattaforme diverse che prevedono immagini, più seducenti per il pubblico), i servizi audio che non sono radio (audiolibri e servizi di musica streaming a pagamento), l’identità (radio come luogo di possibile sincronia musicale). La radio è antica, è parte delle abitudini di vita delle persone, e i giovanissimi l’hanno ascoltata grazie a genitori, nonni, parenti. La speranza è che prima o poi divenga parte almeno di un frammento della loro quotidianità. Da circa vent’anni si è cercato di passare dall’Fm al digitale, grazie al Dab (digital audio broadcasting), uno standard di radiodiffusione digitale che permette la trasmissione di suoni di qualità comparabile a un cd, e anche testi scritti sullo schermo. Incertezze sugli standard, sviluppo non coordinato a livello sovranazionale, scarsa consapevolezza tra i consumatori, sperimentazioni poco convinte, un’industria tentennante, debole motivazione dei fabbricanti di apparecchi, una filiera di mercato poco coinvolta: il risultato è stato un progresso lento e incerto. L’ascolto nell’epoca della disattenzione Che spazio resta per l’ascolto, persino per un ascolto attento, nell’età della disattenzione, della connessione perenne, dell’interruzione continua? La risposta è duplice: la prima parte riguarda più in generale l’ascolto, la seconda la capacità della radio di trovare un suo ruolo e un suo spazio in un territorio affollatissimo. La radio resiste e resisterà perché la musica e la parola umana possiedono una loro completezza e perché il suono senza l’immagine corrisponde e risponde a un bisogno umano, quello di essere connessi, di non essere isolati e lasciati a noi stessi, di sentire la compagnia di voci umane. La radio è un mezzo puramente acustico, è l’unico medium dove c’è soltanto un senso, è il medium che parla all’orecchio e si distingue per l’assenza di corporeità. La radio si adatta in modo quasi naturale al tempo odierno. Grazie al podcast la pratica del consumo radiofonico è diventata ancora più elastica. La radio è stato il primo medium broadcast portatile, grazie all’invenzione del transistor, alla metà degli anni cinquanta, che ha eliminato le valvole e permesso di ridurre la dimensione dell’apparecchio. La radio quindi risponde a un bisogno umano e ha una leggerezza e agilità che le permettono di sopravvivere, persino di prosperare. Non resisterebbe però se continuasse a fare bene, quello che fa sin dalla nascita: informare, educare, intrattenere. Sherry Turkle, nel saggio “La conversazione necessaria”, dedicato all’impatto delle tecnologie sulle nostre vite, elenca il prezzo che paghiamo, in termini di costruzione del sé, di empatia, diminuita capacità di introspezione, calo marcato della capacità di relazionarsi senza mediazioni elettroniche. Il rischio di oggi è quello di una vita vicaria, in cui si fugge la conversazione coi nostri simili per rivolgerci poi all’intelligenza artificiale e agli algoritmi per fare conversazione sui social. La radio di flusso è quella più adatta a questo tempo, all’ascolto popolare, più passivo e orientato al rilassarsi, rispetto all’ascolto serio. In molti paesi, specie quelli con un livello di istruzione alto, le trasmissioni di contenuto non occupano i primi posti delle graduatorie di ascolto ma resistono. Tra i programmi più scaricati ci sono proprio quelli di natura culturale, di approfondimento, di trasmissione dei saperi. La radio quindi non sembra perdere autorevolezza e quella sua storica capacità di trasmettere informazioni, conoscenze, competenze. Connessioni di ieri e di oggi Ieri la connessione (il rapporto col prossimo, con gli ascoltatori) era in gran parte unidirezionale, nel senso che gli ascoltatori si limitavano ad ascoltare quello che veniva mandato in onda. Al massimo commentavano attraverso lettere e più tardi attraverso telefonate alle redazioni. Di rado venivano coinvolti in sondaggi e questionari alla radio. oggi essere connessi significa (accezione mediatica) entrare in un contesto multimediale che permette relazioni continue e multiple inimmaginabili quale decennio fa, essere in un vero e proprio ecosistema comunicativo. La ricezione si è fatta molto più semplice e varia, e i fruitori sono parte attiva dei percorsi delle informazioni. 