Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Riassunto del libro - STORIA DELLE DOTTRINE E DELLE ISTITUZIONI INFANTILI, Dispense di Storia Delle Dottrine

Riassunto completo e ben accurato di STORIA DELLE DOTTRINE E DELLE ISTITUZIONI INFANITLI. Corso: Scienze dell'educazione curriculum PRIMA INFANZIA (A-L) Docente: Giacomo Piraino Voto: 30L

Tipologia: Dispense

2023/2024

In vendita dal 01/07/2024

teresa_lo_nardo
teresa_lo_nardo 🇮🇹

4.8

(10)

26 documenti

1 / 64

Toggle sidebar

Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica Riassunto del libro - STORIA DELLE DOTTRINE E DELLE ISTITUZIONI INFANTILI e più Dispense in PDF di Storia Delle Dottrine solo su Docsity! 1 Scienze dell’Educazione UNIPA - Anno 2023/2024 Teresa Lo Nardo, Giovanna Garbati Laura Lanza, Valeria Lo Gelfo, Adriana La Bruzzo Michelle Ferranti, Chiara Lo Vetere, Katia Geloso Maria Lena, Simona La Grattuta STORIA DELLE DOTTRINE E DELLE CAPITOLI E PARAGRAFI DA ATTENZIONARE  Capitolo 1: L’educazione in Grecia; L’orfismo e i presocratici; I sofisti e Socrate; Platone; Aristotele; Il pensiero ellenistico; L’educazione a Roma; Il neoplatonismo e la fine della filosofia antica.  Capitolo 2: Agostino, Tommaso D’Aquino  Capitolo 3: L’età di Marsilio Ficino e del neoplatonismo; La controriforma. I Gesuiti e gli altri ordini religiosi.  Capitolo 4: Comenio e la conclusione della pedagogia della Riforma; L’educazione dell’io: Descartes, Hobbes, Spinoza; L’empirismo di Locke; Leibniz  Capitolo 5: Gli esiti dell’empirismo: Berkeley, Hume; Rousseau; Kant.  Capitolo 6: Pestalozzi; Herbart; Froebel; Il pensiero spiritualistico italiano del Risorgimento.  Capitolo 7: Il secondo ottocento; Il positivismo; Il positivismo pedagogico italiano.  Capitolo 8: L’attivismo e il rinnovamento della scuola; John Dewey; Le sorelle Agazzi e Maria Montessori; Makarenko e Whitehead.  Capitolo 9: L’inquieto dopoguerra e il personalismo pedagogico in Italia. I. CAPITOLO: ANTICHITA’ GRECA E ROMANA 1. L’EDUCAZIONE IN GRECIA La storia del processo di civilizzazione coincide con la storia dell’educazione intesa come adattamento all’esistente miglioramento dello stesso, in quanto processo di assimilazione e innovazione. L’assimilazione e l’innovazione descrivono un processo di stato e miglioramento. Non sempre nel corso dei secoli l’educazione ha assunto forme più evolute rispetto ai tempi passati. E’ molto più evoluto Socrate di qualunque scuola costruita all’interno dei conventi. Socrate adottò un processo particolare, lui venne definito come l’educatore degli educatori. Socrate ha un innovazione comportamentale dell’innovazione educativa che molti non avevano (per questo i Sofisti erano contro di lui). La storia dell’educazione è effettivamente quella della città e viceversa, ma tale processo diventa così consapevole e capace di essere teorizzato solo in un certo momento della storia. Nell’occidente europeo ciò avviene all’interno della civiltà greca con la nascita della Filosofia così come intesa dai Presocratici come Sapienza. Nell’antica Grecia il filosofo ha il sé ha la sapienza e la sapienza da le indicazioni agli altri. Essa non è altro che l’intuizione dell’Essere o Principio primo del quale il sapiente manifesta le tracce. Tra gli antichi sapienti, Pitagora è il primo a costituire un centro di iniziazione della filosofia in cui la ritualità è tutt’uno con la formazione, il progetto politico, l’ascesi religiosa. Pitagora apre una scuola aperta a un’élite di persone che lui sceglie. Il sapere della scuola pitagorica non poteva essere divulgato. Pitagora rappresenta un momento specifico che esce dalla logica della polis. Secondo la leggenda nessuno aveva la possibilità di vedere di presenza il maestro. La filosofia si manifesta in grande e diventa tutt’uno con la comunicazione riservata ad un’élite. Tutto ciò avviene mentre altri eventi rafforzano le tante polis della penisola ellenica, entro cui vive un’interessante tradizione orale. Destinati ad essere intrattenimento per agiati ascoltatori, i Poemi Omerici presentano precisi modelli educativi: I. L’Iliade è il poema che rappresenta le forti passioni, illustra e diffonde il modello del guerriero rapace e pronto alla bella morte, che trascina i suoi mediante le sue gesta e la forza fisica, elogio di una bellezza forte e violenta travolta dalle passioni. Nell’arte della guerra non vi è posto per la paura e ciascuno è chiamato a svolgere il proprio compito. L’illiade illustra e diffonde il modello del guerriero pronto alla morte e che mostra la propria forza fisica; è l’elogio del bello, di una bellezza forte e violenta, che si lascia spesso travolgere dalle passioni. L’immagine del guerriero che governa, è in primo luogo, quella del più forte. Ne segue che l’aretè (virtù) consiste nel valore del guerriero, che appartiene alla nobiltà. Tuttavia, anche il più valoroso ha bisogno di essere educato e l’Iliade annovera tra i maestri Chirone e Fenice. L’uomo fa parte di un sistema a lui superiore, che implica il 2 giusto comportamento (l’etica) che è accessibile attraverso un sapere a cui non si perviene immediatamente, in quanto dell’immediatezza vivono solo le passioni e la colpa. MORALE: l’uomo fa parte di un sistema a lui superiore che implica il giusto comportamento accessibile attraverso un sapere a cui non si perviene immediatamente. Nell’immediatezza vivono le passioni e la colpa che gli uomini cercano di placare offrendo dei sacrifici, preghiere e libagioni. II. L’Odissea è il poema della solitudine, della curiosità e dello stupore, testimoniati dalle traversie del peregrinare, dove il guerriero deve misurarsi con la forza smisurata e terrifica della natura. Athena, sotto le spoglie di Mentore, guida Telemaco: il viaggio di Telemaco esprime il cammino del giovane alla ricerca della propria identità attraverso l’apprendere le vicende di suo padre. I rampolli della nobilità hanno ormai bisogno di maestri, di pedagoghi che aiutino i giovani a districarsi nelle faccende della vita, mentre l’eroe continua a misurarsi con le forze avverse. Anche qui vi è un posto esplicito per l’educazione. Omero è stato il grande educatore della Grecia. Alla luce dei poemi Omerici la civiltà greca si sviluppa incamerando i precetti dell’eroismo, del calcolo (ragione), della legge: questi convivono nell’uomo, anche se non sempre armonicamente. Da qui il bisogno della saggezza, necessaria per sfuggire alle insidie. Gli uomini vivono in società (polis) che si costituiscono attraverso un sistema di regole che diventano il diritto e la modalità educative: la finalità di ogni cittadino è la polis; tutti devono conformarsi ad essa. Questo per non permettere di far emergere l’unicità della persona, ma incentiva l’omologazione, in quanto è il cittadino che da forma alla polis stessa. Infatti, l’educazione greca è un modello a sé, ma due città in particolare si segnalano per l’importanza e per diversità. I sistemi educativi di Sparta e di Atene, sono, infatti, l’immagine più vistosa di una diversità di essere che è la diversità di due modelli educativi:  SPARTA: E’ la più importante città – stato della Grecia del VII e VI secolo a.C., La caratteristica è l’impostazione della struttura militare. E’ il primo esempio di stato totalitario perché è rivolto al prevalere del pubblico sul privato. La virtù del coraggio è estesa dal singolo all’intera comunità. Si tratta di una società guerriera divisa in tre classi: o Spartiati: di origine dorica, aristocratica e militarista o Perieci: coltivatori e commercianti che abitano le terre fuori dalle mura o Iloti: servi della gleba, schiavi o L’educazione dello stato era rivolta agli Spartiati per farne dei forti guerrieri pronti a sacrificarsi per la patria. Fondamentale era l’educazione fisica che coinvolge sia uomini che donne. Gli atleti gareggiavano nudi con i corpi spalmati di olio. Largo spazio alla musica (poiché curava l’anima, era terapeutica). Si dice che lo stato prevaricava anche sul privato perché venivano prescelti neonati sani, affidati alle proprie famiglie fino ai sette anni. Dai sette anni ai venti anni i bambini divisi in gruppo sono educati dallo stato, da uno speciale magistrato (pedonomo) che doveva attenzionare la cura morale dei bambini. Oltre ai rudimenti del sapere, l’educazione ruotava attorno alla formazione del perfetto soldato pronto a morire per la patria. Le fanciulle sono educate ma sono educate rigidamente alla procreazione.  ATENE: Diversa educazione, si pratica ad Atene, in particolare dopo il VI secolo. La ginnastica prevale sull’educazione a fini esclusivamente militari. Ampio spazio è lasciato alla famiglia tranne che nel periodo dell’efebia tra i diciotto e i venti anni, tempo in cui i giovani ricevono la formazione militare vera e propria. L’educazione in famiglia dura fino ai 6 anni perché a 7 anni il bambino, almeno quello di BUONA famiglia si reca a scuola accompagnato da uno schiavo (pedagogo) che spesso legge libri e tavolette. L’insegnamento è svolto da maestri privati, di non elevato status sociale, pagati dalle famiglie. Esistono tre tipi di scuola: ▪ Di grammatica ▪ Di musica, di ginnastica ▪ Di palestra I giovani apprendono a scrivere dal grammatista su tavolette spalmate di cerca, con lo stila e passano dopo allo studio della poesia. I testi base dello studio sono le opere di Omero ed Esiodo. Il citarista impartisce l’insegnamento della musica per suscitare armonia nell’anima, spirito religioso e patriottico. La ginnastica è proposta per fornire armonia al corpo ed è tenuta dal pedotriba. Tra gli sport: IL PENTATHLON, IL PANCRAZIO (misto di lotta e boxe), IL NUOTO. Da sempre Sparta e Atene sono stati considerati modelli antitetici. Infatti, rappresentano il modello totalitario (attento a fare del soggetto un perfetto ingranaggio all’interno dello stato) e quello democratico (dove si valorizza il soggetto per sé stesso). In entrambi i casi l’educazione è volta all’integrazione nella società. In ogni caso, le forme di scolarizzazione presenti nella varie polis servono alla formazione del buon cittadino. Il vero sapere è riservato a pochi, cioè a filosofi che trasmettono e argomentano il sapere in maniera personale, al contrario dei maestri di scuola che trasmettono un sapere non loro. PRECETTI DELLA CIVILTA’ GRECA 1. EROISMO 2. RAGIONE 3. LEGGE 4. Per quanto non sempre armonicamente questi precetti convivono nell’uomo, dunque nell’assetto sociale della vita che si ha della Polis, la città – stato, attraverso un sistema di regole che diventano il diritto e le modalità educative. 5 POTERE DI FARE CESSARE IL TIMORE E DI SOPPRIMERE IL DOLORE E DI SUSCITARE LETIZIA E ACCRESCERE LA COMPASSIONE. E’ un discorso che in qualche misura rende le certezze indiscutibili del sacro delle mere convinzioni e speranze non dimostrabili, ma solo sostenute. E tuttavia la forza critica e dissolutiva dei sofisti viene a smascherarsi in un dichiarato trionfo del primato dell’umanesimo, in quanto l’uomo, la persona si rivela il vero ed unico giudice della realtà, non una divinità inconoscibile. La conseguenza è che l’arte sofistica consiste nell’educare gli uomini. I sosfisti diventano il tal modo i primi veri professori in quanto non esitano ad aprire scuole. L’obiettivo degli insegnamenti sofisti è l’acquisizione dell’arte di eccellere nella politica. E’ evidente che ci acquisisce la capacità di convincere ha la possibilità di essere eletto con maggiore facilità. Naturalmente non si può limitare l’argomentare sofistico a mero interesse di parte. I sofisti hanno ben inteso il valore della cultura e le classi agiate del tempo lo comprendono di conseguenza. Il sapere avrebbero potuto essere i loro slogan. Così aprono le scuole, fissandone la durata, il numero degli alunni e la retta che gli stessi avrebbero pagato. Non sono più dei sapienti che insegnano la verità, ma dei professionisti che insegnano delle competenze e delle tecniche. La retorica raggiunge il suo punto più alto e Isocrate limita l’insegnamento di Gorgia alla formazione dell’uomo eloquente, svincolando l’arte della parola dalle tematiche religiose, giuridiche e morali. In Atene intanto insegna Socrate (469 – 399 a.C.) che ha combattuto nelle guerre persiane e conduce una vita modesta. Egli possiede ottima capacità dialettica, ma non intende aprire scuole. Ha per obiettivo la ricerca della verità e per il tramite dell’esercizio della ragione mette in guardia dalle false credenze. Numerosi giovani seguono i suoi insegnamenti, tra essi Platone. Socrate riprende la tradizione alla luce degli strumenti culturali attuati dai sofisti. Suo intento è conoscere la verità o comunque insegnare a cercarla per divenire saggio. Una verità che non può essere cercata fuori di noi, attraverso quei sensi ingannevoli sui cui hanno speculato i sofisti, ma all’interno dell’animo umano. CONOSCI TE STESSO. Socrate giudica relativa la conoscenza sensibile, è un dialettico formidabile; solo che la sua capacità di argomentare (di mettere in crisi) è un punto di partenza, non un arrivo. Il suo punto di partenza è il SAPERE DI NON SAPERE. Di fatto egli è un sapiente, ma la sua sapienza sta appunto nel riconoscere i propri limiti e nella capacità di far saltare, IRONICAMENTE, la saccenza degli interlocutori. Socrate è sempre disposto al dialogo, è colui che chiede, che cerca di capire e che far venire meno le certezze di coloro che si illudono di conoscere. In questo la sua ironia è più tagliente di ogni discorso sofistico, ma il suo argomentare non ha una funzione demolitrice. Dopo che ha dissolto le credenze fallaci, egli cerca di mettere il suo interlocutore nelle condizioni di cercare a sua volta dentro di sé la verità. Qui la sua ARTE MAIEUTICA. Come la levatrice, Socrate vuole aiutare l’interlocutore a cercare la verità dentro di sé. La verità essendo immutabile è scienza e pertanto insegnabile. Il sapere è agire. Chi conosce il vero non può fare il male (INTELLETTUALISMO ETICO). Nelle sue conversazioni non definisce il coraggio, la temperanza, la pietà. Mette nelle condizioni d’intenderli senza definirli. Socrate è ancora un antico sapiente consapevole che nulla, meglio dell’immediatezza, riesce a far intravvedere la luce dell’infinito, che la riduzione a concetto espresso in parole non riesce a rendere appieno. Socrate è uno dei massimi educatori della storia, uno di quei maestri che sa comunicare. Egli pretende discepoli che cerchino proprio conto più che ripetere inutilmente. Non può lasciare nulla di iscritto. Attraverso Socrate giugne a compimento la sapienza orale greca. Dopo di lui, il discepolo Platone scriverà forse in primo luogo per fissare i suoi ricordi di Socrate, poi per fissare gli approdi della sua riflessione personale. Consegna alla pedagogia il significato di carisma, proprio di alcuni sapienti, capaci di coinvolgere e quindi effettivi maestri. La sua arte oratoria pone i primo piano l’esigenza, peraltro ancora embrionale, dell’autoeducazione. In questo esiste una perenne attualità dell’insegnamento socratico. L’uomo sapiente, per lui, deve essere al tempo stesso virtuoso e felice, ma ciò sarebbe proprio solo di colui che sarebbe giunto al vertice del processo della conoscenza. Egli si considera un uomo disposto a servire lo stato. In un Atene rovinata dalla disfatta di guerra contro Sparta egli è accusato di essere un sofista, di aver contribuito al disfacimento della società, di aversi fatto scherno delle divinità. È un'accusa che può costargli la vita. I governanti del tempo vogliono processare tutta quella cultura che ha condotto al disordine. Basterebbe che Socrate riconoscesse delle colpe ma non vuole umiliare il suo sapere e conferma ogni sua tesi. Viene così giudicato e condannato a bere la cicuta. Il filosofo accetta la pena e rifiuta ogni tentativo di fuga reputando che mai un cittadino avrebbe dovuto obbedire ai verdetti dello Stato, per quanto ingiusti. Sa mostrare con la propria morte cosa significa la coerenza per un filosofo. Socrate rimane una delle più alte figure di educatore al tempo stesso chiarisce il senso che deve avere la pedagogia: ricerca e insieme insegnamento della verità, di una verità non aprioristicamente posseduta da far continuamente propria attraverso il diuturno sforzo di migliorarsi. 2. PLATONE I sofisti e Socrate svolgono un ruolo innovativo nella storia della pedagogia, mettendo al centro dell’azione l’umanità libera: i sofisti con il loro relativismo, Socrate con la sua libera scelta di morire. I sofisti inoltre aprono scuole e inventano il ruolo del professore a pagamento. Socrate esplicita il concetto di autoeducazione come necessità che ha l’uomo di esporsi in prima persona per la ricerca del vero. Platone (427 – 347 a.C.) proviene da famiglia aristocratica e del suo rango mantiene la concezione elitaria del sapere. L’interesse per la politica non lo rende lontano dalle posizioni dei Trenta Tiranni. Di Platone restano Dialoghi e Lettere. E’ il primo filosofo di cui ci è pervenuta l’opera quasi completa, e gli studiosi si sono non poco affaticati nel mettere in ordine cronologico i Dialoghi, distinguendo tra quelli in cui l’influsso di Socrate è maggiore rispetto a quelli in cui Platone va man mano con più vigore esponendo le proprie tesi, senza mai mettere da parte le suggestioni socratiche. Su Platone influiscono sia il pitagorismo sia la cultura orientale, che egli assimila nel soggiorno egiziano. Né si può sostenere che tutta la sua filosofia si raccolga nei suoi scritti, in quanto, come spiega nel Fedro, la scrittura non accresce né la sapienza né 6 la memoria degli uomini, bensì genera l’apparenza della sapienza: l’opinione. I principi primi e i supremi non sono illustrati nei dialoghi perché potrebbero essere non compresi col rischio di generare incomprensioni. Quali siano i principi primi e supremi, possiamo dedurlo grazie alle costanti allusioni che il filosofo ateniese inserisce nei suoi dialoghi e nelle testimonianze che ci hanno lasciato a riguardo Aristotele e altri allievi. Secondo Platone la logica non è sufficiente a chiarire e ad illustrare alcuni concetti. Nei suoi Dialoghi si serve dei miti, un modo favoloso di comunicare la verità. Il suo pensiero comporta una dimensione intuitiva che deve servire di accesso al soprasensibile, senza la quale la sua trattazione si manifesta utopistica. Platone conserva ancora le tracce dell’antica sapienza e lo stesso discorso politico che svolge esplicitamente in opere come LA REPUBBLICA e LE LEGGI. Il modo argomentativo scelto da Platone è quello del dialogo tra diversi interlocutori, ciò consente non solo che gli scritti abbiano una loro piacevolezza ma che si serbino anche un tono stimolante, capace di provocare suggestioni. I DIALOGHI sono 36, raccolti in 9 tetralogie. Si è molto discusso sulla loro autenticità, anche se ormai la maggior parte dei dubbi è stata fugata. Caratteristica del pensiero Platonico è quella di non costituire un sistema definito, bensì una riflessione in fieri che però si sviluppa lungo precisi nodi tematici: La teoria della conoscenza: il pensiero di Platone è una critica al relativismo sensista dei sofisti. Nel Teeteto il personaggio Socrate spiega che la conoscenza non coincide con la percezione sensibile, che può essere ingannevole. La conoscenza sensibile è sempre relativa e in questo i Sofisti avevano ragione. La vera conoscenza è altra cosa. La problematica ritorna più volte nel filosofo ma è affrontata nella Repubblica dove distingue tra opinione e conoscenza: 1. OPINIONE: è in relazione alle immagini 2. CONOSCENZA: è in relazione alle idee, agli archetipi. Così, nel libro VI della Repubblica spiega la differenza tra conoscenza matematica e quella dialettica e la superiorità di quest’ultima. Il mito della caverna: che è pure un prezioso trattatello pedagogico, in un’opera filosofico – politica che può essere considerata come un trattato pedagogico. Scrive Platone nel libro VII della Repubblica di immaginare gli uomini come viventi nell’antro di una caverna, voltando le spalle all’ingresso aperto verso la luce. Essi sono legati alle gambe e al collo. Un muretto starebbe fuori dalla caverna e al sotto di questo ovviamente non visti, passano altri uomini che portano statue e altro, tutto materiale la cui ombra, insieme all’eco delle voci, è percepita dagli uomini legati. Questi credono che le ombre e l’eco delle voci siano la vera realtà. Si supponga che qualcuno liberato dai ceppi si giri verso l’uscita e la luce: avrebbe difficoltà a sopportarla. Qualora ce la facesse, non senza fatica, comprenderebbe che le ombre sono delle ombre e che la verità è altro. Prima vedrebbe le statue, poi gli enti reali, quindi il sole. Ma se tornasse poi tra gli uomini legati e dicesse loro cosa egli ha visto non sarebbe creduto e andrebbe incontro a gravi pericoli riguardanti la propria incolumità. Dal punto di vista gnoseologico sono individuati i diversi piani della conoscenza: • L’eikasia o immaginazione: la visione delle ombre • La pistis o credenza: la visione delle statue • Quindi inizierebbe la vera conoscenza che si divide in: o Dianoia: la sapienza dei matematici o Noesis: la vera conoscenza, propria dei filosofi, l’unica attraverso la quale si può pervenire dalle idee supreme. La realtà non è solo formata da diversi gradi ontologici (mondo sensibile e sovrasensibile) ma perché sia compresa occorre un processo iniziatico che perviene ad una visione mistica dell’Idea, che comporta una forte morale ascetica: conoscere la realtà vuol dire fuggire dal male del mondo. Che cos’è l’Idea per Platone? Essa non vuol dire rappresentazione mentale, bensì il vero essere, l’oggetto specifico del pensiero. Le idee sono archetipe, hanno una realtà metafisica, non fisica, i cui caratteri sono: ➢ L’intellegibilità ➢ L’incorporeità ➢ L’essere in senso pieno ➢ L’immutabilità ➢ La perseità ➢ L’unità Il che significa che il molteplice si spiega solo con l’Uno, in quanto, come dice nel Fedone, ogni molteplice, anche le Idee, deriva da una Diade che è principio e radice molteplice. Dal molteplice l’uomo deve uscire. L’anima immortale godeva una volta della visione delle idee, poi ha commesso peccato, è caduta e si è incarnata. Si tratta di realizzare una vita retta, affinché l’anima possa tornare alla visione delle Idee, purificandosi per il tramite della trasmigrazione in vite differenti. E poiché l’anima ha in un tempo lontano visto le Idee, ossia la verità, conoscere è alla fine ricordare, riscoprire ciò che è dentro di noi. Così nel Fedone: “Avendo acquisito le conoscenze prima che nascessimo, noi le abbiamo perdute nascendo, e poi, giovandoci dai sensi, riacquistiamo quelle medesime conoscenze che possedevamo in precedenza; ebbene, quello che noi chiamiamo apprendere non è un riacquistare una conoscenza che era già nostra? E se diciamo che questo è un ricordare, non parliamo forse in modo corretto?” 7 Di qui segue il ragionamento sulla immortalità dell’anima, la quale essendo strutturalmente connessa all’idea di vita non può accogliere la morte e quindi il bisogno di vivere rettamente, sì da ricongiungersi alla fine di questa con l’eterno vero. La complessa concezione Platonica fa sì che il suo progetto politico non sia altro che un grande percorso educativo, in cui l’ideale tende a concentrarsi nel reale, e non può non farlo perché l’ideale è l’unico vero reale. L’esigenza dello stato ideale nasce dalla consapevolezza che senza regole sarebbe impossibile la giustizia, quindi la pace, e il mondo verrebbe affidato all’abilità dei più forti o dei più ambiziosi, dei più convincenti. Di qui una visione gerarchica della realtà sociale, determinata dalla presenza di tre classi, alle quali non si è determinati dalla nascita, bensì dall’indole e dalla capacità. La prima è quella dei contadini, commercianti e artigiani. Essi costituiscono i produttori dei beni dello Stato. Possono avere beni e ricchezza, vivere in quella che è la comune quotidianità, senza però lussi sfrenati che possano alterare l’equilibrio sociale. Al di sopra di tale classe vi è quella dei custodi o guerrieri ai quali è affidato non solo il reggimento e l’equilibrio dell’ordine interno ma altresì la difesa della polis. Devono essere di indole fiera, ma mansueta, forti nel fisico e amanti del sapere. Ad essi è richiesta una particolare educazione. Dovendo provvedere all’integrità dello stato, avranno mense e abitazioni comuni e riceveranno dagli altri cittadini quanto serve per vivere. Il loro corpo sarà educato per il tramite della ginnastica e della poesia e della musica, liberate da ogni forma di effeminatezza e turbamento. I filosofi costituiscono la terza e più alta classe sociale. Essi sono i detentori delle quattro virtù fondamentali: 1. La sapienza 2. La giustizia 3. La fortezza 4. La temperanza Lo stato non è altro che l’anima in grande, in quanto dell’anima rispecchia le tre caratteristiche: 1. La passionalità (la ricerca e la produzione dei beni: la prima classe) 2. L’irascibilità positiva (i custodi) 3. La razionalità (i filosofi) Ognuno nello stato deve svolgere le funzioni che sente secondo giustizia e per questo lo stato assicura a tutti l’ordine e la felicità. Occorre precisare che il compito dei custodi è di vivere in funzione dell’equilibrio dello Stato, tutto tra loro deve essere in comune: non solo le cose, ma anche le donne, i figli, l’allevamento e l’educazione della prole. Mentre ciò non avviene per la classe dei produttori. Ne segue che le donne dei custodi avranno la stessa educazione degli uomini. Non vi sarà però per essi la famiglia e gli accoppiamenti saranno in funzione di una eugenica sociale e fisiologica. I figli potranno essere generati da uomini tra i 30 e i 55 e da donne tra i 20 e i 40. I figli appena nati saranno sottratti alla madre ed allevati in scuole di Stato. Resta il problema di chi sarà il filosofo. E’ chiaro che in un’impostazione fortemente meritocratica come quella platonica, la selezione non può essere decisiva. L’educazione ginnico-poetico-musicale rende l’uomo armonioso ed equilibrato. Non basta in sé ad iniziare alla sapienza che implica il passaggio dal sensibile al soprasensibile. I più idonei, scelti tra i custodi e per il tramite di prove indirette quali i giochi, devono studiare matematica, geometria, astronomia e scienza dell’armonia. I meritevoli sono quelli che rivelano una natura dialettica, sicché tra i 35 e i 50 anni assumeranno cariche varie ove dovranno dimostrare attitudine al retto comando. Solo a 50 anni, i migliori, potranno essere assurti a reggitori. Capaci di concepire e desiderosi di contemplare il bene, essi reggeranno lo Stato. E’ chiaro che il complesso itinerario Platonico è in una certa misura il culmine e il paradigma della Paideia greca; per più aspetti la riassume nell’attenzione alla cura del corpo e dell’anima per la fusione degli ideali di bellezza, verità, bontà, ma se ne serve per l’edificazione in questo mondo del modello ideale di Stato. Non si tratta tanto della filosofia del potere, ma dell’esplicazione che la filosofia è SOPHIA, scienza illuminante e solo il sapiente può e deve governare. Nel pensiero Platonico culmina l’ideale del merito. Tutto ciò che i posteri intenderanno per classico in Platone non è solo presente ma curvato verso un itinerario educativo, che nella sua dimensione umana ha una conoscenza politica, ma nella sua vera dimensione è un’ascesa mistica, in cui confluisce tutta la dottrina orfico – pitagorica, raffinata dall’insegnamento dell’ironia socratica. Platone è il filosofo della libertà che vuole che tutto sia la posto giusto per la gioia di tutti. Il fascino millenario del suo pensiero è appunto nella sua capacità di andare oltre i limiti del sensibile e di progettare in questo mondo il segno del sovrasensibile. La sua teoria pedagogica sarà il punto di riferimento per tutte le successive dottrine che non vorranno chiudere il discorso educativo o una mera precettistica o ad un tecnicismo strumentale. Con Platone si conclude la cultura greca classica, quella delle polis. 3. ARISTOTELE Aristotele (384 – 322 a.C.) nato a Stagira nei pressi di Macedonia. Compone testi destinati ad un pubblico vasto e scritti composti per gli scolari, meno elaborati stilisticamente. I primi sono andati perduti e di essi ci rimangono qualche titolo e pochi frammenti. Corposo è invece il numero di iscritti composti per la scuola, che sono inizialmente custoditi dal suo successore di Liceo, Teofrasto. I capisaldi del pensiero aristotelico sono esposti nei quattordici libri della Metafisica. Il termine, che attualmente designa le scienze teoriche che ricercano il sapere per se stesso (distinte dalle scienze pratiche, quali la morale e da quelle poieutiche o produttive), indica inizialmente i libri raccolti dopo quelli pertinenti la fisica, ed Aristotele parla di filosofia prima, distinguendola dalla filosofia seconda o fisica. Di fatto la metafisica indaga: 1. Le cause e i principi primi o supremi 2. L’essere in quanto essere 3. La sostanza 10 5. L’EDUCAZIONE A ROMA La civiltà romana non ha avuto filosofi brillanti come in Grecia, ma ha delle solide basi, tra cui educative. Da Tito Livio apprendiamo che vi erano nel foro e altrove delle scuole pubbliche, ma la vera e prima scuola per il bambino è data dalla partecipazione alla vita della famiglia, la quale era un’istituzione importante nella società della Roma regia e poi repubblicana. Il padre è il perno della famiglia (il pater familias) con il suo potere assoluto su tutti i membri, dalla moglie ai figli ai domestici. Fino alla Repubblica, il ruolo dell’insegnamento pubblico è marginale: è la famiglia ad impartire i primi principi morali e religiosi, che richiamano il mos maiorum (costume degli antenati). Per prima cosa si insegna la pietas (reverenza) vero gli Dei e verso i genitori, i quali devono avere una reverenza anche verso i figli. Le virtù da insegnare sono quelle in cui il rispetto per le istituzioni si accompagna all’equilibrio psico-fisico: la modestia, la fermezza del carattere, il coraggio, la prudenza, la serietà, la temperanza, l’obbedienza delle leggi. Nella Roma arcaica vi era l’uso del padre che debba riconoscere come proprio il bambino appena nato: un piccolo non riconosciuto viene esposto e quindi abbandonato, però ci sono delle divinità che si prendono cura del piccolo. Dopo otto giorni dalla nascita della femmina e nove da quella del maschio, la casa viene purificata con acqua lustrale, si celebra un sacrificio, si dà al bambino il nome e gli si appone al collo un amuleto a forma di cuore che possiederà fino alla maggiore età. Nella famiglia l’educazione è affidata alla madre: il figlio è allevato nel grembo e tra le braccia della madre, la quale deve dedicarsi ai figli e custodire la casa. Con il tempo si conferisce maggiore importanza al ruolo della donna all’interno della casa che può accompagnare il marito ai banchetti. La bambina viene istruita insieme ai maschi; solo dopo, essendosi diffusa la cultura ellenistica, si pensa ad un’educazione separata. L’educazione del padre subentra successivamente, quando i figli assistono e prendono parte alla vita e alle decisioni del padre. L’esempio ha un valore fondamentale. Solo in età repubblicana avanzata si ricorre ad un maestro esterno che insegni a leggere, a scrivere, a far di conto e apprendere a memoria le leggi delle Dodici Tavole. Dopo, l’insegnamento privato viene suddiviso in tre gradi: 1. Il primo grado dell’insegnamento è quello del litterator, non dissimile dal grammatista greco, che insegna a leggere, a scrivere e il calcolo. Egli insegna nella scuola elementare ed è per lo più uno schiavo affrancato (un liberto) che riunisce i bambini in una casa o in una bottega. 