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Riassunto del libro “Leopardi”, di Franco D’Intino e Massimo Natale, Sintesi del corso di Letteratura Italiana

Riassunto chiaro e ordinato del libro “Leopardi”, di Franco D’Intino e Massimo Natale (ECCETTO PER GLI ULTIMI 4 CAPITOLI), con parole chiave in grassetto e concetti essenziali sottolineati. Mantiene la suddivisione in capitoli del libro.

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

Caricato il 29/08/2022

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Scarica Riassunto del libro “Leopardi”, di Franco D’Intino e Massimo Natale e più Sintesi del corso in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! Leopardi - Franco D’Intino e Massimo Natale LA POESIA - I luoghi primi della poesia - Nel 1809 e 1810, quando Leopardi è solo dodicenne, scrive un folto drappello di testi che rispecchia la sua educazione. Metrica e stile dei Puerilia rimandano al retroterra lirico settecentesco, ben rappresentato nella biblioteca del padre Monaldo. Abbondano l’ode e la canzonetta e si incontrano anche forme più tradizionali come la canzone, il madrigale e il sonetto, o la sesta rima e la terzina, oltre all’endecasillabo sciolto. Oltre al bagaglio d’ordinanza di un aristocratico di primo ‘800 c’è comunque di più: i l dominio animale , ad esempio, che avrà un’importanza decisiva per Leopardi, è ben rappresentato nei versi puerili in vari titoli-apologo e in una canzonetta raccolta in una breve suite, La campagna, dove fa ingresso il mitologema antico del flebile usignolo, tolto alle Georgiche di Virgilio e pronto a riapparire in chiave tragica nella canzone Alla Primavera o nel Risorgimento. E un altro volatile protagonista dell’Uccello, rinchiuso dentro dipinta gabbia e desideroso di rivendicare il suo amore per la libertà, diventa un'occasione di autoidentificazione per Giacomo, a sua volta prigioniero nel palazzo paterno. Si pensi poi al rapporto col paesaggio , filtrato dalla potente sensibilità dell’io , come per l’immagine frequente della tempesta: vi s’incrociano il gusto dell’epoca per una natura sempre più percepita nel suo aspetto sublime e la dimensione psicologica del bambino Giacomo per cui Dio è anche figura del padre giustiziere . Il 1813 è un anno fondamentale: lo studio autonomo del grec o , sconosciuto ai precettori di casa e ai genitori, è un gesto simbolicamente liberatorio. La conoscenza del greco consentirà l’incontro diretto con la lirica e l’epica antichissima. È soprattutto nella più impegnativa fra le composizioni giovanili, la cantica Appressamento della morte (1816), che la poesia leopardiana mostra i suoi debiti con la tradizione, anzitutto con la lingua di Dante e Petrarca, e una sua primissima maturità. L’Appressamento lascia emergere un istinto di transitorietà e morte che non implica più un tu personaggio, ma riguarda frontalmente il soggetto: la consapevolezza di un io giovane si rovescia in un profondo impulso di annullamento, mentre la cornice di genere, una cantica-visione, è piegata al servizio del sentire del soggetto. - Il libro dei Canti e la “storia di un’anima” - Leopardi scrive un unico libro di versi, i Canti . Il 1818 è l’anno delle prime due canzoni patriottiche, All’Italia e Sopra il monumento di Dante. L’anno dopo inizia l’esperienza degli idilli. Ma come nasce il libro dei Canti ? L’architettura complessiva del volume è il risultato di una serie di approssimazioni per tentativi, di continui aggiustamenti. Il lettore odierno usa edizioni che ripropongono l’assetto assunto dai Canti nella pubblicazione postuma delle Opere leopardiane curata da Antonio Ranieri per Le Monnier nel 1845 . Questo volume è contraddistinto da una solida coerenza metrica: tutte le liriche sono rubricate da Leopardi sotto il genere “canzone”. Nel 1826 esce un’altra plaquette, Versi, che raggruppa testi metricamente e tematicamente disomogenei : sei idilli, due elegie amorose, cinque testi comico-realistici. Non è un volume di versi, ma un più moderno libro di poesia. La raccolta non è più ordinata secondo un criterio metrico, tematico o cronologico, come da prevalente prassi settecentesca, ma secondo l’esigenza unificatrice dell’io di raccontare sé e i moti del suo cuore . I Canti sono un libro composto di più sezioni: la critica ha distinto le canzoni, gli idilli, i canti pisano-recanatesi, il ciclo di Aspasia e gli ultimi canti napoletani. Si pensi alle liriche che fanno da cerniera fra il blocco delle canzoni e il drappello degli idilli: dopo l’ Ultimo canto di Saffo s ’ incontrano infatti un testo in terzine, I l primo amore , e I l passero solitario . Il passero solitario è posto subito alle spalle dell’ I nfinito ed è imparentato a forza con gli idilli , anche in virtù della centralità dell’io nel testo, che paragona il suo costume di solitudine a quello dell’uccello. Come negli idilli l’io si racconta al presente. Il passero proietta già il suo finale sul futuro dell’io. Il testo che segue gli idilli, Consalvo, appartiene a tutt’altra fase della scrittura leopardiana e si trova ad anticipare la canzone Alla sua Donna, che risale a 10 anni prima. I Canti quindi non chiedono di essere letti solo a compartimenti stagni, ma facendo attenzione a nessi, svolte e linee di continuità . Nella prima parte del libro il rapporto del soggetto con la natura sembra oscillare: la natura fornisce generosamente agli uomini i suoi lieti inganni, fino a essere accusata più tardi di essere madre di parto ma di voler matrigna. Il libro leopardiano non è propriamente un canzoniere: il soggetto non è l’incarnazione di un exemplum , ma u n io sensibilissimo e cangiante che interpreta perfettamente un principio intrinseco della lirica moderna. È come se anche l’organismo libro obbedisse a un meccanismo tipicamente leopardiano, quello della rinascita dell ’ illusione . Intenzione di originalità cui obbedirà bene la scelta di non indicare l’etichetta metrica dei singoli testi, ma di fonderli indistintamente sotto il titolo, inedito n ella