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Cittadinanza e comunicazione pubblica: PA e cittadini moderni, Sintesi del corso di Leadership e comunicazione

Il rapporto tra cittadini e istituzioni pubbliche (PA) in un contesto di aumentata richiesta di servizi e di comunicazione, e la necessità per le istituzioni di adattarsi alle nuove forme di partecipazione e comunicazione. del processo di trasformazione della comunicazione pubblica, dalla comunicazione istituzionale tradizionale alla comunicazione sociale, e delle implicazioni per le relazioni tra cittadini e istituzioni. Vengono presentate le tendenze emergenti nella comunicazione pubblica, come l'impegno civico e la partecipazione sociale, e il ruolo della rete sociale in questo contesto.

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

Caricato il 23/06/2022

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Federicas1234 🇮🇹

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Scarica Cittadinanza e comunicazione pubblica: PA e cittadini moderni e più Sintesi del corso in PDF di Leadership e comunicazione solo su Docsity! 1. PA e cittadini, dalla modernità alla dopo-modernità 1.1. La società moderna: Stato-nazione, pubblico/privato, cittadinanza Il pensiero sociologico a posto una distinzione fra società tradizionali (pre-moderna), società moderna e società che si pone oltre la modernità nella quale ci troviamo immersi e che viene definita post moderna, tardo moderna o dopo moderna. La società moderna a inizio con la rivoluzione francese e l'ascesa della borghesia di fine settecento e si sviluppa nel periodo della prima industrializzazione, con l'urbanizzazione, il trasferimento di buona parte della popolazione dalle periferie alle grandi città, la nascita degli agglomerati urbani di grandi dimensioni e lo sviluppo della vita e la metropoli. Nella società moderna, allo Stato viene comunemente riconosciuto un ruolo centrale, in quanto regolatore e garante dell'esercizio dei diritti di cittadinanza nei confronti dei cittadini, delle organizzazioni, della società civile in generale, verso i quali instaura un rapporto sostanzialmente di tipo asimmetrico. La società moderna comporta per Emile Durkheim il superamento del principio di solidarietà meccanica e l'affermazione del principio di solidarietà organica. Se nella società tradizionali le varie unità sociali apparivano simili le une alle altre ed erano tutte ugualmente subordinate ad un unica unità superiore con la modernità si è affermato il criterio della differenza. Il processo di razionalizzazione caratterizza fortemente la società moderna secondo Weber e permea in tutti gli aspetti principali della vita associata. Un particolare esso si incarna proprio nell'affermazione dello stato nazione. Secondo il pensiero struttural-funzionalista di Parsons lo Stato nazione assume un ruolo di attore fondamentale dei rapporti economici, sociali e politici nella società complessa. Questo suo ruolo guida e di regolazione trova sostegno e possibilità di svolgimento nella legittimazione culturale che ottiene nei confronti dei cittadini. Lo Stato moderno è inoltre attore dominante della cosiddetta sfera pubblica che viene considerata ben distinta dalla sfera privata. La netta distinzione tra pubblico e privato della modernità è propria del pensiero Parsoniano, in base alla quale con l'affermazione dello stato nazione il termine “pubblico” ha finito per indicare le attività dello Stato e il termine “privato” gli ambiti della vita economica e delle relazioni personali che ricadono al di fuori del suo controllo diretto. È proprio il concetto di cittadinanza moderna associata al periodo 1789-1989 che è costruito su questa distinzione guida fra pubblico e privato e si esplica essenzialmente come spiegazioni fra Stato e società civile. Nella società moderna è possibile individuare due fondamentali concezioni ideali della cittadinanza, liberale e socialista, che forniscono un modo di intendere il rapporto fra individuo e Stato. Entrambe hanno un riferimento universalistico comune che consiste nel riconoscimento dei diritti dell'individui astratto dalla comunità. 1.2. La burocrazia moderna Il modello di burocrazia, in epoca moderna, trova la sua massima teorizzazione nella sociologia di Weber. L'amministrazione burocratica è la forma organizzativa dello Stato occidentale moderno “razionale”, che esercita quello che Weber definisce il potere legale pienamente legittimato dal contesto sociale. Weber ritiene che la società capitalistica moderna sia dominata dall'agire razionale, un agire principalmente orientato allo scopo, che si basa su una forte metodicità e neutralità affettiva, per cui le decisioni devono essere prese in base a puri e freddi calcoli di costi benefici, escludendo qualsiasi emotività. In essa, il potere, viene legittimato dal principio di legalità. La burocrazia è organizzata in base a determinati principi, tra cui: - l'osservanza delle regole; - Il principio di competenza che viene attribuito a ogni ufficio; - Il principio gerarchico in base al quale i uffici sono posti secondo una determinata gerarchia che definisce l'ordine di comando; - La riservatezza e il segreto di ufficio. In base a tali principi, l'agire razionale del personale amministrativo e dei funzionari in particolare si traduce nella frequentazione di corso di studi al fine di acquisire elevata competenza e specializzazione, superamento di prove di qualificazione e concorsi, dovere di fedeltà all'ufficio, lealtà ad uno scopo oggettivo e impersonale, obbedienza ai superiori. L'agire amministrativo che ne emerge è pertanto 1 altamente prevedibile e affidabile. Al tempo stesso, Weber mette in guardia dalle debolezze insite in questo modello, prevedendo il rischio che i fattori di superiorità delle moderne burocrazie possono rivelarsi delle minacce per l'uomo. La burocrazia corre il rischio di diventare essa stessa un'istituzione di potere dotata di propri interessi e logiche di conservazione. Nell'osservare col tempo gli accadimenti della vita quotidiana a cui si richiamava Weber, le esperienze di funzionamento di amministrazioni pubbliche appaiono diverse, se non ho posti, da quelli attesi: vi sono funzionari operatori non sufficientemente competenti e preparati, uffici che non raggiungono i risultati prefissati, cittadini insoddisfatti delle prestazioni che ricevono. Si arriva persino a considerare l'aggettivo burocratico con un'accezione assolutamente negativa, come l'equivalente di inefficiente, ottuso, insensibile, incomprensibile. Le teorie successive sono ancora collocabili in epoca moderna, prima e dopo la seconda guerra mondiale. Fra questi troviamo la teoria dell'agire burocratico di Merton. Merton mette rilievo come soggetti non sono necessariamente consapevoli delle conseguenze delle proprie azioni e che quindi non sempre lo scopo soggettivo con cui agiscono le organizzazioni da luogo ad un'azione oggettiva corrispondente. Egli distingue tra effetti anticipati dell'azione, che definisce funzioni manifeste ed effetti non anticipati dunque non attesi, non voluti e il più delle volte non riconosciuti dei soggetti, chiamati funzioni latenti. 1.3. La sfera pubblica moderna Si fa riferimento al concetto di sfera pubblica di Habermas per comprendere come si è creata e sviluppata quella che ancora oggi viene definita “opinione pubblica”. Habermas con sfera pubblica intende uno spazio ideale di discorsi e pratiche discorsive a carattere pubblico, i cui confini non sono nettamente tracciabili. La sfera pubblica è l’arena discorsiva in cui si dibattono temi e problemi della società, quindi temi di interesse generale che riguardano tutti cittadini. Essa si pone tra lo Stato e la società civile, svolgendo in tal senso un ruolo di mediazione. Quest'ultimo aspetto diventa centrale nell'analisi che Habermas compie sulla nascita della sfera pubblica e della sua evoluzione. Egli infatti mette in evidenza che la nascente borghesia nel seicento e nel settecento, diventa protagonista della sfera pubblica, creando e curando spazi come i circoli e caffè letterari, in cui dare vita a conversazioni tra privati riuniti in pubblico che esprimevano le loro opinioni su tanti temi, fra cui in particolare e in modo critico sull'attività dello Stato o su questioni politiche. Nella visione di Habermas, tale arena discorsiva subisce una radicale trasformazione con l'avvento e la diffusione di mezzi di comunicazione di massa. Il rapporto tra sfera pubblica e società si inverte perché i nuovi mezzi impongono in qualche modo i frames della discussione pubblica, in cui i privati borghesi possono riconoscersi. I soggetti non possono che operare un'azione di selezione e identificazione nelle opinioni o rappresentazioni fornite dai media e che sono proposte dall’alto. 1.4. Il passaggio ala dopo-modernità: crisi dello Stato-nazione e della distinzione tra pubblico/privato L’impianto moderno entra in crisi. Nel passaggio alla tarda modernità, post-modernità o dopo modernità, secondo Luhmann, la società passa a un livello di complessità crescente con rischio di iper-complessità. Per descrivere in breve questo cambiamento è necessario richiamare la sintesi offerta da Ardigò. Egli descrive cinque punti nodali della complessità con tendenza all'iper-complessità di ispirazione luhmaniana. Il pensiero neo-razionalista di Luhmann mette in luce la crescente ed elevata numerosità degli elementi che caratterizzano l'organizzazione sociale. Si verifica una progressiva estensione dei campi di competenze di intervento dello Stato: si sviluppa in modo esponenziale il Welfare State. Il tutto avviene anche per far fronte all'aumento di istanze provenienti dall'ambiente, al moltiplicarsi di esigenze, dei bisogni, da parte di cittadini e organizzazioni. Al tempo stesso, con l'aumento dei compiti dello Stato si sono andate sviluppando organizzazioni private aventi fine di supportare o sostituire lo Stato stesso nei relativi adempimenti. Secondo la prima visione, l'attività del no profit va a completare quella delle amministrazioni e, quindi, si realizza in sinergia con essa. Nella seconda prospettiva invece l'associazionismo spontaneo si sviluppa perché lo Stato si dimostra incapace di assicurare con efficienza servizi di pubblica utilità o promuovere cause di interesse dell'intera comunità. Nel secondo punto nodale 2 Accanto a queste teorie, altri studi sulle organizzazioni hanno sottolineato la centralità dell'ascolto e la dimensione relazionale come elementi essenziali, determinanti, nel funzionamento delle organizzazioni. Fra queste teorie troviamo quella dell’organizzazione a rete. La teoria dell'organizzazione a rete rende conto dell'ambivalenza insita nei sistemi organizzativi, cioè della necessità di aprirsi all'ambiente, quindi di intercettare le esigenze dei soggetti che operano in esso per poter evolvere. E la rete che nella dopo-modernità è in grado di rappresentare le ambivalenze dei sistemi sociali, di incarnare il concetto di sistema come unitas multiplex e di gestire la complessità secondo una logica che tende a ricomprendere le differenze, diversi punti di vista. Dire che una pubblica amministrazione è un'organizzazione a rete, significa considerarla come costituita da nodi, connessioni e proprietà operative intrinseche. I nodi della rete possono essere uffici, settori, singoli ruoli professionali, parti dell'organizzazione che sono dotati di competenze e capacità specifiche. Ogni nodo ha una propria condotta operazionale autonoma ed è in grado di autoregolarsi, grazie le sue capacità di imparare e di apprendere dall'ambiente circostante. E la vitalità dei nodi dipende dalla loro capacità di scambio interattivo con altri nodi reticolari. Il principio connessionista sta alla base della trama della rete. Aumentando le qualità delle relazioni di rete aumentano le sue capacità di prestazione, consentendo il raggiungimento di maggiori livelli di efficacia ed efficienza. L'organizzazione è in grado di produrre conoscenza materiale e immateriale. Con il principio connessionista l'attenzione si sposta sulla centralità delle relazioni. Relazioni di tipo cooperativo che valorizzano le singole competenze e le amplificano a livello macro organizzativo. Nella rete si combinano inoltre il principio dell'accentramento gerarchico e del decentramento e flessibilità, attraverso reciprocità, interdipendenza, legami deboli e potere; la reciprocità è l'aspettativa di comportamento confermata dei comportamenti affettivi; gli attori dell'organizzazione a rete sono mutuamente interdipendenti. Essi hanno un linguaggio comune nel riferimento a regole, nella standardizzazione dei processi o prodotti, un’etica condivisa e una filosofia tecnologica. I legami deboli si presentano come connessioni che preserva no l'autonomia degli attori e quindi la flessibilità della rete e sono dotati di molta forza. Il potere consiste nella rete e dell'utile per realizzare l'interdipendenza. Un'altra importante caratteristica della rete è la sua auto-adattabilità, la sua capacità di auto-modificarsi in base ai problemi che deve affrontare. In tal senso si può parlare di rete di apprendimento e organizzazione pro- attivo. Nella dopo modernità e nella società della commissione la PA necessita quindi di governare la complessità adottando modelli organizzativi reticolari e diventando sempre più consapevoli della necessità di coltivare "l'essere in relazione" con i cittadini, i dipendenti e le imprese. 2. Teorie comunicative e modelli di comunicazione pubblica nel tempo 2.1. Le prime teorie sulla comunicazione sui media: il modello trasmissivo-unidirezionale, la sintattica, la bullet theory Nell'ambito degli studi sulla comunicazione, negli anni 40 del 900 si inizia ad intendere la comunicazione come un processo comunicativo essenzialmente come "trasmissione di un messaggio" da un'emittente a un ricevente. Gli autori Shannon e Weaver, studiano il fenomeno della trasmissione di segnali via telefono, elaborano la nota Teoria matematica della comunicazione. Quest'ultima pone al centro dell'analisi della comunicazione l'esistenza di una forte emittente e di un apparato ricevente. La preoccupazione maggiore consiste nel cercare di ottimizzare l'efficienza nell'uso del canale stesso. L'attenzione è rivolta principalmente alla riduzione del cosiddetto "rumore", cioè delle interferenze che possono compromettere la corretta trasmissione del segnale. La teoria informazionale di Shannon e Weaver si è poi estesa agli studi del processo comunicativo in generale generando appunto il modello "trasmissivo" della comunicazione in cui si pone attenzione alla dimensione “sintattica". Secondo Morris la comunicazione si può distinguere in tre registri: sintattico, semantico e pragmatico. Il registro sintattico attiene proprio alla dimensione quantitativa del messaggio, ad una sua corretta elaborazione dal punto di vista tecnico- formale. L'aspetto semantico riguarda il livello di comprensione del messaggio, quindi il suo significato, mentre registro pragmatico si riferisce alla dimensione più ampia e complessa della comunicazione, vale a 5 dire la relazione. Nell'ambito del modello trasmissivo, dobbiamo ricordare la teoria dell'atto comunicativo di Lasswell, basata su un'idea fortemente asimmetrica del rapporto fra emittente e ricevente. Ogni atto comunicativo implica una risposta alle seguenti domande: chi, dice che cosa, a chi, con quale effetto. Nella teoria di Lasswell si pongono le basi per il superamento della teoria informazionale. La comunicazione è ancora intesa però come a simmetrica, si sottolinea il ruolo prevalente dominante dell'emittente rispetto al ricevente. Il primo è ritenuto un soggetto attivo che prende sempre l'iniziativa nella comunicazione e che produce uno stimolo, nei confronti di un destinatario ritenuto a sua volta un soggetto passivo che reagisce esattamente nel modo in cui si aspetta l’emittente. La comunicazione infatti è intenzionale e orientata a produrre un determinato effetto programmato che è altamente prevedibile. Il modello trasmissivo, unidirezionale e asimmetrico della comunicazione trova corrispondenza nella bullet theory. Alla base di questa teoria , nota anche come teoria del proiettile magico o teoria dell'ago ipodermico, si trova la convinzione che i media di massa, e quindi le strutture emittenti che ne sono a capo, consentono di colpire l'audience come se fosse appunto un bersaglio uniforme, un aggregato omogeneo e indifferenziato, e ottenere un determinato comportamento. La massa viene così intesa come inerme, passiva e facilmente manipolabile. In questa teoria è centrale il concetto di propaganda. La teoria ipodermica e il modello trasmissivo/unidirezionale analizza dunque solo una parte della comunicazione, poiché si concentra solo sull’emittente. 2.2. Il modello bidirezionale, la semantica e le teorie sugli effetti dei media Negli anni 50 e primi anni 60 si introduce la visione della comunicazione che supera il modello trasmissivo, mettendo in risalto l'importanza del contesto, del codice, del sistema di regole e delle convenzioni a cui emittente ricevente fanno riferimento per attribuire significato al messaggio. Entra dunque in gioco il registro semantico della comunicazione. E in particolare con Newcomb e Schramm che avviene un cambiamento radicale negli studi sul processo comunicativo. Newcomb infatti connota il processo comunicativo come bidirezionale. La dinamica di codifica e decodifica del messaggio da parte di emittente e ricevente viene intesa come un processo continuo, caratterizzato da un flusso di informazioni in due direzioni, grazie ai feedback dei due soggetti comunicanti si scambiano bidirezionalmente. Schramm a sua volta intende la comunicazione come processo circolare e sottolinea maggiormente l'importanza del "campo di esperienza" (il contesto). Prospettive che si reputano significative per una successiva analisi dell'evoluzione della comunicazione pubblica: - l’approccio empirico sperimentale che supera l'approccio incentrato sulla manipolazione. Secondo questo approccio è empiricamente riscontrabile che non tutti i tentativi di persuasione operate attraverso i media danno gli stessi risultati, anzi frequenti sono gli insuccessi. Questo è dovuto alle differenze individuali, alle caratteristiche della personalità di un individuo che danno luogo a effetti differenti. - L'approccio sociologico di tipo empirico sul campo, in cui viene elaborata la teoria degli "effetti limitati" che pone attenzione alle caratteristiche del contesto sociale entro cui si realizzano i processi di comunicazione di massa. Questa teoria parla di influenza e non solo di quella esercitata dei media, ma di quella più in generale che scorre nei rapporti comunitari. Molto significative sono le ricerche sulla mediazione sociale che caratterizza il consumo dei media, ricordiamo il pensiero di Lazarsfield, sui leader di opinioni e la sua nota teoria del flusso di comunicazione a due stadi. Emerge la figura degli opinion leaders, gruppi di individui molto coinvolti e sensibili alle tematiche oggetto della campagna che agiscono come intermediari nella diffusione dei messaggi veicolati dai media. Gli opinion leader sono soggetti informati, motivati e competenti nella loro relazioni con i media, considerati molto autorevoli della comunità di riferimento la quale esprime grande fiducia nei loro confronti. Quando la teoria Lazarsfield e Katz è stata elaborata, la diffusione dei media di massa era piuttosto contenuto.Il discorso cambia quando negli anni 80 si raggiunge una quasi-saturazione della comunicazione di massa, per cui i leader di opinioni perdono i ruoli importanti di intermediari. 6 2.3. Il modello relazionale, la pragmatica e le teorie sugli effetti a lungo termine Il terzo registro della comunicazione indicato da Morris, è il registro pragmatico che riguarda il contesto “relazionale" in cui la comunicazione si dispiega. La dimensione non verbale della comunicazione, lo sguardo, i movimenti del corpo, la gestione dello spazio nell'interazione, aspetti para-verbali sono parte fondamentale della comunicazione, ricordiamo il noto assioma "non si può non comunicare”. Può restare invariato il "cosa si dice”, ma in base a "come si dice", l'esito della comunicazione può essere differente. Un altro aspetto interessante messo in evidenza dagli studiosi della pragmatica, riguarda il tipo di rapporto che si instaura tra comunicanti, dal punto di vista della posizione che si assumono reciprocamente durante l'interazione. Vi è una distinzione tra i rapporti basati sulla simmetria e rapporti basati sulla complementarietà. Nel primo caso fra comunicanti si instaura un rapporto paritario; nel secondo caso si tratta invece di una disparità di posizione nella comunicazione, dovuta alla diversità di ruolo. L'attenzione viene inoltre posta alla dimensione della punteggiatura. Secondo il quinto assioma, la natura di ogni relazione dipende dalla punteggiatura delle sequenze di comunicazione tra i partecipanti. Dunque la comunicazione avviene sempre in modo bidirezionale attraverso numerosi scambi che hanno luogo in un senso o nell'altro e mai secondo lo schema comportamentista (stimolo-risposta-rinforzo). Le varie sequenze di azioni comunicative non solo però isolate, ma vanno considerate in serie, cioè occorre stabilire chi agisce o chi reagisce, creando così una punteggiatura delle relazioni. Quando tra i comunicanti la percezione reciproca del modo in cui la punteggiatura avviene risulta differente, persino opposta, emergono difficoltà di relazioni che possono degenerare e portare a significativi contrasti tra gli interlocutori. Nell'ambito specifico degli studi della comunicazione di massa, occorre inoltre aggiungere che a fine anni 70 e primi anni 80 si affermano teorie che studiano gli effetti a lungo termine dell'azione dei media. Fra queste teorie si ricorda la teoria dell'agenda setting, in base alla quale gli individui tenderebbero a includere o escludere dal proprio bagaglio di conoscenza i temi che i media includono o escludono dalle proprie comunicazioni. Grazie all'approccio relazionale il processo comunicativo non solo avviene in modo bidirezionale o circolare ma diventa anche un processo di cui non si può esattamente individuare l'inizio e la fine e definire nettamente l'emittente ricevente. Questo modello comunicativo, relazionale, è stato fonte di ispirazione anche per la teoria di Luhmann sulla comunicazione che risale ai primi anni 90. Egli definisce la comunicazione come sintesi di tre selezioni: emissione, informazione e comprensione. La logica sistemica di Luhmann è inscrivibile nell'ambito dell'approccio ecologico allo studio dei media che si fonda sul pensare i media non come strumenti esterni ai soggetti da usare bene o male, bensì come ambiente in cui abitare, condurre le proprie esperienze. Uno dei tali padri precursori dell'approccio ecologico e notoriamente McLuhan, il quale considera come fondamentale per comprendere la società, non tanto i contenuti veicolati dei media, ma i media in quanto tali, distinti fra caldi e freddi, in base alla loro capacità di saturare informazione, di influire sensibilmente sulle persone percezioni dei soggetti. 2.4. Definizioni, tipi e modelli di comunicazione pubblica nel tempo Il momento fondativo della comunicazione pubblica riguarda una serie di vicende caratterizzate dall'emersione di gravi casi di corruzione politica che hanno investito l'apparato governativo (denominati Tangentopoli), cresce enormemente la sfiducia nelle istituzioni da parte dei cittadini e si arriva a parlare della nascita di una "seconda Repubblica". La comunicazione pubblica nasce in questo contesto. La prima definizione consiste nel considerarla come comunicazione di “interesse generale" o di “interesse collettivo". La neonata disciplina si riferisce a un ambito molto vasto comprendendo l'agire comunicativo di diversi attori sociali, fra cui indubbiamente l'istituzioni pubbliche, cioè tutte quelle realtà amministrative che dipendono dallo Stato; le istituzioni semi-pubbliche; le istituzioni di stretta natura privata; anche attori del mercato e imprese profit oriented. Si assiste peraltro a un uso crescente di forme pubblicitarie a sfondo sociale. Inoltre, tendono ad aumentare gli interventi comunicativi promossi in modo congiunto da soggetti di diversa natura che si organizzano in network e che vertono su diverse tematiche. Faccioli definisce la comunicazione pubblica come il “contesto e lo strumento che permette ai diversi attori entrare in relazione tra loro, di confrontare i punti di vista e valori per concorrere al comune obiettivo di realizzare 7 attivato una serie di processi finalizzati a mutare nel profondo il sistema politico italiano. La comunicazione diventa un modo permanente di governare dialogare con i cittadini. Il diritto all’informazione si traduce in strutture, servizi e strumenti. Si attivano percorsi per garantire il dialogo dell'ente con il cittadino, con i propri dipendenti e con gli altri enti. Tra le norme fondamentali troviamo: la legge 142 dell'8 giugno 1990 in cui si sancisce il diritto dei cittadini ad essere informati; la legge 241 del 7 agosto 1990 che stabilisce l'obbligo di trasparenza e accesso agli atti di ogni amministrazione fissando una volta per tutte il superamento del tradizionale segreto d'ufficio e si stabilisce il diritto di accesso alla documentazione. Arena mette in guardia dalla persistenza di forme di "opacità" delle amministrazioni pubbliche, dal rischio che si possano ricorrere, in base al potere di cui dispongono, a strategie di occultamento diversificate. Per evitare tale rischio, si riconosce nell'ascolto un importante alleato della trasparenza. Troviamo poi il decreto legislativo 29 del 1993 che ha introdotto l’obbligatorietà di aprire in tutte le amministrazioni pubbliche gli URP. Si tratta di strutture dedicate alla cura dei rapporti con i cittadini e che hanno il compito di attivare nei loro confronti modalità di ascolto e dialogo. Accanto agli URP, emergono anche sportelli informativi, numeri verdi, totem posizionati in punti strategici della città. Trasparenza e ascolto sono possibili e intrinsecamente legati al processo di semplificazione della PA. Per semplificazione si intende una serie di percorsi che vanno dalla chiarezza del linguaggio amministrativo, alla riduzione del numero di leggi, alla contrazione dei tempi di svolgimento delle pratiche, all'adozione di procedimenti e processi decisionali più snelli. Troviamo poi le leggi 57 e 127 del 1997 (legge Bassanini) dove si avvia un vero e proprio processo di semplificazione della PA italiana, in cui la comunicazione viene riconosciuta come componente rilevante, indispensabile per il cambiamento. Si comincia peraltro a disciplinare l'uso delle tecnologie di rete a supporto della semplificazione. Infine anche la partecipazione è un principio dell'innovazione amministrativa che viene strettamente legato ai principi di trasparenza, accesso e semplificazione. Essa è vista come il contributo di attori diversi al proseguimento dell'interesse generale e interviene nei processi decisionali. Il principio di partecipazione viene rafforzato dal principio di sussidiarietà. La sussidiarietà orizzontale o sociale consiste nel legittimare i cittadini e le loro associazioni ed esercitare direttamente funzioni e compiti di rilevanza sociale. 3.2. La legge 150 del 2000: il “cuore” della comunicazione pubblica in Italia La L. 150 del 7 Giugno 2000 rappresenta il cuore della comunicazione pubblica in Italia. Anche se si avverte la necessità di un aggiornamento, continua a rappresentare un punto di riferimento per la pubblica amministrazione. Il merito dei suoi contenuti occorre sottolineare che in essa compare la distinzione tra attività di informazione e attività di comunicazione nella PA. Grazie a questa norma la comunicazione non solo è stata legittimata, ma è diventata "obbligo istituzionale". La normativa ha infatti posto in rilievo i due ambiti principali in cui opera la comunicazione, la dimensione esterna e interna, e la necessità di un loro nesso inscindibile. La chiara distinzione tra le attività di informazione e di comunicazione, si accompagna infatti ad una loro suddivisione in aree ben distinte: verso i Mas-media, verso i cittadini e verso i dipendenti. Inoltre, vengono elencati una serie di strumenti attraverso i quali azioni formative organizzate gestite: pubblicità, attività promozionali, affissioni, manifestazioni, URP, ufficio stampa. Ufficio stampa e URP sono stati individuati come strutture portanti dell'intero sistema comunicativo degli enti. L'attività di informazione curata dall'ufficio stampa viene distinta da quella gita dal portavoce che al compito di tenere rapporti di carattere politico-istituzionale con gli organi di informazione. Gli URP hanno la funzione di uffici delegati all'insieme delle attività di comunicazione verso i cittadini, le imprese, le associazioni e di quelli all'interno dell'ente. Per quanto riguarda la distinzione tra informazione e comunicazione, secondo Arena i parametri utilizzati per distinguere le due attività sono sembrati essere due: i destinatari, per cui l'attività di informazione è stata intesa come quella rivolta ai mezzi di comunicazione di massa, mentre l'attività di comunicazione come quella rivolta da un lato a cittadini, imprese, associazioni, dall'altro ai dipendenti; il secondo parametro a riguardato la distinzione fra i soggetti che informano rapportandosi con i mezzi di comunicazione (Portavoce e ufficio stampa) e i soggetti che comunicano (URP). Questo tipo di distinzione sembra essere sempre meno attuale, poiché è impossibile delineare un confine netto fra attività di 10 informazione ai media svolte dall'ufficio stampa e dal portavoce e attività di comunicazione svolte dall'URP, dal momento che anche quest'ultimo spesso e volentieri ricorre ai media per raggiungere la cittadinanza. Ricondurre quindi l'attività di informazione al rapporto con i Mas media e senza dubbio attualmente riduttivo. 3.3. Dal 2000 ad oggi: verso una PA digitale Dal 2000 fino ad oggi, le norme relative alla modernizzazione della PA hanno a che vedere in modo consistente con lo sviluppo dell'ITC (information communication technology). Si tratta di un processo caratterizzato dall'adozione continua di provvedimenti che si muovono lungo le direttrici di sviluppo di due sostanziali percorsi tra loro intrecciati: l’e-government e l’e-democracy. Per l’e-goverment si intende l'applicazione delle nuove tecnologie alle transazioni fra cittadini e pubblica amministrazione, al fine di rendere più rapide ed efficienti. Con l'espressione e-Democracy si intende invece la possibilità che le nuove tecnologie offrono di ampliare la democrazia deliberativa, grazie a nuove modalità di partecipazione ai processi decisionali che riguardano i cittadini. I due percorsi sono tra loro complementari. Nell’evoluzione della digitalizzazione della PA dal 2000 ad oggi, distinguiamo almeno due periodi significativi: il primo che va dal 2000 al 2007 e il secondo che va dal 2007 e si stende fino ad oggi. Si comincia a parlare di e-government in Italia nel 2000 quando viene adottato il primo piano per l’e- government nazionale che ha fissato una strategia e una visione complessiva del ruolo delle nuove tecnologie della comunicazione nel processo di modernizzazione della PA. I tre grandi obiettivi del piano sono infatti: 1. migliorare l'efficienza operativa interna delle amministrazioni; 2. informatizzare l'erogazione dei servizi ai cittadini e alle imprese e offrire servizi integrati e non più frammentati secondo le competenze delle singole amministrazioni; 3. garantire l'accesso telematico alle informazioni e ai servizi erogati dalle pubbliche amministrazioni. Per la sua concreta realizzazione si è prospettato un sistema delle tecnologie di e-government, i cui punti chiave sono: - le tecnologie di identificazione dei cittadini; - le tecnologie di front-office, vale a dire siti e portali; - le tecnologie di back-Office; - le tecnologie infrastrutturali. Il I piano di e-government ha previsto nella sua prima fase di attuazione finanziamenti per numerosi progetti che sono stati realizzati in maniera differenziata, alcuni totalmente, altri solo in parte. A partire dal 2003 si parla di II fase di e-government in cui avviene un’evoluzione delle strategie già approvate e si prevede lo sviluppo di questo processo. Si è cercando di favorire anche la nascita di progetti di governo elettronico che non coinvolgono solo Internet, ma fossero sviluppati tramite la TV digitale e le nascenti piattaforme di telefonia mobile. Accanto al piano di e-government, la normativa italiana ha cominciato in questi primi anni del 2000 a occuparsi anche di disciplinare la presenza delle pubbliche amministrazioni su Internet, cercando di identificare regole e principi base con cui costruire portali istituzionali e consentirne la loro fruizione da parte dei cittadini. Nel 2005 il codice ha previsto l'obbligo che banche dati e anagrafi elettroniche delle pubbliche amministrazioni dialogassero fra loro, per accelerare la procedura. A partire dal 2007 circa la PA viene coinvolta in un nuovo processo di rinnovamento che vede le tecnologie di rete con come protagonisti. La nota "Riforma Brunetta" si è posta l’obiettivo di misurare la produttività di uffici pubblici, prevedendo un nuovo e complesso sistema di valutazione delle attività amministrative. L'impianto generale della riforma si fonda su concetti chiave come efficacia della performance, valutazione, trasparenza e responsabilità, prevedendo anche un sistema di sanzioni nel caso in cui dipendenti e l'organizzazione nel suo complesso non raggiungano gli obiettivi istituzionali prefissati. Inoltre, in questa fase si mette a regime 11 l’amministrazione digitale, vi sono infatti modifiche alla firma elettronica, ai pagamenti online e un intenso processo di dematerializzazione dei documenti. Durante il "governo tecnico” di Mario Monti con un decreto chiamato "Semplifica Italia", si avviano interventi tesi a modernizzare la PA e grande spazio viene dato all'Agenda Digitale considerata obiettivo prioritario. Si crea l'agenda digitale europea che prevede di rendere disponibili i dati delle pubbliche amministrazioni. Gli aspetti cruciali dell'agenda digitale sono in particolare la banda larga, gli open data, il cloud computer, le smart communities e le communities. Tutto questo impianto stenta però a realizzarsi nell'immediato, infatti subisce dei ritardi. Successivamente, il decreto legge "Crescita 2.0.” del 2012, tratta temi dell'innovazione, contiene misure infrastrutturali importanti per la PA digitale, fra cui la creazione di un documento digitale unico che sostituisce la carta d'identità e tessera sanitaria. Altre misure vengono adottate per ridurre il digital divide entro il 2013 e vengono introdotte novità nei settori della giustizia, della scuola, della sanità. Il governo monti si conclude con l'adozione di due norme molto importanti che hanno un impatto notevole sulla PA: la nota legge anticorruzione 190 del 6 novembre 2012 e il decreto legislativo del 2013 di "riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte della pubblica amministrazione". Si tratta di numerosi disposizioni legislative in materia di trasparenza, prevedendo ulteriori obblighi di pubblicazione di dati. Per pubblicazione si intende l'inserimento nei siti istituzionali, secondo determinati criteri, i documenti, informazioni e dati, accessibili direttamente e immediatamente da chiunque. Ogni amministrazione è tenuta ad adottare un programma triennale per la trasparenza e l'integrità, da aggiornare annualmente. Sul fatto che tutto questo lavoro di pubblicizzazione online e di documenti, possa essere considerata vera trasparenza, si possono sollevare numerosi dubbi. Spesso si ha l'impressione di trovarsi di fronte ad un overload informativo, ad una pubblicazione online come mero adempimento normativo, di una corposa quantità di atti e documenti che non sempre risultano comprensibili ai più e a cui faticosamente il cittadino riesce ad attribuire un senso. Nel 2014 viene annunciata e avviata una nuova riforma della PA per la semplificazione e la pubblica amministrazione, proposta dal ministero Madia. La nuova normativa interviene su tre filoni fondamentali: il primo filone di interventi riguarda il rapporto tra cittadini e la pubblica amministrazione, il secondo punta a rendere maggiormente competitivo il paese stabilendo tempi precisi e regole certe per le autorizzazioni che le pubbliche amministrazioni devono rilasciare a chi vuole investire, il terzo attiene alla riorganizzazione dello Stato e ai lavoratori pubblici. 3.4. Il sistema dell’informazione nella PA: ufficio stampa e Portavoce La comunicazione pubblica della PA viene distinta in attività di informazione e attività di comunicazione. Nell'ambito del settore dell'informazione, vige un’ulteriore distinzione tra ufficio stampa e portavoce. Le pubbliche amministrazioni non sono obbligati ad attivarli entrambi. Curare l'informazione nella PA è quindi considerata definitivamente un'attività che richiede personalità specifiche, perché non può essere “imprevista". Per quanto riguarda la distinzione tra ufficio stampa e portavoce, possiamo dire che il primo svolge attività di informazione di carattere prettamente istituzionale; il secondo cura l'informazione di tipo politico- istituzionale. In virtù di queste due diverse finalità sono previste specifiche figure professionali e requisiti per la loro assunzione. A guidare l'ufficio stampa troviamo il Capo-ufficio stampa con cui collabora l’addetto stampa. Il primo compie le scelte strategiche di base su cosa e in che modo informare i cittadini; gli addetti stampa organizzano e si occupano direttamente dei contenuti della loro diffusione tramite i vari strumenti di informazione a disposizione. Capo-ufficio stampa e addetto stampa devono essere iscritti all'ordine dei giornalisti, appartenere all'ente o essere reclutati dall'esterno e devono instaurare un rapporto di tipo esclusivo con l'amministrazione di riferimento. 12 culturali ed economiche. Nella realtà, la sperimentazione e il consolidamento di percorsi di coinvolgimento degli skateholders nel processo di accountability è stato insufficiente nella maggior parte delle pubbliche amministrazioni italiane. Sono emerse alcune criticità, fra cui non poche difficoltà da parte degli enti nell'adottare i criteri di inclusione/esclusione e nel mantenimento di relazioni costanti con gli attori coinvolti durante l'intero percorso; si evince inoltre una scarsità di risorse e di competenze comunicative all'interno delle amministrazioni. Gli open data sembrano offrire la possibilità di rafforzare le modalità di trasparenza e accountability in ambito pubblico. I vantaggi legati a questo fenomeno sono essenzialmente dovuti all'apertura di dati grezzi a molteplici fonti. Tale apertura garantisce una reale trasparenza oggettiva della PA. Inoltre, la disponibilità di dati aperti stimolerebbe un maggiore scambio e condivisione di contenuti in rete fra istituzioni e cittadino. Si ritiene inoltre che gli open data possano contribuire alla crescita di forme di democrazia partecipativa di tipo esclusivo, grazie all'utilizzo di piattaforme digitali che consentono il crowdsourcing. La prospettiva di realizzare un equilibrio migliore tra democrazia rappresentativa e democrazia partecipativa avviene tramite un aumento del coinvolgimento dei cittadini che possono offrire un contributo attraverso l'utilizzo dei dati, l'espressione di opinioni e l'avanzamento di proposte. Non è credibile che questa modalità possa mettere i cittadini nelle condizioni di valutare l'operato dell'amministrazione. Si pone dunque un problema di attribuzione di senso nei confronti degli open data. È opportuno che i fruitori dei dati siamo guidati verso un loro ottimale utilizzo e una loro piena comprensione. La PA deve interrogarsi sull'uso e riutilizzo dei dati da parte di tutti gli attori del territorio, sul perché e sul come cittadini, imprese, associazioni consultalo e sulla creazione di percorsi che ne assicurino un facile accesso e utilizzo. Per quanto riguarda gli open data ancora sussistono problemi di natura infrastrutturale e socio culturale: i diversi sistemi informativi con i quali dati sono resi disponibili, devono essere compatibili fra loro per ottenere interoperabilità fra istituzioni e usabilità dei dati a livello locale globale ma in molti contesti ciò non si è ancora concretizzato. 4.2. Delle reti civiche alle smart cities: la comunicazione per il pubblica engagement La realtà in crescita delle smart cities, si può comprendere appieno considerando il più grande sviluppo delle città digitali. La digitalizzazione della PA si intensifica verso la fine degli anni 90 e nei primi anni del nuovo millennio, in molte realtà municipali si è manifestata con l'offerta di servizi pubblici online e la realizzazione di sistemi informatizzati di consultazione elettronici, ma anche soprattutto con la creazione e rafforzamento delle cosiddette "reti civiche". Attraverso l'attivazione di questi spazi le amministrazioni locali hanno stimolato e creato le condizioni per una maggiore partecipazione dei cittadini alla vita amministrativa. Tutto ciò però è avvenuto in modo efficace solo in quelle realtà in cui la cultura delle amministrazioni si basava realmente su innovazione e dialogo con i cittadini e in cui la comunità di riferimento esprimeva tradizionalmente una certa propensione alla partecipazione. Nel corso degli anni 2000, le reti civiche che si erano molto radicate nel territorio sono cresciute e, con l'evoluzione del Web 2.0 e l'avvento degli open data, hanno continuato e continuano ancora oggi ad essere il luogo in cui confluiscono e da cui vengono lanciate nuove idee e innovativi percorsi di partecipazione. Si è aperta negli ultimi anni una nuova sfida per gli enti locali che è quella di far diventare le proprie città più "smart", capace di cogliere e sfruttare le potenzialità legate all'innovazione tecnologica per amministrare, gestire beni comuni in modo responsabile e sempre più condiviso. Il concetto di smart city è stato all'inizio ricondotto alla digitalizzazione delle aree urbane nell'ottica dell’eco-sostenibilità. Emerge dunque l'idea di un'intelligenza collettiva, o meglio connettiva, per una sostenibilità dei territori sorretta dalle tecnologie di rete avanzate che non è più solo ambientale, ma anche sociale, economica, culturale. Si è oggi affiancata l'idea che la smart city possa essere intesa anche come città socialmente inclusiva, rafforzando la dimensione del miglioramento delle qualità della vita e del coinvolgimento dei cittadini nella governance urbana. La sfida della città intelligente ipotizza in tal senso più conoscenza, risparmi di consumi di risorse, migliori servizi reali, migliore mobilità spaziale effettiva e non solo virtuale. In tutto ciò i 15 cittadini assumono un ruolo centrale, in una rinnovata relazione con le istituzioni. Questa nuova prospettiva apre una serie di interrogativi in gran parte legati al fatto che l'impatto sociale delle tecnologie si presenta molto diversificata territorialmente. Bisogna infatti evidenziare le differenze e abilità nell'uso della rete da parte di cittadini, aziende, organizzazioni… 4.3. SocialPA: gestire la presenza delle istituzioni nei social network Il network sites sono in continua evoluzione. La PA non può naturalmente rimanere estranea questo contesto nuovo. Dall'altra parte la velocità con cui le piattaforme social evolvono, non si concilia facilmente con i tempi di comprensione, assimilazione e utilizzo che sono propri della PA. Dunque le competenze e le abilità nell'uso strategico degli strumenti di comunicazione in molte realtà sono contenuti e risultano insufficienti per saper cogliere utilizzare le innovazioni digitali. Innanzitutto va precisato che la PA deve intendere la gestione della propria presenza sulle piattaforme social come un'opportunità per ampliare e innovare la comunicazione istituzionale. L'apertura di pagine e di account istituzionale dell'intero ente può essere finalizzata a creare nuovi luoghi di informazione e dialogo con i cittadini connessi da intendersi come un vero e proprio servizio. Le attività che un ente pubblico può svolgere sui social network sites: - i SNS possono essere utilizzati a far conoscere ai cittadini atti/documenti e decisioni delle amministrazioni, permetterne il loro accesso e consultazione, seguire dirette di riunioni o consigli comunali. Inoltre possono essere utilizzati per comunicare con i cittadini in situazioni di emergenza. - Proprio perché i siti tradizionali sono sempre meno utilizzati dalla popolazione, in questa fase risulta più efficace captare l'attenzione dei cittadini, informati