2. Il secondo grado dell’insegnamento è il grammaticus, il quale insegna nella scuola secondaria. Questa figura sorge nel 240 a.C. e svolge un ruolo sociale più alto e il suo insegnamento mira alla spiegazione degli scrittori. Come dirà Quintiliano, il compito del grammatico è quello di curare la maniera di esprimersi e l’interpretazione degli autori. 3. Il terzo e ultimo grado dell’insegnamento è il rethor rivolto all’insegnamento dell’eloquenza e quindi al tirocinium fori. L’oratore è considerato un soggetto moralmente probo, culturalmente preparato e capace di svolgere una declamazione efficace Buona parte dell’insegnamento è, tra le famiglie agiate, svolto nelle case, da maestri (di solito schiavi) preposti all’istruzione: questo schiavo è chiamato litteratus o paedagogus. Le testimonianze sull’educazione antica provengono da Catone, Cicerone, Seneca e Quintiliano. 4. CANTONE IL CENSORE Catone il Censore (234-149 a.C.) era fortemente ostile al processo di ellenizzazione in una Roma che stava per diventare capitale del Mediterraneo. Si oppone all’eloquenza dialettica di Carneade. Scrive per il figlio il “De agri cultura liber”, un’opera concepita come guida per la buona amministrazione dell’azienda agricola poiché Catone voleva ancorare il destino della città all’attività rurale e, secondo lui, solo dall’agricoltura si ottiene un guadagno onesto e sicuro. 5. MARCO TULLIO CICERONE Marco Tullio Cicerone (106-43 a.C.) considera fondamentale per l’oratore possedere una cultura filosofica; era avverso all’epicureismo ed un eclettico stoicizzante. Lui si distingue come oratore sia dagli attici (eloquenza sobria, chiara, essenziale, lontana dagli artifici) sia dagli asiani (eloquenza splendida, colta e coinvolgente): preferisce dichiararsi per la scuola rodia, una sorta di via di mezzo tra le due. Secondo Cicerone, l’educazione deve insegnare a ben vivere e non deve essere difforme dalle indicazioni della natura. Nel suo trattato “De officiis” egli distingue i doveri relativi di cui si può dare una giustificazione approvabile e il dovere assoluto e giudica che il fondamento della giustizia è dato dalla veracità e dalla fedeltà riguardo alle promesse e ai patti. Per Cicerone, l’obiettivo della vita pubblica è quello di rendersi utile alla maggior parte delle persone degne e non obbedire ai capricci e alle passioni. 6. LUCIO ANNEO SENECA Lucio Anneo Seneca (4 a.C.-65 d.C.) è un rappresentante del tardo stoicismo. Nel “De ira” scrive che la buona educazione è difficile, in quanto da una parte occorre impedire il naturale individualismo, dall’altra è necessario non mortificare il carattere. Dunque, necessita di una via di mezzo che ora freni e ora stimoli. Per quanto riguarda l’infanzia, occorre tenerla lontana dalla lusinga, avviandola verso la conoscenza della verità, del rispetto e del timore. D’altra parte, i maestri devono essere sereni in quanto essi sono dei punti di riferimento per i giovani. Quello che più conta è la giustizia sociale, per questo non potrà essere perdonato chi semina il male senza pentirsene, ma è difficile pensare che si possa essere senza colpa. Nelle “Lettere a Lucilio” conduce un percorso verso la saggezza e afferma che il punto d’arrivo della conoscenza rimane la verità e ad essa si arriva se si conoscono i principi generali che riguardano la vita intera: il bene e 11 il male, l’onestà e la disonestà, la giustizia e l’ingiustizia, la pietà e l’empietà. Con Seneca giunge al culmine, nel mondo romano, quella letteratura che sa accompagnare e consigliare l’uomo nei momenti difficili della vita, quando è difficile mentire prima se stessi che agli altri. Egli sa che tutto scorre secondo una legge certa e non ci si deve lamentare, accettando con tranquillità la vita. 7. QUINTILIANO Di Quintiliano (35-96 d.C.) è pervenuta solo un’opera completa di educazione dell’antichità romana, l’“Institutio oratoria”, la quale è rivolta alla formazione del perfetto oratore. Egli è d’accordo con la distinzione tra litterator, grammaticus e rethor e preferisce la scuola pubblica a quella privata, con maestri in casa, perché essa può essere esente da difetti. Se l’obiettivo è formare il perfetto oratore, colui che è destinato a vivere una vita di relazione, non può che confrontarsi da subito con il prossimo poiché la socializzazione è fondamentale. Ci dà, inoltre, un ritratto dell’insegnante che è valida anche oggi, cioè, deve essere come un padre per gli allievi, deve essere austero ma non arcigno, cordiale. Inoltre, quest’opera presenta il significato e il ruolo della retorica, distinta in arte, artista e opera: l’arte è la scienza del parlare bene; l’artista è colui che ha assimilato l’arte e quindi è l’oratore; l’opera è il frutto dell’oratore, ossia l’orazione. Il trattato è un punto d’arrivo della pedagogia del tempo. Quintiliano è favorevole a far attivare la memoria nei bambini e a farli apprendere anche attraverso il gioco. È contrario alle punizioni corporali è il compito del grammatico è sia l’avvio alla scienza del parlare correttamente, sia la spiegazione dei poeti. Tra le discipline da studiare: dalla grammatica alla poesia, la musica, la geometria, il teatro, la ginnastica. Anche per lui, l’uomo pubblico deve essere morale. Vengono poste attenzioni ad una corretta didattica, alle indicazioni delle discipline da insegnare e si manifesta l’esigenza della latinità: la coerenza tra vita pubblica e privata. Questo è il vero modello educativo su cui la romanità intende poggiare la sua nobile essenza. Ai tempi di Quintiliano risale la vera scuola pubblica. 6. IL NEOPLATONISMO E LA FINE DELLA FILOSOFIA ANTICA Mentre si diffondeva il cristianesimo si riprendono temi di una metafisica che cera di conciliare la spiritualità filosofica e quella più religiosa. Uno dei primi artefici è Filone di Alessandria, in cui l’influsso pitagorico e platonico si coniuga con lo studio biblico. Egli riprende il concetto di creazione dal mondo ebraico e cerca di mediarla con quello che Platone scrisse nel “Timeo”. A Dio si può pervenire grazie alla fede. La ragione ha il compito di respingere il male e scegliere il bene, ma l’ascesa al divino avviene nel rifugiarsi in sé stessi per poi uscire da sé, verso le realtà incorporee e unirsi misticamente a Dio. Le tendenze mistiche sono presenti anche nei neopitagorici come Numenio per cui la monade è Dio e la Diade indefinita è la materia sensibile in cui convivono il bene e il male. Il compito dell’uomo è la purificazione e il ritorno all’assoluto. Il tema mistico ed esoterico è presenti in alcuni scritti in cui si illustra una gerarchia del divino che dopo sarà definita nel neoplatonismo di Plotino. Lo scopo di tutto questo pensiero è la ricongiunzione col divino ad opera del teurgo, che è colui che sa evocare gli Dei e mettersi in contatto con loro. Il neoplatonismo di sviluppa ad Alessandria con Sacca. Plotino, suo allievo, apre la sua scuola a Roma e insegna come sia dovere degli uomini riunirsi estaticamente al divino. Il principio assoluto è l’Uno che è libera attività autoproduttrice da cui procedono diverse ipostasi, l’intelligenza e l’anima. il compito dell’uomo è di riunirsi all’Uno attraverso la contemplazione, che è silenzio: è la fuga da solo a Solo. Questi temi vengono ripresi anche da Amelio, Porfirio e Giamblico, il quale presenta le pratiche magiche per realizzare l’unione teurgica con la divinità. Un altro teurgo è Proclo nei cui scritti si sviluppa il complesso rapporto tra l’incorporeo e il corporeo, e viceversa. Egli afferma che tutte le cose sono in noi sotto l’aspetto psichico e che pertanto occorre raccogliersi dentro di sé per protenderci all’indicibile. I neoplatonici pongono in primo piano il problema del divino e intendono risolverlo in chiave esoterica oppure ermetica. Il loro processo educativo è una purificazione interiore che conduce alla possibilità dell’unione mistica. La filosofia e la religione tornano ad essere tutt’uno; diversamente il cristianesimo, che stava diventando religione ufficiale dell’Impero Romano, farà sorgere altre distinzioni. Così avviene che la storia dell’educazione, sin dall’antichità, ponga due grandi percorsi che s’incontrano, altre volte si ignorano, e si contrappongono: 1. Il primo percorso è legato alla salvezza: è il percorso magico-religioso; 2. Il secondo percorso è legato alla trasmissione: ha una valenza pratica, funzionale che non solo consente agli individui di farsi avanti nella società, ma permette alla stessa società di sopravvivere in quanto agglomerato umano può perdurare solo se riesce a soddisfare i bisogni e migliorare la qualità della vita Sotto questo punto di vista si spiega il lento e difficile processo di insegnamento a misura dell’alunno, che tenga presente gli elementi del sapere e che sia fruibile da coloro che apprendono. L’aspetto formativo è quello che prevale nelle scuole vere e proprie e che si colora di risvolti etici in quanto induce a buoni comportamenti, ma anche politici e religiosi. La scuola non sarà l’unica istruzione educativa, ma sarà prevalente sino al secondo millennio dopo Cristo. Chi affronterà l’educazione sotto questo aspetto sarà un professionista e più che di educazione si parlerà di istruzione, con l’obiettivo di vivere meglio nel mondo. Il primo percorso è collegato alla sapienzialità, il quale tende ad una biforcazione, a due sotto percorsi: uno di essi è quello delle grandi religioni confessionali; l’altro è quello iniziatico, spesso connesso al primo, ma non è sempre dipendente. Il neoplatonismo di Plotino e Proclo è un punto di arrivo di questo percorso e tale dottrina consente una possibilità di salvezza al singolo che sa elevarsi spiritualmente da penetrare nell’anima. è il percorso di salvezza del singolo, del filosofo, del sapiente. Nel frattempo, anche il cristianesimo predica la salvezza dell’uomo che si è fatto puro come un bambino, offrendo la certezze che ai puri di cuore sarebbe stato concesso l’ingresso nel Regno dei cieli. 12 II. CAPITOLO: CRISTIANESIMO E MEDIOEVO 1. L’EDUCAZIONE CRISTIANA L’ editto di Costantino del 313 garantì la libertà di culto, legittimando così il cristianesimo. Il cristianesimo è sin dagli albori considerata una religione dotta grazie ai Testi Sacri di riferimento e luoghi di culto ma la semplicità del messaggio di Gesù permise che attecchisse anche in contesti familiari e più umili. L’educazione familiare dell’epoca fece propri i messaggi di purezza, umiltà, fratellanza benevolenza per far crescere i propri pargoli sulla strada della rettitudine. San Giovanni Crisostomo poi evidenziò come anche tramite la semplice lettura dei Testi Sacri si innescava nel bambini la voglia di apprendere e fare propri i principi cristiani. Quindi era sì una religione dotta ma anche altamente pratica e funzionale. I messaggi Cristiani di liberarsi dallo sfarzo e dagli eccessi della vita terrena, per poter accedere alla vita eterna, pongono il cristianesimo in contrapposizione con l’idea di benessere dell’età imperiale di Roma. Per contrastare l’avanzare di questa filosofia nettamente discordante con i principi lasciati da Gesù, nacquero le prime scuole catecumenali. Dove i discepoli da convertire (catecumeni) assistevano alle catechesi, impartite dai didaskaloi sia da sacerdoti che laici. Il percorso educativo durava 2/3v anni. Nella fase iniziale il discepolo era un semplice uditore, successivamente diventa pregante, poi competente ed infine una volta battezzato diventa neofita. Nel frattempo, presero vita le prime scuole catechetiche dove venivano apprese oltre il cristianesimo anche le altre religioni pagane, i prodromi dei seminari, la più nota è quella di Alessandria. 2. LA DOTTRINA DEI PADRI DELLA CHIESA Per Padri della Chiesa s’ intendono coloro i quali, dalla seconda metà del II secolo d.C., contribuirono a definire i fondamenti della dottrina cristiana tale filosofia è detta Patristica. Possiamo dividere i Padri della chiesa in due filoni quelli di oriente e quelli di occidente. Tra i quelli orientali dobbiamo annoverare Clemente Alessandro, e il suo “Proteptico”, sintesi perfetta dell’approccio orientale nei confronti della cultura greca. Essa è propedeutica alla verità cristiana, le verità parziali ci sono fornite da Platone e gli altri maestri, mentre la Verità assoluta ci è data solo dal Maestro, dal Pedagogo per eccellenza: Dio. Il tramite grazie al quale l’uomo può sottrarsi dagli impedimenti terreni e materiale sono il logos, il castigo, il biasimo e l’ammonizione. altri padri della chiesa orientali da ricordare sono Giustino, Giovanni Crisostomo, e Origene, anche se da quest’ultimo la Chiesa ne prese le distanze non solo per essersi mutilato, per garantirsi la purificazione, ma anche per il concetto di apocastasi, ovvero che con la fine del mondo sarebbe venuto meno il tormento dei dannati e tutti sarebbero assunti in cielo. La fazione occidentale dei Padri della Chiesa risulta molto più variegata si passa dall’integralismo cristiano di Tertulliano ad un approccio più inclusivo e mitigato di Gerolamo, che riconosce l’importanza dello studio dei classici greco-romani ma rivendica per importanza di contenuti e testi il primato della dottrina cristiana su tutte le altre. 3. AGOSTINO Agostino nasce nel 354 a Tagaste, in Numidia. Dopo aver aderito al neoplatonismo, si convertì al Cristianesmo. È eletto vescovo di Ippona, in Africa, nel 395 e muore nel 430. Per il filosofo, poiché la mente umana è mutevole e temporale, l'uomo conosce la verità solo attraverso l'illuminazione divina che rende capaci di intendere l'immutabile. Ciò avviene guardando nell'interiorità e cogliendo in essa la verità che proviene da Dio. Un Dio che crea il mondo dal nulla e pertanto tutte le cose devono a Dio il loro essere. Agostino si pone allora in maniera decisiva il problema del male. Se Dio è il bene, il male risiede nella libera scelta dell'uomo. Il male non è altro che l’allontanarsi dall’essenza delle cose e, pertanto, è assenza di ordine. Il monaco Pelagio gli obietta che in questo caso l'uomo giusto sarebbe da solo capace di ascendere al cielo. Ciò renderebbe inutile la venuta di Cristo. Agostino replica che con Adamo ha peccato tutta l'umanità. Solo Dio, nella profondità del suo essere, concede ad alcuni la grazia, la possibilità di salvarsi. La storia del mondo non è allora altro che la contrapposizione tra due città: quella di coloro che amano Dio e lo antepongono a se stessi; quella di coloro che, avvinti dalle passioni, antepongono se stessi a Dio. In lui la tensione mistica, che è soprattutto mossa dall’intelletto, è in continuo rapporto con la necessità della mediazione razionale alla luce dei sacri testi. Negli scritti di Agostino non mancano indicazioni su come educare. In primo luogo, esprime il suo punto di vista di fronte alla questione del rapporto tra cultura cristiana e cultura pagana. Egli giudica quest'ultima (cultura pagana) utile nell'istruzione di base, senza però farne un fine in sé. Nel De Doctrina Christiana reputa che per bene intendere la Sacra Scrittura sono necessari: il latino, il greco e l’ebraico; le arti liberali, da quelle letterarie (come la grammatica, la retorica, la dialettica) a quelle scientifiche (come l'aritmetica, la geometria, la musica, l'astronomia). Nelle Confessioni afferma che i cristiani debbono portare con sé quanto elaborato dai pagani per dedicarlo al vero Dio. Tale concezione strumentale è invero un modo per conservare dignità al pensiero antico e per giustificare la sua permanenza all'interno della civiltà cristiana Anche perché l'istruzione non è necessaria per la salvezza eterna, considerato che ciò che veramente conta è la purezza interiore. Un trattato pedagogico è il De Magistro. Il punto di riferimento è Platone col suo Menone, dove lo schiavo ossia Socrate ricorda l’applicazione del teorema di Pitagora. Sotto tale profilo l'educazione coincide con l’autoeducazione, però essa è dentro di noi non in quanto frutto umano, ma generata da Dio. Il vero maestro, infatti, è colui che è nei cieli. Dio si è fatto maestro interiore e comunica con gli uomini, per questo è possibile essere educati. E tuttavia, il filosofo puntualizzi con chiarezza come la verità provenga sempre da Dio e che il vero maestro che abita dentro di noi sia la voce di Dio, è pure evidente che egli valorizza lo sforzo della persona, e in questo senso potrebbe essere considerato l'effettivo fondatore dell'Umanesimo pedagogico cristiano. Nel 15 fuori. Questo non esclude la possibilità che il discendente possa da solo pervenire alla scienza ma è necessario, comunque, che qualcuno lo aiuti. 1. Di qui l’importanza della doctrina che è quella del maestro, il quale, possedendo la scienza agevola il processo di apprendimento dello scolaro attraverso il suo aiuto. 2. Quando la ragione naturale giunge da se alla conoscenza di cose ignote si chiama Invenzione. Dall’insegnamento del maestro lo scolaro apprende non i principi, che vengono da Dio, ma le conclusioni. L’insegnamento come spiega Tommaso nel De Magistro è volta all’apprendimento della scienza. Per Tommaso, come per Agostino, Dio è l’unico vero insegnante. Un punto fondamentale del pensiero pedagogico di San Tommaso è considerare i genitori tali non solo perché hanno generato fisicamente il figlio ma anche perché hanno promosso la sua formazione educandolo. 7. L’AUTUNNO DELLA FILOSOFIA MEDIEVALE Con la morte di San Tommaso inizia il declino della filosofia medievale (egli rappresentava l'organicità del sistema proprio della mentalità del Medioevo.) La crisi della supremazia del papato e dell’Impero, l’affermazione degli Stati assoluti e in Italia delle signorie accelera un processo di svolta culturale. (Dall'irlandese scoto Eriugena). Dio viene concepito come totalità dell'essere e del pensabile, tutto parte da Dio e ritorna a Dio. Dio è amore è bene e non può conoscere il male perché la conoscenza di Dio è semplice ed è formata soltanto dal bene sostanziale, cioè da se stesso. Il declino del Medioevo e l'affermarsi di una nuova spiritualità in Italia si configura come un’ennesima forma di platonismo. Tuttavia, il millennio medievale lascia elementi insostituibili, in primo piano il discorso etico se non altro per il suo essere determinante per la salvezza eterna. Vi è la prima organizzazione scolastica del sapere e la nascita delle Università. La salvezza per la cultura greco-romana è una questione sostanzialmente elitaria mentre il cristianesimo propone la salvezza di tutti ciò non esclude la formazione di una classe di dotti pressoché formata da Chierici capaci di leggere, interpretare divulgare i Testi Sacri nell'intento di aiutare la povera gente, i piccoli e le donne. Questo implica la nascita di una nuova mentalità e di un'attenzione sempre maggiore Rivolta alle arti del Trivio e del Quadrivio che costituiscono le discipline che saranno sempre presenti nei sistemi scolastici per la formazione della persona nella sua interezza. 1. Dhuda di septimania spiega che occorre guardarsi dall'invidia e trovare rifugio in Dio, invita a Non frequentare malvagi i pigri e Superbi perché altrimenti si scivolerà nella loro stessi i difetti occorre Anzi praticare la virtù dell'umiltà e rendere grazia a Dio affinché l'anima non si perda. Sostiene che i vizi si combattono con il loro contrario e infine non occorre mai cedere al peccato dell'orgoglio. Quello di Dhuda è un linguaggio semplice che spiega come una madre intenda porsi come vera educatrice di fronte al figlio. Con il testo di Dhuda la figura della madre educatrice entra in maniera documentata nella storia dell'educazione. 2. Un altro grande filosofo è Pietro Abelardo che spiega che è bene preoccuparsi più di imparare che di insegnare, di cercare un contatto e la gloria di Dio e non quella personale e che, se non si saprà mai essere pazienti nell'obbedire non ci saprà mai veramente comandare. Uno scolaro ben istruito è il maggior vanto del suo maestro e sottolinea che la virtù da perseguire sono la giustizia, La Fortezza e La Temperanza. Sostiene che le virtù risiedono nell'animo e non nel corpo, da buon padre invita ad essere fedeli alla propria compagna e afferma l'importanza dell'amicizia. Nelle parole di Abelardo traspare la professione del docente, in quello di Dhuda invece la preoccupazione della madre, ma le parole sia dell’uno che dell'altro sono sempre volta ad insegnare il giusto comportamento. Sotto tale profilo la Divina commedia rappresenta nell'immaginario etico medievale un vero poema pedagogico: il cammino di Dante nelle tre dimensioni, è la storia dell'anima che si purifica a partire dall'inferno, pentendosi ed espirando i propri peccati al purgatorio per poi ascendere al cielo in paradiso. Il ricorso all'umiltà e alla supplica rappresenta delle eredità che il medioevo consegna ai posteri per poter ottenere la salvezza, un insegnamento prezioso da non trascurare mai. A parte si colloca la cosiddetta educazione cavalleresca, che coincide con l'educazione della classe dirigente della gerarchia feudale e con lo sviluppo dell'Arte della guerra che vede l'affermarsi dei Cavalieri. Si organizzano delle cerimonie nel quale il giovane guerriero entra a far parte della fraternitas cavalleresca. Sono cerimonie che assumono un carattere liturgico sacramentale. Il ragazzo viene avviato alle armi e compie il suo tirocinio presso un adulto sino alla cerimonia dell'addobbamento attraverso la quale, dopo esser stato scudiero, intorno ai vent'anni è elevato a cavaliere con consegna di spade e Speroni e ha come obiettivo nobile la lealtà, la difesa dei deboli e la fedeltà al proprio signore. 8. CULTURA E EDUCAZIONE A BISANZIO L'impero d'Oriente comunemente detto bizantino ha una formazione culturale di ampio livello considerata necessaria per la preparazione dei funzionari civili poiché l'Impero Bizantino possedeva un'organizzazione statale burocratica articolata sconosciuta agli stati medievali, con archivi e uffici di contabilità. Una scuola dedicata alla formazione della classe burocratica fu la scuola di Costantinopoli composta da un Corpo Docente formato da insegnanti che una volta assunto l'incarico non potevano impartire lezioni private. Dopo un ventennio di servizio gli insegnanti che più si sono distinti venivano soprannominati con il titolo di Comes di prima classe. (A partire dall'arrivo degli slavi nei Balcani e degli arabi in Oriente termina l'attività di quasi tutte le istituzioni formative esistenti, in questo periodo definito come “secoli bui” non ci sono fonti adeguate riguardo l’andamento degli studi in un periodo in cui l’Impero lottava per la 16 propria esistenza.) Nel 849 viene rifondata la scuola Palatina di Costantinopoli su iniziativa del Cesare Bardas (fratello dell'imperatrice Teodora) che si interessava personalmente delle qualifiche individuali dei singoli studenti: li incoraggiava sulle loro prospettive e incitava i professori affinché Facessero il proprio dovere nei confronti degli studenti. Bardas ha avviato una rinascita intellettuale che ha dato grandi risultati fino al tempo nostro. Il nuovo Istituto pone la sua attenzione soprattutto verso le scienze, vi sono la cattedra di filosofia, geometria, astronomia, grammatica greca mentre non si studia più il diritto e il latino. Una svolta significativa si ha nel 1047 quando l'università è riorganizzata dall'imperatore Costantino. I "laureati” ricevono dei certificati che attestano la frequentazione dei corsi e la competenza oratoria e calligrafica a seconda del tipo di carriera burocratica che si vuole intraprendere. L'università di Costantinopoli non sopravvive a lungo ma gli studi all'interno dell'impero continuano a prosperare. Con il trasferimento forzato della capitale Imperiale da Costantinopoli a Nicea i Bizantini si pongono due obiettivi fondamentali in una situazione politica disperata: 1. Sopravvivere 2. Affermare la propria identità sociale e culturale Le due sfide vennero vinte così la cultura riferisce e si pongono nuove basi per il futuro grazie al sovvenzionamento dell'educazione e la creazione di biblioteche statali. L'attenzione al mondo della scuola perdura sino agli ultimi tempi dell'Impero. Per quanto riguarda l'istruzione Inferiore l’unico momento in cui si ha un organizzazione articolata è a partire dal 1100 Per iniziativa della chiesa, venne istituito un sistema integrato di istruzione secolare e religiosa: una serie di scuole secondarie in collegamento con delle chiese che forniscono un corso di esegesi pubblica (interpretazione della Bibbia o altro testo). Per il resto l'educazione scolastica è poco documentata: la maggioranza della popolazione dell'impero è formata da contadini che non possono e non hanno alcun interesse a educare la prole verso un mestiere un futuro diverso dal proprio. Nella maggior parte dei casi la formazione è affidata ai genitori e a maestri privati poco noti. Vi è l'introduzione di un nuovo metodo detto schedografica che consiste nel far apprendere gradualmente il lessico e lo stile degli autori antichi e dei Testi Sacri componendo dei testi di crescente difficoltà; L'arte religiosa ha un valore anche educativo poiché le raffigurazioni delle scene evangeliche consentono una facilità di riconoscimento da parte del fedele incolto e spesso analfabeta, che così può intendere agevolmente il significato di una scena. Il Mondo bizantino è una perfetta sintesi del mondo classico e medievale. III. CAPITOLO: DAL RINASCIMENTO ALLA CONTRORIFORMA 1. L’UMANESIMO Si era soliti intendere tale periodo come contrapposto al Medioevo, un vero e proprio rinascimento delle miserie medievali. Il Rinascimento si distingue in due fasi: • UMANESIMO: che si estende da fine Trecento a tutto il Quattrocento, a prevalenza filologica, di riscoperta, per così dire, del mondo degli antichi. • RINASCIMENTO: vero e proprio, permeata dallo sviluppo artistico e destinata a declinare drammaticamente con le invasioni della penisola italiana, quindi sostanzialmente coincidente con la prima metà del Cinquecento. Con il Trecento inizia quell’autunno del Medioevo che implica una svolta. Naturalmente nulla avviene improvviso, anche se in certi momenti alcuni aspetti possono, secondari, possono accentuarsi ed assurgere a rango di protagonisti. In realtà, se per Umanesimo e Rinascimento si intende il periodo in cui avviene la riscoperta dei classici greci e romani, ciò che è inesatto in quanto tutta la cultura medievale è intrisa di riflessione sul mondo classico. Si potrebbe osservare una differenza: nel Medioevo lo studio dei classici greci e latini è tutt’uno con quello degli autori o passi di autori, che confermano la verità cristiana, mentre col Rinascimento avviene la riscoperta del valore dei classici indipendentemente dalla prospettiva cristiana in una sorta di laicizzazione della cultura. La filosofia rinascimentale non intende affatto essere anticristiana o acristiana e che la lettura delle opere del tempo resta comunque una certa interpretazione del passato, né più, né meno come avveniva precedentemente e come sarebbe avvenuto, perché il corso della storia al tempo stesso, innova e conserva, né potrebbe essere diversamente. Il medioevo sorge come nuova età per il semplice fatto che si osserva il crollo dell’impero romano d’Occidente, l’affermazione dei nuovi regni, una crisi economica senza precedenti dovuta anche alla graduale dissoluzione della giurisdizione romana, a una diversa spiritualità. In questo contesto mentre permane l’Impero Bizantino sembra affermarsi nelle terre dell’Ex Impero Romano D’Occidente una sorta di dualismo tra politica e cultura., la seconda di netta impostazione cristiana, quindi religiosa e affidata ai religiosi. La natura religiosa cristiana delle popolazioni europee blocca ad Est e ad Ovest la pressione islamica. Ad un certo punto riprende forza l’idea di una riunificazione dell’Occidente non bizantino alla luce del cristianesimo Romano, quindi avverso a quello bizantino. Il Sacro Romano Impero è null’altro che il tentativo di ricomposizione dell’unità dell’Europa cristiana secondo l’accettazione del primato del pontefice romano. La cultura e l’educazione che vengono maturando sono all’interno di tale processo. Ma avviene che la condivisione del potere tra imperatore e pontefice, diversamente che nell’Oriente Bizantino dove è prevalente la figura imperiale, conduce ad un’inevitabile contrapposizione che si trascina nella guerra per le investiture e che trova il suo epilogo prima nella morte di Federico II di Svevia, che distingue l’Italia del Sud della Germania, e poi in quella di Manfredi, che consegna il meridione d’Italia agli Angiolini legati al pontefice romano. La dissoluzione dell’Impero occidentale non comporta come già nel 476 il caos, ma l’affermazione degli Stati Nazionali e soprattutto lascia la penisola italiana, che è naturalmente il 17 centro di tale cultura per ciò che Roma ha significato e significa, in una sorta di compresenza di centri diversi di potere, in una situazione che