5 Le regole della conduzione radiofonica A guidare la conversazione alla radio c’è il conduttore. Le prime 10 regole di uno speaker radiofonico (prese da “Teorie e tecniche di conduzione radiofonica”, d’Ecclesia), tenendo bene a mente che molto dipende dal contesto dal registro, dal tipo di pubblico, sono: 1. Parla come mangi 2. Sorridi come parli 3. Parla poco, massimo 2’’, non essere prolisso 4. Non impostare la voce, concentrati sui contenuti 5. Pensa alle conseguenze di quello che dici 6. Attenzione alle pronunce straniere 7. Dai il giusto peso alle parole, non enfatizzare troppo 8. Mai nominare radio concorrenti 9. Non parlarti addosso, non parlare troppo di te stesso (a meno che tu non sia Linus o Fabio Volo) 10. Scandisci bene le parole Gli anglosassoni sono maestri di giornalismo e hanno molto da insegnarci anche sulla radiofonia. È utile dunque riportare alcune regole di un saggio sulla radio e la conduzione molto citato nel mondo di lingua inglese, “Beyond powerful radio” (Geller): 1. Parla in modo che l’ascoltatore possa immaginare. Usa dettagli. Descrivi i particolari in modo che chi ascolta possa “vedere” quello di cui stai parlando. 2. Comincia sempre la trasmissione con qualcosa di interessante. 3. Dì la verità. Gli ascoltatori si accorgono quando non lo fai. 4. Non essere noioso. Se sei annoiato lo sarà anche chi ti ascolta. Se accade qualcosa di grosso o importante parlane. Può essere fastidioso cambiare tutto il programma e ripensare gli ospiti, ma ne vale la pena. 5. Ascolta la radio dove lavori, anche quando non sei in onda. E controlla i contenuti online. 6. Rendi significativo il tuo programma. Usa la tua esperienza come metro. Chiediti sempre: perché questa cosa sta andando in onda? Perché qualcuno dovrebbe ascoltarla? Ne parleresti anche fuori dalla diretta? 7. Seppellisci i morti. Se un tema è vecchio lascialo perdere. 8. Se sei in diretta, “anything goes”, tutto va bene. I registrati, i pezzi montati devono essere invece perfetti. 9. Va bene parlare del tuo programma, se è roba buona promuovila. 10. Va bene parlare dei programmi dei colleghi. Se un altro conduttore ha fatto qualcosa di notevole, parlane. 11. Se non sa qualcosa va bene ammetterlo. Gli ascoltatori apprezzano che il conduttore sia simile a loro. 12. Lancia con attenzione e curiosità i programmi degli altri. 13. Alla radio sii quello che sei. 14. Rischia. Sperimenta. Osa in grande. Accanto a questi due, ci sono elenchi di regole pensati per radio di contenuto obiettivamente serio e che ci consegnano almeno tre lezioni che restano attuali: la chiarezza e il ritmo, la sopportabilità massima del parlato-unito e la superiorità culturale. “Norme per la redazione di un testo radiofonico” (C.E. Gadda), pensate per il “Terzo Programma”: Per il radioascolto i termini dovuto sono: accessibilità fisica, cioè acustica, e intellettiva della radiotrasmissione, chiarezza, limpidità del dettato, gradevole ritmo. La sopportabilità massima del parlato- unito, in Italia, è di 15 minuti. All’atto di redigere il testo di un parlato radiofonico si dovrà dunque evitare in 6 ogni modo che nel radioascoltatore si manifesti il cosiddetto “complesso di inferiorità culturale”, cioè quello stato di ansia, di irritazione, di dispetto che coglie chiunque si senta condannare come ignorante dalla consapevolezza, dalla finezza, dalla sapienza altrui. Ecco le regole generali assolute per la stesura di ogni testo radiofonico, generali cioè valide per qualunque tipo di testo radiofonico: 1. Costruire il testo con periodi brevi. 