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riassunto del libro psicologia dello sviluppo emotivo (I. Grazzani), Dispense di Psicologia dello Sviluppo

Riassunto dei capitoli 1, 2, 3, 4 del libro psicologia dello sviluppo emotivo, comprendente il riassunto delle tabelle e dei quadri.

Tipologia: Dispense

2022/2023

In vendita dal 11/07/2023

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Scarica riassunto del libro psicologia dello sviluppo emotivo (I. Grazzani) e più Dispense in PDF di Psicologia dello Sviluppo solo su Docsity! 1 Psicologia dello sviluppo emotivo Ilaria Grazzani 1. Psicologia delle emozioni Introduzione Sebbene sia difficile dare una definizione di emozione a causa della sua complessità concettuale e della sua natura multicomponenziale (derivata dalle sue radici neurobiologiche e dal fatto che è influenzata da una molteplicità di variabili individuali), il dizionario la definisce come uno stato psichico affettivo e momentaneo che consiste nella reazione dell’organismo a percezioni o rappresentazioni che ne turbano l’equilibrio. Ognuno di noi possiede una conoscenza intuitiva dell’emozione (significato di “avere paura” o “provare rabbia”). La comunità scientifica fa risalire a James l’origine dell’interesse psicologico per il quesito “che cos’è un’emozione?”. Nei Principles of psychology (1890) egli propone una teoria delle emozioni secondo la quale un’emozione è la percezione che il soggetto ha delle proprie reazioni neurofisiologiche a un evento specifico, e la sintetizza con l’esempio “abbiamo paura perché fuggiamo”, che pone al centro il ruolo del sistema nervoso autonomo (SNA). Cannon capovolge l’asserto del genero James con l’affermazione “fuggiamo perché abbiamo paura” sottolineando il primato del sistema nervoso centrale (SNC). Per il prevalere di paradigmi di ricerca di stampo comportamentista e per questi contributi, le emozioni sono state a lungo oggetto di studio quasi esclusivo della neurofisiologia e l’interesse nell’ambito della psicologia si è affermato con il cognitivismo che ha tenuto conto di entrambi i contributi. Infatti, la psicologia scientifica ha affrontato il quesito di James approfondendo le diverse componenti delle emozioni e il rapporto che le lega, non accontentandosi di riconoscere la natura complessa e multicomponenziale. Prospettive teoriche nello studio delle emozioni La svolta cognitivista in ambito psicologico degli anni ‘60 ha prodotto un grande interesse riguardo il tema delle emozioni, superando la prospettiva teorica comportamentista, che aveva tenuto a lungo lontano dall’ambito accademico lo studio dell’emozione, considerata esperienza soggettiva e non misurabile. Anche la tradizione filosofica a partire dalla distinzione cartesiana tra corpo e mente aveva elaborato una concezione dell’emozione come irrazionalità, e solo con il contributo di De Sousa viene messa in evidenza la razionalità delle emozioni dal punto di vista filosofico. Schacter e Singer (1962) hanno introdotto per primi una dimensione psicologica nello studio delle emozioni proponendo la Teoria cognitivo-attivazionale o Teoria dei due fattori, in base alla quale l’emozione sarebbe la risultante dell’interazione tra una componente di attivazione fisiologica dell’organismo (arousal) e una di natura psicologica. Il loro esperimento (hanno indagato l’effetto che informazioni fornite ai partecipanti producono sul loro etichettamento di uno stato emotivo) è considerato un punto di partenza nello studio cognitivista delle emozioni, perché da esso l’emozione si è configurata come un processo complesso e multicomponenziale che dura nel tempo ed è caratterizzato da modificazioni fisiologiche e da tendenze all'azione. Tuttavia il rapporto tra le varie componenti rimane un problema aperto perché esse presentano complessi rapporti di interdipendenza, sono distinte e non tutte necessariamente presenti e il legame che intercorre fra di esse varia a età diverse in relazione emozioni differenti. 2 Le teorie dell’“appraisal” Le teorie cognitiviste considerano la valutazione cognitiva degli eventi (“appraisal”) un aspetto centrale del processo emotivo. Le teorie dell’”appraisal” hanno messo in evidenza l’intreccio delle emozioni con i processi di pensiero, la razionalità e l’elaborazione cognitiva, e si dividono in due grandi famiglie. Ø Approccio discreto-categoriale/della rilevanza dell’obiettivo (Oatley e Johnson Laird) valuta gli eventi in base a categorie generali, quali l’obiettivo del soggetto, enfatizza le differenze tra le emozioni e gli eventi che le producono. Oatley e Johnson Laird a partire dall’analisi delle specie meno evolute hanno proposto l’esistenza di un set di emozioni di base o principali, ciascuna delle quali causata da una categoria di eventi: la riuscita determina la felicità, la frustrazione causa la collera, la perdita determina la tristezza e la minaccia la paura. Ø Approccio dimensionale (Scherer, Frijda) Effettua controlli valutativi degli eventi; sottolinea gli elementi di somiglianza (aspetti trasversali) che accomunano le emozioni. Gli studiosi di questo approccio sono detti anche “componenzialisti” in quanto hanno evidenziato numerose componenti del processo emotivo chiedendo ai soggetti di ricordare episodi emotivi. Secondo Scherer un’importante funzione dell’emozione è quella di valutare gli stimoli interni ed esterni all’organismo rispetto alla loro rilevanza, attraverso 5 controlli valutativi dello stimolo: 1. Novità dello stimolo rispetto alle proprie aspettative (non richiede attivazione di funzioni corticali superiori); 2. Piacevolezza/spiacevolezza dello stimolo, che suscita risposte di avvicinamento o allontanamento (non richiede attivazione di funzioni corticali superiori); 3. Rapporto tra lo stimolo e gli scopi dell’organismo (richiede capacità cognitive più elevate che consentono di valutare se un evento favorisce/ostacola il raggiungimento dei propri obiettivi); 4. Capacità di far fronte all’evento (coping) attraverso la fuga o rivedendo i propri obiettivi ad esempio (presente anche nei mammiferi superiori). 5. Compatibilità con le forme sociali e l’immagine di sé, capacità di confrontare le proprie e altrui azioni con i modelli forniti dal contesto sociale, come accade per la colpa o la vergogna (emozioni della “consapevolezza di sé” o “emozioni sociali” o “morali”) ed è propria solo degli esseri umani. Frijda ha messo in luce come le emozioni sorgano in risposta alla valutazione del soggetto in relazione ai suoi interessi personali, cioè al significato che una certa situazione assume per lui, non tanto per l’evento in sé. Ha inoltre individuato un certo numero di pattern d’azione (fuggire) che consentono di predire le emozioni corrispondenti (paura). Infatti la valutazione di una situazione predispone l’individuo all’azione perché le emozioni inducono ad agire in un certo modo (fuggire nel caso della paura). Questa prospettiva ha contribuito a evidenziare le differenze individuali e culturali nella valutazione degli eventi emotigeni. Le teorie socioculturali La prospettiva costruzionista in psicologia ha contribuito a indirizzare la ricerca sulle specificità delle costruzioni sociali e culturali delle emozioni e a tal riguardo esistono due posizioni distinte: Ø Approccio moderato (Mesquita, Fridja) Posizione di moderato costruzionismo, maggiormente interlocutoria ed empirica, indaga l’influenza della cultura sull’espressione e regolazione delle emozioni, pur riconoscendo 5 caratteristiche nelle varie specie di mammiferi: stesso substrato anatomico, stessi processi neurochimici e simili modalità comportamentali. In base a questa impostazione i processi cognitivi influenzano le emozioni umane modulandole e regolandole. Le emozioni sono collegate a “sistemi motivazionali interpersonali” (SMI) a base innata, che vengono attivati e disattivati da precise condizioni e che entrano in gioco nell’interazione sociale regolando