potrebbe richiamare le polis greche. Lo splendore dell’Italia dalla fine del Trecento alla metà del Cinquecento è legato alla varietà dei diversi stati della Penisola e implica una sorta di accostamento al mondo ellenico dell’antichità. L’Italia del tempo si avvia ad essere ancora una volta il centro del Mediterraneo, ovvero della cultura cristiano – romana proprio in quanto non costituisce un’unità politica, ma una serie di centri che sviluppano la massimo le loro incredibili potenzialità legate ad una tradizione ormai millenaria. La Chiesa di Roma ha vinto un secolare conflitto con l’impero germanico. Ma divenuta l’Europa occidentale una pluralità di Stati, la dimensione politica del Papa romano si racchiude all’interno del proprio stato che non è certo il più potente d’Europa. Il pontefice cristiano ha un’auctoritas religiosa eccezionale, ma di fatto è un primato che intende usare in politica la mediazione e non in conflitto. In questo contesto si sviluppa sia il sogno di una vita più bella sia quello della civiltà delle buone maniere; si vuole migliorare la vita del mondo, alla luce della tradizionale interpretazione della connessione tra microsomo e macrosomo. Il culto delle humanae litterae non nasce affatto da una contraddizione, ma dall’esigenza di anticipare in questo mondo quella felicità e pienezza che precedentemente era attesa nell’altro. L’imminenza della fine dei tempi si allontana e ne segue che l’attenzione si rivolge gradualmente ad una diversa considerazione della realtà terrena, per cui se la virtus medievale è sostanzialmente coincidente con la contemplazione e l’ascesi, la virtus del nuovo tempo coincide con l’azione del mondo. L’humanitas che si afferma è veramente nuova e comporta la centralità dell’umano per il semplice fatto che l’uomo vuole trovare in questo mondo una pienezza di vita che non sottovaluta quella trascendente. L’attenzione alla dimensione terrena fa sì che si imprima un’accelerazione verso una vita più godibile e spendibile che si manifesta nella cultura letteraria, nell’affermazione della classe borghese, nel rinnovamento della scolarizzazione, nella nascita dell’intellettuale. La caratteristica principale della cultura del tempo è letteraria. Prevalentemente letteraria era stata sia nell’antichità greco-romana, sia nel medioevo perché tali epoche accentuavano l’importanza della ricerca della causa prima, l’archè. Il primato delle humanae litterae rinascimentali continua la tradizione nel suo aspetto più appariscente. In tale età si accentuano lo sviluppo della scienza e della tecnica. Un personaggio importante del Rinascimento è Leonardo Da Vinci (1452 – 1519), pittore, scienziato e uomo aperto a tutti gli esperimenti tecnici. E’ possibile individuare all’interno dell’umanesimo uno sviluppo tecnico – scientifico a partire da Leon Battista Alberti. La connotazione letteraria è predominante ma non esclusiva perché l’età del Rinascimento corrisponde all’affermazione della classe borghese: dei mercanti, dei banchieri. Le signorie della penisola italiana sono spesso in mano ad un notabilato borghese, Firenze coi Medici. Il potere della classe borghese si giustifica con la persistenza e l’accrescimento dello status finanziario. I risultati delle fortune economiche si traducono dell’ostentazione della ricchezza che richiedono il progresso scientifico. L’affermazione della borghesia comporta l’affacciarsi di un altro elemento: l’intimità. La coppia borghese, frutto di matrimonio combinato, comincia ad essere sempre più attenta alla propria identità. E’ l’inizio della famiglia tradizionale, legata al matrimonio e pronta all’educazione dei figli. La questione educativa con il Rinascimento comincia a d essere costitutiva dell’intera società. In comunità socialmente statiche, come quelle antiche e medievali, essendo l’avvenire di un fanciullo determinato, l’educazione e l’istruzione erano un fatto secondario. Essere educati significava ripete al meglio le imprese della gens (avi). L’affermazione della borghesia, il cui ruolo cresce tra il XV secolo e il XVI secolo produce il necessario investimento sui figli e in genere, su ogni membro della famiglia e della corte. La società di corte è una società educata; la famiglia rinascimentale esige una precisa divisione dei ruoli; quello esemplare della donna – moglie – madre richiede l’istruzione dei rampolli. Per primi saranno educati ovviamente i fanciulli delle classi agiate, ma le classi sociali inferiori tendono ad imitare i costumi del ceto alto per favorire la propria scalata sociale. Si avvia pertanto il processo che condurrà ad una rilevanza sempre maggiore della pedagogia. Qui prevale un’altra figura: il cortigiano (intellettuale). Nell’antichità il sapiente è un maestro di piccoli cenobi. Può capitare che egli tenti di condizionare un tiranno o che sia davvero l’educatore di un giovane destinato a gestire il potere. Il sapiente, nella maggior parte dei casi, conserva un ruolo distinto da quello dell’uomo di potere ed è svincolato dal potere stesso. Nel medioevo il sapiente è soprattutto chierico, il monaco, l’abate. E’ l’uomo di Dio. Non è così per il cortigiano del quattro - cinquecento. Questi è una figura organica nella corte; è destinato non solo ad insegnare le buone maniere, ma a diventare consigliere del principe. Non sempre tale identificazione è valida, non tutti gli umanisti sono cortigiani, il cortigiano è la conseguenza ultima del fenomeno, è una figura che ha in qualche modo perduto la propria indipendenza. 1. FRANCESCO PETRARCA Tra i persecutori dell’Umanesimo è considerato grande poeta Francesco Petrarca (1304 – 1374), avverso alla scolastica e accorto allo studioso dei classici tanto da sperare di conseguire la fama attraverso le sue opere in latino. Petrarca è certamente un personaggio complesso, lacerato tra un desiderio individualistico della gloria e al tempo stesso attratto dall’ascesi religiosa. Da un punto di vista pubblico, il suo ruolo è quello di portavoce, di colui che si spende per delle cause. E’ già un uomo di corte e sogna di rivedere la grandezza d’Italia e spera in Cola di Rienzo. Petrarca è un po’ la transizione verso la nuova realtà, con le sue inquietudini, il suo sguardo al passato, la sua volontà creativa. 2. L’ETA’ DI MARSILIO FICINO E DEL NEOPLATONISMO In un lasso di tempo relativamente breve avviene la riscoperta del latino e del greco classico. A Firenze dal 1439 al 1400 si tiene Il Concilio. I dotti greci venuti a Firenze contribuiscono alla diffusione dei testi greci di Platone, Plotino, Ermete Trismegisto. A Firenze si afferma una nuova forma di platonismo con Marsilio Ficino che traduce in latino testi di Plotino, Giamblico, Proclo, Platone e altri; fonda l’accademia Platonica ed elabora una filosofia sincretista. Nella De Christiana religione invita a tornare ad una filosofia come sapienza, in cui vi sia una diretta continuazione tra l’antica teologia e quella dei primi apostoli e padri della chiesa. Un itinerario per discendere a Dio è il contenuto della Theologia 20 7. GUARINO VERONESE Da ricordare Guarino Veronese (1347 – 1460) che opera presso Niccolò II d’Este. Fonda anche lui una scuola convitto in cui vivono insieme maestro e allievi. L'ordinamento della scuola comprende tre corsi: elementare, i grammaticale e il retorico. Nelle elementare si insegna a leggere con corretta pronuncia e a scrivere in latino e in italiano. Il corso grammaticale comprende due sezioni, la metodica e la storica. La metodica continua l'insegnamento della grammatica attraverso l'insegnamento della sintassi dei casi, della prosodia, della metrica e di nozioni di greco. Modelli sono Virgilio e Cicerone e la sintassi si studia sulle regulae scritte dallo stesso Guarino. Nella sezione storica si espongono i classici; tra questi soprattutto Virgilio e Cicerone ma anche Ovidio, Seneca, Giovenale. Il corso di retorica è dedicato essenzialmente allo studio di Cicerone e di Quintiliano, e in esso insegna personalmente Guarino lasciando ai suoi assistenti l'insegnamento negli altri corsi. Anche egli è molto attento all'educazione del fisico ma nella sua scuola prevale soprattutto l'attenzione ai classici, alla filologia all’ornate componere. Suo figlio Battista ha raccoglie nel De Modo et Ordine Docendi et Discendi (1459) il programma di studio del padre. Con il Guarino l'attenzione al mondo classico greco e latino diventa pressoché esclusiva e in un certo senso sancisce una separazione con il quotidiano che Vittorino da Feltre ha qualche modo cercato di evitare. 8. GIOVANNI DELLA CASA Arcivescovo di Benevento, poi nunzio pontificio a Venezia, cade in disgrazia, ma da Papa Paolo IV è nominato segretario di Stato. Del Della Casa restano alcuni trattati di natura precettistica, tra cui Quaestio Lepidissima an Uxor sit Ducenda (Una questione piacevolissima: se si debba prendere moglie). L’opera più nota è però il Galateo (1552) ove insegna i modi che si devono tenere o rifiutare nella conversazione. Della Casa insegna come mangiare dignitosamente, come comportarsi in compagnia e così via. Il nome del trattato è restato come sinonimo del corretto comportamento. 4. AL DI LÀ DEI CONFINI. GLI UMANISTI DI OLTRALPE. L’Italia nel 400 è un punto di riferimento per tutta la cultura dell’Occidente Europeo. Tra gli umanisti d’Oltralpe occorre in primo luogo ricordare Erasmo da Rotterdam (1466 – 1536). Erasmo ha una notevole cultura filologica, tanto da diventare l’editore di vari scritti di Pluto, Terenzio, Seneca, San Gerolamo, ed ha anche interessi educativi che si manifestano in numerosi suoi scritti. Negli Adagiorum collectanea (1500) spiega che la sapienza degli antichi è un lascito insostituibile per la soluzione dei diversi problemi della vita; nei Colloquia (1533) critica la corruzione della Chiesa e la vanità dei culti esteriori, prospettando una società cristiana pacifica, tollerante, moralmente retta. In vari Dialoghi non esita a contestare la vita dei conventi, a lamentare l’ignoranza degli abati e a identificare il mestiere del soldato con quello del predone. Erasmo è scrittore ironico e polemico. Il suo capolavoro è l’ELOGIO DELLA PAZZIA (1511), in cui sono presenti le consuete critiche ai filosofi, ai sacerdoti, agli alchimisti, ai teologi, agli adoratori delle immagini, ai prelati, cercando di spiegare come tutte le istituzioni umane siano dominate dalla follia. Tale atteggiamento spinge Lutero a coinvolgerlo nella sua Riforma ma Erasmo si oppone sostenendo il libero arbitrio. Erasmo sostiene la Riforma chiaramente avversa a quell’Umanesimo a cui egli appartiene. Spirito libero, irrequieto, considerato a lungo il più importante umanista d’Oltralpe, Erasmo è più brillante che profondo, più erudito che teoretico. Nel De Pueris Ac Liberaliter Instituendis (1512) tratta dell’educazione sino ai sei anni. Essa va tenuta nella famiglia: richiede l'allattamento materno, la frequentazione dei coetanei, una precoce istruzione sotto forma di gioco, presentando le lettere in tavolette di avorio e di Bosso. Nel De Ratione Studii (1511) spiega dai 7 anni il vero educatore dovrebbe essere il padre, essendo poco istruita la donna ma non potendo il padre stesso sempre provvedervi occorre mandare il fanciullo nelle scuole, dove dovrebbe apprendere il latino ma anche la storia, intesa come campionario di esempi morali. Il fine dell'istruzione è quello di una pietà che sia insieme sapiente e eloquente, che è un po’ il tema topico di tutto l'umanesimo. Egli è contrario alle punizioni corporali, diffida di insegnamenti femminili perché si arrabbiano facilmente, vuole che i maestri siano cordiali e rispecchino le inclinazioni degli alunni. Infine, nella Matrimonii Christiani Institutio sostiene che anche le donne devono essere educate studiando i classici, ma in famiglia, e non presso ordini religiosi. È’ infatti convinto che solo una donna colta può evitare di scivolare nelle frivolezze; invero non ha una considerazione positiva delle donne. Ha grande capacità ironica e percepisce con estrema chiarezza che i riformatori segnano la fine di quello umanesimo delle lettere al quale solo egli crede. È’ più stimato che seguito, rimanendo un esempio di quello che i filosofi del Settecento avrebbero chiamato “bello spirito”. 9. FRANCOIS REBELAIS Francois Rebelais (1494 – 1553) esercita la medicina ed ha una vita inquieta e non priva di avventure. Il suo capolavoro è il romanzo Gargantua et Pantagruel. Narra delle avventure di due giganti; Rebelais è avverso al sapere teologico della scolastica e al monachesimo del tempo, proponendo nell'abbazia di Thèleme, il nuovo centro educativo per eccellenza alla luce del motto: “Fa’ ciò che tu vuoi.” Sotto questo profilo egli è già un innovatore percorrere le ansie rivoluzionarie degli illuministi. Nel suo capolavoro dopo aver contrastato che il figlio Gargantua non ha successo negli studi, lo affida al maestro Ponocrate. Costui prima manda suo figlio alla Sorbona ma da essa lo fa poi allontanare in quanto vi si pratica un sapere passivo, costrittivo, conformista. Quindi Ponocrate propone un tipo di educazione ben diversa da quella tradizionale, volta alla manifestazione di tutte le energie dell'essere umano, fondata su diversi esercizi e su una morale che non esclude tutto ciò che è lecito e piacevole. Per questo Rebelais si serve di giganti, che possono avere tutto in grande, dividendo l'educazione in fisica, morale e intellettuale, la luce di una visione enciclopedica permeata da un'attività sostanzialmente ludica. Suo figlio deve imparare le lingue, dalla materna alle classiche. La 21 cultura classica non è fine a se stessa ma dovrebbe servire alla vita.se l'insegnamento dei classici estremamente vario, più sobrio e misurato e quello morale, che deve penetrare lo spirito dei vangeli. 10. MICHEL EYQUEM DE MONTAIGNE Di nobile famiglia ha un'educazione raffinata ed apprende in latino diventa consigliere nel 1554 e nel 1557. Deluso dalla magistratura e dalla vita di Corte si ritira nel suo castello dove si sposa soltanto per alcuni soggiorni parigini e per un viaggio in Italia. Compone gli Essay, la cui prima edizione è del 1580, la terza, postuma e definitiva è del 1595. Raccoglie alcune riflessioni permeate da uno scetticismo di fondo nei confronti di ciò che travalica l'esperienza. Ehi cerca di tendere ad una saggezza superiore che consiste nella capacità di dominare le passioni di sviluppare una vita all'insegna della moderazione. Il suo punto di riferimento è naturalmente l'io, un io che vuol prendere coscienza di sé stesso, dalle proprie potenzialità, dei propri limiti. Per Montaigne modernità si intende quella cultura che guarda prevalentemente al soggetto. Ai temi educativi sono dedicati almeno due saggi del primo libro degli Essays, uno sul pesantissimo e l'altro sull'educazione dei fanciulli. Vede nella pedanteria un carattere negativo dell'istruzione del suo tempo, legato all'acquisto di vuoti formulari e incapace di sollecitare idee nuove. Sotto tale aspetto, la sua posizione è vicina a quella di Rabelais, ma egli non ne ricava l'esigenza di un sapere enciclopedico evitale bensì la sua richiesta educativa si riduce alla formazione della capacità di formulare giudizi. Più che le nozioni occorre acquistare la capacità di saper discernere. Di qui il rifiuto di ogni eccesso mnemonico che non serva a farci ragionare e il tendere verso un programma essenziale che sia moralmente utile. Così lo studio delle scienze e della natura deve servire a mostrare come l'uomo sia una parte del sistema delle cose; il valore della filosofia e l'insegnare a vivere. Egli reputa che l'educazione di base deve servire alla formazione di coscienze aperte capace di realizzarsi nel proprio contesto sociale e sostiene l'importanza di un sapere disinteressato. Montaigne Il tempo di religione che dissanguano la Francia, vuole insegnare la capacità di sopravvivere con onestà piuttosto che cercare di accumulare una gran massa di cognizioni. Nel saggio dedicato all'educazione dei fanciulli torna ad insistere sulla necessità di rendere lo scolaro più intelligente che dotto, compito a cui vede preposto un precettore di buoni costumi che sappia svolgere il suo ufficio tenendo presenti le inclinazioni dell'alunno. L'insegnante non deve solo parlare ma deve far parlare l'alunno, senza ostentare in alcun modo la propria autorità. L'educazione non avviene necessariamente all'interno della famiglia, perché gli affetti dei genitori possono essere indirettamente di nocumento e quindi occorre che gli avvii l'alunno a temprarsi tramite la fatica, pur mantenendo un contegno esteriore garbato. L'educazione del corpo è la traduzione esteriore dell'equilibrio interiore e da qui l'attenzione alla salute e all'igiene, ma anche l'invito al viaggio, affinché l'allievo abbia concreta esperienza della natura umana. Da qui nasce l'idea del Grand Tour: il viaggio come modalità di conoscenza degli uomini e di apprezzamento del bello naturale ed artistico. Per quanto riguarda la filosofia l'obiettivo è il raggiungimento della serenità che dipende dalla saggezza. Montaigne è un solitario, scettico verso il mondo, che tende a rinchiudersi all'interno del proprio io. Profondamente imbevuto di cultura classica, conoscitore delle drammatiche vicende umane del suo tempo, ha ormai abbandonato il sogno di una comunità di letterati volti al colloquiare in un simposio accademico di stampo ficiniano. Della controriforma egli vede l'unico spazio di salvezza nell'accuratezza del proprio giudizio e i suoi atteggiamenti educativi scaturiscono da una profonda esperienza. Il suo lascito educativo e aristocratico anche perché La Sapienza la serenità non sono concesse se non a chi abbia potuto allontanare da sé le pressioni del mondo esterno. 5. LA FINE DI UN MONDO L’età dell’Umanesimo e del Rinascimento è un momento storico straordinario per le arti e la cultura. Ha inizio in Italia e in quest’epoca giunge a compimento un percorso culturale avviato da tempo che era presente anche durante il Medioevo, cioè un percorso volto ad affermare l’interazione tra microcosmo e macrocosmo. Sorge la figura di Ficino che intreccia la cultura cristiana e la filosofia greca in una visione ottimistica, la quale afferma una nuova classe: la borghesia. È la borghesia che dà un’impostazione innovativa al discorso educativo, facendolo uscire dalle università gestite dai conventi. L’educazione borghese accentua l’individualità e la vita nel mondo. Si pone l’attenzione verso l’educazione nella famiglia, la divisione dei ruoli familiari e la formazione di vere scuole; tuttavia, rimane l’impronta religiosa nell’impostazione educativa. Negli insegnanti prevalgono le materie umanistiche e le lingue classiche, anche se risulta paradossale visto che al potere vi è una classe mercantile. Si intende formare un individuo che sappia vivere a corte e che sia capace di buone maniere; inoltre, la capacità di gestire gli affari e il potere viene affidata al genitore. La formazione scolastica, essendo finalizzata verso il modello di uomo, è fortemente disinteressata: cultura e vita pratica, cultura e politica non coincidono. Il suo disinteresse verso il quotidiano è quello dell’asceta che non si cura delle cose del mondo, che in questo caso coincidono con le attività economiche; ciò genera una potente attrazione per la bellezza artistica, che si manifesta nella realizzazione di capolavori legati a Botticelli, Raffaello, Michelangelo e Leonardo. Così si impone la compresenza di un mondo virtuale, esteticamente sorretto in un progetto volto alla realizzazione di una visione che superi ogni contrasto. Successivamente le cose cominciano a cambiare: le guerre d'Italia, che vedono la Penisola invasa dagli eserciti francesi e spagnoli, spingono i più accorti a riconsiderare il ruolo delle attività pratiche. 22 11. MACHIAVELLI Machiavelli scrive un trattato di realistica educazione politica, “Il Principe”: egli vuole che il principe abbia astuzia e durezza operativa; ritiene che, poiché il mondo è soggetto al caso, occorre agire con risolutezza, piegando ogni cosa ai propri obiettivi. Il compito del principe è usare qualunque mezzo, anche l'inganno, pur di raggiungere i propri intenti, che per Machiavelli devono coincidere con il bene dello Stato. Dunque, Machiavelli separa la politica dalla religione e dalla morale, e la fonda come scienza; se così fosse, avremmo l'uomo politico come amorale se non proprio immorale. In realtà, Machiavelli ha una sua personale concezione della morale, che è quella dell'interesse dello Stato, per il cui vantaggio tutto è lecito sacrificare. Il principe agisce nell'interesse dei suoi sudditi e con ciò viene anticipato lo Stato totalitario. L’aspetto particolare è che Machiavelli scrive il trattato politico-educativo rivolto alla formazione dell’uomo eccezionale. Più che una classe politica, egli reputa il singolo soggetto capace di essere arbitro del proprio e del destino altrui. In questo modo, manifesta l’esito estremo dell’individualismo umanistico, sperando con ciò che l’Italia possa riprendersi di fronte agli eserciti stranieri che la stanno conquistando. 12. FRANCESCO GUCCIARDINI Più scettico è Francesco Guicciardini, il quale si rende contro della difficoltà che un singolo individuo, un eroe, possa salvare lo Stato. Nei “Ricordi” egli sottolinea che al più si può salvare solo sé stessi e che occorre agire, pertanto, in funzione del proprio particolare, considerandolo come principale virtù la discrezione, la quale consiste nell’accortezza. La sua posizione è quella di un uomo che ha visto politicamente rovinare la civiltà in cui si è formato, il quale giudica che l’avidità del potere e del denaro tende a far saltare il progetto dell’avveramento in questo mondo della Repubblica delle lettere. Un altro elemento interviene, cioè la Riforma promossa da Lutero, la quale sconvolge equilibri e conduce i Pontefici a riconsiderare la possibilità di una convivenza tra i fervori della fede e le bellezze di questo mondo. Gli ultimi grandi pensatori italiani come Telesio, Bruno e Campanella, avviano delle concezioni naturalistiche ed entrano in lotta con la Chiesa, la quale reclama una rigida ortodossia. 13. BERNARDINO TELESIO Bernardino Telesio reputa non solo che la terra sia posta al centro dell'universo, ma che il mondo organico sia soggetto ad un'attività di natura meccanicistico-finalistica, finalistica connaturata a due forze naturali agenti, il caldo e il freddo. Anche l’anima stessa è calore, materia più leggera. 14. GIORDANO BRUNO Giordano Bruno giudica che l’Universo in tutti i sensi è infinito; pertanto, esistono infiniti mondi in cui vi è un moto interno irradiato da una causa universale che è l’anima. La storia del mondo, da questo punto di vista, è il dar forma nello spazio e nel tempo a ciò che l’anima intellettiva universale continuamente sviluppa. È’ evidente che la visione monistica bruniana, oltre a far venir meno ogni forma di aristotelismo, sia di impianto platonico, in quanto l’anima è l’archetipo unico a cui occorre salire in una visione provvidenzialistica, per cui il compito di ogni individuo è quello di superare i limiti della contingenza e di ascendere alla vera realtà. Il rogo di Bruno esprime l'impossibilità di mediazione fra una filosofia neoplatonica e il rigore di una chiesa che ha deciso di respingere ogni forma di innatismo. 15. TOMMASO CAMPANELLA Tommaso Campanella sostiene che la filosofia sia distinta dalla teologia, e che è la realtà debba essere letta attraverso una conoscenza di natura intellettiva in cui riemerge l'influsso platonico. Ciò non vuol dire che egli non esiti ad affermare che la religione sia la forma generale di tutte le virtù, e che si impegni politicamente, pagando con una lunga prigionia, in una congiura antispagnola, segnando la rottura con la politica esistente. Ne “La Città del Sole” egli rappresenta il modello ideale di umana convivenza: è un'opera educativa e di stampo platonico, in quanto la società ideale è strutturata in funzione del sapere speculativo, in cui vi è lo studio della matematica, della medicina e si discutono gli insegnamenti, ma si lavora in campagna. Tra tutti vengono scelti i migliori e tra questi uno ne diventa il capo, il Sole. Dunque, la città che vuole l'unione dei beni e l'uso Comune delle donne, si fonda sull'educazione e la generazione. A capo è il Sole o il Metafisico, affiancato da Pon (Podestà), Sin (Sapienza) e Mor (Amore). È un progetto utopico, meritocratico e tuttavia aperto al benessere di tutti secondo la capacità di ognuno; è un ideale del pensiero rinascimentale permeato nel neoplatonismo. 6. LA RIFORMA PROTESTANTE 25 dei tempi, visione che non risparmia i cattolici, dall'Antoniano descritti come partecipi dei vizi del tempo. Il suo modello educativo è religioso e ha come fine il raggiungimento dell'eterna beatitudine da conseguire sia con l'educazione privata (impartita dai padri di famiglia), sia con l'educazione pubblica (eseguita dai rettori scolastici). Egli dà poca importanza all'educazione femminile, poiché la ritiene dannosa in quanto portatrice di corruzione e superbia nelle donne. Viene rivolta molta importanza alla famiglia, su cui, secondo lui, si basa il matrimonio cristiano. Nell'età della Controriforma, inoltre, si assiste a uno sviluppo notevole di istituzioni educative. La finalità religiosa conduce gli educatori ad interessarsi di didattica e a fornire degli itinerari educativi che rimarranno a lungo inalterati. Si afferma il concetto di Scuola per tutti, anche se è differenziata a seconda degli Ordini e delle Congregazioni in cui prevale l'impostazione umanistica. 26 IV. CAPITOLO: IL SEICENTO 1. IL SECOLO DELLA RIVOLUZIONE SCIENTIFICA Il Seicento venne considerato il secolo della Rivoluzione scientifica e per supportare tale affermazione è sufficiente ricordare i nomi di Bacone, Keplero, Galilei con cui il secolo si apre il secolo e quello di Newton con cui si chiude. L’inglese Francis Bacon era convinto che la scienza e la tecnica avrebbero generato un mondo migliore. Egli era sostenitore di una riforma del sapere in senso pratico-operativo, nel quale egli distingue tre gradi di conoscenza: quella storica, fondata sulla memoria, quella poetica, fondata sulla fantasia, quella filosofica, fondata sull’intelletto. Quest’ultima avrebbe portato alla costruzione di utili strumenti. Per ottenere questi, Bacone divide la sua logica in due parti, quella destruens, volta a distruggere le false credenze, e quella adstruens, che dovrebbe registrare in maniera scientifica la presenza e le modificazioni dei fenomeni. Il metodo di Bacone è letto dai contemporanei come rivolto ad un sapere che abbia fini concreti. Grande scienziato è certamente il pisano Galileo Galilei, a cui si deve la scoperta del cannocchiale con il quale individua i quattro satelliti di Giove. Egli era a sostenitore delle teorie copernicane. Galilei è un convinto assertore della conciliabilità tra scienza e religione, considerate come due vie diverse per giungere alla verità, pur dando un sostanziale primato alla scienza, in quanto, tramite essa, è possibile leggere direttamente l’operato di Dio. Galilei, inoltre, è il sostenitore del metodo sperimentale. Occorre osservare e misurare i fenomeni da valutare, quindi formulare un’ipotesi e verificarla. Se la verifica è positiva, l’ipotesi diventa legge e vale sino a che non venga ad essere dimostrata inesatta. Quello che è veramente importante è che il metodo galileiano, basato sull’osservazione, ipotesi, verifica, generalizzazione, diventa il metodo scientifico per eccellenza. Viene così meno, tutto un filone di pensiero che insiste particolarmente nel concepire il processo educativo come educazione alla sapienza e alla saggezza. Al contrario, acquistano valore i metodi funzionali e strumentali, spesso rivolti al mero apprendimento. In realtà, nel secolo del barocco, è possibile individuare, per quanto concerne il discorso pedagogico, due percorsi, per tanti aspetti diversi, ma con intrecci comuni. Il primo è, ancora una volta, quello sapienziale, che appare però minoritario ed esposto ai rischi dell’eresia. Il secondo è quello diretto particolarmente all’istruzione della borghesia. Quest’ultimo, legato alle organizzazioni religiose, è più attento al discorso sul metodo, sulla pratica didattica. Gli istituti religiosi, da parte loro, sia volti all’educazione popolare sia a quella delle classi abbienti, accentuano anch’essi l’aspetto metodologico e contenutistico, affidando l’aspetto per così dire sapienziale al momento della catechesi. Paradossalmente, si potrebbe sostenere che la Chiesa, sotto la prospettiva educativa, si secolarizza, lasciando la dogmatica e il percorso sapienziale fuori della scuola. Dall’altra parte, l’elemento unificante le diverse concezioni è quello politico o, meglio, di una formazione al convincimento della stabilità politica che impone l’accettazione delle leggi. Il concetto di educazione, quindi, è inteso come processo di stabilità sociale, che è peraltro teorizzata da Hobbes, mentre Cartesio invita prudentemente a non mettersi contro le leggi. Intanto si diffondono le scuole, per quanto le monarchie assolute non abbiano la forza e la volontà di avocarle a sé. Il ruolo dei religiosi continua ad essere determinante. 