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Riassunto del libro Pirandello: Guida al Fu Mattia Pascal Di Claudia Nobili, Sintesi del corso di Letteratura Italiana

Riassunto per la preparazione dell'esame di Letteratura italiana Otto-novecentesca, corso Magistrale, Lettere moderne, professor Bruno Falcetto

Tipologia: Sintesi del corso

2021/2022

Caricato il 15/01/2022

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elena_riccardi 🇮🇹

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Scarica Riassunto del libro Pirandello: Guida al Fu Mattia Pascal Di Claudia Nobili e più Sintesi del corso in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! PIRANDELLO: GUIDA AL FU MATTIA PASCAL 1. PIRANDELLO NEL ROMANZO EUROPEO LA BIBLIOTECA DI CASA, DA RABELAIS A GIDE Il Fu Mattia Pascal è anche un romanzo di biblioteche, sulle biblioteche, a partire da quella di Boccamazza, fino a quella dell’affittacamere Anselmo Paleari. Tutte assumono un profondo valore conoscitivo. In quelle stanze i libri sembrano rivestire un significato diverso a seconda del loro accostamento, delle sequenze di titoli, che rimandano a un significato complessivo. Biblioteca di Pirandello > non mancano gli autori latini e greci. Fra gli italiani spiccano i conterranei Verga, Capuana, De Roberto. Documenta i vasti interessi teatrali (Moliere, Shakespeare, Shaw, Ibsen), l’importanza della poesia inglese, i contatti con il mondo tedesco e il ruolo decisivo della letteratura francese. È sul romanzo francese dell'Ottocento che Pirandello sembra compiere la propria formazione di narratore. Accanto ai classici di genere umoristico, si trovano Bourget, Hugo, Balzac, Maupassant, Zola, Stendhal, Proust, Romain, France, Rolland, Gide. Se ne deduce un Pirandello fin dalla giovinezza calato nella cultura e nella narrativa europea, formatosi sulla scia della tradizione romantica e naturalistica. Tradusse inoltre grandi scrittori, greci, tedeschi e francesi. Alcuni di questi ricompaiono più o meno dichiaratamente tra le pagine del libro. Ultima biblioteca rappresentata da Pirandello > “Quando si è qualcuno”, uno dei suoi ultimi testi teatrali. L’ECLISSI DEL ROMANZO DI FORMAZIONE Nel 1896, Pirandello traduce una scelta dei Colloqui con Goethe di Eckermann. Parole di Goethe “La letteratura nazionale non ha più grande importanza, è venuta l’epoca della letteratura universale”. sembrano una premonizione. Il XIX secolo è quello del consolidamento degli stati nazionali, quello in cui la letteratura europea conosce un intreccio profondo. Infatti Goethe è uno dei grandi maestri di Pirandello. Goethe va soprattutto ricordato per gli “Anni di apprendistato di Wilhelm Meister”, capostipite del romanzo di formazione, genere al quale il Fu Mattia Pascal è stato più volte ascritto. In realtà il romanzo di Pirandello nasce quando il bildungsroman è già in crisi e anzi, esemplifica una fase di declino ed eclissi rispetto al modello ottocentesco. L’ero del romanzo di formazione è un giovane, che matura nel corso della storia. Pirandello allude a questo filone se non altro per il titolo Maturazione di un capitolo del romanzo e quindi di una fase della vita di Mattia. Ma è vera maturazione? Mattia Pascal incarna fino in fondo il personaggio novecentesco, per la totale assenza di una integrazione nella società. in questo senso il romanzo di Pirandello rientra perfettamente nella crisi del romanzo di formazione (1898-1914). In questa fase entra in crisi la legittimazione del sistema sociale da parte dell’eroe. L'individuo non si sente più a casa propria nel mondo, non trova più modelli di riferimento nel mondo degli adulti. In effetti, quali sono i modelli che si offrono a Mattia? Nessuno, nessuna integrazione alla quale aspirare, Storiella nel capitolo Maturazione > immagine guida per tutta la storia > storia della maturazione dei frutti > anima che matura a furia di ammaccature, falsa, adulterata. La sua esperienza lo riporta all’inizio, senza nessuna maturità. BALZAC, IL GRANDE MODELLO Nella biblioteca di Pirandello vi sono 28 volumi di Balzac. Per molti aspetti Pirandello mostra di essere legato al romanzo realista, all'idea della grande opera composta di diversi volumi, come specchio e sintesi della realtà (La commedia umana). Il travaso continuo che Pirandello opera da un genere all’altro, da un’opera all’altra, è diverso da quello del modello, procede in un moto circolare che ritorna continuamente su sé stesso. Prefazione alla Commedia Umana di Balzac, 1846 > Balzac dice che l’opera di uno scrittore è un lavoro di osservazione sui casi della vita. Il Mattia Pascal inizia con una dichiarazione del protagonista “il mio caso è assai più strano e diverso... tanto che ho deciso di narrarlo”. Balzac precisa che l’autore deve mirare a un lavoro sugli uomini e sulla vita, a un grande affresco, far “concorrenza allo stato civile”. Croce stroncherà il Fu Mattia proprio dicendo che dovrebbe intitolarsi “il trionfo dello stato civile”. È con il Mattia Pascal che Pirandello supera il realismo ottocentesco sia nella versione classica sia in quella veristica. Definitivo ingresso nel Novecento letterario. Balzac e Verga sono entrambi modelli, ma Pirandello già nel 1904 se ne emancipa, costruendo un romanzo dove viene celebrata la centralità della coscienza e la sua crisi. NATURALISMO, VERISMO, VERITÀ ROMANZESCA 1901 > L'esclusa 1902 > Il turno L’esclusa rappresenta già un’uscita dai canoni naturalistici, ma Pirandello inizia la sua carriera come seguace del naturalismo, ribattezzato verismo in Italia. È a Verga per primo che Pirandello offre un esemplare del Fu Mattia Pascal. Verga risponde positivamente. Pirandello risponde ringraziandolo, ma sente Verga come un modello da cui emanciparsi. Se Verga ha scoperto la vita elementare delle plebi siciliane, il conflitto economico ed etico, Pirandello sposta la sua attenzione sul soggetto, analizzando la crisi dell’identità convenzionale e mettendo in scena la scissione della personalità. Superando il verismo e la fiducia nella possibilità di descrivere il mondo così com'è, Pirandello si cala nella prospettiva copernicana dell’intellettuale che ha scoperto il dubbio. Conferenza per i cinquanta anni dei Malavoglia > Pirandello propone la sua distinzione fra Stile di parole e Stile di cose. Verga è il capofila degli scrittori di cose. Pirandello sottolinea che non è vero che Verga descriva la realtà così com'è. Bisogna vedere quali sentimenti pongano di fronte a lui la sua realtà. Pirandello si colloca fra gli scrittori di cose privi ormai della fiducia ottocentesca nell'esistenza di una realtà da descrivere, ma convinti che esista una verità, quanto meno soggettiva, e che si debba tentare di esprimerla nella forma del romanzo. VERSO LA DISSOLUZIONE DELLA FORMA ROMANZO 1905 > saggio “un critico fantastico”, dedicato ad Alberto Cantoni. Critico che usa la fantasia per il proprio discorso critico. Cos'è questo critico fantastico se non lo scrittore umorista? Umorista è lo scrittore che viene colto dallo sdoppiamento. La riflessione critica è per lui un demonietto che lo costringe a distaccarsi dalle proprie emozioni e analizzarle diventando critico di sé stesso. Mattia Pascal è il primo personaggio di Pirandello tormentato dal demone della riflessione critica. Tre protagonisti romanzeschi dell'umorismo pirandelliano, Mattia, Serafino, Vitangelo, sono accomunati da uno steso atteggiamento verso la vita. Non semplicemente inetti, ma mostrano il Oltre a ciò, sottolinea la stranezza del suo caso, che quindi racconterà. MATTIA PASCAL CAMBIA EDITORE (E FINALE) 1921, articolo “Gli scrupoli della fantasia”, su Idea nazionale, che poi apparirà come postfazione nell'edizione Bemporad e quelle successive. L'articolo diventerà l'avvertenza sugli scrupoli della fantasia, postfazione fondata su due fatti di cronaca, uno avvenuto negli Stati Uniti nel 1921 e l’altro in Italia nel 1920, entrambi simili alla vicenda del Mattia Pascal. Pirandello li usa per rispondere ai critici che lo accusano di inverosimiglianza. Il fatto che Pirandello riprenda in considerazione il problema del realismo, nel 1921, è parso a molti critici come un ritorno alle origini, a temi ormai superati, soprattutto dopo la sfida antinaturalistica dell’Umorismo. Ma, Pirandello semmai tratta con ironia i vecchi critici, dimostrando che il suo romanzo è molto più moderato, quanto a complessità delle vicende, rispetto alla realtà. lo scrittore si rivolge anche ai critici idealisti, che lo accusano di soffermarsi sui casi particolari senza attingere all’universale. risponde con l’esempio dello zoologo, che studia le specie animali e parla di un’idea di uomo, di una tipologia e non di una realtà, un modello. AI contrario, lo scrittore può incontrare soltanto i singoli uomini, ognuno diverso dall'altro e nessuno coincidente con la perfezione del modello. Pirandello fa poi riferimento a Tilgher, critico idealista che negli anni 20 cerca di accreditarsi come interprete autorizzato del pensiero di Pirandello. Tilgher difende lo scrittore dall'accusa di inverosimiglianza mossagli da Croce. Cosa è verosimile? Cosa è normale? Chi stabilisce i criteri della normalità? Tilgher lo accusa però di costruire casi-limite, personaggi privi di valore e senso universalmente umano. Pirandello risponde che i suoi personaggi sono tali perché hanno scoperto il proprio volto individuale dietro la maschera sociale. Da qui il macchinismo delle vicende, la cerebralità detestata da Croce, elementi voluti, per descrivere il dramma della maschera quando si scopre nuda, l’impossibilità di calzarla nuovamente una volta scoperto il vuoto del proprio ruolo sociale e la falsità delle situazioni imposte. Per quel continuo ragionare i suoi personaggi non sono affatto disumani. L’Avvertenza di configura come un secondo finale, una sorta di epilogo duplicato come doppie erano le premesse. È anche un nuovo finale narrativo che segue quello originale e lo completa. A concludere il romanzo sono adesso i due fatti di cronaca. | fatti veri sembrano moltiplicare la vicenda di Mattia Pascal, ribaltando i rapporti tra finzione e realtà. è la vita a copiare la letteratura tanto che la fantasia può deporre ogni scrupolo e mostrare “di quali reali inverosimiglianze sia capace la vita”. UN SEGUITO AL CINEMA Mattia Pascal è destinato a incarnarsi due volte ancora, nel 1925 e nel 1936, sullo schermo cinematografico. L'attenzione di Pirandello al cinema ha inizio ben prima, quando pubblica il primo romanzo dedicato alla settimana arte, “Si gira...”, 1915-16, ristampato nel 1925 con il titolo definitivo di Quaderni di Serafino Gubbio operatore. Pirandello descrive ka macchina da presa come un ragno pronto a divorare gli attori, a farne delle ombre, perché