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La Comunicazione Interpersonale: Teorie di Thompson e Goffman su Solidarietà e Privacy, Sintesi del corso di Sociologia

Le teorie di Thompson e Goffman sulla natura dell'interazione comunicativa e la società. Vengono discusse le forme diverse di solidarietà e la loro relazione con la privacy, il ruolo del disturbo nella interazione e la metafora del teatro per comprendere meglio i rituali. Il testo illustra come le interazioni quotidiane preservano l'identità e il controllo sulle apparenze, e introduce la teoria degli effetti dei media e la deformazione della realtà.

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

Caricato il 16/01/2020

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Scarica La Comunicazione Interpersonale: Teorie di Thompson e Goffman su Solidarietà e Privacy e più Sintesi del corso in PDF di Sociologia solo su Docsity! SOCIOLOGIA DELLA COMUNICAZIONE INTERPERSONALE INTRODUZIONE La comunicazione è l’emissione deliberata di un messaggio codificato secondo certe regole socialmente riconosciute e rivolto a dei riceventi (qualificati o meno). La comunicazione è quindi deliberata: è necessario avere intenzione di esprimere qualcosa, e questo fa della comunicazione un’azione sociale. Un altro aspetto importante è il messaggio:  Verbale  Non verbale (sorrisi) Infine un processo comunicativo prevede un ricevente, a cui corrisponde un emittente.  Questa definizione distingue nettamente la comunicazione dall’informazione = serie di espressioni, non necessariamente verbali, trasmesse in maniera non intenzionale da parte dell’emittente, e che ci informano sulle caratteristiche dell’emittente stesso e sulle circostanze in cui questo opera. Nella comunicazione un elemento fondamentale è la fiducia. Altro elemento essenziale è il contesto + una cornice, un frame. Se il frame è una cornice che noi poniamo attorno a una situazione, per capire il messaggio di un evento comunicativo bisogna vederlo nella sua cornice primaria. Al limite possiamo avere dei dubi su quale sia questa cornice primaria. È possibile mettere un’ulteriore cornice attorno a un frame primario, trasformandone così il significato (quello che c’è dentro rimane lo stesso, ma il suo significato cambia con il variare del frame che lo incornicia). COMUNICAZIONE = termine che trae la propria origine dalla radice COM, il cui significato di mettere in comune si è trasferito al latino communis (comune), composto di cum (insieme) e munis (obbligazione, dono). La stessa radice compare in termini come comunità o comunione, che richiamano il senso di mettere o dell’avere in comune qualcosa e del condividere. Bisogna dire che questa idea della condivisione non deve evocare scenari idilliaci dove tutti vivono in una comunità felice ANZI, spesso comunicare significa entrare in conflitto, litigare, essere in disaccordo. Comunicazione > relazione in cui l’emittente invia un messaggio a un ricevente. Il messaggio deve essere costruito per mezzo di una serie di codici che siano almeno in parte condivisi da coloro che sono impegnati nell’atto comunicativo, e viene trasmesso attraverso uno o più canali, ovvero apparati fisici che possono essere naturali (come i nostri sensi) o artificiali (come le tecnologie della comunicazione). Il tutto avviene all’interno di un contesto, che fa da cornice all’atto comunicativo in corso. JAKOBSON (linguista russo) ha individuato diverse funzioni: 1. Espressiva o emotiva = si lega all’emittente, e quindi si concentra sulla possibilità ce ha questi di esprimere i propri sentimenti, emozioni, stati d’nimo nel corso della comunicazione 2. Conativa = l’attenzione è concentrata sul ricevente, e sulla possibilità di influenzarne l’azione e il comportamento in generale. Nel corso di un atto comunicativo il ricevente può venire influenzato, persuaso, illuso 3. Poetica = funzione legata al messaggio, ci informa sull’organizzazione, struttura interna, coerenza narrativa 4. Referenziale = si riferisce al contesto 5. Fatica = è la funzione che si lega al canale, e quindi si concentra sul contatto 6. Metalinguistica = al centro dell’attenzione è il codice. Usiamo espressioni come “quello che voglio dire è” “adesso parliamo di”  Le funzioni della comunicazione di Jackobson vanno intese come tutti presenti, in maggiore o minore misura. CODICE  secondo gli autori della scuola di palo alto, i codici vanno distinti tra:  analogici = segni che utilizziamo per la nostra rappresentazione hanno una qualche relazione con ciò a cui ci riferiamo. Ad esempio se sono arrabbiata assumo uno sguardo corrucciato per mimare lo stato d’animo  numerici = se per descrivere la mia arrabbiatura mi serve solo il linguaggio  Il codice analogico ha un qualche legame con ciò a cui si riferisce, mentre quello digitale è di natura prettamente convenzionale ci sono differenti