2. COMENIO E LA CONCLUSIONE DELLA PEDAGOGIA DELLA RIFORMA Tra gli educatori che operano nel ‘600 occorre ricordare Wolfgang Ratke (1571-1635), che soggiorna a lungo in Inghilterra, in Olanda e poi in Germania ove, apre una tipografia per la stampa dei suoi libri di testo, protetto dal principe Luigi di Anhalt-Köthen, venne poi accusato dai teologi calvinisti di impostura. La sua opera più interessante è la Didattica, di cui ci restano due redazioni. La Sacra Scrittura è usata per i primi esercizi di lettura e scrittura. Altre regole che caratterizzano la sua didattica sono lo spiegare una cosa per volta, il ripetere spesso gli stessi concetti, il partire dalla lingua madre per poi insegnare le altre, evitare punizioni che allontanano la gioventù dallo studio, utilizzare il metodo induttivo. Nel caso di cattiva condotta, lo scolaro viene punito da un correttore o scolarca. Per ogni disciplina ci dev’essere un insegnante che va ascoltato in silenzio dagli alunni. Vi deve essere una buona comunicazione tra scuola e famiglia. Significativa è la sua indicazione del compito del precettore, per quel che concerne l’insegnamento, egli deve: riconoscere con precisione gli indegni, imparare a saggiare e distinguere e dopo di ciò deve prestare attenzione durante la lezione a dare dei momenti per il riposo e per la ricreazione. Inoltre, deve durante l’insegnamento, guardarsi intorno e chiedere se i ragazzi abbiano capito o no ciò che insegna e se prestano attenzione al libro e alla lezione. Ratke è un innovatore, volendo insegnare secondo l’ordine della natura, basandosi sulla spontaneità dell’interesse. Nacque in Moravia da una famiglia umile, ben presto sviluppa l’idea di un sapere universale che spiegato a tutti. Alla base della concezione pedagogica di Comenio, vi è il sentire religioso della fratellanza umana. Comenio è aperto alle innovazioni scientifiche sollecitate da Galilei e Bacone, ma dall’altro permea la sua pedagogia, che è un’eredità rinascimentale in cui l’uomo non è altro che un microcosmo. Per Comenio, l’uomo ha una triplice vita: vegetativa prima della nascita, animale e razionale durante l’esistenza; spirituale in cielo. Comenio reputa che per educare non basti la famiglia, ma occorrano degli istituti con insegnanti specializzati che abbiano acquisito delle competenze sia nei contenuti d’insegnamento sia nella didattica. Comenio aspira a risultati che siano concreti, così nello stesso insegnamento della religione richiede che l’alunno pervenga alla pietas attraverso il coinvolgimento personale che consta di tre momenti: la meditazione, la preghiera e l’esame di coscienza. Con lui si afferma la tesi che la scolarizzazione deve essenzialmente corrispondere all’età evolutiva, in un’interazione tra crescita fisica, psichica e spirituale. La scuola si articola in 4 gradi: il primo è la scuola materna, cioè del grembo materno, che dura sino ai sei anni. In questa prima fase, in cui l’educazione è affidata alle madri, il bambino deve conoscere un po' di tutto rispetto alla sua età o, meglio, vi si deve favorire la disposizione all’apprendimento delle discipline vere e proprie. Il secondo grado scolastico è la scuola vernacola, cioè nella lingua 27 materna, che è vernacola, ossia dialettale, rispetto al latino, copre l’età dai 6 ai 12 anni. Il terzo grado è la scuola latina, in cui prevale la lingua latina ma vi è anche quella greca ed ebraica. Il latino è per Comenio la lingua della scienza. Infine, segue l’accademia che va dal diciottesimo al ventiquattresimo anno e consiste in uno studio specializzato. Ci sono, però, tre differenze. La prima è che nelle scuole dei più piccoli si devono insegnare le cose in maniera più generale e più elementare, in quelle successive in modo più particolare e distinto. La seconda è che nella scuola materna si devono esercitare soprattutto i sensi esterni perché gli alunni si abituino ad usarli in modo giusto per la conoscenza degli oggetti. Nella vernacolare si eserciteranno i sensi interiori e cioè l’immaginativa e la memoria, e gli organi relativi, e cioè la mano e la lingua, leggendo, scrivendo, dipingendo, cantando, numerando, misurando, pesando, imparando a memoria ecc. Nel ginnasio si formerà l’intelligenza e il giudizio su tutte quelle cose raccolte attraverso i sensi, con l’uso della dialettica, della grammatica, della retorica e di tutte le altre scienze ed arti insegnate secondo il “come” e il “perché”. Le Accademie infine formeranno le cose che appartengono alla volontà. La terza differenza tra i vari tipi di scuole è che nella scuola materna e vernacolare andranno giovani di entrambi i sessi; quella latina educherà i giovinetti che aspirano a lavori più alti di quelli manuali; e le Accademie, poi, formeranno gli insegnanti e i dirigenti del futuro, affinché non manchino mai, nella chiesa, nella scuola, nello stato, persone adatte ad assumere funzioni di guida. Un altro elemento significativo della proposta educativa comeniana è insistere sui libri di testo, tanto da scriverne numerosi. Comenio comprende molto bene quanto siano necessarie le illustrazioni per la comprensione del testo e vuole che esse siano presenti soprattutto nei libri per la scuola vernacola. Le finalità educative sono quattro, una buona educazione deve avere quattro scopi, vale a dire che i giovani acquistano una solida base nella vera religiosità, nelle necessarie nozioni scientifiche, in un’acconcia eloquenza e in onesti costumi. 3. L’EDUCAZIONE DELL’IO: DESCARTES, HOBBES, SPINOZA Nel Seicento vissero diversi grandi pensatori in ambito filosofico. Uno fra questi fu Descartes, da cui l’italiano Cartesio, le cui opere più importanti sono: Discorso sul metodo (1637), Meditazioni filosofiche (1641), Principi della filosofia (1644), Le passioni dell’anima (1649). Al 1637 risalgono tre importanti saggi: Diottrica, Meteore, Geometria. L'obiettivo di questo grande filosofo era quello di ottenere un metodo che garantisca da ogni errore, per cui definisce in esso quattro elementi: 1. Regola dell’evidenza, secondo cui bisogna credere soltanto in ciò che è chiaro e distinto; 2. Regola dell’analisi, secondo cui bisogna scomporre le convinzioni per individuare le parti semplici che le formano; 3. Regola della sintesi, secondo la quale è necessario ricomporre gli elementi per capire come si collegano fra loro; 4. Regola dell’enumerazione, infine, in cui si deve rivedere tutto affinché si possa comprendere pienamente. Sulla base di questi elementi, Cartesio applica il metodo della conoscenza. Attraverso quello che definiremmo dubbio metodico, egli inizia allora a dubitare di tutto. Su tutto, secondo il filosofo, si può dubitare tranne però del fatto che si sta dubitando. Da qui la celebre affermazione ed evidenza del cogito, ergo sum; penso, dunque sono. In questo modo, il centro della conoscenza non è più Dio, ma l’io. Quest'ultimo comprende tre tipi di idee: le avventizie, ossia quelle che possono essere ingannevoli perché provengono dal mondo esterno; le fattizie, che sono quelle immaginate dal soggetto e, quindi, possono anche essere non vere; le idee innate, come Dio, che sono chiare e distinte. Dal momento che il soggetto è imperfetto, non può avere l’idea di perfezione di Dio, dunque deriva da Lui, il quale pertanto esiste. Inoltre, se Dio esiste, non può che essere infinitamente buono, ne consegue che non può ingannare. Dio sarebbe, per Cartesio, l’unica sostanza perfetta e increata. Ma anche l’io è sostanza, per quanto infinita, il cui attributo è il pensiero; un’altra sostanza è il corpo, il cui attributo è l’estensione. Capiamo, dunque, che in questo modo sorge un dualismo. Per quanto riguarda, invece, la questione della morale, considerando che questa dovrebbe rendere l’uomo felice e virtuoso, Cartesio elabora tre regole di morale provvisoria: • obbedire alle leggi e alle tradizioni del proprio paese, conservando la propria religione; • essere fermi sulle proprie convinzioni e azioni; • cambiare i propri desideri più che l’ordine del mondo. Sotto il profilo di questo pensatore, dal quale poi la filosofia moderna partirà dall’io come unica e vera certezza, l’educazione implicita nel suo pensiero è la formazione di un sapiente distaccato dalle vicende del mondo. Tuttavia, nel Seicento, ci furono altri pensatori importanti che però ritennero fondamentale fissare i limiti dello Stato. 1. THOMAS HOBBES E SPINOZA Il filosofo inglese Thomas Hobbes fu tra i filosofi della politica che indicava la coercizione come garanzia della sopravvivenza dello Stato. Autore di De cive (1642), Leviathan (1651), De corpore (1655), e De homine (1658), fu un filosofo materialista convinto del fatto che tutto è corpo ed è movimento destinato a conservarsi. A causa delle guerre da lui vissute, Hobbes ha una concezione dello stato di natura pessimistica: homo homini lupus (l’uomo è lupo per l’uomo); ne segue che lo stato di natura è bellum onmium contra omnes: guerra di tutti contro tutti. Per evitare però questo perenne conflitto, gli uomini hanno deciso di unirsi allo stato attraverso un patto che non può essere revocato e in cui si affida tutto il potere al sovrano. La garanzia di una vita regolata da leggi stabili si paga però con la limitazione della libertà, affermando così la tesi dello stato come realtà superiore, sostituto addirittura dell’onnipotenza 30 lasciare i più piccoli che saranno poi ripresi al lavoro concluso. Ma non è una soluzione, infatti non garantisce igiene e educazione, ma solo la sopravvivenza. Il problema dell’educazione dell’infanzia, anche dei più poveri, non può più essere trascurato. 2. GLI ESETI DELL’EMPIRISMO: BERKELEY, HUME, CHESTERFIELD Lock apre l’età dell’Illuminismo. In questo periodo si diffonde il deismo, un modo di pensare che giudica esistente la divinità, ma che non coincide con l’immagine che propone la religione, ovvero una visione antropomorfica di Dio. È presente anche il tema dell’etica, la morale si basa su dei sentimenti innati nell’uomo, ed è la tendenza all’ordine e all’armonia, che implica un’intuizione del bello inteso appunto come armonia. L’individuo cerca per natura e il proprio bene e da qui nasce la proposta di una società in cui prevale l’altruismo e la benevolenza, il concetto di piacere coincide con quello di bene. Considerando che l’uomo possiede naturalmente il senso del giusto e dell’ingiusto, l’educazione dovrebbe eliminare le idee false e rafforzare i buoni costumi. L’educazione produrrebbe un amore disinteressato per la virtù. Tra i filosofi ricordiamo George Berkeley, il cui punto di partenza del suo pensiero è la domanda sulla possibilità di andare oltre le umane percezioni. Arriva alla conclusione che esistono due tipi di idee, tutte sono particolari e quelle generali sono solo dei nomi che indicano delle idee particolari che tra di loro hanno delle affinità. Per egli i sensi della vista e del tatto sono irriducibili ed esistono soltanto le sostanze spirituali ovvero Dio e le anime. David Hume porta a compimento la critica empirista intorno alla conoscenza dell’esperienza. Per egli nulla può esserci di là dell’esperienza, costituita dalle impressioni e dall’idee. Le impressioni sono le percezioni immediate e più forti, le idee sono delle copie delle impressioni. Possono essere isolate, tramite l’immaginazione, e connesse fra loro con il principio di associazione che può avvenire per somiglianza, per continuità nel tempo e nello spazio, per casualità. Spiega che è un fatto causale sta nella sua continuità. Per quanto riguarda l’etica, essa è fondata sui sentimenti, in particolare quello di simpatia e di socievolezza. E per quanto riguarda la religione, essa nasce dalla paura della morte. Con Hume l’empirismo sfocia nell’Illuminismo, perché anticipa la critica all’istituzione religiosa e afferma il principio di un potere politico soggetto alla costituzione. Chesterfield, invece, pensa di educare il figlio naturale facendolo studiare prima a Cambridge e poi al Grand’ Tour in Europa così da poter imparare le lingue, i costumi dell’alta società, in modo corretto di relazionarsi. Innumerevoli sono le lettere dove insegna al figlio come farsi strada nella società aristocratica attraverso approcci personali moralmente discutibili. Tali lettere vengono poi consegnate alla stampa dalla moglie del figlio e costituiscono un esempio reale di educazione dell’epoca. Esprimono il lato realistico di quel concetto di simpatia utilitaristica che circola tra i moralisti e gli economisti del tempo. 3. L’ILLUMINISMO FRANCESE: HELVETIUS L’Illuminismo è la corrente che caratterizza il XVIII secolo, basata sulla fede nei poteri della ragione in base alla quale è possibile preparare un avvenire migliore. Tale consapevolezza ha in serbo un carattere riformista in quanto considera negativo il passato ma anche ogni forma di autorità che impedisca il libero uso della ragione. Critica, infatti, ogni sistema politico assolutista e alla stessa religione, la cui dogmaticità viene considerata un mezzo usato dal clero per gestire il potere. Tale fiducia nella ragione comporta una diversa valutazione del ruolo dell’educazione; se in precedenza quest’ultima ha la funzione dell’integrazione dell’educando nell’organismo sociale di appartenenza, con Illuminismo mira alla liberazione di condizionamento astratto portando in sé una valenza politica e rivoluzionaria, che prenderà forma con Rousseau e con gli influssi del suo pensiero sulla Rivoluzione francese. La Francia diventa il centro del pensiero illuminista e ricordiamo Pierre Bayle che afferma che fede e ragione sono incompatibili e che la ragione, una volta autonoma, può indicare da sola la via del bene e la moralità dipende quindi dalla ragione e ciò richiede una grande tolleranza in materia religiosa, visto che la fede non implica di per sé la vera moralità. Così favorisce la formazione di una cultura totalmente indipendente dalla religione. In questo periodo fu importante il barone di Montesquieu. Iri Montesquieu insiste sulla connessione esistente fra gli eventi storici e afferma che le istituzioni e le leggi di ogni popolo non sono casuali, ma dipendono dalla natura dei popoli stessi, dai costumi, dalle religioni, dallo stesso clima e dalla struttura geografica. È anche importante per egli la ripartizione dei poteri: legislativo, giudiziario ed esecutivo. Montesquieu viene considerato come un riformista moderato. Troviamo poi anche Voltaire, il vero nome è François Marie Arouet, un polemista accanito. Significativa fu la sua critica a Cartesio, ritiene che la sua metafisica sia dogmatica. Da un punto di vista religioso si dichiara deista, credente in una divinità che non si interessa delle faccende umane e dal punto di vista politico repubblicano. Per quanto riguarda l’educazione, le tesi di Helvetius rappresentano uno dei punti più avanzati del materialismo rivoluzionario illuministico, afferma che la fortuna e la forza dell’educazione dipendono dal fatto che essa può contribuire a migliorare la dotazione biologica di un individuo che spesso è casuale. E l’educazione essendo che dipende dallo Stato è subordinata ai suoi intenti e di qui segue la necessità di un’organizzazione statale efficiente, da cui fa derivare l’attività educativa, il cui scopo è stabilire ciò che gli alunni devono apprendere e stimolare la loro autostima e l’amore per la gloria. Infatti, vuole sottrarre l’azione educativa ai religiosi per affidarla ad uno stato rinnovato. Anche lui insiste sullo studio della lingua nazionale, giudica il latino come un esercizio che presto si dimentica, preferisce infatti la fisica, la storia, la matematica, la morale. E anche importante avere basi della morale e della legislazione, importante per la scelta dell’occupazione futura. Il tema educativo è ripreso in De Homme, dove afferma che tutto dipende dall’educazione, la quale deve essere soggetta alla legislazione statale. Afferma che ogni cosa può funzionare in una società ordinata, non credendo diversamente da Rousseau, nella bontà naturale. Sostiene che la democrazia sia molto fragile nella realtà e l’ignoranza è causata dal dispotismo e dalla superstizione. Una buona educazione garantisce il buon funzionamento dello Stato e promuove il bene pubblico. L’educazione non deve essere negativa (come afferma Rousseau) ma positiva, deve individuare quali sono le virtù e le capacità necessarie per svolgere una professione e individuare i mezzi per condurre all’acquisizione di quest’ultime. È necessario l’intervento diretto del maestro oppure la mutua educazione, come è opportuna l’educazione pubblica. L’ambiente scolastico suscita 31 l’emulazione, presenta regole rigide uguali per tutti, opera con fermezza, diversamente da quanto potrebbe accadere all’interno delle famiglie. L’elemento fondamentale dell’insegnamento deve essere la formazione etico-sociale e avviare l’alunno ad esercitare nel miglior modo possibile l’attività prescelta. È importante che sia l’alunno a scegliere ciò che intende fare mentre il maestro deve stimolare ad eccellere. Per quanto riguarda l’educazione morale, Helvetius, presenta un catechismo che fornisce le basi del suo pensiero, ovvero l’amore di sé cerchi il piacere e fugga il dolore, come le leggi servono a garantire il rispetto delle proprietà personali eccetera eccetera. Non esiste un’educazione senza un fine, l’unico è quello di rendere cittadini più forti, più illuminati e più adatti a contribuire al benessere della società in cui vivono. Il fine utilitaristico è connesso ad una critica radicale nel tempo e la felicità dei cittadini coincide con l’integrazione sociale in uno Stato che esprime la consacrazione della classe borghese. Ciò non è casuale, la morale individualistica è utilitaristica sotto intendono il successo del professionista. Helvetius afferma che l’educazione può tutto e con questa sua affermazione conduce all’integrazione nell’efficienza borghese, che però presuppone il rovesciamento del potere consolidato, dell’alleanza. Troviamo poi La Mettrie e d’Holbach. La Mettrie è autore di La storia naturale dell’anima e L’uomo macchina, per l’autrice ogni tipo di essenza è inconoscibile ed esiste soltanto la conoscenza sperimentale. La materia è l’unica realtà e di essa si conoscono: l’estensione, il moto e la sensibilità. La vita è una semplice forza all’interno del corpo e la religione è una superstizione. Holbach scrisse La storia di Gesù Cristo dove cerca di mostrare come i quattro Vangeli siano un insieme di contraddizioni. Il naturalismo pessimistico di Helvetius richiede uno Stato autorevole che determina ogni forma di istruzione e educazione. In questi stessi anni il marchese de Sade elabora un insieme di opere in cui teorizza la validità e verità del piacere spinto all’eccesso, il suo pensiero è la conseguenza radicale delle teorie illuministe che liberalizzano gli impulsi, come avviene con la Rivoluzione francese, ovvero la affermazione della libertà nella distruzione dell’altro. Non tutto questo è l’Illuminismo francese, però è chiaro che l’unico vero sapere è quello legato alla scienza e alla tecnica. Diderot e d’Ambert decidono di scrivere un’enciclopedia, che esprime il vero sapere del tempo. Viene pubblicato in 27 volumi tra il 1751 e il 1722, ad esso collaborano Rousseau, Helvetius, Holbach e tanti altri. La sistemazione del sapere riguarda tre facoltà: la memoria, la ragione e l’immaginazione. Il successo dell’enciclopedia è notevole e in effetti l’opera caratterizza un’epoca. La sua impostazione da deista provoca reazioni avverse da parte delle istituzioni religiose ma nonostante i contrasti fra i collaboratori, continua ad essere pubblicata con successo grazie a forti appoggi politici. 4. ROUSSEAU Jean-Jacques Rousseau, pedagogista del XVIII secolo, nacque a Ginevra e fu influenzato dall'ambiente illuminista dopo aver vissuto a Parigi. Nel 1750 vinse un concorso all'Accademia di Digione con il suo "Discorso sulle scienze e sulle arti", sostenendo che lo sviluppo storico avesse corrotto l'innocenza naturale dell'uomo. Successivamente, nel "Discorso sull'origine e i fondamenti della disuguaglianza fra gli uomini" (1755), afferma che la disuguaglianza dipenderebbe dalla civiltà. Si ritirò a Montmorency, dove scrisse diverse opere tra cui: “La lettera a D’Alembert sugli spettacoli”, “La nuova Eloisa", il "Contratto Sociale" ed "Emilio". Dopo la sua morte, furono pubblicate postume le "Confessioni" e "Passeggiate solitarie". Egli rappresenta un ibrido tra l'illuminismo e il romanticismo. Sebbene mostri un'attenzione alla ragione e all'esperienza, come gli illuministi, nella sua opera "La nuova Eloisa" esprime una percezione della natura influenzata dallo stato d'animo che anticipa il romanticismo. Dal punto di vista politico, è considerato un sostenitore della democrazia, ma alcuni, come Robespierre, lo vedono come un precursore del totalitarismo etico. Egli fissa degli elementi fondamentali per la rivoluzione politica e pedagogica, sebbene conservi elementi di conservatorismo nell'opera "Emilio". La sua pedagogia, tuttavia, corrisponde a un progetto di trasformazione politico-sociale che alimenta aspettative rivoluzionarie. Le tesi del Contratto sociale sono polemiche; l’uomo nasce libero ma è invece in catene; dunque, è opportuno che egli scuota il giogo e raggiunga la libertà. Per Rousseau la più antica di tutte le società è la famiglia, e i figli devono rimanere vicini al padre fino a quando non diventano autonomi. La famiglia rappresenta una società politica: il padre comanda e i figli non rinunziano alla loro libertà se non per la loro utilità. Il diritto del più forte non giustifica l’obbedienza continua, perché esso ha comunque un limite. Allorché gli uomini nati liberi ed uguali, hanno stabilito un patto sociale che garantisca la tranquillità della vita, non hanno rinunciato alla loro libertà, che avrebbe significato rinunciare alla loro umanità. Il controllo sociale, da cui è nata la società, obbedisce ad una logica di fondo, che è quella che l’associazione, garantisca, nel rispetto reciproco, il bene di tutti, che per Rousseau corrisponde alla volontà generale, intesa come bene della comunità. Per Rousseau, ogni cittadino può avere una volontà particolare diversa da quella generale, può avere quindi degli interessi personali ma non possono contravvenire a quelli dello Stato. Quest’ultimo può essere diretto dalla volontà generale per il raggiungimento del bene comune. La volontà generale non deve essere confusa con la volontà di tutti perché questa è la somma di tutte le volontà particolari. Sotto questo aspetto, Rousseau anticipa quello che da Hegel in poi sarà chiamato Stato etico (stato totalitario). All’interno delle diverse forme di governo, possiamo distinguere il potere esecutivo e il potere legislativo. In una legislatura perfetta, la volontà particolare deve essere nulla e occorre chi fa le leggi e chi le fa eseguire. Rousseau distingue tra Democrazia (popolo che non abusasse mai del governo e neanche dell’indipendenza; sarebbe contronatura perché la democrazia non è mai esistita e mai esisterà), aristocrazia e monarchia. Vi possono essere anche governi misti e possono variare le forme di governo; l’importante è che si assicurino la conservazione e la prosperità dei suoi membri. Allorché si operi rispettando la volontà generale, lo stato ha bisogno di poche leggi, fermo restando che rimangano i rapporti con gli altri stati. Il Contratto Sociale porta a compimento le problematiche emerse nei Discorsi: vuole riportare le cose alla loro natura, e quindi determinare le caratteristiche che deve avere uno Stato. Da ciò, l’opera è la narrazione di un avvenimento perduto. Rousseau, ispirandosi ai pensieri dei contrattualisti come Hobbes, sostiene che la rinuncia alla piena libertà individuale è necessaria per realizzare la volontà generale, che non coincide necessariamente con la volontà della maggioranza ma rimane un concetto metafisico. In questa prospettiva, diventa compito dei governanti garantire il benessere dei cittadini secondo la volontà generale. Questo approccio suggerisce che Rousseau non sia solo il filosofo della democrazia, ma anche un teorico del totalitarismo, soprattutto considerando il suo romanzo "Emilio", che racchiude la sua pedagogia. 32 "Emilio" nasce dall'insoddisfazione di Rousseau nei confronti del sistema educativo del suo tempo, che reputa fallimentare. Egli critica il fatto che l'educazione si concentri su ciò che è ritenuto necessario sapere anziché comprendere le capacità degli studenti. Rousseau sostiene che è essenziale conoscere l'individuo sin dalla sua infanzia e seguire il suo sviluppo. L'obiettivo diventa quindi educare l'individuo in base alle sue potenzialità e non secondo uno schema predefinito. [Di qui il noto incipit del Libro I: «Tutto è bene uscendo dalle mani dell'Autore delle cose, tutto degenera fra le mani dell'uomo. [...] Noi nasciamo deboli e abbiamo bisogno di forze; nasciamo sprovvisti di tutto e abbiamo bisogno di assistenza; nasciamo stupidi e abbiamo bisogno di giudizio: tutto quello che non abbiamo dalla nascita e di cui abbisogniamo da grandi, ci è dato dall'educazione. Questa educazione ci viene o dalla natura, o dagli uomini, o dalle cose. Lo sviluppo interiore delle nostre facoltà e dei nostri organi è l'educazione della natura; l'uso che ci s'insegna a fare di questo sviluppo è l'educazione degli uomini; e l'acquisto della nostra esperienza sugli oggetti che ci commuovono è l'educazione delle cose. Ciascuno di noi è dunque educato da tre specie di maestri. Il discepolo, nel quale le loro diverse lezioni si contraddicono, è male educato e non si troverà mai d'accordo con sé stesso: colui invece nel quale tali insegnamenti cadono tutti sugli stessi punti e tendono ai medesimi fini, è il solo che proceda verso il suo scopo e viva coerente a sé stesso. Quegli solo è educato bene. Ora, di queste tre differenti educazioni, quella della natura non dipende da noi, e quella delle cose ne dipende solo sotto certi rispetti. Quella degli uomini è la sola di cui noi siamo veramente i padroni, benché non lo siamo che per supposizione; poiché chi può sperare di dirigere interamente i discorsi e le azioni di tutti coloro che circondano un fanciullo?».]. L’adulto vuole costringere i più piccoli secondo i propri pregiudizi, l'autorità, la necessità, l'esempio. L'attenzione, al contrario, deve essere rivolta all'infanzia. Il piccolo può essere educato dagli uomini, dalle cose, dalla natura: qui è implicito il concetto di Educazione negativa. Se per educazione positiva si intende l’azione diretta del maestro sull’alunno, per educazione negativa si intende il favorire e il potenziare le capacità naturali della persona. Per Rousseau, la prima educazione deve essere puramente negativa che consiste nel garantire il cuore dal vizio e la mente dell’orrore. Come Platone, Rousseau vuole costruire un modello ideale di formazione, e pertanto esclude che possono essere considerati sia i collegi, sia le altre forme di educazione pubblica, sia la stessa educazione domestica, in quanto essa mirerebbe a favorire i propri interessi egoistici. Egli sostiene che il fanciullo deve essere sottratto alla famiglia e alla società, in questo caso Emilio, ed educato fino alla maggiore età da un precettore. Il precettore doveva avere delle qualità, tra le quali quella di non essere un uomo venale; quest’ultimo doveva stimolare il bambino a mangiare, a parlare, a camminare, facendo in modo che il fanciullo abbia modo di apprendere sé stesso e avviandolo ad essere proporzionato nel rapporto tra desiderio e attuazione dello stesso. È il principio dell’educazione naturale, e non a caso Emilio proviene da una buona famiglia, in quanto chi è povero è più facile che apprenda dalla natura delle cose, mentre il ricco è deformato dall’ambiente in cui vive. Se la prima educazione deve essere fisica e sensitiva, occorre che il bambino venga in qualche modo indurito, quindi non dovrà essere distratto né da favole né ragionamenti, poiché non sempre capisce attraverso i concetti bensì attraverso le cose. Alla base dell’apprendimento vi è l’idea di proprietà, nel senso che comprendendo ciò che è degli altri e ciò che è suo, egli imparerà ad usare rettamente la libertà. Solo dopo l’educazione della natura, ovvero dei sensi, si potrà passare, intorno ai 12 anni, all’educazione dell’apprendere. A quest’età si sviluppano le forze del soggetto più che i suoi bisogni; pertanto, tale eccedenza di forze consente che si dia spazio all’istruzione. L’accortezza del precettore è di mettere l’alunno di fronte a problemi discussi che poi sia in grado di risolvere da solo. L’obiettivo che si pone è di introdurre, nel cervello di Emilio, idee chiare e giuste. Il precettore, dunque, deve essere disponibile a rispondere, in un insegnamento, che più che l’aspetto letterario preferisce quello scientifico. Rousseau consiglia come libro da leggere il Robinson Crusoe di Defoe che è un invito all’autoeducazione e al contempo favorire il lavoro manuale poiché questo sarebbe stato un elemento indispensabile per vivere nella società e avrebbe portato all’indipendenza. Intorno ai 15 anni comincia l’educazione morale; appaiono i primi caratteri sessuali. Per educare occorre partire dalle passioni, soprattutto da quella anteriore che è l’AMORE DI SÉ, che è connaturato a tutta l’esistenza umana. Quando questa passione è legata alla constatazione del corretto rapporto interpersonale scaturiscono SIMPATIA e BENEVOLEZZA, quando degenera, diventa amor proprio e quindi egoismo. È proprio l’amore di sé che spinge Emilio a un saper vivere con gli altri; il primo rapporto sociale è dato dall’amicizia, che si spiega per il fatto che è la debolezza umana a rendere l’uomo socievole. Verso il 18esimo anno segue l’educazione religiosa: il precettore prima di allora non aveva parlato di Dio. Il problema del divino è manifestato attraverso quella che nel IV libro è chiamata la professione di fede del vicario savoiardo. Il Vicario afferma che non ha nessun sistema da insegnare e, tuttavia, egli crede all’esistenza di un Dio perché in esso si riuniscono tutte le idee che possono giustificare la vita nel mondo; è un Dio del sentimento, della speranza, che scaturisce dall’aspettativa di un senso etico ed estetico e che non sembra preannuncia esigenze romantiche. Per Rousseau l’ordine inalterabile della natura mostra la presenza divina. Una volta acquisito la consapevolezza della natura di Dio, acquisito un mestiere, acquisita capacità di controllo e la cultura di fondo, Emilio è ormai pronto ad entrare nella società per poterla cambiare. Il V libro, è dedicato a Sofia, compagna di Emilio, il cui obiettivo è di piacere all’uomo che sposerà. Ella sarà educata, sin da piccola, alla religione propria della famiglia e sarà abituata alla sottomissione rispettosa; avrà una discreta cultura ed il canto e il ballo le serviranno come svago. L’EDUCAZIONE FEMMINILE nell’Emilio non è affatto innovativa. Il romanzo "Emilio" di Jean-Jacques Rousseau è un testo che offre molti spunti di riflessione sulla pedagogia, inclusi il rispetto per le diverse fasi della vita e l'importanza dell'autoeducazione. Le idee presentate in questo romanzo hanno influenzato notevolmente la pedagogia del XIX e XX secolo. 