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Riassunto del libro "Selva Instabile", Appunti di Antropologia Culturale

riassunto del libro integrato con gli appunti presi a lezione

Tipologia: Appunti

2022/2023

Caricato il 25/06/2023

eleonora-ghirri
eleonora-ghirri 🇮🇹

4.3

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Scarica Riassunto del libro "Selva Instabile" e più Appunti in PDF di Antropologia Culturale solo su Docsity! LA SELVA INSTABILE-L. VOLPI Capitolo I 1. NELLE PIEGHE DI UN MONDO GLOBALE: Nel 1989 Levi-Strauss ha pubblicato un saggio in cui cerca di rispondere a tutti quelli che di fronte ai cambiamenti generati dalla globalizzazione pensano che la disciplina antropologica sia destinata a sparire. La globalizzazione cancella le differenze culturali e quindi si chiede di fronte a questa uniformità quale sia il destino delle differenze culturali e di chi ci lavora. Ci sono diversi studi che dimostrano che questa rappresentazione della realtà sia ingenua: spesso queste tendenze di creolizzazione si combinano con esigenze locali=>quindi gli antropologi si trovano davanti alla sfida di riconsiderare alcuni dei propri strumenti e di riformulare la loro capacità interpretativa. Inoltre, la globalizzazione non è un fenomeno inedito: il mescolamento ha sempre rappresentato una costante della storia umana che non è costellata da “culture” ma da raggruppamenti fluidi. Solo smettendo di concepire il campo etnografico come un luogo chiuso ci si rende conto che con la globalizzazione l’antropologia non è destinata a scomparire. Questa consapevolezza appartiene anche a Levi-Strauss che nell’articolo ricorda come sia proprio all’interno delle pieghe della globalizzazione che l’etnografo, con il suo sguardo, offre il suo contributo. Levi-Strauss scrive quando in Francia avvocati e giudici iniziano a chiedere consulenze agli antropologi per risolvere dei problemi etici che iniziano a sorgere per via di pratiche portate in Occidente con la migrazione: sono pratiche che creano problemi giuridici ed etici perché posson creare problemi di salute (escissione, infibulazione=> sembravano a tutti mondi lontani ma ora si osservano anche in Europa). La globalizzazione ha incoraggiato anche l’uso di novità tecnologiche anche in campo medico e ciò crea problemi che il pubblico non è abituato a trattare ma gli antropologi sì: fecondazione assistita, trapianti...pratiche che creano domande che mettono in discussione l’idea tradizionale europea di persona. Sono proprio gli antropologi, abituati ad osservare le stranezze delle società tradizionali (matrimonio donne Nuer è equivalente metaforico della fecondazione eterologa), che ci aiutano ad affrontare queste problematiche. Ciò evidenzia come anche con la globalizzazione l’antropologia non è destinata a scomparire ma ad affrontare nuove questioni che sono interne alla nostra società. A distanza di più di 30anni dalla pubblicazione del saggio pare impossibile non avvertire l’attualità di queste considerazioni: sono sempre più gli antropologi che invece di recarsi in angoli lontani del mondo conducono le loro indagini dentro gli ospedali, aule tribunale e sorgono così nuovi terreni di indagine, come i laboratori e i parchi genetici. È giusto quindi che gli antropologi ricalibrino il loro sguardo etnografico. 2. GPS, SCIAMANI CHIRURGHI, STRANIERI VOLANTI: è quindi ingenuo ignorare o celare volontariamente l’influsso della contemporaneità sulle popolazioni (visto nel paragrafo precedente che il “mondo moderno” è entrato a far parte dei gruppi indigeni che si avvalgono di GPS, droni, mappe per controllare i loro territori). Un antropologo (Santos-Granero) sottolinea come ci siano pochi studi etnografici sui popoli indigeni amazzonici che affrontano le conseguenze della globalizzazione nell’Amazzonia indigena come tema centrale: ciò secondo lui potrebbe dipendere dai limiti del genere monografico che tende alla reificazione delle comunità locali; lo stesso poi conferma che anche al suo primo lavoro può essere attribuita questa debolezza. In realtà i nativi dell’Amazzonia sono andati incontro a tanti cambiamenti nel corso dei secoli: la prima ondata fu provocata dall’arrivo dei conquistatori coi quali conoscono il metallo e nuove tecniche agricole. Il secondo avvenne tre secoli dopo con l’industrializzazione europea e la scoperta del caucciù che portò un nuovo flusso di occupanti occidentali nelle regioni tropicali. Il terzo avvenne intorno agli anni ‘70 del 900 con la globalizzazione quando gli stati nazionali iniziano a fare accordi con industrie minerarie affidando loro terre ancestrali degli indigeni=> l’Amazzonia subì un grande disboscamento e i nativi furono obbligati ad avvicinarsi alle città vendendo le loro terre: questo avvicinamento alle città provoca dei cambiamenti sociali e politici, gli indigeni imparano a scrivere e apprendono nuove tecnologie) ma anche problemi sanitari(incursione di nuove virus). Infine, c'è la iv rivoluzione industriale con cui sono sorte le innovazioni tecnologiche che stanno plasmando la vita sociale politica e culturale di questi raggruppamenti: c’è una compenetrazione tra il mondo fisico e digitale e questi cambiamenti non investono solo le società europee ma pure quelle indigene. Queste innovazioni tecnico-scientifiche si sono insediate all’interno dell'universo mitico indigeno, che fanno così un uso politico dell’altro e delle novità: molte popolazioni includono nelle loro narrazioni spirti ispirati alle figure del bianco tecnofilo che va in giro nella foresta col GPS, vestiti da escursionisti e che usano imbarcazione a motore. Alcuni possono volare grazie ad ali di acciaio(gringo) altri vanno in giro con sfere di cristallo motorizzate(bultos). Tutti questi spiriti inseguono i nativi e cercano di ucciderli, rubando loro gli organi (i pishtaku si cibano del grasso e del sangue dei nativi). Lo stesso Levi-Strauss ricorda come dall’epoca della colonizzazione le popolazioni inglobano le novità degli altri e a collocarle sotto ai fiumi (loro hanno tre universi: acqua, terra e cielo): sono tante le popolazioni che dicono di sentire sott’acqua il nitrito dei cavalli, il suono delle campane... popolazioni amazoniche che erano lì prima dell’arrivo dei colonizzatori e che furono poi obbligate ai missionari a vivere nelle reduciones de indios. Di fronte a queste due narrazioni c’è sempre stato un grande interesse anche perché è un mistero che i k. parlino il kichwa, variante amazzonica del quechua, lingua andina: per il mito la parlano perché la lingua fu trasportata con la cultura Chanka in Amazzonia; secondo la nuova narrazione invece il quechua fu insegnato dai gesuiti francesi agli indigeni che parlavano lingue diverse=> i colonizzatori hanno quindi insegnato loro il quechua che si sarebbe trasformato in kichwa. 