codici:  linguistici > si riferiscono all’uso del linguaggio nel corso di un atto comunicativo  paralingustici > fanno riferimento a tutti quei suoni che non rientrano propriamente all’interno di una lingua, ma che ricoprono importanti funzioni nello svolgimento di un processo comunicativo (bhe, ehm)  cinesici > si riferiscono allo sguardo e ai movimenti del volto e del corpo  prossemici > allarghiamo il campo alla gestione dello spazio intono a noi, e come ci muoviamo nell’ambiente, e al modo in cui manteniamo o meno le distanze con le persone che si trovano nel nostro raggio di azione  aptici > si riferiscono ai contatti corporei con altre persone. Toccare un’altra persona ha precisi significati comunicativi  Va sottolineata la possibilità che tutti i codici siano compresenti, l’utilizzo di un codice comunicativo non esclude l’altro. In un modello comunicativo più semplificato la questione dei codici è considerata centrale: si tratta del modello codifica/decodifica (encoding/decoding), dove il primo termine consiste nella messa in codice, ovvero nella confezione del messaggio comunicativo, e il secondo si riferisce alla sua ricezione e alla sua interpretazione. Codificare un messaggio significa mettere insieme tutti i codici che scegliamo di utilizzare per comporre un determinato contenuto. L’operazione di decodifica consiste nel riconoscere i codici con cui è stato messo a punto il messaggio, e quindi nell’interpretare il contenuto del messaggio stesso. È essenziale la condivisione dei codici da parte delle persone coinvolte nel processo comunicativo: si potranno produrre decodifiche che non seguono esattamente quelle che erano le intenzioni di chi ha prodotto il messaggio. Il modello di codifica/decodifica vale tanto per la comunicazione interpersonale quanto per la comunicazione tipica dei mezzi di comunicazione, di massa e non. Vale anche per i processi comunicativi in termini più generali, ad esempio quelli che si stabiliscono all’interno di una società. Un concetto molto importante interpersonale è elaborato da BATESON  IL DOPPIO LEGAME = comunicazione paradossale, dove un messaggio comunica un’autocontraddizione. Si piò trattare di 2 messaggi contraddittori (ad esempio la madre che ingiunge al figlio di stare a casa a studiare, e il padre che gli permette di uscire) oppure di un solo messaggio contraddittorio. LA SOCIOLOGIA > si interroga sulla natura dell’azione degli individui nella società, chiedendosi com’è che la società si tenga insieme, e come sia possibile l’ordine sociale.  La riserva di informazione > controllo che l’individuo esercita su un insieme di fatti che lo riguardano quando è insieme ad altri. Potremmo definirla come la nostra privacy. Esempi di violazione: che cosa stai pensando?, fissare troppo a lungo una persona.  La riserva conversazionale > pretesa rivendicata da ciascuno di controllare chi può invitarlo alla conversazione e il momento in cui può essere invitato a farlo. È anche il diritto di un gruppo di individui, che hanno iniziato una conversazione, di proteggere il loro circolo dall’ingresso e dall’ascolto di estranei. Tipi di MARCA (contrassegni che indicano che lì c’è un territorio):  Centrali > giacca sulla poltroncina  Di confine > bracciolo della poltroncina del cinema  Incorporante > quando marchio un oggetto Tipi di VIOLAZIONE:  La posizione > quando si colloca il proprio corpo vicino a una determinata area  Il tocco > il nostro corpo può toccare, e quindi violare, il corpo di altre persone  La penetrazione visiva > violazione dello spazio altrui penetrata con lo sguardo. Il corpo, o anche lo sguardo, può quindi profanare la sfera di intimità dei corpi altrui > quella che nella nostra epoca definiremmo PRIVACY.  La penetrazione sonora > quando il nostro spazio è invaso da suoni, grida, urli  La penetrazione conversazionale > quando qualcuno si rivolge a una persona che non conosce, importunandola, oppure quando un individuo si inserisce nel mezzo di una conversazione, senza che nessuno dei partecipanti alla conversazione ne abbia ratificato la presenza.  Le secrezioni corporee > 4 tipi di contaminazioni: 1. Secrezioni che contaminano direttamente (saliva) 2. Mediante gli odori (puzza del sudore d’estate) 3. Mediante il calore del corpo di un altro rimasto nella nostra maglia che ha indossato per sbaglio 4. Mediante segni corporei che rimandano a secrezioni, come i resti del cibo nel piatto, che rimandano alla saliva  Il ruolo di contaminante e quello di contaminato possono coincidere in una stessa persona > in questo caso avremo dei casi di auto-contaminazione. Durante l’interazione può accadere qualcosa che fa venire meno ai principi della privacy  il disturbatore deve compiere la sua azione di disturbo in modo che appaiano chiare le sue buone intenzioni > si parla di “interscambio di riparazione”, dove giustificazioni, scuse, richieste