poetica nostrana , di Canti. Non è un caso che il nome della raccolta maturi per la prima volta nel 1831, cioè dopo una fase di grande interesse per la dimensione orale degli amatissimi poemi omerici. È a Omero che si dovrà guardare, molto più che ai Canti di Ossian. L’esempio sommo di poesia senza regole è proprio Omero, che scrivendo i suoi poemi vagava liberamente per i campi immaginabili in assenza di esempi anteriori cui attingere. L’ epos arcaico e la sua radice lirica sono vagheggiati da Leopardi soprattutto per il loro carattere antiscritturale , ovvero per la loro totale alterità verso la coeva scrittura italiana: una letteratura troppo scritta, troppo lontana da una dimensione anche linguisticamente popolare e anzi bisognosa di essere sperfezionata e riconvertita a una specie d’infanzia in cui canto e parola si distinguono ancora. Leopardi affida quindi anche al titolo del suo libro di versi il compito di segnalare la sua posizione anomala , il suo stare e non stare a proprio agio nei confini troppo stretti della sola tradizione italiana. - Nel segno della negazione: le Canzoni - Leopardi ha iniziato a rivendicare la sua differenza e novità rispetto a ogni altro lirico di lingua italiana ben prima di scegliere il titolo della sua raccolta di versi. Nel 1825 si ristampano le Annotazioni alle dieci Canzoni, un autocommento sulle sue scelte linguistiche, in polemica con le norme restrittive del Vocabolario della Crusca. L’originalità leopardiana dipende quindi da un calibrato slittamento nei confronti della tradizione che si risolve in una programmatica delusione dell’orizzonte d’attesa del lettore. Accanto ai titoli, una netta indicazione di svolta è ravvisabile sul piano metrico. Ma nei Canti il rapporto s ’ inverte : la canzone strutturalmente più adatta al forte grado di impegno ideologico del poetare leopardiano è il metro largamente predominante, segnale di un consapevole e orgoglioso corpo a corpo con la tradizione . E infatti questi testi partono tenendo ben presente il modello di P etrarc a , ma lavorano progressivamente a forzarlo. La sequenza delle canzoni, scritte tra il 1818 e il 1823, somiglia a un r omanzo ideologico in cui alla delusione per la condizione dell’Italia, offesa dalle potenze che guidano la Restaurazione, si unisce una più generale sfiducia nella storia umana: l’io scopre via via la desolazione del mondo moderno e l’impossibilità di attingere alla felicità. I primi cinque testi condividono un orizzonte almeno in partenza patriottico e agonistico , evidente anche nelle scelte linguistiche fortemente arcaizzanti. In particolare le prime tre canzoni , in cui è più forte il timbro del poeta civile (All’Italia, Sopra il monumento di Dante, Ad Angelo Mai), osservano e rimpiangono il passato come il luogo della vitalità. Il t ema cardine dei Canti è la possibilità di sopravvivenza delle illusioni, la loro capacità di resistere al “nulla” . Troviamo altre due liriche in cui il presente è un avversario perché incapace di grandezza e c’è una forte nostalgia per il passato antico. La prima è l’epitalamio (un testo che festeggia uno sposalizio) Nelle nozze della sorella Paolina, dedicato alla sorella, che si risolve in una parodia tragica: una conferma del ritardo dei moderni, nati troppo tardi. Sulla stessa linea sta un’altra poesia d’occasione, l’ode A un vincitore nel pallone, che onora la bellezza del gesto sportivo del dedicatario, Carlo Didimi, come una sorta di rinascita del vigore fisico arcaico . Immagine dell’antico come culla della felicità: è questa la grande scoperta affidata al romanzo delle canzoni. Il suicidio di Bruto nel Bruto minore simboleggia la morte dell’ultima età dell’immaginazione e anzi di tutta l’antichità. Leopardi ha notizia di una stirpe di selvaggi che ancora abita i boschi californi ani (Inno ai Patriarchi) trascorrendo un’esistenza ignara, in uno stato di perfetta armonia naturale. I californiani sono l’ultimo esempio di una possibile felicità, tuttavia indifesa e fugace, destinata a scomparire. Una tale corrosione dell’antico giunge al suo culmine nell’ Ultimo canto di Saffo . Che Bruto e Saffo siano due maschere dell’io autoriale lo dimostra una lettera a Pietro Giordani del 1819, in cui Giacomo rimpiange la separazione fra la bellezza e la virtù. Saffo è una persona poetica, non un puro alter ego del soggetto: parla per tutto il genere umano , alternando l’io al noi come è tipico di molta lirica leopardiana. L ’ Ultimo canto di Saffo è del maggio 1822, ma l’ Inno ai Patriarchi lo anticipa nei Canti , pur essendo scritto un paio di mesi dopo. A questa posposizione contribuisce probabilmente anche la presenza forte dell’io nel testo , che preannuncia al lettore la voce autoriale degli idilli . - Le avventure dell’io: gli idilli - Fra le prime nove canzoni e l’ultima, Alla sua Donna , Leopardi ha interposto nei Canti, oltre a Il primo amore , Il passero solitario e Consalvo , il drappello degli idilli: cinque testi (L’infinito, La sera del dì di festa, Alla luna, Il sogno, La vita solitaria) composti tra 1819 e 1821 in endecasillabi sciolti. Nei Versi del 1826 c’era poi un sesto idillio, Lo spavento notturno , spostato poi nei Canti tra i Frammenti per il suo carattere dialogico troppo vicino a quello dell’idillio teocriteo: nello Spavento l’io lirico si avverte troppo poco. I l maggiore degli idilli, L’infinito , si caratterizza al contrario per una potenza quasi assoluta dell’io , che non entra in colloquio con agenti altri. L’idillio leopardiano nasce con l’ingresso deciso nel testo dell’io poetico, con la transizione da un idillio di tipo teocriteo fantastico-popolare e oggettivistico a un idillio sentimentale e soggettivistico . Leopardi muta completamente nel 1819 : il suo spirito passa da uno stato antico e immaginativo a u no moderno e sentimentale. Ma cosa sente l’io? Nel 1821 Leopardi scrive che l’uomo moderno, ormai pienamente disingannato e stanco del mondo, può tuttavia nella solitudine, in mezzo alle delizie della campagna, tornare in