le emozioni attraverso sequenze, a seconda che il raggiungimento dello scopo del sistema sia ostacolato o facilitato. L’attivazione del sistema dell’attaccamento è ostacolata dalla paura da separazione ed è facilitata dal conforto; l’attivazione del sistema competitivo (o agonistico) è ostacolata dalla paura da giudizio e facilitata dall’orgoglio; l’attivazione del sistema dell’accudimento è ostacolata dall’ansiosa sollecitudine e facilitata dalla tenerezza protettiva; l’attivazione del sistema cooperativo è ostacolata dall’isolamento e facilitata dall’empatia; l’attivazione del sistema sessuale è ostacolata dal pudore e facilitata dal desiderio erotico. Da ciò si evince che la prospettiva cognitivo-evoluzionista attribuisce all’intersoggettività la radice di ogni esperienza emotiva. Emozione e cervello L’affermarsi delle neuroscienze ha comportato un interesse per il rapporto tra cervello ed emozioni. L’approccio delle “neuroscienze affettive” ha iniziato a studiare le emozioni in prospettiva interdisciplinare (psicologia cognitiva, psicofisiologia, neuroimmagine) per individuare i meccanismi neurali delle emozioni in interazione con i sistemi fisiologici in soggetti normali e in persone affette da alterazioni comportamentali. Dal punto di vista neuroscientifico le emozioni sono risposte comportamentali scatenate da stimoli rilevanti e che coinvolgono l’attivazione combinata di una serie di strutture cerebrali (studiate dalla neuropsicologia) corticali e sottocorticali. Le strutture sottocorticali (sistema limbico: talamo, ippocampo, amìgdala) sono coinvolte nel processo di valutazione di un evento e sono dotate di programmi neuromotori innati che generano risposte automatiche, mentre le strutture corticali sono implicate nell’elaborazione e nel controllo delle risposte emotive che avviene in modo consapevole. Recentemente le tecniche di indagine neurofunzionale hanno identificato le aree cerebrali attive durante specifiche esperienze emozionali, grazie alla presenza di maggiore o minore irrorazione sanguigna. Le tecniche di neuroimmagine hanno scoperto che l’amìgdala (coinvolta nell’esperienza della paura) è implicata nel riconoscimento delle espressioni emotive dei volti e che l’insula (una porzione della corteccia cerebrale) è coinvolta nell’esperienza del disgusto. Queste ricerche hanno evidenziato come l’emozione non sia riconducibile alla sola natura biologica, ma è da un lato un’attività legata a specifiche strutture del cervello, dall’altro esperienza soggettiva e mentale. Un contributo importante riguarda la scoperta dei neuroni specchio, originariamente individuati da Rizzolatti e colleghi in alcune aree dei lobi frontali e parietali del macaco implicato nel sistema motorio. Si tratta di neuroni presente anche nell’uomo e che si attivano sia quando un soggetto esegue personalmente un movimento finalizzato sia quando osserva un altro soggetto eseguire lo stesso movimento. I neuroni specchio hanno un ruolo centrale nella comprensione sociale perché permettono di simulare dentro di sé le intenzioni e gli scopi dell’altro. Infatti la maggior parte delle nostre azioni sono emotivamente connotate e le azioni osservate negli altri possono provocare in noi un’ampia varietà di emozioni. In seguito alla dimostrazione dell’esistenza di neuroni specchio di tipo motorio, alcuni studiosi hanno dimostrato l’esistenza di precise aree cerebrali che si attivano sia durante una certa esperienza emotiva sia quando si osserva lo stato emotivo dell’altro mentre prova la stessa emozione (attraverso indizi facciali soprattutto). Significativi sono gli studi che hanno evidenziato 6 come la struttura corticale dell’insula si attivi anche solamente alla vista di espressioni facciali di disgusto o di dolore. Altri studi hanno evidenziato come i neuroni-specchio costituiscano la base biologica dell’empatia (esperienza emotiva e cognitiva) in quanto consentono di immedesimarsi nell’altro in modo quasi automatico e sono dunque alla base della socialità umana. Conclusione Le prospettive teoriche descritte non sono sempre in contraddizione o in conflitto tra di loro. Le prospettive socioculturali (soprattutto di stampo radicale) non hanno tenuto conto delle caratteristiche biologiche di base e hanno approfondito la socializzazione emotiva fornendo significati che particolari emozioni assumono in contesti culturali poco noti. Le prospettive psicobiologiche o evoluzionistiche hanno puntato l’attenzione sulla funzione adattiva che le emozioni svolgono, mettendo in luce la dimensione sociale delle emozioni (come nell’approccio socioculturale). Oatley e Johnson Laird sono un punto di riferimento per le teorie dell’appraisal dal punto di vista discreto-categoriale, e per questo si avvicinano anche alla concezione darwiniana ripresa da Ekman nell’approccio tradizionale delle teorie psicoevoluzionistiche. Frijda e Scherer hanno fornito un contributo per la visione dimensionale dell’”appraisal” e si sono interessati anche agli aspetti culturali delle emozioni. Nella comunità scientifica si concorda sul fatto che le emozioni possiedano radici neurobiologiche, sono un’esperienza soggettiva dotata di significato in relazione agli interessi personali, non si hanno esperienze emotive se non c’è una persona che attivamente valuta gli eventi e reagisce ad essi in rapporto al significato che questi assumono per lei; possiedono una dimensione sociale (emozioni sociali come la colpa o la vergogna) e relazionale (poichè regolano gli scambi interpersonali), sono influenzate dalla cultura di appartenenza che suggerisce le pratiche di socializzazione emotiva, sono state recentemente oggetto di studio da parte di discipline diverse. Definizioni di “emozione” (approf.) Ø Jamesàsensazioni delle modificazioni corporee che seguono la percezione di un evento Ø Frijdaàcambiamenti causati da valutazioni di eventi rilevanti rispetto ai propri interessi Ø Lazarusàreazioni psicofisiologiche alle novità che riguardano le relazioni e l’ambiente Ø Liottià realtà biologiche a base innata frutto della storia evolutiva 2. Psicologia dello sviluppo emotivo Introduzione Le emozioni si possono concepire come categorie discrete presenti fin dalla nascita, come la risultante di un apprendimento graduale o come la combinazione di fattori innati e acquisiti. In ogni caso sono centrali nella costruzione del legame di attaccamento, poiché lo scambio di espressioni emotive regola il contatto affettivo indispensabile per costruire un legame tra i partner e assicurare lo sviluppo emotivo (inteso come intreccio di componenti affettive, cognitive e sociali). Prospettive teoriche sullo sviluppo emotivo Nell’affrontare lo studio delle emozioni ci si imbatte in una serie di problemi metodologici, dovuti soprattutto alla difficoltà nell’acquisire dati fisiologici, comportamentali ed espressivi effettivamente oggettivi e non soggetti a interferenze. A questo è dovuto lo scarto tra i dati empirici disponibili e le prospettive teoriche elaborate. 7 La teoria differenziale La teoria differenziale sostiene la natura innata delle emozioni primarie e il ruolo delle espressioni emotive nel generare l’esperienza emozionale. È sostenuta principalmente da Izard, che concepisce lo sviluppo delle emozioni in una prospettiva discreta o categoriale, poiché sostiene l’esistenza di un set di emozioni primarie o di base innate e universali (paura, collera, gioia, tristezza, disgusto), che si differenziano dalle emozioni miste, complesse o secondarie (vergogna, imbarazzo, orgoglio, odio) che si presentano a partire dalla fine del primo anno di vita, in corrispondenza dell’emergere della consapevolezza di sé. Fin dalla nascita le emozioni primarie emergono già strutturate ed è presente una concordanza biunivoca e innata tra espressione facciale (e il feedback propriocettivo, o corporeo-muscolare) ed esperienza emotiva. Il sistema emotivo funziona inizialmente in modo indipendente da quello cognitivo, ma la concordanza espressione-esperienza emotiva garantisce la comunicazione sociale del bambino anche nella fase di sviluppo preverbale. All’inizio le espressioni facciali sono stereotipate e simili a riflessi automatici, ma già nel corso del terzo mese il bambino è in grado di scollegare l’espressione dall’esperienza emotiva, e nel corso del primo anno le emozioni (che costituiscono il “sistema motivazionale primario” necessario per lo sviluppo cognitivo e linguistico), aumentano in complessità grazie alla crescita cognitivo-linguistica del bambino, e accresce anche la complessità dell’esperienza emozionale, che per Izard include 3 livelli: Ø Primo livello (0-2 mesi), dell’esperienza sensorio-affettiva, caratterizzato da presenza di emozioni primarie (disgusto, sconforto, interesse) che consentono al bambino di comunicare i propri bisogni. Ø Secondo livello (3-9 mesi), dell’esperienza percettivo-affettiva, caratterizzato da comparsa di collera, tristezza e paura e dall’esplorazione dell’ambiente. Ø Terzo livello (9-24 mesi), dell’esperienza cognitivo-affettiva, caratterizzato da comparsa di emozioni complesse (colpa, vergogna, timidezza) che evidenziano la progressiva differenziazione Sé-altro e il crescere della consapevolezza di sé. Dai 2 anni il bambino inizia ad apprendere modalità di regolazione delle emozioni, a esagerare o mascherare le emozioni provate sulla base delle norme imposte dalla cultura di appartenenza. La teoria differenziale si articola nei seguenti punti: § Per ogni emozione discreta vi sono programmi neurali innati e universali; le espressioni emotive emergono con la maturazione neurologica delle diverse emozioni; § Il processo emotivo è funzione del sistema nervoso centrale mentre il sistema nervoso autonomo svolge un ruolo ausiliario; § Fra esperienza soggettiva interna ed espressione facciale manifesta c’è corrispondenza, ed entrambe possiedono proprietà permanenti per favorire la continuità dell’esperienza; § Lo sviluppo cognitivo e la socializzazione emotiva non determinano lo sviluppo emotivo stesso I punti deboli di questa teoria riguardano l’asserzione non dimostrata empiricamente del primato del piano emotivo su quello cognitivo, e la pretesa di spiegare la connessione tra espressione ed esperienza emotiva in base alle influenze sociali. La teoria della differenziazione In base a questa teoria le emozioni sono il risultato di un processo di differenziazione da uno stato iniziale di eccitazione indifferenziata, il cui superamento avviene grazie all’incidenza sociale e culturale. La prima studiosa sostenitrice di questo approccio è la Bridges che sulla base di uno studio condotto con metodo osservativo su una sessantina di bambini entro i 2 anni ha descritto le principali tappe del processo di differenziazione: 10 § 2-3 annià acquisizione e consolidamento regole sociali e culturali che portano all’insorgenza di orgoglio, vergogna e colpa (emozioni morali). Dai 3 anni la vita emotiva continua a espandersi, ma le strutture di base sono già formate. Contributi di Sroufe e di Lewis enfatizzano il primato della sfera cognitiva indispensabile per il configurarsi di emozioni più complesse rispetto a quelle di base (compaiono nei primi mesi di vita e sono riconoscibili come stati emotivi), e il ruolo della socializzazione nello sviluppo emotivo. La teoria componenziale La teoria componenziale è stata proposta da Scherer, che ha applicato allo sviluppo emotivo l’approccio “dimensionale” o “componenziale”, in base al quale le emozioni variano secondo alcune dimensioni (es. valenza edonica o novità dello stimolo). Leventhal e Scherer sostengono che le emozioni si sviluppano da forme semplici e biologicamente radicate fino ad arrivare a configurazioni complesse, grazie all’attività mnestica, immaginativa e all’assimilazione di scripts culturali. Individuano 3 livelli di elaborazione degli eventi: 1. Livello sensomotorioàcostituito da programmi espressivo-motori innati e da sistemi di attivazione cerebrale innescati automaticamente da una varietà di stimoli interni o esterni. A questo livello si pongono le basi per i primi comportamenti emotivi. 2. Livello schematicoà caratterizzato dalla costruzione di schemi anch’essi generati automaticamente che consentono una rappresentazione delle situazioni emotive (prototipiche); vengono registrati come memorie delle esperienze emotive e la loro formazione continua per tutta la vita (persona di fronte a uno stimolo risponde in modo automatico sul piano emotivo secondo una sequenza di reazioni previste dallo schema emozionale corrispondente). 3. Livello concettualeàè di tipo metacognitivo perché prevede che il bambino sia in grado di riflettere sulle proprie risposte all’ambiente, di individuare le regole emotive appropriate e di usare strategie efficaci sul piano comportamentale. I tre livelli vengono attivati dal processo di valutazione del soggetto nei confronti dell’ambiente e lo sviluppo delle emozioni consiste nel passaggio sequenziale e lineare da un livello all’altro con la riorganizzazione e l’arricchimento di significato delle emozioni. Tra i tre livelli nel corso dello sviluppo c’è un’integrazione anche se i meccanismi del livello sensomotorio mantengono una relativa indipendenza. La teoria funzionalista e la teoria dei sistemi dinamici rappresentano due importanti approcci allo studio dello sviluppo emotivo ma meno sistematici di quelli appena trattati. La teoria funzionalista La prospettiva funzionalista rappresentata da Barrett e Campos, sottolinea la natura funzionale delle emozioni nella regolazione dell’interazione individuo-ambiente; concepisce lo sviluppo emotivo come intreccio tra individuo e ambiente; introduce il concetto di famiglia di emozioni che soddisfa l’idea secondo la quale più emozioni assolvono funzioni molto simili. Le emozioni sono bidimensionali (processi interattivi tra individuo e ambiente), relazionali (in rapporto a determinate situazioni), significative (implicazioni di natura adattiva sull’organismo). Hanno una funzione biologica per la sopravvivenza (es. reazione di disgusto rispetto certi cibi); una funzione comunicativa importante negli scambi sociali e alla quale è legata il fenomeno del riferimento sociale (che ha un carattere selettivo in quanto svolto dal caregiver o dalla madre): le reazioni emotive della madre influenzano i comportamenti del bambino, che utilizza le figure di attaccamento per comprendere come reagire ai segnali provenienti dall’ambiente. Le emozioni hanno anche la funzione di informare circa il raggiungimento di desideri e scopi, e dunque lo stesso evento può produrre emozioni diverse a seconda del contesto e degli scopi del bambino. 11 La teoria dei sistemi dinamici La teoria dei sistemi dinamici (DST) elaborata da Fogel e Thelen può essere utilizzata per riferirsi a qualsiasi organizzazione complessa composta da molteplici parti che si influenzano a vicenda. La Camras sostiene questo approccio ribaltando la prospettiva di Izard secondo cui le espressioni facciali sono la automatica manifestazione delle emozioni, evidenziando che le espressioni facciali di emozioni rilevanti per il neonato (come sconforto e rabbia) sono indistinguibili sul piano morfologico e compaiono di frequente nel corso dello stesso episodio emotivo. Inoltre le espressioni facciali del primo periodo di vita non sono prodotte in modo accidentale, e non sono nemmeno specifiche e distinte come sostengono i teorici della teoria differenziale; sono invece la manifestazione di uno stesso affetto a valenza negativa con differenti intensità. Le emozioni sono “sistemi capaci di autoorganizzarsi” costituiti da diverse componenti (espressivo-motorie, cognitive e strumentali) che si orchestrano tra loro in base al contesto e si sviluppano secondo modalità etero- croniche cioè in tempi diversi. Il percorso evolutivo di ciascuna emozione primaria varia in funzione delle sue particolari componenti. Questo approccio consente di salvare il concetto di basicità delle emozioni, ossia il fatto che hanno una storia evolutiva, negando però l’idea di corrispondenza biunivoca emozione-espressione facciale. Riflessioni conclusive Il modello teorico differenziale (Izard) e quello della differenziazione (Sroufe) presentano alcune somiglianze: ordine e momento di comparsa delle distinte emozioni (sorriso endogeno, sorriso sociale, gioia, trasalimento, sconforto, rabbia/collera, circospezione/paura), parallelismo fra sviluppo emotivo e sviluppo cognitivo, l’intervento di fattori biologici e cognitivo-sociali nel determinare la risposta emotiva del bambino. Le differenze sono riconducibili alle premesse teoriche: l’ipotesi della comparsa dalla nascita di emozioni già differenziate da un lato e la concezione dello sviluppo emotivo come processo di differenziazione a partire da precursori dall’altro lato, aspetto che fa sì che per alcune emozioni ci siano differenze importanti di datazione: la vergogna e la colpa (emozioni sociali) appaiono posticipate nel modello di Sroufe perché legate allo sviluppo cognitivo e sociale dei bambini. Un altro aspetto riguarda le differenze di significato attribuito ai termini emotivi: “interesse” in Izard è assimilato a eccitazione; “sconforto” a tristezza mentre in Sroufe è riconducibile a un misto di vissuti negativi e di rabbia, e nel suo approccio compaiono termini come “affetto per se stesso” e “amore” che rispecchiano l’orientamento cognitivista dell’autore secondo cui le emozioni sono in rapporto con la comparsa e il consolidamento di acquisizioni cognitive. Il modello teorico componenziale (Scherer) rappresenta un tentativo di sintesi perché presenta punti di contatto con la teoria della differenziazione (sviluppo emotivo in rapporto con la comparsa di controlli valutativi sempre più complessi e legati all’evoluzione delle strutture corticali) e con l’approccio differenziale (numero limitato di modi di rispondere alle valutazioni dello stimolo). Sviluppo emotivo e attaccamento Quando la madre mette in atto dei comportamenti in risposta alle espressioni emotive del figlio, contribuisce a far sì che il bambino utilizzi sempre più intenzionalmente le espressioni emotive per rafforzare la relazione di attaccamento con lei. L’attaccamento è definito da Ainsworth come un legame emotivo profondo che una persona forma con un’altra e che le unisce nello spazio e nel tempo. Le emozioni hanno una funzione interpersonale perché creano e consolidano i legami affettivi tra il bambino e il caregiver. La capacità o incapacità materna di rispondere alle emozioni del bambino nel primo anno di vita ha importanti conseguenze sul legame che si andrà costruendo. Per questo 12 motivo non è possibile studiare il reale sviluppo emotivo del bambino senza prendere in considerazione lo sviluppo affettivo nel corso dei primi anni di vita. La costruzione dei legami di attaccamento madre-bambino La teoria dell’attaccamento si è affermata inizialmente attraverso i lavori di Bowlby e grazie a spunti provenienti da biologia evoluzionistica ed etologia. Bowlby ritiene che il legame madre-bambino sia il risultato di un sistema di schemi comportamentali a base innata con il significato adattivo da rintracciare nel bisogno di protezione dai predatori che in tempi passati ha incrementato le possibilità di sopravvivenza e la riproduzione della specie. La costruzione del legame avviene grazie agli scambi tra il bambino e l’adulto che si prende cura di lui in modo continuativo e privilegiato (caregiver) e che nella maggior parte dei casi è la madre (figura di attaccamento o FDA). Nelle circostanze in cui il bambino percepisce un pericolo, mette in atto comportamenti di attaccamento preprogrammati che all’inizio sono di natura innata e progressivamente si organizzano intorno alla FDA che gli assicura prossimità e contatto (ossia protezione). Il periodo privilegiato per la costruzione del legame di attaccamento è detto periodo sensibile, durante il quale si collocano 4 fasi di sviluppo del rapporto affettivo che coprono i primi 2-3 anni di vita: 1. Fase di pre-attaccamento in cui i segnali del bambino sono diretti indistintamente agli adulti con cui interagisce; 2. fase in cui il bambino mostra di preferire uno o più adulti per ricevere protezione e conforto; 3. fase di attaccamento vero e proprio (6-13 mesi) in cui protesta alla separazione dal caregiver e lo utilizza come base sicura; 4. fase in cui si realizza, dai 18 mesi, la formazione di modelli operativi interni (MOI), schemi mentali, rappresentazioni interne che il bambino costruisce di sé e dell’altro e della relazione Sé-altro, e che dipendono dalle modalità con cui il legame si è formato e guidano il modo con cui il bambino si pone nei confronti degli altri. Gli schemi mentali e i tipi di legami che il bambino costruisce nel corso del secondo e terzo anno di vita sono diversi tra loro perché influenzati dal temperamento del bambino (insieme delle differenze individuali) e dalle caratteristiche della madre: la sensibilità materna (leggere e comprendere i segnali del bambino) e la responsività materna (rispondere in modo appropriato ai segnali del figlio). Queste variabili determinano differenti stili di attaccamento, valutabili attraverso la metodica osservative detta Strange situation Procedure (SSP), “procedura della situazione insolita”, predisposta da Ainsworth e colleghi nel 1978 e applicabile a bambini dai 12 mesi ai 2 anni con l’obiettivo di attivare e intensificare i comportamenti di attaccamento del bambino nei confronti della madre sottoponendolo a una situazione di stress crescente (infatti il setting osservativo è il contesto non familiare del laboratorio e prevede la presenza di un adulto sconosciuto e di due separazioni e ricongiungimenti con la madre). Grazie a questa procedura sono state individuate 4 tipologie di attaccamento madre-bambino che sono state messe in rapporto al comportamento materno nel primo anno di vita: Ø (B) attaccamento sicuro, madre sensibile ai segnali del bambino; Ø (A) attaccamento insicuro-evitante, rifiutante il contatto fisico anche in situazioni di stress; Ø (C) attaccamento insicuro-ambivalente, imprevedibile nelle risposte alle richieste del piccolo; Ø (D) attaccamento disorganizzato, comportamento gravemente patologico. Clima emotivo nella relazione madre-bambino Il corretto sviluppo psicologico del bambino è connesso a relazioni caratterizzate da un clima emotivo positivo, che si costruisce tenendo conto dei seguenti aspetti: la sensibilità materna, ossia la capacità della madre di percepire le comunicazioni del bambino e rispondervi adeguatamente, 15 Nella versione rivista del costrutto di intelligenza emotiva (1997), introducono il concetto di “pensare circa le emozioni” e propongono un modello evolutivo diviso in 4 ambiti di complessità crescente, che procede dalla semplice percezione delle emozioni fino a un livello riflessivo di metaesperienza delle emozioni: 1. Valutazione ed espressione delle emozioni; 2. Generare emozioni che possano facilitare il pensiero; 3. Comprensione, analisi e utilizzo della conoscenza emotiva; 4. Regolazione riflessiva delle emozioni per la crescita emotiva e intellettuale. Intelligenza emotiva e strumenti self-report (approf.) Alcuni studiosi concepiscono l’intelligenza emotiva come abilità misurabile attraverso compiti di performance, altri la concepiscono come un tratto valutabile attraverso questionari, ovvero strumenti self report. Tra questi, il MSCEIT progettato da Mayer e Salovey, strumento per preadolescenti e adolescenti che misura l’intelligenza emotiva sotto il profilo delle Credenze che l’individuo possiede sulle emozioni, Concetto di sé Meta-Emotivo, Abilità Emotiva e Autovalutazione di Prestazione. Il Questionario di Schutte e colleghi misura la percezione che gli individui hanno di sé in riferimento alle proprie