e spiegazioni costituiscono il materiale utilizzato per riparare a una potenziale rottura del normale andamento dell’interazione. Lo scambio di riparazione avviene attraverso una conversazione, dove ognuno dei partecipanti ha un turno di parola, e tuttavia è molto più vicino a un’interazione strategica  presenti una serie di GLOSSE DEL CORPO (con le quali l’offensore virtuale tenta di liberarsi dalle implicazioni caratteriali di ciò che sta facendo): - Si pensi a un’offesa alla privacy altrui compiuta mediante lo sguardo fisso sulla vittima: nel momento in cui questa se ne accorge, l’offensore distoglie immediatamente lo sguardo, mostrandosi attratto da un altro fuoco di attenzione = glosse di circospezione - Quando fissiamo l’indicatore di piani in ascensore o leggiamo le istruzioni = glosse di orientamento - Il pattinatore che scivola sul ghiaccio ed esagera gli effetti della caduta (lamenti) = glosse di esagerazione Lo scambio riparatore viene punteggiato anche dalle sue mosse strutturali, riducibili a 4 passaggi: 1. La riparazione 2. L’accettazione 3. L’apprezzamento 4. La minimizzazione  La riparazione e l’accettazione possono essere attuate mediante gesti e azioni, senza l’uso del registro linguistico, spesso un cenno del capo o un sorriso possono assolvere la funzione di riparazione. IL SELF COME ARTIFICIO DRAMMATURGICO Secondo goffman il self è creato mediante il rituale virtualmente dal niente. L’identità non è qualcosa di stabile e durevole nel tempo MA un effetto strutturale prodotto e riprodotto discontinuamente nei vari balletti cerimoniali della vita quotidiana. Nello scambio riparatore, l’individuo può prendere le distanze dal ruolo che sta impersonando, come sdoppiandosi: - Da un lato c’è quella parte di self che ha commesso o sta per commettere una determinata offesa - Dall’altro c’è quell’aspetto della personalità che prende le distanze dalla prima Per spiegare meglio come avvengono i balletti rituali nel corso dell’interazione, goffman ricorre a una metafora > quella del TEATRO  la rappresentazione teatrale ha bisogno di uno spazio di ribalta (dove avviene la rappresentazione vera e propria) e di uno spazio di retroscena (dove gli attori si possono preparare per la rappresentazione). Per prepararci ad affrontare i rituali, abbiamo bisogno di un retroscena dove prepararci = luogo dove l’impressione voluta dalla rappresentazione stessa è negata > è per questo motivo che la società ci assicura un certo controllo su tale spazio, dal momento che permettiamo a ben poche persone (solo le più intime) di penetrarlo. Un luogo può funzionare da ribalta in alcune situazioni e da retroscena in altre = es. aula di lezione: da ribalta per tutti i partecipanti alla lezione, alla fine da retroscena dove poter fare commenti sul docente e su altri partecipanti. LA RIBALTA, IL RETROSCENA E LO SPAZIO INTERMEDIO CREATO DAI MEZZI DI COMUNICAZIONE Per preservare l’identità nostra e altrui sono preposti i rituali dell’interazione della vita quotidiana e i territori del self. Quella che noi chiamiamo privacy è assimilabile alla riserva di informazione, relativa al controllo che l’individuo o un gruppo di individui esercita su un insieme di fatti che lo riguardano quando è insieme ad altri individui o ad altri gruppi di individui > tale controllo si esercita grazie alla separazione degli spazi sociali, ossia tra una ribalta e un retroscena. Secondo un sociologo canadese MEYROWITZ, i media (in particolare quelli elettronici, tv) hanno un ruolo determinate nell’abbattere i confini tra ribalta e retroscena, creando uno spaio intermedio = luogo della fusione tra spazio pubblico e spazio privato. In un’epoca in cui la comunicazione mediale è globalizzata, gli effetti di tale ridefinizione del senso del luogo sono riscontrabili in quasi tutti gli aspetti della vita sociale. Meyrowitz ne prende 3 come esempio: 1) La confusione tra la sfera maschile e la sfera femminile = con l’apparire della televisione sulla scena sociale le donne vedono cose a loro del tutto nuove, hanno facile accesso auna rappresentazione realistica. Anche gli uomini cominciano a conoscere più da vicino alcuni aspetti della sfera femminile  i ruoli femminili e maschili si stanno fondendo. 2) La confusione tra l’infanzia e il mondo adulto = le tradizionali tappe della socializzazione del bambino nel mondo adulto sono state sconvolte dalla presenza della tv > trasporta i bambini attraverso il globo, prima ancora di avere il permesso di attraversare la strada. 