4. ANTROPOLOGI CULTURALI E GENTISTI MOLECOLARI: i primi ad occuparsi di genetizzazione furono Simpson e Rabinow: con questo termine si in tende il tentativo di spiegare ogni aspetto della vita sociale a partire dal DNA, dagli studi genetici. Quando i risultati degli studi vengono restituiti alle popolazioni, si possono individuare una serie di reazioni, dall’accoglimento al netto rifiuto: ciò accade in quanto i saperi introdotti interagiscono sempre con una serie di discorsi preesistenti che definiscono l’identità collettiva e individuale. Difficilmente la riformulazione del passato sua base biologica viene accolta con disinteresse dal pubblico laico. Importante è indagare il grado di influenza che alcuni elementi di ordine culturale hanno sul processo di costruzione del dato biologico=> il destino di queste ricerche dipende dal lavoro compiuto da “figure ponte” come autorità locali/leader indigeni che guidano i gentisti nelle comunità locali e influenzano il processo di selezione e analisi del materiale biologico. Loro sono in grado di rendere comprensibili gli obiettivi dei ricercatori e sono considerati i depositari delle conoscenze tradizionali fondamentali per lo sviluppo degli studi genetici. 5. IL SEQUENZIAMENTO DEL GENOMA UMANO: qui ci sono alcune riflessioni sulla presentazione di alcuni progetti di raccolta del materiale biomolecolare che sollevarono alcune questioni di natura etica e giuridica. La disciplina nota come “Antropologia Molecolare" risale all’anno in cui un biologo americano la usò per definire lo studio delle dinamiche migratorie a partire dall’analisi di dati genetici. In questa materia con fluiscono diversi interessi (da biologia a storia). I ricercatori che si dedicano a questi studi sono interessati a capire come le scelte culturali modellano nel corso delle generazioni il patrimonio genetico degli individui. Pioniere è Luigi Cavalli-Sforza, ideatore dell’HGDP che aveva l’obiettivo di costruire un database che coprisse tutta la variabilità delle popolazioni in modo da porre le basi per uno studio completo della diversità genetica umana. Questo progetto sollevò un a serie di controversie tanto che furono stese oltre trenta dichiarazioni formali contro il progetto: la prima critica riguardava il suo presupposto di raccogliere i campioni biografici facendo ricorso a popolazioni che conservavano un patrimonio genetico singolare (essendo endogamici) => è la riproposizione dell’a di emergenza: vogliono raccogliere ilo DNA di gruppi “isolati” e conservarlo nei database in modo da proteggere questo materiale dalla glob ed ibridazione. Altro problema è quello della generazione delle “linee cellulari continue” che sono colutre die cellule che sono rese immortali dagli scienziati (le cellule, infatti, hanno ciclo di vita limitato) e possono quindi essere studiate a distanza di anni=> ciò venne fatto senza chiedere il consenso ai donatori che non sapevano che il materiale biol poteva esser reso immortale ed essere usato per indagini diverse da quelle dichiarate. Inoltre, spesso accade che il linguaggio usato dai genetisti per la stesura dei documenti informativi dell’obiettivo di ricerca non risulta chiaro agli individui coinvolti. Per tutte queste ragioni furono accusati di “bio-colonialismo”: è la perpetrazione di un a relazione di dominio attraverso l’appropriazione indebita di elementi corporei (alcuni parlano anche di “biopirateria”). Il National Geographic lanciò poi un altro progetto di raccolta del DNA, il GP, che cerca di comprendere l’origine geografica del genere umano e di ricostruire le migrazioni con cui i predecessori popolarono il pianeta. Usarono una strategia di raccolta che mescolava marketing e ricerca scientifica: da un lato continuano a raccogliere materiale genetico da volontari incontrati durante le campagne e dall’altro produssero e misero in vendita dei kit-fai-d-te per l’analisi del DNA. Nonostante la volontà di prendere le distanze dall’ HGDP, furono molti quegli che sottolinearono le continuità tra i due progetti: in particolare non furono in grado nemmeno loro di operare in totale trasparenza con le popolazioni native=>ciò evidenzia come gli indigeni abbiano acquisito grande consapevolezza sui temi delle ricerche genetiche; sono tanti infatti i popoli che intraprendono azioni legali contro le agenzie che organizzano campagne per la raccolta del materiale biologico=> una di quelle più importanti è quella che convolse il popolo havasupai: tutto inizia quando una genetista si reca in Arizona dagli esponenti del gruppo per ottenere il permesso di raccogliere dei campioni=> il suo obiettivo era quello di individuare una variazione genetica connessa allo sviluppo del diabete. Raccolsero così i campioni di sangue con il benestare delle autorità native a cui assicurarono che tali informazioni sarebbero state usate solo per lo studio sul diabete. Si scoprì poi che vennero fatte molte indagini non correlate allo studio della malattia (viene pubblicato un articolo che ipotizzava avessero origini asiatiche e ciò sconvolse il loro mito di fondazione) => fu così intentata causa contro l’Arizona State University che non aveva informato adeguatamente i donatori riguardo all’uso dei campioni. L'ateneo fu così