2. Procedere per figurazioni paratattiche, coordinate o soggettive, anziché per subordinate. 3. […] Ogni tumultuario affollamento di idee nel periodo sintattico conduce al “vuoto radiofonico”. 4. Sono da evitare le parentesi, gli incisi, gli infarcimenti e le sospensioni sintattiche. Nel comune discorso, nel parlato abituale, non si aprono parentesi. Il microfono e il radioapparecchio con lui, è parola, è discorso. Non è pagina stampata. La parentesi è un espediente grafico e soltanto grafico. 5. Curare i passaggi di pensiero e i conseguenti passaggi di tono mediante energica scelta di congiunzioni o particelle appropriate, o con oportuna transizione, o con esplicito avviso. 6. Evitate le litòti, le negazioni delle negazioni. 7. Evitare ogni infelice ricorso a poco aggiudicabili pronomi determinativi, disgiuntivi, numerativi o indefiniti […]. 8. Evitare le rime involontarie, obbrobrio dello scritto, del discorso, ma in ogni modo del parlato radiofonico. 9. Evitare le allitterazioni involontarie, sia vocaliche sia le consonantiche, o comunque la ripetizione continuata di un medesimo suono. 10. Evitare le parole desuete, i modi nuovi o sconosciuti e in genere un lessico e una semantica arbitraria, tutti quei vocaboli o quelle forme del dire che non risultino prontamente e sicuramente afferrabili. 11. Evitare le forme poco usate e però meravigliose della flessione, anche se provengono da radicali verbali di comune impiego. Pentalogo scritto da Marino Sinibaldi per Radio3 negli anni duemila (dal 2009 è il suo direttore), nel quale sono state aggiunte delle note: 1. Mai dare del tu agli intervistati. a. La questione del pronome da usare nelle conversazioni radiofoniche è sostanzialmente irrisolta: come evitare l’effetto salotto? Dipende dal contesto naturalmente, ovvero dal rischio che riteniamo maggiore. Per noi è sicuramente quello di generare esclusione in chi può sentirsi estraneo ai mondi di cui parliamo e piò considerarli lontani. Dunque daremo del lei, salvo ovvie eccezioni (quando intervistiamo redattori o collaboratori di Radio3). 2. Mai fare domande più lunghe delle risposte. b. Noi conduttori parliamo tutto il tempo, le interviste servono per far parlare gli altri e più a lungo di noi. Il tempo di cui disponiamo semmai va usato nel senso invocato alla nota e. 3. Mai fare domande la cui risposta è “sì”, “certo”, o simili. 4. Mai interloquire con dei “sì”, “certo”, “assolutamente”, “come no”, o simili. c.d. Evitare ogni rischio di compiacimento reciproco, frenare l’autocompiacimento che genera il consenso dei nostri intervistati, rinunciare a compiacerli con vari segni di assenso (allusioni, ghigni, sorrisetti anche muti. È ovviamente più interessante discutere quando non si è d’accordo. È talmente più interessante che è più utile, semmai, fingere dissenso che esibire consenso. È più stimolante intellettualmente per tutti gli interlocutori e ovviamente per gli ascoltatori, è più spettacolare radiofonicamente. 5. Mai lasciare incertezza sull’identità dell’interlocutore. e. Chiarire sempre con chi si parla e non far trascorrere mai 5’’-6’’ senza ricordare chi è l’interlocutore. 7 Non è infatti la presentazione dell’ospite ad attirare il massimo dell’attenzione ma le cose che (a un certo punto) dice, e che spingono a volerne sempre di più. È quell’attenzione che dobbiamo rivolgerci. Non temiate di apparire didascalici. Temiamo di apparire ermetici. Tutte queste norme sono valide per tutti, per le commerciali, per le comunitarie, per le pubbliche, e per più o meno tutti i tipi di programmi. Perché la radio ha una grammatica, che va rispettata. Il ritmo, i tempi, la capacità di essere avvincenti, la chiarezza, la curiosità. 