capacità emotive attraverso la scala EIS. Saarni e la competenza emotiva nelle transazioni sociali Saarni si è soffermata sullo studio della competenza emotiva dal punto di vista evolutivo, considerando sia lo sviluppo tipico sia quello atipico. L’autrice intende la competenza emotiva come la capacità di comprendere, regolare, controllare e utilizzare le proprie e altrui emozioni nei processi cognitivi e sociali. Gli elementi che concorrono a tale definizione sono il senso di sé, il proprio senso morale e la propria storia evolutiva. Le componenti della competenza emotiva sono 8 abilità di base (skills) dinamiche e integrate, necessarie per essere efficaci nelle transazioni sociali che producono emozioni, essendo gli scambi interpersonali il luogo in cui il significato viene stabilito, e mentre le prime sei provengono dagli studi sullo sviluppo emotivo, le ultime due riflettono il fatto che la competenza emotiva dovrebbe produrre saggezza: 1. Consapevolezza delle proprie emozioni che ha come condizione lo sviluppo del senso di sé che porta ad acquisire una specifica identità e a differenziarsi dagli altri; 2. Capacità di riconoscere le emozioni degli altri, si sviluppa in connessione con altre abilità come l’empatia; 3. Abilità di usare il vocabolario emotivo, consente di comunicare le proprie esperienze emotive agli altri, di acquisire script culturali che collegano le emozioni con i ruoli sociali, e script emotivi utili per dare senso alle esperienze emotive; 4. Capacità di coinvolgimento empatico nelle esperienze emotive altrui, è presente precocemente e consiste nel riconoscere e produrre segnali emotivi per contagio; 5. Capacità di realizzare che stati emotivi interni non corrispondono necessariamente all’espressione osservabile, e che spinge in alcune circostanze non far trapelare ciò che si prova; 6. Capacità di far fronte alle emozioni a valenza negativa mediante strategie di autoregolazione o stili di coping (problem solving, resistenza allo stress). 7. Consapevolezza del ruolo della comunicazione emotiva nelle relazioni, ogni relazione esiste poiché c’è comunicazione emotiva, la cui consapevolezza è legata a tre aspetti: rituali dell’interazione, processi di negoziazione interpersonali e metacomunicazione; 8. Autoefficacia emotiva consiste nel sentire di avere controllo delle proprie emozioni, nell’accettazione della propria vita emotiva e implica la conoscenza di sé e la disponibilità a “guardarsi dentro”. 16 Denham e la competenza socioemotiva La Denham (1998) ha sistematizzato le idee proposte dagli autori precedenti, definendo la competenza emotiva come un insieme di capacità riconducibili a tre principali categorie: 1. espressione emotiva: uso di gesti per esprimere messaggi emotivi non verbali, 2. comprensione emotiva: riconoscimento delle proprie e altrui emozioni, uso del vocabolario emotivo, 3. regolazione emotiva: uso di strategie per modificare esperienze emozionali troppo intense. Recentemente (2001) ha proposto un modello teorico della competenza socioaffettiva (o emotivo- sociale) la quale include 3 componenti: inviare messaggi affettivi (sending), ricevere messaggi affettivi (receiving), fare esperienze affettive (experiencing); a ciascuna delle quali corrispondono 4 abilità: consapevolezza dell’emozione, identificazione dell’emozione, adattamento al contesto, gestione e regolazione delle emozioni. Il modello considera inoltre i self-factors che influenzano la competenza socioaffettiva ed è rappresentato come una girandola composta da tre eliche che rappresentano le tre componenti per mettere in risalto la natura dinamica delle interazioni sociali. Infatti un aspetto importante della competenza socioaffettiva consiste nel controllare la sovrapposizione tra le tre componenti dell’inviare, ricevere e sperimentare emozioni. 1. Inviare messaggi affettiviàcapacità di segnalare lo stato emotivo attraverso canali espressivi (pianto, sorriso…). Ø Consapevolezza compare già in età prescolare quando il bambino comprende che se desidera qualcosa deve comunicarlo; Ø Identificazione consiste nello scegliere il tipo di messaggio emotivo che si intende inviare; Ø Adattamento al contesto implica saper modificare i propri comportamenti in relazione alla situazione Ø Gestione delle emozioni consiste nel regolare l’espressione dei propri stati d’animo. 2. Ricevere segnali emotivo-affettivi à fornisce riscontri rispetto alle azioni prodotte e informa delle intenzioni dell’altro. Ø Consapevolezza dei messaggi emotivi altrui consente di procedere nell’interazione Ø Identificazione consiste nell’interpretare il significato del messaggio Ø Comprendere i significati dei messaggi emotivi degli altri tenendo conto del contesto Ø Gestione dei segnali emotivi altrui consiste ad esempio nel saper rispondere alla provocazione 3. Fare esperienze emotivo-affettive à riconoscimento delle proprie mozioni e regolazione dell’espressione emotiva durante le interazioni sociali. Ø Consapevolezza di provare un’emozione Ø Identificazione consiste nel riconoscere e dare un nome a ciò che si sta proprio provando Ø Comprendere i significati dei propri stati d’animo tenendo conto dei limiti contestuali Ø Gestione delle proprie esperienze emotive attraverso strategie di coping (mantenere la calma o trattenere le lacrime). L’espressione delle emozioni Grazie al contributo di numerosi studiosi la psicologia della comunicazione è diventata una vera scienza che concepisce la comunicazione come insieme di componenti verbali e non verbali. La comunicazione non verbale (CNV) assolve diverse funzioni fra cui quella di esprimere emozioni attraverso canali comunicativi non verbali che consentono una traduzione di uno stato interno in un quadro espressivo riconoscibile; i principali sono: il volto, lo sguardo, i gesti e i movimenti corporei, la voce e il contatto. Grazie a strumenti tecnologicamente avanzati sono stati rintracciati complessi sistemi di comunicazione infantile attivi dai primi mesi di vita e funzionali alla costruzione della relazione emotivo-affettiva tra adulto e bambino. Ø IL VOLTOà Canale privilegiato nella comunicazione delle emozioni (molte ricerche si avvalgono di fotografie con i volti raffiguranti espressioni facciali di emozioni di base) e nello scambio madre-bambino (il bambino mette a fuoco il volto materno ed inizia così a strutturare i dialoghi 17 preverbali connotati dal punto di vista emotivo). Ci sono 2 zone principali deputate a segnalare le informazioni emotive: l’area superiore (occhi, sopracciglia e fronte), e l’area inferiore (guance, naso, bocca, mento). Ekman e Friesen hanno ideato uno strumento, FACS (Facial Action Coding System), che consente di codificare 44 unità di azione muscolare (Action Units) che combinandosi tra loro danno origine a più di 7000 movimenti visibili del volto coinvolti nell’espressione delle emozioni. La versione per neonati, Baby FACS permette di identificare le azioni dei muscoli del volto in modo attendibile e di codificare l’intensità e le variazioni espressive del sorriso del pianto. Recentemente si è visto come fin dai primi mesi di vita le espressioni facciali svolgano una funzione sociale regolando i rapporti interpersonali. A tal proposito la prospettiva situazionista mette in rilievo il ruolo del contesto per identificare le emozioni collegate a specifiche espressioni facciali, sostenendo come ad esempio lo stesso sorriso possa assumere significati diversi e la stessa emozione possa generare diverse espressioni facciali, a seconda della situazione. La Oster condivide la necessità di trovare ipotesi alternative alla corrispondenza biunivoca tra configurazione del volto di espressione emotiva. Ø LO SGUARDOà è costituito sia da movimenti involontari (dilatazione e restringimento della pupilla o battito delle palpebre), sia da movimenti volontari utilizzati nelle interazioni sociali. L’uso dello sguardo rivela lo stato emotivo attuale della persona e riveste un ruolo importante nello scambio emotivo tra la madre e il bambino rafforzando la costruzione del legame affettivo. Studi nell’ambito dell’infant research hanno approfondito l’interazione faccia a faccia tra madre e bambino. Ø I GESTI E I MOVIMENTI DEL CORPOàI gesti sono quelle azioni che vengono prodotte sia intenzionalmente per comunicare informazioni, sia in modo spontaneo e involontario. In psicologia dello sviluppo lo studio di gesti preverbali di tipo “richiestivo” e “dichiarativo” che compaiono alla fine del primo anno di vita hanno gettato luce sulla continuità tra linguaggio preverbale e verbale. Si è visto quanto sia importante produrre segnali culturalmente più pertinenti per ottenere un’efficace comunicazione emotiva. I gesti rivelano gli stati emotivi delle persone in maniera più o meno esplicita e al crescere di intensità di uno stato emotivo l’uso dei gesti diventa più evidente (collera agitando un pugno, ansia attraverso gesticolazioni delle mani, vergogna attraverso il coprirsi il volto, sconforto attraverso il toccarsi i capelli e il viso. Al crescere di intensità di uno stato emotivo l’uso dei gesti diventa più evidente). Ø LA VOCEà dà informazioni sugli aspetti non verbali del parlato. Argyle ha proposto una distinzione dei segnali vocali verbali (aspetti legati al parlare, elementi prosodici e di disturbo) e non verbali (aspetti indipendenti dal parlare, elementi paralinguistici, come i segnali emotivi o specifici della voce del parlante). Essendo la voce il canale su cui si esercita il minor controllo, è la fonte più attendibile per conoscere i reali stati emotivi del parlante (es. tono di voce alto e linguaggio rapido, sintomi di ansia). Ulteriori lavori hanno distinto le fasi di encoding (espressione vocale delle emozioni) e decoding (riconoscimento dello stato emotivo-affettivo del parlante). Ø IL CONTATTO CORPOREO (sistema aptico)à canale comunicativo non verbale collegato al senso del tatto, che è il primo a svilupparsi; è caratterizzato da rilevanti differenze culturali tanto che si parla di vere proprie culture del contatto; una delle funzioni è quella di esprimere stati emotivi di diversa natura attraverso il toccare, l’accarezzare, il graffiare, dando testimonianza della qualità della relazione emotivo-affettiva in corso. I primati non umani passano parte del tempo nell’attività di grooming (pulizia e spulciatura) di un animale nei confronti di un altro per mantenere le relazioni. Come mostrano gli esperimenti di Harlow sui macachi e la teoria dell’attaccamento di Bowlby, il calore e il contatto corporeo è importante per i primati umani e non umani. 20 (se un bambino desidera utilizzare il computer che sta usando il fratello potrebbe offrirgli un gioco alternativo), o su se stessi (cambiando il proprio atteggiamento nei confronti di un interlocutore sgradito). 3. Focalizzazione selettiva dell’attenzione à riguarda l’impatto con l’ambiente fisico esterno e consente di scegliere strategie come la distrazione (distogliere l’attenzione da stimoli spiacevoli) e la ruminazione mentale (pensare intensamente a qualcosa). Nei bambini si manifesta attraverso il distogliere lo sguardo, il tapparsi le orecchie, l’allontanarsi. 4. Rivalutazione dell’evento e cambiamento cognitivo à processo in cui le situazioni vengono interpretate e rivalutate dal soggetto, assumendo un significato diverso e producendo risposte emotive differenti. Questa regolazione può influenzare il tipo di emozione provata in un secondo momento, la durata e l’intensità dell’esperienza (es. se un bambino si irrita a causa di un rimprovero dell’insegnante, attraverso questa strategia di regolazione può successivamente interpretare il rimprovero come segno di attenzione e di stimolo a fare meglio). 5. Modulazione della risposta emotiva àconcerne gli atti intenzionali che influenzano le risposte emotive dal punto fisiologico, espressivo e comportamentale, ad esempio tentando di sopprimere un’espressione emotiva o accentuandola. Il dibattito circa la natura della regolazione emotiva ha visto contrapposti coloro che propongono di non separare l’emozione dalla sua regolazione e coloro che ritengono sia importante mantenere la distinzione tra i due piani. La ricerca in psicologia dello sviluppo si confronta con 3 livelli rispetto ai quali la regolazione emotiva può essere studiata: 1) conoscenza astratta e conoscenze ingenue che i bambini possiedono circa le strategie regolatorie; 2) conoscenza personale legata all’esperienza soggettiva, al temperamento e ai profili emotivi dei bambini; 3) modalità dell’effettiva messa in atto di tali strategie. Il fatto che alcuni bambini mettano in atto strategie di regolazione delle proprie risposte emotive non significa per forza che essi siano consapevoli di farlo. Per cogliere il passaggio tra la regolazione iniziale mediata dal caregiver e la regolazione che nel corso dello sviluppo diventa sempre più autonoma e consapevole, è necessario soffermarsi sull’ontogenesi della regolazione emotiva. SVILUPPO DELLA REGOLAZIONE DELLE EMOZIONI Trevarthen afferma che ogni emozione espressa influisce direttamente sulle emozioni di un’altra persona e che quando i soggetti interagiscono, le emozioni regolano il loro contatto e la loro relazione. Nei primi mesi di vita il caregiver ha un ruolo fondamentale poiché sfrutta la predisposizione del bambino all’interazione e alla comunicazione diadica (il neonato mostra un precoce interesse per i volti), alimentata dalla regolazione reciproca che all’inizio è guidata principalmente dall’adulto, che favorisce il passaggio progressivo all’autoregolazione. Tronick ha messo a punto un paradigma sperimentale, steel face paradigm (volto immobile o impassibile) che ha permesso di osservare analiticamente l’interazione tra madre e bambino. Questa procedura prevede che nel primo episodio la madre interagisca spontaneamente con il bambino di pochi mesi, co-costruendo un’aspettativa di interazione normale, nel secondo episodio smetta improvvisamente di parlare e relazionarsi al bambino e mantenga lo sguardo fisso e mobile. A partire dai due mesi di età i bambini mostrano uno stato di confusione, di sconcerto e disagio dovuto al fatto di non riuscire a provocare, con i propri segnali, la consueta reazione materna. Di conseguenza cominciano a distogliere lo sguardo, a dirigerlo altrove in modo difensivo e assumono progressivamente un’espressione di intensa tristezza. L’attivazione di schemi comportamentali per ridurre i livelli di arousal è di due tipi: comportamenti autodiretti (distogliere lo sguardo dall’adulto, succhiare parti del corpo o oggetti) e condotte eterodiretti (uso dello sguardo, vocalizzazioni, mimica facciale, agitazione motoria). La procedura può prevedere che la madre riprenda a interagire 21 normalmente con il piccolo (nel terzo episodio) il quale pur riattivando a sua volta il dialogo emotivo, mostra di risentire negativamente dalla brusca interruzione mostrando segnali di rabbia e agitazione. Dai 3 mesi i bambini modificano le proprie emozioni in risposta al mutamento di quelle materne, adottando condotte di regolazione emotiva in situazioni di stress. Se l’attività di monitoraggio e trasformazione delle emozioni svolta dalla madre è assente, il bambino tenderà a ricorrere a forme di autoregolazione di tipo autoconsolatorie che assumono natura difensiva e si rivelano a lungo controproducenti. L’inespressività materna della situazione di Still face può esere paragonata a quella di una madre abitualmente depressa. Quello sviluppato da Tronik è un modello di regolazione reciproca (MRM), secondo il quale il bambino è un sistema autorganizzato in grado di regolare le proprie emozioni nella comunicazione con la madre, intesa anch’essa come sistema autorganizzato di regolazione. Comunicando tra loro, i due sistemi danno luogo a un sistema diadico di mutua regolazione. Sia nella procedura dello still face in quella della strange situation si possono osservare le strategie messe in atto dal bambino per far fronte a situazioni di stress e questa osservazione evidenzia il nesso tra le prime forme di regolazione emotiva madre-bambino e lo sviluppo dei legami di attaccamento. La madre infatti, interpretando le espressioni emotive del figlio e modulando di conseguenza le proprie risposte, contribuisce a far sì che questi utilizzi sempre più intenzionalmente le espressioni emotive per mantenere rafforzare la relazione di attaccamento con lei. Diverse ricerche hanno messo in luce il legame tra attaccamento e sviluppo di strategie di regolazione: i bambini con attaccamento sicuro si sentono liberi di manifestare le emozioni che provano perché esse sono accettate dai genitori; i bambini con attaccamento insicuro-evitante sviluppano strategie di nascondimento della loro sofferenza per timore di essere rifiutati o rimproverati; i bambini con attaccamento insicuro-ambivalente tendono esprimere le emozioni in modo esagerato per catturare l’attenzione in quanto sono abituati a ricevere risposte incoerenti e imprevedibili da parte del caregiver. Anche da adulti si tende a ricorrere agli altri in situazioni di stress emotivo attraverso la “condivisione sociale delle emozioni”, per cui è difficile raggiungere una piena autosufficienza regolatoria, ma l’infanzia è il periodo in cui si acquisiscono diverse strategie di regolazione emotiva. A tal proposito si possono identificare alcune tappe di sviluppo della regolazione delle emozioni. 1. Prima fase (0-1 anno)àruolo esterno dell’adulto fondamentale, ben presto condotte autoregolatorie prima automatiche (suzione del dito per autoconsolazione o distogliere lo sguardo dalla fonte di eccitamento per riorientare l’attenzione) poi sempre più intenzionali (comportamenti di attaccamento attraverso ricerca dell’adulto e uso di oggetti transizionali). 2. Seconda fase (1-3 anni)àacquisizione di competenze motorie, cognitive, linguistiche ed emotivo-affettive; esplorazione dell’ambiente, consolidazione dei propri MOI legati alle relazioni di attaccamento intra ed extrafamiliari; condotte di evitamento, di richiesta di vicinanza e contatto fisico; utilizzo del gioco di finzione per rielaborare esperienze emotive intense; l’adulto continua a svolgere un ruolo fondamentale sostenendo il bambino nelle sue esperienze; compare il fenomeno del “riferimento sociale” a sostegno della regolazione emotiva di tipo diadico. 3. Terza fase (3-5 anni)àetà prescolare, incremento delle capacità linguistiche e cognitive e di sviluppo della “teoria della mente” valutabile con compiti di “falsa credenza” che rilevano la crescente abilità del bambino nell’assumere la prospettiva dell’altro. Capacità di gestire le proprie emozioni durante il gioco, mascherarle o minimizzarle, alleviare la tristezza dei compagni con atteggiamenti consolatori. 4. Quarta fase (6-10 anni)à accrescimento strategie di autoregolazione (non pensare alla fonte di sofferenza, riflettere su emozioni provate) e della competenza emotiva, consentendo un buon adattamento alle situazioni. 22 5. Quinta fase (preadolescenza e adolescenza)àesperienze emotive intense, sviluppo metacognitivo che favorisce la riflessione sulla propria conoscenza e sulle proprie modalità conoscitive; emergere di stili di regolazione emotiva molto personali della tipologia di strategie interne funzionali (ripensare ai propri obiettivi), interne disfunzionali (autopunirsi), esterne funzionali (parlare con qualcuno dei propri stati d’animo) ed esterne disfunzionali (fare del male agli altri), modalità regolatorie flessibili con le richieste provenienti dall’ambiente. STRUMENTI NELLO STUDIO DELLA REGOLAZIONE DELLE EMOZIONI: HIF E ERC La ricerca sulla regolazione delle emozioni di neonati si basa sui riscontri riferiti dagli adulti, ma con bambini più grandi ci si può basare sul loro contributo verbale e sottoporgli semplici questionari. Uno strumento di ricerca per bambini di età scolare e preadolescenziale è l’HIF (How I Feel), un questionario composto da 30 item su scala 1-5 che prevede che i bambini rispondano ai singoli item pensando a quanto è successo loro negli ultimi tre mesi e misura sia l’attivazione emotiva (arousal), sia la regolazione di emozioni a valenza positiva e negativa rispetto alle dimensioni di frequenza e intensità (ad esempio “negli ultimi tre mesi sono stato felice molto spesso”). Un altro strumento è l’ERC (Emotion Reglation Checklist), che può essere compilato sia da genitori sia da insegnanti di bambini di età prescolare e scolare ed è costituito da 24 item. La comprensione delle emozioni La comprensione o conoscenza delle emozioni consiste nel dare significato a eventi interni o stati mentali detti “non epistemici” o “emotivo-affettivi” per differenziarli dagli stati mentali “epistemici” (credenze, opinioni, ipotesi), e significa sviluppare una concezione della mente emotiva e affettiva che orienti le azioni. Harris e Saarni hanno utilizzato l’espressione “teoria della mente emotiva” per riferirsi all’insieme di conoscenze consapevoli che gli esseri umani sviluppano a partire dalla prima infanzia riguardo al fatto che sia se stessi sia gli altri possiedono stati interni mentali che sono alla base delle azioni manifeste. Harris e colleghi hanno proposto un modello dello sviluppo della comprensione delle emozioni basato sull’approfondimento di 3 dimensioni (natura delle emozioni, cause delle emozioni e possibilità di controllo o regolazione delle emozioni), tre livelli evolutivi (esterno, mentale e riflessivo) e nove componenti (2 relative alla dimensione comprensione della natura, 5 alla comprensione delle cause e 2 alla comprensione della possibilità di regolare le emozioni). Il primo livello è quello della comprensione delle cause esterne come determinanti delle emozioni e va dai 2 ai 6 anni circa; il secondo livello è quello della comprensione dei fattori mentali come determinanti delle emozioni e va dai 5 ai 9 anni circa e il terzo livello è quello della comprensione dei fattori riflessivi come determinanti delle emozioni e va dagli 8 ai 12 anni. SVILUPPO DELLA COMPRENSIONE DELLE EMOZIONI Ø La comprensione della natura delle emozioniàsi sviluppa a partire dalla prima infanzia grazie all’esperienza interpersonale, poiché gli scambi sociali favoriscono l’articolarsi della conoscenza di sé e degli altri. Dai 2 anni iniziano a utilizzare il lessico psicologico emotivo e si riferiscono a emozioni del passato, del presente e del futuro rispetto a se stessi e agli altri. A 3/4 anni comprendono l’espressione facciale e categorizzano gioia, paura, tristezza e collera (associando le emozioni appropriate alle immagini di visi che le esprimono). A 6 anni comprendono e categorizzano emozioni complesse o morali quali orgoglio, imbarazzo, colpa, vergogna. Tra i 6 e gli 11 anni comprendono la natura mista o conflittuale delle emozioni (una persona può provare contemporaneamente emozioni di diversa valenza). Grazie a una serie di esperimenti sulla comprensione dell’ambivalenza emotiva con bambini tra i 4 e i 12 anni, Harter e colleghi hanno evidenziato come in età prescolare non ci sia alcun riconoscimento della possibile 25 e del proprio figlio, poiché quanto più l’adulto sarà inconsapevole tanto meno svolgerà un ruolo di agente socializzante diretto. Baumrid, (1971) ha messo in relazione la filosofia metaemotiva genitoriale con lo stile educativo. Partendo dall’individuazione di quattro dimensioni di comportamenti genitoriali (controllo, nutrizione, chiarezza comunicativa e richieste di maturità), ha proposto 4 stili genitoriali: auotoritario, permissivo, autorevole e trascurante. La Denham (1998) ha individuato 3 tipologie di socializzazione emotiva parentale complementari e non autoescludentesi, che hanno a che fare con modalità diverse di apprendimento delle emozioni da parte dei bambini: 1. Modelingàmodalità basata sull’osservazione da parte del figlio dei comportamenti espressivi genitoriali verbali e non verbali e delle strategie di regolazione delle emozioni, genitore che funge da modello di comportamento per il figlio, che apprende le regole di esibizione oppure a collegare le emozioni alle etichette verbali. 2. Coaching à modalità basata sull’insegnamento esplicito e consapevole del genitore che sfrutta l’esperienza emotiva propria o del figlio per insegnargli ad esempio il significato di certe emozioni e le strategie di regolazione, incrementando la sua competenza socioemotiva avvalendosi soprattutto di strumenti linguistici. 3. Contingencyàmodalità basata sulle reazioni parentali all’espressione emotiva dei bambini, reazioni che diventano fonti di apprendimento per il figlio sul significato dell’esperienza che sta provando, sulle cause che l’hanno prodotta e sulle strategie per gestirla. La Eisenberg e collaboratrici hanno individuato 4 tipi di pratiche genitoriali legate alle emozioni e che influenzano lo sviluppo socioemotivo del bambino in quanto agiscono su vari aspetti della competenza emotiva. Esse sono: 1) reazioni alle emozioni del figlio (influenzate dalle caratteristiche dei genitori), 2) discussione e conversazione sulle emozioni (influenzate dalle caratteristiche dei bambini), 3) espressività emotiva (legate alle variabili culturali) e 4) selezione/modificazione delle situazioni (legate alle variabili contestuali). Più di recente Morris e collaboratori hanno proposto un modello tripartito dell’impatto familiare sulla regolazione emotiva e l’adattamento del bambino, focalizzato su: 1. osservazione dei comportamenti dei membri familiari (modeling) 2. pratiche genitoriali nei confronti delle esperienze emotive dei figli (coaching) 3. clima emotivo familiare (attaccamento, stile genitoriale) Il rapporto tra le diverse componenti del modello non è unidirezionale, anzi questi tre fattori (legati alle caratteristiche genitoriali) sono considerati in relazione all’impatto che hanno sulla regolazione emotiva del bambino (che dipende dalle sue caratteristiche) che svolge un ruolo importante sull’adattamento sociale. La socializzazione emotiva extrafamiliare In contesti extrafamiliari quali il nido e la scuola dell’infanzia, i bambini sollecitano costantemente l’intervento dell’adulto come agente di socializzazione emotiva che aiuta il bambino in situazioni emotivamente connotate. Il bambino sperimenta l’intervento su di sé ma osserva anche quello rivolto ai compagni. Si tratta dunque di contesti in cui i bambini incrementano le competenze socioemotive e sperimentano strategie di regolazione emozionale. Il costrutto di apprendimento socioemotivo (SEL) si riferisce ai processi grazie ai quali si diventa consapevoli delle proprie emozioni e di quelle altrui, si impara a regolarle, a sviluppare atteggiamenti empatici e a costruire amicizie. L’organizzazione CASEL dell’università di Chicago si basa su questo costrutto; riunisce importanti ricercatori in ambito internazionale con lo scopo di diffondere la consapevolezza dell’importanza di interventi scolastici volti alla promozione dell’apprendimento socioemotivo, di cui sono presentati due modelli: quello di Payton e quello di 26 Zins, che promuovono alcune abilità quali l’autoconsapevolezza, la consapevolezza sociale, il decision making responsabile, l’autoregolazione e la gestione delle relazioni sociali. La Denham ha affrontato il tema della socializzazione alle emozioni al di fuori dei conti confini familiari, sottolineando che gli insegnanti possiedono un insieme di qualità che fanno di loro eccellenti socializzatori in grado di utilizzare strategie come il conforto fisico, l’insegnamento di meccanismi di regolazione, l’uso di lessico emotivo, la spiegazione delle cause, l’empatia, la distrazione, e che nel passaggio dal nido alla scuola dell’infanzia le modalità di socializzazione diventano meno caratterizzati dal conforto fisico e dalla distrazione più orientate all’orientamento di strategie funzionali all’espressione delle emozioni. Suggerisce inoltre di utilizzare anche nella ricerca in contesti educativi il framework che comprende 3 modalità che favoriscono l’incremento di abilità socioemotive (espressione, regolazione e conoscenza delle emozioni): 1) il modeling (basato sull’osservazione), 2) il contingent responding (risposta dell’adulto alle emozioni del bambino) e 3) il teaching (basato su un insegnamento diretto). L’impatto della socializzazione emotiva sulle competenze dei bambini La relazione tra socializzazione emotiva e competenze socioemotive è stata indagata mediante ricerche di tipo longitudinale che hanno indagato il ruolo di variabili legate alla socializzazione emotiva in grado di predire la presenza di particolari abilità, e mediante ricerche di tipo sperimentale secondo la metodologia del training-study con gruppi sperimentali e di controllo e almeno una fase di re-test di tutti i partecipanti per valutare l’efficacia di un intervento. Oggi disponiamo di una cospicua mole di risultati empirici che evidenziano l’impatto della socializzazione emotiva sulle competenze dei bambini. Ø Espressività emotiva e clima familiare quale veicolo di socializzazione emotiva in quanto una espressività emotiva materna a valenza positiva favorisce una maggiore conoscenza e comprensione delle emozioni da parte dei bambini, mentre una espressività emotiva materna a valenza negativa genera capacità di regolazione delle emozioni da parte dei bambini in termini negativi. Gli studi sul clima familiare avvalorano l’ipotesi di un effetto positivo degli stili educativi autorevoli e della filosofia metaemotiva coaching sul benessere emotivo dei figli e sulla riuscita scolastica. Ø Uso del lessico emotivo e conversazionale, poiché nelle conversazioni in famiglia l’uso da parte dei genitori di un adeguato e ricco lessico emotivo predice abilità di consapevolezza emozionale, comprensione delle cause e gestione delle emozioni da parte dei bambini. Nei contesti extrafamiliari la conversazione sulle emozioni con un approccio teaching in piccolo gruppo determina un incremento di abilità socioemotive ed empatiche già a partire dal nido. Lessico psicologico ed emozioni (approf.) Già intorno ai due anni e mezzo i bambini usano un linguaggio per riferirsi a emozioni del passato, del presente e del futuro, rispetto a se stessi e agli altri. Questo linguaggio viene chiamato “lessico psicologico” in quanto consiste in un tipo di vocabolario formato da termini mentalistici (cioè che fanno riferimento a stati mentali) di tipo emotivo (amare, odiare), percettivo (vedere, sentire), volitivo (volere, desiderare), cognitivo (pensare, intuire, spiegare) e morale (perdonare, ammirare) ed è fondamentale per osservare lo sviluppo mentale del bambino. 27 Socializzazione delle emozioni: una ricerca-intervento al nido (approf.) Le attività svolte nel contesto del nido raramente sono volte a potenziare la competenza socioemotiva e per questo motivo alcune educatrice di nido sono state recentemente coinvolte in un’esperienza annuale di ricerca-intervento consistente nella lettura di storie “emozionanti” (con episodi di paura, felicità, rabbia, tristezza, accento sulla dimensione di cooperazione e aiuto e presenza di un ricco lessico psicologico) a gruppi di bambini, conseguente attivazione delle conversazioni legate al contenuto della storia letta attraverso domande, focus sull’espressione delle emozioni, sulle loro cause e sulla loro regolazione e infine valorizzazione dei comportamenti di aiuto. L’analisi del materiale raccolto (videoregistrazioni, testimonianze di genitori ed educatrici) ha messo in luce come i bambini sottoposti a tale ricerca abbiano iniziato a manifestare con maggiore frequenza comportamenti d’aiuto e conforto tra pari, utilizzo di lessico emotivo spontaneo, incrementando così la loro competenza socioemotiva.
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