obbligato a restituire i campioni di sangue ai nativi e pagare un salato risarcimento. Caso simile è la disputa che coinvolse gli yanomami tra i quali negli anni ‘60 giunsero dei genetisti per fare indagini etnografiche e biomediche=> negli anni 2000 viene pubblicato un libro che critica il loro lavoro: furono accusati di aver introdotto armi da fuoco, di esser stati aggressivi con alcuni nativi e di aver diffuso il morbillo diffondendo un vaccino inadeguato per combatterlo. Il libro divenne un best seller e successivamente alcune accuse però furono ridimensionate. Grazie a quest’opera alcuni di loro appresero che il loro materiale genetico veniva conservato in celle frigorifere=> ciò gli sconvolse perché i loro riti funebri avvengono con la distruzione di ogni elemento fisico e sociale, per mantenere la distinzione tra i vivi e i morti, se no lo spettro rimane ancorato a terra. Così i leader indigeni fanno causa e chiedono il rimpatrio dei campioni che, una volta vinta la causa e riconsegnati alla popolazione, vengono purificati e distrutti con una cerimonia. Questo evidenzia che c'è un divario ontologico tra la concezione indigena di corporeità e quella dei gentisti e non trascurare il significato conferito dai nativi a questi elementi corporei. Spesso i genetisti si difendono dicendo che le loro tecniche non sono invasive, usano ad esempio i tamponi salivari ma per loro la saliva è molto importante: ciò rimanda alla questione della segmentazione che noi condividiamo, secondo cui il corpo umano può essere segmentato e diviso in parti diverse=>molte popolazioni invece hanno un’idea olistica del corpo e quindi non condividono questo paradigma. Ma il fatto che hanno una concezione diversa di sangue rispetto ai genetisti, non li rende consumatori passivi delle loro ideologie; infatti, posso comunque usare gli studi genetici se sono utili dal punto di vista politico: i kichwa ad esempio hanno usato gli studi per risolvere un conflitto politico. Capitolo II 1. LA SAGGEZZA DEL SANGUE: qui si parla del concetto di corporeità indigeno, si dice cos’è per loro il sangue, la saliva. Per loro quindi il corpo è un elemento poroso e la pelle costituisce una barriera ma non è impenetrabile. Per tutti i nativi amazzonici il sangue non è un elemento biologico ma è considerato un fluido che dà vita alle persone=> il sangue ha degli elementi affini: il sudore, la saliva, il latte materno e il seme maschile=> tutti sono connessi fra loro. Questi elementi custodiscono le capacità mentali/fisiche e le conoscenze di una persona: il sangue è quello più importante perché circola in tutto il corpo. È grazie al sangue che gli uomini san cacciare, gli uccelli san volare...esso custodisce ogni tipo di conoscenza, pensiero e tutto quello che si apprende. Per loro infatti non c’è una distinzione tra ciò che e materiale e ciò che non lo è: quello che per noi è immateriale(come la conoscenza) può essere incorporato=> la conoscenza inoltre per loro non si acquisisce solo attraverso la pratica, ma anche con le azioni concrete: ad esempio per conoscere la creta bisogna anche ingerirla così si sedimenta nel sangue=> il sangue è quindi manipolazioni che gli dessero la forma di “persona sociale” se la donna non possedeva nessun partner durante la gravidanza o il bambino non avesse nessun parente che potesse prendersi cura di lui, veniva ucciso. Oppure i k. che hanno due modalità relazionali dui descrivere i rapporti familiari: ayllu, composto da individui che non risultano legati da vincoli di consanguineità (parentela vissuta) e i clan che invece sono basati sulla condivisone di sostanze biogenetiche (ciò quindi si oppone al pensiero secondo cui i modelli indigeni di parentela non rispondono alla concezione essenzialista dei rapporti fra gli individui) 3. COSTRUZIONE “GENETNICA”: si racconta come nella trappola della genetica ci cadano i nativi ma anche gli occidentali (rivivere categorie etniche sulla base di indagini genetiche). I primi ad occuparsi di genetizzazione furono Rabinow e Simpson: loro si sono occupate delle conseguenze di questa=> è pericoloso spiegare l’appartenenza etnica con lo studio del DNA perché si possono creare delle comunità immaginate, concetto che si rifà agli studi di Rabinow sulle comunità biosociali che sono comunità la cui socialità è sancita dalla condivisione di alcune caratteristiche biologiche o mediche (esempio dei genitori di bimbi con malattie genetiche rare che creano società di mutuo soccorso per finanziare le ricerche). Anni dopo Simpson si interessa al progetto genoma islandese: negli anni ‘90 qui si creò una banca dati nazionale in cui raccogliere info genetiche degli abitanti dell’isola=>le banche volevano studiare le malattie genetiche e quindi si raccoglie il patrimonio di chi vive in comunità isolate perché è più chiuso. Ciò dà origine a un rapporto strano: gli islandesi, infatti, avevano mostrato interesse nello studio dei loro alberi genealogici e così questi dati genealogici si sommano a quelli genetici della banca e si costruisce così un grande albero genealogico-genetico con cui gli islandesi dimostrarono di essere una comunità chiusa e isolata (ci fu una genetizzazione dell’etnicità nella popolazione islandese). L'idea della genetizzazione dipende dalla narrazione fatta del DNA: è un libro di testo con cui posso leggere le info riguardanti il nostro passato. Fa poi un altro studio negli UK dove si era sviluppato l’interesse per la fecondazione eterologa=> a Glasgow nasce la prima agenzia che offre questa fecondazione che si scontrò però col fatto che c’erano pochi donatori. Di fronte al problema l’ospedale decide di importare i semi dalla Danimarca, dove c’erano tanti donatori. A seguito di ciò diversi giornali si scatenarono “invasione di bebè vichinghi” => di fronte quindi alla paura dell’invasione del patrimonio genomico straniero, la comunità inizia a pensarsi come comunità immaginata, ovvero racchiusa in confini biologici specifici invalicabili. Ispirati da queste prospettive teoriche, sono