sulla tela del cinematografo non ci sarà più la loro azione viva, ma solo la loro immagine. Gli attori si accorgono di diventare un'immagine muta, che tremola per un momento sullo schermo e scompare in silenzio. Mattia Pascal sembra predestinato a questo gioco di ombre e fantasmi. Creduto morto, si finge un altro, incarna la condizione di ombra, costretto a confrontarsi con l'ombra dell’esistenza passata e con la sua identità spettrale. Il film di L'Herbier, Feu Mathias Pascal > interessanti le scene della duplicazione. L'elemento fantasmatico viene esaltato dal regista fino a fare di Mattia l'emblema del cinema come specchio, dello sguardo della macchina da presa che duplica la vita ene scandagli ai recessi. È la duplicità di Mattia a farne un personaggio intrinsecamente fantasmatico e dunque cinematografico. Rende madri due donne, porta due nomi, raddoppia sé stesso quando si innamora (Adriano/Adriana), è ossessionato dall'idea della duplicità. L'atto di riflettere è atto di riflettersi. L’occhio storto di Mattia, che si fa operare per essere uguale agli altri, ma che gli permette di vedere diversamente, e dunque meglio, sembra una metafora della macchina da presa. Nei primi decenni del cinema, registi e critici sottolineano l’inferiorità e la superiorità della macchina da presa sull'occhio umano. Le riprese sghembe, i primi piani, permettono di vedere qualcosa che normalmente non si vedrebbe. L'occhio storto di Mattia gli offre la possibilità di uno sguardo obliquo e perciò più penetrante. Perso lo strabismo perde la sua identità, senza tuttavia poterne acquistare una nuova. Nel 1936 Pirandello torna a lavorare per il cinema, questa volta a Roma. Secondo film tratto dal Mattia Pascal, coproduzione italo-francese diretta da Pierre Chenal. Pirandello sta molto male per una broncopolmonite, dovrebbe scrivere i dialoghi italiani per il film ma la malattia glielo impedisce. Si limita a rivedere i dialoghi francesi. AI ritorno dagli stabilimenti, il 5 dicembre, Pirandello si mette a letto, per morire il 10. Il secondo Mattia dunque, quello di Chenal, appare dopo la morte dell'autore, ed è un Mattia “normalizzato” all’insegna del nuovo cinema realista degli anni 30. Spariscono doppi e vampiri, vengono eliminati i nomi evocativi (Adriana diventa Luisa), Mattia riesce a procurarsi documenti falsi, garantendosi la possibilità di un matrimonio con Luisa nel segno di un finale rassicurante, aproblematico e ottimista. Mattia è dunque trasformato in un improbabile eroe borghese. 3. UNA STORIA DI STORIE POSSIBILI VITA PRIMA DI MATTIA: UN PERSONAGGIO DISPONIBILE Mattia Pascal è il figlio indolente e sognatore di una vecchia vedova, che si fa sottrarre tutto il patrimonio da un amministratore disonesto, Batta Malagna. Malagna è, per Mattia, un sostituto della figura paterna, detestato, a cui però il giovane non riesce a impedire di rendere la madre in miseria e dettare legge in casa. mattia ha un solo amico, Pomino: per conto di lui corteggia Romilda, nipote di Malagna, ma se ne innamora e la mette incinta. Malagna che, desideroso di un erede, ha sposato la giovane Oliva ma non riesce ad averne un figlio, circuisce Romilda e, con l’aiuto della madre di lei - la demoniaca vedova Pescatore - annuncia pubblicamente di essere il padre del bambino e lascia Oliva. Mattia ha a questo punto la possibilità di una vendetta nei confronti di Malagna: raccontata la verità a Oliva, mette incinta anche lei e costringe Malagna a tornare a casa per riconoscere il “figlio” legittimo. Il gioco erotico di Mattia si ritorce contro il suo ideatore: Malagna costringe Mattia al matrimonio riparatore con Romilda imponendogli di cancellare il disonore della nipote. La convivenza con la vedova Pescatore, che riesce a mandare via di casa la consuocera, scontrandosi anche con Scolastica, la zia di Mattia, risulta ben presto impossibile e neanche la nascita delle due gemelle avute da Romilda avvicina i due sposi. La morte contemporanea della madre e dell’unica delle due gemelle sopravvissuta al parto getta Mattia nella disperazione e lo spinge a fuggire. Medita di imbarcarsi per l'America, ma poi si ferma a giocare d'azzardo a Montecarlo e vince una fortuna. Avviene allora la svolta. Legge su un giornale che il cadavere di un suicida è stato riconosciuto come il suo. È l'occasione per rifarsi una vita. “Personaggio in disponibilità” (formula di Giacomo Debenedetti), descrive la capacità di Mattia di cambiare continuamente rotta, offrirsi come strumento nelle mani della fortuna. Mattia è disponibile perché non ha fini propri, agisce di volta in volta per fini altrui: corteggia Romilda per Pomino, mette incinta Oliva per Malagna ecc. La sua vitalità è del tutto esteriore, ignora la sostanza profonda di sé stesso. Tanto più gesticola, si affanna nelle beffe, quanto più è scontento di sé e si presenta in modo cinico. Si può parlare di vera e propria alienazione: vivere, agire, lavorare per fini che non ci appartengono. La disponibilità d’altra parte, è uno stato tipico dell’uomo nei primi decenni del secolo, in piena crisi della borghesia. È a questo punto che Mattia dovrebbe iniziare a cercare sé stesso. Preferisce invece una situazione di ocmodo, non scavando dentro di sé, non conoscendo i propri fini. Gli riuscirà così impossibile coincidere con un sé stesso che non conosce e si condannerà a una disponibilità