65 anni dopo, nell’era delle web radio, della crossmedialità, di una lingua più fratta e più informare, molto resta in piedi delle regole gaddiane. Anche il giornalismo radiofonico vuole delle regole. Sono state fissate decine di anni fa da Antonio Piccone Stella, nella sua celebre “Guida per i giornalisti radiofonici”, un testo pioneristico che conserva una sua attualità. In generale la manualistica insiste su alcune caratteristiche tipiche di questo tipo di giornalismo: sintesi, immediatezza, velocità, capacità di evocazione. Quanto al linguaggio, anch’esso tende a un risparmio dei mezzi espressivi, occorre rispondere alle regole classiche del giornalismo rispettando la specificità del mezzo. La rivoluzione digitale cambia anche la conduzione radiofonica? No, perché una cosa è la teoria e altra la pratica. La radio di oggi è frutto del combinato disposto dell’ingresso delle radio commerciali nel mercato radiofonico e dell’ibridazione della radio stessa con la rete. La conduzione oggi: generi e modelli Il tipo di conduzione e anche la fisionomia, lo stile dei conduttori dipendono dal contesto, dal campo in cui si trovano ad agire. La questione del pubblico è sempre stata centrale per chi deve pensare, costruire una programmazione. Le classificazioni servono a fare ordine; ce n’è una di fondo, di origine americana, dalla quale promanano poi molti generi e sottogeneri: • La radio di palinsesto: tendenzialmente generalista e costruita su una griglia di programmi pensati per un pubblico dai gusti indifferenziati, vasto ed eterogeneo, e quindi con distinzioni abbastanza leggibili. • La radio di flusso (format radio): è basata su un flusso che in generale prescinde dalle fasce orarie e dall’offerta per generi e pubblici, e che è costruito su un sistema di elementi fissi, ripetitivi, riconoscibili: musica, parlato, informazione, pubblicità, jingle, meteo, traffico, in una parola impaginazione. Il cosiddetto clock, la struttura interna di un’unità temporale, che va dal quarto d’ora all’ora, massimo alle due ore, e che deve essere il più unitario, fluido e riconoscibile possibile, costruito appunto con quel catalogo di elementi sonori appena citato. È il tipo di pubblico della singola radio a orientare il tipo di format. I generi variano moltissimo perché è il parlato radiofonico a cambiare molto. La distinzione classica, che si è sfumata negli anni perché diverse radio private hanno programmi di qualità e anche all’interno delle radio pubbliche si trovano programmi di accompagnamento e di evasione, è tra: ▪ Parlato di accompagnamento: la forma tipica della radio commerciali giovanili o d’evasione. ▪ Parlato di contenuto: tipica delle radio pubbliche. Negli USA è dagli anni ’50 che si è assistito a una proliferazione di format, con radio basate su offerte musicali molto specifiche. Per la radio di parola o miste i recinti sono minori, si può distinguere tra all news, talk, news&talk, music&news. Ci sarebbe un’ulteriore classificazione tutta interna alle news, all’informazione: news oriented (Radio 1, Radio24, Rtl 102.5, Radio Capital, Radio Popolare Network), no news (Radio 105, Radio Deejay, M20, Virgin Radio, Radio Italia Network), light news (Radio Montecarlo, RDS, R101, Radio2, Radio3). Negli USA è stato abbastanza diffuso il format all news radio, canali caratterizzati dalla presenza fissa e costante di notiziari, di durata varia, inframezzati da brevi rubriche sempre di taglio informativo; in Europa invece sono poco diffusi. La radio europea più nota è France Info, mentre in Italia questo modello non si è mai davvero affermato. Le stazioni che gli assomigliano di più sono Radio1 e Radio24. Un modello leggermente diverso e di buon successo è 5Live della BBC, che mette assieme news e sport, tutto in diretta.
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