5. ILLUMINISTI ITALIANI Il contributo italiano alla cultura del XVIII secolo è stato significativo, soprattutto dopo la fine del predominio spagnolo nel Meridione e l'avvento del nuovo governo asburgico nel Settentrione, che ha aperto la stagione delle riforme. Sebbene non tutta la cultura italiana di quel periodo sia illuminista, è evidente che l'impulso innovativo sia di matrice empirica e, successivamente, illuminista. Milano emerge come centro dell'illuminismo, soprattutto grazie ai fratelli Pietro e Alessandro Verri, fondatori del periodico "il Caffè" (1764-65). Tra i collaboratori della rivista vi è Cesare Beccaria, autore 35 parte dal sensibile per arrivare all'astratto, e il latino è insegnato e parlato come una lingua viva. Si dà importanza alle scienze, mentre la storia è meno enfatizzata per il rischio di enfatizzare le guerre, in contrasto con lo spirito pacifista dell'istituto. Si promuove l'educazione sessuale per favorire un equilibrio morale. Si richiede una letteratura infantile realistica, e Johann Heinrich Campe (1746-1818) vi si dedica. Si auspica un coinvolgimento dello Stato nella creazione e vigilanza delle scuole. L'educazione delle donne, sebbene miri a conferire loro un'autonomia economica, è principalmente orientata verso la formazione di buone mogli e madri, differenziandosi da quella maschile. Friedrich Immanuel Niethammer (1766-1848) reagisce all'utilitarismo del tempo, enfatizzando invece la formazione delle forze spirituali che conducono al vero, al buono e al bello. L'esperienza del Philantropinum si unisce all'attenzione alla praticità tipica della cultura tedesca e alla libera educazione del corpo, diventando uno degli elementi della cultura romantica. L'educazione promossa da Basedow, con il suo patriottismo e altri ideali, contribuisce all'apertura al Romanticismo. Di conseguenza, la cultura romantica segna la fine delle ragioni illuminate e cosmopolite su cui si basava l'istituto Philantropinum. Immanuel Kant (1724-1804) è da annoverare tra i massimi filosofi della storia. Attento ad esaminare sin dove si estende la capacità critica della conoscenza, fissando i limiti della conoscenza razionale nel mondo fenomenico e aprendo, per il tramite della volontà e del giudizio estetico, al mondo noumenico. Tra le sue opere fondamentali: Critica della Ragion pura (1781), Critica della Ragion pratica (1788), Critica del Giudizio (1790). Nella Critica della ragion pura afferma che conoscere è sostanzialmente giudicare. Esistono due tipi di giudizi: quelli analitici che pertanto è a priori, ossia prescinde dall'esperienza, ed è tipico del razionalismo; quelli sintetici che aggiungono qualcosa al soggetto e che quindi dipendono dall'esperienza (il corpo è pesante) e perciò sono a posteriori e tipici dell'empirismo. Esistono giudizi sintetici a priori? Kant risponde di sì, che esistono nella scienza. È possibile in quanto il processo di conoscenza avviene all'interno dell'io e consiste nel dare ordine a ciò che si percepisce secondo alcune forme a priori o intuizioni pure (costitutive della mente e a tutti comuni) che sono lo spazio e il tempo. Ciò che proviene dal mondo fenomenico è sistemato dall’io trascendentale che ha una funzione raggruppante. Il filosofo sostiene che l'io trascendentale organizza ciò che percepiamo nel mondo fenomenico, ma non può conoscere il mondo noumenico al di là delle nostre percezioni. Tuttavia, la consapevolezza della limitatezza della nostra conoscenza implica che non possiamo comprendere concetti come l'anima, il mondo e Dio attraverso la ragione, poiché essi superano il mondo fenomenico. Nella "Critica della ragion pratica", il filosofo affronta il tema dell'azione morale, sostenendo che la moralità deve essere indipendente dalla scienza, la cui conoscenza, basata sul mondo fenomenico, è limitata dal sentimento; l’azione morali, quindi, si basa sul dovere. L'imperativo categorico del dovere richiede che la volontà umana si pieghi a 3 principi fondamentali come: l'universalità delle azioni, il rispetto per l'umanità e l'istituzione di una legge universale. Per raggiungere il sommo bene, l'uomo deve credere nell'immortalità dell'anima, che permette l'unione di virtù e felicità dopo la morte, e nell'esistenza di Dio, che garantisce questo risultato. Nella Critica del Giudizio, Kant distingue tra giudizio determinante (proprio dell’attività conoscitiva) e riflettente (teso a trovare un accordo tra il mondo della ragione e quello del sentimento), con quest'ultimo diviso in giudizio estetico, volto a cogliere il bello, e teleologico, volto al fine dell'azione umana. Kant è altresì autore di un’operetta, la Pedagogia, in cui sottolinea che l'uomo è l'unico essere vivente che necessita di educazione. Questa educazione dovrebbe includere cura, disciplina e istruzione. La cura riguarda il controllo dei genitori affinché i figli non abusino delle loro capacità, mentre la disciplina serve a regolare gli istinti per permettere un progressivo sviluppo della ragione. La coltura, che comprende l'istruzione e gli ammaestramenti: fornisce l'abilità, che è il possesso di una capacità che serve a tutti i fini. Essa non determina alcun fine ma lascia questo compito alle circostanze. Certe abilità sono utili in ogni occasione, per esempio il leggere e lo scrivere. L'educazione, per migliorare, richiede il passaggio di numerose generazioni. Nata come arte, la pedagogia deve trasformarsi in scienza per la formazione di rette coscienze. Spesso né le famiglie né i governanti sono di aiuto in questo processo, poiché perseguono i propri interessi anziché il bene comune. Di conseguenza, sono necessarie scuole intrinsecamente libere e dirette da persone competenti. L'educazione può essere privata o pubblica, ma è quest'ultima che si preoccupa principalmente della formazione del cittadino. La pedagogia si divide in educazione fisica, che riguarda il corpo, e educazione morale o pratica, che si occupa della cultura dell'uomo, includendo l'istruzione scolastica e una cultura pragmatica trasmessa dagli educatori. Infine, viene la vera e propria cultura morale che genera poi le facoltà superiori dell'intelletto, quale la capacità di giudicare in maniera adeguata. Per quanto riguarda in particolare la religione, il filosofo reputa che il bambino acquisisca l'idea di un Essere Supremo che determini comportamenti rispettosi della dignità altrui e propria. VI. CAPITOLO: L’OTTOCENTO, L’ETA’ DEL ROMANTICISMO . 1. CARATTERI DEL ROMANTICISMO Spesso il Romanticismo viene considerato l’immagine di un’antitesi all’Illuminismo: la ragione è caratteristica del pensiero illuminista, il sentimento è la caratteristica del pensiero romantico. Se ciò è vero, è vero anche che la radice è lontana e riprende i temi del platonismo e del misticismo, ma il Romanticismo trova un alleato nella critica illuministica a tutti i poteri costruiti, da quello religioso a quello monarchico. Accetta solo la sfiducia in una ritualità imposta e vuole recuperare sia in sede politica sia in quella religiosa la sacralità delle istituzioni che sono un tutt’uno con lo spirito di un popolo. Infatti, la filosofia accentua la dimensione etica e religiosa, secondaria agli empiristi inglesi, i quali sono volti all’utile del singolo e della classe, e negli illuministi francesi, atei o deisti. Dunque, si vuole costruire i principi del sociale che la Rivoluzione ha travolto per far sorgere un nuovo impero che attraversa l’Europa velocemente attraverso guerre e lutti. L’età napoleonica trova una giustificazione nella stessa temperie romantica, la quale esalta la genialità del condottiero capace di piegare le masse e dare loro slancio. Contro l’oggettività, lo spirito della scienza sperimentale, emerge la soggettività che riprende l’io di Cartesio e lo conduce alla sublimazione eroica. Kant, nella “Critica del 36 giudizio” contrappone al gusto dell’armonia (illuminismo) la forza del sublime, della soggettività colma nella forza della natura, ma presente nell’animo dei grandi uomini. Il Settecento sembra il secolo della licenziosità di classi agiate gaudenti, attente al rispetto delle regole sociali, il primo Ottocento (Romanticismo) è il tempo delle grandi passioni, amori, con quel gusto barbarico per cui la passione comporta e sovrasta la ragione. Hegel riprende tutto questo in una frase: “Tutto ciò che è reale è razionale, e tutto ciò che è razionale è reale”, dove è bisogna intenderlo in modo idealistico. Tutto questo spiega l’impegno politico dei romantici; inoltre, spiega come può essere rintracciato nella Restaurazione quando il nemico da abbattere è il cosmopolitismo ateo e spregiatore della soggettività in nome degli “immortali principi” con i quali i Francesi cercano di imporre il loro dominio sull’Europa. La ragione illuminista possiede la violenza del potere, mentre il sentimento romantico ha in sé una dissoluzione interiore che si manifesta come autodistruzione. Già nel XVII secolo, in Inghilterra, il termine “romantico” veniva associato ai romanzi cavallereschi, in Germania è un termine antitetico a quello “classico”. Jean Paul individua nella magia dell'immaginazione l'essenza della sensibilità romantica, che si accosta ai concetti “magico”, “suggestivo” e “nostalgico”, così da dare ampio spazio alla suggestione. Da qui deriva quell'aspetto irrazionale del romanticismo, ma in realtà si tratta non di una irrazionalità, ma di una razionalità superiore, intellettiva, che riprende lo spirito del Rinascimento, il quale genera la fusione di arte, filosofia e religione. È il risultato di un processo che ha come momento dissolutore lo Sturm and Drang, un movimento che nasce in Germania, il quale si ribella alla razionalità illuministica in nome di un forte vitalismo. La Rivoluzione francese e le conquiste napoleoniche ridanno impulso al desiderio per il desiderio, al desiderio irrealizzabile che si traduce in Fichte nell’impulso patriottico o nella mistica autodistruzione in tutt’uno con l’auto potenziamento. La Germania riesce a caratterizzare il Romanticismo che sta per diffondersi in Francia, Inghilterra, Italia, in tutta la cultura europea ed è soprattutto la letteratura inglese a recepire il fascino del Romanticismo tedesco; mentre è più difficile il rapporto con la Francia, ma Madame de Stael fissa delle differenze tra poesia classica e quella romantica, distinguendo le caratteristiche tra popolo del Nord e del Sud Europa. Il romanticismo in Italia è moderato dal cattolicesimo e dalla tradizione classica, ma è qui che si hanno i più grandi pensatori dell’età romantica. Tutto questo valorizza sia la religione che il recupero della sapienzialità iniziatica, presente nel Settecento, di cui diviene la massima espressione l’idealismo germanico. L’attenzione alla spontaneità, l’impegno morale, l’aiuto e l’educazione dei più poveri e bisognosi sono temi molto presenti durante il Romanticismo, i quali mettono in evidenza l’elemento pratico, didattico, funzionale. Viene posta soprattutto molta attenzione all’infanzia: l’influsso dell’Emilio di Rousseau, il problema dell’infanzia abbandonata durante le guerre napoleoniche, il bisogno di buoni sudditi e di cittadini timorati di Dio, la celebrazione della fanciullezza, un momento che si realizza nell’arte e nell’autoeducazione, e nel caso del bambino significa concedere spazio e fiducia alla sua spontaneità, creatività e libertà. 2. L’EDUCAZIONE DEL POPOLO: PESTALOZZI John Heindrich Pestalozzi, discepolo di Rousseau, è un romantico senza esserne consapevole. Egli costruisce una casa chiamata Neuhof in cui inizia ad istruire i bambini poveri preparandoli ad una professione, però l’esperimento fallisce per le difficoltà economiche. Tra il 1781 e il 1787 pubblica “Leonardo e Geltrude” e il suo impegno educativo e civile fanno sì che egli organizzi un istituto educativo a Stans. Egli insegna come maestro nella scuola elementare di Burgdorf, dove inaugura (1800) un suo istituto. Nel 1801 pubblica “Come Geltrude istruisce i suoi figli” e viene invitato da Napoleone come membro di Consulta per una nuova costituzione svizzera. Nel 1804 organizza una nuova scuola a Yverdon, a cui viene annessa una sezione femminile. Dal 1808 diventa presidente a vita della Società Pedagogica Svizzera e tiene un discorso in cui espone i suoi principi educativi, insistendo sul valore della famiglia e sul ruolo della religione. Nel 1810 inizia la crisi della scuola e nel 1825 chiude l’istituto di Yverdon, dunque si ritira a Neuhof. Il romanzo “Leonardo e Geltrude” narra che nel villaggio di Bonnal il malvagio podestà Hummel comanda a suo piacimento. Tra i pochi a resistere vi sono Leonardo e Geltrude, una coppia che conduce una vita eticamente elevata. Il feudatario Arner riesce ad imporsi e a risollevare la vita economica, culturale e morale del paese. Il romanzo ha diverse edizioni → nella prima edizione è evidente il ruolo positivo del dispotismo illuminato, ma soprattutto è chiaro che si può risanare la vita popolare attraverso la scuola, la quale avvia al lavoro, poiché le famiglie non sono in grado di promuovere attività economica. Successivamente acquisisce più importanza il ruolo dell'educazione familiare, in cui ha un ruolo determinante la figura femminile. È infatti Geltrude a favorire il risanamento morale giovandosi dell'aiuto, oltre che di Arner, del parroco Ernst. Famiglia, Stato e Chiesa devono dunque cooperare, per il tramite dell'educazione, per la crescita morale del popolo, a cui occorre fornire delle possibilità lavorative. Arner fa leva sui giovani e sulla scuola: da questo aspetto, il romanzo percorre la storia delle speranze dell'intellettualità riformatrice che considera con attenzione le potenzialità della piccola borghesia. Vi è inoltre una impostazione innovativa della scuola e della famiglia attraverso l'azione sulla gioventù. Pestalozzi guarda con simpatia le idee rivoluzionarie e ciò spiega la possibilità che egli ha di aprire a Stanz un ospizio per i bambini orfani o abbandonati dopo la guerra, promuovendo una sorta di mutuo insegnamento e riconsiderando le sue idee sull’educazione. La ripresa della guerra trasforma Stanz in un ospedale militare e, dopo la sconfitta dei Francesi, Pestalozzi viene escluso dalla direzione. In questo periodo egli elabora la tesi che la preparazione professionale delle classi più povere è necessaria per la sopravvivenza, ma è utile allo stato in quanto esse si garantiscono i mezzi per la sussistenza e favoriscono il diffondersi delle industrie. Quando l'educazione professionale e l'educazione popolare diventano un tutt'uno, si presuppone ci sia un libro di testo che contiene i principi dell'economia domestica, dell'agricoltura e dell'industria, il quale infonde i vantaggi dello sforzo, della parsimonia e dell'esercizio; uno spazio libero, come una piccola fattoria, dove i fanciulli possono anche iniziare a lavorare e viene posta molta attenzione al calcolo, utile per l'economia. In “Come Geltrude istruisce i suoi figli” (14 lettere) si manifesta la didattica per Questa foto di 37 l’educazione popolare destinata ad allargare l’ambito dell’intuizione del fanciullo e renderlo consapevole dell’apprendimento. Il metodo si basa su cinque principi: I. Elevare intensivamente, non solo estensivamente, le forze dello spirito; II. collegare gli insegnamenti alla lingua per maturare le capacità mentali; III. fornire a tutte le operazioni dello spirito delle idee-guida, in modo che l'alunno si costruisca la propria scienza; IV. semplificare il meccanismo dell'insegnamento e dell'apprendimento; V. essere capaci di divulgare le scienze secondo le possibilità di apprendimento degli allievi. Per il calcolo è necessaria la presenza di oggetti ideali, l'importante è che gli alunni siano messi in grado di aiutarsi da soli e ciò avviene quando si impara ad ordinare le proprie intuizioni, ad organizzare interiormente le cose in maniera corrispondente all'ordine naturale e a chiarire le impressioni. L'intuizione è fondamentale, ma occorre corroborare con l'esperienza e l'analisi, anche perché l'educazione dell'umanità si ha attraverso l'essenza della natura, indagata nelle configurazioni numeriche, formali e linguistiche. Il linguaggio si divide in descrizione della terra, storia, scienza naturale e storia naturale. Infine, l'attività pratica non deve essere separata dal compito più grande che è l'elevazione alla verità e alla saggezza. Di qui il problema dell'insegnamento del divino. Pestalozzi spiega che il fanciullo deve apprendere i sentimenti dell'amore, della fiducia, della gratitudine e la disposizione all'obbedienza prima che si parli di Dio. Questa è la funzione dell'educazione materna che rende il figlio a lei riconoscente. Una volta acquisito il senso del dovere e del diritto, il bambino prende coscienza del significato di umanità e del degrado in cui versa, e attraverso l'amore verso l'umanità il fanciullo comincia a cogliere il vero senso del divino. Egli insiste sui temi dell'umanità e della patria, ma anche sull'impegno etico. La famiglia e la scuola sono i punti di riferimento per questa educazione, così da pervenire ad una comunità armonica degli individui che la costituiscono. Lui insiste sulle caratteristiche delle materie di studio, sulla gradualità dei mezzi didattici, sulla dedizione degli insegnanti al loro lavoro e sulla preparazione alla vita scolastica ad opera della famiglia. In Pestalozzi vi è sempre una passionalità sincera che gli consente di far convivere gli influssi del passato con quelli del presente, per un'umanità migliore in cui confluiscono le aspettative illuministiche, gli insegnamenti religiosi dall'ambiente protestante e l'attivismo romantico. D’altra parte, egli concede molta importanza sia l'educazione familiare che alla scuola. Ne “Il canto del cigno” Pestalozzi conferma la sua convinzione che la vera educazione dev’essere conforme a natura e che vi dev’essere un equilibrio delle forze e delle conoscenze. Il processo di crescita si sviluppa attraverso l'uso, pertanto il buon educatore deve saper stimolare l'alunno e avviarlo ad operare. La prima educazione è quella materna che pone i fondamenti della vita morale anche attraverso l'esempio, poiché la madre è un campione di forza e di fedeltà capace di prevenire gli incentivi sensuali dell'insoddisfazione. È una donna che vive non per soddisfare i propri capricci, ma mette se stessa a servizio della prole, sapendo sviluppare l'intuizione. Un altro elemento conforme a natura è l'apprendimento della lingua materna che deve procedere dall'impressione degli oggetti che il bambino vede, collegandosi con la pronuncia dei nomi. Pestalozzi propone una educazione che deve essere sentita profondamente e che conduce alla preghiera. Si tratta di un cristianesimo da vivere in prima persona e a conclusione della sua esistenza egli entra all'interno del clima romantico. Se l'educazione del popolo è il tema di tutta l'opera di Pestalozzi, le idee sull'educazione subiscono delle modifiche nel tempo. Nel periodo di Neuhof prevale l'interesse per l'apprendimento pratico-professionale, nel periodo di Stanz emerge l'attenzione ed un'educazione conforme a natura, che diventa sempre più intrisa di temi morali e religiosi. La sua idea di educazione si sviluppa secondo le proprie esperienze e secondo i mutamenti storici, rispettando la gradualità dell'insegnamento, il quale è un metodo naturale. È molto costante l'importanza che egli attribuisce all'educazione attraverso la famiglia e la scuola, i quali devono diventare ambienti educativi per poter essere efficaci. L'educazione materna fa sì che egli spieghi come sono dominanti nelle donne i sentimenti della chiaroveggenza e dell’autorevolezza. Pestalozzi è un educatore che cerca di realizzare nella pratica la fiducia messianica nella religione dell'umanità. Tra gli autori dell'epoca occorre ricordare padre Girard (1765-1850), il quale scrive un “Progetto di educazione pubblica” e afferma che l’educazione è un’arte che rimane nella pratica e che egli giudica basarsi sia sull’intelletto, ma anche sulla volontà e sul sentimento, devenendo educazione morale fondata su un metodo naturale, ossia su un metodo che rispetta l’evoluzione delle capacità dell’educando. Un’altra autrice da ricordare è Necker De Saussure, la quale scrive “L’educazione progressiva” in cui spiega che l’educazione continua tutta la vita e occorre pertanto fornire all’educando i mezzi per il suo sviluppo armonico. È molto interessante la parte che riguarda la vita femminile, dove ella insiste sul fatto che le donne acquistino consapevolezza del loro ruolo e della personalità in collaborazione con l’uomo, senza infrangere le regole sociali. Un altro autore che occorre ricordare è Richter, il quale viene ricordato per l’importanza che diede all’educazione dei bambini. Egli pone molta importanza al gioco poiché “soltanto l’attività rende e mantiene lieti e felici.” 1. 3. LA SPIRITUALITA’ ROMANTICA E L’IDEALISMO. L’idealismo di Fichte, Schelling ed Hegel è presente nella prima metà dell’Ottocento tedesco con conseguenze che perdurano nella cultura occidentale. Non tutta la spiritualità romantica può essere racchiusa nell'idealismo, ma i suoi massimi esponenti vivono i temi principali del tempo: l'impegno educativo e patriottico del dotto, la connessione tra etica e politica, la valorizzazione dell'arte come intuizione e coincidenza con l'Assoluto, importante è l'intelligenza storica, per la comprensione del reale in tutte le sue espressioni, di cui il filosofo è il più grande interprete. Da questo punto di vista, l'idealismo fa coincidere l'immagine del filosofo con quella del professore universitario, dando a questa professione l'ambito naturale di vita del filosofo, facendo diventare il professore una guida spirituale della società del proprio Questa foto di Autore 40 si afferma la libertà di insegnamento. Occorre favorire le potenzialità dell'educando, sempre nel rispetto della realtà sociale. In questo senso l'educazione deve esprimere una sintesi tra peculiarità personali ed esigenze sociali. Invece in Schiller (1759 – 1805) ciò che conta è l'educazione estetica, il cui culmine è il culto della poesia, a cui si deve avviare sin dalla più tenera età tramite il gioco. Ciò che lui propone è la formazione dello spirito la cui compiutezza è indifferente alle determinatezza degli uomini chiusi nei loro particolari. 2. SCHLEIERMACHER Oltre a Ritcher Che sostiene la necessità di un'educazione libera, spontanea, oltre che religiosa, del fanciullo e valuta inoltre è importante l'educazione della donna, significativa la figura di Schleiermacher (1768 – 1834) Che elabora un'acuta riflessione pedagogica: occorre soddisfare sia le esigenze del fanciullo (gioco) sia le esigenze della realtà (esercizio) per poter raggiungere a una sintesi, egli ritiene che le funzioni essenziali dell'educazione siano la prevenzione, la repressione, il potenziamento. Alla luce di tali idee, i genitori e i maestri devono formare il fanciullo, curando soprattutto i sentimenti morali, e la scuola diventa l'istituzione volta non solo alla formazione delle altitudini, ma altresì dei sentimenti morali. Nelle LEZIONI DI PEDAGOGIA (1826), scrive che la pedagogia è una scienza applicata che sta in rapporto diretto con l'etica e che da questa è derivata, ed è coordinata con la politica. Per lui l'attività pedagogica deve essere sostegno di ciò che accade spontaneamente, indipendentemente dall'educazione. L'impegno educativo non può che essere al tempo stesso etico - politico. 3. WILHELM VON HUMBOLDT Chi da realmente corpo istituzionale al nuovo umanesimo è Wilhelm von Humboldt (1767 – 1835). Per il filosofo, la critica storica di matrice luministica considera il presente come un momento spiritualmente più elevato rispetto al passato, giudicando peraltro il genere umano sotto il profilo razionale e intellettuale, più che naturale. Merito di Rousseau è stato quello di aver ripensato i momenti aurorali dell'umanità come creante e moralmente superiori in quanto naturalmente spontanei. Ciò significa che il futuro dell'umanità non consiste in un piatto livellamento dominato da un'astratta ragione, bensì nella ricchezza e varietà di forme individuali giunte alla loro massima perfezione. Come scrivere nel saggio SULLA RELIGIONE, occorre spostare in sede educativa l'attenzione dei successivi materiali esterni alla formazione umana interiore. La vera filosofia, di stampo idealistico, deve pertanto proporre lo sviluppo degli esseri umani sia nella concretezza della prassi sia nella varietà delle loro aspirazioni. Sei il corso della storia ha contribuito ad isolare sopravvalutare alcuni elementi in base alla prevalenza di alcuni saperi si tratterebbe di collegare gli elementi sparsi di rappresentare una nuova totalità, la quale non soltanto metterebbe da parte gli egoismi ma consentirebbe la vera e libera affermazione della più alta spiritualità. Humboldt comprende l'importanza del problema educativo. In un volume IDEE PER UNA RICERCA SUI LIMITI DELL’ATTIVITA’ DELLO STATO (1792) coglie i limiti dell'assolutismo educativo statale critica ogni educazione volta al perseguimento dei beni materiali, rivendicando la libertà personale propria della Grecia classica. Nel 1809 Humboldt diventa capo sezione al ministero dell'Interno gli viene affidata la sezione di culto dell'istruzione pubblica. Ha già concepito un suo piano di forma dell'istruzione ne realizza parte nell'anno e mezzo che tiene la carica. Non è favorevole a scuole di mero indirizzo tecnico pratico e sostiene la necessità di un'educazione generale e disinteressato da offrire a tutti indistintamente e di là dalle specializzazioni. Di conseguenza progetto il sistema scolastico in 1. Elementare: impostata sul modello di Pestalozzi, in cui elementi fondamentali del sapere come leggere, scrivere, calcolare, si accompagnano ad altre discipline utili per la vita. 2. Scolastico: si poggia sugli elementi linguistici, storici, matematici 3. Universitario: deve essere volta alla ricerca, sia da parte del docente che dello studente. La lezione diventa un elemento secondario dinanzi agli studi svolti per lo sviluppo della scienza. Ciò implica la mia indipendenza dal professore universitario da ogni condizionamento nella sua libera ricerca. Humboldt il suo modello di università allorché si fonda in Prussia l'università di Berlino essendo stata Halle sottratta nel 1806 alla Prussia. In SULL’ORGANIZZAZIONE INTERNA ED ESTERNA DEGLI ISTITUTI SCIENTIFICI SUPERIORI DI BERLINO (1810) spiega che quattro sono le facoltà: teologia, filosofia, diritto, medicina. La filosofia intesa come premessa per ogni studio. Vi sono quindi una filosofia della religione, una filosofia del diritto, una filosofia della natura. L’idea di Humboldt sopravvive al suo artefice e si conferma per tutto l’Ottocento e il Novecento europeo come il più alto modello di ricerca pura e disinteressata. Il docente universitario diviene in vario modo non solo lo scienziato ma anche l'espressione della Sapienza e in certa misura la guida spirituale della sua terra. Nel 1832 in Prussia, la presenza della Realschule accanto al ginnasio, rappresenta una valorizzazione delle scuole professionali all'interno del sistema educativo, nonostante la predominanza dell'educazione classica. La Realschule, istituto tecnico, ricevette un ordinamento giuridico grazie all'opera di August Gottlieb Spilleke. Questa inclusione di un istituto tecnico riflette la presenza di una concezione scientifica della pedagogia, promossa principalmente da Herbart, che riconosce l'importanza di una cultura mirata a fini pratici. 4. 