3) La tendenziale perdita dell’aura dei leader politici = nel momento in cui viene scrutato dalle telecamere e macchine fotografiche. La creazione di uno spazio intermedio assicura al pubblico dei media un accesso alle informazioni sul leader politico inedito. Ciò non vuol dire che l’accesso al retroscena del leader politico giochi a suo svantaggio, anzi egli sfrutta questa possibilità per mostrarsi più vicino ai propri elettori. Ambito televisivo di Meyrowitz  un esempio di retroscena è offerto dagli studi televisivi: il retroscena consiste in quei luoghi che non vengono momentaneamente inquadrati dalla macchina da presa o tutti i posti fuori dal raggio dei microfoni in azione. GLI OGGETTI:  strumenti di cui ci serviamo per esprimere e comunicare informazioni, ricoprono una funzione comunicativa essenziale.  Canale comunicativo principale, il sistema di segni più importante  Parlano spesso di noi e per noi, ed entrano nei rapporti comunicativi interpersonali che stabiliscono con gli altri individui Al minuto del balletto rituale di affianca la danza delle cose, con e loro funzioni comunicative ed espressive, strumenti di scena (oggetti, costumi, cibi) con le quali allestiamo le nostre rappresentazioni quotidiane. La distinzione tra uno spazio di ribalta e uno di retroscena è essenziale per la metafora drammaturgica dell’interazione faccia a faccia, ma questa metafora non è completa se non si considerano anche gli attori che portano avanti la presentazione del self. Avremo così la distinzione fra attore e personaggio (che riprende l’idea di durkheim secondo cui l’uomo è duplice, in parte costituito biologicamente e in parte costruito socialmente). Secondo goffman: - Attore = sorta di supporto biologico, che tende ad avere un solo aspetto, un aspetto nudo, non socializzato, di concentrazione: l’aspetto di qualcuno impegnato in un compito difficile e traditore - Personaggio = parte sociale del self, è una figura dotata di carattere positivo, il cui spirito, forza e altre qualità eccezionali devono essere evocati dalla rappresentazione. Definizione di SELF = non è solo un effetto strutturale, un costrutto generato localmente nel corso dei balletti rituali della vita quotidiana, ma è anche un vero e proprio artificio drammaturgico, generato nel corso delle rappresentazioni della vita quotidiana. La metafora drammaturgica ci permette di studiare l’interazione faccia a faccia dal punto di vista non dell’individuo e dei suoi aspetti psicologici, ma dalle situazioni che si vengono a creare nel corso dell’interazione. Non gli uomini e i loro momenti ma i momenti e i loro uomini > questi momenti sono le occasioni in cui si dà l’interazione faccia a faccia. Essa implica una serie di intimi legami con le priorità rituali delle persone e con le forme egocentriche di territorialità. Il materiale grezzo dell’interazione faccia a faccia è costituito da sguardi, gesti, atteggiamenti. Importante nella interazione faccia a faccia è la faccia = si intende un’immagine di se stessi, delineata in termini di attributi sociali positivi. Nel corso dei balletti rituali dell’interazione possiamo: - Mantenere la faccia > quando la linea di condotta portata avanti è coerente con l’immagine che vogliamo tenere - un fare = serie di azioni che sono le azioni appropriate a quel determinato ruolo - o un non fare Secondo goffman non ci sono da una parte i ruoli e dall’altra la vera identità. Inoltre se avessimo un solo ruolo non potremmo esercitare la distanza da questo ruolo. Per farlo dobbiamo per forza averne altri. Si potrebbe pensare che la possibilità di distanziarci dal nostro ruolo sia un emblema di libertà MA in realtà non siamo liberi di esercitare la distanza dal ruolo: si tratta di un comportamento rituale ed espressivo organizzato socialmente. la condivisione di questi idiomi rituali rende tutti noi particolarmente esperti non solo nell’esprimere informazioni e nel trasmettere comunicazioni, ma anche nell’interpretarle. Siamo impegnati nel lavoro di definire la situazione: non solo quella che riguarda noi stessi ma anche quella che riguarda gli altri. Ciò significa che ci bastano poche informazioni espresse da una persona che incrociamo per strada per ricostruirne l’identità  questa ricostruzione, basata sulle nostre supposizioni, è un’identità sociale virtuale che va distinta dall’identità sociale attuale, in cui la categoria e gli attributi sono confermati. Quando l’estraneo che ci troviamo di fronte ha dei segni che lo rendono in qualche modo diverso dagli altri, ci facciamo subito una determinata idea di lui  un segno di questo tipo è chiamato da goffman STIGMA = possiamo dividere in 3 categorie: 1) Deformazioni fisiche 2) Aspetti criticabili del carattere che vengono percepiti come mancanza di volontà 3) Passioni sfrenate o innaturali, credenze malefiche o dogmatiche, disonestà Ognuno di noi ha un suo stigma, e quindi ognuno di noi è in qualche modo uno stigmatizzato. In queste situazioni non abbiamo il normale da una parte e lo stigmatizzato dall’altra: abbiamo un processo sociale a due, molto complesso, almeno per quello che riguarda certe connessioni e durante certi periodi della vita. Dal punto di vista dell’interazione faccia a faccia è