relazione con la natura e le cose inanimate, anche se è una relazione assai meno stretta, costante e sicura: quell’uomo può tornare in qualche modo fanciullo e godere di un certo risorgimento dell’immaginazione . T utti e cinque gli idilli hanno un inizio in cui gli elementi della natura mostrano la loro grazia . L’io non aderisce però a tale dato naturale in modo tranquillamente armonico , non può dimenticare il suo disinganno: l’apparenza di quiete su cui si avviano gli idilli è destinata a incrinarsi. L’uso leopardiano del termine “idillio” è quindi volutamente critico rispetto a quello tradizionale: allude al suo contrario. L’infinito ci offre la più affascinante tra queste avventure dell’io: l’io che si muove nel testo somiglia a certi giovani eroi preromantici, solitari e malinconici. L’a ttività dell’immaginazione , di cui l’ Infinito è una mimesi in presa diretta, è in rapporto con un impulso connaturato all’uomo , cioè la ricerca della felicità . L’idillio è quindi strettamente imparentato con le riflessioni consegnate alla leopardiana teoria del piacere. Nell’Infinito l’io costruisce per via immaginativa uno spazio e un tempo inafferrabili nella realtà. 1824, un migliaio di lettere, uno sterminato diario intellettuale di 4526 pagine (lo Zibaldone di pensieri) che lo accompagnò dal 1817 al 1832, abbozzi di un romanzo autobiografico mai compiuto, notevoli traduzioni di prose morali greche (1822-1827), scritti di vario tipo tra cui la Comparazione delle sentenze di Bruto minore e di Teofrasto vicini a morte (1822), il Discorso sopra lo stato presente dei costumi degli italiani (1824) e una raccolta di pensieri composta negli anni ‘30. Gran parte della prosa di Leopardi è rimasta inedita durante la sua vita, e quella nota ha sofferto fin dall’800 di un giudizio negativo da parte si De Sanctis e Croce . C’è stata poi una rivalutazione radicale da parte di Gentile. Per un pieno apprezzamento dello sperimentalismo stilistico e filosofico delle Operette bisogna aspettare gli ultimi decenni del ‘900. Dello Zibaldone si iniziò a rivalutare sostanza, forza ed efficacia dello stile e capacità di esprimere un pensiero in movimento. Tre romanzi sono stati cruciali per la prosa leopardiana: i Dolori del giovane Werther di Goethe, le Ultime lettere di Jacopo Ortis di Foscolo e Corinne o l’Italia di Madame de Stael. La poesia ha nella scala dei valori di Leopardi un posto privilegiato ed è oggetto quasi esclusivo della sua riflessione estetica: assai più rare sono le riflessioni su prosa e romanzo. Ma questa gerarchia non esclude la consapevolezza che la poesia è un genere inattuale, inconciliabile con l’epoca moderna , un’epoca di razionalità dispiegata che ha ripudiato il poetico. Da un lato abbiamo il poetico, solidale con l’antichità, l’immaginazione e la felicità; dall’altro il prosastico, legato a modernità, sentimento, filosofia e infelicità. Leopardi fu uno dei più arditi sperimentatori dell’Europa dell’800 ; basti pensare che ha: ● Escluso il sonetto dai Canti; ● Trasformato la canzone, liberandola da schemi metrici fissi; ● Inventato la prosa italiana moderna, sia argomentativa sia poetica. Il poetico diventa il luogo di condensazione verbale degli strati più profondi dell’inconscio: l’antagonismo politico, le pulsioni vitali (eros) e di morte (malinconia). L a prosa , invece, dovrebbe rimanere nei confini di una razionalità e scientificità controllat e e metodic he , che escludono immaginazione e fantasia, ma le distinzioni non sono nette. Distinguiamo quattro grandi fasi della scrittura prosastrica leopardiana: 1. Precede la mutazione, è quella dei grandi saggi eruditi; 2. Fase di passaggio in cui avviene la mutazione: le fasi successive rispondono a esigenze diverse; 3. La prosa diaristica e filosofica privata dello Zibaldone; 4. La prosa poetica pubblica delle Operette morali. Ciò significa che Leopardi si percepì primariamente come poeta. Dopo il 1832 la fecondissima vena di Leopardi prosatore è esaurita . Resterà la poesia in versi degli ultimi canti e dei Paralipomeni della Batracomiomachia. - Tra errore e ragione. I grandi saggi eruditi a sfondo comico-mitologico - Nel 1813 Leopardi si dedica a un primo lavoro impegnativo erudito, la Storia dell’astronomia. La scrittura in prosa leopardiana si appoggerà sempre in misura e modi diversi alle tecniche di archiviazione del sapere tipiche dell’erudizione di ‘600-‘700 : minuscole schede che raccolgono citazioni, elenchi, numeri di pagine, parole chiave, versi che collegano concetti: un’officina di arte della memoria. Leopardi si è formato sulle banche dati : antologie, dizionari, archivi, enciclopedie, commenti, indici. Il cielo (e più in generale l’universo) è lo sfondo su cui si collocherà sempre la riflessione e la poesia leopardiana , al cui centro c’è l’uomo che si sporge verso l’infinito, seguendo un impulso sublime a salire verso le stelle. È stupito e spaventato dal la misteriosa e incomprensibile immensità del cosmo , cui rivolge una domanda metafisica: questo è il nucleo essenziale e profondo della Storia. La sua importanza sta nella prima messa a punto di una strategia secondo cui la conoscenza diviene uno strumento di controllo della paura e dello smarrimento di fronte al mistero e all’imponderabile. In questo senso la Storia getta un lunghissimo ponte fino alle Operette morali e gli ultimi canti, La ginestra e Il tramonto della luna, in cui Leopardi torna allo stesso sfondo cosmologico, essendo però svanita del tutto la fiducia nella capacità dell’uomo di dominare la natura. La scienza moderna serve a rassicurare l’uomo. L’esperimento che prelude allo Zibaldone , per la sua natura digressiva e al tempo stesso sistematica, continua due anni dopo con un’altra vasta opera erudita, il Saggio sopra gli errori popolari degli antichi, cui Leopardi lavorò nel 1815 ma che uscì solo nell’edizione Le Monnier del 1846. È stavolta un lavoro già proiettato verso il pubblico, e nella Prefazione Leopardi ci tiene a esibire la sua originalità rispetto a lavori analoghi, l’accuratezza delle traduzioni e un piano di organizzazione della materia per argomenti che appartengono ad Astronomia, Geografia, Meteorologia e Storia naturale. Il punto di aggancio con la Storia dell’astronomia è evidente. Il Saggio si configura così anche come una sorta di autobiografia intellettuale, concrezione di un metodo critico in cui Leopardi individuerà poi il metodo stesso del pensiero moderno, che procede non positivamente, stabilendo verità, ma negativamente, decostruendo errori . La cognizione del vero non è che lo spogliarsi d i errori come fossero veli, e l’autore del Saggio non fa che raccogliere i veli, cioè gli errori, tramandatici dall’antichità. L’umanità sarà sempre indotta nell’errore, sempre cieca, giacché l’errore, seppur sconfitto, è destinato a tornare ciclicamente come una cometa. La dimensione narrativa è legata quindi alla sfera dell’errore e del disordine, al mondo plurale e popolare delle mitologie pagane di cui il Saggio è intessuto. Nel Saggio Leopardi ritrova in un’infinita varietà di favole antiche l’intera gamma delle emozioni primarie , luminose e oscure, liete e paurose, invitanti e minacciose, che era compito di una buona educazione cattolica sradicare. - L’emergenza del soggetto. Il Discorso sui romantici e la scrittura autobiografica - Nel periodo 1816-19 nelle scritture in prosa emerge con più intensità un soggetto ormai decisamente svincolato dalla pura ricerca erudita e proiettato verso una dimensione pubblica . Questo più concreto io sperimenta ben cinque diverse zone operative: l’attività poetica originale, quella traduttoria, la scrittura epistolare, quella autobiografica e quella saggistico-polemica. Leopardi attacca il cuore milanese della cultura italiana dell’epoca con due lettere del 1816 alla Biblioteca italiana , mai pubblicate dalla rivista. Il linguaggio è subito diretto, esplicito, sembra l’esordio di un’orazione: siamo nel campo dell’eloquenza, in cui Giacomo si è cimentato nel 1815 con un discorso Agl’italiani. Un esordio che è uno splendido esempio di quell’intreccio di registri che fa la bellezza della prosa leopardiana matura: irruenza polemica, ripiegamento sentimentale, precisione psicologica, immediatezza autobiografica. L’esperimento prosegue due anni dopo con uno scritto di maggiore respiro, anch’esso mai pubblicato in vita, con cui Leopardi aspira a diventare un protagonista del dibattito letterario: Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica, 1818. Leopardi sviluppa l’idea di un impulso poetico di natura divina che va difeso contro la fredda razionalità moderna. La prosa inizia a sperimentare quel flusso impetuoso e incalzante, caratteristico dell’appassionata argomentazione filosofica leopardiana, soprattutto nello Zibaldone. L’esigenza di parlare di sé che emerge in questi scritti polemici trova diverso sfogo, oltre che nelle lettere, in scritture più esplicitamente autobiografiche. Al 1817 risale il primo esperimento di scrittura dell’io: un diario in cui Leopardi racconta per alcuni giorni l’arrivo in casa di una cugina di cui gli sembra d ’ innamorarsi . L’innesco primario è sempre il desiderio, ma stavolta è una donna in carne e ossa e la scrittura si fa paradossalmente più cauta, lenta, meditata, meno impulsiva. Lo scopo è conoscitivo. Ma è solo un anno e mezzo dopo, nel 1819 (anno cruciale della mutazione), che Leopardi decide di affrontare la via espressiva della prosa romanzesca. Il Werther di Goethe e l’ Ortis di Foscolo sono i romanzi autobiografici che l’hanno ispirato, intimisti, riflessivi, sentimentali ed epistolari. In entrambi il protagonista è in preda a una furiosa passione erotica, ma vittima della storia, della società e soprattutto della razionalità di chi lo circonda e martirizza. Il Werther è un punto di contatto con l’atmosfera romantica nordeuropea. Tre sono gli elementi essenziali che caratterizzano il tentativo romanzesco: l’essere rimasto incompiuto, l’intreccio concluso con una morte per malattia, la vita del protagonista tutta interiore. - Il corpo del pensiero: lo Zibaldone di pensieri - Lo Zibaldone è un manoscritto di 4526 pagine che Leopardi ha sempr e portato con sé e cui ha affidato tutto ciò che gli sembrava degno di nota: stralci di brani letti, osservazioni, ragionamenti, ricordi, insomma pensieri. La definizione più appropriata è perciò quella di diario, benché quasi esclusivamente intellettuale : come nei diari un pensiero vi segue l’altro. Le primissime annotazioni risalgono al 1817, ma solo dal 1820 , dopo il fallimento della Vita abbozzata, inizi a a dedicarvisi più assidu amente e a datarlo regolarmente. L’ultimo pensiero è del 1832, poco prima del salto decisivo verso Napoli nel 1833, dove morirà e dove lo Zibaldone è stato ritrovato tra le carte destinate a Ranieri; è stato pubblicato, per volontà di Carducci, nel 1898-1900 col titolo Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura. Leopardi usa una sola volta il termine Zibaldone nel suo diario, nel 1827. Di incerta etimologia, è associato all’idea di mescolanza senza ordine. Possiamo ipotizzare che sia stato scritto di getto, ma alcuni dati fanno sospettare a volte una precedente prima stesura (di cui però non è rimasta traccia). Lo stile è rapido, familiare e molto efficac e , in grado di dare voce a un’enorme varietà di contenuti , situazioni e necessità espressive conservando sempre un timbro caratteristico personale e coinvolgente . La scrittura zibaldoniana presenta alcuni tratti costanti: velocità del dettato, tendenza alla paratassi, alleggerimento della punteggiatura, lunghe catene asintotiche , incalzanti figure enumeratorie, serie sinonimiche aperte; tutti tratti caratteristici di un pensiero che nasce e si forma sulla pagina. L’incalzare spesso drammatizzato dell’argomentazione, l’agilità a volte sorprendente dei trapassi, le frequenti interrogative, l’evocazione della figura del lettore fanno pensare a una scrittura permeata di oralità, rivolta dialogicamente a un interlocutore immaginario che coincide con l’autore o un suo doppio. Nell’insieme Leopardi ha inventato, con la sua lingua semplice, fluida, bilanciata e ricca, lo stile diaristico e saggistico moderno . Lo Zibaldone di pensieri si va configurando come un’autobiografia antropologica, cioè la storia di un singolo uomo compendia quella dell’intero genere umano. Se da un lato ha una struttura diaristica, dall’altro è la storia della mente di un eroe antico divenuto un pensatore moderno. Ciò vuol dire che in esso operano due istanze: quella dello scrittore che scrive ogni giorno riflettendo sulle sue esperienze e quella del lettore del proprio testo, che osserva retrospettivamente (ogni giorno in modo diverso) il movimento nel tempo del se stesso scrivente che a sua volta è mutato rispetto al se stesso antico e fanciullo. Lo Zibaldone cresce come organismo testuale attraversato da innumerevoli tensioni. È il prodotto di un isolamento e di una paralisi storica particolarmente sentita nello Stato della Chiesa, in cui si vive in modo intenso il clima della R estaurazione . La tentazione che serpeggia lungo tutto il diario è quella di aderire allo scetticismo gnoseologico di Sesto Empirico, cioè all’idea che non c’è verità assoluta e tutto è relativo. Stile semplice , immediato, flessibile , capace di esprimere oscillazioni e ondeggiamenti di un pensiero mobile e strutturalmente dialogico. Nel diario si confrontano due punti di vista: un io che cerca ostinatamente le condizioni di una secolarizzazione dell’assoluto in termini di verità scientifico-razionali ; un io che nega tale possibilità, arrendendosi all’inconoscibile mistero della natura delle cose. Dopo aver combattuto per tutto lo Zibaldone per mantenere fermo il mito di una natura perfetta e armoniosa su cui, persa la fede, aveva proiettato la sua aspirazione all’assoluto, Leopardi approdò in fine a lla visione di una natura disumana. Non è pessimismo, ma uno sguardo che abbandona ogni illusione di centralità dell’uomo nell’universo . - La lunga durata del libro filosofico: le Operette morali tra Luciano e Platone Leopardi raffigurò quest’incontro tra l’uomo riflessivo, dotato di ragione, e una natura a lui del tutto indifferente (e quindi, dal punto di vista umano, crudele e mostruosa) nell’operetta morale Dialogo della Natura e di un Islandese. Leopardi inizia a lavorare alle Operette nel 1824, lo stesso anno in cui la scrittura dello Zibaldone inizia a diradarsi: la prosa diaristica dello Zibaldone cede il passo a un progetto di prosa del tutto diverso, che prende subito la forma di libro destinato al pubblico. Come i Canti sono l’unico libro in versi, così le Operette sono l’unico vero e proprio libro prosastico leopardiano. L’ultimo dialogo, quello Tra Tristano e un amico, è del 1832, lo stesso anno in cui Leopardi chiuse il cantiere zibaldoniano. D’altro canto il manoscritto del 1824 è frutto di un lavoro di progettazione e stratificazione di idee e materiali che nasce tra il 1819 e il 1820 , ovvero tra l’anno in cui Leopardi cercò la via del comando negli appunti della Vita abbozzata e l’anno dopo, in cui iniziò la stesura sistematica dello Zibaldone. A questo periodo risalgono le prime tracce dell’idea di una scrittura prosastica comica e polemica nei confronti della società contemporanea. Per Leopardi l a scrittura in prosa ha un’ampia e flessibile articolazione di funzioni che oscilla tra il poetico, il comico e la riflessione razional e . Tutte queste inflessioni si stratifica no e fond ono nelle Operette morali , libro che assumerà una fisionomia più stabile e definita solo nel 1824 , dopo l’esperienza fondamentale del viaggio a Roma. In questo periodo accadde un fatto intellettualmente importante: Leopardi lesse e studiò approfonditamente i dialoghi di P laton e , di cui progettava un’edizione; probabilmente questa lettura fu decisiva nel riaccendere il suo desiderio di scrivere dialoghi in prosa. La lingua e lo stile delle Operette uniscono purezza, precisione, eleganza e forza eloquente. Questi dialoghi sono al tempo stesso intessuti di fili antichi e ben moderni, cioè post - illuministici : con la filosofia platonica Leopardi si misura da una prospettiva critica nietzscheana, in cui l’ironia si fa spesso tragica. - Un libro-sistema vario e labirintico - Le Operette sono un punto di arrivo di un’indagine filosofica che smantella tutti i dogmi metafisici e morali , mettendo a nudo la caoticità di un mondo che è un orribile mistero. Sistema consistente nella negazione di tutti i sistemi, uno scetticismo ragionato che trae ispirazione dal pensiero scettico antico ma lo rivede sotto una luce moderna. Leopardi ha sempre calibrato, nelle diverse fasi di scrittura e pubblicazione, non solo la scelta dei testi ma anche l’ordine complessivo e le alternanze di misura, toni e temi. Nelle Operette troviamo una pluralità di forme testuali che si dislocano lungo una traiettoria che va dal dialogo, alla novella\racconto, al trattato. Il diminutivo plurale del titolo assomma in sé la tradizione umanistica e religiosa. La decadenza moderna si misura sia come incapacità di movimento e mancanza di energia operativa , sia come accresciuto egoismo divenuto perversità e noia mortifera. Molti lettori hanno notato, a partire da Natura e Islandese , un cambio di passo, una variazione di temi, toni e accenti che va nella direzione di una più pacificata e persuasa accettazione della vita e di un risorgere della speranza. - Un libro poetico, ma scritto in prosa - Quando le Operette morali furono pubblicate a Milano, dall’editore Stella, nel 1827, non fu il Cantico, come nell’autografo, a chiudere il testo, ma il Timandro ed Eleandro. Al libro Leopardi affida la riflessione filosofica sul mondo e sull’uomo condotta tenacemente nello Zibaldone , testo parallelo da cui le Operette traggono vita e nutrimento . Il libro è una summa dell’immaginazione e del pensiero di Leopardi. Lo Zibaldone era il primo stadio di possibili situazioni romanzesche e intrecci narrativi che hanno per protagonista l’animale-uomo, la lenta formazione delle sue abitudini, i suoi innumerevoli costumi. Leopardi mira a ricostruire la storia degli uomini tramite i loro linguaggi e le loro assuefazioni. Le Operette, che iniziano con una Storia del genere umano, rovesciano la prospettiva. Quello dell’autore è innanzitutto lo sguardo metafisico di un pensatore disincantato: l’uomo è una delle tante specie viventi che hanno popolato l’universo, e lo popolerà finché esso non muterà forma o si distruggerà. Il poetico delle Operette non nasc e , come quello della lirica, in un impeto soggettivo, ma nella fredda esperienza del moderno; ha attraversato la razionalità di un uomo ormai mutato per sempre, e proprio grazie a questa forza di resistenza esso è per Leopardi morale, ovvero ancora capace di muovere l’immaginazione. LA FILOSOFIA - Leopardi antropologo, moralista, metafisico - Il pensiero antropologico leopardiano ha una portata vastissima e si sviluppa su molt i piani diversi . Intercetta alcuni aspetti della riflessione antropologica di ascendenza vichiana su storia, poesia e mito . Vincenzo Monti, Angelo Mai e Anton Fortunato Stella: quattro lettere indirizzate a Milano. La doppia risposta di Giordani sancisce la nascita di un dialogo fra i più alti e intensi della nostra letteratura. Questo scambio epistolare è per Leopardi uno strumento essenziale e salvifico: in qualche modo gli permette di uscire da Recanati anche quando è costretto a rimanervi. Scrivere da Recanati vuol dire per lui soprattutto scrivere a Giordani. Le prime lettere all’amico si svolgono come su due assi principali, che Leopardi riesce costantemente e naturalmente a far convergere: quello della confessione e quello della dottrina. Entrambi sono familiari con la malinconia. Dopo l’addio a Recanati il 30 aprile 1830 Leopardi intesse un solo nuovo legame epistolare significativo, col filologo svizzero Louis de Sinner. LE TRADUZIONI E GLI SCRITTI FILOLOGICI - La scoperta dell’antico: le tradizioni puerili e i primi studi filologici - I percorsi del traduttore e del filologo non sono attività marginali: lo dimostra il fecondo legame che instaurano con la produzione letteraria e i nuclei fondamentali del pensiero leopardiano , dalla morale all’estetica, dall’indagine linguistica a quella antropologica. Il punto di avvio di questo tragitto sono i volgarizzamenti compiuti in età puerile. Tra il 1809-1811 Leopardi si dedica alla Traduzione dell’Elegia settima del Libro Primo dei Tristi di Publio Ovidio e ad alcune versioni da Orazio, autore centrale per la sua formazione. Non trascurabile la raccolta dei quaranta Epigrammi del 1812, in cui confluiscono alcuni componimenti tradotti dal francese e soprattutto dal latino. Vi compaiono alcune caratteristiche che saranno ricorrenti nei volgarizzamenti futuri. Da sottolineare è per la prima volta un corredo di Note ai testi e di una dotta prosa introduttiva, il Discorso preliminare sopra l’epigramma, dove il giovane Leopardi ripercorre la storia del genere epigrammatico dalle origini alla modernità. Manca ancora un tassello fondamentale affinché l’esperienza traduttiva possa davvero configurarsi come germe decisivo per la scrittura poetica leopardiana: l’incontro col greco , avvenuto nel 1813. È con lo studio della lingua di Omero, condotto in piena autonomia dal padre, che Leopardi saggia una relazione con l’antico non più solo all’insegna di un’impostazione normativo-moralistica, ma contraddistinta da un perturbante contatto con la dimensione del naturale e del corporeo, della spontaneità e dell’immaginazione. Con gli Scherzi epigrammatici siamo a tutti gli effetti fuori dalle esercitazioni puerili. L’esplorazione della lingua e letteratura greca esprime anche un forte slancio agli interessi eruditi e filologici . Il 1815 è un anno molto importante, perché punto di avvio di un triennio che vede il giovane autore cimentarsi nella traduzione in prosa e in versi. - Tra natura e artificio: Mosco e la Batracomiomachia - Prima di osservare da vicino le traduzioni del 1815-17 vale la pena soffermarsi sulla più importante impresa erudita di questo periodo, il Saggio sopra gli errori popolari degli antichi (1815). Da un lato i frammenti di traduzione in esso disseminati s ono un utile supporto alla strategia argomentativ a e allo smascheramento dell’errore ; dall’altro la loro stessa cospicua presenza è una tangibile testimonianza del sempre più pressante richiamo deduttivo esercitato dall’orizzonte poetico e antropologico degli antichi. È da questa duplice prospettiva che occorre guardare alle prove organiche di traduzione compiute nel 1815: le Poesie di Mosco e La guerra dei topi e delle rane. Nonostante le loro nette differenze (essendo rispettivamente una raccolta di nove idilli e un epigramma e un poemetto eroicomico), le due versioni hanno alcuni tratti in comune. Leopardi è ben consapevole che la Batracomiomachia è una riscrittura parodica dell’epos omerico, e quindi un’opera programmaticamente riflessa, artificiosa. Si sente quindi sciolto e autorizzato a dare più spazio alla libera rivisitazione. - Omero, Virgilio, Esiodo: le traduzioni del 1816-17 - L’intenso impegno del traduttore si concentra in rapida successione sul canto I dell’Odissea (inizio 1816), il libro II dell’Eneide (estate 1816), le Iscrizioni greche triopee (ottobre-novembre 1816) e infine sulla Titanomachia di Esiodo (fine 1816-1817). Nel tradurre Omero Leopardi non si prodiga solo in una tenace riproduzione verbum di verbo, ma ricerca una foggia linguistica il più possibile equivalente a quella omerica ; da una parte abbandona in latinismi e calchi etimologici, dall’altra risale fino alle origini della letteratura italiana. Queste scelte soddisfano anche l’intento di distinguersi dai precedenti traduttori. L’Inno a Nettuno è presentato da Leopardi come la traduzione letterale di un antichissimo ma inesistente testo greco dal forte sapore omerico. Questo sorprendente componimento mostra quanto il dominio del traduttore e quello del poeta si sovrappongano e alimentino a vicenda: Leopardi traduce fedelissimamente per essere poeta alla maniera degli antichi. Poco dopo il Saggio di traduzione dell’Odissea Leopardi inizia a vergare le primissime pagine dello Zibaldone: si apre quindi un nuovo fondamentale scenario che eredita importanti sollecitazioni da questo ciclo di versioni. - Due volgarizzamenti dimenticati: Frontone e Dionigi (1816-17) - Leopardi v olgarizza poi alcuni testi in prosa appena riscoperti da Angelo Mai : le opere fino ad allora inedite di Frontone e vari frammenti delle Antichità romane di Dionigi di Alicarnasso . Queste traduzioni sono un passaggio rilevante della vicenda intellettuale del primo Leopardi. Si prenda innanzitutto Frontone: è stato costantemente sullo scrittoio di Leopardi, e la sua lettura gli ha impresso un marchio duraturo, sia sul piano linguistico-letterario sia su quello morale. Leopardi vede nella foggia arcaizzante degli scritti frontoniani un efficace modello d ’ imitazione : lo scrittore latino è ai suoi occhi un valido esempio di come si possa riannodare fecondamente il moderno all’antico e si possa far sì che lo studio manten ga vivo in tutta la sua ricchezza il potere espressivo e persuasivo della parola letteraria. Frontone è per lui come un vero e proprio maestro di vita: il retore latino si fa portavoce di un modello morale fondato non su principi assoluti, ma sul pragmatico ancoraggio alle circostanze e alle contingenze ; tutti elementi fondamentali per la futura speculazione filosofica leopardiana. Anche la traduzione di Dionigi di Alicarnasso incise molto sul poeta: gli diede alcuni utili spunti per la riflessione sull’orizzonte morale e antropologico degli antichi e pure redditizie sollecitazioni su l problema dell’imitazione . Il volgarizzamento delle Antichità romane risponde anche alla ricerca di un equilibrio tra scritto e parlato , tra codificazione grammaticale e libera freschezza orale : vi si può rintracciare il punto di partenza di molte annotazioni zibaldoniane sul rapporto tra lingua dotta e popolare. - Tra imitazione e creazione: la riflessione sul tradurre nello Zibaldone - Finiti i volgarizzamenti in versi e in prosa del 1815-17, Leopardi si astiene per oltre cinque anni dalla tradu zione . Ma il vertere non scompare dai suoi interessi: già nella sezione incipitaria dello Zibaldone è al centro di dense e lunghe meditazioni che ne evidenziano le implicazioni linguistiche, storiche, antropologiche, estetiche . Leopardi si concentra su d ue questioni principali : il problema dell’equivalenza tra il testo di partenza e il testo d’arrivo; la riflessione sulla possibilità di eseguire una versione non solo pienamente attendibile, ma anche dotata di tale naturalezza da assumere a tutti gli effetti la fisionomia di un’opera originale autonomamente godibile . A entrambi i quesiti Leopardi dà una risposta negativa: l’affettazione e l’artificio sono elementi ineludibili del tradurre, ma un’opera non può mai essere esattamente riprodotta in un’altra lingua e in un altro contesto. Leopardi crede dunque nell’assoluta impossibilità di una traduzione perfetta, ma non rinuncia per questo alla ricerca di un modello traduttivo di riferimento, che sia un incrocio tra l’imitazione e la creazione . Leopardi prende anche le distanze dalla traduzione intesa come mero calco e copia esatta dell’originale. Il vero obiettivo del traduttore è, per Leopardi, mantenere il più possibile intatto sia il carattere del testo sia l’indole della lingua che lo ospita . Il suo scopo è dunque quello di mantenere una somiglianza. Leopardi dichiara l’italiano lo strumento più adatto al passaggio da un idioma all’altro , perché può adattarsi a ogni tipo di stile. - La nuova stagione del tradurre: dai Versi morali ai Moralisti greci (1822-27) - Il 1823 può dunque essere assunto come il confine entro cui si trovano le più significative esternazioni zibaldoniane sul vertere. Leopardi è ormai tornato pienamente a misurarsi con la pratica traduttiva, sia in versi sia in prosa. T ra la fine del 1823 e l’inizio del 1824 compie un’importante serie di traduzioni innervate da antiplatonismo: il Volgarizzamento della satira di Simonide sopra le donne, di Simone di Amorgo, e il gruppo dei Versi morali dal greco. Con questi volgarizzamenti siamo a pieno contatto con uno dei nuclei pulsanti dell’esperienza leopardiana: la ricerca di una possibile salvaguardia, tramite la parola, del potere vitalizzante delle illusioni , nonostante -e anzi proprio in virtù- della consapevolezza del vero. La alimentano la predilezione di Leopardi per l’antica saggezza pratica, empiricamente legata all’interpretazione delle circostanze, e il rigetto per la morale fondata su principi assoluti e metafisici, cioè quella fissata dal cristianesimo moderno e razionale e inaugurata da Platone. - Gli ultimi anni del traduttore filologo Il confronto con Platone consente di constatare nuovamente quanto il traduttore e il filologo convivano e si supportino a vicenda. La lettura sistematica del filosofo greco, intrapresa a Roma nel 1823 e proseguita a Recanati fino ai primi mesi del 1824, è un presupposto determinante per i Versi morali , i Moralisti greci e le Operette , ma anche occasione per la stesura di una cospicua serie di osservazioni filologiche sull’interpretazione di vari passi dei dialoghi platonici. I lavori filologici del poeta aumentano grazie al suo accesso alle biblioteche di Roma durante la sua permanenza nella città. Non è del tutto casuale il fatto che l’impegno traduttivo e filologico esauriscano la loro spinta in contemporanea: dopo il 1827 non si registra alcun lavoro organico sull’esegesi e la critica testuale rigorosamente intesa, e al 1827 risalgono anche gli ultimi atti della lunga carriera di traduttore (la parziale versione dell’epistola petrarchista Impia mors e la pubblicazione dell’Orazione di Gemisto Pletone). Nel 1828 Leopardi riprende la sua produzione poetica. L’ultimo messaggio del libro poetico leopardiano è affidato all’insegnamento