5. HERBART Johann Friedrich Herbart (1776 – 1841) è considerato uno dei più importanti avversari dell'idealismo. Si dichiara realista e non idealista in quanto, per lui, le rappresentazioni non hanno origine dall'io bensì dagli oggetti esterni all'attività pensante. Pertanto, la realtà è un insieme di reali che entrano in contatto tra loro, generando diverse situazioni. I reali sono stati interiori che tendono ad autoconservarsi. Nel caso dell'anima la sua autoconservazione è 41 una rappresentazione. Nell'anima si generano diverse rappresentazioni che, come all’esterno, i reali, possono provocare una serie di relazioni anche conflittuali. Per lui si tratta di studiare la statica e la meccanica del manifestarsi delle rappresentazioni e del loro intreccio. Lo studio del combinarsi delle rappresentazioni e compito della psicologia della quale non avrebbe potuto tener conto la pedagogia. La conseguenza di tale logica ha importanti sviluppi nell'etica. Per Herbart ciò che è non può che essere evidente. Come di fatto esiste il bello, così non può che esistere il buono. L'azione poggia su cinque idee: 1. Libertà interiore: L'idea di libertà interiore, che si fonda sulla coincidenza tra volontà e principio buono, garantisce la possibilità della società umana moralmente costituita 2. Perfezione: l'idea della perfezione si attua attraverso il sistema educativo che deve far maturare le diverse forze dello spirito; 3. Benevolenza: l'idea di benevolenza deve permeare la vita sociale per la realizzazione della felicità; 4. Rettitudine: l'idea di rettitudine fonda il diritto; 5. Equità: l'idea di equità genera il corretto sistema retributivo. Alla luce di tale concezione, è chiaro che l'educazione ha un compito rilevante. Per lui l'uomo è naturalmente educabile in quanto ha consapevolezza del bene e del male; pertanto, se il fine dell'attività educativa e la moralità indicata dall'etica, come quest'ultima chiarisce le idee che esistono, la psicologia delinea i mezzi possibili da impiegare. La pedagogia è già una scienza dell'educazione in quanto interagisce con l'etica e la psicologia. L'etica consiste nel raggiungimento della virtù che presuppone fondamentalmente la libertà e per raggiungerla vi deve essere una concordanza fra volontà ed intendimento, tenendo presenti le idee di benevolenza, perfezione, rettitudine ed equità. D’altra parte, la psicologia spiega come la sensibilità, la memoria, la fantasia e il giudizio siano tra loro collegati in una scala ascendente che presuppone, soprattutto per il grado più alto, l'istruzione. Quest'ultima deve essere anche presente nell'azione educativa, allorché si educa la volontà di limitarsi nei propri desideri. Lo scopo dell'educazione è una volontà che desidera il raggiungimento di un obiettivo dopo aver espresso un giudizio calcolato. Pertanto, ogni educazione presuppone tre momenti: 1. Il governo: che a sua volta determina l'azione volontaria secondo le norme insegnate dal maestro 2. L'istruzione: che crea amplia i giudizi e che presuppone delle esperienze 3. La disciplina: che fa sì che l’alunno agisca contemporaneamente siamo realmente sia liberamente Inizialmente il bambino non ha intendimenti etici: ha bisogno di un governo che lo Guidi attraverso comandi e divieti sempre legati ad un'autorità amorevole che deve essere propria dei genitori. Successivamente avviene la vera e propria istruzione in cui si sviluppa l'intendimento e quindi il giudizio estetico. Herbart distingue tra un'istruzione che mira all'utile o alla piacevolezza e un'istruzione veramente educativa che ha per suo obiettivo la virtù. L'importanza dell'istruzione nasce dal bisogno di determinare la volontà, la quale non è qualcosa di autonomo ma è chiaramente collegata alle rappresentazioni che il soggetto possiede. Occorre coltivare la multilateralità dell'interesse che fa sì che il soggetto non si disperda nella varietà delle curiosità ma si sviluppi ricollegando la verità degli interessi ad una legge morale universalmente valida. Se l'interesse è legato all'interiorità, quindi all'autonomia, il problema educativo è quello di far scaturire da loro la virtù. Herbart distingue vari tipi di interesse di carattere empirico speculativo estetico, simpatetico, sociale, religioso. Tutti questi vengono racchiusi all'interno della pedagogia e devono essere presenti nelle differenti materie. Momenti del processo educativo sono prima l'approfondimento e poi la riflessione. Herbart prevede 4 gradi del suo metodo di apprendimento: intuizione, libera conversazione, lezione riassuntiva e infine applicazione. E’ chiaro che gli interessi si collegano a diversi aspetti. Quelli empirici pretendono la chiarezza, quelli speculativi l'associazione il sistema, quelli sociali e simpatetici il metodo. A sua volta l'insegnamento può essere descrittivo, sintetico, analitico. Il carattere morale è il punto d'arrivo del processo in quanto poggia sulla disciplina ed è capace di esprimere dei comportamenti retti. Da ciò Herbart, attraverso la sua istruzione educativa, mira non solo a formare il carattere ma considerarlo come l'evento d'arrivo e di partenza per un'azione sociale. Herbart è reputato uno dei fondatori della pedagogia scientifica, cioè di quella pedagogia che ha un suo proprio metodo, che sa collegarsi ai concreti processi di apprendimento e che al tempo stesso sa porre degli obiettivi che non si limitano ad un apprendimento di particolari contenuti legati a determinati momenti storici bensì alla formazione della personalità. La sua influenza in campo pedagogico è notevole e il suo pensiero ha una sua presenza considerevole anche in Italia verso la fine del secolo decimonono. 6. L’EDUCAZIONE DELL’INFANZIA: FROEBEL Friedrich Froebel orfano di madre, viene educato dal padre che contribuisce notevolmente alla formazione di una forte coscienza religiosa. Per alcuni anni ho impiegato come apprendista forestale e questo gli consente di cogliere nella natura la vita che si sviluppa autonomamente. Nella natura stessa egli percepisce la manifestazione visibile di Dio. Natura e spirito in una sintesi ben articolata. Dopo essere stato attratto dalle scienze naturali diventa maestro elementare in una scuola diretta da allievo di Pestalozzi, che egli va a trovare a Yverdon, diventando per qualche anno precettore nell'istituto del pedagogista svizzero. Nel 1810 si reca a Berlino per riprendere gli studi subendo l'influsso del patriotismo di Fitche. Dopo la guerra si dedica all'insegnamento e apre una scuola convitto (istituto tedesco di educazione generale). Poco accettato dalla classe borghese si trasferisce in Svizzera dove fonda un orfanotrofio a Burgdorf. Nel 1840 apre un centro per l'educazione dei bambini chiamato Giardino D'infanzia Tedesco. Malgrado l'interesse per il suo 42 lavoro mostrato dagli educatori progressisti che ritengono i giardini d'infanzia l'esempio educativo più significativo della nuova Germania liberale, nata coi moti del 1848, Froebel va incontro a delle difficoltà nel periodo della restaurazione. Le sue opere più importanti sono: • L'educazione Dell'uomo (1826) • Canti e Carezze Materni (1843) Froebel era un uomo con un'anima mistica che trasse ispirazione dallo studio della natura per lungo tempo. In questo senso, il filosofo che influenzò Froebel più di tutti, più di Fichte, fu Schelling, con la sua concezione di unità tra natura e spirito. Froebel adottò questa prospettiva schellinghiana e interpretò l'arte come un'attività creativa intrinseca alla spontaneità infantile. Tuttavia, questo idealismo era mediato dall'influenza del teosofo Karl Christian Krause, per il quale Dio incarnava sia coscienza, conoscenza che volontà, ed era considerato un principio primordiale onnipresente, da cui derivava l'umanità. Conobbe personalmente Krause nel 1828 a Gottinga, dove quest'ultimo teneva delle conferenze. L'elemento mistico, con una certa aura esoterica, non era estraneo al romanticismo tedesco, e trovò sicuramente spazio nel pensiero di Froebel. Inoltre, era profondamente legato all'idea di appartenenza alla nazione tedesca, seguendo un'impostazione di tipo fichtiano. Egli riteneva che il compito dell'educazione fosse quello di facilitare lo sviluppo di ciò che l'educando possedeva dentro di sé, che egli interpretava come il divino presente nell'uomo. In tutto ciò che esiste agisce una legge eterna, riconosciuta sia attraverso la fede che attraverso la contemplazione, con la stessa vivacità, profondità ed estensione. Questa unità, Dio, stimola e guida l'uomo verso la consapevolezza di sé, il pensiero e l'intelligenza, verso la comprensione pura e incontaminata della legge interiore divina. L'educazione dell'uomo consiste nel mostrare la via e i mezzi che lo conducono a questa consapevolezza e libertà. Tutto ciò che è interiore viene conosciuto passando dall'interno all'esterno e attraverso l'esterno. L'essenza, lo spirito, il divino delle cose e dell'uomo viene compreso nelle loro manifestazioni. Non applicare questa verità significa peccare contro di essa e trarre conclusioni errate dalle manifestazioni esterne nella vita dei bambini e dei giovani. Questo è il motivo principale delle lotte, delle contraddizioni e degli errori così comuni nella vita e nell'educazione. Da qui deriva la conoscenza erronea dei bambini, dei ragazzi e dei giovani, che porta a un'educazione fallimentare, a malintesi tra genitori e figli, a lamentele inutili e a speranze irragionevoli nei confronti dei giovani. Pertanto, è essenziale per genitori, educatori e insegnanti comprendere appieno e applicare questa verità in ogni dettaglio. Perciò, l'educazione, l'istruzione e l'insegnamento devono, fin dall'inizio e nei loro primi elementi, permettere, seguire e non imporre, determinare o interferire. Il concetto di sviluppo implica quello di attività, natura e spirito si uniscono nel lavoro nella vita operando lo spirito come impulso dall'interno la natura come stimolo dall'esterno. Nel lavoro l'uomo si realizza nel suo senso più pieno; per questo deve essere partecipe della vita della famiglia e trarre sollecitazione dalle attività madre e del padre. Nella riconsiderazione del ruolo positivo del lavoro è possibile individuare un influsso del Pestalozzi, ma Froebel dà all'attività a un senso più spirituale, connaturato alla libera attività produttiva. Froebel vede nel gioco la prima e significativa attività del fanciullo: un bambino che gioca con abilità, serenità e costanza diventerà un uomo abile, sereno, costante. Di qui l'intuizione non sempre inizialmente chiara, di un istituto per le attività e i giochi del fanciullo e di un istituto per la preparazione delle maestre giardiniere. L'idea di fondo è la comprensione che il bambino si formi giocando: quindi ha bisogno anche di uno spazio adeguato, come vi è la necessità di maestre preparate che agevolino la crescita libera del fanciullo. L'infanzia è l'età del rafforzamento interiore con un conseguente processo di autoformazione che precede quello scolastico vero e proprio in cui le forze intellettive diventano coscienti di sé stesse. Ordina un'infanzia non è propriamente una scuola ma è il luogo della libera attività che anche fisicamente richiede uno spazio libero, il contatto con la natura. Il significato simbolico del giardino, dove il piccolo deve crescere, viene così a coincidere con lo spazio aperto, il libero dalle angustie dalle scuole. Attraverso il gioco il bambino impara, percependo il senso di diritti e doveri e le maestre giardiniere devono spiegare la celata presenza dell'unità di tutte le cose attraverso il racconti a fiabe, canti e poesie, non essendo il difetto altro che il frutto di inesperienza di ambiente poco felice. Froebel diventa così l'educatore che più di altri recupera interamente l'importanza dell'infanzia tramite il gioco, ossia dell'autoeducazione, in un contesto fortemente romantico. Accanto al giardino come scuola vuole che vi sia un vero e proprio giardino e realizza il materiale (i doni) che deve essere offerto al fanciullo per giocare il primo dono è la palla che il bambino può utilizzare in diversi giochi. Il secondo dono è dato da una sfera linea e da un cubo pure di legno. La prima rappresenta il movimento, il secondo la quiete. Successivamente vi aggiunge il cilindro che ha dei caratteri sia della sfera sia del cubo. Seguono, come terzo, quarto, quinto e sesto dono dei cubi diversamente sezionati così da scomporsi in tanti mattoncini che il bambino può utilizzare per costruire case, colonne. Dalla scomposizione delle figure solide si ricavano le figure piane. È’ evidente che in Froebel il discorso sui doni ha una forte valenza simbolica ma nella storia dell'educazione il frutto del suo pensiero va oltre il pensiero stesso che l'ha generato. Il fatto che il bambino impari attraverso i giochi, che abbia bisogno di uno spazio in cui giocare, che il gioco implichi la libertà che costituisce le proprie regole e le proprie leggi e che pertanto il fanciullo avrà bisogno di giocattoli sono acquisizioni educative che hanno messo nell'ombra il pur esplicito esoterismo froebeliano. Per tale ragione la fortuna dei giardini d'infanzia si è protratta oltre la teorizzazione degli stessi ed essi si impongono un po’ ovunque come il luogo dell'innovazione educativa in cui la libertà del fanciullo diventa il tramite per l'auto formazione. 7. IL PENSIERO SPIRITUALISTICO ITALIANO DEL RISORGIMENTO I primi anni del XIX secolo in Italia sono pervasi da un retaggio illuminista, moderato dalla tradizione cristiana, che è presente in studiosi ed educatori come Francesco Soave e Melchiorre Gioia, influenzati dal sensismo di Condillac. Il tema dell’educazione civile si afferma con Vincenzo Cuoco (storico della rivoluzione napoletana del 1799) e anche sostenitore del re Gioacchino Murat, di una riforma dell’istruzione pubblica di cui deve farsi carico lo Stato. Marco Gatti 45 conversazione dei bambini e la gioia degli anziani sono elementi significativi. Gli anziani, che sentono la propria individualità sfuggire loro di mano e vedono il loro futuro qui sulla terra diminuire, cercano ancor più di connettere la propria vita in declino a una nuova vita che sorge e di coltivare una speranza. Questo suggerisce che, nonostante le sfide dell'invecchiamento e il senso di perdita di autonomia, gli anziani cercano ancora di trovare significato e speranza nell'idea di un futuro che si sviluppa attraverso le generazioni più giovani. Capponi descrive il pensiero infantile come essenzialmente sintetico, poiché il bambino è intuitivo. Mentre l'analisi conosce, la sintesi crea, e la mente giovane deve essere creatrice di molte cose. È attraverso questa capacità creativa che il bambino è in grado di comprendere e creare un ponte tra le idee, organizzandole in modo mirabile, sfidando così qualsiasi ideologia. Questo suggerisce che i bambini, attraverso la loro natura intuitiva e la capacità di sintetizzare le informazioni, sono in grado di creare connessioni significative tra le idee e di sviluppare un pensiero originale e innovativo. Sia Lambruschini sia Capponi insistono sul bisogno dell'istruzione popolare essendo perlopiù assente l'istruzione di base. 11. FERRANTE APORTI Di qui il dibattito sulla necessità dell'educazione dell'infanzia la quale è fondamentale per Aporti (1791 – 1858), autore del Manuale di Educazione di Ammaestramento per le Scuole Infantili (1833), Ma soprattutto noto per aver sostenuto e diffuso gli asili, prime scuole popolari, affidate alla benevolenza dei filantropi dove non solo si custodiscono i piccoli ma li si educa partendo dalla spontanea curiosità, dall'invito al canto, dal racconto per avviare sistematicamente i primi rudimenti del sapere. In tal modo diventa il benemerito educatore dell'infanzia con l'affermare che ragazzi ben istruiti non possono che avviarsi ad una vita più regolata. Conseguentemente il tema dell'educazione primaria comincia ad essere considerato non tatto come filantropia e beneficenza ma come un sistema di formazione dei buoni sudditi. Di qui l'urgenza di scuole elementari obbligatorie che il governo piemontese avvia con la prima legge Boncompagni del 1848, poi con quella Casati del 1859, divenuta poi nel 1861 prima legge della pubblica istruzione del Regno d'Italia. Se il contributo di Aporti educatore è importantissimo per la nascita delle scuole infantili non sono da sottovalutare nei suoi scritti sia l'impianto dottrinale (dove le facoltà dell'uomo si dividono in fisiche, intellettuali e morali) sia quello metodologico. 12. DON GIOVANNI BOSCO Don Giovanni Bosco (1815 – 1888) dedica tutta la sua esistenza all'educazione e rieducazione dei fanciulli poveri o abbandonati e che fonda la Pia società di San Francesco di sales o dei salesiani approvata dalla Santa Sede del 1874. Don Bosco proclamato Santo nel 1934 promuove tra l'altro due spedizioni missionarie in Argentina destinata ad un grande successo. Egli è sicuramente tra i più importanti educatori cattolici dell'Ottocento. In effetti la prima metà dell'Ottocento italiano è ricca di iniziative educative, in cui si intrecciano le menti religiosi ed elementi liberali, aspetti didattici aspetti istituzionali. Sempre più sentita e ormai l'esigenza di un'educazione statale, organizzata in diversi gradi scolastici e che coinvolga le classi meno abbienti. È un obiettivo che il nuovo stato, sorto nel 1861, cercherà di perseguire. VII. CAPITOLO: L’OTTOCENTO, L’ETA’ DEL POSITIVISMO 1. IL SECONDO OTTOCENTO L’età del positivismo: il secondo Ottocento secondo Ottocento è caratterizzato dalla stabilità borghese, dall’ industrializzazione e dalle idee socialiste e comuniste di Karl Mark che Propone in alternativa all’educazione alienante del sistema borghese l’educazione politecnica per l’insegnamento delle varie tecnologie con conseguente capacità pratica. In realtà nonostante siano presenti forti differenze fra le classi sociali vi è un crescente progresso ed una crescente evoluzione, confermati dalla nascita di scuole obbligatorie e gratuite; tuttavia, molti genitori preferiscono non mandare a scuola i figli per farli lavorare nelle fabbriche in tenera età. L’Europa in particolare ha due grandi modelli: quello dell’Europa continentale (Francia, Germania, Italia) che ha le scuole di Stato e quello del Regno Unito con scuole private. La fine della guerra franco prussiana del 1870 crea la speranza un futuro migliore alimentato dal Periodo di pace e dal diffondersi delle scienze umane. 2. IL POSITIVISMO Il punto di partenza del positivismo è la Francia con Auguste Comte che suddivide la storia dell’umanità in tre stadi: • Teologico, dove le Convezioni umane sono dominate dalla fantasia, dall’immaginazione e dalla credenza in un Dio Onnipotente; • Metafisico, nel quale si ha la ragione riflessa, metafisica, come causa della realtà e delle forze più o meno occulte (spirito, sostanza ecc.) ; • Scientifico o positivo, dove l'umanità non pensa più a cause non definibili ma si rivolge all’esperienza quindi ai risultati scientifici nonché verificabili e riproducibili. Le vere scienze sono la metafisica, fisica, biologia, chimica, astronomia e sociologia. Quest’ultima è la scienza del presente che spiega ogni fenomeno tramite il metodo comparativo e storico-genetico e si divide in: • Statica sociale che esamina lo stesso fenomeno in luoghi diversi ma nello stesso tempo; • Dinamica sociale che esamina lo stesso fenomeno nello stesso luogo ma in tempi diversi quindi studia l'evoluzione dell'umanità. 46 Secondo Comte l'educazione deve essere universale con contenuti generali e rivolta a tutti: deve partire dalla coltivazione dei buoni sentimenti domestici, propria della famiglia e deve svilupparsi tramite le discipline scientifiche per pervenire ad un'educazione morale. Seguace di Conte è Emil Little, egli sostiene che l'educazione positiva è responsabile del rinnovamento sociale qualora sia garantita a tutti, al tempo stesso pone l'attenzione sull'importanza dell'educazione femminile. Il positivismo diventa la filosofia che garantisce l'oggettività e la superiorità della Scienza. Per quanto riguarda la natura del positivismo è un pensiero areligioso se non addirittura ateo che si dimostra Attento alla verificabilità scientifica e oggettiva pronto a mettere da parte tutto quello che non ha riscontri oggettivi e ciò provoca una rottura tra il mondo della Scienza e quello della fede. I progressi delle diverse scienze che si accompagnano alla pace Europea sembrano far sperare un futuro migliore del passato: non solo si irrobustisce il sapere scientifico ma si affermano nuove scienze: la sociologia e la psicologia 1. DURKHEIM Tra i più importanti sociologi abbiamo Emile Durkheim che nella sua opera il suicidio studia il fenomeno attraverso il metodo statistico spiegando che in una società in cui la coesione sociale è bassa si induce l'uomo al suicidio mentre in una società con Maggiore coesione sociale fra i soggetti il fenomeno è meno frequente. Quindi va ad analizzare la società come una realtà in cui ogni gruppo sociale non è la semplice somma di individui ma un tutto organico. Secondo Durkheim, la scuola è un’istituzione creata per soddisfare le esigenze della società, e il compito dell’educazione è trasmettere ciò che gli adulti ritengono fondamentale per questo la pedagogia come scienza si configura come storia dell'educazione quando misura i risultati nel tempo dell'azione pedagogica mentre quando la pedagogia assume una connotazione esortiva è fuori da ogni dimensione scientifica. 2. WEBER Un altro grande sociologo, importante anche sul piano educativo, è Max Weber. In Sociologia delle religioni (1920- 21) e in Economia e società (1922), illustra come la funzione educativa si poggi inizialmente sulla relazione madre-figlio. Tale relazione diventa sociale quando il gruppo decide di trasmettere un messaggio intorno al senso della vita. Si tratta di un messaggio profetico che conta sul carisma di chi lo diffonde. L'educazione nelle società antiche è, dunque, carismatica in quanto contiene un messaggio di salvezza, solitamente trasmesso oralmente. Successivamente all'aristocrazia e alla sua affermazione dei valori eroici e guerrieri, si affermano la borghesia e il concetto di utile come obiettivo dell'educazione. Gradualmente inizia così a sostituirsi al potere carismatico e personale quello burocratico, basato sulla competenza, facendo sì che la scuola subisca un processo di razionalizzazione e funzionalità. In parole povere, emerge la richiesta dell'abilità specifica in un sapere specializzato. Secondo Weber, il sistema burocratico diventa la conclusione ultima dello scientismo. 3. WUNDT D'altra parte, si ebbe l'affermazione della psicologia come scienza in Germania con Wilhelm Wundt, che nel 1870 fondò a Lipsia il laboratorio di psicologia sperimentale, per cui tale disciplina assume caratteristiche sempre più fisiologiche. Influenzato da Charles Darwin, Wundt spiega che la causalità psichica è determinata dalle leggi psicologiche della relazione e da quelle dell'evoluzione. Nella sua opera pubblicata nel 1912, Elementi di psicologia dei popoli, illustra inoltre la storia dell'evoluzione spirituale dell'uomo che da quello primitivo passa al periodo totemico, all'età degli eroi e degli dei per giungere al concetto di umanità. Tutto ciò va completato con l'evoluzionismo di Darwin, celebre per aver sostenuto, nell'Origine della specie (1859), che la specie umana fosse frutto di un'evoluzione determinata dalla lotta per la sopravvivenza e dalla selezione naturale. In L'origine dell'uomo (1871), Darwin giunge invece a sostenere che il corso della storia consiste in un percorso evolutivo in cui si affermano le specie più evolute perché più preparate ad affrontare le sfide e i mutamenti. 4. SPENCER Altro importante autore positivista è Spencer, il quale afferma che tutta la realtà è soggetta ad un grande processo evolutivo consistente nel passaggio dalla dispersione all'integrazione, dall'omogeneo all'eterogeneo, dall'indefinito al definito, in una vicenda che va dalle nebulose primordiali alle società organizzate. In tal modo, la filosofia diventa una teoria generale dell'evoluzione. Per quanto riguarda invece il punto di vista religioso, Spencer sostiene che Dio va oltre la conoscenza scientifica; inizia a credere pertanto nell'esistenza di un'etica sociale che garantisce il continuo superamento dei conflitti, con lo scopo di far nascere una società basata sul rispetto e sull'attenzione reciproca. Sul discorso sull'educazione, Spencer, d'altro canto, si esprime affermando che questa corrisponda alla preparazione per una vita completa, conferendo una grande importanza all'educazione morale, che è compito dei genitori, e a quella fisica, la quale avviene attraverso piacevoli attività ludiche. Sulla base di quanto detto, è evidente che per tutti i positivisti l'individuo non è altro che il risultato dell'editarietà, dell'ambiente e del momento storico. In quanto risultato, bisogna quindi studiarne le cause che lo hanno generato per capire chi è e che cosa può diventare. Ne consegue che l'attività didattica deve consentire che il bambino ripercorra la storia intellettuale dell'uomo. 5. LOMBROSO L'approdo della riflessione positivistica sulla natura umana si evidenzia con l'affermazione dell'antropologia di Cesare Lombroso di fine Ottocento e la psicoanalisi di Sigmund Freud di fine Ottocento e inizio Novecento. L'antropologo 47 italiano Lombroso, la cui opera più importante è L'uomo delinquente (1876), spiega come i fattori organici determinano, attraverso l'ereditarietà, la vita del soggetto. Tanto che rileva diversi elementi di coincidenza tra la fisiologia dell'uomo di genio e la patologia dell'alienato, per poi riportarli nella sua opera Genio e follia (1882). La soluzione è possibile solo in un'eugenetica, di cui parla anche l'antropologo Giuseppe Sergi, che possa migliorare la qualità della vita. Per Sergi, la società umana esprime nell'ordine della vita organica la continuazione della vita individuale e della discendenza; e pensava inoltre che lo scopo della vita sociale fosse quello di aumentare i mezzi di protezione e di funzione alla conservazione della vita in ogni forma. Secondo però Enrico Ferri, seguace di Lombroso, a determinare i comportamenti non sono soltanto i condizionamenti fisiologici, ma anche quelli sociali. Si afferma così la sociologia criminale con la sua ipotesi dei sostitutivi penali, fondamentali per la prevenzione del reato e per la funzione rieducativa della pena. Ne emergerà che la trasformazione della giustizia da repressiva in preventiva e quindi in educativa sarà decisiva per un miglioramento della vita sociale. 6. FREUD I principi della psicoanalisi di Freud, le cui opere più importanti sono L'interpretazione dei sogni (1900), Totem e tabù (1912-13), Introduzione alla psicoanalisi (1916-17), si racchiudono nella divisione della psiche umana che egli operò: l'es, che è la base oscura delle pulsioni, e cioè l'inconscio, che trova la sua ragione essenziale nella libido, nel principio sessuale; l'io, ossia la dimensione razionale del nostro pensare, fondamentale a dare origine ai nostri impulsi e a controllarli, per poi indirizzarli verso l'utile; il super-io, nonché l'insieme degli influssi sociali che si ricevono dalla famiglia, dall'ambiente in cui si vive, dalla scuola, dalle esperienze di vita. Tuttavia, le riflessioni sulla situazione umana e sociale appaiono nell'ultimo Freud, che diede vita ad esiti terapeutico-educativi. In L'avvenire di un'illusione (1927), rileva che gli uomini avvertono la durezza del sacrificio che la civiltà impone loro per rendere possibile la vita in comune e bisogna che la civiltà venga protetta da chi è contro la produzione dei beni. In Il disagio della civiltà (1930) Freud sottolinea che, se la civiltà è il cammino evolutivo dalla famiglia alla società, le appartiene l'esaltazione del senso di colpa, scaturito dall'uccisione del padre primordiale. Ad ogni modo, nonostante l'alternativa ad una vita diversa sia affascinante, rimane comunque un qualcosa di immaginario. Quello che è sicuro è il presente e nel presente serve la scuola, nella quale, secondo il padre della psicoanalisi, <<forma un sentimento collettivo o comunitario>> che comporta <<un'esigenza di giustizia, di trattamento uguale per tutti>>. 3. IL POSITIVISMO PEDAGOGICO IN ITALIA Durante il positivismo italiano c’era un grande interesse per la scienza e il metodo scientifico per comprendere il mondo. Si sentiva il bisogno di una pedagogia basata su principi razionali e sperimentali, poiché si voleva un’istruzione più obiettiva rispetto ai metodi tradizionali che spesso si basavano su credenze religiose e filosofiche. Inoltre, durante questo periodo c'era una crescente interesse per l'istruzione di massa e per l'adattamento dell'Istruzione alle esigenze della società moderna, il che richiedeva un approccio più scientifico e pragmatico dell'educazione. Nel secondo Ottocento la cultura pedagogica prevalente è quella positiva Favorita dalla chiusura della chiesa. Vicino al positivismo è Edoardo Fusco: in lui è presente il tema dell'educazione del cittadino di cui devono farsi carico sia la famiglia che la scuola, ma anche la società. Nel pedagogista si impone l'esigenza della scolarizzazione sociale volta a formare i sentimenti, l'intelletto e la volontà ossia il carattere degli italiani da poco riuniti nello Stato si sviluppa così l'esigenza di una pedagogia scientifica che vede contrapporsi Angiulli e Siciliani: Pietro Siciliani: afferma che la pedagogia per essere davvero una scienza deve organizzarsi in: 1) Pedagogia storica che studia Come nasce e si evolve una tesi pedagogica 2) Pedagogia teoretica che consiste nell'elaborazione di una teoria educativa 3) Pedagogia applicata che coincide con la didattica. Secondo siciliani l'educazione e l'istruzione sono interconnessi e fondamentali per la crescita del bambino alla quale non può essere impartito alcun insegnamento dogmatico compreso quello religioso e ribadisce il ruolo attivo che il bambino deve avere nel processo formativo: Si sottolinea il ruolo combinato della famiglia e della società nell'educare Il bambino e si riconosce la libertà e il carattere morale come obiettivi chiave dell'educazione da raggiungere attraverso la legge dell'autodidattica che suggerisce che l’educando è in grado di imparare e crescere autonomamente senza Tuttavia escludere l'aiuto e la guida degli educatori che sono importanti: L'alunno come maestro di se stesso. Siciliani sostiene la necessità di una maggiore presenza dell'insegnamento della pedagogia in ogni grado scolastico specialmente nelle scuole normali e nelle università. Andrea Angiulli insiste sulla collaborazione tra famiglia, stato e società sottolineando che la teoria dell'educazione è un dovere dello Stato, pertanto, lo Stato deve promuovere un'istruzione laica e scientifica escludendo l'insegnamento della religione che è un fatto privato e come tale può essere impartito. Lo stato non può svolgere alcuna azione educativa senza il contributo della famiglia entro la quale svolge un compito educativo essenziale la donna. Auspica ad una pedagogia scientifica in cui la scienza assume una funzione etica e sostituisce la religione; lo scopo dell'educazione deve essere l'inserimento dell'individuo nella società Vi è un esplicito bisogno di migliorare la realtà sociale attraverso il rapporto tra la famiglia e l'istruzione pubblica affidate allo Stato, si pone l'attenzione al ruolo determinante della donna all'interno della famiglia: famiglie scuola si rivelano i due pilastri per la costruzione di una realtà sociale più elevata. Non a caso lo storico Francesco De Santis insiste sull'urgenza di provvedere all'educazione popolare e a difendere la libertà dell'insegnamento scientifico. Pasquale Villari invece sottolinea L'importanza di un metodo innovativo e del lavoro manuale già dalle elementari e propone una secondaria distinta tra scuola umanistica destinata ad introdurre all'università e una rinnovata scuola tecnica per consentire un adeguato ingresso nel mondo del 50 vita della persona si riconosca nell'ordine metafisico. La seconda è invece legata all'insegnamento di particolari discipline. Invero, per Willmann, nell'educazione del soggetto confluisce la cultura come capitale di idee tesaurizzato nella storia e trasmesso, tramite le discipline, attraverso le generazioni. Si tratta di inviduare il complesso delle attività della cultura formativa (Bildungswesen) che si sviluppano prima nell'interiorità per poi assumere una organizzazione sociale. Eduard Spranger professore prima all'Università di Lipsia, poi in quella di Berlino, infine, nel dopoguerra, all'Università di Tubinga, va ricordato, in questa sede, per Le forme di vita e Psicologia giovanile. Allievo del filosofo Wilhelm Dilthey, Spranger distingue sei sfere di valori (economia, scienza, arte, società, Stato, religione) a cui corrispondono sei scelte di vita, le quali non devono però essere intese come esclusive, ma come prevalenti. Spranger sottolinea la necessità di un Bildungsideal che deve guidare i processi storici; compito