perpetua. Qui sarebbe il limite, secondo Debenedetti, del romanzo, e l’incapacità dell’autore di varcare la soglia del Novecento e mettere la coscienza del personaggio al centro (come fa invece Italo Svevo). La critica più recente però non parla di disponibilità vera ma uno stato di eterna adolescenza. Mattia ripete atti di trasgressione impotente, senza averne il controllo, senza scontrarsi con l'autorità né mettendola in discussione. Obbedisce a Malagna, che gli impone di sposare Romilda, e a Papiano. VITA SECONDA: UN NUOVO NOME, NESSUN PASSATO Sullo sfruttamento di una presunta morte per iniziare una nuova vita i precedenti letterari non mancano, a partire da due novelle di Zola, nella raccolta Nais Micoulin (1884). La prima è il racconto Jacques Damour, un deportato che, dopo essere evaso, viene riconsociuto nel cadavere di un altro. Decide di non smentire il riconoscimento. Il secondo racconto è La morte di Olivier Becaille, storia di un uomo creduto morto che torna a casa e, saputo che la moglie sta per risposarsi, decide di non ostacolare il matrimonio e farsi da parte. Dopo aver deciso di non tornare a casa, Mattia di prende un periodo di “vacanza” prima di immergersi in una nuova vita (va ripensato il giudizio di Debenedetti). Tuttavia, l’autoanalisi durante questa pausa non è portata fino in fondo e non conduce il personaggio a nessun svelamento. Passaggio decisivo è la scelta del nome. Come il romanzo iniziava all'insegna del nome e della sua perdita, così la nuova vita comincia dal nuovo nome, quello di Adriano Meis. Il nome viene suggerito in treno, dove due studiosi stanno discutendo sulla presunta bruttezza di Gesù, sostenuta da Giustino e Tertulliano. Il nuovo battesimo nasce quindi nel segno di una sottile vena cristologica: c'è una statua, a Paneade, che forse rappresenta Cristo, forse l’imperatore Adriano, e i due discutono su questo. La doppia lettura della statua corrisponde allo sdoppiamento di Mattia. Che quella statua sia il Cristo, lo sostiene il filosofo Camillo De Meis, come ricorda lo studioso più anziano. Nel nome dell’imperatore ma anche di Camillo de Meis, sostenitore della tesi cristologica, Mattia si conforma ad Adriano e a Gesù. Sente di condividere anche la bruttezza del cristo di Tertulliano. Taglia la barba con il risultato di mettere in luce tutti i difetti e asimmetrie. Accolto il nuovo nome, si prende una pausa dalla vita, una serie di viaggi in Europa, tratteggiati in un sommario che comprende due anni. Edifica il suo nuovo personaggio, e si costruisce un passato da raccontare agli altri. Quella di Adriano si rivela la costruzione di un personaggio romanzesco, come se Pirandello sollevasse il velo per farci vedere come costruisce i suoi personaggi. La costruzione del romanzo di Il viaggio all'indietro è di nuovo un viaggio in treno. Il ritorno a casa avviene nel segno della teatralità: Mattia appare come un fantasma nella casa addormentata, dove lo accoglie la vedova Pescatore e poi giunge Romilda, che nel frattempo si è risposata con Pomino. Mattia si avventa su Pomino e non risparmia a nessuno il proprio sarcasmo, finché non vede la neonata, che lo fa tornare in sé. Non pretende l'annullamento del matrimonio e ha intenzione di farsi da parte. è dunque lui per primo a comprendere di non poter tornare indietro. Il ritorno a casa segna così il fallimento del bildungsroman: Mattia non torna a celebrare la propria maturazione e ricominciare la propria vita dopo un viaggio di crescita, perché la sua vita si è veramente conclusa con il suicidio nella Stìa. a Mattia non resta che sentirsi il fu, l’ex sé stesso, e rinchiudersi in un volontario esilio ai margini della società (nella biblioteca). Arnaldo Di Benedetto, accanto alle novelle di Zola, richiama un racconto di Nathaniel Hawthorne, Wakefield, 1837. Wakefield è un uomo che vive a Londra con la moglie e un giorno decide di andarsene con il pretesto di un breve viaggio. Ha già preparato un appartamento sulla strada accanto dove si nasconderà per vent'anni, fino al giorno in cui deciderà all’improvviso di tornare. Non viene raccontato il ritorno, perché l'importante sono quei vent'anni in cui davvero l’uomo ha attraversato l’oltretomba, staccandosi dal mondo. Wakefield preannuncia un tema tipicamente novecentesco, quello della rinuncia all'identità, della fuga volontaria da una realtà famigliare e sociale avvertita come insopportabile. Il luogo dove Mattia lavorava nella sua prima vita diventa un ambiente distinto dal paese di Miragno. A Miragno Mattia fa solo un passaggio per suscitare la meraviglia dei concittadini. Contrapposta al paese natale, la biblioteca si configura non solo come un luogo fisico ma anche come un “cronotopo” (Bachtin), elemento in cui spazio e tempo sono inscindibili e anzi si fondono insieme. Nel romanzo si possono distinguere tre cronotopi: il primo è Miragno, ambiente paesano dove prevale l'economia agricola con i suoi tempi ciclici, dove tutti si conoscono e Mattia cresce in un ambiente protetto, ma anche pettegolo e soffocante. Il secondo sono Milano e Roma, emblema di una modernità nevrotica dai ritmi innaturali: è lo spazio-tempo in cui Adriano si nasconde, vive e muore, sotto gli occhi di sconosciuti. Il terzo è la biblioteca, il rifugio del fu Mattia. Luogo morto in cui nulla può turbare un sopravvissuto alla vita, è anche chiesa sconsacrata dove il