interessante esaminare le situazioni in cui coloro che hanno uno stigma e i normali entrano in contatto  il problema è quello del controllo dell’informazione, legato all’identità personale: se lo stigma è visibile, come fare per portare a termine un’interazione? Scherzare sullo stigma in modo da alleggerire la situazione o fare finta di nulla? Insomma, tutti esposti a rischi e pericoli a cui esponiamo non solo il nostro self, ma anche l’apparente normalità delle diverse situazioni. Il concetto stesso di apparenze normali esprime 2 aspetti distinti dell’ordine dell’interazione, ma correlati: 1) Relativo alla sicurezza fisica dei partecipanti all’interazione 2) Relativo al concetto di apparenze normali > riguarda non l’incolumità fisica ma il senso cognitivo degli attori, la loro possibilità di definire univocamente una situazione. Un qualunque aspetto fuori posto, tutto ciò che non rientri nella normalità dell’apparenza, tutto ciò che possa violare le norme viste finora relative all’ordine dell’interazione può provocare sconcerto e l’incapacità di definire la situazione. In questo gioca un ruolo fondamentale l’umwelth = sfera che circonda l’individuo a cui possono arrivare le potenziali forme di allarme e quindi l’ambiente stesso, il mondo circostante all’individuo  le persone devono non solo tenere sotto controllo l’umwelth, per accertarsi che non vi siano pericoli o per evitarli, ma anche controllare le proprie espressioni, in modo da informare gli altri occupanti dell’umwelth di non essere potenziali fonti di pericolo. In definitiva, quello che si può dire delle apparenze normali è che l’interazione faccia a faccia si svolge all’interno di una cornice che è potenzialmente pericolosa, sia per quanto riguarda l’incolumità dei partecipanti sia per quanto riguarda l’intelligibilità di quanto sta accadendo. Qual è l’ambiente (umwelth) in cui ci troviamo a vivere e ad agire. Da una parte abbiamo il mondo (quello della vita quotidiana) pieno di pericoli. È un po’ come se i rischi a cui siamo esposti nell’umwelth delle nostre piccole e banali interazioni faccia a faccia quotidiane si fossero estesi fino a coprire l’intero pianeta, in una globalizzazione del pericolo. Dall’altra parte abbiamo una progressiva tendenza della società a limitare le possibilità di rischio per gli individui.  Queste 2 tendenze così diverse ci mostrano come l’ordine sociale che sovrintende non solo le nostre interazioni faccia a faccia, ma più in generale le nostre vite sia sottoposto a 2 forze contrastanti: da una parte abbiamo il rischio e il pericolo, dall’altra una relativa sicurezza e stabilità  L’esistenza di queste due facce di sicurezza ha fatto sì che l’individuo trovi sempre meno zone dove esperire volontariamente il pericolo. Ma perché l’individuo dovrebbe assumere volontariamente dei rischi? Bisogna prima di tutto riconoscere che, a fronte di una sempre maggiore riduzione dei rischi connessi alla vita sociale, aumentano quelle che potremmo chiamare le fantasie sul rischio (nella pubblicità, nei film, nei media in generale). Le grandi avventure del passato sono finite, eppure il fatto curioso è che noi occidentali continuiamo a vivere in un immaginario avventuroso, proprio da quando l’avventura non c’è più. uno dei pochi sociologi a occuparsi della questione è stato SIMMEL  L’idea è che l’avventura è un’esperienza marginale, che però rivela il senso profondo della vita. L’imprevedibilità fa sì che quando si entra in un’avventura non si è più sé stessi, si obbedisce a un demone diverso da quello che ci spinge tutte le mattine a timbrare il cartellino alla solita ora o sederci al tavolo del lavoro. Questa parentesi dell’esistenza di cui parla Simmel è stata studiata da goffman nei termini dell’interazione rituale  parla di attività fatidica riferendosi a un’attività rischiosa e dall’esito incerto. L’azione deve produrre delle conseguenze. L’attività fatidica è quindi rischiosa e consequenziale. Ma questo può valere anche per chi non la va a cercare volontariamente, come ad esempio chi fa un lavoro pericoloso. Per riferirsi a un’attività fatidica in cui ci impegniamo gratuitamente goffman sceglie il nome di AZIONE = è un’attività rischiosa, consequenziale, intrapresa fine a sé stessa (chi fa free climbing i trova impegnato in un’azione). LYNG si riferisce a qualcosa del genere quando parla di ricerca del limite, solo che, a differenza dell’azione, la ricerca del limite prevede il controllo da parte dell’individuo. Perché le persone dovrebbero impegnarsi nell’azione o nella ricerca del limite? Sulla base del modello goffmaniano, quando un soggetto si cimenta in un’azione è molto importante che questi mostri il controllo di sé. È importante mostrare coraggio, costanza, integrità, cavalleria e compostezza (autocontrollo, calma). Questa a sua volta consiste tanto nella calma mentale e nell’essere sempre