della pedagogia e della scuola è saperlo presentare favorendo lo spirito di comunanza. L’educazione implica non solo la comprensione ma anche l'azione nel mondo culturale che il soggetto ha di fronte. Il carattere idealtipico del suo pensiero non impedisce a Spranger di considerare positivamente le scuole professionali oltre che quelle della formazione generale; inoltre, egli valorizza, nella scuola elementare, il rispetto al mondo del bambino. Theodor Litt professore prima a Bonn, poi a Lipsia, anch'egli allievo di Dilthey, nelle opere della tarda maturità (Natura e compiti dell'educazione politica; Le scienze e l'uomo; Istruzione tecnica e formazione umana) prende posizione nella contrapposizione tra scientismo e classicismo e sostiene il valore di una educazione equilibrata e aperta ai diversi saperi, in una stretta dialettica di libertà e autorità. Di qui la diffusa convinzione, nel mondo contemporaneo, che «si possa conseguire tutto ciò che si vuole solo che si studino seriamente i “mezzi” necessari e che ci si dia ad applicare senza esitazione tali mezzi». Per Litt, la cultura è, quindi, un potere spirituale che al presente deve misurarsi con le scienze naturali rivendicando l'humanitas. Il pensiero pedagogico di Willmann, Spranger, Litt si rifà quindi alla tradizione umanistica germanica che continua ad avere un ruolo rilevante anche nei momenti in cui le tendenze generali sono prevalentemente rivolte all'innovazione metodologica. Né è da trascurare il ruolo di Rudolf Steiner filosofo e educatore, fondatore della società antroposofica di chiara impostazione esoterica, ma altresì realizzatore della Scuola Waldorf, destinata ad avere, per il tramite dell'avvaloramento della volontà e creatività infantili, una grande fortuna in sede internazionale. Tra i suoi volumi: La filosofia della libertà, Teosofia. Di qui l'importanza data nella scuola alla promozione del sentimento artistico, sì da liberare le potenzialità latenti. La creatività è un obiettivo fondamentale della scuola steineriana. Le “scuole nuove”, di là da questi autori, hanno particolare successo nei paesi di lingua francese. In Francia Edmond Demolins scrive L'educazione nuova e fonda L'École des Roches, posta in campagna e intenta alla formazione globale del fanciullo. Al movimento appartiene anche Pauline Kergomard il cui impegno si manifesta soprattutto nell'educazione dell'infanzia. Ella si batte affinché le salles d'asile cessino di essere dei luoghi di assistenza e nascano le vere scuole materne ove il piccolo possa essere educato, da maestre esperte e attente ai bisogni dei fanciulli, attraverso il gioco in un ambiente pulito e sereno. In Belgio Ovide Decroly, che nel 1901 fonda l’“Istituto per fanciulli anormali”, elabora la formula: école pour la vie par la vie. Decroly è altresì da ricordare per aver elaborato il metodo dei centri di interesse e per aver rilevato che il fanciullo non apprende gli aspetti più semplici, ma quelli a suo vedere fondamentali, sì da parlare di apprendimento per globalità. Decroly, è da ricordare che l'interesse (La funzione del globalismo e l'insegnamento) si fonda sui bisogni che nel fanciullo sono: nutrizione, lotta per la sopravvivenza, difesa dai nemici, agire, ricrearsi, elevarsi. In Svizzera si segnala per la sua attività a favore delle “scuole nuove” Adolphe Ferrière, che nel 1899 fonda il Bureau International des Écoles Nouvelles; tra i suoi volumi sono da ricordare La scuola attiva e Il progresso spirituale. Claparède, noto in psicologia per i suoi studi sull'intelligenza (La genesi dell'ipotesi), che risulta non solo un adeguato adattamento alle nuove situazioni, ma un istinto di ricerca, è il sostenitore di una pedagogia come psicologia applicata e soprattutto di una scuola funzionale e su misura (La scuola su misura), nel senso che la scuola dev'essere sempre collegata ai bisogni del fanciullo e richiede una partecipazione motivata, Di qui l'esigenza per Claparède di proporre quattro soluzioni per rispettare e valorizzare le attitudini degli alunni: «le classi parallele, le classi mobili, l'aumento del numero delle sezioni (classiche, moderne, tecniche ecc.) nelle scuole secondarie, infine il sistema delle opzioni, con un più largo margine concesso alle occupazioni individuali di ogni alunno»'. Ne segue il suo insistere su una maggiore preparazione scientifica degli educatori. E così aperta la stagione dello sperimentalismo. Negli Stati Uniti d'America il movimento influisce su John Dewey, in Italia su Maria Montessori, sulle sorelle Agazzi, su Giuseppe Lombardo-Radice, in Svezia su Ellen Key sostenitrice dell’emancipazione femminile, che intravede nel Novecento il “secolo del fanciullo” e non esita a condannare le scuole tradizionali e a prospettare una scuola del futuro di carattere prevalentemente tecnico, circondata dal verde e capace di elevare gli allievi al senso della bellezza. La richiesta di una scuola diversa da quella tradizionale (fondata sulla centralità dell'insegnante e sull'oralità) scaturisce indubbiamente dalla cultura anglosassone, più incline allo sperimentalismo, all'attenzione alla corporeità e manualità, e richiede di conseguenza, con un recupero dell'educazione negativa di Rousseau, la centralità dell'alunno. Il processo di industrializzazione, d'altra parte, favorisce una scuola che vuol essere laboratorio e acquisizione di capacità, anche se non mancano all'attivismo delle teorizzazioni che chiedono un ritorno alla natura e che sembrano anticipare certo giovanilismo che sarà proprio di alcuni regimi totalitari, quali quello fascista e nazista. Nel 1921 Ferrière fonda la Ligue Internationale de l'Éducation Nouvelle e illustra i “trenta punti” delle “scuole nuove”. I primi dieci riguardano l'organizzazione della scuola, vista come un laboratorio di pedagogia pratica e un internato: deve essere situata in campagna, comprendere la coeducazione dei sessi e organizzare lavori manuali. L'insegnamento si basa sui fatti e sulle esperienze, le quali richiedono anche l'attività personale degli allievi e gli interessi spontanei. Si distingue, inoltre, tra lavoro individuale (ricerca nei libri) e collettivo (scambio o elaborazione in comune di documenti). Il terzo punto riguarda l'educazione morale, che deve vertere sulla formazione di una repubblica scolastica in cui gli allievi eleggono un capo e le diverse cariche sociali: la coscienza morale scaturisce da racconti che incidano positivamente nell'animo degli allievi. Ferrière è un entusiasta delle scuole nuove. In Ferrière vi è il retaggio dello slancio vitale del Bergson e la convinzione di matrice illuministica che l'educazione può tutto. In tale ottica la centralità del fanciullo acquista un ruolo fondamentale. Si tratta di uno dei momenti più significativi dello slancio costruttivo degli educatori e dei loro progetti per trasformare la realtà. All'educazione nuova, si ispirano pedagogisti come Roger Cousinet noto soprattutto per il suo metodo di lavoro libero per gruppi, Celestin Freinet, che sviluppa un metodo fondato sulla cooperazione e che introduce 51 la tipografia nella scuola, Eugène Dévaud, massima espressione dell'attivismo cattolico. Nel suo volume PER UNA SCUOLA ATTIVA SECONDO L'ORDINE CRISTIANO spiega che le tecniche didattiche innovative devono essere permeate da uno spirito superiore, sorretto da carità, nella consapevolezza che il vero maestro è sempre Dio. Vivificate dall'ispirazione cristiana sono in Spagna le Scuole dell'Ave Maria di Andrés Manjón una specie di scuola-giardino volta all'educazione dei fanciulli gitani di Granada. La pedagogia di Manjón è sempre una riflessione che nasce dalla situazione e considera i costumi della società in cui opera. È un piccolo ritratto di un mondo ormai scomparso, ma la preoccupazione per gli influssi negativi di una società poco attenta (al presente la strada è sostituita dalla rete) è tuttora valida. Sotto tale aspetto, pur nel rispetto dei grandi principi, Manjón è il sostenitore di un'attività educativa ben inserita nella situazione specifica in cui si opera. Nel 1950 Cousinet, in L'educazione nuova, sostiene che l'attivismo proviene dalla grande fiducia nel fanciullo, quasi una mistica di matrice rousseauiana, dal pragmatismo deweyano, dalla richiesta, ricavata dalle scienze, di rendere più proficua la didattica. Certo, quello che di esso, di là dalle differenti posizioni degli autori, rimane più significativo dell'attivismo pedagogico è il concetto di puerocentrismo. Al contrario, l'attenzione per il fanciullo, che peraltro si perde nella notte dei tempi (magna debetur puero reverentia, recita un vecchio adagio latino) e che trova forti riscontri nel pensiero cristiano, sembra essere il lascito più diffuso dell'attivismo. Un lascito non facile: considerato come processo di responsabilizzazione conduce alla partecipazione equilibrata ed impegna; considerato come primato della spontaneità rischia di scivolare in comportamenti irrazionalistici. 3. JOHN DEWEY John Dewey è allievo del pragmatista Ch. S. Peirce, dello psicologo G. Stanley Hall e di G. S. Morris che lo spinge a studiare Hegel, di cui Dewey fa propria l'esigenza di una visione unitaria del mondo e del legame tra individuo e storia. Tra le sue opere più significative Scuola e società (1899), Democrazia ed educazione (1916), Intelligenza creativa (1917), Esperienza e natura (1925), Esperienza ed educazione (1938), Conoscenza e transazione (1949). Centro del pensiero di Dewey è il concetto di esperienza: essa implica la coscienza, pur non riducendosi a questa, e consiste in un rapporto continuo e interagente con l'ambiente, rapporto che consente la conoscenza dell'accaduto, mentre essa stessa si proietta verso il futuro. In questo senso, si tratta di un continuum in cui eventi fisici e psichici sono interconnessi. Sotto questo aspetto, il pensiero di Dewey si chiama strumentalismo o migliorismo etico, in quanto vuol essere una sistematizzazione positiva di quello che va accadendo, una sorta di integrazione razionale di ciò che accade e che caratterizza il suo pensiero come un evoluzionismo pragmatistico. Soltanto all'interno della società può infatti realizzarsi un'equilibrata vita umana. Tutto questo postula l'importanza dell'educazione, che, in linea di principio, consiste nella trasmissione del sapere per mezzo della comunicazione. Quest'ultima è un processo per il cui tramite si partecipa l'esperienza. L'ambiente, d'altra parte, garantisce che i giovani acquisiscano le esperienze considerate patrimonio collettivo. Di qui la nota affermazione deweyana che si impara facendo. E ciò si può fare in quanto l'azione rende partecipi della coscienza sociale della specie. Il che significa escludere dall'insegnamento la routine, in quanto le potenzialità sono diverse in ogni soggetto. La società diventa pertanto il punto di partenza, lo stimolo del processo educativo. Ma cosa è la società? Dewey lo spiega in Democrazia ed educazione, ove precisa che vi possono essere diversi tipi di società, non sempre positivi. L'ideale sociale a cui tendere è quello, peraltro provato dal corso della storia, in cui le classi sociali, i popoli, si vanno man mano affratellando. L'ideale a cui tendere, pertanto, è quello democratico, ossia di una società che sia permeata di interessi condivisi, che consenta che si manifestino il più ragionevolmente possibile gli interessi personali, che garantisca a tutti i componenti le stesse opportunità intellettuali e che permetta un continuo riadattamento di se stessa secondo le nuove esigenze. Tutto questo, in sede educativa, implica che l'azione dell'insegnante debba porsi alcuni scopi. In primo luogo, costituirsi come attività regolare con un'intrinseca previsione. L’educazione educativa è intenzionale e intelligente, rendendo gli allievi responsabili di quello che fanno e apprendono, in una mutua cooperazione che tenga presente le attività e i bisogni intrinseci di ogni soggetto da educare. Dewey reputa che la vera educazione derivi dalla partecipazione del soggetto da educare e pertanto la scuola è un processo di vita in cui vengono sollecitate e valorizzate le potenzialità degli allievi, con la conseguenza evidente che il tutto conduce ad un reale progresso sociale. Quella di Dewey è, un'educazione attiva in quanto forma attitudini capaci di far sì che il soggetto sappia agire adeguatamente e positivamente in situazioni sociali sempre nuove. Per tale ragione, come Dewey spiega in Le fonti di una scienza dell'educazione, la pedagogia non può essere soggetta ad alcuna scienza, ma si può servire delle altre scienze. Di qui il significato dello strumentalismo deweyano. In tal modo egli recupera il significato della crescita personale come capacità di orientarsi fuori di ogni determinismo, escludendo la supina accettazione delle specializzazioni e caratterizzando il discorso pedagogico come una rispondenza tra fini e mezzi. Nell'esperienza educativa diventa fondamentale la riflessione, come condizione di fondo per ogni vero apprendimento. Il lavoro e il linguaggio, che è il frutto della riflessione, sono del resto due forze che agiscono nel sociale. Quest'ultimo deve costituirsi come spazio aperto, sia quello scolastico, sia quello sociale vero e proprio, per poter consentire un'interazione di esperienze diverse capaci di fruttificare positivamente, evitando il puro ripetivismo e la semplice trasmissione. Dewey è il più grande pedagogista statunitense del suo tempo. La sua pedagogia, attraverso il concetto di esperienza, è figlia del credo americano in una società democratica che tende a migliorarsi continuamente, coniugando etica ed efficienza. Negli USA numerosi suoi allievi cercano di attuare delle scuole che esprimano concretamente le sue idee educative. William Heard Kilpatrick elabora il “metodo dei progetti”. I progetti, intesi come piani di intervento sulla realtà per modificarla positivamente, devono sostituire nelle scuole i programmi scolastici tradizionali, giudicati poco attraenti. In Educazione per una civiltà in cammino e in Filosofia dell'educazione, Kilpatrick non esita a criticare ogni concezione dogmatica e a sostenere la necessità di un controllo partecipato e responsabile sui processi della vita, entro cui occorre individuare i fini della propria esistenza. Infine, ne I Fondamenti del metodo afferma che «una piena concezione del metodo ci induce a ricercare, ogni volta e continuamente, quale specie di carattere morale venga costituito col concorso di tutti gli apprendimenti simultanei ed in qual modo mediante tale complesso possiamo sollecitare la formazione di un carattere più nobile». Helen Parkhurst e Carleton Washburne realizzano, nel 1919-20, rispettivamente, il “piano Dalton” e il 52 “piano di Winnetka”. Il primo si fonda sull'individualizzazione del lavoro scolastico. Nella scuola di Winnetka si distingue tra discipline essenziali (lingua e matematica) e discipline integrative. L’apprendimento delle prime è verificato con test periodici. Washburne, commissario all’Istruzione del Governo Militare Alleato nell’Italia occupata, influenza notevolmente i programmi del 1945 delle scuole elementari italiane. 4. L’ATTIVISMO IN ITALIA. LE SORELLE AGAZZI E MARIA MONTESSORI La spinta innovativa delle “scuole nuove” si sviluppa in Italia soprattutto grazie ad alcune figure di educatrici che svolgono un ruolo di primo piano nella cultura scolastica del tempo. Le sorelle Rosa e Carolina Agazzi educate in una famiglia cattolica, insegnano la prima in una scuola elementare, la seconda in un asilo infantile. Subiscono l'influenza del direttore didattico Pietro Pasquali, seguace del Froebel. Nel 1892 insegnano a Brescia e nel 1895 a Mompiano le sorelle cominciano ad attuare nell'asilo infantile quello che sarà definito il “Metodo Agazzi”, che è tracciato in alcuni volumi di Rosa Agazzi (Come intendo il museo didattico; Guida per le educatrici dell'infanzia). L'esigenza di una nuova impostazione della scuola dell'infanzia scaturisce anche dalla consapevolezza del superamento dell'annosa contrapposizione tra asili aportiani - che hanno trovato un sostenitore in Giuseppe Sacchi, fondatore dell'Associazione Pedagogica Italiana - e giardini froebeliani - sostenuti tra l'altro da Adolfo Pick di cui ricordiamo i saggi Il lavoro e l'educazione moderna e Il giardino-scuola - senza che si approdi né ad una regolamentazione degli stessi né alla loro effettiva presenza nei Comuni d'Italia. Si tratta di insistere su una semplificazione e una risistemazione dei modelli esistenti. L'impianto delle sorelle Agazzi, poggiante su una seria riflessione delle vicende degli asili, su intelligenti soluzioni didattiche e su un forte spirito educativo, ha notevole successo sì da divenire il modello di asilo in Italia. Le Agazzi giudicano che la scuola dell'infanzia debba presentare un ambiente estremamente simile alla famiglia sì che i piccoli non si sentano fuori luogo e a disagio: gli oggetti, le cose esistenti devono servire alla formazione di un ordine mentale e di una finalità educativa. Tutto questo nel rispetto della spontaneità infantile, sicché ogni bambino, aiutato da un altro più grande, organizza gradualmente la propria esperienza, sistemando tra loro le cose, mediante diversi esercizi di coordinazione che servono all'acquisizione delle idee di gradazione, di ricostruzione e così via. Il successo del metodo delle Agazzi consiste appunto in un recupero della spontaneità infantile, lontano dai simbolismi froebeliani e dagli insegnamenti aportiani, di una spontaneità però che è, con discrezione, trasformata in classificazione delle cose, quindi in graduale costruzione della realtà. In un ambiente sereno i piccoli acquistano il senso della conoscenza e dell'ordine necessario per una futura vita sociale e scolastica. Se le Agazzi sono di formazione cattolica e si muovono recuperando la spontaneità e il senso della familiarità, Maria Montessori proviene da studi prettamente scientifici ed è di formazione positivista: si laurea in Medicina a Roma e diventa assistente del prof. Giuseppe Montesano occupandosi prima di fanciulli con insufficienza mentale, quindi dell'educazione di bambini frenastenici, tenendo presenti i metodi usati da J.M. Itard e E. Séguin che si erano interessati dell'educazione degli anormali. Si iscrive a Lettere e Filosofia ed è allieva di Giuseppe Sergi. Nel 1906, l'Istituto dei Beni Stabili di Roma le affida l'incarico di dirigere, nel quartiere di San Lorenzo, degli asili per accogliere bimbi da tre a sei anni. È la nascita della Casa dei bambini aperta nel gennaio 1907, cui ne segue in marzo un'altra. L'esperienza è illustrata nel volume Il metodo della pedagogia scientifica, più volte ripubblicato con aggiornamenti ed apparso infine col titolo La scoperta del bambino. Tra i suoi volumi: L'autoeducazione nelle scuole elementari, Il segreto dell'infanzia, Educazione e pace, La mente del bambino. Nel corso della sua lunga e fortunata carriera, la Montessori modifica costantemente il proprio pensiero, sempre però ripensandolo e ricostruendolo in una sorta di continuità, come è possibile vedere nella ripubblicazione dei suoi scritti. Il suo obiettivo, dapprima, è quello di rinnovare i metodi educativi, preparando nuovi maestri che siano esperti nel riconoscere, scientificamente, le manifestazioni del fanciullo. Il bambino è un essere attivo con proprie potenzialità che vanno sostenute e rafforzate. Un altro elemento da tenere presente, sempre per la Montessori, sono i periodi sensitivi e gli istinti guida, che sono caratteristiche proprie della natura umana, disposti secondo un alternarsi di periodi di attività e di quiescienza. L'educatore deve sollecitare lo sviluppo spontaneo del fanciullo, eliminando ogni forma di repressione e favorendo la manifestazione delle peculiarità individuali, senza eccedere in eccessive cure. Così nelle Case dei bambini sono messi da parte i banchi e la cattedra tradizionale, e l'arredamento della classe è costruito a misura di bambino. I bambini provvedono da soli alle attività della giornata, anche preparandosi la tavola. E altresì necessario, per la Montessori, predisporre del materiale che abbia alle spalle un fondamento scientifico: inizialmente lo mutua da quello utilizzato per la rieducazione degli anormali. Di qui una serie di oggetti rivolti all'educazione sensoriale (tatto, senso barico, senso termico, vista, udito) e all'educazione motrice, oggetti che servono per avviare alla scrittura e alla lettura. Col trascorrere degli anni, la Montessori accentua nel suo metodo anche un'educazione religiosa, in senso, però, non confessionale. Inoltre, intorno alla fine degli anni Trenta e poi negli anni Quaranta sviluppa una vasta riflessione, sul rapporto tra educazione e pace, non priva di echi gandhiani. L'ultima Montessori è ormai l'esponente di una sorta di ecumenismo e pacifismo internazionale, non tanto teoreticamente fondato quanto capace di coinvolgere gli animi nel difficile momento in cui buona parte dell'umanità cerca un equilibrio mondiale non effimero dopo il sanguinoso conflitto. Altra anima di educatrice è Giuseppina Pizzigoni (1870-1947). Dopo aver viaggiato in Svizzera e in Alsazia, nel 1911 costituisce, nel quartiere milanese della Ghisolfa, la “Scuola Rinnovata”, esponendone il metodo in vari scritti, tra cui La scuola elementare rinnovata secondo il metodo sperimentale e Linee fondamentali e programmi della scuola rinnovata secondo il metodo sperimentale. Nella “Rinnovata” la scuola si trasforma in un laboratorio, sì da coincidere con la quotidianità. In essa vige la coeducazione ed il bambino imparano lavorando e facendo, spesso sperimentando, sotto l'attenta ma serena guida della maestra. Anche la Pizzigoni riscontra grande successo in Italia e all'estero. Significativa è pure l'opera di Maria Boschetti Alberti. Nata a Montevideo da emigrati svizzeri e residente in Svizzera, dopo aver seguito le esperienze della Montessori e della Pizzigoni, apre una sua scuola a Muzzano presso Lugano e poi ad Agno. La “Scuola serena” di Agno ne riprende lo spirito attraverso la libertà e l'autoeducazione dell'allievo, in un ambiente di pace, di armonia, di serenità. La testimonianza della sua opera si trova nei volumi il Diario di Muzzano e La scuola serena di Agno. Rosa e Carolina Agazzi, Maria Montessori, Giuseppina Pizzigoni, Maria Boschetti Alberti sono 55 Novecento la pedagogia rimane prevalentemente collegata con la filosofia. E’ una disciplina forte che intende aver ben chiaro il proprio obbiettivo. Nella logica statunitense (Dewey, Whitehead) è legata al progetto di una formazione di una realtà organica con conseguente miglioramento sociale, anche attraverso il contributo armonizzato dei diversi specialismi. Nel comunismo di Makarenko essa è la longa manus, con metodologie proprie, del partito che intende progettare una società di eguali. Nello Stato etico fascista di Gentile è il processo meritocratico all’interno dell’identità storica ed etica di una nazione. Negli sperimentalismi degli attivisti è la liberazione, più o meno controllata, delle potenzialità intrinseche nei vari soggetti. I pedagogisti cattolici cercano di mediare le diverse prospettive mirando ad una riconsiderazione della persona che tiene presente gli apporti dell’idealismo e delle filosofie spiritualistiche. Nell’intreccio complesso, si cerca di salvaguardare, con modalità e intenti differenti e non trascurabili, la dignità della persona e la validità dell’organismo (Stati, Chiesa, società) di cui essa fa parte. Dopo, a partire dal dopoguerra, tutto sarebbe apparso più difficile. La storia della pedagogia del secondo Novecento, sotto tale aspetto, non è che il logorarsi dell’ultimo totalitarismo pedagogico, del resto del tutto lontano dalla realtà, e l’affermarsi di un soggetto irrelato, sostenuto dalle scienze umane, con cui si sarebbero dovuti misurare gli autori che sono ancora capaci di respirare (o di pensare) il senso dell’Assoluto. 56 IX. CAPITOLO: DALLA FINE DELLA II GUERRA MONDIALE AI GIORNI NOSTRI 1. L’INQUIETO DOPOGUERRA E IL PERSONALISMO PEDAGOGICO IN ITALIA La caduta del Nazismo e del fascismo ridisegna la divisione del mondo in due parti politicamente contrapposte: le due grandi democrazie e il totalitarismo comunista. Due realtà complesse. Per quello che riguarda il mondo comunista, leader indiscusso è l’Unione Sovietica a cui nel corso degli anni ’60 si affiancherà la Cina di Mao, come pericoloso concorrente per l’egemonia di un potere verticisticamente strutturato. Per quanto riguarda le democrazie occidentali, la Francia e la Gran Bretagna conoscono un rapido declino collegato alla conclusione dei loro imperi coloniali. Il punto di riferimento dell’Occidente europeo sono gli USA, con il loro liberismo economico e con il loro capitalismo democratico. Un caso a sé stante, per l’aspetto culturale e sociale, è espresso dal mondo cattolico che già nella prima metà del secolo, all’interno della stessa scelta della gerarchia romana a favore del primato del neotomismo, ha iniziato altri percorsi in sede speculativa ed educativa. A favore dell’opzione tomistica tra le filosofie cristiane si esprime il pontefice Leone XIII con l’Enciclica Aeterni Patris (1879), a cui segue la costituzione e la diffusione di università cattoliche a Lovanio, Milano, New York e Tokyo. Nel neotomismo vediamo il gesuita Mario Barbera, l’ex attualista Mario Casotti e il salesiano Pietro Brado, è l’espressione ufficiale del pensiero cattolico. Vero è che nei primi del Novecento, all’interno della critica filosofica e storica ai testi biblici promossa dal protestante Adolf von Harnack e dal cattolico Alfred Loisy, si sviluppa il modernismo, corrente di pensiero intenta ad un ripensamento della religione cristiana nel confronto con la scienza e le nuove forme culturali. Il modernismo è condannato da Pio X, che non ne condivide le istanze antidogmatiche, con l’Enciclica PASCENDI (1907). Il modernismo ha notevole influenza sul pensiero dei filosofi di cattolici come Maurice Blondel e Lucien Laberthonniere. Per Blondel (L’azione, 1893; Il Pensiero, 1931; L’azione, 1936), l’azione non è altro che l’esplicazione del dinamismo della vita interiore in cui si manifesta la libertà; ne segue la concezione di una crescita come ascesa verso i valori quali la Verità. Vicino alle tesi di Blondel è Laberthonniere, studioso dei rapporti tra fede e teologia. Nella teoria dell’educazione (1901), Laberthonniere critica l’individualismo e prospetta una pedagogia e una metafisica della carità fortemente permeate dai principi cristiani, pur nel rispetto delle diverse fedi. Ciò implica che la scuola pubblica non possa esprimere un proprio credo ufficiale, anche se questo non significa che debba essere positivisticamente neutra in materia religiosa. L’influenza di autori aperti ad una più rinnovata forma di leggere il cristianesimo è presente in Emmanuel Mounier che nel 1932 fonda la rivista ESPRIT, e nel 1936 scrive IL MANIFESTO AL SERVIZIO DEL PERSONALISMO. Mounier prospetta come personalistica una civiltà in cui tutto, strutture e spirito, sia orientato all’attuazione della persona in ogni soggetto, intendendo per persona un essere spirituale costituito come tale da una sussistenza e indipendenza del suo essere. La persona è la presenza stessa dell’uomo, un assoluto per se stessa, che Dio rispetta nella sua libertà. La persona, di conseguenza, è lo spirito incarnato, non disgiunto dal corpo, elemento agente nel contesto per favorire un ordine collettivo che renda la vita concreta qualitativamente migliore. Ciò induce Mounier da un lato a schierarsi contro il capitalismo borghese, attento all’individualità, e dall’altro contro il comunismo, chiuso in una lettura economicistica della storia. L'analisi dell'universo costruito dalla persona ci rivela diverse strutture su vari piani, ma dobbiamo ricordare che sono tutte manifestazioni della stessa realtà. Ognuno ha la propria verità, ma è unito agli altri. L'educazione, che in passato spesso ignorava la vera natura del bambino, ora si sta evolvendo, cercando di rispondere alle esigenze individuali e collettive in modo più completo. Tuttavia, questo movimento è stato in parte deviato dall'ottimismo liberale e dall'ideale esclusivo di un uomo di successo, senza considerare appieno la prospettiva completa dell'individuo e della società. Da qui la prospettiva di una democrazia partecipata attraverso la comunione dell'io con il prossimo, la meditazione per la consapevolezza della propria scelta vocazionale, l'impegno per un'esistenza da vivere responsabilmente, la rinuncia al proprio edonismo. Le conseguenze pedagogiche di tale impostazione richiedono una pedagogia dell'impegno per cui l'educazione deve stimolare le persone partendo dall'ambiente in cui il soggetto si trova a vivere. E’ sostanzialmente la prospettiva di una terza via rispetto al capitalismo e ai totalitarismi di destra e sinistra. Vicino a Mounier è Jacques Maritain che nella sua rilettura del tomismo come realismo critico, propone in UMANESIMO INTEGRALE (1936) la fondazione di una nuova cristianità. Egli rifiuta l’ateismo, scaturito, secondo il filosofo, dal pensiero di Cartesio, Rousseau, Hegel e Comte, e conseguentemente tutti i regimi di matrice naturalistica e materialistica, proponendo invece una società cristianamente ispirata secondo il criterio comunitario, o sia rivolto al bene comune, personalistico, pellegrinante. Questo implica l'edificazione di una civiltà pluralista, fondata sulla solidarietà e sulla tolleranza. E un progetto su cui ritorna in cristianesimo e democrazia, sostiene che la democrazia sorge nella storia come manifestazione dell'ispirazione evangelica. L'identificazione democrazia cristianesimo è indiscutibile e ciò lo spinge a legare indissolubilmente il cristianesimo alla storia dell'occhio niente, da cui distacca nettamente le culture e le religioni che giudica per nulla democratiche. Nell'educazione al bivio raccoglie quattro lezioni tenute all'università di Yale, Maritain denuncia come errori della pedagogia contemporanea il misconoscimento dei fini, l'attivismo pragmatista, il sociologismo, l'intellettualismo, il volontarismo, il razionalismo assoluto e spiega che è l'educazione deve essere un'introduzione alla Sapienza. Occorre partire dall'interesse spontaneo esercitare