personaggio sperimenta la propria condizione di redivivo, ormai sottratto al tempo e ai ritmi della quotidianità. Nell'ultima scena il protagonista porta un mazzo di fiori sulla propria tomba. A chi gli chiede conto della sua condizione, risponde “Io sono il fu Mattia Pascal”. Il romanzo era iniziato con il nome e con il nome finisce. Ma il cerchio non si chiude perché quel nome è condizionato dal fu. Pirandello si soffermerà ancora sul motivo della morte come soglia che si può attraversare, ma dalla quale si può tornare indietro, non senza che avvenga un profondo cambiamento. Un esempio si ha nell’atto unico All'uscita (1916), in cui un gruppo di fantasmi si riunisce nel cimitero in cui sono sepolti i loro corpi. In un racconto analogo, dal titolo Bobok (1873), Dostoevskij narra la vicenda dei morti che ritornano, restando in attesa di una morte definitiva. Nel romanzo di Pirandello, Mattia, leggendo un libro di Paleari, viene a conoscenza del credo teosofico nel Kamaloka, il mondo provvisorio in cui restano sospese le anime dei morti. Nei panni di Adriano, Mattia già riflette sulla propria condizione di sopravvissuto alla morte, ma le credenze del Paleari sembrano quasi una prefigurazione della sorte ultima di mattia, quella di un essere che ha varcato la soglia dell’aldilà e ne è tornato per attendere la terza, ultima e definitiva morte. Pirandello non manca di mettere in scena, molti anni dopo, una resurrezione vera e propria, quella di Lazzaro, mito teatrale del 1929. Il nuovo Lazzaro ha poco a che fare con quello evangelico. Si chiama Diego Spina, è un fanatico religioso che vuole chiudere la figlia paralitica in un convento e obbligare il figlio al sacerdozio. La moglie lo abbandona. Lui viene investito ma l'avvenimento sembra essere un suicidio. Muore, ma un medico riesce a farlo rinvenire con una puntura di adrenalina. Per un po’ lui non sa nulla, perché non potrebbe accettare una resurrezione data dalla scienza, ma poi ne viene informato e scopre che il figlio ha lasciato il sacerdozio. Sull’orlo della follia, fa proprio ciò che Mattia evita di compiere, spara all'uomo con cui la moglie è scappata. Il figlio, toccato dalla vicenda del padre, ritrova la vocazione. La figlia, dopo lo shock, riprende a camminare. Diego allora si propone di cominciare una nuova vita, lasciando libera la moglie. Alla vera morte segue una resurrezione vera. La resurrezione è vera quando il desiderio di morire è stato vero, quando c’è stata una vera parentesi di annullamento, quando il risuscitare costa dolore e smentita della precedente incarnazione. Mattia invece, non cede alla tentazione di farsi trascinare nuovamente alla vita e rinuncia al proprio nome, Mattia non vive più ma visse. Con Mattia Pascal Pirandello mette in scena l’impasse del personaggio novecentesco: Mattia aspetta di svanire via via che dilegua la sua vita illusoria. Prigioniero nel guscio della sua biblioteca, si permette anche di portare fiori sulla propria tomba, estremo gesto umoristico, nell'attesa di essere liberato grazie alla morte ultima. 4. PERSONAGGI “MATTIA PASCAL, UNO E DUE” Mattia agisce d’istinto, non si chiede quali effetti avranno le sue azioni, si lascia vivere in perfetta disponibilità. Gli atti gratuiti di Mattia lo portano a risultati opposti da quelli attesi: ogni suo gesto di libertà lo imprigiona in situazioni soffocanti dalle quali riesce a salvarsi solo con la fuga. La sua prima azione “per conto terzi” è il corteggiamento di Romilda. Mettendo poi incinta Oliva, invece che liberarsi sarà costretto al matrimonio riparatore con Romilda. Una simile duplicità sembra contraddistinguerlo dall’inizio. Sono due le amanti, due le figlie, due le vite che tenta di vivere e due gli amori (Romilda e Adriana). Il tema del doppio diviene esplicito nella contraddizione tra Mattia e Adriano. Pirandello tornerà più volte sul problema del doppio, in almeno due occasioni con esito parallelo a quello del romanzo: nella novella Stefano Giogli, uno e due, del 1909, ripresa in Uno nessuno e centomila (Stefano si accorge che l’immagine che la moglie si è fatta di lui è completamente diversa da quella che lui ha di sé stesso). Come Stefano cerca di cancellare quel suo doppio, così Adriano, prigioniero di Mattia, cerca di cancellare ogni traccia di quel fantasma di sé. Ma nessuno sforzo funziona. Come ha osservato Jean Michel Gardair, lo sdoppiamento generalizzato è un aspetto di tutta l’opera di Pirandello, che si presenta anzi come una “sfilata di specchi, tanto nella sua genesi quanto nel suo aspetto esteriore. tutta l’opera narrativa di Pirandello è percorsa dalla tematica del doppio e della iterazione”. Elio Gioanola, facendo una casistica delle novelle dove si narra la vicenda di un personaggio e il suo alter ego, segnala innanzitutto quelle che hanno per protagonisti due gemelli (Tanino e Tanotto, Nenè e Ninì, | due compari), ma anche altre come O di uno o di nessuno, Pari, Due letti a due. Un personaggio dalla doppia vita e doppio nome, come Mattia, viene riproposto da Pirandello in un testo teatrale dal titolo ricalcato su quello di Stefano Giogli: La signora Morli, una e due (1920) (pagina 69). Il personaggio del marito, Ferrante Morli, ricorda Mattia, soprattutto la scena del suo ritorno dalla moglie che aveva risposato. Anche qui ci sono due città, Firenze, dove vive la moglie con il secondo compagno e la bambina e Roma, in cui si stabilisce il redivivo Ferrante, seguito dal figlio che resta affascinato dalla vita sregolata del padre. Mattia, dopo il rientro a Miragno, non è più né Mattia né Adriano, né il primo né il secondo, è semplicemente fuori da tutto. L'uomo doppio finisce per ridursi a zero: alla doppia vita fa riscontro la rinuncia doppia. MOLTIPLICAZIONE: LA MADRE, LA MOGLIE, LA SUOCERA Le figure femminili si presentano sempre in coppie, opposte o simmetriche. Due sono le “madri” di Mattia, la prima è quella vera e propria, dolce e saggia ma vessata prima da Malagna poi dalla vedova Pescatore. Opposta alla madre ma legatissima a lei è la zia Scolastica: tagliente e ruvida all'apparenza, in realtà molto sensibile, dirige su Mattia la sua vocazione materna frustrata. Che la zia sia il rovescio della madre lo mostra anche la vicenda sentimentale di Scolastica, rimasta sola per scelta, rimpiange di non aver sposato Pomino e per ricompensarlo lo propone in matrimonio proprio alla madre di Mattia. Altra coppia di donne opposte e speculari è costituita dalla moglie Romilda e dalla suocera, la vedova Pescatore. Quando le conosce Mattia si meraviglia di quanto Romilda sia diversa dalla madre. Durante il matrimonio capirà invece quanto si somiglino. La personalità delle due, sempre in scontro ma inseparabili, si rovescerà nel finale, quando il matrimonio con Pomino, la ritrovata agiatezza e la nascita della bambina torneranno ad addolcire Romilda, restituendo alla madre, un tempo melliflua con il secondo genero, l’insoddisfazione di sempre. Le stesse coppie di donne amate sono sempre in opposizione agli occhi di Mattia. Alla riservata e ombrosa Romilda si contrappone la solare Oliva: sarà lei l’unica a suscitare il rimpianto di Mattia. Ultima coppia di donne è composta da Adriana, donna fanciulla, figura quasi adolescenziale, e Pepita Pantogada, spagnola conturbante, di fianco alla quale la mite bellezza di Adriana impallidisce. Le donne che ama gli rendono sempre impossibile vivere, o perché le stesse coppie femminili sono in competizione, o perché ogni singola donna lo spinge alla fuga. E Mattia dalle donne fugge sempre. alla conclusione delle due vicende Mattia si rifugia a casa della zia Scolastica, la sola figura di riferimento rimastagli, l’unica donna con cui è possibile convivere è una madre protettiva e indulgente, che nell’eccentricità di Mattia vede una proiezione di sé stessa e della sua volontaria solitudine. LA LUNGA VITA DI ANSELMO PALEARI L’affittacamere Anselmo Paleari è mezzo filosofo e mezzo scienziato. Si diletta di teosofia, dottrina in voga alla fine del XIX secolo, nata con lo scopo di incoraggiare lo studio comparato delle religioni, delle filosofie e delle scienze, ma anche di investigare i poteri occulti e i rapporti dei vivi con l'aldilà: credenza nella reincarnazione come forma di purificazione dell'umanità. Paleari ha una biblioteca di testi teosofici, che per lo più coincidono (come ha dimostrato Giovanni Macchia), con quelli conosciuti da Pirandello durante il periodo della voga teosofica in Italia, alla quale lo stesso scrittore non rimane estraneo anche se in anni successivi se ne allontana. Lo stesso Paleari non è pago dei propri libri sulla reincarnazione. Quel tarlo di cui è roso corrisponde al “demone della critica” del saggio di Pirandello su Cantoni: è il tarlo dello scrittore umorista che mentre crea si distanzia già dalla propria opera e si fa critico di sé. Non è difficile quindi riconoscere in Paleari il tipico personaggio che ripropone il verbo dell’autore. Questo tipo di personaggio, che agisce come volontà disgregatrice comportandosi da sofista cavilloso e avvocato di sé stesso (Macchia), avrà larga fortuna nel teatro di Pirandello, dove il commento autoriale sarà affidato a portavoce quali il sapere che non ha più lettori né continuatori. Boccamazza viene presentato come un erudito, che ha raccolto libri vari ma di nessun interesse: ha in sé il germe della dispersione. Mattia coglie subito il carattere erudito della biblioteca, poco invitante per i lettori suoi contemporanei, e lo scrive già nella Premessa. Mattia, ultimata la stesura, consegnerà la sua storia alla biblioteca, monumento inutile come forse il suo romanzo autobiografico. La clausola con l’obbligo che la storia non venga resa pubblica se non cinquanta anni dopo la morte, è una sorta di esercizio del diritto d'autore sulla propria opera. L’autobiografia di Mattia è destinata ad aggiungersi ai libri dimenticati di Boccamazza. Il racconto si chiude proprio nella biblioteca, dove Mattia discute la propria storia con don Eligio prima di andare al cimitero a deporre i fiori sulla sua tomba. Come ha osservato Mazzacurati, la vita di Mattia è giocata fra biblioteca e cimitero: lo stesso romanzo autobiografico racconta una fuga e una resa finale alla morte, rappresentata da quella biblioteca e da quel cimitero come da due facce indistinguibili dello stesso destino. 