sugli SNS in merito a ciò che accade nell'amministrazione essendo consapevoli del fatto che questi contenuti possono essere condivisi attraverso le reti sociali di ciascuno. - I social media ben si prestano a supportare quel lavoro di ascolto, accoglimento di feedback, rilevazione dei bisogni e del punto di vista dei cittadini sui servizi offerti dalla PA. - I social network sono utilizzabili a supporto delle attività di citizen sourcing e diventano strumenti per favorire il coinvolgimento dei cittadini nei processi decisionali di tipo inclusivo. - Sempre più numerose sono le campagne di comunicazione che la PA conduce per dare visibilità a eventi, per pubblicizzare iniziative o servizi di pubblica utilità. Da semplici pubblici, destinatari, i cittadini diventano co-autori di contenuti che reciprocamente possono scegliere e condividere sulla rete. - Nella comunicazione interna della PA i social network possono essere utilizzati a supporto di attività di coordinamento di gruppi, per velocizzare lo scambio di informazioni e la presa di decisioni durante lo svolgimento del lavoro quotidiano. I rischi. La presenza tout court sui SNS da parte dell'amministrazione, non è di per sé garanzia di riuscire a ottenere e mantenere un'immagine positiva e conquistare una buona web reputation. Il rischio di perdere credibilità è infatti più elevato rispetto a ciò che poteva avvenire in passato. Il rischio di non riuscire a mantenere un elevato livello di qualità nella cura della diffusione di informazioni e nella creazione e mantenimento di relazioni efficaci, di essere quindi più facilmente e direttamente esposti a critiche e valutazioni negative sul proprio operato. È di fondamentale importanza dunque elaborare le regole che stabiliscono chiaramente con quale finalità, in quanto, tono, stile e comportamento, amministrazioni, dipendenti e i cittadini si impegnano reciprocamente a condividere informazioni e a interagire su questi spazi istituzionali. Fra cui: chiarezza, riconoscibilità, coerenza, tempestività, comprensibilità, credibilità. Modo in cui nel tempo la PA ha gestito la propria presenza sulle piattaforme social e il ruolo che hanno assunto le strutture di informazione e comunicazione a riguardo. La PA italiana ha attraversato almeno tre fasi: in una primissima fase, coincidente con i primi anni di vita di Facebook, le pubbliche amministrazioni si sono affiancati a questa nuova realtà con un atteggiamento spontaneo. Il fatto che in molte amministrazioni si sia riscontrata una forte resistenza iniziale ad utilizzare i SNS, evidentemente da collegare al timore di non voler esporre eccessivamente l’ente e i suoi rappresentanti in un ambiente che 16 appariva troppo amichevole. Dall'altra parte, il desiderio di innovazione espresso da alcuni settori delle amministrazioni o il desiderio di conquistare maggiore visibilità e notorietà da parte dei singoli amministratori eletti a portato a quella che è definita “balcanizzazione” dei social. Inizialmente però le due principali piattaforme (Facebook e Twitter) sono state in gran parte utilizzati secondo una visione della comunicazione di tipo unidirezionale. La fase sponteneistica nel processo di domesticazione dei media sociali da parte della PA corrisponde alla fase dell’"intraprendenza e sperimentazione", in cui prevale un uso informale delle piattaforme social da parte di dipendenti creativi che ne avevano già sperimentati in contesti non lavorativi. In brevissimo tempo, regioni ma anche comuni di medio-grandi dimensioni, hanno attivato una propria pagina istituzionale sui principali social network per cui sono cresciuti in modo esponenziale gli account delle amministrazioni italiane. Ciò però non mostra un superamento vero e proprio della tendenza alla barcalizzazione del web sociale. Cittadini e dipendenti esprimono una generale insoddisfazione. Soprattutto avvertono una mancanza di volontà di realizzare l'effettiva ascolto da parte della PA. La seconda fase di domesticazione dei media da parte della PA può essere definita “Order from caos" (ordine dal caos) ed è caratterizzata dal tentativo di razionalizzare la presenza istituzionale sui social. Si ritiene che questa fase sia ancora in atto. Nella terza fase che gli autori definiscono istituzionalizzazione si rimuovono usi inappropriati dei social media e gestione individualistiche, adottando regole puntuali da seguire per alimentare e gestirne la presenza istituzionale. Pianificare la comunicazione integrata e multicanale nella PA connessa L’idea che la comunicazione della PA debba essere oggetto di programmazione e che debba essere destinato un budget definito, risale all’adozione della legge 150 del 2000. L’invito è quello di redigere un piano annuale di comunicazione da presentare entro il 30 novembre di ogni anno. La redazione del piano dovrebbe avvenire secondo modalità condivise e partecipate all’interno, ed essere affidata al Comunicatore pubblico. In realtà, la cultura della programmazione nella PA italiana è ancora oggi molto limitata. Proprio per la crescente complessità, la comunicazione nella PA deve essere oggetto di pianificazione, valutazione e monitoraggio. Un buon criterio per pianificare la comunicazione annuale o pluriennale di un ente pubblico è quello di seguire un percorso metodologicamente articolato in passaggi ritenuti cruciali. Si tratta di indicazioni generali che sono valide per qualsiasi piano di comunicazione annuale. I passaggi per redigere il piano sono convenzionalmente almeno sette: 1. Analisi dello scenario; 2. Individuazione degli obiettivi di comunicazione; 3. Individuazione dei pubblici di riferimento; 4. Scelta delle strategie; 5. Definizione del contenuto; 6. Individuazione delle azioni e degli strumenti di comunicazione; 7. Valutazione Questi passaggi devono essere preceduti e devono fare riferimento alle scelte strategiche dell’organizzazione nel suo complesso. Il piano va elaborato conoscendo in modo puntale gli obiettivi strategici dell’ente per l’anno di riferimento del piano stesso, in modo da programmare attività strettamente orientate a facilitare il raggiungimento di tale obiettivi. Analisi dello scenario Consiste nel costruire le “situazione di partenza”, la cornice entro cui dovrà agire la comunicazione. Si tratta di acquisire informazioni specifiche sull’ambiente di riferimento, interno ed esterno. 17
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