la memoria e liberare l'intuizione intellettuale, unificando il processo di apprendimento, facendo vivere insieme attività mentale e fisica. Il punto di approdo è l'abituare l'anima alla vita interiore e al raccoglimento. L'influsso di Maritain sul pensiero cattolico è notevole. E molto apprezzato dal pontefice sesto che ne riconosce la profonda spiritualità della vita e pensa di proporlo come cardinale laico nel 1968 con il forte diniego del filosofo. Così questo pensatore legato all'occidente cristiano, dichiaratamente ostile al pensiero laico mentre si batte per il diritto delle persone, spiritualmente riconosciute, riconduce il discorso pedagogico all'antica sapenzialità, in una visione speculativa non sempre appieno definita. Insieme 57 a Mounier, appare come il campione della persona come entità spirituale incarnata nel corpo è chiaramente rivolta a Dio, in un pellegrinaggio del mondo in cui non deve perdersi seguendo l'ateismo e l'edonismo materialistico. Nell'immediato dopoguerra in Italia il personalismo trova il suo punto di riferimento in Luigi Stefanini anche lui di formazione attualista. Significativi considera personalismo sociale, personalismo filosofico, personalismo educativo. Per Stefanini l'essere è personale e ciò che non è personale nell'essere è prodotto dalla persona. In questa si realizzano i grandi valori come verità, bontà bellezza e compito dell'educazione diventa non solo educare alla persona ma recuperare i valori minacciati dal relativismo. La pedagogia è una scienza filosofica che tende all'affermazione dell'unicità psico spirituale dell'alunno grazie ad un etero educazione che promuove l'auto educazione e il rispetto degli interessi e dei bisogni dell'alunno. Stefanini riesce ad operare una sintesi di studi pedagogici di ispirazione cristiana, riesce ad operare una sintesi di diversi elementi che assicurano, tra i cattolici italiani, il successo del personalismo da farlo diventare pressoché sinonimo della pedagogia cattolica tout court. In verità, nell’Italia del secondo dopoguerra, con ancora forte l'eredità idealistica di Gentile e di Croce, il personalismo ha successo perché raccoglie e fonde più istanze innanzitutto quella tomistica attraverso il rispetto della gerarchia dei valori e delle finalità essenzialmente trascendente della persona: il personalismo è una corrente di schietta matrice cristiana e questo non può essere trascurato. Riprende alcuni temi forti dell'idealismo attuali istico, quali l'impegno nella storia, l'auto educazione, l'interiorità dello spirito, il ruolo della volontà, il primato della tradizione umanistica. Insistendo sulla singolarità della persona non appare tanto lontano dai temi dell'esistenzialismo che in quegli anni con Martin Heidegger e Karl Jaspers è una delle filosofie più seguite in Europa. Al tempo stesso il personalismo può recuperare sotto l'aspetto didattico e sperimentale tutti i risultati innovativi delle scuole e dell'attivismo, riconducendoli nell'ambito della tecnica educativa permeata dalla direzionalità teoretica cristiana. Il personalismo può riportare a sé epigoni del neokantismo e di altre filosofie spiritualistiche del primo Novecento. Infine, è una dottrina ben accetta non solo alle altre gerarchie ecclesiastiche, ma trova corrispondenza, proprio per la sua attenzione ai singoli soggetti e all'avveramento degli stessi in una precisa scala di valori, nelle esigenze della media e piccola borghesia cattolica e dell'intellettualità moderata che in quegli anni individua nel partito della democrazia cristiana il Grande Punto di riferimento. Il resto, la stessa Carta costituzionale italiana è essenzialmente fondata sul concetto di persona. Ciò spiega come al personalismo si possano avvicinare pensatori di altra formazione, i quali vi aderiscono pienamente o possono agevolmente interloquire trovando comunque dei punti di intesa. Così pronti al dialogo sono non solo un idealista gentiliano e cristiano come Armando Carlini, ma gli stessi pedagogisti Mario Casotti e Aldo Agazzi, di appartenenza tomista. Se Casotti riafferma tra l'altro il valore purificatore della grande arte, per ragazzi, successore di casotti sulla cattedra di pedagogia dell'università cattolica del Sacro Cuore di Milano e che attraverso le riviste scuola materna e scuola e didattica, influisce notevolmente sugli insegnanti italiani, l'educazione non è altro che un atto di mediazione, nella tra persone e civiltà. Di qui l'attenzione che il pedagogista mostra nella sua lunga carriera di studioso e di organizzatore di cultura, per problemi concreti quali il lavoro nella scuola, gli ordinamenti scolastici, il disadattamento, la pedagogia sociale. Personalisti diventano pedagogisti come Angiolo Gambaro, acuto studioso della pedagogia ottocentesca, e Giovanni Calò già allievo di Francesco De Sarlo a Firenze e sostenitore di un realismo spiritualista, di formazione rosminiana e di antiche simpatie moderniste, accademico linceo, infaticabile organizzatore di centri culturali pedagogici quali il centro didattico nazionale di studi e documentazione. Calò, autore di numerose opere storiche ricopre prestigiose cariche alle conferenze internazionali sull'istruzione pubblica Ginevra e all'UNESCO. Vicino al personalismo e anche Raffaele Resta, professore primo a Messina e poi a Genova, sostenitore di un realismo metafisico e teleologico. Da ricordare ancora Giuseppe Flores d'Arcais, professore a Padova, teorico di un personalismo critico lontano sia dalle metafisiche oggettivistica sia dalle concezioni puramente empiriche. E’ tra l'altro fondatore direttore di numerose riviste, tra le quali Rassegna Di Pedagogia, la più antica fra le riviste accademiche di discipline pedagogiche pubblicate in Italia, e presidente del Centro Europeo Della Pedagogia di Liegi. Si interessa altresì di metodologia degli audiovisivi e di cinema. Da ricordare il volume Il Cinema. Nella dinamica del movimento pedagogico cattolico, il centro di studi pedagogici di Scholé, Per molti anni coordinato da Aldo Agazzi e da Mons. Enzo Giammancheri diventa non solo il punto di riferimento di tutta la pedagogia italiana di ispirazione cristiana ma anche l'espressione del personalismo pedagogico italiano. Tra i più giovani: Marcello peretti, professore a Padova, attento a rivendicare il significato metafisico teologico della persona; Giuseppe Catalfamo, professore a Messina che lamenta il rischio che la pedagogia si riduca a didattica e ribadisce la necessaria adesione ai valori contrapponendosi all'età del comunismo. Sempre tra i pedagogisti di orientamento personalista, Gaetano Santomauro, professore a Bari, teorico di una pedagogia in situazione aperta al dialogo con le esigenze avanzate dalla sociologia, e Mario Mencarelli, Professore ad Arezzo, sosteni di un personalismo scientifico in confronto con le diverse scienze umane. Da non trascurare l'apporto di Gino Corallo che Sì in quella pedagogia come scienza teorico descrittiva e normativa ed è pedagogisti dell'università salesiana di Roma, tra cui Pietro Braido che recupera gli apporti sperimentali di Buyse, Meumann e Planchard Sino ad una Fondazione di una filosofia dell'educazione intesa come un sistema di Scienze dell'educazione strutturato gerarchicamente. No dall'università salesiana proviene C'è Bruno Bellerate, che conclude la sua carriera accademica nell'università di Roma tre, autore di importanti studi storici su Herbart, Comenio, Makarenko, oltre che di saggi sulla situazione scolastica contemporanea. Di fatto il personalismo ha la funzione di mediare la tradizione spiritualistica di matrice cristiana con le innovazioni didattiche contemporanee, riconducendo che, per tale corrente di pensiero, sono fondanti. Da un punto di vista politico sociale anche grazie alla profonda penetrazione che esercita sulla formazione degli insegnanti per il tramite di riviste specializzate, per lo più edite Dall'editrice La Scuola Di Brescia, e dall'associazionismo cattolico, è in grado di assicurare la persistenza di un primato umanistico nella scuola italiana. 2. ALTRI INDIRIZZI PEDAGOGICI Più variegato il cosiddetto fronte laico, ossia dico agli studiosi che non si riconoscono nelle posizioni dell'ortodossia cattolica e che quindi comprende pedagogisti di differente indirizzo e provenienza. Significativo il ruolo svolto da Ernesto Codignola intorno alla cui casa editrice, La Nuova Italia Di Firenze, si raccoglie in un consistente numero di 60 della contestazione del 68 la quale trova invece il suo principale in Herbert Marcuse, il quale nega la tesi di Freud che la repressione sia necessaria per la salvaguardia della civiltà e rifiuta l'ideologia della società industriale che giudica alienante. Il mondo capitalistico occidentale è quello del tutto repressivo. Attraverso una rilettura di Freud e Nietzsche, Marcuse è un autore simbolo degli anni 60 la cui notevole fortuna declina con la conclusione della parabola della Contestazione. Ciononostante, la liberazione dell'eros, l'antimilitarismo esplicito e coincidente col pacifismo giovanile, la speranza in una civiltà libera da ogni tabù rimangono uno dei lasciti non propriamente indiretti del messaggio filosofico - politico - educativo di Marcuse. Si sviluppa in tal modo nell'occidente una complessa analisi critica nei confronti del capitalismo borghese peraltro confortata dalla diffusa presenza dell'ideologia comunista è avvalorata non solo dalle istanze libertarie presenti in tante forme di attivismo ma nella logica antiautoritaria che trova espressione anche in alcuni ambienti religiosi. Significativa In Italia è la figura di Don Lorenzo Milani favorevole all'obiezione di coscienza, che in Lettera Ad Una Professoressa spiega che la scuola è uno strumento di selezione di cui si serve la classe dominante, proponendo di contro una filosofia dell'autenticità e della povertà. Sempre negli anni 60 in Brasile Paolo Freire si fa portavoce di una pedagogia della liberazione, sostenitrice della emancipazione umana in nome della giustizia sociale. La scolarizzazione si manifesta esplicitamente come una maturazione sociale e politica. Al contrario i teorici della descolarizzazione di cui il più noto esponente è Ivan Illich autore di Descolarizzare La Società e Distruggere La Scuola sostengono che occorre sottrarre la gioventù all'ideologia del potere trasmessa attraverso le istituzioni scolastiche, favorendo la formazione umana e sociale. In tal modo mentre si diffonde la realtà della scuola di massa, le tendenze critiche ne contestano i caratteri direttivi ed istituzionali, in nome di una libertà spesso naturalisticamente concepita, che rifiuta ogni indicazione costruita sia nella famiglia, sia nella scuola, sia nella società. Nel 1968 le università danno il via a un movimento di protesta che si diffonde in tutto l'occidente. Nell'aprile maggio scoppiano agitazioni studentesche in USA che culminano con l'occupazione della Columbia University; nel maggio è occupata la sorbona in Francia e il movimento di rivolta si estende anche ai lavoratori. È l'inizio della lunga ondata della Contestazione, in cui confluiscono motivazioni e logiche diverse e che comunque si manifesta come destinata a rovesciare tabù e istituzioni in nome di una libertà individualistica e della richiesta di una giustizia sociale che garantisca le classi più povere. 4. LE SCIENZE UMANE Si cominciano ad affermare, come interlocutori del discorso pedagogico, le scienze umane come la psicologia, la sociologia e l’antropologia. Si tratta di contributi di studiosi che non insegnano pedagogia, ma pervengono ad esiti educativi attraverso le loro ricerche, influenzando la pedagogia. Ciò rafforza la convinzione che più che di pedagogia bisogna parlare di “scienze dell'educazione”, come già nell'epoca positivista, per chiarire come l'attività educativa non possa prescindere dal contributo di altre discipline. Di qui si avrà la diffusione, a partire dagli anni ‘70 del secolo scorso, delle “scienze dell'educazione”. Se alcuni psicologi, sociologi e antropologi contribuiscono all'approfondimento di tematiche educative, è pur vero che gli apporti provengono anche da altri specialisti, come Philippe Ariès che offre, nella sua opera “Padri e figli nell’Europa medievale e moderna” (1960) un sussidio imprescindibile per la comprensione della mentalità educativa nell’ancien régime. In Italia, la storia della pedagogia e della scuola ha dei riferimenti in Fabrizio Ravaglioli e in Luciano Pazzaglia, costituendosi non solo come indagine fondamentale dei fenomeni del passato, ma come delucidatrice delle prospettive innovative. L'aspetto delicato non consiste nell'individuare le personalità che arrecano contributi sostanziali al dibattito educativo, ma rilevare il limite intrinseco alla denominazione di “scienze dell'educazione”, in cui la pedagogia inizia a venir meno nella interazione con scienze che conservano una matrice descrittiva e non normativa, come invece è proprio della pedagogia. L'erosione del primato pedagogico scaturisce dalla scarsa attenzione che talvolta si dà alla “normatività”, al dover essere, per una riduzione alla comprensione-accettazione dell'esistente quale può emergere dai dati statistici e sociologici e da quelli psicologici e biologici. Un contributo importante viene dato da Jean Piaget (1896-1980), il quale intende per intelligenza la dinamica di adattamento del bambino all'ambiente, in un equilibrio dei due processi di assimilazione (ciò che è appreso dal mondo esterno) e accomodamento (l'appropriazione dei dati esterni ripensati alla luce di ciò che già si conosce). Lo sviluppo cognitivo consiste in una continua risistemazione, da parte del fanciullo, della personale concezione del mondo. Questo processo è costituito da tre stadi, che includono altri sotto-stadi. a) Il primo stadio, dalla nascita ai due anni, è detto “senso-motorio”: è la fase in cui si incorpora il nuovo e inizia il processo di generalizzazione; b) Il secondo stadio comprende il periodo “pre-operatorio”, dai due ai sette anni, c) Il terzo stadio comprende il periodo delle “operazioni concrete”, dagli otto ai dodici anni. Le indicazioni di Piaget sono fondamentali per la comprensione dello sviluppo dell'intelligenza e per poter favorire in modo adeguato sollecitazioni educativamente proficue. Piaget, in un saggio composto negli anni ‘60, valorizza la figura dell'educatore, che a suo avviso non gode di particolare prestigio, anche per la mancanza di formazione universitaria degli insegnanti della primaria ed auspica una pedagogia scientifica e una collaborazione internazionale nel campo dell'educazione che già vede peraltro operante. Rimane, però, in Piaget l'attenzione allo specifico operativo, in una visione d'insieme che risente della vecchia impostazione positivista. Di fatto con lui si consolida una forte collaborazione tra psicologia e pedagogia, ma è la psicologia ad assumere un ruolo direttivo proprio per l'impianto scientifico che intende far rimarcare l'interesse che pedagogicamente dovrebbe essere prelevate, per la finalità formativa del soggetto. Per quanto riguarda la psicopedagogia gli studi sulla mente del bambino e soprattutto sul rapporto con i genitori sono affrontati da Anna Freud (1895-1982), Melanie Klein (1882-1960), Donald Winnicott (1896-1971). Nell'approccio, latu sensu, psicologico è prevalente l'interesse per la formazione della mentalità infantile e per l'apprendimento. Lo psicologo Vygotskij (1896-1934), studioso della creatività, afferma che lo sviluppo del pensiero formale è generato più dalla 61 cultura che dalla spontaneità; dunque, occorre dare molta importanza alle componenti sociali e culturali nel processo di apprendimento. Lo psicologo Skinner (1904-1990), professore ad Harvard, esamina le conseguenze della risposta, ossia il “rinforzo”, pervenendo poi ad un'analisi delle variabili dipendenti negli organismi individuali. Per Skinner, il comportamento umano può essere modificato secondo la presenza di rinforzi, che alla fin fine sono percepiti come delle ricompense che giustificano lo sforzo nell'apprendimento. In questo senso, ogni forma di apprendimento e in funzione di un conseguimento di ricompense, di contingenze di rinforzo. Di qui l'attenzione di Skinner all'istruzione programmata e alle tecnologie educative che consentono l'autocorrezione e una maggiore consapevolezza delle proprie padronanze. Skinner e autore di un romanzo pedagogico, Walden II (1948), dove scrive una società avveniristica, fondata su un ordine programmato che esclude ogni dissidio, mostrandone le problematiche implicite. Il governo di Walden Due “ha le qualità della democrazia senza averne difetti. […]” → Ehi così Skinner anticipa molti aspetti di quella che potrebbe essere la società governata dalla rete. Si apre la questione di quello che sarebbe stata la società controllata telematicamente. Il tema della società in cui vige il controllo del comportamento umano è considerato in Oltre la libertà e la dignità (1971). Il comportamentista Eysenck (1916-1997) è sostenitore della base genetica dell'intelligenza. I suoi studi sulla personalità sono importanti poiché applica l'analisi fattoriale. Se l'approccio comportamentista accentua il ruolo della casualità ambientale e la biologica, la “psicologia umanistica” rivendica l'unicità anche psicologica della persona. Maslow (1908- 1970) Ehi propone un modello gerarchico dei bisogni umani, distinguendo tra bisogni inferiori e superiori. Le persone che si considerano auto realizzate pervengono non solo ad una maggiore creatività ma ad instaurare un rapporto positivo nel sociale. Allport (1897-1967) è Ehi lo studioso della cosiddetta “autonomia funzionale” di ciò che spinge all'azione, chiarendo che i movimenti non sono dipendenti dai bisogni primari. Infatti, la personalità, l’io, non è altro che un sistema di funzioni che egli chiama proprium, che lo costituisce come una realtà originale. Rogers (1902-1987) considera la creatività del soggetto e la ritiene uno degli elementi fondamentali della personalità umana, determinante non solo sul piano psicologico ma anche su quello sociale, in grado di salvaguardare l'umanità dal processo di standardizzazione presente nella civiltà industriale. Fromm (1900-1980) è vicino alla psicologia umanistica, che giudica la consapevolezza che necessita essere autonomi rispetto i condizionamenti biologici e sociali e denuncia le pulsioni di morte proprie del carattere aggressivo. In realtà, l'apporto psicologico oscilla tra un'impostazione più generico-motivazionale e un'altra che intende accentuare l'irripetibilità del soggetto per poter recuperare sia la libertà sia i valori. È evidente che la prima, in sede educativa, conduce a privilegiare le modalità e la misurazione dei processi di apprendimento, attraverso gli studi di Bloom, Guilford e Gagné, utili per comprendere le condizioni dell'apprendimento, mentre vengono elaborate metodologie, come il mastery learning, che consentono una didattica individualizzata. La seconda riconduce ai temi educativi dei valori, della libertà, della sapienzialità, su suggestione dello psicologo svizzero Jung, fondatore della psicologia analitica, che dedica vari saggi alla relazione bambino-ambiente e per il quale la conoscenza non è mera razionalità, ma anche immaginazione. Di qui l'attenzione agli archetipi, che sono le strutture fondamentali che generano l'immaginario umano. È la ripresa del tema e del sacro, col conseguente processo di iniziazione, a cui dedica importanti studi lo storico delle religioni Mircea Eliade (1907- 1986). Da qui si sviluppa il pensiero tradizionale, volto al recupero della saggezza orientale con Evola (1898-1974), di cui per tale aspetto occorre ricordare “La dottrina del risveglio” e Zolla (1926-2002), tra i massimi rappresentanti del sincretismo contemporaneo. Le due prospettive si possono individuare anche nei due psicologi il cui contributo alle tematiche educative è più esplicito: Erikson e Bruner. Erikson insegna in diverse università USA e dà importanza alla psicoanalisi come metodo storico, collegando la personalità alla società in cui vive. Egli è noto per la teoria sui cicli della vita: distingue otto stadi (infanzia, prima fanciullezza, età del gioco, età scolare, adolescenza, giovinezza, età adulta, età senile), contrassegnati da diverse energie di base (speranza, volontà, finalità, competenza, fedeltà, amore, cura, saggezza) con un raggio di diverse relazioni significative che vanno dalla figura materna all'umanità e conseguenti crisi che nascono dal contrasto tra le tendenze sintoniche, positive, e distoniche, negative. Le più significative forze psichiche sono quelle che si collocano nei tre stadi principali dell'esistenza: la speranza che scaturisce dall'antitesi tra identità vs sfiducia di fondo, nell'infanzia; la fedeltà che nasce dall’antitesi tra identità vs confusione d’identità, nell’adolescenza; la cura che nasce da quella tra generatività vs preoccupazione esclusiva di sé, nell'età adulta. In tal modo egli spiega come nel processo formativo occorre considerare le forze inerenti ai diversi stadi per poter appieno indirizzare verso una crescita e una razionalità corrette, che sappiano affrontare i conflitti presenti in ogni età. Gli atteggiamenti negativi della vita, dalla sfiducia alla vergogna, all'isolamento, alla disperazione, sono il risultato dell'incapacità di un'adeguata mediazione tra le forze. Bruner critica la validità dell'impostazione attivistica basata sul fare più che sul conoscere, la quale impoverisce l’intelletto, dando importanza alla trasmissione culturale della formazione cognitiva. Questo implica l'attenzione a forme di conoscenza non scientifica come il mito e l'arte, favorendo, nell'educazione, l'atto della scoperta, anche attraverso una sistemazione delle informazioni che riduca la varietà dei dati materiali. Egli spiega che la crescita sia caratterizzata da una crescente indipendenza della risposta dalla natura immediata dello stimolo, che lo sviluppo consiste in una interiorizzazione di eventi in un sistema conservatorio, che lo sviluppo intellettuale implica che il soggetto attraverso parole e simboli, sappia ciò che ha fatto o farà e questo anche grazie ad un'interazione sistematica tra insegnante e alunno. In particolare, le rappresentazioni mentali si compiono attraverso l'azione, l'organizzazione visiva e il linguaggio. • Spiegazione semplificata: Bruner spiega che, quando cresci, diventi sempre più capace di rispondere alle cose intorno a te in modi che non dipendono solo da ciò che vedi o senti. Questo significa che impari a pensare e agire in modi più complessi. Per esempio, anziché reagire istintivamente a un suono forte, potresti fermarti a pensare a cosa potrebbe averlo causato. Dice anche che crescere significa portare dentro di te esperienze e informazioni, creando come una sorta di libreria mentale in cui conservi tutto ciò che hai imparato. Questo ti permette di usare la tua conoscenza passata per comprendere e affrontare nuove situazioni. Infine, Bruner sottolinea l'importanza delle parole e dei simboli nel processo di sviluppo intellettuale. Grazie al linguaggio, puoi riflettere 62 su ciò che hai fatto, stai facendo o farai. Questo avviene anche grazie alla comunicazione e alla collaborazione con gli altri, come insegnanti o compagni di classe. Le tue immagini mentali del mondo si formano attraverso le tue azioni, ciò che vedi e il modo in cui usi le parole per pensare e comunicare. Tutti questi contributi non danneggiano l’indipendenza della scienza pedagogica, anzi, aprono su due fronti: ✓ Uno di natura biologico-sociale; ✓ L’altro di orientamento cognitivo. Però la fine del secolo, a causa delle istanze politiche e sociale, diluisce la potenzialità del discorso pedagogico. 5. TRA I DUE SECOLI La rivoluzione libertaria degli anni Sessanta liberalizza i costumi, in particolare quello sessuale, e solleva delle richieste di giustizia sociale che si attuano attraverso l’estremismo politico. Nell’Occidente europeo, la sinistra comunista cerca un cambiamento in concomitanza con le personalità cattoliche convinte che la difesa dei deboli abbia una valenza politica. Le tre M (Mao, Marx, Marcus) vogliono costruire una società egalitaria e libertaria, in cui viene coinvolta anche la pedagogia. Nel 1969 Mialaret (1918-2016) in “Introduzione alla pedagogia” scrive che l’educazione deve trovare il suo dinamismo e la sua efficacia nell’atto creativo. “L’uomo di domani dovrà essere un audace pioniere e, proprio perché non diventi un ingenuo inventore che cammina per via già percorse da altri, occorre che sia preparato, nella scuola, a partire dalla realtà sfruttando tutto ciò che trova utile nell’insieme delle conoscenze. […]” Dunque, si vuole costruire un mondo nuovo, ma questo non avviene nei fatti. Il crollo dell’Unione Sovietica nel 1991 testimonia che il comunismo non è più un’alternativa al capitalismo. Questa viene considerata la fine delle ideologie, poiché il capitalismo non è espressione di un ideale politico, ma è il primato della libera economia che poggia su regole “democratiche”. La tensione verso un mondo migliore gradualmente viene persa con fenomeni di violenza e si afferma il principio della realtà con l'accettazione di un mondo così come è, regolato dalle leggi del mercato ma con la presenza di una varietà di prospettive non sempre tra loro conciliabili. In realtà, questo è accettare di convivere con le antinomie che non si riescono più a superare, mentre continuano a diffondersi in tutto il pianeta la scienza e la tecnica, capaci di determinare ciò che una volta rientrava nell'ambito dell'etica. Si diffonde così l'età del nichilismo, tra i cui esponenti troviamo Severino, il quale sostiene che il primato della tecnica è la conclusione ultima di un modo di pensare che non può che generare la propria autodissoluzione. I pedagogisti, invece, sono favorevoli al pensiero di quel tempo. Si evince la figura di Clausse (1905- 1992), il quale affermava che il compito dell’educazione è preparare il fanciullo a un mondo che non si conosce e che sarà comunque diverso dal presente, evitando qualunque forma di perennialismo (Si tratterebbe dell’insieme di verità fondamentali, leggi del pensiero e dell’opera educativa che, a partire dagli antichi scrittori ed educatori greci e latini, i santi Padri, i dottori della Chiesa, i teorici dell’educazione e gli educatori, hanno raccolto, accresciuto e valorizzato empiricamente o scientificamente, sottoponendole alla critica del filosofo dell’educazione). La scuola democratica deve diventare una comunità d’azione e “deve consentire al ragazzo di entrare in rapporto con tutti gli aspetti della cultura”. Per Landsheere (1921-2001) è importante la ricerca sperimentale in educazione e afferma la necessità di un aggiornamento continuo degli insegnanti. La scuola “non servirà più ad inculcare un sapere rigido, ma sarà un ambiente di vita condizionato per consentire l'esperienza diretta degli uomini e dell'ambiente, senza mettere in pericolo la salute fisica e mentale di una gioventù vulnerabile”. Questo è un grande progetto che cerca di migliorare la società attraverso la scuola, attraverso la diffusione dell'istruzione. La prospettiva, per chi invece si discosta in pedagogia dalle suggestioni del presente, è la fine di ogni certezza, soprattutto metafisica. Ciò solleva nei pedagogisti cattolici delle resistenze, pur consapevoli della difficoltà dei tempi, più disposti a leadership consumistiche che culturali. Acone, rivendica la presenza di una pedagogia umanistica che riprende la tradizione metafisico-etico-religiosa dell'occidente e che è prospetta un orizzonte di senso in cui l'uomo si ritrova come valore e come persona. Gli approdi del secolo aprono nuovi spazi all’educazione e incrinano quelli tradizionali. Viene rivisto il concetto di educazione in funzione delle situazioni che si sono imposte. S. Peters (1919-2011) sostiene che l'educazione è un'iniziazione, cioè un'introduzione guidata, in un ordine di conoscenza e significati che il soggetto deve padroneggiare. L'educazione implica una comunicazione che deve condurre alla generazione di situazioni che siano condivisibili per la vita sociale: di qui la correlazione tra contenuti dottrinali e aspettative. Brezinka afferma che l’educazione è un’azione promozionale che ha l’intento di rafforzare e componenti giudicate positive da una prospettiva personale e collettiva; pertanto, non esiste un bisogno “generale” d’educazione, ma l’educazione dipende dal contesto. Egli distingue il mondo delle norme e dei valori dal processo empirico della ricerca per la formazione di una capacità di giudizio educativo-pratico. Quindi, si manifesta il bisogno di una disciplina che, oltre a badare a saper trasmettere dei contenuti, metta in condizione di operare in una realtà non definibile, garantendo una vita più serena e collaborativa. Inoltre, egli reputa che l'attuale crisi di orientamento e di fiducia nei valori dipende dall'accentuazione del razionalismo, dell'individualismo e dell'edonismo, e auspica che si riacquisti la sicurezza interiore per il tramite dell'educazione dal ricevere dalle famiglie e dalle scuole. Egli denuncia le grandi illusioni che sono scaturite dalle espansioni delle scuole superiori: l'illusione sul fabbisogno dei laureati, le illusioni sulle possibilità di un finanziamento; l'illusione dell'uguaglianza delle opportunità e delle possibilità di avanzamento sociale; l'illusione della carica psicologica degli studenti. Tuttavia, alcune problematiche si impongono in maniera del tutto nuova. In primo luogo, come conseguenza della liberalizzazione post-sessantotto, si afferma il femminismo che perviene alla discussione sulle differenze di genere e sul significato stesso della figura della donna. La ricerca del proprium femminile e la presenza in aumento della donna nel mondo del lavoro contribuiscono all'autonomia, ma anche a nuove impostazioni relazionali. Dagli anni Settanta si impone in maniera nuova la famiglia tradizionale, cioè composta da due soggetti di sesso diverso uniti da un legame sacramentale e/o giuridico e volta alla procreazione, accompagnata da nuove forme di convivenza e “nuove” famiglie. Tutto questo implica una
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved