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Fejfak: Cippi Funerari a Forma di Barca in un Cimitero Calvinista Ungherese, Schemi e mappe concettuali di Antropologia Culturale

Antropologia socialeArcheologiaStoria delle Religioni

Una particolare forma di simbologia tombale, i cippi funerari a forma di barca, presente in un cimitero calvinista dell'Ungheria nord orientale. Esploriamo le caratteristiche e la cultura associata a questi oggetti unici. anche informazioni sulla nicchia culturale Szabolcs-Szatmàar-Bereg e sulla simbologia dei simboli tombali in generale.

Cosa imparerai

  • Quali simboli tombali dominano nel cimitero di Cseke?
  • Come sono differenti i cippi funerari a forma di barca rispetto agli altri?
  • Quale forma hanno i cippi funerari a forma di barca?
  • In quale comitato ungherese è situato il cimitero con questi cippi funerari?
  • Che tipo di simbologia tombale si analizza in questo documento?

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2018/2019

Caricato il 03/11/2021

alezu
alezu 🇮🇹

4.5

(11)

5 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Fejfak: Cippi Funerari a Forma di Barca in un Cimitero Calvinista Ungherese e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Antropologia Culturale solo su Docsity! 1di12 Oltre l’isola - Boros 1. Introduzione Sistemi funerari + terreno di studio estremamente importante per l'antropologia culturale perché legati ad un momento di alta criticità per le continuità culturali dei gruppi che li attuano + momento della morte di un individuo membro di una comunità. Ricerca sul campo dal 1996 al 2000. Approccio disciplinare + impostazione teorica e metodologica dell’antropologia interpretativa e visuale, che studiano i tratti culturali sempre come elementi immersi in un contesto + la narrazione della ricerca, la sua traduzione, spazia su tutto l'habitat culturale in cui si produce un artefatto. La ricerca + parte dall’analisi di un particolare tipo di simbologia tombale, i cippi funerari a forma di barca, in una loro variante presente solo in un cimitero calvinista dell'Ungheria nord orientale. A questi cippi funerari sono attribuite una serie di funzioni e valenze che si proiettano anche in diversi segmenti della vita della comunità locale. 1.1 Interpretare, tradurre, tradire: lo sguardo antropologico Il viaggio + rispecchia il percorso di una ricerca ed è una metafora dell’umana esistenza. Esso implica l’attraversamento di luoghi e non luoghi, comporta l’incontro con manufatti culturali (oggetti ed idee ed emozioni umane) la cui natura attrae l’attenzione. Esso può porre l’uomo di fronte allo spaesamento sia fisico che del pensiero, in un percorso che dall’ordine del conosciuto porta al disordine del non noto. Il viaggiatore + esperienza intellettuale grazie alla quale riesce ad oltrepassare il confine dell’ordine certo, consueto, abituale. Antropologo viaggiatore + si sposta in terreni certi per l'Altro, cerca di dialogare, di ascoltare e vedere. Tra viaggio, esperienza e pensiero c’è una corrispondenza + il risultato del lavoro dell’antropologo è un’interpretazione frutto della mediazione tra due culture. La traduzione + finalizzata ad essere comunicata in qualche forma che non è mai identica all’originale. Prima di tradurre, l'antropologo deve individuare un testo + esso è sparso nel contesto, frasi, parole, gesti, silenzi e immagini. Ci sono dei collegamenti tra interpretare, spiegare, far conoscere, trasformare e riportare + la traduzione è interpretazione, spiegazione ma anche trasformazione. Tentare di interpretare è una scelta complessa che richiede attenzione profonda verso i piccoli e grandi fatti, verso le presenze e le assenze, verso gli atti, agiti o meno, verso gli attori, verso le proprie categorie logiche che mediano la comprensione dei fatti culturali. Necessaria la consapevolezza della molteplicità degli approcci possibili ad una cultura e, di conseguenza, prepararsi ad una interpretazione in chiave antropologica che deve mantenere un mutuo scambio con le altre discipline. La meta del viaggio + quello che conta è che lo sguardo dell’antropologo sia dotato delle componenti, delle sensibilità, della disponibilità a mettersi in gioco, non è necessario compiere grandi viaggi per poter osservare contesti culturali. 1.2 Oltre le isole della morte: ricerca e terreno Tema della ricerca + uno dei luoghi umani più complessi e dibattuti: il luogo della morte. Luogo + duplice valenza: astratta e materiale. * Luogo astratto + individua una porzione di vita in cui avviene un passaggio irreversibile dall’esistenza alla non esistenza, rispetto a delle coordinate spazio-temporali e indica uno spazio fisico. * Luogo materiale + si colloca, in molte culture, all'estremo limes che separa e ad un tempo rende contigui il vivente ed il defunto. 2 di 12 Passaggio + coinvolge chi lo subisce ed ha un complesso e profondo impatto anche su tutti coloro che sono legati al morto. Rapporto dell’uomo con la morte + meditato da una fitta serie di rituali tendenti a propiziare la continuità. Oggetto rituale + funzionale al rapporto tra l’uomo e la morte + cippo funerario + segnala e rappresenta un /imes oltre al quale si apre un orizzonte incerto, ci è ciò di cui non possiamo avere esperienza. Analizzare i cippi funerari, può contribuire all’interpretazione di una cultura. L * | cippi funerari di cui ci si è occupati con questa ricerca sono presenti solo nel cimitero calvinista di Szatmàreseke, un piccolo paese dell'Ungheria nord-orientale + è una nicchia culturale situata a poco più di un migliaio di chilometri dal confine orientale italiano, geograficamente vicini, ma culturalmente distanti. * In questa cittadina è presente un particolare tipo di cippo funerario che fa parte della vasta famiglia del fejfa. * Fejfa + “legno” o “albero” (fa) “di testa” (fej) e sono posizionati vicino alla testa del defunto e sono ricavati da un tronco d’albero. *. 1 Fejfak differiscono per dimensioni e forma, ma quello presente all’interno del cimitero di Szatmàreseke è il fejfa a forma di barca. L'uomo ha bisogno di legare la propria comunicazione con gli scomparsi ad un simulacro attraverso il quale mantenere un contatto con una proiezione del morto. La materia prima di questa proiezione è il nostro ricordo, poiché l’altro non è più, così restano solo la memoria individuale e collettiva a rappresentare il defunto. 1.3 Piani di sviluppo: il lavoro di ricerca La ricerca + divisa in quattro fasi. 1. Documentazione bibliografica: studiato la produzione dell’etnologia ungherese sull'argomento, ma era carente, quindi si è optato per un esame a più largo spettro di tutta la letteratura relativa ai fejfak in genere + nella forma del fejfa ed in alcuni disegni ed intaglia che compaiono sulla sua superficie, sembrano ritornare alcuni elementi simbolici e plastici che ricordano strutture e simbologie legate a culti arcaici ed al mondo degli sciamani. Particolare importanza dato allo studio dell’assetto idrogeologico del territorio, al corso storico della regione per cogliere i molteplici aspetti della cultura locale. 2. Lavoro sul campo: soggiorni sul campo stabilendo una serie di contatti con etnologi: Si sono cercati riscontri sul terreno e stimoli + è stato possibile costruire un primo quadro delle dinamiche territoriali locali. 3. Preliminare analisi ed elaborazione del materiale raccolto e successivamente un’ulteriore ricerca di fonti + particolare attenzione a tre elementi: 1. Collocazione dei cimiteri rispetto al territorio: stufata la collocazione rispetto all'asse di sviluppo della località di riferimento, la presenza di limit naturali od artificiali a delimitazione dell’area cimiteriale, l’inesistenza di vie o attraversamenti. 2. L'organizzazione interna: si è sondata l’esistenza di omogeneità nella disposizione delle tombe, nella loro tipologia, la presenza di piante. 8. L’insieme di notizie raccolte dalle persone incontrate. 4. Riunito, valutato ed analizzato tutto il materiale. 2. Una nicchia culturale Szabolcs-Szatmàar-Bereg è il nome del comitato nel quale è situata la comunità si Cseke, il comitato si può definire una nicchia culturale + un terreno nel quale permangono fenomeni culturali agiti dalla popolazione e tuttora attivi come motori d’identità sociale, a dispetto delle loro origini, presumibilmente, assai lontane nel tempo. 5 di 12 impone che la sua famiglia venga rispettata + il simbolo tombale diventa oggetto di una proiezione di un contenuto soggettivo che viene estraniato dal soggetto. 2. La presenza di forme differenti della testa. La questione della rappresentazione del defunto attraverso il fejfa e dell’interpretazione del significato simbolico racchiuso nelle dimensioni del cippo, è ulteriormente complicata da un altro importante elemento: in molti casi, molte persone provvedevano da vive a scegliere l’albero o il tronco dal quale sarebbe stato ricavato successivamente il loro fejfa. Scegliere l'albero per il fejfa per tempo era considerato un segno di saggezza, ma non a tutti ciò risultava possibile per i costi proibitivi. Il costo del tronco per il fejfa è un altro fattore che entra in gioco: al novero delle voci comprese nel prestigio associato ad un defunto, si deve aggiungere anche quella del rango sociale + chi poteva permettere di premunirsi di una grossa quercia, ben prima di morire, già da vivo confermava il proprio rango sociale e la propria adesione ai rituali della comunità. C’è stato un periodo in cui, grazie alla Cooperativa di Produzione Agricola, il legno per il fejfa veniva fornito gratuitamente a tutti, il che comportò un certo livellamento delle dimensioni dei fejfak. Le cooperative però furono sciolte e tornò comune il fatto che chi ha più denaro compra un albero più grande, e chi ne ha meno, uno più piccolo. Purtroppo, inoltre, il legname disponibile è divenuto sempre meno, anche a causa delle massicce esportazioni verso paesi occidentali + offerta scarsa, domanda in aumento + molte persone non possono permettersi una sepoltura con il fejfa. L Due tendenze contrapposte: 1. Chi pur di avere un fejfa sulla propria tomba, sacrificano quanto rimane loro in denaro per non pesare nel momento della morte sui figli. 2. Altri, invece, si lamentano del fatto che nel cimitero di Cseke ci si può far seppellire solo con il fejfa e che una volta il tutto era gratuito e sentito da tutta la comunità. L In forme diverse ma con lo stesso contenuto + diffondersi di una disaffezione forzata nei confronti del culto dei morti tradizionale. È quindi possibile individuare una relazione, non costante, tra la dimensione del cippo ed una caratteristica del defunto + lo status sociale, il rapporto con la comunità di appartenenza + e contempla una serie di variabili: la rispettabilità, il rango e l'adesione al sistema culturale locale. Grazie a questo, l’interpretazione di questo aspetti può aver luogo attraverso diversi piani di lettura del simbolo tombale e dipende soprattutto dalla conoscenza del contesto posseduta da chi osserva. Fra i primi obiettivi verso i quali è diretto il messaggio simbolico del fejfa vi è la memoria pubblica: il fejfa rappresenta una simbolizzazione del possesso, da parte del morto, di un certo numero di virtù che rendono l’individuo “per bene”, virtuoso. 4.2 A Sziget: l'Isola cimitero, la sua storia, la sua struttura Il cimitero calvinista di Cseke è chiamato familiarmente “Isola” proprio perché risparmiato dalle numerose devastazioni dell’acqua che hanno spesso colpito la cittadina. La popolazione di origine ungherese tende a “preferire” la parte centrale del cimitero per la sepoltura dei propri cari, mentre gli Zigani vengono sepolti nelle zone più estreme del cimitero. La ragione ufficiosa è che gli Zigani, tempo fa, non versavano i loro contributi alla Chiesa Calvinista e per questo venivano sepolti ai bordi del cimitero. È però chiaro che esistono altri fattori, legati a discriminanti di origine etnica e anche morale. Il cimitero dunque risulta diviso in tre parti: una occidentale digradante in modo accentuato che la popolazione identifica come “sinistra”, una centrale e rialzata ed una orientale con una pendenza non marcata, comunemente detta “destra”. Questo stesso orientamento è rintracciabile anche nello sviluppo di Cseke: l’asse è lo stesso, ovest-est ed anche nel villaggio, come nel cimitero, gli Zigani si concentrano alle due estremità del paese, ma questa analogia è solo apparente + gli Zigani erano raggruppati in una specie di quartiere zigano successivo all'apertura del cimitero. Questo quartiere fu poi chiuso e gli Zigani furono redistribuiti nella periferia 6 di 12 occidentale ed orientale + è la localizzazione etnica del paese a rispecchiare quella del cimitero, più che il contrario. Ci sono 5 diverse epoche in cui il cimitero di Cseke può essere stato fondato: 1. Il periodo precedente alla “Nascita della Nazione”, che pur non riguardando esclusivamente le popolazioni ungariche, i sistemi di sepoltura dei secoli precedenti al XI secolo sono importanti perché hanno avuto particolare influenza su quelli degli ungheresi. 2. La “Nascita della Nazione”, in cui le sepolture avvenivano fuori dai villaggi. 3. Tra ’XI ed il XIV secolo, venne emanata una legge che aveva finalità di cristianizzazione ed era mirata a stroncare rituali di sepoltura di origine pagana, questo però portò a un sovraffollamento perché le tombe dovevano essere collocate obbligatoriamente attorno alle chiese, causando anche problemi di igiene. 4. Il cimitero del “cinterem” fu progressivamente abbandonato e le sepolture vennero fatte all’esterno dell’abitato, in particolare nell’area nord-orientale del paese, in posizioni sopraelevate, al riparo da inondazioni. 5. Caratterizzata da una modifica dei sistemi di sepoltura, con il dilagare dei loculi in parete, dalla riesumazione ed incenerimento dei resti per far fronte al problema del sovraffollamento. La vecchia chiesa di Cseke giaceva sullo stesso terreno di quella attuale, intorno alla quale, in diverse occasioni, sono stati effettuati dei lavori di scavo, nel corso dei quali sono state trovate ossa umane in grande quantità. La posizione dei ritrovamenti e la loro profondità, confermerebbe dunque, la presenza del cinterem intorno alla chiesa protestante. Sulla più antica mappa catastale, compare distintamente la vecchia chiesa protestante con ben distinguibile, a est, il campanile in legno, probabilmente è da datarsi al 1790, considerato che le indicazioni delle vie sono in tedesco ed, in parte, in ungherese. In questa mappa è distintamente visibile il cimitero protestante nelle sue dimensioni originali, e nella sua collocazione attuale, si notano inoltre dei segni che probabilmente riproducono i fejfak, quindi il cimitero protestante già esisteva nell’attuale collocazione anche se con un’estensione minore. La prima sepoltura avvenne nel giugno 1776. Ascoltando le risposte degli interlocutori, a proposito della disposizione del defunto e del fejfak sull'asse est-ovest, parrebbe che il simbolo tombale ed il defunto siano due entità distinte ma non separate. * Il fejfa che guarda verso il tramonto della vita dell’uomo, nell’atto di “guardare” lo rappresenta. * AI cippo funerario in quanto tale, viene delegata la missione di contemplatore del destino umano, della sua caducità, quasi un memento metaforicamente espresso dall’albero di testa che osserva l'occidente umano, segna il traghettamento dell’uomo alla morte. * Il corpo dell’uomo, invece, giace alle spalle del cippo, posizionato dai vivi in modo tale da essere pronto alla rinascita. Potenzialmente il morto può guardare il sorgere del sole e come il sole torna a nuova vita. La particolarità della pratica funeraria collegata ai fejfa a forma di barca è vista come segno distintivo a più livelli. 1. Rappresenta il riconoscimento alla comunità della nobile capacità di mantenere compitamente una tradizione. 2. Questo rispetto si traduce materialmente in una sorta di ordine umano che opera nel cimitero, organizzato per file. La comunità, dunque, struttura lo spazio in cui seppellire i propri morti, senza intaccare l'ordine, il decoro, naturale del luogo di pace. 4.2.1 Salvare il cimitero. Restauro conservativo dei beni culturali Nei primi anni ’70, grazie all’interessamento di alcuni studiosi, la Soprintendenza Nazione ai Beni Monumentali (0.M.F.) inserì il cimitero tra i Beni monumentali ed organizzò un progetto per il suo restauro complessivo. I lavori si sono conclusi nel 1980 ed hanno comportato l’estrazione di tutti i fejfak. Alcuni sono stati sostituiti, altri sono stati consolidati, ricostruiti, ognuno è stato immerso in una soluzione fungicida e conservante. Ma ci sono dei cambiamenti significativi nella planimetria tra prima e dopo il restauro: alcuni fejfak non sono stati rimessi a dimora, altri sono stati collocati in ubicazioni nuove, c’è un minor numero di fejfak “accorciati”, i cippi sono disposti in modo più ordinato e sono tutti ben dritti + alcuni degli aspetti caratterizzanti il cimitero sono stati “corretti”. (+ l’ultimo punto dei riti funebri oggi, nel riassunto) 7 di12 4.3 Barche, uomini, simboli o fantasia? Interpretare i fejfak Fu Solymossy nel 1930 a occuparsi per primo dei fejfa di Cseke in un saggio intitolato “Antiche forme del fejfa presso la nostra gente”. Nonostante la discontinuità dell’articolo, l’etnografo propone una descrizione dei fejfak in sintonia con i tempi ed offre fin dall'invio un significato degli intagli presenti sulla parte superiore, anteriore, dei cippi. Egli dà per appurato l’antropomorfismo dei cippi, tanto che, volendo segnalare le caratteristiche arcaiche immediatamente visibili su fejfa, scrive: “tali sono il volto umano, che risulta subito visibile, e la linea mediana pronunciata che corre sul dorso del ceppo fino ai piedi”. Lo studioso si è inoltre chiesto come questo simbolo possa essere durato nei secoli in un paese così piccolo: forse il motivo è da ricercarsi nel fatto che il villaggio è situato in un luogo isolato. Più complicata è la questione relativa al significato originale del volto umano e della linea mediana: a cosa potevano servire? Tutto il fejfa, se dalla sua posizione verticale lo sdraiamo in orizzontale, diverrà una perfetta metà di barca. Solo in ciò può stare il motivo della curvatura in avanti della testa dei tipi originali di fejfa. Anche il volto umano non può rappresentare altro che un uomo che guarda verso l’alto sdraiato dentro una barca. Le tesi prodotte da Solymossy, però, rimangono delle supposizioni, soprattutto perché egli non mise mai piede a Cseke. Riguardo a quel che affermava Solymossy riferito al contesto, è vero, il villaggio in diversi periodi veniva travolto da tre piene annuali in cui l’unico mezzo di trasporto era la barca. L’etnografo mise in risalto il legame tra la barca e i rituali funebri, citando delle leggende locali, molti anziani pescatori di palude furono sepolti sulle isolette delle paludi. Legate alle barche ci sono diversi racconti mitologici, secondo il quale la braca, in passato, ha avuto una notevole importanza nello sviluppo sociale e culturale della popolazione locale. Dopo aver constatato la centralità della barca sia sul piano pratico, come mezzo di trasporto, che sul piano simbolico, si passa al verificare l’esistenza di un'associazione fra barca e rituale funebre. Nell’area finno-ugrica è presente un’analogia linguistica tra bara e barca. Esiste inoltre una precisa corrispondenza, anche materiale, tra la bara e la barca (o la slitta), sappiamo che in molte regioni dell’area ugro-finnica, era praticato, con modalità differenti, l’uso di seppellire i propri morti dentro barche a mo’ di bare. L’illustre antropologo Hoppàl osservò che diversi popoli ottenevano dalle barche le bare, ma non solo tagliando la prua, anzi, frequentemente la barca veniva tagliata a metà o più verosimilmente a misura del defunto. La metà restante della barca, invece, spesso veniva posta sopra la tomba, rovesciata. Per trovare una soluzione al dubbio di Hoppàl che si chiese com'è possibile che questo tipo di fejfa sia presente solo in un’area cos’ ristretta del paese, perché se fosse veramente un’eredita ugrica, dovrebbe essere più diffusa, possiamo affrontare il dubbio da due angolazioni. 1. Per prima cosa vale la pena ricordare che i fejfka di Cseke sono unici nel loro aspetto complessivo ma fanno parte di famiglie tipologiche di sirje/ (simboli tombali) esse in tutta l’area calvinista ungherese. | fejfa di Cseke sono unici perché conservano o propongono in modo piuttosto esplicito una forma che richiama fortemente quella della barca. 2. L’antropologia concentra buona parte della propria attenzione su fenomeni locali, non c’è da stupirsi se una particolare manifestazione culturale persiste in una zona limitata. Fra gli esempi relativi alla relazione tra barca e bara, si può inserire anche quello della bàrka. Con questo nome viene chiamata una struttura in legno che veniva usata durante le sepolture. La fossa in cui viene collocata la bara, ha una forma particolare. Per la differenza di larghezza, nel punto di passaggio dalla parte più stretta a quella più larga, si forma una sporgenza che viene sfruttata come base di appoggio per delle assi di legno che vengono poste orizzontalmente nella fossa, creando una sorta di tetto sopra la bara. Si possono individuare tre gruppi diversi per interpretare la forma del fejfa. A Cseke, però, non venivano usate solo delle semplici assi ma una struttura particolare detta appunto bàrka. Questa struttura veniva prodotta assemblando delle assi sgrossate con l’ascia, così da ottenere una forma simile a quella di una barca rovesciata che veniva poi posta sopra la bara. 10 di 12 anche nel rapporto tra intagliatore e comunità, da quando il maestro si è visto costretto a chiedere un rimborso per le spese che deve sostenere per la preparazione del cippo. Cambiamenti significativi sono avvenuti anche nella modalità di preparazione del cippo: l’uso della motosega per lo sgrossamento e l’uso di pitture ed olii sintetici per la verniciatura ed il trattamento del legno. Oltre ai cambiamenti nel tipo di lavorazione del legno, sono stati iniziati a essere preparati dei fejfak senza che fosse morto qualcuno, in tutte le occasioni, però, si è trattato di esaudire delle richieste non locali e di enti o persone non intenzionate ad adibire i cippi a simboli tombali. Nel tempo si è notato dei segnali di stress che mettono in evidenza una serie di rischi di abbandono non solo per i fejfak ma per tutto il sistema rituale ad essi collegato. Vi è innanzitutto una cura diversa dei simboli tombali e nel mutare della disponibi alla cura della memoria possiamo identificare un primo segno di cedimento. La durata media dei fejfak si accorcia, poiché sempre più spesso una volta rotti non vengono ripiantati, dall'altra si cercano degli escamotage per prolungare la permanenza delle tombe. Fino a pochi anni fa il fatto che la durata dei fejfak avesse una scadenza era considerata una cosa normale, com’era normale che il cippo sarebbe durato di più se qualcuno se ne fosse preso cura. Adesso si prende ad inseguire una forma di memoria che sia autosufficiente, che non abbia bisogno di cure. Forse a Cseke la differenza tra l’ambiente cittadino e l’ambiente del cimitero ha subito un ulteriore divaricazione a causa dell’accelerazione repentina del primo ed il senso dell’orientamento culturale ne è rimasto scosso. paradossale, perché è l’uomo ad aver deciso di formare il cimitero così com’è ma non ricorda più perché, perché il contesto del suo progenitore a cui venne “l’idea” era diverso da quello dell’uomo di oggi. Forse quello che potrebbe essere cambiato a Cseke è il rapporto con la memoria. Dover curare la memoria, un fejfa, significa ricordare, significa aver a che fare con la più anti-moderna ed anti-tecnologica delle problematiche umane: la morte degli altri e quella propria. 5. Dentro il racconto: narrazioni, traduzioni, nella pratica della ricerca antropologica 5.2.1 La rappresentazione e la percezione del sé: la disemia nelle narrazioni Quando la narrazione avviene attraverso dei colloqui la conoscenza della lingua dell’interlocutore risulta essere un fattore fondamentale, a che se non insostituibile, che consente di avere maggiori disponibilità di ricevere dall’Altro immagini che giungano attraverso il self-tnowledge piuttosto che attraverso il self- display. Qui si inserisce il concetto di “disemia” di Herzfeld: una sorta di dicotomia, di dualismo, quasi di “doppia personalità” fra il self-display e il self-knowledge delle persone, ossia tra il modo in cui la persona si rappresenta e quello in cui si percepisce, in ciò si possono verificare delle antitesi, senza che ciò comporti nell’individuo la sensazione della presenza di una contraddizione. Questa doppia corrispondenza significherebbe che per poter entrare in contatto con la persona attraverso la mediazione della sua percezione del sé è necessario conoscere la lingua popolare, ossia i fatti e la vita quotidiana del contesto nel quale la persona vive. Tutte e due le narrazioni comunque sono frutto dello sguardo sulla realtà degli attori culturali e come tali hanno ugual importanza e dignità. In Ungheria per entrare in contatto con il proprio interlocutore, attraverso la mediazione del suo self- knowledge, è necessario rivolgersi a lui con un linguaggio che comunichi la propria simpatia e conoscenza del contesto nel quel l’interlocutore vive. È necessaria quindi una continua negoziazione incrociata tra la mia percezione e rappresentazione del sé e quella degli interlocutori. 6. Riti e cerimonie nelle pratiche funerarie Nel piccolo paese, la morte di una persona continua a essere contemporaneamente un importante fatto privato e pubblico, al quale tutta la comunità partecipa, a partire dal momento in cui ne viene diffusa la notizia, per mezzo di una particolare e solenne voce che annuncia, da secoli, l’accadere di fatti importanti: 11 di 12 la campana. Le campane vengono fatte rintoccare alle otto della mattina, a mezzogiorno e alla sera ed il giorno dopo allo stesso modo, fino a che non ha luogo il funerale, i rintocchi, inoltre, sono diversi a seconda che il defunto sia un uomo, una donna o un bambino. Dopo aver comunicato la morte, da una parte prendono il via i preparativi per lo svolgimento della cerimonia funebre, dall’altra i compaesani del deceduto cercano di capire di chi si tratta e ci si prepara a far visita alla famiglia. La socializzazione della perdita, attraverso il messaggio comunicato dalle campane, preludo ad una riconferma del legame tra comunità e famiglia del defunto la quale viene sostenuta e accolta. 6.1 Dopo la morte. L'allestimento della camera mortuaria In precedenza, subito dopo il decesso di una persona la camera mortuaria veniva allestita direttamente nella casa del morto, dove il suo corpo rimaneva fino al momento dell’inumazione, tra le 48 e le 72 ore. Le donne si occupavano di lavarlo e vestirlo con un abito scuro. Nel frattempo gli amici del morto o i parenti, provvedevano al taglio di un albero e consegnato nelle mani del maestro d’ascia. 6.1.2 La veglia funebre Al calar della sera, presso la casa del defunto, si radunavano conoscenti e amici per la veglia funebre. Si chiacchierava, venivano intonati canti di carattere religioso e venivano offerti loro cibi e bevande. Durante la permanenza del defunto nella casa, abitualmente non si cucinava. | pasti per i famigliari ed il cibo veniva offerto durante la veglia, venivano preparati dai parenti o dagli amici. 6.1.3 La sepoltura Trascorsa la seconda notte di veglia, il mattino seguente si provvedeva allo scavo della fossa, presso il Cimitero e la zona nella quale si poteva procedere allo scavo doveva essere indicata dal kurator. Una volta terminato lo scavai volontari provavano le assi di legno che sarebbero state collocate sopra la bara. Nel frattempo presso la casa del defunto, in cortile, avveniva la funzione religiosa. Le campane iniziavano a suonare e le persone accorrevano. La cerimonia consisteva in canti inframezzati dalle parole del reverendo ed aveva una durata di circa mezz'ora. Poi avveniva la processione: quattro o sei persone sorreggevano la bara con grossi bastoni dandosi il cambio se il tragitto era lungo. Il reverendo in cimitero teneva un discorso, poi c’erano altri canti fino ad arrivare al commiato del morto in cui ilreverendo parla per conto del defunto, salutando i parenti. Veniva poi gettata la terra e fissato il fejfak. 6.1.4 Il banchetto funebre Finita la cerimonia, le persone venivano invitate a tornare alla casa del defunto dove veniva allestito un banchetto. Il banchetto era il secondo momento rituale, dopo la veglia, durante il quale si esprimeva la solidarietà della gente ed il senso della continuità della vita, attraverso una forma di partecipazione che tendeva a mimetizzare e forse anche a superare una fase del dolore per la morte. A Cseke le prescrizioni riguardavano solo i parenti primari e si limitavano a pochi aspetti della vita quotidiana. Le donne dovevano indossare abiti di colore nero mentre gli uomini un nastro o una fascia sempre di colore nero, dovevano astenersi dal frequentare ambienti festosi, e dovevano mantenere un comportamento compassato e morigerato. Il lutto durava 12 mesi in cui si doveva ricordare il defunto tramite una funziona alla prima settimana, al primo mese, dopo sei mesi ed infine ad un anno di distanza. 6.2 La solitudine prezzo del progresso? Continuità culturale ed innovazioni “tecnologiche” Nell'ultimo decennio nella comunità di Cseke sono state introdotte alcune innovazioni che hanno mutato radicalmente le abitudini e i rituali funerari dei calvinisti. * La comunità si è dotata di un mezzo di trasporto motorizzato per spostare il defunto dalla casa al Cimitero. * E entrata in funzione la camera mortuaria comunale. 12 di 12 * La casa della famiglia è quindi rimasta vuota, è venuto meno il momento dell’accoglienza, della riconferma dell’appartenenza al gruppo. * Il corteo funebre è caduto in disuso. * La partecipazione della comunità è stata messa in crisi. . È entrato in funzione un servizio di gestione del cimitero, organizzato dal comune, che provvede allo scavo della tomba, all'espletamento delle pratiche funerarie e alla messa a dimora del cippo funerario. «Il banchetto funebre non viene più tenuto perché il compaesano diventa “l’altro”, l’estraneo. Il prezzo di queste innovazioni non è solo quello economico, ma anche quello di una crescente solitudine che prima tocca il morituro e poi la famiglia.
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