molti gli etnografi che si dedicano all’osservazione delle conseguenze politiche e sociali prodotte dalle nuove narrazioni genetiche=> si individuano due filoni. Il primo riguarda l’utilizzo dei DNA test per edificare le genealogie genetiche: facciamo riferimento all’antropologo Solinas che si è dedicato al ricorso alle agenzie di DNA consulting=> imprese che vendono i kit fai da te per l’analisi del DNA. Attraverso l’analisi di questi prodotti si osservano dinamiche che promuovono una collaborazione tra la tradizionale ricerca del pedigree e le nuove tecnologie genetiche: gli studi genealogici son stati investiti da questi cambiamenti, tanto da decretare la nascita della “genealogia molecolare”. C'è quindi un incontro tra la scienza e il senso comune che porta alla nascita di un nuovo pericolo: il forte coinvolgimento nei confronti della propria appartenenza genetica favorisce un mercato dell’etnicizzazione. Quindi al posto di affidarsi ai libri, ai miti delle origini, si preferisce interpretare un altro tipo di testo, quello scritto nel DNA (ciò dipende proprio dalla narrazione fatta del DNA da queste agenzie). Quindi queste agenzie contribuiscono alla creazione di un doppio movimento: da un lato i nuovi interessi nei confronti della propria appartenenza favoriscono il mercato dell’etnicizzazione e dall’altro è questo stesso mercato che incoraggia il pubblico di non esperti a pensarsi in termini di etnicità. Il secondo filone riguarda invece la reinterpretazione locale, l’uso politico dei risultati delle indagini (corrisponde alla I fase della ricerca su kichwa). Un caso esplicativo è quello degli uros (e dei lemba), indigeni che vivono sul lago Titicaca e che dovettero scontrarsi con la creazione di un’area naturale protetta. Prima, praticavano il turismo etnico: facevano fare un’esperienza autentica ai turisti permettendo loro di vivere con loro e facevano pagare l’ingresso per il lago anche a chi era di passaggio=>con la creazione dell’area, gli Uros non furono espulsi ma i biglietti non eran più gestiti dalle autorità indigene. Essi chiedono così allo stato di creare all’interno del parco un’area comunale che potesse gestire loro=> ma lì vivevano altre popolazioni indigene che si batteranno contro la creazione di quest’area comunale. Gli uros però affermano di averne il diritto perché sono i discendenti di chi abitava lì ancor prima dell’arrivo degli Inca: per dimostrarlo si servirono del lavoro di una squadra di genetisti che passò di lì (T.G.P.) che in cambio del loro sangue avrebbe collaborato con loro per fare in modo che avessero i loro diritti territoriali. Con la ricerca dimostrarono le antiche origini degli uros che quindi poterono così mantenere il controllo sul territorio. I kichwa, similmente agli Uros e ai Gauchos (si servirono di indagini biomolecolare per sostenere i propri diritti territoriali) utilizzano le indagini biomolecolari per dimostrare l’ascendenza amazzonica. 4. RACECRAFT E LA “FATTURA” DELL’ETNICITA’ (2.5-2.6): l’idea che gli studi genetici siano in grado di definire la nostra appartenenza etnica per noi è qualcosa di irrazionale=> però per quanto sia un’espressione irrazionale ha delle conseguenze politiche e sociali. Ma è utile a uno scienziato sociale definire queste credenze come irrazionali? No, perché non aiutano a capire il comportamento altrui. Bisogna adottare anche verso questi atteggiamenti chiusi un atteggiamento antropologico: sospendiamo il giudizio e prendiamo sul serio le loro affermazioni. Viene quindi fatto il paragone con la stregoneria, infatti anche la credenza che esista la stregoneria è considerata assurda: anche la stregoneria, come il razzismo è pericolosa, ti esponi alla morte se ne sei accusato. Quindi la stregoneria e l’uso pericoloso della genetica possono essere messi sullo stesso piano; ma come siamo giunti a questa consapevolezza? Con un fatto accaduto sul campo: parlando con Felipe (leader nativo) che disse delle parole che non piacquero all’autrice “se non fosse un fatto scientifico proclamato che gli indigeni hanno dentro dei geni amazzonici, io non te lo racconterei”. Quando poi Felipe muore e torna sul campo per fare le condoglianze alla moglie, lei le confessò che la accusavano di stregoneria perché si diceva avesse ammazzato il marito per gelosia: a questo pensiero magico però l’autrice diede razionalità. Questo è confermato anche da Palmiè che afferma che gli antropologi prendono sul serio la stregoneria anche se è basato su convinzioni false=> ma non applicano la stessa metodologia al comportamento razzista che si basa anch’esso su convinzioni false. Questo è però sbagliato perché funzionano allo stesso medo: parliamo di “race-craft” che deriva da “witch-craft”. Consideriamo ora la stregoneria: il primo a. a proporre una riflessione sulla razionalità è Evans- Pritchard : studiò gli Azande che credevano talmente tanto nella stregoneria che ogni volta che accadeva qualcosa partiva un’accusa di stregoneria. Lui cercò di capire perché credono nella stregoneria e dopo la morte di un nativo a causa di un crollo di un granaio capisce che loro con la stregoneria cercano di spiegare l’imponderabile, perché è caduto proprio in quel momento lì. Lo stesso bisogna fare con le attitudini razziste messe in atto con gli studi genetici perché ci sono delle somiglianze fra stregoneria e razzismo: 1. il sospetto che uno sia stregone che le razze esistano non sono mai espresse con chiarezza=> questi concetti rimangono nel “vedo non vedo”, hanno una logica insidiosa che sta a cavallo tra finzione e realtà. Il terreno in cui si insidiano è la paura e si basa su cose non dette chiaramente ma suggerite e quindi può avere conseguenze per molti anni. Per comprenderne la logica non è sufficiente osservar ei singoli casi eclatanti perché sono solo la punta dell’iceberg: osservare i fatti violenti non ci aita a capirli secondo Palmiè, bisogna approfondire. Nel libro c’è un esempio eclatante di ciò: nella selva centrale vengono fatte accuse di stregoneria ai bambini che non si oppongono a ciò, anzi si autoaccusano: perché avviene questo? Perché quando vengono accusati iniziano a sospettare che gli altri abbiano ragione: iniziano quindi a un ruolo che molti interpretano volentieri (in cambio è concesso loro il titolo di proprietà sui loro territori). 