5. TEMI E MOTIVI DA UNA VITA ALL’ALTRA COL BIGLIETTO DEL TRENO Mattia, arricchitosi a Montecarlo, sale su un treno alla volta di casa. “Cambio treno” è il titolo del capitolo successivo, ed è anche un cambio vita. Scende ad una stazione a caso, pensando di smentire con un telegramma la notizia letta sul giornale, ma cambia idea. Alla fine del romanzo, sarà nuovamente il treno a riportare a casa Mattia: ancora una vita acquistata col biglietto del treno. Sull’importanza del treno nell'immaginario della modernità si è discusso parecchio nell’ultimo decennio, a partire dall’ampia panoramica di Remo Ceserani (1993), dove viene preso in esame il romanzo europeo a cavallo tra Otto e Novecento. Il treno diventa nell'immaginario moderno un'icona del nuovo mondo industriale, il segno di una tecnologia che modifica il quotidiano a partire dal paesaggio. Luogo dove tutto può avvenire perché i destini più lontani vi si possono incrociare e perché la ferrovia rende il mondo più veloce e più piccolo, offrendo spunti alla finzione. Pirandello è quasi ossessionato dall’idea del treno, in quanto via di fuga e sogno di un cambiamento. La ferrovia torna nella sua opera come metafora della vita, corsa senza soste che è anche un viaggio verso la predestinazione a cui nessun personaggio può sfuggire. Il mito del treno si accompagna in Pirandello a un’altra idea ossessionante: chi vede nel treno, come Mattia, il mezzo per fuggire a una vita insopportabile, accetta di abbracciare l'incertezza e la casualità, si muove nell’unica sicurezza di dover cambiare, di non poter tornare indietro. Il Belluca della novella Il treno ha fischiato e il protagonista di Carriola incarnano, sulla scia di Mattia, la figura del personaggio disponibile. Il treno diventa l’oggettivazione di questa disponibilità. La ferrovia guida l’uomo disponibile verso tanti diversi destini quante sono le possibilità combinatorie della rete. Non è un caso che il treno, a partire dal Mattia Pascal diventi lo spazio dei cambiamenti mentali, di una disponibilità psicologica del personaggio. Il tema è per ciò stesso legato al tema della morte: con un viaggio in treno “muore” Mattia Pascal, ma viene cancellato anche Adriano Meis. Neppure i morti, in Pirandello, sfuggono all’incanto perverso del treno. | Resti mortali di uno zio dispettoso, nell'omonima novella, a causa del trasporto creano grattacapi ecc. Torniamo a Mattia. Rimasto solo sul binario ormai vuoto, sente anche il vuoto che lo aspetta e comincia a dubitare. Ha dimenticato in treno il giornale, quindi forse ha solo sognato di leggere la notizia. Decide di procurarsi un nuovo giornale. La scena di un uomo sperduto su un binario deserto verrà ripresa in modo molto simile molti anni dopo, nel racconto che dà il titolo all’ultima raccolta di novelle, Una giornata, 1936 (anno della morte dell’autore). Storia di una giornata che diventa il resoconto di una vita intera (pag. 91). Nell’atmosfera surreale del racconto, la scena iniziale del treno diventa una metafora della nascita. Il protagonista comincia la sua esistenza su un binario deserto, senza una storia né un nome alle spalle, e quel binario racchiude la solitudine e la casualità di ogni nascita. Dal Mattia Pascal sono passati trentadue anni. Il suo più acuto biografo ha scritto che in Pirandello il pensiero non si evolve se non in profondità, avvolgendosi a spirale su alcune intuizioni e immagini chiave. Ciò che Pirandello modifica è il modo della propria narrazione, spostandosi progressivamente dal realistico al fantastico, in un percorso che ha la sua tappa finale nelle novelle cosiddette “surreali” dell'ultima raccolta. A differenza dei viaggiatori precedenti, tuttavia, il protagonista di Una giornata non incontrerà sul binario nessuna possibilità di scelta, nessun'altra vita che quella sola a lui concessa: ma, a ben pensare, anche questo era già nel Mattia Pascal. BLAISE PASCAL O IL GIOCO D'AZZARDO Diverse ipotesi sul cognome di Mattia Pascal. Quella più ovvia è che Pirandello non volesse rimandare, o non solo, al Théophile Pascal, autore dell’ABC della teosofia, ma al più illustre Blaise Pascal, il filosofo di Port-Royal, i cui pensieri uscirono postumi nel 1670. Pirandello richiama i Pensieri nel suo saggio sull’Umorismo, dove riporta alcuni passaggi dedicati da Pascal alle facoltà ingannevoli della conoscenza, come la memoria e l'immaginazione. Nella premessa seconda, Pirandello parafrasa Blaise Pascal quando, analizza la condizione di crisi dell'uomo moderno che proprio Pascal aveva denunciato. Bisogna però ricordare che Blaise Pascal non si è occupato solo di problemi della fede e della ragione, ma è stato anche un notevole scienziato dedicatosi alla matematica e alla geometria. Studiò il gioco dei dadi e la soluzione proposta percorreva il moderno calcolo della probabilità. Presentò il suo lavoro con il nome Geometria del caso, consapevole della novità concettuale della soluzione. Pascal era affascinato dalla matematica dell’azzardo e della scommessa. Nei suoi Pensieri teorizza la necessità della scommessa per il conseguimento della fede. Scommettere sull’esistenza di dio, è giocare d'azzardo facendo una scelta con il cuore e non solo con la ragione. Resta il rischio, ma per vincere bisogna accettarlo. Il tema del gioco d’azzardo, della vincita assoluta e della perdita completa, attraversa tutto il Mattia Pascal. Le fortune della famiglia Pascal hanno origine da una scommessa fatale, quella fatta dal padre di Mattia, dedito ai traffici per mare, durante una partita di carte giocata a Marsiglia nella quale il capitano Pascal ha sbancato un collega, morto suicida in mare subito dopo la rovina al gioco. Maledetta è la stessa fortuna dei Pascal, svanita nelle mani del subdolo Malagna. A Montecarlo Mattia ripete il gesto del padre. Pirandello ripropone un tema di grande fortuna nei romanzi dell’Ottocento. Inevitabile è il rimando al Giocatore di Dostoevskij (1866). Mattia avverte il fascino dell’azzardo e capisce che dovrà fermarsi. La fortuna insperata sembra il frutto di una stregoneria, tanto che uno spagnolo si mette a seguire Mattia per chiedergli quale sia il suo metodo. Mattia cerca di spiegare che si tratta della fortuna del principiante, ma è convinto che sia proprio il piccolo spagnolo dall'aria intrigante e sinistra a portargli fortuna. Lo spettacolo che dissuade Mattia è quello di un giovane suicida. Decide di partire per Nizza e tornare a casa. non sa che il suicidio appena visto gli sembrerà, poche ore dopo, quasi una premonizione del suo destino e che l’azzardo di Montecarlo lo perseguiterà ancora a lungo, complice lo spagnolo e i suoi poteri. FAUST, PETER SCHLEMIHL E IL PATTO CON IL DIAVOLO La vita di Adriano inizia subito con una falsificazione, la vittoria al gioco. Non un “apprendistato” come vorrebbe la tradizione del bildungsroman. La vicenda di Adriano si apre nel segno del diavolo. A Montecarlo Mattia incontra un personaggio sinistro, lo spagnolo con la barbetta, che lo invita ad associarsi con lui per poi spartire le vincite. Quando riappare a Roma, lo spagnolo risulta essere un personaggio quanto mai comune. Antonio Pantogada, descritto da Papiano come un giocatore incallito, dissipatore di fortune, irresponsabile. Ma quanto si presenta a Mattia ha le sembianze di un demonio tentatore: piccolo, bruno, con la barba a punta e leggermente strabico. Mattia dice anche che è sicuro che lo abbia aiutato a vincere. La barba a punta è poi una connotazione infernale che lo imparenta con la più proverbiale incarnazione del diavolo, il Mefistofele messo in scena da Goethe nel Faust. Nell’opera di Goethe c’è un particolare rilevante: fra i diversi travestimenti con cui il diavolo si presenta a Faust, c'è quello in abito di cavaliere spagnolo. Più che il Faust di Goethe, tuttavia, per il tema del patto con il diavolo i commentatori del Mattia Pascal richiamano un testo fondamentale del Romanticismo tedesco, la Storia meravigliosa di Peter Schlemihl di Adalbert von Chamisso (1814) (pag.97). Pirandello non solo conosce il testo di Chamisso, ma intorno al 1898 comincia a progettarne una traduzione italiana. Della versione pirandelliana, incompiuta o persa, restano dodici foglietti che si interrompono proprio durante l’incontro di Peter e l’uomo grigio, dopo che quest’ultimo propone lo scambio dell’ombra con la borsa di denaro. Sono molti oltre a questo i modelli rintracciabili nella letteratura romantica (es. Avventure della notte di San Silvestro, in Racconti notturni (1817) di E.T.A. Hoffman). Se dunque nel Mattia Pascal lo spagnolo incarna la presenza demoniaca, la roulette è la proiezione meccanica del diavolo, l’uomo grigio di Schlemihl. È ancora il ricordo di quel mondo diabolico che circonda l’esperienza romana di Mattia, in attesa di una reincarnazione. Nel romanzo di Pirandello tornano entrambi gli aspetti della tradizione romantica: sia la perdita dell'immagine riflessa (Hoffman) sia dell’ombra (Chamisso), dove al tema del patto con il diavolo si intreccia quello dello sdoppiamento del personaggio, che in quell’ombra o immagine vede un alter ego, in balia del demonio, pronto a staccarsi dal corpo originario e a farsene rivale. La pagina del Mattia Pascal dedicata allo specchio, come luogo dello sdoppiamento e della perdita di sé, è quella in cui Adriano guarda la propria immagine e, incerto se farsi operare o meno per sfuggire al diabolico spagnolo, parla con l’immagine come se fosse il fantasma di Mattia. Ma l'episodio più noto dello sdoppiamento è quello dell'ombra, alla fine della parentesi romana, quando Adriano, in un delirio di rabbia, si accanisce sadicamente su quell’ombra e tenta di “ucciderla” facendola calpestare da un carro, ma l'ombra sopravvive e con essa il doppio, tanto che per cancellare quella duplicità Adriano dovrà cancellare sé stesso. Inevitabile in questa scena il richiamo all'ombra di Peter Schlemihl. Pirandello citerà il testo di Chamisso quattro anni dopo, nella conclusione del saggio sull’Umorismo, dove userà la metafora dell’ombra per definire la sua poetica. L’artista ordinario si ferma al corpo, mentre l’umorista guarda anche l’ombra riflessa. L’umorista sarebbe dunque l’artista del doppio, colui che riconosce l’anima bifronte del personaggio e la svela, dando voce al lato demoniaco celato dietro l'apparenza. Se per il tema del patto con il diavolo è facile risalire agli ascendenti, è più difficile è riconoscere i modelli che da qui riconducono alla problematica del doppio e della scissione della personalità. L’analisi del personaggio doppio si può rintracciare in un racconto di come William Wilson di Allan Poe (1839), o nel Sosia di Dostoevskij (1846), dove introspezione e alienazione contribuiscono a minare la personalità del protagonista, in entrambi i casi minacciato da un nemico che ha lo stesso nome e volto. Più interessante ancora e certamente noto a Pirandello è il racconto L'Horlà di Maupassant (1887), il cui protagonista sente (ma non vede) un doppio che aleggia nella propria vita. È un contagio che i medici scambiano per una epidemia di demenza. Ma il protagonista sa che
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