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Riassunto del libro "Rischi in adolescenza. Comportamenti problematici e disturbi emotivi" di Cattelino, Prove d'esame di Psicologia Generale

Sintesi per l'esame basato sul libro "rischi in adolescenza. comportamenti problematici e disturbi emotivi" di cattelino per il corso "personalità e devianza" dell'università cattolica.

Tipologia: Prove d'esame

2016/2017

Caricato il 14/11/2017

pannox82
pannox82 🇮🇹

4.4

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Scarica Riassunto del libro "Rischi in adolescenza. Comportamenti problematici e disturbi emotivi" di Cattelino e più Prove d'esame in PDF di Psicologia Generale solo su Docsity! RISCHI IN ADOLESCENZA, COMPORTAMENTI PROBLEMATICI E DISTURBI EMOTIVI 1. RISCHI IN ADOLESCENZA: COMPORTAMENTI E DISTURBI DELLA SFERA AFFETTIVA E RELAZIONALE Rischi al plurale: L'espressione “comportamenti a rischio” è entrata negli ultimi anni nel linguaggio degli studiosi di psicologia dell'adolescenza, ed ha sostituito quella di “comportamenti problematici”. In passato, infatti, alcuni di essi erano stati considerati sotto l'aspetto della loro legalità e illegalità e andavano a sottolineare i problemi posti alla società dalla trasgressione delle norme sociali. Con gli anni l'attenzione si è spostata dalla società all'individuo e di conseguenza alla sua salute fisica e al suo benessere psicosociale. Questa nuova visione dei comportamenti problematici ha portato all'ampliamento dei comportamenti che sono rischiosi per il benessere dell'individuo. Con “comportamenti problematici” si intendono dunque oggi tutte le condotte che possono, in modo diretto o indiretto, mettere in pericolo la salute e il benessere fisico e psicologico degli individui, sia nel presente che nel futuro. Sono comportamenti che fanno al loro comparsa perlopiù in adolescenza o in età giovanile e possono compromettere la salute a il benessere dell'individuo immediatamente oppure a lungo termine (cancro, malattie). Il cambiamento di prospettiva dalla società all'individuo ha portato alla consapevolezza che esistono altre condizioni di rischio meno visibili e meno disturbanti meno visibili, ma ugualmente pericolosi (depressione, alienazione, isolamento, ansia e fobie). I “comportamenti a rischio” si distinguono in: - Esteriorizzati: comprende tutti i comportamenti a rischio che sono maggiormente visibili dall’esterno. Forme di rischio più legate alle condotte - Interiorizzati: è riferito maggiormente alla sfera affettiva. Forme di rischio maggiormente connesse ai vissuti, alla sfera emotivo-affettiva. In passato si aveva l'erronea convinzione che queste due forme di rischio fossero del tutto indipendenti l'una dall'altra, questa idea è stata favorita anche dal concetto di genere: i maschi sono maggiormente coinvolti nel rischio esteriorizzato mentre le femmine in quello interiorizzato. Gli studi più recenti hanno dimostrato un'interazione, relazione tra i rischi interiorizzati e esteriorizzati. Rischi in adolescenza: il concetto di adolescenza non è semplice e obbliga gli studiosi a definirlo secondo dei limiti temporali. Vi sono, da un lato, i vincoli biologici che riguardano lo sviluppo puberale, il quale, negli ultimi anni, ha manifestato la tendenza ad una maggiore precocità legata sia alle migliori condizioni alimentari, sia a stimoli di carattere sessuale. L'inizio dell'adolescenza può dunque essere identificato con lo sviluppo puberale ed è sempre determinata anche socialmente. Questo sviluppo è fortemente legato alla scolarizzazione e risente quindi delle maggiori o minori possibilità offerte dalla società. Mentre è possibile ipotizzare l'età di inizio dell'adolescenza, non è altrettanto facile definire la sua conclusione in quanto quest'ultima risente molto dal contesto sociale di cui si fa riferimento. Negli anni adolescenziali, gli individui hanno gradualmente acquisito le caratteristiche cognitive e la maturazione sessuale tipiche dell'adulto, ma in Europa sono ancora impegnati in un percorso formativo. Questa sospensione offre all'individuo un'opportunità di crescita, tuttavia l'affermazione di sé e della propria autonomia possono essere accompagnati dall'assunzione di rischi di diversa natura (attività nuove, pericolose ed eccitanti, trasgressione, sostanza nocive, etc). Ogni individuo è diverso e non esistono traiettorie uguali tra loro. Le cause, le motivazioni e i significati che il rischio assume in età adolescenziale sono spesso profondamente diversi da quelli che gli stessi sentimenti possono rivestire in altre età. Comportamenti a rischio – rischi esternalizzati: la complessità dell’individuo e l’interazione tra l’individuo e il contesto costituiscono il quadro di riferimento necessario non solo per lo studio degli effetti delle condotte a rischio ma anzitutto per l’analisi delle loro origini. Si tratta di considerare anche l’attivo contributo che gli adolescenti stessi danno nel modellare il proprio sviluppo e i propri percorsi di crescita. È questo un aspetto che è stato talvolta trascurato in un’ottica che considera l’adolescente un essere prevalentemente passivo che subisce l’influenza dei diversi ambienti in cui vive. È un modello frequente nel senso comune, dove i comportamenti a rischio sono semplicisticamente considerati il frutto di ambienti sociali degradati, di amicizie negative, di gruppi devianti. La psicologia dello sviluppo contemporanea ha invece sempre più evidenziato il ruolo attivo dell’individuo, soprattutto a partire dall’adolescenza. Il modello concettuale proposto da Jessor evidenzia i quattro sistemi principali di variabili tra loro in interazione: - Sistema dell’ambiente sociale: variabili di tipo oggettivo e socio demografico (es. scolarità dei genitori, lavoro svolto dai genitori, dimensioni del luogo di residenza, caratteristiche del quartiere, composizione del nucleo familiare). - Sistema della persona: l’attenzione viene rivolta alla personale esperienza del soggetto (es. valori, atteggiamenti, aspettative, percezione di sé). - Sistema dell’ambiente percepito: come il soggetto percepisce ciò che lo circonda (es. famiglia, coetanei, scuola, quartiere). È infatti alla propria personale esperienza che i ragazzi fanno riferimento nel costruire i propri atteggiamenti e nel modulare il proprio comportamento. - Sistema dei comportamenti: qui sono inseriti anche i disturbi di tipo internalizzato (es. ansia, depressione, ritiro sociale) ed esternalizzato (es. consumo di alcol, guida pericolosa, comportamenti sessuali a rischio) oltre ai comportamenti normali. I comportamenti si organizzano in una struttura sistemica in cui si influenzano gli uni con gli altri. Fattori di rischio e di protezione: fattori di rischio --> fattori che possono aumentare la probabilità di implicazione in comportamenti pericolosi e in esiti disadattativi. Fattori ambientali ed individuali interagiscono tra loro nel determinare situazioni che possono favorire l’insorgenza di comportamenti rischiosi per il benessere. È però anche risultato sempre più evidente che esiste un’ampia eterogeneità nelle relazioni tra l’esposizione a fattori di rischio e il reale coinvolgimento in comportamenti pericolosi: in altre parole, non tutti gli adolescenti che hanno vissuto situazioni a rischio presentano comportamenti a rischio! Fattori di protezione: caratteristiche individuali e contestuali che diminuiscono la probabilità di coinvolgimento nei comportamenti a rischio oppure riducono il coinvolgimento già in atto e ne limitano gli esiti negativi. I fattori di protezione interagiscono in maniera dinamica con quelli di rischio, all’interno della complessa rete di interazione tra i diversi sistemi delle variabili contestuali e individuali, e concorrono a delineare i differenti percorsi di sviluppo. Di conseguenza, entrambi i fattori non vanno visti come elementi fissi, validi per tutti gli adolescenti; al contrario, essi possono essere diversi a seconda dell’età e dell’adolescente, in relazione alle sue caratteristiche personali e a quelle del contesto in cui egli vive, ciò spiega perché i percorsi di sviluppo individuale siano differenti e possano modificarsi lungo gli anni stessi dell’adolescenza. Le funzioni: le condotte a rischio, apparentemente insensate per la loro nocività, sono invece azioni dotate di senso e di scopo per chi le mette in atto. Queste azioni sono compiute da specifici adolescenti, in un contesto determinato, allo scopo di raggiungere obiettivi significativi in un certo momento del loro sviluppo. Equivalenza funzionale: gli obiettivi che il ragazzo mette in atto attraverso comportamenti a rischio, ovviamente, possono essere raggiunti anche attraverso comportamenti salutari, come moltissimi adolescenti fanno (es. il desiderio di provare sensazioni forti ed eccitanti può essere soddisfatto andando sulle montagne russe del luna park anziché correre in macchina). Comportamenti molto diversi, sia a rischio che no, possono quindi servire per raggiungere obiettivi di crescita simili. Gli studi sulle condotte a rischio hanno anche evidenziato che esse, in genere, non compaiono in forma isolata, ma, al contrario, perlopiù congiunta. Alcuni studiosi hanno descritto la comparsa concomitante di alcuni comportamenti con il termine costellazione. Le relazioni tra comportamenti che si presentano insieme sono da ricercarsi soprattutto nelle funzioni simili che questi comportamenti rivestono. Lo studio delle funzioni, insieme a quello dei fattori di protezione, risulta particolarmente fruttuoso soprattutto per la progettazione e realizzazione di interventi di prevenzione efficaci. Agire sulle funzioni permette infatti di incidere sulle regioni profonde per cui gli adolescenti ricorrono a comportamenti rischiosi, per sostituirli con condotte salutari ma ugualmente significative. Quanti ai fattori di rischio, questi sono spesso legati a caratteristiche o a situazioni stabili, non modificabili, oppure a fattori non prevedibili e controllabili; in questi casi la promozione e lo sviluppo dei fattori di protezione diventa l’unica opportunità per ridurre l’implicazione nei comportamenti a rischio o per ridurre le probabilità di esiti mal adattivi stabili. Rischi della sfera affettiva e relazionale - rischi internalizzati: nell’ambito dei problemi della sfera affettiva e relazionale, sono stati individuali principalmente i disturbi di ansia e quelli depressivi: i sintomi depressivi includono tristezza, problemi di sonno ed appetito, sensi di colpa, difficoltà di concentrazione e fatica cronica, mentre quelli ansiosi comprendono eccesso di preoccupazione, eccessivo bisogno di rassicurazione, reazioni somatiche, irritabilità. Gli Stati d’ansia e sentimenti depressivi fanno parte della natura umana dove svolgono, se a livelli transitori e moderati, un ruolo adattivo. Ansia e sentimenti depressivi possono però diventare, in particolari condizioni, non controllabili, permanenti e generalizzati. 2. CARATTERISTICHE PERSONALI E DIFFICOLTÀ EMOTIVE E COMPORTAMENTALI Introduzione: numerose ricerche hanno mostrato come nel corso dell’adolescenza le difficoltà emotive e comportamentali tendono a farsi più intense. Ci si è posti una serie di domande sul legame tra le Autoregolazione: processi come l’attenzione, l’avvicinamento/evitamento e l’inibizione che servono a modulare (attivare oppure inibire) il livello di reattività locale in risposta agli stimoli esogeni ed endogeni. Questi processi includono due dimensioni (il mantenimento dell’attenzione e il controllo inibitorio), che sono gli aspetti primari della volontarietà del controllo (effortful control). Effortful control: componente regolativa del temperamento. Abilità di inibire una risposta dominante, produrre una risposta non dominante, pianificare e individuare gli errori. Per quanto riguarda la relazione fra temperamento e depressione, una serie di indagini si è basata sul cosiddetto modello tripartito di Clark e Watson, Questi autori suggeriscono che la forte correlazione spesso riscontrata tra i sintomi ansiosi e quelli depressivi sia dovuta ad un terzo fattore non specifico, indicato nell’affettività negativa; questa è caratterizzata dalla tendenza ad essere preoccupati, ansiosi, autocritici e da un’immagine negativa di sé. Secondo tale modello sia l’ansia che la depressione sono risultate associate ad alti livelli di affettività negativa. Il temperamento predispone l’individuo verso determinati tipi di scambi ed esperienze sociali (es. un bambino con un temperamento sensibile alla sofferenza e alla paura potrebbe essere più propenso ad instaurare in età adolescenziale e adulta relazioni interpersonali negative e ad esperire una minore soddisfazione proveniente dal supporto sociale e, di conseguenza, avere maggiori probabilità di soffrire di disturbi psicologici, come la depressione). Inoltre, determinate caratteristiche comportamentali (es. paura e irritabilità) possono provocare nei genitori comportamenti caratterizzati da maggiore ostilità e coercizione, che a loro volta possono favorire l’insorgenza nei propri figli di problemi di comportamentali significativi durante la preadolescenza e l’adolescenza. 3.LE RELAZIONI FAMILIARI, UNA RISORSA PER LA TRANSIZIONE ALL'ETÀ ADULTA La famiglia che cambia: La famiglia può essere considerata come un’organizzazione complessa di relazioni di parentela che ha una sua storia e che crea una storia. La famiglia è un microsistema in evoluzione, tale evoluzione è scandita principalmente dagli ingressi e dalle uscite dei suoi componenti (nascita, matrimonio, morte); la famiglia reagisce a questi eventi recuperando equilibrio e garantendo benessere ai suoi componenti grazie all’accesso alle proprie risorse di adattamento attivo. Le fasi di sviluppo, la cui sequenza costituisce il ciclo di vita della famiglia, sono caratterizzate da specifici eventi critici che la famiglia incontra nel suo percorso. Uno di questi eventi critici è l’ingresso di un figlio in età adolescenziale. Infatti, in questa fase, l’equilibrio familiare è messo in crisi: le modalità di funzionamento che fino a quel momento erano adeguate risultano ora inadeguate e alla famiglia viene richiesta una riorganizzazione. Figli adolescenti: Nella nostra società il giovane che ha acquisito capacità sessuali e cognitive tipiche dell’adulto è costretto a trascorrere ancora molto tempo in una condizione di preparazione, in cui il suo ruolo sociale è ancora indeterminato: chiaramente non più bambino, ma non ancora riconosciuto come adulto. Diventa quindi indispensabile che l’emancipazione avvenga senza la rottura dei legami familiari ma attraverso una loro trasformazione in modo da renderli più paritari e reciproci. Le problematiche legate alla separazione e al distacco dai genitori occupano un posto centrale nell’esperienza adolescenziale. L’alternarsi di tendenze separative (forte spinta verso l’autonomia) e tendenze regressive (bisogno di vicinanza e supporto affettivo) fa sperimentare all’adolescente confusione e angoscia spesso associate a conflitti intensi, anche a causa della rottura degli equilibri precedentemente raggiunti. La definizione di una nuova e più realistica immagine dei genitori, considerati ora come persone soggette all’errore e non più infallibili, contribuisce, da un lato, all’aumento della conflittualità domestica ma, dall’altro, è funzionale al graduale sviluppo dell’autonomia dei figli adolescenti sul piano emotivo, affettivo, cognitivo e comportamentale. In questo percorso di ricerca della propria indipendenza, in cui si alternano momenti di distacco e riavvicinamento ai genitori, gli adolescenti cercano il sostegno profondo degli amici, con i quali sperimentano nuovi comportamenti; essi possono, così, lasciarsi influenzare dalle condotte degli amici ed intraprendere percorsi di sviluppo dannosi per la loro salute, presente e futura. Nel contempo, diventa sempre più difficile per i genitori e gli insegnanti sia convincere gli adolescenti a mettere in pratica certe norme salutari sia esercitare un controllo sui loro comportamenti. Genitori con figli adolescenti: una famiglia con adolescenti deve saper sincronizzare due movimenti antagonisti: - Tendenza del sistema all’unità: mantenere forte il senso di appartenenza dei membri. - Spinta dell’adolescente verso la differenziazione e l’autonomia. Il compito di sviluppo per eccellenza della famiglia consiste nel saper instaurare il tipo di relazione adeguato a ciascuna fase del ciclo di vita che attraversa. È necessario quindi che i genitori riconoscano l’esigenza di modificare le loro relazioni con i figli quando questi diventano adolescenti. Protezione flessibile: capacità dei genitori di favorire l’autonomia dei figli pur riconoscendo la presenza, ancora, di diversi aspetti di dipendenza. L’adolescenza configura un momento di discontinuità nella vita familiare che può mettere in difficoltà i genitori, in particolare le madri, che possono sviluppare dei vissuti di inutilità e di vuoto di fronte alla percezione che i figli non hanno più bisogno di loro. Inoltre, i genitori che non vedono riconosciuto il proprio ruolo, o temono di perderlo, rischiano di mettere in atto degli atteggiamenti di iperprotezione, esercitando un controllo eccessivo sui figli, con la conseguenza di limitarne l’autonomia invece di promuoverne il graduale conseguimento. I genitori con figli adolescenti devono sostenere i figli su un piano affettivo ed emotivo, ma anche nelle attività che svolgono all’esterno della famiglia; inoltre devono mantenere una comunicazione aperta tollerando i possibili disaccordi. I genitori devono anche fornire una precisa guida e dei chiari punti di riferimento per promuovere l’assunzione di responsabilità e limitare la possibile attuazione di condotte rischiose per la salute. Si tratta dunque si trovare un equilibrio fra disponibilità all’ascolto, calore, supporto emotivo e controllo dei comportamenti dei figli attraverso chiare indicazioni normative, adeguate al grado di maturità dei figli. La famiglia influisce sull’implicazione nel rischio degli adolescenti?: la letteratura scientifica nazionale ed internazionale è concorde nell’attribuire alla famiglia un ruolo di rilevo nell’influenzare lo sviluppo dei suoi membri e in particolare nel favorire o, al contrario, ostacolare la crescita dei figli. Il ruolo della struttura familiare: vi è un certo consenso nel ritenere che bambini e adolescenti che crescono con genitori divorziati sono più a rischio per i loro percorsi di crescita rispetto ai loro coetanei che crescono, invece, in nuclei familiari integri. Confrontati con un gruppo di bambini e adolescenti cresciuti in nuclei familiari integri, i figli di genitori divorziati mostrano minori livelli di benessere psicologico, maggiori livelli di depressione, un’immagine di sé più negativa e peggiori risultati scolastici; inoltre, gli adolescenti con genitori divorziati risultano essere maggiormente coinvolti anche in diversi comportamenti a rischio, come l’uso di sostanze psicoattive, relazioni sessuali precoci, comportamenti aggressivi. Non sono emerse differenze di genere rispetto all’effetto della separazione dei genitori: figli e figlie sembrano subire in modo simile gli effetti del divorzio. Sono invece stati riscontrati degli effetti specifici legati all’età dei figli: - Effetti negativi più forti nei figli più giovani per quanto riguarda le difficoltà in ambito scolastico. - Effetti negativi più forti nei figli più grandi per quanto riguarda le difficoltà di adattamento psicologico. Maggiori livelli di coinvolgimento nei comportamenti a rischio e maggiori disturbi nella sfera affettiva se l’esperienza del divorzio dei genitori avviene precocemente (tra i 5 e i 10 anni di età del bambino). Si osservano invece maggiori difficoltà scolastiche quando i figli vivono il divorzio dei genitori in preadolescenza e adolescenza. Inoltre gli effetti del divorzio, in termini di coinvolgimento nelle diverse forme di rischio, non scompaiono con il tempo ma persistono durante l’intera adolescenza e nell’età giovane- adulta. Occorre, quindi, non trascurare il ruolo del contesto sociale e culturale in cui i figli vivono questa esperienza. Nel nostro paese, il divorzio sta diventando un evento sempre più culturalmente accettato: i figli di genitori separati sono più numerosi rispetto al passato e possono spesso trovare esperienze simili fra gli amici o i compagni di scuola. Ciò può contribuire a ridurre la stigmatizzazione e favorire l’accettazione sociale dei bambini e degli adolescenti che crescono in nuclei familiari non integri. Anche se la separazione dei genitori si presenta come un’esperienza dolorosa importante, la maggioranza dei figli sembra riuscire a trovare delle strategie adattative per farvi fronte. Gli adolescenti che vivono in nuclei familiari non integri possono utilizzare condotte problematiche per esprimere sia il proprio desiderio di essere considerati sia il proprio disagio a genitori troppo presi dalle proprie preoccupazioni. La presenza di fratelli o sorelle: ricerche hanno messo in luce come la reciprocità e la simmetria, che contraddistinguono la relazione con fratelli e sorelle, favoriscano negli individui lo sviluppo della sensibilità e della capacità di comprendere sé stessi e gli altri, influenzino le rappresentazioni di sé in termini di autostima e fiducia nelle proprie capacità attraverso il meccanismo del confronto sociale e abbiano una più generale influenza sullo sviluppo del sistema cognitivo e della personalità nel suo complesso. La relazione fraterna anche in adolescenza si presenta come una realtà complessa, in cui affetto e solidarietà reciproci convivono accanto a gelosie e conflitti. Il ruolo del funzionamento familiare: una famiglia, qualunque sia la sua struttura, è funzionale quando risponde ai bisogni di sicurezza e di crescita (motivi, cognitivi e sociali) dei figli e fornisce a questi ultimi le competenze necessarie per inserirsi nella società. Le relazioni familiari coese, supportive e caratterizzate da una buona apertura al dialogo costituiscono un importante fattore protettivo dall’implicazione nei comportamenti a rischio e dai sentimenti di malessere in adolescenza. Fra gli aspetti caratterizzanti le relazioni familiari, quelli ritenuti maggiormente importanti, soprattutto in famiglie con figli adolescenti, sono: - il sostegno genitoriale: la percezione degli adolescenti di poter contare sui propri genitori. - la comunicazione: apertura al dialogo fra genitori e figli. - il controllo genitoriale: capacità e possibilità dei genitori di conoscere e controllare ciò che fanno i figli dentro e fuori le mura domestiche attraverso il monitoraggio, la supervisione e la disciplina. Sostegno affettivo e apertura al dialogo: un buon livello di sostegno genitoriale permette all’adolescente di rivolgersi con sicurezza verso il mondo esterno esplorando nuovi ruoli e aspetti di sé, sapendo di poter contare sulla presenza affettiva stabile dei genitori. In adolescenza, il sostegno genitoriale, in genere, si associa anche alla disponibilità dei genitori all’ascolto, alla condivisione dei problemi e ad una comunicazione aperta con i figli. La possibilità di discutere apertamente con i propri genitori consente ai ragazzi e alle ragazze di sentirsi amati ed accettati e di sviluppare un’immagine di sé più positiva. Gli adolescenti con genitori supportivi e aperti al dialogo sono meno involti in diverse forme di rischio esternalizzato e in particolare nelle condotte devianti, la cui funzione trasgressiva risulta meno attraente. Inoltre, se il giovane percepisce la possibilità di esprimere le proprie opinioni e di ricevere sostegno da parte dei genitori, potrà sviluppare un proprio senso di responsabilità ed autonomia e incorrerà meno in problemi di tipo internalizzato. Le madri sono generalmente descritte come più aperte al dialogo, più vicine su un piano affettivo ai figli adolescenti, che tendono a considerarle fonte privilegiata di sostegno rispetto ai padri. La presenza di una buona relazione fra genitori e figli, connotata da sostegno affettivo e disponibilità al dialogo, non implica l’assenza di conflitti. Questi ultimi rappresentano, infatti, un’esperienza comune alla maggioranza degli adolescenti. La presenza di episodi conflittuali è considerata non solo normale ma anche funzionale alla ridefinizione dei legami familiari. Quando i conflitti si verificano in un clima positivo, essi possono costituire anche un’esperienza di apprendimento poiché promuovono le capacità d’ascolto, argomentazione, riflessione e negoziazione. Al contrario, i conflitti che si associano ad un funzionamento familiare connotato da elevata severità e scarso sostegno genitoriale non generano nella famiglia dei cambiamenti evolutivi ma paralizzano i processi di interazione tra genitori e figli. le relazioni familiari caratterizzate da una tale conflittualità costituiscono un importante fattore di rischio rispetto al coinvolgimento dei figli nei comportamenti a rischio e in particolare nei comportamenti devianti e li espongono a maggiori sentimenti depressivi, ansia e stress. Controllo e supervisione: sostenere l’adolescente, accettarlo e dimostrarsi disponibili a dialogare con lui non esclude, da parte dei genitori, l’avanzare richieste e dunque esercitare un controllo. Possiamo distinguere due principali tipi di controllo familiare: - il controllo dei comportamenti: capacità dei genitori di monitorare le condotte dei figli predisponendo dei limiti di azione. Viene esercitato dai genitori ponendo delle regole rispetto ai diversi contesti della vita dei propri figli, sia nell’ambito familiare, sia al di fuori di esso. Negli studi sull’argomento è stato riscontrato come la presenza di regole di cui i genitori esigono il rispetto sia legata ad un minore coinvolgimento in diversi tipi di comportamento a rischio. - il controllo psicologico: controllo basato sull’intrusione e la manipolazione e interferisce quindi con lo sviluppo psicologico ed emotivo dell’adolescente. Esso risulta sempre fortemente e positivamente associato a diverse forme di rischio, sia sul piano dei comportamenti sia a livello emotivo e affettivo. Il concetto di controllo è spesso associato, ed è in parte sovrapponibile, a quello di supervisione genitoriale o monitoring. Quest’ultimo aspetto riguarda più strettamente la conoscenza riguardo a dove e con chi si trovano i figli quando sono fuori casa. Anche il monitoring è un aspetto del funzionamento familiare in grado di limitare il coinvolgimento in diverse forme di condotte a rischio psicosociale e a rischio per la salute. La conoscenza dei genitori riguardo le attività svolte dai figli fuori casa e le compagnie che frequentano può derivare da un atteggiamento attivo di richiesta da parte dei genitori nei confronti dei figli, e quindi da regole relative al comunicare con chi e dove si va; dall’altro, può provenire da una comunicazione spontanea (self-disclosure) da parte degli adolescenti. È importante che i genitori riescano a coltivare un clima familiare connotato da prendere in considerazione non solo le proprie aspirazioni, ma anche la probabilità di realizzazione di tali progetti. Nel far fronte a tale compito, l’ambiente esercita un’influenza notevole: sulla scelta giocano un ruolo significativo le indicazioni degli insegnanti, che conoscono le potenzialità dei loro alunni, le pressioni dei genitori, le possibilità economiche e il livello culturale della famiglia. È importante che l’adolescente abbia un’immagine realistica delle proprie capacità e possibilità, in modo da non elaborare progetti velleitari, che potrebbero esporlo al rischio di esperienze deludenti e indurlo a sviluppare sentimenti di inadeguatezza o sfiducia in sé e nelle proprie capacità. L’esperienza scolastica, ragazzi e ragazze a confronto: Diversi studi sottolineano come l’esperienza scolastica sia vissuta in modo diverso dai maschi e dalle femmine. Per i maschi i processi di costruzione di un’identità positiva si realizzano soprattutto attraverso la sperimentazione, mentre per le femmine assumono maggiore importanza le attività connesse all’assunzione di impegni. Per quanto riguarda più nello specifico la scuola, si evidenzia come, in genere, le ragazze siano in maggior misura coinvolte nell’esperienza scolastica, mostrando un atteggiamento più critico nei confronti della scuola, ma al tempo stesso maggiormente volto al superamento di ostacoli e difficoltà. Le ragazze generalmente vivono la scuola in modo più positivo rispetto ai coetanei maschi: esse tendono non soltanto ad attribuirvi un valore più elevato ma anche ad avere maggiori attese di successo e migliori prestazioni. Oltre alla valutazione da parte di insegnanti e compagni, le ragazze, più dei loro coetanei maschi, sono sensibili al giudizio e alle richieste poste nell’ambito familiare: alle ragazze vengono richiesti dai genitori (e dalla società in generale) maggiore impegno e maggiore responsabilità. Ricerche mostrano come fra le ragazze, rispetto ai ragazzi, sia più forte il senso di appartenenza al contesto scolastico e la relazione tra questo e altri aspetti quali la motivazione, le attese di successo e la riuscita. Esperienza scolastica e rischio: quale relazione?: Se per la maggior parte degli adolescenti la scuola costituisce un contesto importante in cui esperire successo, cogliere diverse opportunità di crescita e vivere esperienze soddisfacenti, per alcuni studenti l’esperienza scolastica, proprio per l’investimento di cui è fatta oggetto, rappresenta una fonte di sentimenti di malessere e di varie forme di disagio, specialmente nel caso si incontrino difficoltà o si sperimentino insuccessi. Un’esperienza scolastica avvertita come negativa porta spesso a sviluppare un vero e proprio stato di disaffezione nei confronti della scuola, con il rischio di un progressivo disimpegno, una tendenza alla rinuncia a cogliere le opportunità di crescita, fino ad un definitivo distacco da essa. Disagio scolastico: si manifesta attraverso un insieme di comportamenti disfunzionali (es. scarsa partecipazione, disattenzione, comportamenti di rifiuto e di disturbo, cattivo rapporto con i compagni e gli insegnanti) che non permettono al giovane di vivere adeguatamente le attività che si svolgono in classe e di apprendere con successo, utilizzando il massimo delle proprie capacità cognitive, affettive e relazionali. Come numerose ricerche hanno dimostrato, coloro che vivono l’esperienza scolastica come poco gratificante, che sperimentano gravi insuccessi come le bocciature e che vorrebbero abbandonare la scuola tendono maggiormente a cercare modalità trasgressive, spesso appariscenti e rappresentate da varie forme di comportamenti a rischio per affermare sé stessi. Tali condotte, non solo consentono all’adolescente di trasgredire e di provare forti emozioni legate all’esposizione a situazioni cariche di rischi (sensation seeking), ma anche di sperimentarsi e mettersi alla prova, riconquistando una percezione di controllo sugli eventi e l’affermazione di sé stessi. Fallire a scuola: quali conseguenze per l’adolescente?: L’insuccesso scolastico, configurandosi come mancata realizzazione delle potenzialità, mancato compimento di progressi individuali, abbandono anticipato della scuola e conclusione degli studi senza attestati di qualifica o con attestati inadeguati, può compromettere la possibilità di crescita individuale e sociale della persona. L’insuccesso scolastico o il peggioramento del rendimento nel corso del tempo risultano essere importanti predittori della decisione, da parte degli adolescenti, di coinvolgersi in comportamenti dannosi per la propria salute (es. consumo di sostanze psicoattive). Ragazzi con problemi di rendimento scolastico sono spesso più aggressivi, più inclini a mettere in atto condotte delinquenziali, meno accettati dai loro compagni e più a rischio di espressioni di disagio legate al ritiro sociale e alla depressione. Le femmine, in maggior misura rispetto ai maschi, tendono a spiegare i propri insuccessi a scuola individuando le cause in fattori stabili e interni. In tal modo l’insuccesso non viene riferito a specifiche prestazioni o situazioni, ma andrebbe a investire il valore di sé come persona, minando più fortemente la propria identità. Inoltre la scuola è un oggetto emotivamente significativo non solo per l’adolescente ma anche per i suoi genitori: attorno alla scuola e alla riuscita scolastica essi sviluppano fantasie e aspettative precise. Dunque, può incidere sul benessere psicologico del giovane anche la consapevolezza di aver deluso e disatteso le aspettative di riuscita scolastica che i genitori avevano riservato su di lui. Un caso estremo di insuccesso --> l’abbandono scolastico: La dispersione scolastica costituisce una possibile conseguenza del disagio vissuto a scuola. Essa include al suo interno forme differenti che vanno dall’evasione, quando i soggetti non entrano nel circuito scolastico, all’assenteismo, a ripetenze, fino all’abbandono degli studi (drop-out), fenomeno che in Italia colpisce il 20% degli studenti della scuola secondaria di secondo grado, con punte del 25% al Sud e nelle Isole, con un’incidenza tra le più elevate d’Europa. L’essere respinti indice quasi la metà degli adolescenti ad abbandonare la scuola, trasformando in risultato negativo l’esito di un provvedimento di per sé finalizzato, invece, a produrre esiti postivi sul rendimento futuro dello studente. Vi sono infine, forme mascherate di abbandono scolastico (es. studenti disimpegnati totalmente, mentalmente assenti, studenti che collezionano ritardi e/o assenze o che passano nei corridoi gran parte della giornata) che possono implicare da parte dell’adolescente un rendimento inferiore rispetto alle sue reali potenzialità, oppure l’incapacità di sintonizzarsi con le richieste scolastiche, o ancora sentimenti di disaffezione nei confronti della scuola. L’autoefficacia scolastica, quanto conta essere convinti delle proprie capacità?: Le convinzioni di autoefficacia appaiono fondamentali affinché l’adolescente perseveri nel raggiungimento delle sue mete, confidando sulle sua capacità personali di far fronte ai compiti e alle sfide del mondo adulto. Nello specifico, l’autoefficacia in ambito scolastico, ovvero la convinzione di riuscire nello studio delle diverse materie e di saper organizzare il proprio apprendimento, si rivela determinante nel favorire il successo scolastico e nell’orientare le successive scelte accademiche o professionali dell’adolescente perseguendo in generale obiettivi più a lungo termine. Inoltre, diversi studi hanno fatto emergere l’influenza pervasiva dell’autoefficacia scolastica su tutta la vita di relazione dell’adolescente, agendo anche sulla promozione del comportamento pro sociale e contrastando esiti depressivi o delinquenziali. In conclusione, l’autoefficacia svolge un ruolo chiave nella promozione del benessere degli adolescenti e nella scelta, da parte loro, di percorsi di vita e di sviluppo costruttivi: quanto più l’adolescente si sente in grado di padroneggiare le situazioni e di gestire le difficoltà, tanto più sarà portato a selezionare ambienti, situazioni e obiettivi che gli garantiranno un’elevata probabilità di successo; quanto più numerose saranno le occasioni di rafforzare l’autoefficacia, tanto più forte sarà il ragazzo di fronte ai possibili imprevisti od ostacoli della vita. Bassi livelli di autoefficacia scolastica si associano a probabilità più elevate di incorrere in numerose forme di rischio esternalizzato ed internalizzato. Relazioni difficili con gli insegnanti, quali conseguenze?: Insegnanti consapevoli del proprio ruolo educativo possono potenziare tanto le capacità cognitive dei loro alunni quanto quelle personali e socio-relazionali legate a tali attività. In particolare, i giudizi dell’insegnante, sia quelli resi espliciti nelle valutazioni, sia soprattutto quelli impliciti nell’atteggiamento che assume nei confronti degli allievi, hanno forti effetti su questi ultimi. L’insegnante infatti è vissuto dai ragazzi come una figura di riferimento anche quando l’atteggiamento nei suoi riguardi potrebbe sembrare polemico e oppositivo. Il suo giudizio, come quello della famiglia, ha un notevole peso, tanto che, quando assume connotazioni negative o etichettanti, rischia di frustrare il bisogno di valorizzazione dell’adolescente, contribuendo alla nascita di sentimenti depressivi o di rassegnazione. Anche le aspettative degli insegnanti hanno una notevole influenza sui risultati degli alunni: i risultati scolastici di studenti da cui l’insegnante si aspetta un buon esito sono effettivamente migliori dei risultati conseguiti da studenti dai quali l’insegnante si aspetta poco. Inoltre le basse aspettative degli insegnanti, poiché fondate spesso su un giudizio negativo implicito dell’allievo, producono l’effetto di demotivare gli studenti. Risulta importante lo stile educativo adottato dall’insegnante: uno stile educativo autorevole, basato sulla presenza di regole chiare e condivise e di una buona disponibilità al dialogo, costituisce un importante elemento di promozione di condotte eticamente e socialmente positive. Di fronte a comportamenti a rischio (es. azioni violente, aggressive, antisociali), chiarire ciò che è lecito o meno fare nel contesto scolastico, prevedere sanzioni adeguate al mancato rispetto della regola e mirate alla riparazione del danno favoriscono negli studenti l’assunzione di responsabilità e l’adozione di comportamenti positivi; d’altra parte, evitare di disapprovare esplicitamente e di sanzionare tali condotte si traduce, agli occhi dell’adolescente, in un’implicita approvazione da parte dell’insegnante. Le relazioni con i compagni di classe, quando costituiscono un fattore di rischio?: La classe, a differenza del gruppo di amici che si frequenta nel tempo libero, presenta la peculiarità di essere costituita spesso sulla base di un sorteggio e non di una scelta personale. Le relazioni tra compagni si stabiliscono e si sviluppano in modo complesso e possono essere caratterizzate sia dall’aiuto reciproco, dal sostegno, dalla cooperazione sia dalla sopraffazione e dall’aggressività. Una relazione con i compagni di classe improntata alla competizione e al confronto svilente si configura come un vero e proprio momento persecutorio per il ragazzo, caratterizzato da denigrazione, critiche e prese in giro. Quest’ultima situazione appare particolarmente critica in adolescenza, fase dello sviluppo in cui la valorizzazione, al conferma e il consenso da parte dei pari gioca un ruolo cruciale nel processo di costruzione dell’identità. Situazioni di sofferenza dovute ad una mancata costruzione di relazioni positive con i compagni possono portare a conseguenze negative sia a breve termine (sentimenti di depressione, esclusione, emarginazione e isolamento) sia a lungo termine; è stata infatti verificata una continuità tra difficoltà relazionali con i coetanei in età scolare e disturbi personali e sociali in età adulta. Rispetto all’implicazione in diversi comportamenti a rischio, i compagni costituiscono un importante modello (es. i compagni fumatori possono contribuire in modo significativo ad alimentare nell’adolescente la decisione di iniziare a fumare o di aumentare il livello di consumo) soprattutto nella fase di sperimentazione, spesso collocabile nella prima adolescenza, periodo in cui i ragazzi ricercano una crescente autonomia nelle scelte quotidiane e nello stile di vita più generale. A questo proposito, assume notevole importanza l’autoefficacia regolatoria: si tratta delle convinzioni circa le proprie capacità di resistere alle influenze dei pari, sostenendo e argomentando il proprio punto di vista, soprattutto quando questi invitano ad adottare comportamenti che possono mettere a rischio la propria salute e il proprio benessere. Conclusioni: In conclusione, data la stretta relazione tra la cattiva qualità dell’esperienza scolastica e le diverse forme di rischio legate sia ai comportamenti sia alla sfera emotiva e relazionale, emerge l’importanza di pianificare e attuare interventi in ambito scolastico volti a favorire il successo formativo degli adolescenti, a contrastare la dispersione scolastica e a promuovere relazioni positive. 5. AMICIZIE E AFFETTI, RELAZIONI CON I COETANEI E BENESSERE I ADOLESCENZA Relazioni con i pari, amicizie e rischio: In adolescenza, i coetanei e gli amici si trasformano nel principale centro di attrazione gravitazionale dell’universo di ragazzi e ragazze. Non soltanto aumentano gli incontri e il tempo trascorso con i coetanei, ma l’opinione di questi ultimi assume un rilievo crescente agli occhi degli adolescenti: gli amici, infatti, sono sempre più percepiti come fonte di sostegno, punto cardinale in base a cui orientare le proprie condotte, credenze, opinioni e valutare le proprie qualità. In questa chiave sono da leggere le tendenze al conformismo, tipiche della prima e media adolescenza, e le evidenti somiglianze che si riscontrano fra gli amici tanto negli aspetti esteriori (abbigliamento e comportamenti), quanto in quelli psicologici (atteggiamenti, credenze e opinioni). A differenza delle amicizie precedenti, prevalentemente incentrate sulle attività svolte con l’altro, a partire dalla preadolescenza i legami fra amici diventano di natura sempre più intima. L’amicizia si evolve da una concezione concreta di legame fondato sulla condivisione di attività ad una più astratta, in cui la lealtà, la condivisione emotiva, la comunione di idee, lo scambio di confidenze, la mutua comprensione, l’accettazione e il sostegno reciproci divengono elementi costitutivi imprescindibili. Avere degli amici, fattore di rischio o di protezione?: I legami di amicizia sono definiti come relazioni interpersonali stabili nel tempo, di natura intima e privata, frutto di una scelta volontaria dei partner coinvolti, i quali si riconoscono nella relazione, con reciproco sostegno e piacere nello stare insieme e nel condividere esperienze. In adolescenza, l’assenza di amici rappresenta un fattore di rischio rilevante, in particolare per il benessere psicologico. Coloro che non hanno amici, o ne hanno in numero limitato, sperimentano maggiore ansia e sentimenti depressivi, un minore benessere nel contesto scolastico e un minore rendimento. Essi percepiscono un maggior disagio emotivo, che però non si associa, in genere, al coinvolgimento in comportamenti devianti o rischiosi per la salute. È stato evidenziato come stabilire e mantenere legami amicali rappresenti una capacità individuale che dipende dal possesso di specifiche caratteristiche personali e abilità sociali (espressività e stabilità emotive, capacità di adeguarsi alle regole del gruppo e di agire in favore degli altri) tali competenze, carenti nei ragazzi e nelle ragazze senza amici, possono a loro volta venire apprese ed esercitate solo nell’ambito delle stesse relazioni amicali emerge quindi una circolarità fra carenza nelle abilità sociali e assenza di amici, con un aumento del rischio per l’individuo, che incontrerà difficoltà crescenti nell’instaurare relazioni di amicizia se dunque da un lato la mancanza di amicizie può essere legata la mancato raggiungimento di acquisizioni precedenti, dall’altro è innegabile che tale esito contribuisca a sua volta a incrementare il rischio di disagio. Le amicizie si trasformano in un elemento di rischio quando, invece di garantire un sostegno reciproco, risultano a sfavore di uno dei due membri. Inoltre, gli amici possono costituire un fattore di rischio in base alla loro identità, cioè in relazione alle loro caratteristiche, atteggiamenti e comportamenti. Gli aspetti qualitativi dell’amicizia: Soltanto le amicizie che possiedono caratteristiche qualitative tali da renderle gratificanti per l’adolescente si rivelano funzionali ad uno sviluppo dagli esiti positivi. La qualità delle amicizie, ma non il numero di amici, si associa ad una concezione maggiormente positiva di sé, a trasmissione di malattie o per l’eventualità di una gravidanza indesiderata, ma è anche legato ad una più ampia dimensione psicologica e sociale. Precocità e rischi al femminile: Le ragazze sono in genere maggiormente interessate, rispetto ai ragazzi, alle relazioni sentimentali, in parte per la più precoce maturazione fisica e psicologica, in parte per un maggiore investimento emotivo che esse hanno sulle relazioni in genere. Alcune ricerche hanno evidenziato come il coinvolgimento in una relazione sentimentale prima dei 16 anni sia legato ad un aumento dei sentimenti depressivi e ad una diminuzione dei livelli di felicità, soprattutto per le ragazze. In particolare, il coinvolgimento delle ragazze più giovani nelle relazioni sentimentali le porta spesso ad un precoce abbandono della rete amicale. È plausibile pensare, inoltre, che un precoce coinvolgimento nella relazione sia vissuto dalle ragazze più giovani come un limite alle loro possibilità di realizzazione, mentre con il crescere dell’età la relazione di coppia viene percepita come maggiormente integrata con l’immagine di sé e con i propri progetti di vita futuri. Tanti partner, nessun partner --> quali rischi?: Oltre alla precocità di coinvolgimento nelle relazioni di coppia, anche il fatto di sperimentare molti legami sentimentali con partner diversi risulta essere associato a situazioni di rischio e malessere. Il fatto di cambiare molti partner in un breve arco di tempo espone l’adolescente a ripetute rotture del legame, caratterizzate da conflitti e rifiuti, e tali eventi mettono a dura prova sia l’immagine che ragazzi e ragazze hanno di sé sia la loro capacità di reagire e superare le difficoltà, con conseguenze sul loro benessere emotivo. D’altra parte, anche non avere un partner può esporre alcuni ragazzi e ragazze a vissuti di malessere e disagio. Soprattutto durante la fase affiliativa delle relazioni sentimentali, avere un partner porta ad una maggiore accettazione nel gruppo dei pari, mentre non avere una relazione di coppia può far sì che alcuni ragazzi e ragazze, più sensibili all’influenza dei coetanei, si sentano esclusi o diversi. Come si evolvono le relazioni sentimentali in adolescenza: Sequenza di fasi attraverso le quali si evolvono le relazioni sentimentali in adolescenza: - iniziazione (11-13 anni): contraddistinta da attrazione fisica che spesso non si traduce in una reale interazione con l’altro o rimane limitata ad incontri occasionali. - fase affiliativa (14-16 anni): ragazzi e ragazze tipicamente si frequentano all’interno di gruppi misti e le relazioni sono caratterizzate soprattutto dal bisogno di condivisione e compagnia, più che essere basate sull’intimità. - affezione e presenza di relazioni intime (17-20): il ruolo del gruppo amicale perde gradualmente la sua importanza e l’interesse è centrato sulla relazione con l’altro; si condividono esperienze ed emozioni e si sperimenta in generale un crescente coinvolgimento nei rapporti sessuali. - relazione impegnata (giovane età adulta): la relazione profonda si basa sull’attrazione fisica, sull’intimità ma soprattutto sulla capacità di avere un comportamento di cura nei confronti del partner e di conservare la propria autonomia, pur percependosi fortemente legati all’altro. Avere il ragazzo o la ragazza, un passo verso l’età adulta: Mentre le relazioni di coppia possono essere legate a situazioni di rischio e malessere nel corso della preadolescenza, esse sembrano perdere tale ruolo negativo nella media e tarda adolescenza, quando tendono a divenire progressivamente più stabili e vissute da entrambi i partner in modo paritario. L’instaurarsi di una relazione di coppia stabile risulta essere associato ad una diminuzione del coinvolgimento in comportamenti rischiosi e ad una riduzione dello stress. A partire dalla media adolescenza, le relazioni sentimentali sembrano pertanto svolgere funzioni positive e risultano essere maggiormente integrate con i compiti di sviluppo propri dell’età. Il legame di coppia più facilmente viene conciliato con le relazioni che l’adolescente intrattiene con i genitori e con gli amici, e gradatamente viene ad assumere un ruolo sempre più rilevante. Inoltre, la relazione con un partner sembra avere degli effetti positivi sull’immagine di sé e sulla percezione delle capacità affettiva e relazionali individuali. 6. EFFETTI DELL'ESPOSIZIONE ALLA VIOLENZA AMBIENTALE IN ADOLESCENZA Vivere in contesti violenti: Un tema ricorrente dell’età adolescenziale riguarda la preoccupazione dei genitori verso i figli. Molto spesso i genitori esprimono il timore che i figli possano incontrare nel corso della vita persone non raccomandabili o vivere esperienze pericolose. Il tema della sicurezza è da alcuni anni in cima alle preoccupazioni degli italiani e il timore che i propri figli possano essere testimoni o vittime di violenza ambientale è particolarmente presente nei genitori. Come agisce la violenza ambientale sullo sviluppo?: A partire dagli anni 80, grazie soprattutto al contributo della prospettiva ecologica di Brofenbrenner, si sono imposti in psicologia dello sviluppo modelli multifattoriali che hanno evidenziato come l’individuo si sviluppi all’interno di una pluralità di sistemi, alcuni di tipo prossimale (famiglia, scuola) altri di tipo distale (quartiere, lavoro dei genitori, società), fra loro interdipendenti e tutti in qualche modo implicati nel processo di socializzazione. Quando si analizza il comportamento dei figli in una prospettiva sincronica, si tende sovente ad adottare un modello di spiegazione di tipo lineare, secondo cui il comportamento dei genitori viene considerato come variabile indipendente e il comportamento dei figli come variabile dipendente (tale padre/madre, tale figlio). Osservazioni longitudinali hanno dimostrato che i genitori influenzano i figli non meno di quanto i figli influenzino i genitori. Un clima familiare negativo, caratterizzato da relazioni conflittuali, da bassi livelli di comunicazione o da uno stile educativo coercitivo, favorisce la messa in atto di comportamenti antisociali nei figli adolescenti; è stato però anche osservato come, nel corso del tempo, la messa in atto di comportamenti trasgressivi da parte dei figli determini, a sua volta, un peggioramento delle relazioni in seno alla famiglia, con un effetto di retroazione che innesca una spirale negativa nella relazione amplificando i comportamenti disadattivi. Le variabili ambientali agiscono sull’individuo non solo in modo diretto ma più spesso in modo indiretto, attraverso l’azione di ulteriori variabili le cui funzioni possono essere di mediazione o di moderazione: • fattore di mediazione --> è qualcosa che media il rapporto fra due variabili (es. esposizione alla violenza credenze che legittimano il ricorso alla violenza comportamento violento). • fattore di moderazione --> è qualcosa che modera la relazione tra due variabili determinando a seconda dei casi un’amplificazione o un’attenuazione degli effetti di un’esperienza negativa (es. esposizione ad un evento violento alta/bassa stabilità emotiva basso impatto emotivo/reazione depressiva). Che cos’è la violenza ambientale e quanto è diffusa?: Atto aggressivo --> comportamento finalizzato a ferire e ad arrecare danno ad una o più persone. Violenza --> utilizzo intenzionale della forza fisica o del potere, minacciato o reale, contro sé stessi, un’altra persona o contro un gruppo o una comunità, che determini o che abbia un elevato grado di probabilità di determinare lesioni, morte, danno psicologico, cattivo sviluppo o privazione. Il termine violenza tende a sottolineare l’intensità dell’azione tesa a recare danno a persone o cose. Essa può manifestarsi in varie forme e può essere sperimentata in una pluralità di contesti. Esposizione alla violenza della comunità: minaccia o uso della forza per ferire o danneggiare un’altra persona durante un incontro che avviene nell’ambiente di vita della persona ma all’esterno della famiglia. La diffusione della violenza ambientale: Negli ultimi anni si assiste ad un’elevata diffusione di violenza nella comunità che espone gli adolescenti a confrontarsi di frequente con un contesto deviante. Le conseguenze di una ripetuta esposizione alla violenza sulla salute mentale dei giovani sono state documentate da studi epidemiologici. In un’indagine nazionale sugli adolescenti è stato rilevato che nelle persone esposte alla violenza vi è una propensione particolarmente elevata a sviluppare episodi depressivi maggiori e disturbi postraumatici da stress. Le conseguenze negative della violenza ambientale sullo sviluppo degli adolescenti: Un numero piuttosto elevato di studi condotti nell’ultimo decennio ha mostrato l’associazione tra esposizione alla violenza e problematiche emotive e comportamentali. Leventhal e brooks-gunn, nella loro ampia rassegna sugli effetti del quartiere di residenza sullo sviluppo di bambini e adolescenti, analizzano i fattori attraverso cui il quartiere può influenzare il comportamento dei giovani: • risorse delle istituzioni: servizi ed opportunità presenti in un determinato territorio. In molte aree del nostro paese mancano del tutto spazi per l’aggregazione giovanile e la stessa formazione scolastica risulta essere del tutto inadeguata. • presenza di norme collettive: grado di efficacia con cui la comunità, sia a livello formale che informale, riesce a supervisionare e monitorare il comportamento dei residenti, in particolare dei gruppi devianti e antisociali. Un elevato stress ambientale altera negativamente la capacità dei genitori di effettuare una supervisione (monitoring) sul comportamento dei figli. Il rapporto tra l’esposizione alla violenza nel quartiere e lo sviluppo di problematiche comportamentali ed emotive è associato anche ad altri importanti processi: • la percezione di sicurezza del proprio ambiente prossimale viene fortemente minata dall’osservare o sperimentare violenze nel proprio ambiente di vita, con una conseguente riduzione del benessere psicologico degli adolescenti. a questa percezione di insicurezza è possibile reagire attraverso due diverse modalità: una è il ritiro sociale, allo scopo di evitare occasioni di rischio, l’altra è l’adeguamento ai modelli violenti. • anche i problemi di salute mentale sono più diffusi in contesti violenti. Ragazzi e adolescenti che vivono in un contesto sociale caratterizzato da elevati livelli di illegalità e violenza hanno più elevate probabilità di mostrare problemi di salute mentale (sintomi postraumatici da stress, ansia e depressione). Gli effetti dell’esposizione alla violenza sulla psicopatologia sono mediati dalla percezione che i soggetti hanno del grado di controllo dei comportamenti violenti nel contesto, così che la sensazione di poter essere facilmente esposti alla violenza incrementa i livelli di angoscia esperiti. Il sostegno sociale e le risorse sociali assumono, però, un importante ruolo di moderazione, mitigando gli effetti dell’esposizione alla violenza sulle problematiche psicopatologiche. Infatti, i sintomi, nonostante lo stress cresca, diminuiscono quando vi è un alto supporto, mentre tendono ad aumentare con l’aumento dello stress in assenza di sostegno. Vittima o testimone di violenza?: Diversi studi hanno sottolineato come gli effetti della violenza ambientale differiscano in base alle modalità di esposizione alla violenza del quartiere, se come spettatore o vittima di violenza. Le vittime di violenza ambientale sono più spesso rifiutate dai pari e oggetto delle loro aggressioni: tale associazione è mediata da una ridotta capacità di regolazione emotiva che viene ad instaurarsi come conseguenza della violenza subita. Gli individui vittime di violenza riferiscono, infatti, difficoltà nel controllare l’ansia, sintomi depressivi, irritabilità, disturbi nell’attenzione. Al contrario, essere testimoni di violenza si associa ad una maggiore aggressività, ad una positiva valutazione dei comportamenti aggressivi e a carenze nelle abilità socio cognitive piuttosto che emotive. Inoltre, subire violenza in comunità, e ancora di più in famiglia, può associarsi all’attuazione di comportamenti aggressivi in quanto l’esperienza della vittimizzazione induce ad interpretare in modo distorto le situazioni sociali, viste perlopiù come un pericolo da cui difendersi in modo aggressivo. Adattamento patologico ai contesti violenti: Adattamento patologico (pathologic adaption): le persone che vivono in contesti ad alto rischio sviluppano una sorta di desensibilizzazione alla violenza ambientale che implica l’assimilazione dei comportamenti aggressivi senza angoscia psicologica. Alcuni individui che sono stati esposti a ripetute violenze ambientali riescono a mantenersi freddi, sono capaci di gestire la situazione nonostante la violenza che pervade il contesto e riescono ad inibire anche a livello del snc reazioni di innalzamento dell’attivazione emotiva. L’individuo riesce ad adattarsi ad un ambiente violento pagando dei costi rilevanti sul piano personale essendo il suo sviluppo vincolato a modelli imposti dall’ambiente. Le persone che mettono in atto condotte violente, avendo sperimentato elevati livelli di ostilità nell’ambiente, diventano relativamente immuni dallo sperimentare sentimenti depressivi e associano l’utilizzo della violenza ad emozioni positive. Un ruolo centrale sembrano ricoprire i meccanismi di disimpegno morale, la cui funzione è favorire il ricorso alla violenza disancorando l’esercizio di quest’ultima dallo sperimentare uno stress psicologico. I meccanismi di disimpegno morale sono meccanismi autoregolatori della condotta morale, la cui funzione è disimpegnare temporaneamente la condotta dai principi morali. Bandura ha identificato 8 principali meccanismi di disimpegno morale: - giustificazione morale: è giusto venire alle mani per proteggere i propri amici. - etichetta mento eufemistico: dare pacche o spinte non è altro che fare giochi di mano. - confronto vantaggioso: danneggiare le cose degli altri non è molto grave se si pensa che ci sono persone che picchiano la gente. - dislocamento della responsabilità: se i giovani vivono in cattive condizioni nei quartieri dove abitano non possono essere rimproverati di essere aggressivi. - diffusione di responsabilità: non si può rimproverare il singolo ragazzo che appartiene ad una banda per i guai che la banda commette. Distorsione delle conseguenze: non è grave dire piccole bugie dal momento che non fanno male a nessuno. - attribuzione di colpa: se a scuola i ragazzi litigano fra di loro e sono maleducati è colpa degli insegnanti. - deumanizzazione della vittima: certe persone meritano di essere trattate come animali. Una prolungata esposizione alla violenza ambientale determina l’interiorizzazione di modelli d’azione (script) violenti. - modello d’azione: sequenza generalizzata di azione, una sorta di schema mentale a cui corrisponde l’idea: “si fa così, le cose vanno in questo modo al mondo!”. Violenza emergente: comportamento violento che non insorge sulla spinta di una motivazione interna dell’individuo, ma viene innescato da specifici stimoli ambientali. Reagire con la tristezza e l’isolamento: Se l’adolescente sente di poter trovare nella comunità le risorse che possono aiutarlo a fronteggiare la violenza ambientale, le sue reazioni saranno meno negative. Se però l’adolescente si sente isolato nel fronteggiare queste esperienze, non trovando sostegno nella famiglia o nei pari, le sue reazioni volgeranno verso la chiusura sociale. Un ruolo decisivo è svolto dalle abilità di regolazione emotiva. L’esperienza emotiva è un processo complesso, che coinvolge una varietà di fattori e dimensioni. Una di queste è l’attivazione (arousal), che consiste nello stato di eccitazione del snc in concomitanza all’esperienza emotiva; essa viene soggettivamente percepita dall’individuo, in particolare bisogno di farsi vedere dagli altri) o centrate su di sé (es. dimostrare la propria autonomia). Guida pericolosa e altri comportamenti a rischio: Tutti gli studi tendono ad evidenziare come la guida pericolosa sia legata soprattutto a comportamenti di tipo esternalizzato (es. comportamenti antisociali ed aggressivi, uso di sostanze illegali) mentre più debole è il legame con i comportamenti di tipo internalizzato (es. l’alimentazione disturbata). Emergono tuttavia consistenti differenze fra maschi e femmine: • la guida pericolosa è associata ad un maggior consumo di sostanze psicoattive e al ricorso all’alimentazione come mezzo per far fronte a stati emotivi negativi (alimentazione consolatoria) soltanto per i maschi. • al contrario, le ragazze più coinvolte nella guida pericolosa non risultano maggiormente implicate negli altri comportamenti a rischio. La relazione tra funzioni della guida pericolosa e altri comportamenti a rischio: Coloro che guidano in modo pericoloso per ragioni legate allo sviluppo dell’identità sono maggiormente coinvolti negli altri comportamenti, in particolare nel consumo di alcolici, nel fumo di sigarette e nell’alimentazione consolatoria. Tale relazione emerge sia per i maschi sia per le femmine. Quando la guida pericolosa svolge funzioni legate alle relazioni sociali, essa non si accompagna ad un maggiore coinvolgimento negli altri comportamenti a rischio, anzi: emerge come tra funzioni sociali e consumo di sostanze psicoattive esista una relazione negativa. Guida pericolosa e disturbi emotivi: Comportamenti a rischio per la salute e disagio emotivo, forme di rischio contrapposte o interrelate fra loro?: Rispetto a queste due diverse tipologie di rischio, la letteratura ha cercato di individuare possibili legami, al fine di comprendere quanto le problematiche di tipo esternalizzato e internalizzato in adolescenza possano costituire sindromi sperata oppure forme di rischio correlate tra loro. I ragazzi e le ragazze che mettono in atto comportamenti rischiosi per la propria salute e il proprio benessere psicosociale possono sperimentare diversi gradi di disagio emotivo; di conseguenza le condotte a rischio, da un lato, e le problematiche legate alla sfera psicologica ed emotiva, dall’altro possono risultare fra loro correlate. I comportamenti a rischio psicosociale e il disagio emotivo possono essere considerati, almeno in parte, come costrutti separati; essi rappresentano però, nello stesso tempo, la manifestazione di una più generale tendenza al comportamento problematico. Per questa ragione, malessere psicologico e implicazione nelle condotte a rischio possono Convivere nell’esperienza degli adolescenti: sono soprattutto gli adolescenti fortemente coinvolti in comportamenti a rischio a percepire sentimenti di malessere psicologico e una minore stima di sé, rispetto ai ragazzi e alle ragazze meno coinvolti in tali condotte o che le hanno abbandonate. Alla luce di tali considerazioni possiamo ragionevolmente attenderci che la guida pericolosa in adolescenza possa essere correlata non solo ad altre condotte a rischio per la salute ma anche ad alcune forme di disagio emotivo. Guida pericolosa e sentimenti depressivi: Sulla relazione fra guida pericolosa e sentimenti depressivi, le ricerche condotte, soprattutto in ambito internazionale, presentano risultati in parte discordanti. La maggior parte degli studi pubblicati rileva la presenza di una relazione generalmente debole fra guida pericolosa e sentimenti depressivi. In altri studi, al contrario, emerge un’assenza di relazione. Tuttavia, emerge una relazione tra funzioni svolte dalla guida pericolosa e percezione di sentimenti depressivi, con differenze legate al genere. Sono infatti soprattutto le ragazze che guidano in modo pericoloso, attribuendo a tale comportamento funzioni legate all’identità, a sperimentare con maggiore intensità sentimenti depressivi. Questi risultati sembrano dunque indicare che possibili difficoltà legate al processo di costruzione dell’identità si traducono per i ragazzi nel coinvolgimento in diverse tipologie di comportamenti a rischio per la salute di tipo esternalizzato, mentre nelle ragazze conducono sia al coinvolgimento in diverse forme di condotte a rischio sia a sentimenti depressivi. Conclusioni: Risulta evidente l’importanza di progettare interventi di prevenzione che tengano in considerazione i significati e le funzioni che le condotte a rischio svolgono in questa particolare fase dello sviluppo individuale in relazione con specifici compiti di sviluppo. In particolare, risulta evidente la necessità di sostenere i ragazzi e le ragazze adolescenti nel processo di ridefinizione della propria identità. Gli interventi di promozione del benessere, ma anche quelli legati alla prevenzione di specifici comportamenti (quali la guida pericolosa), dovrebbero dunque focalizzarsi sulla promozione delle abilità necessarie per affrontare i compiti e i problemi evolutivi tipici dell’adolescenza. Inoltre, gli interventi dovrebbero aiutare gli adolescenti a individuare strategie alternative che consentano di raggiungere, attraverso comportamenti più salutari, gli stessi obiettivi significativi che possono essere ottenuti attraverso la guida pericolosa e gli altri comportamenti dannosi per la salute. 8. QUALE PREVENZIONE IN ADOLESCENZA? Introduzione: Prevenzione e promozione: Per lungo tempo sia in medicina che in psicologia d’attenzione è stata centrata sulla cura, ossia sul ristabilire uno stato di salute in situazioni di malattia. Soltanto in tempi più recenti alla cura è stata affiancata la prevenzione. Prevenzione: insieme delle azioni finalizzate ad impedire o a ridurre il rischio, ossia la probabilità che si verifichino eventi indesiderati. Caplan distingue la prevenzione in primaria, secondaria e terziaria. La differenza riguarda il momento in cui si colloca l’azione preventiva: - Prevenzione primaria: comporta azioni che si collocano prima che l’individuo entri in contatto con la patologia o con il rischio e mira a ridurre l’incidenza della patologia stessa (es. campagne antifumo). - Prevenzione secondaria: punta alla diagnosi precoce di una patologia o dell’implicazione nel rischio e ha lo scopo di prevenirne la progressione o la stabilizzazione (es. uso del pap-test nella popolazione femminile). - Prevenzione terziaria: ha come finalità la riduzione dell’impatto negativo di una patologia avviata o di un comportamento a rischio stabilizzato, contrastando la disabilità, le complicanze, le recidive, le reiterazioni (es. la chemioterapia). L’attenzione agli individui ha portato ad una nuova suddivisione, basata non più sul momento in cui si colloca l’azione preventiva ma sui destinatari dell’azione medesima. Pertanto si distingue: 1. Prevenzione universale: riguarda azioni e programmi rivolti a tutta la popolazione. 2. Prevenzione selettiva: è rivolta a particolari gruppi considerati a rischio. 3. Prevenzione specifica: è diretta verso persone ad alto rischio. Prevenire e promuovere: Gli interventi di prevenzione sono in genere volti all’eliminazione o, nel caso che questa non sia concretamente attuabile, alla riduzione dei rischi che possono generare dei danni. Tuttavia la pratica ha evidenziato come spesso sia impossibile eliminare alcuni fattori di rischio sia individuali che contestuali. L’attenzione all’eliminazione dei fattori di rischio è stata pertanto sempre più integrata con l’impegno per la promozione dei fattori di protezione. Tra i fattori di protezione più efficaci la letteratura ha evidenziato le competenze personali (life skill). Si tratta letteralmente di competenze che servono per vivere bene senza disagio individuale e relazionale; esse fanno riferimento, tra gli altri, alla comunicazione efficace, al pensiero critico e creativo, alla gestione delle emozioni, alla capacità di risolvere i problemi, alla gestione dello stress. La prevenzione basata sulla promozione delle life skill può essere fatta sia a livello individuale (prevenzione specifica) sia a livello di gruppi (prevenzione selettiva) sia a livello universale. Sviluppare i fattori di protezione: I fattori che svolgono un ruolo di protezione rispetto al rischio esternalizzato e a quello internalizzato sono numerosi. Essi si dividono in: - caratteristiche e competenze personali (vedi cap. 2): temperamento, tratti e tipi di personalità, autostima e autoefficacia, capacità empatica e gestione delle emozioni. - La famiglia (vedi cap. 3). - La scuola (vedi cap. 4). - Gli amici (vedi cap. 5). - Il contesto sociale e la società (vedi cap. 6) Oggi è purtroppo abbastanza diffuso un modello culturale che considera gli adolescenti persone immature, incapaci di gestirsi autonomamente e di agire in modo responsabile. Questa rappresentazione che molti adulti hanno di ragazzi e ragazze non aiuta i giovani nel processo di costruzione di un’identità positiva e spesso alimenta sentimenti di disagio e di malessere. Un primo fattore di protezione consiste nel sostenere i giovani dando loro fiducia e offrendo loro modelli di identificazione positivi e forti. Valori e fiducia, due aspetti chiave: La fiducia è da considerarsi un aspetto chiave il quale può fungere da fattore di protezione. Fiducia: convinzione positiva che l’altro non ha intenzioni negative o aggressive e non agisce contro di noi, ma al contrario agisce a nostro vantaggio o in nostro aiuto. Essa quindi costituisce un’aspettativa circa le azioni altrui, prima o senza che queste azioni siano controllabili. Lo sviluppo della fiducia avviene a partire dalle prime relazioni familiari attraverso un progressivo consolidarsi di esperienze che consentono di imparare a discriminare le situazioni e i tipi di relazione in cui dare o non dare fiducia agli altri. Soprattutto in adolescenza, periodo caratterizzato da una forte ristrutturazione dell’identità, assume molta importanza la fiducia intesa come reciprocità: potersi fidare e riconoscersi come affidabili sono atteggiamenti alla base della stima di sé. Un secondo aspetto che, nella complessità, media il rapporto tra competenze e rischio è rappresentato dai valori. Come affrontare la complessità?: Complessità: entrano in gioco numerosi aspetti che interagiscono tra loro potenziandosi vicendevolmente o, al contrario, annullandosi o riducendo l’impatto di alcuni fattori sia di rischio sia di protezione. La complessità, insita in ogni aspetto della vita umana, non deve spaventare andando a rafforzare un atteggiamento rinunciatario; al contrario, deve obbligare a non cedere alla seduzione di semplificazioni tanto facili quanto illusorie e a promuovere lo sforzo per comprendere sempre meglio quali sono, tra le tante variabili, quelle che hanno maggiori probabilità di influenzare positivamente i processi di crescita. Gli interventi di prevenzione, per essere efficaci, devono tenere in considerazione alcune caratteristiche dei potenziali beneficiari dell’azione preventiva. Tra di esse, le principali sono: - L’età: la prevenzione è diversa in adolescenza rispetto all’età adulta. - Il genere: l’implicazione di maschi e femmine nel rischio internalizzato ed esternalizzato è fortemente differenziata. - Gli interessi: la loro conoscenza è utile per favorire la motivazione e il coinvolgimento nell’azione preventiva. - Il livello soggettivo di vulnerabilità: è legato a competenze e risorse cognitive, emotive e relazionali - Le caratteristiche etniche e culturali tipiche di diversi gruppi e diversi contesti. Tra le caratteristiche dei programmi di intervento, quattro si sono rivelate particolarmente importanti e connesse all’efficacia della prevenzione. Si tratta dell’individuazione della popolazione bersaglio sulla base degli obiettivi dei progetti e delle caratteristiche dei destinatari; del momento in cui collocare l’azione preventiva, ricordando che la precocità è utile, dei contenuti dell’intervento, che devono essere coerenti con le caratteristiche, i bisogni e gli interessi dei destinatari e del metodo dell’intervento. È imprescindibile il coinvolgimento attivo di tutte le persone implicate nel processo di prevenzione; l’individuo è infatti al centro dei processi di sviluppo e di cambiamento; pertanto un’azione efficace non può che realizzarsi attraverso un suo coinvolgimento fin dalle fasi iniziali. Infine, i programmi di prevenzione più efficaci non negano la complessità ma ne fanno un punto di forza: essi adottano quindi un approccio ampio e di comunità, che coinvolge simultaneamente i diversi contesti di vita dell’adolescente, con particolare attenzione alla scuola, alla famiglia e al tempo libero. Il ruolo delle conoscenze: Negli ultimi anni è stato superato il modello cosiddetto del deficit dell’informazione secondo il quale il coinvolgimento nel rischio avrebbe alla base un’insufficiente conoscenza delle sue implicazioni e conseguenze. Secondo tale modello, la prevenzione dovrebbe fornire agli adolescenti corrette informazioni circa le conseguenze legate al coinvolgimento nelle varie forme di rischio, al fine di consentire a ragazze e ragazzi di sviluppare atteggiamenti negativi nei confronti di tali condotte e di compiere di conseguenza scelte coerenti e razionali. Di fatto però tali interventi, pur favorendo un aumento delle conoscenze, non si sono dimostrati in grado di incidere né sugli atteggiamenti né sull’attuazione dei comportamenti stessi; infatti, nonostante i ragazzi e le ragazze dimostrino, al termine del programma, di avere maggiori e più corrette conoscenze sui temi trattati, essi non modificano per questo i loro atteggiamenti e comportamenti. Per queste ragioni oggi si prediligono interventi di life skills promotion. La quantificazione dell’efficacia: Se è relativamente semplice valutare gli effetti di un programma di cura, assai più complessa è la valutazione dei programmi di prevenzione. Una prima difficoltà consiste nell’esigenza di quantificare qualcosa che non c’è. Una seconda difficoltà è riconducibile ai tempi. Infatti la prevenzione, soprattutto quella che comporta processi di promozione di abilità, richiede tempi lunghi e continuativi e gli effetti, benché reali, possono manifestarsi non immediatamente dopo la fine del progetto. Una terza difficoltà è riferibile al contenuto della prevenzione. Infatti, se è sufficientemente semplice rilevare l’aumento o la correttezza delle conoscenze, assai più complessa è la rilevazione sia dell’aumento delle competenze sia del loro reale utilizzo in momenti di difficoltà. Difficoltà insormontabili?: Le difficoltà nel valutare in termini quantitativi l’efficacia della prevenzione possono portare a due errori opposti: • Errore di tipo riduzionista: consiste nello sfuggire alla complessità, ritenendo efficaci solo quelli interventi molto specifici e circoscritti che hanno dimostrato di avere una validità statistica. • Errore di rinuncia: consiste nella rinuncia ad ogni sforzo di valutazione, sostenendo che ciò che conta è fare qualcosa, a copertura talvolta di insufficienze teoriche e metodologiche. L’esigenza di valutare quantitativamente l’efficacia della prevenzione non deve però condurre ad un’eccessiva tecnicizzazione degli interventi. In conclusione: per la prevenzione che si realizza nella quotidianità, nei diversi contesti di vita, in presenza di relazioni interpersonali significative e in tempi lunghi e continuativi, andrebbe privilegiata la validità teorica. La validità teorica permette di evitare i rischi di interventi di prevenzione infondati, che possono addirittura rivelarsi controproducenti. In presenza di problemi specifici, di situazioni di alto rischio o a fronte di fallimenti nelle f unzioni genitoriali o educative,
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