2. INDIGENI, TERRITORI CONTESI: negli anni ‘70 ci furono in Perù dei mutamenti politici che diedero l’impulso allo sviluppo dell’industria estrattiva=> venne costruita la Strada Marginale della Selva, un ecomostro che connette tutte le località della selva e che per questo l’han resa permeabile a tutte queste aziende. Nasce così l’esigenza di proteggere la natura e così furono create le aree naturali protette con una legge del 1997=> fra queste aree esistono Le aree di conservazione regionale che sono difese dal governo centrale ma sono poi gestite dai singoli governi regionali: tra i loro scopi vi è prevalentemente il mantenimento di paesaggi, la conservazione delle specie, protezione fonti d’acqua e promozione dello sviluppo di attività economiche sostenibili(ad esempio l’ACR-CE nasce con lo scopo di proteggere le fonti d’acqua e l’orso dagli occhiali). In Perù la protezione ambientale, per quanto riguarda le aree nazionali protette è garantita dalla proibizione di attività che possano modificare il territorio=> ma entro i confini delle ACR le attività estrattive sono consentite per legge, a condizione che siano compatibili con gli scopi delle zone di tutela ambientale=> scopi specificati nel Plan Maestro che fornisce una pianificazione delle attività che possono essere svolte nell’acr. Questo piano consentiva all’industria di fare estrazione ma grazie alla protesta di alcuni ambientalisti la Corte Costituzionale fece momentaneamente sospendere tutte le attività. Le modalità di gestione delle acr(in mano solo ai governi regionali) son ritenute discriminatorie dalle federazioni indigene che sperano di poter partecipare alla stesura dei nuovi piani regolatori e di assicurarsi il diritto di essere consultati dal governo circa la gestione dei loro territori ancestrali. Uno degli insediamenti kichwa più combattivi a riguardo è sicuramente quello di Nuevo Lamas, riconosciuto ufficialmente dal governo peruviano come comunità nativa nel 2016. Durante questo processo di riconoscimento, il governo decide di concedere loro il titolo di proprietà su pochi territori ancestrali (circa l’1,95%), solo quelli al di fuori dell’area=> su quello che era dentro il governo concesse un contratto che permetteva loro solo di camminarvi dentro e non di svolgere le attività di sussistenza legate alla Selva (perché incompatibili con la salvaguardia dell’ambiente). Essendo una situazione paradossale, la federazione indigena fa ricorso al Tribunale di giustizia di San Martin=> ma su cosa si basa questo ricorso? Sul fatto che i nativi di Nuevo Lamas dovessero essere consultati prima della costruzione del parco come stabilisce la convenzione ILO che era stata ratificata dal Perù che però non aveva consultato nessuno. Ma nel 2018 il tribunale respinge le istanze native perché ai tempi della costruzione dell’area, Nuevo Lmasa non era ancora stata registrata come una Comunità Nativa=> lo fecero solo anni dopo la creazione del parco e quindi non avevano diritto alla consultazione preventiva. Ma cosa c’entra tutto ciò con gli studi genetici? A tal proposito risulta importante presentare la campagna mediatica del governo per dimostrare che avevano ragione: gli esponenti del governo, infatti, usarono la storia dell’origine andina come testimonianza del fatto che non hanno diritti perché non sono amazzonici ma migranti che provengono da sud. Essendo andini hanno il vizio di tagliare gli alberi, quindi, costituiscono una minaccia nella conservazione dell’area. Quindi il governo dà importanza all’ascendenza e allora lo stesso fanno anche loro che decidono così di usare la nuova storia dei genetisti secondo cui sono amazzonici e non andini=> i genetisti provano che sono ancestralmente legati a quella terra e loro fanno un uso strategico di questo studio. 3. ASCENDENZA E MOVIMENTI INDIGENI TRANSNAZIONALI: l’idea di “autoctonia” ha un nesso coi concetti di indigenato, ascendenza e territorio ed è la convinzione che i raggruppamenti umani traggono il loro diritto a vivere in un determinato ambiente perché “sono sempre stati lì”. Questa è un’idea diffusa nel contesto amazzonico (insegnanti che promuovono il recupero della “lingua indigene ancestrale”). Ma molte comunità kichwa rinunciarono a vantaggi politici e territoriali pur di non essere catalogati dallo stato come “indigeni”, quindi, come “primitivi” => infatti molti preferirono farsi riconoscere come Centri Popolati piuttosto che come Comunità Native, nonostante i vantaggi connessi siano molto inferiori. Ciò fu una salvezza per chi sperava di ottenere il titolo di proprietà su una porzione di foresta senza però pagare il prezzo di essere registrati come “indigeni” (quindi selvaggi, ignoranti). Questo processo va di pari passo con la perdita della lingua indigena che molti si vergognavano di parlare. Succede poi che nel 1989 venne promulgata da un organo dell’Onu la convenzione 169 che è una dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti dei popoli indigeni (in seguito alla registrazione dello stato di estrema marginalizzazione degli indigeni nel mondo): questa convenzione si basa su due postulati: si garantisce ai popoli ind il diritto a mantenere la loro cultura e i loro territori. Nel primo comma le popolazioni indigene sono definite popolazion i tribali e popolazioni le cui condizioni sociali si distinguono da quelle degli stati (marginalizzati dal punto di vista econ, sociale e cult). Nel 2 comma si dice che questi discendono dalle popolazioni che abitavano lo Stato prima dell’arrivo dei colonizzatori=> è importante perché è la prima volta che viene individuata la relazione tra il territorio e gli indigeni: essere indigeno significa essere legati a un territorio che si abitava prima dell’arrivo dei colonizzatori=>concetto elaborato da Cobo che nel 1970 fu incaricato di identificare i popoli indigeni in maniera univoca. L'elemento interessante è che bisogna dimostrare di essere discendenti di questi primi abitanti=> introduce così l’elemento biologico. Ci si basa quindi sull’autorappresentazione delle popolazioni native e sulle rappresentazioni degli stati nazionali. Ma questo concetto di indigeno è qualcosa che è stato importato da fuori, che è stato creato in ambito internazionale: non è quindi un concetto sostanziale (non esiste una sostanza indigena) ma solo una categoria giuridica e in quanto tale può essere rielaborata e riempita di sostanze diverse per adattarsi ai contesti locali. Questo ha a che vedere col fatto che non c’è un consenso univoco attorno a cosa significhi davvero essere indigeno perché il concetto è legato all’autorappresentazione delle popolazioni indigene: chiunque si auto percepisce come indigeno può essere riconosciuto dagli organi istituzionali come tale=> ciò è indicativo del fatto che la categoria di indigeno è transnazionale (bisogna essere riconosciuti ufficialmente per potersi definire così). Oltre a questo, è importante anche il mutuo riconoscimento da parte degli altri (federazioni native si sono opposte alla partecipazione dei Boeri alla rete indigena perché hanno atteggiamenti razzisti). Quello di indigeno quindi, anche se si riferisce a realtà locali, è un fenomeno globale perché connette realtà locali a reti transnazionali=> fenomeno glocale che dipende dalla condivisione di caratteristiche differenziali. 4. L’INGANNO DELL’AUTOCTONIA: tornando ai kichwa e all’uso dello studio genetico, bisogna precisare che l’idea di relazione ancestrale tra il territorio e i kichwa non è venuta a loro stessi ma ci furono molti mediatori culturali(avvocati, ONG..) che rendendosi conto dell’importanza di questi discorsi biologici organizzarono dei laboratori per spiegare lo studio genetico e che attraverso questo i nativi k. eran connessi a una rete indigena transnazionale che li fa difendere in quanto indigeni dalla legge sovrannazionale (difesi non dallo Stato ma dalla legge). L'ONU, infatti, aveva stabilito con la convenzione 169 che c’è una correlazione tra il concetto di ascendenza e l’elemento biologico e quindi il diritto di abitare in un territorio (è una relazione strategica). Ma il concetto di territorio ancestrale è nostro: intendiamo un territorio ereditato dagli antenati=> ma quando si va sul campo ci si rende conto che questo concetto è diverso da quello che intendono loro: loro non hanno nemmeno un termine per definire gli antenati e questo fa pensare che abbiano acquisito acriticamente un concetto esterno per usarlo politicamente. In realtà sul campo si capisce che prendono questo concetto e lo rielaborano alla luce della propria concezione dell’ascendenza...cosa sono quindi gli antenati per loro? Per capirlo dobbiamo prima capire cosa sono i morti per loro (paragrafo 3.5) 5. CAMMINANDO SULLE ORME DEGLI ANTENATI: Andando a studiare i funerali indigeni si può comprendere quale sia la loro nozione di antenato: i amministrativi: la chiesa che agiva con le “reduciones de indios” con le quali avviene il primo mescolamento degli indigeni (furono stanzializzati ed evangelizzati da due missionari). L'organizzazione politica delle colonie invece si basava sul sistema “vara” che si basava sulla cessione di una parte del potere coloniale ad alcuni capi indigeni che devono rispondere all’amministrazione coloniale e offrire dei tributi. Quini nell’attuale b. Wayku il funzionario coloniale cede una parte del potere alle persone più importanti di goni clan, secondo il principio Divide et Impera. Con questo sistema iniziano le prime ostilità dei raggruppamenti indigeni perché il sistema vara non funzionava direttamente ma c’era un intermediario: il funzionario coloniale decideva quale fosse il warayuk più importante a cui assegnare questa carica. In questa fase c’è una divisione tra il mondo dei bianchi e quello degli indigeni: era come se esistessero due Americhe latine, due mondi separati, la Republica de Indios e la Rep. De Espanoles. Poi in Perù nacque una nuova repubblica che fu affidata a un’oligarchia composta da proprietari terrieri spagnoli e creoli che invasero le terre indigene (ogni creolo per dimostrare il suo potere ha in affidamento terre e indigeni e si serve degli antenati dei warayuk per raccogliere sempre più indigeni). Le tensioni aumentano fino ad arrivare al culmine negli anni ‘80 del 900 quando le violenze furono ritualizzate: tutte le domeniche e durante le festività i clan si ammazzavano tra di loro. La relazione conflittuale tra gli esponenti dei clan familiari portò alla dispersione di molte famiglie k. che fondarono nuovi insediamenti in tutta la regione di san martin: alcune di queste famiglie che emigrarono erano formate da assassini=> le lotte indigene, infatti, sono basate sull’equilibrio: se uccido 2 membri del tuo clan è giusto che ne faccia uccidere 2 del mio e se ciò non accade sono bollato come assassino e cacciato dal barrio. Oggi non si verificano più scontri mortali tra i 6 clan rimasti nel barrio W. perché c’è un controllo maggiore e perché ci sono scuole bilingui in cui i bimbi iniziano a conoscersi. Ci sono ancora tensioni politiche fra i 6 clan che si esprimono durante le festività come un tempo: ad esempio durante la festa di Santa Rosa la gente si aspetta di litigare tanto che c’è una corrispondenza tra tenuta festiva e tenuta di guerra; un’altra rivalità verso i clan è quella di accusare uno di un altro clan di stregoneria (significa esporlo mal pericolo di essere ucciso). Anche il costume matrimoniale ricorda le antiche ostilità: la norma endogamica viene percepita dai k come un modello ideale perché nella realtà fanno poi l’opposto. Il contrasto tra la norma reale esogamica e il rispetto ideale dell’endogamia si manifesta oggi con il ratto istituzionalizzato delle spose e con lo scambio cerimoniale di insulti e frustate tra parenti affini (violenza che rappresenta la disapprovazione delle famiglie nei confronti dell’esogamia che è recente e non del tutto ancora accettata dai nativi). Ma cosa c’entra tutto questo coi genetisti? Come già menzionato, nel 2012 la prima squadra di genetisti va a Lamas e raccoglie campioni di sangue a individui appartenenti a famiglie diverse: l’obiettivo era quello di studiare i profili genetici uni parentali (DNA mitocondriale e cromosoma y) dei nativi. Attraverso l’analisi del cromosoma y si costruiscono solo le linee ancestrali paterne (è un’indagine parziale perché viene trasmesso solo di padre in figlio). Il DNA mitocondriali invece si trova nei mitocondri ed è tramesso dalla madre ai figli maschi e femmine e quindi analizzandolo si costruisce la linea ancestrale materna. Quindi è necessario studiarli entrambi per costruire gli Alberi genealogici (non si studia in DNA biparentale perché durante la riproduzione questo si rimanipola e quindi non si possono individuare i rami ascendenti). Quando vengono restituiti i risultati, oltre ad evidenziare che non sono Chanka, si scopre che c’è omogeneità dal punto di vista materno e invece eterogeneità dal punto di vista paterno: vengono infatti trovati 5 profili genetici maschili=> quindi alcune famiglie hanno un profilo genetico che assomiglia a quello dei machiguenga, altri agli andoas etc...Questo dato fa pensare ai nativi che ci sia quindi una corrispondenza tra clan sociali e clan genetici: le lotte fra i clan sono ataviche perché gli individui son biologicamente diversi. Si pensa quindi che le lotte fra le federazioni indigene siano giustificate dal punto di vista storico-biologico: questo è pericoloso perché il rischio è quello della naturalizzazione. Parlando coi creoli dopo questo studio, iniziano ad affermare che i colonizzatori furono costretti a usare il sistema vara perché i nativi si ammazzavano fra loro=> eran atavicamente nemici. La narrazione del passato così viene stravolta: le lotte intestine, infatti, sono la conseguenza del sistema vara, non la causa. Però dalla genetica non si scappa: loro hanno effettivamente dei profili genetici diversi che rimandano ad antiche popolazioni diverse...come la mettiamo? Per rispondere dobbiamo aprire una parentesi sul modo con cui son stati raccolti i campioni biologici: la modalità non è mai casuale=>i genetisti che non sapevano di queste cose furono informati dai mediatori culturali e siccome loro han bisogno di campioni diversi fra loro, han selezionato quelli degli individui che meglio conservano il loro patrimonio genetico=> ma questo ha poi inficiato sul risultato. Capitolo IV 1. CIPRIANO È L’ALBERO E IL PADRONE (4.1 e 4.2): l’autrice si sposta in un’altra comunità nativa, quella di Llukanayaku: si trova a 150 km da Lamas sulla riva di un fiume e ci arrivi solo con un’imbarcazione. qui le case sono di palafitte e ci vive un clan di sciamani, il clan Chujandama. Questa famiglia attira l’attenzione dell’autrice perché da generazioni raccontano una storia sulla loro origine ispirata alla leggenda dell’origine Chanka: si racconta che, a seguito della persecuzione incaica, i loro antenati intrapresero un lungo percorso che dal Sud li condusse fino alla città di Chachapoyas: quando l’impero incaico conquistò anche questa città, si stabiliscono a Llukanayaku. Questa storia è interessante perché ingloba il mito dell’origine Chanka e altre informazioni storiche (come che c’è una correlazione tra i kichwa e l’attuale popolazione di Chachapoyas). Questa traversata poté compiersi solo grazie alla guida di Cipriano (capostipite della famiglia), uno sciamano che impara questa abilità nelle Ande e poi la trasmette ai discendenti. Si racconta avesse capacità straordinarie, come trasformarsi in animali predatori, tra cui il giaguaro. Una volta giunti a Llukanayaku tutti i membri della famiglia invecchiano, tranne lui. Quando giunsero i fucili con l’avvento della modernità, per lui era pericoloso vivere nella foresta perché vedendolo nelle vesti di predatore l’avrebbero ucciso. Così decide di lasciarsi morire, ma prima di farlo si trasforma in un albero di Lupuna (ancora oggi Aquilino, capofamiglia attuale, e i figli vanno a chiacchierare con l’antenato). Poi arrivarono gli studi genetisti (dopo rispetto a Lamas) grazie a un mediatore, un’agenzia tedesca, che racconta la storia dei genetisti ad Aquilino che non la accetta. L’autrice ebbe modo di sentire la storia di origine anche dopo l’arrivo dei genetisti e si rese conto che il loro racconto venne inglobato: nella nuova narrazione Cipriano non accompagnò la famiglia dalle Ande a LLukanayaku ma partì dall’Amazzonia ecuadoriana. Sorse allora il sospetto di acculturazione: hanno accorpato acriticamente la storia die gentisti perché faceva loro comodo? (l’agenzia aveva spiegato loro l’utilità nell’acquisire le storie genetiche). Ci si rese conto che non era così perché Aquilino non rinunciò alla tradizione dell’origine andina: contemporaneamente (e senza contraddizione) a Cipriano c’è un nuovo antenato, Ayanku, li accompagnò dalle Ande a Llukanayaku. Anche lui ha caratteristiche sovrannaturali: bocca larga e orecchie lunghe e dopo aver vissuto per un centinaio di anni muore perché colpito da un fulmine e a ricordo della sua presenza lascia un segno sul territorio, una pozza d’acqua cristallina. In questo modo la famiglia dice contemporaneamente di essere di origine andina e amazzonica. Ciò aprì nuove questioni: abbiamo già visto che di fronte alle storie dei genetisti le reazioni possono essere due e quindi anche qui si aspettava di trovare una sola delle due, e non che la reazione della famiglia sarebbe stata che il racconto dei genetisti è solo un racconto in più (la storia dei genetisti è interpretata dalla maggioranza come un “di più”). Ma come si può aderire fortemente a due identità? Per noi due verità sono inconciliabili. Oltre a ciò, ci si chiede come sia possibile rielaborare gli alberi genealogici come se niente fosse: per rispondere bisogna cambiare prospettiva e capire cosa sia il passato e la memoria per gli indigeni cacciatori si trovano ad affrontare un processo inverso. Ma non solo gli umani praticano questi esercizi: ad esempio sono costretti ad ingerire una purga cucinata col peperoncino senza cui le capacità olfattive dell‘animale non si svilupperebbero. Una metafora evocativa è quella dell’immagine della canoa: così come nell’universo fluviale un attento gioco di movimenti bilanciati consente ai navigatori di mantenere una sorta di armonia, nel mondo indigeno l‘instabilità è un movimento positivo che consiste nell’imparare a vivere in posizioni mai sicure. Quindi sembra che i nativi perseguano l’instabilità, ma perché? Per capirlo dobbiamo introdurre una teoria etnografica, quella del prospettivismo che fu introdotta da De Castro che si rese conto di un particolare modo di percepire il mondo dei nativi: per loro il mondo è caotico perché è popolato da soggetti tutti simili agli esseri umani, come gli animali, le piante e gli spiriti. Anche questi sono dotati di intenzionalità tanto che sono definiti dagli indigeni come ”persone”: essere persone significa avere un’anima simile alla nostra. Se abbiamo quindi tutti l’anima uguale, qual è la differenza con loro? Per i nativi amazzonici quello che ci distingue è il corpo (è l’opposto di quello che crediamo noi). Il corpo ci rende diversi perché è in grado di offrirci prospettive diverse sul mondo: se indosso il corpo di umano vedo gli altri come umani e il pollo come preda, se ho il corpo di pollo vedo gli altri polli come esseri umani e noi che lo mangiamo come predatori, quindi giaguari. Ciò ha conseguenze sul modo di conoscere degli individui: noi ci basiamo sull’ oggettivazione (per conoscere qualcosa devo renderlo un oggetto) mentre la loro strategia per conoscere è la soggettivazione=> per conoscere davvero devo considerare gli altri come soggetti e quindi imparare a prendere la loro prospettiva: il cacciatore quindi per ottenere la conoscenza che lo rende abile nella caccia deve trasformarsi nelle sue prede e vedere il mondo come loro indossando il loro corpo; ma come si fa se abbiamo addosso il corpo umano? Con le pratiche antropo-poietiche. Quindi se conoscere significa prendere la prospettiva degli altri, allora la vera conoscenza non è quella degli scienziati che hanno una prospettiva sola ma quella dello sciamano che si muove tra prospettive diverse. Quindi una sola prospettiva non è abbastanza. Il cambiamento di prospettiva però deve essere passeggero e rimanere intrappolato in un’unica prospettiva per via di alcuni errori commessi (ad esempio ingerire le piante sbagliate) rappresenta un problema. L’altro quindi è una parte necessaria per costruirmi: devo includere nella mia umanità anche l’animalità, il pensiero dei bianchi etc. perché la mia identità non è chiusa in sé stessa ma è fatta di relazioni. Quindi l’instabilità è un arricchimento. 3. DIO E LA LUNA: alcuni antropologi suggeriscono di innalzare ontologicamente il concetto di instabilità: significa parlare di tutto ciò in termini di filosofie indigene che hanno la loro dignità. Questa idea per cui il pensiero nativo ha la dignità di esser trattato a livello accademico fu evidenziata da molti antropologi contemporanei che per sottolineare l’importanza del pensiero indigeno usano il concetto di ontologia=> il pensiero indigeni è un’ontologia: significa evidenziare che gli indigeni quando affermano che le piante hanno un’anima non parlano a livello metaforico, ma lo pensano davvero. Inoltre, ciò aiuta a pensare al pensiero degli altri non come una rappresentazione della realtà ma come una realtà essa stessa. Questi studiosi han dato origine alla svolta ontologica: gli antropologi prima della svolta pensavano che ci fosse una natura e poi ci siamo noi, gli indigeni, gli africani...ognuno ha la sua rappresentazione della realtà che in realtà rimane quella che è=> ciò implica che ci siano rappresentazioni sbagliate, ovvero quelle diverse dalla nostra. Con la svolta si afferma che non si tratta di rappresentazioni ma di ontologie, di realtà: c’è la nostra natura, quella degli indigeni etc. e noi antropologi dobbiamo prenderle tutte sul serio. Ma questo modo di pensare le filosofie altre, crea un problema: se i mondi sono tanti e diversi, non c’è il rischio di incomunicabilità? (Come faccio io occidentale a parlare con gli indigeni?). Ma c’è anche un altro problema, infatti innalzare le filosofie altre a ontologie non risponde a un’esigenza nativa, loro non importa. L‘obiettivo di quelli della svolta è quindi solo quello di rispondere alle loro esigenze scientifiche: scrivere bei testi. Questa è una delle tante critiche a cui già Levi-Strauss aveva fatto attenzione. A prescindere dal dibattito però ci sono degli autori della svolta che ci danno insegnamenti importanti, uno di questi è di sapore metodologico, ovvero come fare antropologia: bisogna tornare sul campo e questo deve essere immersivo al punto tale che io come antropologo riesca ad assumere la prospettiva degli altri, al pari degli sciamani: l’antropologi quindi non deve usare l’oggettivazione ma la soggettivazione, senza però mai perdere il bagaglio culturale che l’ha formato=> non bisogna rimanere intrappolati nella prospettiva indigena e bisogna riuscire a cambiare pelle come fa il cacciatore perché se no si irrigidisce la mia di antropologo e il rischio è quello di pensare al posto dei nativi (tanto che tra i detrattori della svolta si diffonde l’idea che pensino al posto dei nativi). Bisogna quindi acquisire un pensiero laico, come quello dello sciamano: con laicità intendiamo di aderire alla propria idea ma senza rimanerne succube, perché ciò ci impedisce di conoscere. Concludiamo affermando che nell’incontro col diverso non bisogna comportarsi come lo scienziato che è costruttore di certezze, ma come lo sciamano che è un de costruttore: è con la decostruzione del sé che mi apro all’alterità e questo incontro con l’altro è la più grande forma di ricchezza.
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