all’erta (la presenza di spirito) quanto nella dignità, cioè la capacità di mantenere il decoro fisico di fronte a costi, difficoltà e bisogni urgenti. Tutti questi elementi costituiscono il carattere di una persona, di cui appunto si può dare prova nel momento in cui si cimenta in un’azione. L’azione in definitiva serve a ricreare il nostro self, a mostrare che il nostro self ha un carattere forte. L’azione serve ad avere il bisogno di mettere in mostra la qualità del nostro self. Nel modello della ricerca del limite proposta da LYNG alcune persone si cimentano in quest’attività per il bisogno di autorealizzazione che hanno gli individui, e che si esplica ad esempio con un lavoro creativo, attraverso il quale è possibile realizzare sé stessi  il mondo moderno offre poche possibilità simili, la sfera lavorativa è ripetitiva, tanto maggiore sarà il bisogno di autorealizzazione e quindi la ricerca del limite. Secondo goffman la questione centrale è che l’azione è una richiesta che fa la società stessa agli individui. Proprio perché le attività lavorative quotidiane più comuni non permettono l’azione, questa costituisce un tentativo di rimettere in scena, attraverso il rituale, certi rischi e pericoli che sono pressoché scomparsi nella nostra società. Non è necessario che l’azione sia un gesto eroico, spesso sono sufficiente poche monete alla slot machine o magari un film di avventura o horror = si parla di esperienza vicaria (esperienza gratuita al rischio, qui i media la fanno da padroni). DALLA PAURA DELL’IMBARAZZO ALLA SPIRALE DEL SILENZIO teoria degli effetti dei media  LA SPIRALE DEL SILENZIO, proposta da NEUMANN (1980) > parte dalle considerazioni di goffman sull’imbarazzo nell’interazione sociale per dire qualcosa sugli effetti che i media possono avere sull’opinione pubblica.  La teoria si occupa dell’esposizione delle persone, condannate oggi a un sempre maggior individualismo, alle opinioni e ai contenuti espressi quotidianamente dai media, e tenta di collegare questi 2 aspetti della vita contemporanea. Oggi i cittadini, chiusi in un individualismo solipsistico, non solo sono chiamati a trovare soluzioni individuali per i propri problemi ma sono anche esposti al timore di rimanere ulteriormente isolati  questo porta gli individui a ispirarsi a ciò che dicono e che fanno i media, ritenendo che tali opinioni siano quelle condivise dalla maggioranza delle persone. I media quindi tendono a innescare una spirale del silenzio, dove le opinioni personali di un individuo, quando non espresse ampiamente dai media, vengono ritenute di minoranza e quindi non espresse, ridotte al silenzio, in una spirale che porta alla cancellazione di tali opinioni. Le opinioni veicolate dai media tenderebbero così a divenire dominanti, mentre quelle alternative scomparirebbero nel silenzio. Le persone sanno che, per essere accettate dagli altri, devono in qualche modo adattarsi a quello che è il comune sentire della maggioranza delle persone, pena l’esclusione sociale, a meno che non ci si trovi in presenza di eroi che hanno il coraggio di affermare la propria univocità davanti al mondo. Ciò che muove questa teoria è l’intento di chiarire il potere straordinario dell’opinione pubblica. Si tratta di un’esperienza che facciamo tutti, quasi quotidianamente. Sappiamo che la società, nei confronti degli individui devianti, ha sempre pronta la minaccia dell’isolamento = minaccia che noi temiamo particolarmente. Come queste cornici operano in un aspetto particolare dell’interazione faccia a faccia, ovvero l’interazione verbale? La comunicazione interpersonale verbale può essere sottoposta a diversi tipi di incorniciamento metacomunicativo. Anche nel caso di incomprensioni o ambiguità nell’interpretazione di un messaggio, in generale tali incomprensioni e ambiguità vengono dipanate nell’arco di un tempo breve > questo dipende dalla competenza che gli individui mostrano di avere nella gestione dell’intero balletto rituale della comunicazione (quella che viene chiamata competenza comunicativa). Bisogna capire in che cosa gli enunciati verbali si differenzino dagli esempi che abbiamo visto per tutte queste attività di messa in cornice degli eventi. Perché quello che si impara dal considerare l’interazione verbale come un esempio significativo dell’organizzazione dell’esperienza è che il parlare è come un mucchio di immondizia nel quale si troveranno frammenti e scarti di tutti i modi di incorniciare attività nella cultura. Una differenza che rende l’interazione verbale diversa da tutte le attività dell’interazione faccia a faccia è che proprio gli enunciati linguistici e soprattutto le normali conversazioni, sono connessi con il mondo circostante in maniera debole e vaga, e questo rende il parlare più vulnerabile di altre attività alle trasformazioni, siano esse lecite o illecite. La conversazione informale