morale di un antico che , conscio dell’esposizione al male e dell’umana caducità, esorta chi legge a saper cogliere il piacere nell’immediatezza delle circostanze . LA LINGUISTICA - La scoperta del Leopardi linguista - Il riconoscimento dell’importante ruolo di Leopardi nella storia dell a linguistic a è una conquista recente : se ne parla in Storia della lingua di Serianni, e Marazzini lo definisce uno dei maggiori linguisti italiani della prima metà dell’800. Qualcosa inizia a cambiare nell’esegesi leopardiana solo dopo il secondo dopoguerra, grazie alla tradizione di studi inaugurata da Cesare Luporini, Walter Binni e Sebastiano Timpanaro, che ha evidenziato il carattere filosofico e laico del pensiero di Leopardi e il suo intrecciarsi con l’invenzione letteraria e poetica. - L’interesse di Leopardi per questioni di lingua e linguaggio. Un primo sguardo - Al 1820 è databile l’ideazione del primo prontoindice dello Zibaldone (la cui bella copia è del 1823), in cui Leopardi dà inizio a un primo tentativo di indicizzazione e registrazione dei lemmi usati nel suo “scartafaccio” per individuare i concetti e campi semantici. A esso seguono lo Schedario di 555 schedine mobili , un secondo protoindice, l’Indice steso a Firenze tra il luglio e l’ottobre del 1827 e le Polizzine a parte “non richiamate nell’indice”, a testimonianza dell’esigenza di leopardi di esercitare un controllo stringente sul suo pensiero e la sua scrittura. Delle 810 entrate che costituiscono l’Indice del mio Zibaldone di pensieri 89 sono specificatamente linguistiche e vertono su singole lingue, particolari fenomeni linguistici o questioni teoriche generali. Delle 4526 pagine dello Zibaldone, circa un migliaio sono dedicate a questioni di lingua. L’idea di un vocabolario universale e uropeo è presente negli intenti di Leopardi fin dal 1821, quando sostiene che l’Italia non deve isolarsi. Negli anni a Firenze c ollabora al Vocabolario della lingua italiana di Giuseppe Manuzzi, ristampa della quarta impressione della Crusca. Degli altri progetti abbiamo notizia leggendo l’Epistolario. - Leopardi e le questioni linguistiche del suo tempo - La diffusa credenza che tutte le lingue derivassero dall’ebraico gradualmente scompare. Leopardi registra le osservazioni sulle somiglianze fra le lingue lontane e diverse fatte nei secoli precedenti dai missionari cattolici. Valorizza l’utilità di un metodo comparativo nello studio delle lingue e dà g rande importanza alla ricerca etimologica. La linguistica leopardiana vede poi la lingua italiana come un problema storico nazionale : ritiene l ’unità della lingua uno strumento sociale di una nazione unita spiritualmente . Leopardi s’inserisce in modo fecondo e originale nel panorama linguistico del suo tempo. Nel dibattito sulla lingua italiana si fronteggiavano i difensori del purismo linguistico, che miravano al recupero del fiorentino del ‘300, e i classicisti, che combattevano le tesi toscaniste e puriste. Leopardi si distanzia sia dai puristi che dai libertini, ma coltiva un fitto dialogo coi classicisti, specie con Pietro Giordani. Sente l’esigenza di preservare, per fini estetici e artistici, i valori stilistico - linguistici della più autentica cultura letteraria modellata sui classici , ma reputa necessaria la partecipazione dell ’ italian o al linguaggio e al lessico intellettuale ormai diffuso nelle lingue colte d’Europa. Sente fortemente il bisogno di ricomporre la separatezza dell’idioma nazionale d alla lingua viva comune e di conseguenza di ridurre il divario tra lingua parlata e scritta . - Leopardi linguista e filosofo del linguaggio - Leopardi passa da dettagliate annotazioni filologiche ed etimologiche ad analisi lessicologiche a problemi di storia dell’italiano, fino ad ampie digressioni su temi di filosofia del linguaggio. Si è formato all’insegna del sensismo e materialismo degli ideologues, per i quali la sensazione e l’esperienza sono all’origine delle nostre conoscenze. Il pensiero umano è allora un pensiero linguistico; in questo Leopardi è in sintonia con la semiotica sensista, per la quale il pensiero è indissociabile dal segno, mentre è ben lontano da una visione strumentale e convenzional e del linguaggio. Le lingue, secondo Leopardi, variano nello spazio e nel tempo. L’IRONIA E LA COMICITÀ - Comico antico e moderno - Chi ride nelle opere di Leopardi? Ride Eleandro; ride amaramente Tristano, alla fine delle Operette; ridono i fantasmi dei topi alla fine del Paralipomeni, quando Toccafondo li interroga; ride il poeta stesso quando si rivolge a Gino Capponi nella Palinodia e finge di mettersi in ridicolo di fronte ai suoi contemporanei. Il riso compare tardi in Leopardi, è una caratteristica del suo stile tardo . È l’ultima arma di difesa rispetto alla fine delle illusioni, rappresenta l’estremo atteggiamento possibile nei confronti di un mondo che non consente altra ipotesi di spiegazione e sopravvivenza. Assistiamo a un Leopardi lirico finché il canto è praticabile, a un Leopardi prosastico nel 1824, anno delle Operette, e infine a un Leopardi satirico quando il riso diventa pervasivo e s’infiltra anche nella produzione in versi, approdando ai Paralipomeni e ai Pensieri. La contrapposizione tra antichi e moderni diventa quella tra il sostanzioso corpo del comico antico e il comico moderno: ● Il comico antico era nelle cose, ed era fatto d’immagini, similitudini, paragoni, racconti; ● Il comico moderno è nelle parole, e nasce da composizione di voci e giochi di parole. - Verso le Operette - Leopardi sente una distanza incolmabile tra il suo presente e il mondo antico. Questa distanza implica anche un indebolimento fisico, una specie di languore che si trasmette tramite i soffi e gli aliti con cui le parole antiche riescono ancora a lambire il presente. Anche il comico era dunque per gli antichi un fenomeno corporeo, mentre i moderni lo hanno reso evanescente , legandolo soprattutto ai giochi di parole, allo spirito.
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