ha invece una caratteristica peculiare che la rende uno strumento perfetto per gestire quei momenti della quotidianità in cui proprio l’amenità e la frivolezza possono funzionare da riempimento per i numerosi momenti interstiziali della vita quotidiana. Una conversazione informale si mantiene informale si mantiene su una dimensione di scioltezza tale da renderla peculiare rispetto ad altri comportamenti del quotidiano = la scioltezza è un elemento comune che spesso, se vogliamo essere seri nel corso di uno scambio verbale, dobbiamo inserire una cornice adeguata allo scopo, del tipo “scherzi a parte” o “parlando sul serio”. La modalità principale in cui avviene questo scambio verbale è quella di fornire un resoconto di aspetti che ci riguardano o di fatti che ci sono accaduti. Anche se ci impegneremo a fornire una versione dei fatti il più possibile obiettiva e oggettiva, in realtà quello che faremo è fornire una narrazione, un racconto di ciò che ci riguarda o che ci è accaduto. Il nostro racconto subirà una drammatizzazione, useremo ad esempio la suspense (uno degli artifici narrativi più comuni e utilizzati). Il problema che si pone a questo punto è quanto una conversazione sia improvvisata e quanto invece sia preparata  sembrerebbe che una conversazione informale sia lontana da una scena preparata, eppure dovremmo chiederci quante volte ci succede di indurre i nostri interlocutori a farci i complimenti, di indirizzare il discorso verso un argomento che ci sta a cuore introdurre > quest’ultima questione ci porta a tracciare un parallelo tra l’improvvisazione o la preparazione della conversazione informale a quella di un altro ambito in cui l’improvvisazione è assurta a mito fondativo e costitutivo: il jazz  secondo DAVIDE SPARTI, l’improvvisazione nel jazz è caratterizzata da una serie di elementi: - L’inseparabilità = l’atto del comporre è inscindibile dall’atto dell’esecuzione - L’originalità = ogni improvvisazione è differente da quelle precedenti - L’estemporaneità = l’improvvisazione ha luogo nel qui e ora e non è molto in anticipo - L’irreversibilità = non ci si può correggere a seguito di un’esecuzione - La responsività = improvvisare significa reagire ai cambiamenti introdotti nel corso della musica, ossia la capacità di prendere decisioni che influenzano la direzione della musica stessa. Sia nel jazz che in una conversazione informale si può improvvisare, ma i modi e le forme di tale improvvisazione non ci sono del tutto sconosciuti. Riguardo agli elementi dell’improvvisazione nel jazz, la conversazione non soddisfa né l’inseparabilità (non c’è un’azione che corrisponda all’atto della composizione) né l’originalità (a meno di non voler sostenere che parlare del tempo costituisca una dimostrazione di grande originalità. Un po’ come l’improvvisazione nel jazz è per certi aspetti un mito (alla cui produzione e riproduzione non sono estranei gli stessi musicisti), anche il carattere improvvisato della conversazione è spesso apparente. Vi sono molte ordinarie conversazioni che risultano casuali e non pianificate, all’interno delle quali gli attori coinvolti non sanno in anticipo ciò di cui si parlerà. Eppure una sorta di copione implicito è sempre presente, improvvisiamo ma sappiamo bene entro quali limiti farlo. Evitiamo di produrre comportamenti inattesi perché se no può capitare che gli altri diventino impazienti e ci considererebbero strani = abbiamo anche qui quella cospirazione alla normalità. Quando raccontiamo qualcosa della nostra esperienza o di noi stessi, il nostro diventa il capitolo di un romanzo autobiografico. La narrazione diviene un aspetto essenziale della nostra vita, permettendoci di conferire un ordine e una coerenza a un mondo che ne è privo, e soprattutto un ordine e una coerenza a quello che ci riguarda, e che cerchiamo di rendere in tutti i modi piacevole e interessante per chi ci ascolta mentre lo raccontiamo. DALLE CORNICI AL SELF Il contesto, inteso come cornice che applichiamo a qualunque atto comunicativo, ci permette di comprendere non solo che cosa accade nel corso di un evento comunicativo MA anche come si comportano e come si devono comportare i partecipanti all’evento  in tutto questo gioco di incorniciamenti anche i media giocano un ruolo importante. Guardare la televisione può non sembrare esattamente la stessa cosa di intrattenere una conversazione, eppure i modi narrativi con cui si costruisce un racconto televisivo sono per noi particolarmente importanti, dal momento che ci permettono di soddisfare il nostro bisogno di storie e soprattutto perché ci consentono di costruire le nostre storie esattamente con le stesse modalità. Le diverse cornici che mettiamo intorno al parlare implicano una revisione non solo del concetto di contesto, ma anche di quelli di emittente e ricevente. Se io riporto ciò che mi ha comunicato un conoscente, chi è il responsabile di quanto viene riportato? Le cornici della comunicazione ci mostrano che spesso tendiamo a deresponsabilizzarci almeno parzialmente per ciò che diciamo, nonché per come lo diciamo. Se il frame è una cornice attorno alla quale se ne può costruire un’altra, e poi un’altra ancora, in un gioco che evoca le scatole cinesi, allo stesso modo il self del parlante assomiglia a una matrioska, ed è proprio nelle sue riduzioni di responsabilità che possiamo vedere meglio in azione questo gioco di incorniciamento. Il processo comunicativo è un’esperienza stratificata  i concetti di emittente e ricevente sono termini in qualche modo rozzi, vanno decostruiti per formare concetti più raffinati. In relazione al concetto di emittente possiamo individuare almeno 3 funzioni: 1) L’animatore = emette fisicamente l’enunciato 2) Il responsabile = l’entità sociale ala quale il messaggio può essere effettivamente imputato 3) L’autore = formula materialmente il messaggio stesso  Non si parlerà più semplicemente di emittente MA di formato di produzione, dove peraltro le 3 funzioni possono coesistere o meno nello stesso emittente.  Il concetto di formato di produzione facilita la distinzione tra diversi tipi di eventi linguistici, ma ci fa capire che anche all’interno delle conversazioni informali, le diverse funzioni vanno tenute analiticamente distinte, perché ciascuna proietta un self e implica un’identità che può essere non accettata dalle altre. Anche il ricevente viene scomposto in quello che Goffman chiama SCHEMA DI PARTECIPAZIONE: vede ascoltatori ratificati e non ratificati > questi ultimi distinguibili in astanti (presenti, legittimamente, ala conversazione, pur senza prenderne parte) e in origlianti (ficcanaso, spie)  Questa complicazione strutturale del processo comunicativo mostra come la competenza linguistica sia altra cosa dalla competenza comunicativa: la prima si limita alla corretta gestione della grammatica, del lessico, mentre la seconda prevede una capacità di gestione di tutto il balletto rituale della comunicazione (che è complesso). COME FARE FOOTING SOLO PARLANDO Le conseguenze dell’adozione dei concetti di formato di produzione e di schema di partecipazione per l’approccio sociologico allo studio della comunicazione interpersonale. La decostruzione delle nozioni di emittente e ricevente comporta che la posizione del parlante nei confronti dei suoi interlocutori può cambiare con una certa frequenza nel corso dell’interazione, e quindi deve venire definita e ridefinita ripetutamente -> goffman chiama quest’attività di ridefinizione e di allineamento FOOTING.  Un cambiamento di footing implica un cambiamento nella posizione che assumiamo nei nostri confronti e in quelli degli altri presenti. Parlare di cambiamento di footing è un altro modo di parlare di un mutamento del frame con il quale inquadriamo gli eventi. I partecipanti cambiano continuamente il loro footing nel corso della conversazione. Il cambiamento di footing è in genere legato a fatti linguistici o paralinguistici.  In questo modo, la comunicazione interpersonale, e il parlare in particolare, diviene una danza, con le sue mosse, le sue reazioni, e con tutta una serie di trasformazioni disponibili, per rendere quello che si sta facendo ironico, scherzoso, metaforico, malizioso, soave o serio => succede ad esempio mentre narriamo una storia. GRIDI DI REAZIONI  l’individuo è uno solo MA i gridi sono percepibili anche dai presenti:  L’esibizione di uno stato di transizione = espressioni come brrr, sensazioni dovute alle condizioni naturali dell’ambiente, ad esempio un luogo freddo o caldo.  Il grido rivelatore di una perdita di controllo = grido come ooh, oops, anche se sembra una pubblica perdita di controllo, al contrario minimizza l’incidente, poiché esprimendolo mostriamo ai presenti di essere consapevoli di quanto ci è accaduto.  Il trasalimento da minaccia = espressioni che esprimono sorpresa o paura, al contempo esprimono anche il loro essere ragionevolmente sotto controllo.  I suoni di ribrezzo = pur trovandoci in presenza di qualcosa di contaminante minimizziamo la portata di tale contaminazione, con un grido che non è particolarmente serio. Se questi sono i gridi di reazione che emettiamo quando, pur in presenza di altri, non siamo con loro, esistono anche i gridi che emettiamo quando costituiamo un insieme:  Grugniti da sforzo = avvertiamo di non poter essere coinvolti in atra attività rispetto a quanto stiamo facendo  Esclamazione di dolore  Gemito sessuale  Suggerimenti di presa parola = se rido leggendo un articolo di giornale in treno, il mio compagno di viaggio sarà sollecitato a chiedermi perché sto ridendo, dandomi l’opportunità di raccontare cos’ha destato la mia attenzione  Espressioni di gioia LE PARENTESI DELLA COMUNICAZIONE
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