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Riassunto del libro 'STORIA ROMANA, dalla fondazione al 476 d.C.' di LIVIO ZERBINI, Dispense di Storia Romana

Riassunto molto dettagliato del manuale, ottimo per superare il corso di storia romana da 12 cfu col professor Livio Zerbini. Comprende: fondazione di Roma, periodo monarchico, periodo repubblicano, principato di Augusto, periodo imperiale, anarchia militare e caduta dell'impero!

Tipologia: Dispense

2020/2021
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Giulia100898
Giulia100898 🇮🇹

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Scarica Riassunto del libro 'STORIA ROMANA, dalla fondazione al 476 d.C.' di LIVIO ZERBINI e più Dispense in PDF di Storia Romana solo su Docsity! STORIA ROMANA 1: FONDAZIONE DI ROMA All'inizio del I millennio a.C. l'Italia era abitata da popolazioni che si differenziavano per lingua, cultura, origini ecc. 1)tribù Latino-Falsiche: stanziate nelle pianure del Lazio. Erano civiltà molto sviluppate, seppur numericamente inferiori. Esempio: popolazione dei LATINI; 2)tribù Olso-Umbre: sparse nelle restanti zone dell'Italia. Erano un popolo di pastori, eccezion fatta per gli Osci della Campania che avevano una vita quasi urbana. Esempio: popolazione dei SANNITI + GENTI DI MONTAGNA nell'Italia centro- meridionale, popolazione degli IAPIGI+ MESSAPI nell'Italia sud-orientale, la popolazione dei VENETI in Veneto e Friuli, la popolazione dei LIGURI nelle sponde nord-occidentali della penisola (popolo arretrato con idioma non indoeuropeo). I GRECI E LA MAGNA GRECIA Intorno all'8 secolo a.C. numerose colonie occuparono l'area litoreana meridionale dell'Italia. La così detta 'Magna Grecia', che sarà ospite di flussi della cultura greca in diverse modalità: più forte al sud, meno forte nell'entroterra. GLI ETRUSCHI E LA TOSCANA Sempre nell'8 secolo a.C. gli Etruschi si stanziarono nell'attuale Toscana. Erano un popolo di lingua non indoeuropea, che divenne importante per i centri urbani stanziati in Campania e in Pianura Padana. I GALLI E LA GALLIA CISALPINA Dal 5 secolo a.C. nella Gallia Cisalpina (attuale Pianura Padana+ Liguria+parte nord-orientale del Veneto) penetrarono i Galli. I LATINI E IL LAZIO La popolazione che ebbe il ruolo storico più importante nel II millennio a.C. (1 gennaio 2000 a.C. - 31 dicembre 1001 a.C.) fu quella dei Latini. Essi si stanziarono nel territorio compreso tra il Tevere e i Colli Albani, formando villaggi indipendenti tra loro ma riuniti in Leghe difensive/religiose. Alba Longa: principale città latina, dal I millennio sino all'ascesa di Roma, nella raccolta delle leghe latine. 1.1: LA NASCITA DI ROMA TRA REALTA' E LEGGENDA 21 aprile 753 a.C: nascita di Roma!!!→ La nascita di Roma è avvolta nella leggenda. Tuttavia, gli esiti delle ricerche archeologiche hanno acconsentito a confermare alcune di queste. La fondazione della città sembra risalire all'8 secolo a.C. Come lo sappiamo ? Come si formò la città ? ✔ Sul Colle Palatino sono venuti alla luce i fondi delle prime capanne; ✔ Nel 9 secolo a.C. la comunità dei Latini si stabilì sul Colle Palatino, in prossimità del Tevere, per sfruttare la buona posizione geografica dovuta alle alture facilmente difendibili, ai mari e fiumi presenti nelle vicinanze, e alle vie commerciali annesse; ✔ Dall'8 secolo a.C. Latini ed esuli di Alba Longa danno vita ad una nuova cittadina: Roma. Si tratta di un'entità statale e politica, città latina con cittadinanza propria; ✔ Roma dilatò i suoi confini e raggiunse i sette colli: Palatino, Esquilino, Celio, Quirinale, Viminale, Campidoglio e Aventino. L'archeologia testimonia che anche gruppi di Sabini si erano insidiati sulle colline vicino al Tevere. Si parla infatti di COABITAZIONE E SINECISMO tra romani e sabini: • Coabitazione: il ruolo dei Sabini è noto nella storia romana. Si pensi alla leggenda del ratto delle sabine, oppure alle figure di molti re (Numa Pompili era sabino, Tullo Ostilio e Anco Marzio erano invece figli di donne sabine); • Sinecismo: unificazione di entità politiche differenti. In questo caso Latini e Sabini che danno vita alla città di Roma. 1.2: LA STRUTTURA SOCIALE NELLA ROMA MONARCHICA La struttura sociale romana era una struttura gentilizia. Cosa significa 'struttura gentilizia' ? Più famiglie, apparentate tra loro, erano le GENS. Le gens erano costituite da più di 300 gentes che, a loro volta, si ripartivano in 30 CURIE. Le curie erano divise poi nelle 3 TRIBU' oroginarie: Tatiensens, Ramnenses e Luceres. Più famiglie = gens> Gens divise in 30 curie> Curie divise in 3 tribù. GENS E FAMILIA NELLA SOCIETA' → la gens e la famiglia erano le principali cellule della società romana. La gens era un clan che raggruppava più famiglie che condividevano terreni e pascoli, ed erano discendenti di un unico antenato. Le famiglie non avevano tutte lo stesso patrimonio o lo stesso status sociale, ma erano gerarchizzate per ordine di ricchezza e importanza! Ogni famiglia aveva un pater familias, e il pater familias più ricco guidava la gens. PATRIZI E PLEBEI NELLA SOCIETA' → al di fuori del sistema gentilizio vi era una massa di persone: i plebei. I plebei (dal latino plebs, moltitudine) erano individui eterogenei emarginati dalle famiglie tradizionali, oppure stranieri stabilitisi a Roma per costrizione o per volontà propria, oppure commercianti/artigiani arricchitisi col passare del tempo. Erano romani non cittadini, poiché: privi di tutti i diritti civili e politici, privi del diritto di proprietà, privi di partecipare ai culti pubblici e privi di organizzazioni istituzionali. Abitavano a Roma e parlavano latino, ma non avevano né patria né cittadinanza. I patrizi (dal latino 'patricii') erano invece i discendenti dei patres familias, di origini gentilizie. 1.3: L'ETA' REGIA/MONARCHICA A Roma, la prima forma di governo fu la monarchia! Il PERIODO MONARCHICO va dal 753 a.C. al 509 a.C. Secondo la leggenda, in questo periodo cronologico governarono i 'famosi' sette re di Roma. Che osservazioni possiamo fare ? 1) sicuramente sette è un numero troppo esiguo per un periodo di tempo comprendente più di due secoli di storia; 2) nel caso dei primi quattro re, i contorni storici appaiono poco nitidi. 1. ROMOLO (753- 715 a.C.): a lui dobbiamo la fondazione di Roma, la scelta del nominativo della città, l'unione con i Sabini e il primo progetto di istituzioni politico-sociali; 2. NUMA POMPILIO (715- 672 a.C.): a lui dobbiamo le basi dell'ordinamento religioso; 3. TULLO OSTILIO (672- 640 a.C.): a lui dobbiamo l'inizio dell'espansionismo romano, previa sconfitta della città di Alba Longa ed egemonia romana tra le leghe latine; 4. ANCO MARZIO (640- 616 a.C.): a lui dobbiamo le lotte con i Latini e Fidenati, la fondazione della prima colonia romana -Ostia- e l'avvio dei traffici commerciali sul M.Tirreno; VIII secolo a.C: gli Etruschi penetrano nella città di Roma e impongono la loro influenza su opere pubbliche e organizzazioni politiche, sui costumi, sulla lingua e sulle istituzioni, senza mutare però il carattere latino dell'urbe! 5. TARQUINIO PRISCO (616- 578 a.C.): di origini etrusche, fece bonificare la valle, tra il Palatino e il Campidoglio, dove sorge il Foro romano e realizzò la Cloaca Massima come primo sistema fognario di Roma; 6. SERVIO TULLIO (578- 535 a.C.): di origini etrusche, rese Roma una vera e propria città. Eresse le mura e divise la popolazione in 5 classi sociali di censo; 7. TARQUINIO IL SUPERBO (535- 509 a.C): di origini etrusche. A seguito di una ribellione del patriziato, che determinò la fine del dominio etrusco e Roma, fu cacciato. 1.4: LE ISTITUZIONI MONARCHICHE IL SENATO → e' la più importante istituzione romana, il cui nome deriva da 'senex', vecchio. Nel senato si riunivano 300 patres (100 per ogni tribù), ovvero 300 capi delle famiglie gentilizie che formavano le gentes. Il senato impersonificava l'opinione aristocratica gentilizia + i valori (mos maiorum) della società romana dell'epoca. Compiti del senato erano: intervenire, per questioni o problemi, al fianco dell'aristocrazia gentilizia ed eleggere il Rex, aiutandolo poi nelle funzioni governative. ➔ COMIZI CENTURIATI: nuova assemblea popolare basata sulla divisione del popolo in 5 classi di censo, articolate in 193 unità: le centurie. Le centurie erano unità patrimoniali, non gentilizie, che funzionavano come base di reclutamento militare: ogni centuria avrebbe dovuto fornire eguali quantità di soldati. Tuttavia, le classi censitarie non erano tutte uguali, ma anzi si dividevano in classi superiori (fornivano tante centurie di piccole dimensioni) e classi inferiori (fornivano poche centurie ma con molti componenti). Ad essi si aggiungevano poi 18 centurie di cavalieri (extra classem, abbastanza ricchi da potersi permettere un cavallo) e 5 centurie di artigiani, proletari e capite censi (infra classem). Su un totale di 193 centurie, 98 erano della I classe; ciò significa che la volontà dei ceti superiori aveva sempre la maggioranza assoluta; I classe di censo 80 centurie con possessori che... ...avevano 100.000 assi II classe di censo 20 centurie con possessori che... ...avevano 75.00 assi III classe di censo 20 centurie con possessori che... ...avevano 50.000 assi IV classe di censo 20 centurie con possessori che... ...avevano 25.000 assi V classe di censo 30 centurie con possessori che... ...avevano 11.000 assi I comizi centuriati: 1) eleggevano consoli, pretori e censori; 2) decidevano guerre o tregue, e condanne a morte; 3) avevano competenza legislativa, per approvare/respingere proposte di legge dei magistrati; ➔ COMIZI TRIBUTI: nuova assemblea popolare, comprendeva tutto il popolo distribuito territorialmente in 35 tribù in cui i cittadini venivano collocati per facilitare le funzioni elettorali/amministrative. L'importanza dei cittadini non era dettata dal loro censo, bensì dalla loro suddivisione territoriale: le 31 tribù rustiche, con popolazione ridotta e dipendente dai proprietari terrieri, avevano la maggioranza; le 4 tribù urbane erano in minoranza. I comizi tributi: 1) eleggevano i magistrati di rango minore quali edili, questori e tribuni consolari. Dal 3 secolo a.C. sostituiscono i concilia plebis; ➔ CONCILIA PLEBIS: nuove assemblee popolari in cui si riunivano solo i plebei che, come nel caso dei comizi tributi, erano distribuiti territorialmente in 35 tribù. I plebei, tramite richiesta -rogatio- di un tributo, discutevano delle loro decisioni. Queste discussioni erano chiamate plebis-scita→ pareri della plebe. Nel 287 a.C. una LEX HORTENSIA stabilì che i plebisciti avessero valore di legge anche per il patriziato. I plebei: 1) avevano competenza legislativa; 2) eleggevano i tribuni e gli edili della plebe; Schema delle principali assemblee romane (1) Schema delle cariche pubbliche (2) COMIZI CURIATI COMIZI CENTURIATI COMIZI TRIBUTI CONCILIA PLEBIS UNITA' VOTANTI 30 curie 193 centurie 35 tribù 35 tribù COMPOSIZIONE Un rappresentante per curia Tutti i cittadini divisi in centurie Tutti i cittadini divisi in tribù Tutti i plebei divisi in tribù FUNZIONI Confermano le decisioni delle altre assemblee Eleggono consoli, pretori e censori. Possono fare le leggi, dichiarare guerra, pace e alleanze Eleggono i magistrati minori e possono fare leggi Eleggono i tribuni della plebe DURATA DELLA CARICA FUNZIONE CONSOLI 1 anno Comandano l'esercito, propongono leggi, presiedono il Senato PRETORI 1 anno Amministrano la giustizia CENSORI 18 mesi Iscrivono i cittadini nelle diverse assemblee, si occupano della pubblica moralità EDILI 1 anno Si occupano dell'ordine pubblico, degli edifici pubblici, degli spettacoli e dei mercati QUESTORI 1 anno Si occupano delle finanze pubbliche: incassano i tributi e pagano stipendi a funzionari e truppe TRIBUNI DELLA PLEBE 1 anno Sono i difensori della plebe, possono proporre leggi, hanno diritto di veto L'intera progressione delle magistrature prendeva il nome di Cursus Honorum nessuno poteva accedere→ all'ultima magistratura -il consolato- prima di averle percorse tutte, in ordine ascendente, a partire dalla prima. Il C.h. è un tratto particolare della costituzione romana che ha le funzioni di: 1)vietare ogni accesso indebito al potere, 2)vietare un esercizio arbitrario e illecito del potere. Il corretto funzionamento di questo assetto politico romano fu la totale disponibilità degli aristocratici a rivestire cariche pubbliche. NOBILTA' SENATORIALE → era un ceto speciale, che monopolizzava le magistrature ed accoglieva i nuovi membri. I nobili senatoriali godevano di privilegi, dello status giuridico a loro riservato e di tutta l'onorabilità sociale. In cambio, i membri della nobiltà senatoriale: 1) erano obbligati a mettersi a disposizione della Repubblica; 2) erano obbligati a esercitare cariche pubbliche; 3) erano obbligati a interessarsi alla vita dello Stato. 2.2: L'EMANCIPAZIONE DELLA PLEBE Negli anni dell'espansionismo repubblicano, Roma dovette affrontare sia nemici esterni che interni. I nervosismi all'interno della città erano all'ordine del giorno, soprattutto a causa delle tensioni tra patrizi e plebei. Esempio: una buona parte degli abitanti di Roma, sebbene vi risiedesse, non era considerata come cittadina dell'urbe e non godeva di alcun diritto/tutela. Tuttavia la plebe, sempre più numerosa, era diventata indispensabile per il mantenimento dell'organizzazione statuale romana e, inoltre, si era stratificata al suo interno: ➔ vi erano plebei arricchitisi durante il periodo della prima espansione romana, che chiedevano di entrare in politica e di avere accesso a cariche pubbliche (riservate ai patrizi); ➔ Vi erano plebei coinvolti nei periodi di guerra che, non avendo dipendenti al loro servizio, erano costretti a lasciare incolti i propri possedimenti. ➔ Rischiavano di indebitarsi e diventare schiavi dei creditori, che potevano venderli o ucciderli se non saldavano i loro debiti. Essi muovevano rivendicazioni di natura economico-sociale, e chiedevano: 1) riduzione del peso dei debiti, 2) diritto di utilizzare l' ager publicus (terreni sottratti ai nemici vinti), 3) diritto a usufruire della spartizione gratuita di frumento in caso di carestia; Il periodo compreso tra il V-IV sec. a.C. comprende gli anni della prima rivolta plebea nel → 494 a.C. l’intera classe plebea si ritirò sul Monte Sacro, esercitando una sorta di 'sciopero' e dandosi una nuova istituzione (=non riconoscevano l'importanza del patriziato). I plebei istituirono il TRIBUNATO DELLA PLEBE: una magistratura sacra, che aveva il fine di tutelare i diritti civili del popolo non patrizio. Non faceva parte del cursus honorum ma godeva della sacrosanctitas -l’inviolabilità- e del diritto di veto -fondamentale per opporsi alle decisioni dannose per gli interessi dei plebei più bisognosi. Il tribunato era formato dai tribuni della plebe, eletti dall'assemblea della plebe riunita per tribù. Ancora considerati come estranei alla vita di Roma, i plebei ottennero il diritto di commerciare liberamente -ius commercii. Nel 451 a.C. vengono promulgate le prime leggi scritte: le cosiddette 'leggi delle XII Tavole'. Per realizzarle fu necessaria la collaborazione di 10 uomini - 5 patrizi e 5 plebei- i decimviri legibus scribundis. Queste leggi tutelavano i plebei dai soprusi delle altre classi sociali, ed erano l'esempio della prima legge romana scritta, che andavano a sostituire il diritto consuetudinario. Le XII Tavole vennero esposte nel Foro, e ponevano fine al potere pontificio dei patrizi in ambito di giustizia/ procedure giudiziarie. Nel 445 a.C. venne promulgata la lex Canuleia, che garantiva la possibilità di matrimonio misto tra patrizi e plebei. I plebei ottennero, così, anche lo ius conubii e, mescolandosi ai patrizi, diedero vita ad una nuova società: la nobilitas* (consoli e pretori, non per forza patrizi, e coloro che discendevano da essi. Uomini ricchi che amministravano la città). *NB: l'opposizione ora non era più tra patrizi e plebei, ma tra nobilitas patrizio-plebea e maggioranza di popolazione non privilegiata... In più, manca ancora l'accesso alle magistrature per la completa integrazione civica! Nel 421 a.C. la plebs può accedere alla carica di questore (anche se il primo quaestor plebeo l’abbiamo solamente nel 409 a.C.). Con ciò si chiude la prima fase dell’emancipazione della plebe; da qui in poi vennero emanate una serie di leggi a favore della classe medio bassa: I. Nel 367 a.C. con le leggi Licinio-Sestie -lex Liciniae-Sexae- i plebei ottennero l’ingresso in senato e l’accesso al consolato; II. Nel 356 a.C. alla dittatura; III. Nel 351 a.C. alla censura; IV. Nel 337 a.C. alla pretura; V. Nel 326 a.C venne abolita la schiavitù per i debiti VI. Nel 300 a.C. alle cariche religiose. Il Tribunato della plebe faceva ufficialmente parte del Cursur Honorum, non era più visto come una minaccia per il sistema romano e divenne una magistratura usuale. L’emancipazione della plebe si concluse nel 287 a.C. con la lex Hortensia de plebiscitiis che sanciva la validità dei plebisciti -ossia deliberazioni dei comizi tributi- non solo per la plebe ma anche per i patrizi. Per la prima volta, nel mondo antico, vi era una città che ampliava il suo corpo civico e la sua popolazione, includendo anche gli 'stranieri' nel proprio sistema costituzionale. 3: LA CONQUISTA DELL' ITALIA, ROMA E I CONFLITTI CON GALLI E SANNITI Mentre l'Italia era attraversata da grandi cambiamenti interni -da un parte, le crisi del potere etrusco, dall'altra i moti migratori dei Galli e di altre piccole tribù in via di espansione- l'unione di patrizi e plebei non faceva altro che rafforzare la potenza di Roma. Le lotte nemiche, nella penisola, continuarono sino al III secolo a.C. durante quest'arco temporale Roma dovette difendersi dagli attacchi nemici.→ 3.2: L'AMMINISTRAZIONE DELL'ITALIA La vasta superficie conquistata e controllata dai romani -circa 130.000 km2, dalla Pianura Padana al Meridione- non era organizzata in modo unitario: • ogni città vinta si autogovernava: mantenendo le proprie istituzioni + sfruttando il territorio, poiché Roma non interveniva nella politica interna e interagiva solo con l'élite dirigente locale. La politica estera non era gestita in autonomia, era sotto il controllo romano; • ogni Lega/alleanza fu dissolta, ognuna delle città suddite dovette concludere trattati con Roma e accettare le condizioni -che variavano a seconda della natura del legame sorto- da essa imposte; • i terreni confiscati ai vinti divenivano ager publicus, proprietà dello Stato romano, ed erano distribuiti ai cittadini o concessi agli appaltatori. Vi erano (poche) città liberae et immunes → godevano del migliore statuto e seguivano/aiutavano Roma nella politica estera; Vi erano (alcune) città foederatae→ con cui Roma aveva stipulato dei trattati di alleanza: i foedera. 1) in pochissimi casi si trattava di un accordo paritario -foedus aequum- che garantiva libertà politica e difesa reciproca, 2) in moltissimi casi si trattava di un accordo a favore di Roma -foedera iniqua- che prevedeva tributi, milizie e navi all'esercito romano e no autonomia politica. NB: le città foderate potevano ascendere allo statuto di municipi → potevano autogovernarsi, avere propri magistrati, ma dovevano versare contributi e fornire soldati per l'esercito/spese militari. I) i municipi cum suffragio potevano ottenere la cittadinanza romana, per particolari meriti, e godere degli stessi diritti politici e civili dei romani (diritto di voto, diritto cariche pubbliche, diritto di matrimonio ecc); II) i municipi sine suffragio potevano godere solo dei diritti civili (diritto di commercio e diritto di matrimonio). Vi erano (molte) città civitates stipendiarie→ costrette a pagare a Roma un tributo -stipendium- per lo sfruttamento della terra. Erano autonome ma soggette a Roma, che conferiva loro uno statuto e che poteva cambiarlo in ogni momento. COLONIE ROMANE Le colonie erano nuclei, più o meno numerosi, di cittadini trasferiti dal suolo romano per presidiare i territori conquistati e confiscati ai nemici. Non erano autonome, anzi: erano un'estensione di Roma nelle aree periferiche. I coloni: 1. coltivano terre ricevute dallo Stato romano; 2. godevano dell'autonomia e avevano istituzioni simili a quelle di Roma; 3. non potevano legiferare ed erano amministrati da leggi emanate da Roma; 4. in caso di guerra, dovevano difendere il territorio geografico occupato con le loro guarnigioni. Tutti coloro che non erano cittadini romani erano definiti peregrini. Infine, gli abitanti di comunità che avevano opposto resistenza ai romani, sino alla resa, erano chiamati dediticii. Erano senza patria, senza cittadinanza, privati dei loro culti civici, ecc. 3.3: IL PRINCIPIO DEL 'DIVIDE ET IMPERA' L'abilità dei romani fu l'uso politico della concessione della cittadinanza -civitas-, conferita in maniera razionale come un privilegio: eccetto i Latini, tutti, individualmente, potevano riceverla. Il potere di Roma si basava sul principio Divide et Impera ossia 'tieni divisi i popoli soggetti, se vuoi dominarli'. Infatti nella prima metà del 3 secolo a.C. Roma non era né una Lega egemonica, né un regno centralizzato! Roma era un conglomerato sui generis di varie città, non legate tra loro ma vincolate all'Urbe non nacquero alleanze anti-romane, anzi, l'obiettivo delle comunità sottomesse era migliorare lo→ status del proprio rapporto con Roma. 4: LA CONQUISTA DEL MEDITERRANEO Le guerre puniche (la prima, la seconda e la terza) sono le guerre combattute tra Roma e Cartagine, tra il 3 e il 2 secolo a.C. Sono conosciute come puniche perché i romani erano soliti chiamare Punici i Cartaginesi→ non vi è alcuna differenza tra i Fenici -nome dato dai greci agli abitanti, anche fuori patria, del Libano, della Siria e di Israele- e i Punici -nome dai dai romani agli abitanti di Cartagine, colonia fenicia. Cartagine, fondata nel I millennio a.C. (814) dai Fenici, coloni di Tiror Risiedeva nell'Africa settentrionale, e fu la capitale dell'impero punico/cartaginese fino a quando cadde sotto il dominio romano, nel 2 secolo a.C. Estendeva la sua egemonia sino all'Egitto, alle Baleari, in Sardegna e Corsica e in Sicilia. Era una repubblica aristocratica governata da una oligarchia di commercianti, che controllava le città assoggettate sfruttandole economicamente. Tra Roma e Cartagine i motivi di contrasto sorsero dopo la sconfitta di Taranto -a cui i cartaginesi si erano appellati- da parte dei romani. Le mire espansionistiche di Roma prevedevano la Sicilia e il Mediterraneo: due mete che avrebbero ostacolato le medesime mire di Cartagine 4.1: LA PRIMA GUERRA PUNICA: 264- 241 a.C. La prima delle guerre ebbe inizio nel 264 a.C. Scoppiò perché i Mamertini -una banda di mercenari italici che aveva occupato Messina- furono scacciati dal tiranno di Siracusa: Gerone II. I Mamertini, non contenti dell'aiuto offertogli da Cartagine, chiesero di potersi alleare con Roma, per sconfiggere il tiranno. I Cartaginesi considerarono quest'alleanza un affronto verso i loro interessi in Sicilia e mossero guerra contro Roma. I romani allestirono una grande flotta di quinqueremi -innovative navi da guerra- e si avvalsero dell'aiuto dei socii navales → gli alleati navali, ovvero le città costiere, etrusche e magnogreche, che fornirono comandanti e membri dell'equipaggio in aiuto ai romani. Si diressero a Siracusa, alleata con Cartagine, la occuparono e costrinsero Gerone II alla resa. Si diressero, poi, verso la conquista della Sicilia. Il primo scontro di rilievo fu vinto nel 260 a.C. dalla flotta romana a Milazzo. Nel 256 a.C l'esercito romano, guidato dal console Attilio Regolo, sbarcò sulle coste africane e, dopo alcuni successi iniziali, subì una pesante sconfitta per mano dei cartaginesi nel 255 a.C. La guerra durò altri 13 anni, e nel 241 a.C. i Cartaginesi vennero nuovamente sconfitti dal console Quinto Lutazio Catulo, alle Egadi. I romani li obbligarono ad accettare dure condizioni di pace: • dovettero cedere la Sicilia; • dovettero pagare un'indennità di guerra; • dovettero restituire tutti i prigionieri fatti in battaglia. A seguire, Cartagine fu messa in pericolo a causa di una ribellione di mercenari che lo Stato non era riuscito a pagare dopo 3 anni, le lotte furono represse dal generale cartaginese Amilcare Barca. Approfittando della→ situazione, i romani occuparono la Sardegna e la Corsica. 4.2: LA SECONDA GUERRA PUNICA: 218-202 a.C. La seconda guerra punica fu combattuta dal 218 al 202 a.C. In quegli anni, a Cartagine, assunse il potere l'oligarchia mercantile della famiglia Barca. Gli obiettivi perseguiti erano diversi: 1)riconquistare la supremazia sul Mediterraneo; 2)estendere il dominio in Spagna per sfruttarne le ricchezze minerarie; 3)dichiarare guerra a Roma, per realizzare i primi due obiettivi. Il generale Amilcare Barca, e il genero Asdrubale, conquistarono buona parte della Spagna. Queste conquiste preoccuparono i romani che, nel 226 a.C. imposero un limite all'espansionismo punico fissando il fiume Ebro come confine invalicabile. Alla morte di Amilcare, prese il comando dell'esercito cartaginese il figlio ANNIBALE BARCA, la cui ambizione era quella di riportare la guerra a Roma. Nel 219 a.C. Annibale trovò un pretesto per dichiarare guerra a Sagunto, città alleata con Roma. I romani accusarono i Cartaginesi di aver violato l'accordo -e di aver oltrepassato l'Ebro- pur sapendo che, in realtà, Sagunto si trovava a sud (zona di competenza cartaginese). Nel 219 a.C. il generale cartaginese assediò Sagunto e la espugnò; i romani, in risposta, dichiararono guerra ai cartaginesi. Annibale, che odiava i romani, concepì un piano di invasione dell'Italia sia per vincere la guerra che per arrivare alla dissoluzione di Roma egli → volle raggiungere l'Italia via terra! Pensava di trarre vantaggio: dall'effetto sorpresa, dai Galli in Pianura Padana e dal tentativo di risollevare malumori tra le popolazioni italiche sottomesse dai romani. Roma, dal canto suo, pensava di avere le carte in regola per sfidare il nemico: stava preparando due eserciti, uno per fronteggiare il nemico in Africa e uno in Spagna. La rapida marcia di Annibale, condotta da un esercito di 50.000 fanti+9000 cavalieri+37 elefanti, gli permise di attraversare i Pirenei (catena montuosa che forma il confine fra la Spagna e la Francia) e le Alpi, disorientando i romani. Nel 218-217 a.C. il generale Publio Cornelio Scipione fu sconfitto due volte: la prima sul fiume Ticino, la seconda sul fiume Trebbia. Ben presto Galli e Liguri passarono dalla parte di Annibale, aumentando il suo esercito. Nel 217 a.C. Annibale continuò la sua avanzata, sconfiggendo l'esercito del generale Gaio Flaminio in Italia centrale, presso il lago Trasimeno. Importante vittoria che aprì ai cartaginesi la via per Roma! Roma stava preparandosi alla battaglia: venne eletto il senatore Quinto Fabio Massimo come dittatore -dictator- e vennero messe in atto le prime strategie per rallentare la marcia del generale cartaginese. In realtà il senatore Massimo predilesse una linea difensiva di logoramento, che non una linea offensiva, di scontro diretto. Questo atteggiamento fu estremamente costoso: ➢ condusse alla devastazione della penisola; ➢ gli valse il soprannome di 'cunctator' il temporeggiatore.→ Roma era vicinissima, ma Annibale sapeva di non poterla fronteggiare senza contare sull'insurrezione di altre popolazioni italiche ostili ai romani; si diresse perciò in Umbria e, poi, in Puglia. Nel mentre, finiti i 6 mesi dittatura, presero il comando i due consoli Gaio Terenzio Varrone e Lucio Emilio Paolo che attuarono una linea di pensiero offensiva che prevedeva uno scontro imminente con esito positivo forte della superiorità numerica dell'esercito romano. Lo scontro avvenne nella primavera del 216 a.C. a Canne, in Puglia. I romani vantavano un esercito di 80.000 uomini, mentre i cartaginesi ne avevano a malapena la metà. La vittoria di Annibale fu schiacciante, la battaglia ricordata come un esempio di arte militare dove l'esercito di Roma perse più di 60000 individui. Le conseguenze furono tremende: molte popolazioni dell'Italia meridionale – Capua, Greci di Sicilia ecc- passarono dalla parte dei cartaginesi, e la Macedonia iniziò un'alleanza con Cartagine. Note positive: molte popolazioni italiche rimasero fedeli a Roma, Cartagine non mandava alcuni aiuti al suo generale Annibale che, oltretutto, avendo perso buona parte della cavalleria, non osava marciare alla direzione di Roma. Annibale si ritirò a Capua, dove passò le giornate oziando (gli 'ozi di Capua'). Come reagisce Roma alla sconfitta ? Prontamente, tanto che tutte le ricchezze pubbliche e/o private vennero profuse per affrontare le spese di guerra e si riuscì addirittura ad armare un esercito di 20 legioni (anche gli schiavi furono chiamati alle armi). Roma decise di non combattere apertamente con Annibale, la sua tecnica consisteva in: 1) attaccare gli altri comandanti cartaginesi; 2) colpire gli alleati infedeli; 3) impedire l'approvvigionamento dei cartaginesi. Nel 215 a.C. Annibale strinse un'alleanza con il re di Macedonia -Filippo V, sovrano che non gradiva l'espansionismo romano- e con l'Illiria -città sotto l'influenza macedone. Si trattava della PRIMA GUERRA MACEDONICA, in cui Roma riuscì comunque a contrastare le insurrezioni dei nemici, mandando nell'Adriatico una flotta volta a fermare Filippo V. Quale fu il casus belli ? Massinissa -re della Numidia- vantando l'appoggio di Roma, razziava le popolazioni vicine ed estendeva il proprio territorio a spese dei cartaginesi. Cartagine, stanca della situazione, dichiarò guerra alla Numidia senza il consenso di Roma (l'accordo di pace con cui si concluse la II guerra punica le vietava di far guerre, anche in Africa, senza il consenso dell'Urbe). A Roma il partito anticartaginese ebbe così il pretesto per intervenire contro la città fenicia nel → 149 a.C, sotto consiglio di Catone, il senato dichiara guerra a Cartagine. La Terza guerra punica consistette nell’assedio di Cartagine, guidato da Scipione Emiliano, che durò dal 149 a.C. al 146 a.C. Nel corso del lungo assedio la città punica soffrì la fame e la pestilenza. Cartagine fu rasa al suolo, le mura furono abbattute, il porto distrutto e 50 mila uomini e donne cartaginesi catturati e ridotti in schiavitù. Il territorio di Cartagine fu incorporato nello stato romano come provincia d’Africa. Secondo la tradizione, sulle rovine di Cartagine venne sparso il sale: un atto simbolico per rendere sterili i resti e sancire l’impossibilità di ricostruzione. 4.5: L'AMMINISTRAZIONE DELLE PROVINCE Provincia: area di competenza di un magistrato romano. A seguito delle conquiste di territori stranieri, i romani dovettero provvedere all'amministrazione delle stesse vennero affidati ad ex magistrati. Ecco allora→ che le province divennero le regioni, al di fuori del territorio italico, sottoposte alla giurisdizione di (ex) magistrati. La prima provincia romana fu la Sicilia, poi la Sardegna e la Corsica e la Gallia Cisalpina. All'interno delle province: • ogni Lega o alleanza tra le città era vietata; • ognuna godeva del proprio statuto, accordato da Roma. L'AMMINISTRAZIONE DELLE PROVINCE... La maggior parte delle province apparteneva alla categoria delle civitas stipendiariae, anche se con delle differenze: 1) le province erano praedia populi Romani -ossia prede (bottini) di Roma-, il suolo provinciale diventava proprietà del popolo/Stato romano ed era soggetto ad un'imposta fondiaria; 2) le province erano considerate come paesi stranieri, e lo Stato romano confiscava le proprietà dello Stato preesistente e ne assumeva le funzioni. Le provincie erano amministrate dai GOVERNATORI con mandati annuali. Erano ex magistrati -spesso ex consoli- con titolo di proconsole. Le province più piccole erano invece amministrate da ex pretori, con il titolo di propretori. Ambedue avevano a loro disposizione delle truppe e dei funzionari per le funzioni amministrative. ...E I POTERI DEI GOVERNATORI A)per un anno erano i capi politici e amministrativi delle province; B)comandavano l'esercito romano stanziato su quei territori; C)avevano compiti giudiziari. Sebbene non fosse remunerato, l'incarico di governatore offriva diverse possibilità -semilegali o illegali- di arricchimento legate anche al privilegio che consentiva al governo di ognuna di entrare in contatto con popolazioni straniere e con le loro ricchezze incarichi pubblici e guadagni, nell'Urbe, spettavano a chi si fosse→ appropriato delle sovra citate ricchezze! Le giurisdizioni dei governatori avevano però due limitazioni: I. ogni governatore doveva pubblicare, al momento dell'ingresso in carica, un elenco di regole che intendeva adottare durante il proprio mandato: l'editto proconsolare; II. ogni governatore, al termine del mandato, poteva vedere giudicato il proprio operato a Roma. Gli poteva essere indagato e accusato dalla giustizia romana. I provinciali, non essendo cittadini romani, se volevano agire contro i governatori dovevano appellarsi ad un cittadino -il patronus- di cui diventavano clienti. LA RISCOSSIONE DELLE IMPOSTE Non disponendo di ufficiali preposti alla riscossione delle tasse, lo Stato romano affidava tale compito ad imprenditori privati che, però, erano responsabili di abusi ai danni dei provinciali. LA PAX ROMANA La politica attuata da Roma nelle province conquistate, benchè rigida, si dimostrò comunque solida e aperta ad una certa stabilità e legalità → pax Romana, di gran lunga preferibile agli abusi e alle pretese dei sovrani ellenistici. 5: LE CONSEGUENZE DELLE CONQUISTE E I MUTAMENTI ECONOMICI Nell'arco di un secolo, Roma era divenuta la capitale di un vasto impero, non che di uno dei maggior centri di riferimento per gli scambi commerciali. Da una parte vi erano i mercanti del Mediterraneo che facevano capo a Roma, dall'altra i mercatores e negotiatores italici attivi nelle province e nelle acque del Mediterraneo. Una delle prime conseguenze delle conquiste romane fu il via vai di ricchezze tra l'Urbe e il resto dell'Italia→ sotto forma di imposte provinciali, di viveri alimentari, bottini di guerra, oggetti preziosi e schiavi. L'abbondanza di capitale nelle mani di mercatores e negotiatores gli permise di concedere prestiti anche a sovrani ellenistici e personaggi facoltosi, che divennero, poi, loro debitori. Un'altra conseguenza delle conquiste fu l'estensione delle proprietà fondiarie acquisite nelle province, dagli aristocratici romani→ senatori e cavalieri possedevano latifondi nell'Africa, nel mondo greco e nell'Hispania. Tuttavia, il continuo sperpero di ricchezze danneggiò pesantemente l'economia di Italia e Roma. Esempio: l'importazione di cereali dalle province, venduti a basso prezzo o distribuiti gratuitamente al popolo, rovinò il mercato dei contadini romani e italici molti furono costretti a vendere le loro piccole→ proprietà terriere. Solo i latifondisti non subirono danni: i grandi capitali di cui disponevano gli permisero sia di investire per convertire i loro terreni a culture speciali -olivi e vigne, ad esempio- sia di disporre di manodopera servile. In più, erano esentati dal pagamento della tassa -tributum soli- che dal 167 a.C. gravavano sui proprietari terrieri. L'artigianato italico ebbe uno sviluppo inaspettato e aumentarono le richieste di produzione di beni di lusso. Esempio: le officine fabbricavano vasi bronzei,vetri, ceramiche e tessuti incrementarono la loro produzione, e artigiani stranieri giunsero in Italia per trovare lavoro. 5.1: L'EVOLUZIONE SOCIALE I cambiamenti economici che ebbero luogo in Italia accentuarono la differenziazione nella distribuzione della ricchezza (censo). La divisione sociale tra ricchi e poveri, nella società romana, si fece più radicale poiché accentuata dai fenomeni di: spopolamento delle campagne + crisi della piccola proprietà agraria. I CONTADINI Andarono in rovina, a causa: della devastazione delle campagne post guerra contro Annibale, all'assenza prolungata dei contadini-soldati arruolati negli eserciti, alla concorrenza delle merci locali prodotte all'estero, alle pressioni dei Latifondisti che forzavano i coltivatori a rinunciare ai loro poderi ecc. In più, i terreni confiscati ai nemici vinti, che avrebbero dovuto costituire l'ager publicus, spesso finivano per diventare proprietà private dei grandi possedenti terrieri! I PROLETARII I piccoli proprietari terrieri erano spesso costretti ad abbandonare la loro attività nelle mani di ricchi latifondisti, mettendosi al loro servizio. A volte cambiavano città, in cerca di lavoro, e divenivano cittadini senza proprietà e senza occupazione →PROLETARII. I proletari non avevano certezze, vivevano aspettando le donazioni dei ricchi e le distribuzioni gratuite di alimenti -in particolare di frumentum- che lo Stato dava loro di periodicamente. Molti divenivano clientes di famiglie benestanti le quali accrescevano, così, anche il loro potere politico; esse scambiavano regali e vettovaglie con i proletarii che, in cambio, esprimevano votazioni nei comizi secondo le indicazioni ricevute dai patronus (protettori). La società romana era quindi divisa tra una minoranza ricchissima, capace di acquistare beni e voti, e una maggioranza di poveri, pronta a vendersi e senza nessuna prospettiva– crisi sociale! L'ARISTOCRAZIA SENATORIA Divenne molto ricca e potente: i suoi membri avevano interesse per i settori economici, ma le loro ricchezze si basavano sui latifondi (ingranditi per via l'annessione delle terre confiscate ai vinti). La classe senatoria si fece sempre più chiusa ed esclusiva, una vera oligarchia che monopolizzava gli incarichi magistrali! Tanto che, all'epoca, un senatore che avesse esercitato le magistrature e governato una provincia romana godeva di fortune maggiori rispetto a molti re dell'Oriente. Quale fu la conseguenza maggiore? La crisi del mos maiorum, dettata dall'arroganza dei nobili -insolentia nobilium- che portò gli stessi a trasgredirei ai valori tradizionali, alle regole e ai costumi degli antenati. Il rigore morale e istituzionale, diventava sempre più debole. I CAVALIERI Poiché la Lex Claudia, del 218 a.C, impediva ai senatori di gestire in prima persona gli affari commerciali, essi furono costretti a ricorrere a degli intermediari liberti (schiavi liberati, cittadini primi→ dello Ius Honorum) e CAVALIERI. L'ascesa sociale dei cavalieri -equites romani- cominciò intorno al 2 secolo a.C. Essi possedevano fortune paragonabili a quelle dei senatori, e occupavano, in base al posto adibito nella struttura della società, le 18 centurie riservate loro dai comizi centuriati. Erano quasi completamente esclusi dalle cariche politiche, accentrate nelle mani della nobilitas, ed al massimo potevano ambire alla classe senatoria (sfruttando i legami con i nobili di cui erano clienti). Gli equites traevano vantaggi da: I. gli appalti che lo Stato concedeva ai privati per la riscossione delle imposte nelle province; II. i rifornimenti di armi e alimenti nelle zone lontane; III. l'esecuzione di lavori. Queste attività venivano chiamate publica, e publicani erano i cavalieri che le compivano. GLI SCHIAVI Durante il II secolo a.C. anche le classi sociali più basse subirono trasformazioni. Una conseguenza delle vittorie conseguite dai romani fu la deportazione di ingenti quantità di schiavi: impiegati sia in mansioni di responsabilità e intelletto -se istruiti potevano divenire anche precettori, contabili, scribi ecc- che in compiti di fatica. Erano presenti nei latifondi, nelle officine artigianali, nelle miniere e anche nelle scuole di gladiatori. Le grandi insurrezioni servili, che preoccuparono lo Stato, si ebbero: in Sicilia 136- 132 a.C e nel 104- 101 a.C, e nel centro Italia con la rivolta diretta da Spartaco nel 73- 71 a.C. I LIBERTI Nel II secolo a.C. aumentò anche il numero dei liberti essi, proprio come i clientes, → per gratitudine nei confronti dei padroni che li avevano liberati, li aiutavano e li sostenevano a livello economico, sociale e politico. Alcuni di essi riuscivano anche a mettersi da parte ingenti somme di denaro. I PROVINCIALI Pochi erano i provinciali che godevano di agevolazioni; la maggior parte di essi dovevano sopportare abusi e ingiustizie, e alcune province furono addirittura rovinate a causa di illeciti nell'amministrazione e imposte esagerate. Il governo romano evitava di investire molte risorse nelle province, furono costruite solo poche strade e poche colonie (unicamente per motivi militari, tipo in Spagna e in Gallia Cisalpina). Le popolazioni provinciali erano scontente della fiscalità, degli abusi dei governatori e dei pubblicani, e cercavano costantemente di emigrare verso l'Urbe in cerca di una prospettiva migliore. Tuttavia, la possibilità di ottenere la cittadinanza era alquanto esigua. Negli ultimi decenni del 2 secolo a.C. gli scontri politici caratterizzanti furono quelli tra due partiti a confronto. Entrambi potevano contare sull'appoggio di cavalieri e plebei, legati ad essi tramite rapporti di clientela. Erano gruppi di interesse che ruotavano attorno a qualche personalità carismatica: • gli OPTIMATES, gli ottimati, contrari ad ogni cambiamento costituzionale; • i POPULARES, i popolari, favorevoli alla modalità sociale e ai cambiamenti istituzionali 6.1: MARIO E SILLA Le tensioni sociali e politiche che attraversavano Roma si manifestarono in occasione della guerra contro Giugurta, re della Numidia, regno alleato e strategico per il commercio via mare. Alla morte del re Micipsa, prese il comando il nipote Giugurta egli uccise i cugini, eredi diretti in quanto figli del defunto→ sovrano, e si autoproclamò re. Giugurta fu il responsabile del massacro di molti commercianti italici e romani che si trovavano nella città di Cirta, capitale del regno del defunto cugino Aderbale In seguito alle pressioni dei cavalieri, Roma dichiara guerra al re di Numidia nel 112 a.C. L'intervento militare non diede subito degli effetti positivi: i generali si fecero corrompere, i soldati arrivarono per fino a vendere armi e beni al nemico, le reclute erano insufficienti e gli ufficiali mostravano malafede. Fu un esempio di incapacità politica e militare dello Stato romano!!! L'uomo che di li a poco avrebbe messo fine alla guerra contro Giugurta era Gaio Mario, nato intorno al 157 a.C. nei pressi di Arpino, da una famiglia di modesta condizione sociale era un → homo novo -una sorta di selfmade man- che non poteva vantare nobili origini ma che venne ricordato: 1)grazie all'appoggio della famiglia dei Metelli (ramo della gens Caecilia, una delle più importanti e ricche famiglie dell'antica Roma durante la fase repubblicana. I Caecilii Metelli esercitarono un grande potere dal 3 secolo a.C. sino alla fine della Repubblica, ricoprendo ogni ufficio del cursus honorum e importanti ruoli militari); 2)perché si era distinto in alcune campagne militari in Africa e in Spagna, al fianco di Scipione l'Emiliano. Mario iniziò, nel 108 a.C, a criticare il sistema militare romano e ad esprime la sua ambizione per la carica di senatore. Nel 107 a.C. venne eletto console e gli fu affidato il comando della guerra contro Giugurta: 1. riforma dell'esercito, per consentire l'arruolamento di tutti i cittadini romani offerti come volontari, anche se nulla tenenti; 2. i legionari, dopo aver prestato servizio per 16 anni, al momento del congedo avrebbero ottenuto un appezzamento di terre; 3. i soldati sarebbero stati pagati con un regolare stipendium, equipaggiati dallo Stato, avrebbero vissuto in accampamenti e avrebbero visti sospesi i loro diritti politici e civili. In questo modo esso si trasformò da esercito di cittadini, in un esercito di mercenari professionisti, composto in prevalenza da uomini che avevano scelto la carriera militare per necessità, disposti a tutto e totalmente asserviti a chi poteva garantire loro i maggiori guadagni. Nel 105 a.C, grazie alle nuove reclute , ad un esercito più imponente e all'astuzia del luogotenente Lucio Cornelio Silla, Mario sconfigge in Africa il re Giugurta → se Mario era il sostenitore del popolo e capo dei popolari, Silla era il sostenitore degli ottimati e della classe nobile. Mario fu eletto console per 5 volte consecutive, nei cinque anni successivi, contrastando quelle che erano le leggi istituzionali di Roma (almeno 2 anni tra una carica e l'altra, mandato di validità annua). La scelta non era motivata solo dalla grande popolarità che lo accerchiava, ma anche dall'apparizione di due nuove minacciose tribù germaniche: i Cimbri e i Teutoni. L'INVASIONE DI CIMBRI E TEUTONI Erano popolazioni che vagavano razziando, e facendo continue irruzioni, nell'area compresa tra la penisola iberica e Gallia meridionale→ sconfissero i romani ad Arausio, sul Rodano, provocando un numero di morti tra i soldati che superò addirittura quello avvento durante la sconfitta a Canne! L'Italia, che temette per una nuova invasione barbarica, perciò il comando della situazione lo prese Mario, architettando la difesa e dimostrando il suo genio militare. Poiché le due tribù avanzavano in due grandi colonne -i Cimbri di ritorno dall'Austria, e i Teutoni dalla Gallia meridionale- l'esercito romano poté affrontarle separatamente. Mario lasciò che i Teutoni si spingessero verso le Alpi, per attaccarli di sorpresa alle spalle e sconfiggerli nel 102 a.C ad Aquae Sextiae. Come si svolse la battaglia ? Il primo giorno Mario sorprese ed annientò una parte di barbari, poi si concentrò sul raggruppamento principale e di nascosto inviò un distaccamento per attaccare lateralmente i nemici. Quando, il giorno dopo, i Teutoni attaccarono disordinatamente l'esercito romano, Mario rilasciò di distaccamento posizionatosi sui fianchi delle montagne. I Teutoni furono completamente schiacciati, e Mario fu richiamato a Roma per essere celebrato dal senato e dal popolo; tuttavia il console, che aveva maturato esperienza in campo militare, sapeva che il pericolo non era ancora scongiurato. I Cimbri non vollero attaccare i romani sino a quando non si fossero ricongiunti con i Galli. Tuttavia, quando giunse loro notizia della disfatta gallica ad Aquae Sextiae, i Cimbri tentarono un accordo con Mario→ chiedevano terre per loro e per i Teutoni, in cui potersi insediare. Mario rifiutò l'accordo e propose un'innovazione tecnica nell'armamento romano i soldati romani→ utilizzavano il PILUM, un giavellotto tradizionale dell'età repubblicana formato da un'asta di legno alla quale era attaccata, per mezzo di due chiodi, una punta di ferro. Mario ordinò di sostituire uno dei due chiodi con un perno in legno, in modo che il pilum, una volta conficcato nello scudo nemico, si piegasse nella parte in ferro. Rimanendo inserita nello scudo, questa non poteva uscire, e appesantiva l'arma difensiva del guerriero a tal punto da renderla inutilizzabile. Nel 101 a.C, ai Campi Raudii (Vercellae) Mario si confermò un generale brillante: sconfisse i Cimbri. IL RITIRO DI MARIO DALLA VITA POLITICA Mario fu grandemente celebrato per il suo ritorno a Roma, aveva salvato l'Urbe da un'ipotetica invasione barbarica! Tuttavia, non fu capace di gestire la crisi politica del 101 a.C. e, quando alcuni suoi seguaci cercarono di ottenere il consolato, arrivando all'uccisione di un suo avversario, si trovò costretto punire i colpevoli. La sua popolarità risultò incrinata, ed egli dovette ritirarsi dalla vita politica. Nel frattempo Silla ottenne il consolato, da qui la vita pubblica fu dominata dalla violenza. LA GUERRA SOCIALE DI ROMA Il problema primario era quello degli Italici i rappresentanti dell'aristocrazia volevano ottenere la→ cittadinanza romana + la possibilità di partecipare al governo; non sopportavano l'idea di versare contributi militari ed essere esclusi dalle distribuzioni delle terre e del grano a prezzo politico. La questione venne posta come ordine del giorno solo con l'intervento del tribuno della plebe Marco Livio Druso che, però, venne assassinato per mano di un nemico politico nel 91 a.C. Gli italici dichiararono guerra a Roma, sul suolo italico, e combatterono quella che ricordiamo come la guerra sociale -da 'socii', alleati- iniziata ad Ascoli, nel 91 a.C. Solo l'Etruria, l'Umbria e le colonie greco- latine rimasero fedeli ai Romani; tutti gli altri popoli riuscirono a coalizzarsi contro l'Urbe, chiedendo non di essere integrati ma di formare uno Stato separato e autonomo. Per evitare che altre popolazione insorgessero, il senato romano concesse gradualmente la cittadinanza: ✔ nel 90 a.C. fu pubblicata la Lex Iulia de civitate, che concesse la cittadinanza agli alleati rimasti fedeli e a quelli che avrebbero deposto le armi; ✔ nel 89 a.C. fu pubblicata la Lex Plautia Papiria, che estendeva la cittadinanza agli italici che entro 60 giorni si fossero registrati presso il pretore di Roma; Quale fu l'esito della battaglia ? Tutti gli abitanti liberi dell'Italia, eccetto quelli della Gallia Cisalpina, in pochi decenni divennero cittadini romani →questo fu un momento importantissimo per la storia di Roma: si ingrandiva notevolmente il corpo dei cittadini. Tutta l'Italia peninsulare divenne uno STATO TERRITORIALE UNITARIO; le città italiche divennero municipi, con istituzioni simili a quella dell'Urbe, i nuovi cittadini furono divisi in 8 delle 35 tribù territoriali esistenti, gli aristocratici entrarono nel senato e le basi di reclutamento dell'esercito si allargarono. Tuttavia, non fu creata un'istituzione amministrativa comune, poiché gli affari dello Stato rimasero nelle mani dei comizi romani e del senato. LA SECONDA GUERRA MITRIDATICA Contemporaneamente alla guerra sociale, Roma dovette fronteggiare i problemi sorti in Oriente con Mitridate egli era il → re del Ponto, uno Stato ellenistico sulla sponda nord-orientale dell'Asia Minore in cui vivevano culture persiane, barbariche e greche. Cresciuto lontano dalla patria per sfuggire alla madre dispotica, ritorna nel regno tra il 116 e il 113 a.C. per conquistare gran parte dell'Asia Minore e alcune province romane orientali. Nell'89 a.C. Mitridate invase le province romane di Acaia e Asia, presentandosi come liberatore, sostenuto da numerose città greche. Il senato romano dichiarò guerra a Mitridate nell'88 a.C, affidando il comando delle operazioni militari al console Silla, che concentrò l'esercito a Capua. A Roma il partito popolare protestò e affermò che il comando della guerra avrebbe dovuto assumerlo Mario, in quanto più sensibile ai loro interessi→ PRIMA GUERRA CIVILE. Nel'88 a.C. Silla marciò su Roma, per far valere i propri diritti: per la prima volta un esercito romano, agli ordini del suo generale, marciava contro Roma come fosse una città nemica da conquistare. Silla si impadronì dell'Urbe, costringendo Mario alla fuga in Africa, e instaurò un governo aristocratico apparentemente legale. Poi, nell'87 a.C. si diresse in oriente per combattere Mitridate. Nello stesso anno un gruppo di populares riconquistò il potere con l'aiuto di Lucio Cornelio Cinna che, schierato dalla parte di Mario, dopo essere stato cacciato da Roma si rifugiò in Campania; qui venne raggiunto da Mario stesso e, insieme, marciarono verso Roma dopo essere stato eletto console per la 7° volta,→ il 17 gennaio dell'86 a.C. venne a mancare Gaio Marco, un valoroso generale ricordato per aver salvato Roma nei suoi momenti più duri e per aver riformato l'armamento romano. Nel frattempo, Silla proseguì la guerra contro il re del Ponto. Sconfisse l'esercito asiatico di oltre 200.000 uomini e, dopo aver invaso l'Epiro e la Tessaglia, si diresse verso Atene (fortificata, per oltre 11km). Il 1 marzo dell'86 a.C. Silla entrò ad Atene, prima verso le mura e il porto, poi verso l'Acropoli, devastandola → avendo ripreso il controllo della Macedonia e della Grecia, Silla punì i ribelli e trasse un grande bottino di guerra; solamente chi tornava dalla parte di Roma poteva sperare in un atto di clemenza. Questo spinse le città elleniche a voltare le spalle al re del Ponto, e ad aiutare la ripresa della flotta romana! Nell'agosto dell'85 a.C. Silla stipulò con Mitridate un accordo di pace, a Dardano, con il quale si affermava che il re del Ponto avrebbe perso le sue conquiste e avrebbe mantenuto il suo regno. Perché Silla fu così clemente ? Preoccupato del nuovo governo dei populares, preferì limitarsi a ripristinare lo Status quo di questo popolo nemico. Sconfitto Mitridate Silla fece ritorno in Italia e, dopo aver schiacciato la resistenza degli ultimi fedelissimi di Mario, nell’83 a.C. entrò in Roma per ristabilire la supremazia sugli optimates. Nell'82 a.C. nella battaglia di Porta Collina, Silla sconfisse definitivamente i sostenitori di Mario. Dopo tale vittoria fu nominato DITTATORE A TEMPO INDETERMINATO. Ma non si trattava dell'antica dittatura costituzionale, intesa come misura temporanea in caso di pericolo improvviso, era un nuovo potere personale illimitato. La vendetta contro gli avversari fu disumana: vennero pubblicate delle liste di proscrizione, veri e propri elenchi di persone destinate ad una morte cruenta e che chiunque poteva uccidere senza incorrere in alcuna sanzione punitiva. I beni di questi nemici sarebbero stati poi confiscati dallo Stato stesso. I membri dell'aristocrazia italica, invece, strinsero alleanze con Silla e furono asseriti nel senato da lui istituito. IL RAFFORZAMENTO DEL SENATO DI SILLA Silla attuò il suo progetto politico e cercò di dare vita ad un governo oligarchico → rafforzò il potere del senato, inserendo altri 300 membri scelti tra i suoi seguaci (aristocratici italici e/o membri del ceto equestre). Emanò diverse disposizioni che volevano restituire potere all'aristocrazia: ➢ Ai consoli venne tolto il comando dell’esercito e durante il loro mandato non potevano lasciare Roma; ➢ ai cavalieri vennero tolte le insegne, i privilegi speciali e l'amministrazione dei tribunali di giustizia che fu riassegnata al senato; ➢ il cursus honorum fu reso più rigido e furono stabilite delle età minime per le successioni tra le magistrature: 30 anni per la questura, 36 per l'edilità, 39 per la pretura, 42 per il consolato. E nessuna carica poteva ripetersi senza prima un intervallo di 10 anni tra l'una e l'altra; Quali furono le conseguenze della guerra ? Bitinia, Ponto e Siria furono annesse ai territori romani, come province, e Farnace II venne confermato come re dell'alleato Bosforo. Dopo cinque anni di battaglie, Pompeo fece ritorno a Roma nel 62 a.C. LA CONGIURA DI CATILINA E L'INTERVENTO DI CICERONE Gli ultimi anni in cui Pompeo era in Asia, a Roma emergeva la figura di Lucio Sergio Catilina: un sostenitore degli aristocratici, di origini economiche modeste. Le fonti lo dipingevano come un corrotto che, attraverso il sostegno dei piccoli salariati e degli aristocratici decaduti, tentava un colpo di Stato. Il piano di Catilina era semplice: egli progettava la confisca dei beni delle classe agiate per ridistribuirli ai nullatenenti, specialmente se suoi seguaci. Catilina e i suoi sostenitori radunarono un esercito in Etruria, ma prima che potesse scaturire una rivolta furono smascherati in senato da Cicerone (console in carica, all'epoca) → venuto a conoscenza del complotto, mise il popolo a conoscenza del pericolo che incombeva sullo Stato e pronunciò il famoso violento discorso pubblico che portò aristocrazia e cavalieri a combattere, nel 62 a.C, a Pistoia e ad uccidere Catilina e i suoi seguaci. L'INVIDIA DEL SENATO NEI CONFRONTI DI POMPEO Tornato da Roma, nel frattempo Pompeo si era dimostrato come uno dei più grandi generali della storia: aveva consolidato l'autorità di Roma in Oriente, aveva dato il via a nuovi traffici e attività commerciali, aveva portato bottini di guerra ed aveva aumento gli introiti fiscali grazie all'acquisizione dii nuovi territori. Pompeo avrebbe dovuto ottenere dal senato la ratifica delle misure adottate nelle province asiatiche, e l'assegnazione delle terre ai suoi veterani. Ma, per via della gelosia e ed allarmismo creatosi nei suoi confronti, Pompeo si ritrovò con ambedue le richieste respinte e senza alcuna influenza sullo Stato romano → approfittò della situazione Cesare, che da tempo sperava di infilarsi nella vita politica e di introdurre riforme a favore dei populares. IL PRIMO TRIUMVIRATO: ALLEANZA TRA CESARE, POMPEO E CRASSO DEL 60 A.C. Giulio Cesare propose la sua alleanza a Pompeo. Poiché egli voleva entrare nel consolato, offrì in cambio il proprio aiuto: una volta ottenuta la carica, avrebbe agito al fine di garantire l'ubbidienza alle richieste fatte dal generale al senato. Cesare coinvolse anche una terza influente personalità romana: Marco Licinio Crasso, da sempre ostile al senato. Nel 60 a.C. si ebbe il primo TRIUMVIRATO della storia. Non era una magistratura ma un patto privato stipulato tra i tre più potenti uomini di Roma, che miravano a: 1)dividersi il comando dello Stato; 2)raggiungere un potere duraturo basato sui successi e sui rapporti clientelari. Nel 59 a.C. Cesare ottenne il consolato, e mise subito in pratica gli accordi. Il dissenso degli ottimisti non tardò ad arrivare, ma concentrandosi questi unicamente all'interno del senato, non fu difficile per i tre allontanare i conservatori dall'Urbe con qualche pretesto. Esempio: Cicerone, Catone e Marco Bibulo ecc ecc. Alla fine suo mandato, Cesare assunse il proconsolato di Gallia Cisalpina e Gallia Narbonese iniziò→ una splendida carriera militare che lo condusse a combattere, nel 58 a.C. con la tribù degli Elvezi: popolazione celtica incalzata a nord da alcune tribù germaniche che, per non soccombere, si riversarono sulla Gallia meridionale. Gli Elvezi furono sconfitti e Cesare, nel 57 a.C, senza alcuna autorizzazione dal senato si autoproclamò protettore delle Gallie. Negli anni tra il 55 e il 54 a.C. le truppe romane oltrepassarono il Reno -confine naturale tra Germania e Gallia- e, contemporaneamente, compirono spedizioni in Britannia. Tutte le tribù galliche in pochi anni passarono sotto il controllo romano, per costrizione o per alleanze; ciò non fece altro che aumentare la fama di Giulio Cesare. Nel frattempo Pompeo, rimasto nell'Urbe dove regnava l'anarchia, preoccupato dell'ascesa di Cesare si avvicinò al partito degli optimates. Il triumvirato entrò in crisi a causa delle continue conquiste di Cesare e dei rinnovati rapporti di Pompeo col senato e nel 56 a.C. i tre triumviri decisero di riunirsi a Lucca per stabilire delle nuove regole: ➔ Cesare avrebbe avuto il proconsolato in Gallia per altri 5 anni; ➔ Pompeo avrebbe avuto il consolato fino al 55 a.C, poi sarebbe stato proconsole delle province iberiche; ➔ Crasso avrebbe avuto il consolato fino al 55 a.C, poi sarebbe stato proconsole della Siria. LA MORTE DI CRASSO (53 a.C.) E LA FINE DEL PRIMO TRIUMVIRATO Crasso morì nel 53 a.C, dopo aver attaccato la popolazione dei Prati -che avevano fondato un vasto impero nell'altopiano iranico e della Mesopotamia- nella battaglia di Carre. Le legioni romani non ressero a lungo, e la provincia di Siria fu saccheggiata. Con la sua morte terminò il primo triumvirato. Come conseguenza Pompeo si mostrò sempre più ostile a Cesare e sempre più favorevole agli optimates → era visto, a Roma, come sostenitore dell'aristocrazia e come capo autorevole in grado di ostacolare il conquistatore della Gallia. LA RIVOLTA DEGLI ARVERNI (53 a.C.) Tra il 53 e il 52 a.C. Cesare fu impegnato a domare le sollevazioni delle tribù galliche, guidate dagli Arverni e dal loro valoroso capo: Vercingetorige ('grande re dei guerrieri'). Nell'inverno del 52 a.C. i capi Galli si riunirono nella foresta dei Carnuti e proclamarono il giuramento di espellere i romani dalla loro terra o di morire nel tentativo di riconquistare la libertà. L'inizio della battaglia fu segnato dall'uccisione del funzionario romano Gaio Fufo Cita, e dal massacro dei cittadini della provincia di Cenabum -odierna Orleans. Vercingetorige raggruppò sei popoli della Gallia e spronò il suo popolo a fare altrettanto, ma dopo essere stato respinto dagli aristocratici arverni guidati dallo zio, decise di tornare e armarsi di un esercito di ribelli. Nel 52 a.C. si proclamò re a Gergovia, dopo aver effettuato un vero colpo di Stato divenne→ l'idolo delle popolazioni galliche e il leader del movimento antiromano. Vercingetorige formò l'unica unità gallica preromana, un vera e propria lega nella quale fu eletto capo politico-militare dai rappresentanti delle tribù alleate. I Galli approfittarono della situazione che vedeva sia la popolazione romana scontenta, sia Cesare impegnato nelle battaglie della Gallia Cisalpina, e riuscirono a sconfiggere alcune truppe romane. Tuttavia il capo degli Arverni sapeva che per sconfiggere i romani era necessario ragionare ed organizzarsi come i romani, pertanto elaborò un piano d'azione. Cesare però, avendo compresa la gravità della situazione, fece immediatamente ritorno con un grande esercito ed ebbe inizio la guerra: deciso a colpire il cuore dell'insurrezione, guidò le truppe ormai spossate a marce forzate nel territorio degli Arverni. Vergingetorige, che al tempo si trovava presso il popolo dei Biturgi per tentare un'alleanza, corse a soccorrere il suo popolo ma venne battuto. Cesare, per vendicare il massacro di Cenabum, prese l'oppidum -fortezza esterna- della città e lo diede alle fiamme, contemporaneamente arruolò un esercito di barbari all'altezza della Loira. Egli mirava a distruggere Avaricum, la città che i Galli consideravano più bella nel loro patrimonio. Non potendo vincere l'esercito romano, Vercingetorige adottò una tecnica di logoramento, al fine di scoraggiare e affamare i romani : quella della 'terra bruciata' consisteva nel → bruciare tutto ciò che fosse dinnanzi al nemico, dai campi, alle case, alle città. Le tribù dei Biturgi non vollero distruggere la città di Avaricum, loro capitale, e questo fu un errore: Cesare approfittò del comportamento della popolazione nemica, assalì l'oppidum e lo prese, ottenne un ingente bottino e massacrò i cittadini! Restava una sola capitale da attaccare: Gergovia, del regno degli Arverni. In un primo momento i romani furono sconfitti; la tribù degli Edui -prima fedele a Cesare- si ribellò, pur essendo insoddisfatta del comando di Vercingetorige che, per riaffermare il proprio potere, convocò un'assemblea che lo proclamò comandante supremo. Egli si ritirò nell'oppidum di Alesia sperando di ricevere nel frattempo l'aiuto militare di altre popolazioni galliche. Cesare assediò Alesia, eresse una linea di fortificazione attorno alla città e un'altra dietro alle proprie truppe (per evitare attacchi a sorpresa). In quei giorni i Galli, forti di un esercito di oltre 200.000 fanti, marciarono verso Alesia. I romani dal canto loro si erano organizzati e avevano costituito anch'essi un esercito avvalendosi dei Germani alleati a→ differenza di quello romano, l'esercito di Vercingetorige mancava di compattezza e coordinamento. Nel settembre del 52 a.C. i Galli attaccarono il campo romano che resistette bene sino a quando Vecingetorige non individuò un punto debole nella fortezza. I romani, costretti a difendere entrambi i fronti, si trovarono in grande difficoltà e solo l'intervento personale di Cesare, con tanto di riserva di truppe, portò la situazione a loro favore. I Galli non riuscirono ad irrompere nelle linee nemiche, capirono di essere stati sconfitti e si dettero ad una disorganizzata fuga. In quell'anno, qualsiasi alleanza gallica volse al termine, e la stessa Gallia divenne una provincia romana. Vergingetorige per risparmiare la vita dei suoi compagni si arrese e fu rinchiuso, per sei anni, nel carcere romano di Tulliano (aspettò lì il verdetto che lo avrebbe condotto alla morte, per strangolamento o decapitazione). Cesare disponeva così di un grande bottino di guerra, di fama e di un esercito forte che gli era completamente devoto. POMPEO NOMINATO CONSOLE SENZA COLLEGA (52 a.C.) Fu il senato ad additare a Pompeo questo titolo, per altro mai concesso prima ad un generale, nel 52 a.C. Pompeo deteneva l'IMPERIUM PROCONSULARE: il governo assoluto dello Stato. Per compensare quanto accaduto Cesare richiese di ottenere il consolato, appena finito il mandato per la carica del proconsole che esercitava in Gallia, nel 48 a.C. Il senato lo intimò di scogliere l'esercito e di tornare a Roma come semplice cittadino, cioè come sottomesso di Pompeo, pertanto Cesare si dichiarò disposto a congedare le legioni e a rientrare a Roma solo a patto che anche Pompeo sciogliesse le proprie. A quel punto il senato si rivelò e affidò a Pompeo la difesa della respublica, lasciando che Cesare deponesse le armi. CESARE OLTREPASSA IN ARMI IL RUBICONE (49 a.C.) Nel 49 a.C. Cesare e i suoi legionari oltre passarono il fiume Rubicone , che al tempo di Silla era stato definito come il confine d'Italia che non poteva essere sorpassato in armi. Il generale romano sapeva che sarebbe stato considerato come nemico dello Stato, e prima di valicare il territorio esordì con la celebre frase 'Alea iacta est' Cesare non agì impreparato, da tempo infatti i suoi collaboratori operavano nell'Urbe e nei municipi italici per aumentarne il favore. E quando Pompeo, impreparato, si trovò dinnanzi le legioni di Cesare, fu costretto a lasciare la città; si rifugiò in Grecia per formare un esercito in grado di contrapporsi a quello del conquistatore della Gallia. Senza curarsi dei preparativi che stavano avvenendo in Oriente, Cesare si diresse verso la penisola Iberica -proprio in Spagna il nemico aveva il sostegno di diverse legioni- e sconfisse Pompeo nella battaglia di Farsalo, in Tessaglia, nel 48 a.C. CESARE SCONFIGGE TOLOMEO E CLEOPATRA E' REGINA D'EGITTO (47 a.C.) Dopo la vittoria di Cesare tutte le province d'Oriente passarono sotto il controllo dei cesariani, e Pompeo, direttosi verso il regno del re Tolomeo per chiedere un aiuto militare, fu assassinato dallo stesso. Istigatore dell'omicidio fu Plotino: un eunuco che spinse il re Tolomeo a presentare la testa di Pompeo a Cesare, per ingraziarselo e ricevere i suoi favori. Tolomeo infatti era in guerra con la sorella -Cleopatra- per la successione dinastica, e sperava che il gesto compiuto portasse il generale romano dalla sua parte. Tuttavia Cesare: 1. guardò inorridito il macabro trofeo posto dal giovane re Tolomeo; 2. preparò l'occorrente per gli onori funebri dedicati al valido avversario Pompeo; 3. si legò sentimentalmente a Cleopatra, bellissima donna egizia che avrebbe avuto molto da offrirgli. Resosi conto del mancato aiuto da parte di Cesare, Tolomeo dichiarò guerra al generale romano e lo assediò nella città di Alessandria. Seguì un breve scontro con l'esercito di Tolomeo, che fu vinto e morì in battaglia nel 47 a.C. Nello stesso anno Cleopatra VII fu nominata regina d'Egitto e cliente di Cesare! FARNACE II, RE DEL BOSFORO, INVADE L'ASIA MINORE (47 a.C.) Contemporaneamente Farnace II, figlio di Mitridate, invase l'Asia minore. Cesare lasciò subito l'Egitto, attraversò la Siria e la Cappadocia per raggiungere il nemico e vendicarsi della sconfitta che un suo legato aveva subito a Nicopoli. Farnace compì diverse atrocità nei confronti dei prigionieri romani che aveva trovato nella regione, e Cesare accettò la sottomissione dei re stranieri che in passato avevano parteggiato per Pompeo pur di rincorrere il re del Bosforo. Appena Farnace seppe dell'arrivo di Cesare, mandò lui dei messaggeri per cercare un accordo di pace; tuttavia il generale romano rifiutò, e nel 47 a.C. sconfisse l'esercito nemico nella città di Zela (primo dei due campi che aveva allestito) qui Cesare mandò a Roma, al suo amico Mazio, il→ celebre messaggio 'vedi, vidi, vici'. Fuggito dalla battaglia con mille soldati, Farnace si rifugiò a Sinope per reclutare soldati e cavalieri mercenari ma fu ucciso in combattimento. Il Ponto divenne provincia romana. Nello stesso anno Antonio si diresse verso la Gallia Cisalpina per governare la provincia; essendo queste originariamente designata al governatore Decimo Giunio Bruto Albino, Antonio dovette lottare per ottenere quanto desiderato. Albino si rifugiò nella città di Modena, e Marco Antonio la assediò . Nel frattempo il senato romano mandò i due consoli in carica all'epoca, e Ottaviano stesso che nel frattempo aveva reclutato un esercito personale in Campania. Marco Antonio dovette battersi con due eserciti uniti: quello consolare e quello di Ottaviano. Nel 43 a.C. Marco Antonio fu sconfitto, ma poiché i due consoli che lo fronteggiavano morirono in battaglia egli chiese per sé il consolato sia il senato che Ottaviano rifiutarono di concederglielo.→ Il senato, che si spaventò per via del grande potere che quotidianamente stava acquisendo Ottaviano, decise di tornare a spalleggiare il cesariano Marco Antonio. Tuttavia essi avevano sottovalutato l'ambizione dell'erede di Cesare, che deciso ad ottenere il potere marciò con il proprio esercito sino alle porte dell'Urbe. Qui minacciò il senato e ottenne con la forza il consolato, dopo aver convocato i comizi. SECONDO TRIUMVIRATO: ALLEANZA TRA OTTAVIANO E MARCO ANTONIO DEL 43 a.C Il secondo triumvirato della storia prese le sembianze di una vera magistratura, ratificata da comizi. L'accordo aveva una durata quinquennale, ed era l'esemplificazione di una dittatura militare. Fu costituito da: Marco Antonio Ottaviano Marco Emilio Lepido (fedele ufficiale di Cesare) Qual era l'obiettivo del triumvirato? Gliobiettivi erano tre: 1)la creazione di una nuova costituzione per lo Stato; 2)l'eliminazione dei nemici interni per mezzo delle liste di proscrizione; 3)l'eliminazione dei nemici esterni (Cesaricidi) per mezzo della Battaglia di Filippi del 42 a.C. Gli uccisori di Cesare e i loro complici furono dichiarati nemici pubblici, e per colpirli furono pubblicate delle liste di proscrizione, sull'esempio di quelle adottate da Silla. Ne conseguirono l'eliminazione di Cicerone, avversario di Antonio, e l'uccisione senza possibilità di appellarsi al processo di 300 senatori e 2000 cavalieri. LA BATTAGLIA DI FILIPPI (42 a.C.) In Oriente gli ultimi sostenitori della repubblica organizzarono una resistenza armata guidata dai capi della congiura anticesariana Marco Giunio Bruto e Gaio Cassio Longino, nel 42 a.C. questi ultimi furono sconfitti da Marco Antonio e Ottaviano, che pur combattendo con 8 legioni erano in inferiorità numerica. Quando Bruto attaccò, Ottaviano non riuscì a reggere lo scontro. Al contempo, Cassio attaccò Marco Antonio ma fu sconfitto dallo stesso tentò di spingersi fino alla palude per aspettare l'intervento di Bruto,→ ma vedendosi perduto si suicidò. Marco Antonio riuscì a respingere l'esercito di Bruto e a rioccupare l'accampamento perso da Ottaviano, ma Bruto,offeso per la perdita dell'amico, reagì con crudeltà uccidendo tutti i prigionieri e rifugiandosi nel suo campo fortificato. Nei giorni seguenti la situazione dei triumviri sembrava peggiorare, poiché scarseggiavano i rifornimenti. La situazione andò a favore dei cesariani quando Bruto decise di attaccare in forze: era ciò che Marco Antonio sperava, così da andare in battaglia al più presto. L'inesperto Ottaviano fu sconfitto nuovamente, ma Marco Antonio sfondò le linee nemiche e attaccò alle spalle l'esercito di Bruto che, spaesato, si disgregò! Per non cadere nelle mani dei nemici, Bruto e i suoi ufficiali si suicidarono. Mentre Ottaviano massacrava i vinti, Marco Antonio mostrò un comportamento nobile e generoso che accrebbe la sua popolarità e lo condusse verso il culmine della sua maestria militare e della sua gloria politica. All'indomani della vittoria di Filippi le rivalità tra Marco Antonio e Ottaviano ripresero ben presto. Nel momento della spartizione delle sfere di influenza: ✔ Marco Antonio si attribuì le province Orientali; ✔ Ottaviano si attribuì le province Occidentali; ✔ Lepido, che era il meno autorevole e fu ben presto emarginato, si attribuì il controllo dell'Africa e la carica di pontefice massimo a Roma. MARCO ANTONIO VA IN ORIENTE Marco Antonio era convinto che quella spartizione lo avrebbe favorito: in Oriente avrebbe trovato risorse inesauribili e soldati in quantità, mentre in Italia Ottaviano avrebbe dovuto affrontare un logorante confronto con il Senato. La situazione invece favorì il più lungimirante Ottaviano → rimasto a Roma egli ebbe buon gioco nell’attenuare la diffidenza del Senato e nel guadagnarsi i favori dell’opinione pubblica: si atteggiò a unico difensore del Senato e del popolo romano contro un nemico (Marco Antonio) che si era ormai trasformato in un cittadino orientale, pronto a trasformare Roma in una monarchia ellenistica. Marco Antonio, dal canto suo, faceva di tutto per confermare queste dicerie: si era stabilito presso la corte di Cleopatra, alla quale si era legato sentimentalmente dopo aver ripudiato Ottavia (sorella di Ottaviano), e cedendo tra l’altro alla regina pezzi di territorio romano. Egli agiva come un vero e proprio monarca, interessato più al benessere della nuova compagna che non della città di Roma; sembrava voler trasformare lo Stato in una monarchia ellenistica! Antonio godeva ancora della simpatia del suo esercito e di esponenti del popolo molto influenti, e potendo contare sulle milizie fornitegli da Cleopatra poteva comunque sovrastare qualsiasi forza Ottaviano gli presentasse. Il figlio adottivo di Cesare invece mostrava rispetto per le tradizioni romane e per la repubblica, conduceva una vota morale simile a quella dei nobili, migliorò le proprie abilità di generale e si avvalse di collaboratori ingenti quali Marco Vipsanio Agrippa. LA SCONFITTA DI SESTO POMPEO A NAULOCO (36 a.C.) A Nauloco la flotta di Ottaviano dovette affrontare le forze di Sesto Pompeo, uno dei figli di Pompeo Magno, che era riuscito a dominare la Sicilia e a costituire una forza navale che minacciasse l'Italia. Egli ottenne l'accesso al senato e il governo di Sicilia, Sardegna, Corsica e Peloponneso; proprio per questo motivo fu ritenuto, da Ottaviano, un pericoloso nemico da combattere. Fu proprio Ottaviano a dirigere la battaglia: iniziò isolando politicamente Sesto Pompeo, stabilendo un accordo con i triumviri che prevedeva un attacco simultaneo sulla Sicilia → Ottaviano avrebbe attaccato con le sue truppe da nord a est, Lepido da sud e Marco Antonio avrebbe mandato rinforzi dove necessario. Le innovazioni apportate da Ottaviano furono due: 1) venne scavato un canale tra il mare e il lago Lucrino, utilizzato oramai come porto; 2) vennero costruite delle navi larghe e dotate di harpax: un dardo di abbordaggio che si contrapponeva al corvo -ponte mobile provvisto di un gancio- e che era in grado di fissarsi sulle navi nemiche per trasformare un combattimento navale in uno terrestre. La flotta di Ottaviano, guidata da Agrippa, affrontò quella di Sesto Pompeo a Nauloco → fu sconfitto e subì la perdita di 28 navi affondate, 17 messe in fuga e le altre catturate o bruciate. Di li a poco Ottaviano conquistò la Sicilia e Sesto Pompeo fu eliminato. Il Mediterraneo era ora nelle mani del generale romano! Ottaviano vittorioso fece decadere Lepido da triumviro e si impossessò dei territori di sua competenza: quelli africani Lepido dovette accontentarsi della carica di pontefice massimo a Roma.→ La situazione politica era frammentaria: se da una parte la figura di Antonio era sempre più screditata dai cittadini e dall'aristocrazia senatoria, dall'altra quella di Ottaviano era elogiata ogni giorno di più. Ambedue le figure politiche cercavano di consolidare il proprio potere, non pensavano alla repubblica e agivano come dittatori. Tuttavia, Ottaviano riuscì meglio a nascondere i propri intenti e, creando attorno a sé un alone di popolarità, costruì una sorta di campagna propagandistica che lo avrebbe accompagnato durante l'imminente confronto militare. GUERRA ALL'EGITTO DI CLEOPATRA La dichiarazione di guerra proposta da Ottaviano aveva un duplice scopo: 1) dichiarare guerra all'Egitto, che secondo il giovane generale mirava al controllo delle province romane in Oriente e umiliava la repubblica; 2) dichiarare una guerra difensivo-preventiva contro una potenza straniera alla quale Marco Antonio, per via delle sue debolezze, si era asservito col rischio di mettere i territori di Roma nelle mani dei Tolomei. LA BATTAGLIA DI AZIO (31 a.C.) Il 2 settembre 31 a.C. ebbe inizio lo scontro navale, sulle coste meridionali dell'Epiro, in cui prevalse colui che sembrava avere meno possibilità di avere la meglio: Ottaviano. Nonostante Marco Antonio fosse molto vicino a Cesare, avesse anche l'esercito dei Tolomei di Cleopatra, e nonostante fosse un grande generale, rimase sconfitto. Marco Antonio poteva disporre di un'ingente flotta, formata da più di 500 navi di cui 230 quinqueremi che, però, risultarono poco manovrabili. Ottaviano poteva disporre di una flotta molto più modesta, che vantava a malapena 250 navi a discapito dell'inferiorità numerica, però, Ottaviano aveva a suo→ vantaggio sia l'aiuto delle navi leggere e facilmente manovrabili, con arcieri, catapulte ed equipaggio ben preparato, sia l'aiuto del migliore ammiraglio di quel tempo (Agrippa). Marco Antonio giunse con la sua flotta ad Azio, nel golfo di Ambracia, spalleggiato dalle navi di Claopatra qui → fu immediatamente bloccato dalla flotta di Agrippa. Per rompere il blocco decise di dare battaglia navale, tuttavia un'epidemia di malaria decimò il loro equipaggio che risultò non più sufficiente per le grandi navi che possedevano. Marco Antonio voleva far uscire dal golfo le sue navi e attaccare sul lato nord di Ottaviano, in modo da interrompere i collegamenti di quest'ultimo con io suoi soldati a terra. Egli non poté mettere in atto questo piano, poiché l'ufficiale Quinto Dellio disertò e andò a riferire quanto programmato al nemico Ottaviano. Il 2 settembre del 31 a.C. Marco Antonio attaccò, ma Agrippa evitò il confronto diretto. La flotta di Ottaviano, concentrandosi a respingere gli attacchi nemici sui fianchi, lasciò uno spazio meno sorvegliato al centro. Cleopatra in questa situazione fu colta dal panico e con la sua squadra egizia avanzò verso quella direzione. La sovrana prese il tesoro reale e fuggì verso Alessandria, aiutata dal vento. Cleopatra cercò di comunicare le sue intenzioni a Marco Antonio che, confuso, abbandonò la battaglia e la seguì nell'immediato →non solo il generale lasciò i suoi soldati in balia del nemico, ma non si fece vedere per diversi giorni (il sentimentalismo alle volte frega l'uomo e non gli dona quella lucidità determinante per porre a proprio favore il corso degli eventi). I due si rifugiarono ad Alessandra, nella speranza di poter contare sull'appoggio dei re vassalli d'oriente; ma quando seppero dell'arrivo delle legioni di Ottaviano si uccisero→ a Marco Antonio venne portata le falsa notizia che Cleopatra si era suicidata, egli allora si gettò sulla propria spada e morì poco dopo tra le braccia della regina che, nel frattempo, era accorsa vicino a lui. Cleopatra lo seguì ben presto nella tomba: dopo un vano tentativo di accattivarsi la simpatia di Ottaviano, insensibile al suo fascino, si suicidò facendosi mordere da un serpente velenoso. L'Egitto divenne provincia dell'Impero omano, e Roma era di fatto nelle mani di un'unica persona: Ottaviano SUCCESSO DI OTTAVIANO Unico detentore del potere romano, il quale diede inizio al principato e definì una nuova figura istituzionale: quella del princeps (principe, in senso lato). In realtà il princeps è il primo tra i pari, quel simbolo che cesserà solo con la promulgazione della legge Lex de imperio Vespasiani dell'imperatore Tito Flavio Vespasiano nel 69 d.C. 8: LA NASCITA DELL'IMPERO E IL PRINCIPATO DI AUGUSTO Dal 31 a.C. al 69 d.C a Roma vi fu la forma di governo del PRINCIPATO! All'indomani della battaglia di Azio: ➔ Ottaviano, dal 31 al 23 a.C. ricoprì il ruolo di consolato; ➔ nel 27 a.C. il triumvirato venne abolito, tutti gli atti politici vennero annullati e l'erede di Cesare finse di riconsegnare tutto il potere a magistrati e al senato; ➔ nel 27 a.C. il senato offrì a Ottaviano una proroga del potere dell' imperium ed egli ricevette il consolato, il comando militare e l'amministrazione delle province di frontiera. L'IMPERO COME 'FEDERAZIONE' L'amministrazione locale era concentrata nelle mani delle istituzioni delle cittadine, tuttavia l'impero (sebbene apparentemente sottomesso al potere monarchico) era costituito da quasi mille comunità autonome, e con diversa condizione giuridica, che conferivano allo stesso l'aspetto di una sorta di federazione. A differenza delle città autonome peregrinae, che avevano loro istituzioni e potevano legiferare autonomamente, le cittadine romane avevano un'organizzazione che imitava la struttura dell'Urbe: come le colonie e i municipi, dovevano seguire le leggi romane, erano dotate di un consiglio aristocratico -ordo decurionum- e di magistrature gerarchizzate dal cursus honorum. Un punto debole dell'amministrazione imperiale era la mancanza di un apparato burocratico che ruotasse attorno alla figura dell'imperatore. Per rimediare, Augusto istituì la figura del liberto imperiale: un domestico personale che poteva mirare ad una carica politica di rilievo. 8.2: LAPOLITICA AMMINISTRATIVA Il nucleo dell'esercito romano era costituito dalle popolazioni italiche, tuttavia a seguito delle crisi e dei conflitti esterni/interni le risorse umane ed economiche andavano scemando. Nella tarda età consolare il flusso di ricchezze per lo Stato derivava dall'imposizione fiscale: i tributi erano calcolati in base alla produttività del suolo -tributum soli- e in base alle persone fisiche -tributum captis. La forma di tassazione riguardava però solo le province, perché l'Italia: ➔ era esente da tutte le imposte dirette; ➔ era esente dal diritto di proprietà dello Stato sul suolo, professava lo ius Italicum. Le imposte sulle proprietà fondiarie delle province senatorie -stipendium- entravano nell'erario dello Stato (aerarium), le imposte sulle proprietà fondiarie delle province imperiali -tributum- andavano ad alimentare il tesoro imperiale (fiscus) di cui facevano parte anche le ricchezze di Augusto. Quali furono le conseguenze legate alla riscossione di tributi ? Lo Stato incamerava così ingenti rendite tributarie, riutilizzate spesso nelle province in cui erano stanziati gli eserciti maggiori → tributi finalizzati alla costruzione di opere monumentali nelle province, per accrescere il sentimento di appartenenza alla civiltà romana, e alla manutenzione delle truppe. Un'altra conseguenza fu la circolazione della moneta nelle città: poiché la paga dei soldati veniva reinvestita nella stessa provincia in cui essi erano di ruolo, la domanda interna di merci (e la produzione di materie destinate alla vendita) era in continuo aumento ciò avveniva solo nelle città romane,→ non nelle province che godevano di barriere naturali come forma di protezione e in cui i contingenti militari erano inferiori. LA RISCOSSIONE DELLE IMPOSTE L'esenzione delle tasse avveniva, come in età repubblicana, per mezzo di appalti e società di imprenditori privati. Augusto divise i provenienti dello Stato per province, queste costituivano delle circoscrizioni finanziarie, ciascuna con imposte e tasse doganali proprie → portoria. Come conseguenza della riscossione appaltata per zone geografiche o per tipologia geografica, svanirono le figure dei grandi pubblicani a discapito di società meno ricche meno ricche e meno potenti di imprenditori -conductores. Augusto diede anche il via al fenomeno della coniazione, dividendo le monete del princeps in oro e argento, e quelle del senato in bronzo. Tutte mantenevano, però, lo stesso tipo monetale: portavano sul verso il ritratto del principe. Le popolazioni delle province risposero con generale riconoscenza e fedeltà politica, e l'economia tornò ad essere fiorente e stabile grazie alle legalità ritrovate! 8.3: RIORGANIZZAZIONE DELL'ESERCITO E POLITICA ESTERA Dinnanzi ad Augusto si presentarono due problemi, in merito all'organizzazione dell'esercito: 1)era necessario provvedere alla sistemazione dei veterani, in quanto il numero di soldati era sproporzionato rispetto alle reali necessità statali; 2) era necessario provvedere alla ridistribuzione delle truppe e alla loro collocazione nei punti strategici dell'impero romano. IL CONGEDO DEI VETERANI... Il primo problema venne risolto mediante l'assegnazione di congedi -honesta missio- e l'assegnazione di terre e denaro, grazie all'aiuto del patrimonio personale di Augusto, ai veterani che furono fedeli a Cesare sino alla battaglia di Azio del 31 a.C. Augusto ridusse anche il numero delle legioni, basandosi su in principio politico che mirava a garantire la sicurezza dei territori già incorporati nell'impero, e ne mantenne una ventina (ognuna aveva 5500 soldati, ca) stanziandole sui confini a difesa dell'impero → collocazione periferica che aveva un duplice scopo: A) mantenere stabili le frontiere per mezzo dell'alloggiamento dei soldati in campi permanenti -i castra- eretti nei luoghi strategici con pietra e mattoni; B) prevenire interventi dell'esercito nella vita politica. E' dall'età di Augusto in poi che si può parlare di frontiera -limes-, munita di forze armate, truppe, fortezze, strutture difensive e vie di accesso. Inoltre, qualora un'unità militare si fosse stanziata in un luogo privo di sviluppo urbano, nelle sue immediate vicinanze si sarebbe formato un insediamento composto da civili che vivevano in stretto collegamento con l'esercito: artigiani, mercanti, soldati ecc. La presenza dell'esercito promuoveva lo sviluppo economico del territorio in cui si stanziava, promuovendo così il fenomeno di urbanizzazione e colonizzazione. ...E IL LORO STANZIAMENTO Alla fine del loro servizio, i veterani avrebbero meritato un lotto di terra; per evitare un'insurrezione della popolazione, però, il governo decise di evitare di confiscare le terre da destinargli. Augusto provvide allora a stanziare i veterani nelle province, fondando così municipi o colonie romane che, talvolta divenivano municipi o colonie detentori dello ius Latii. Quali furono le conseguenze di questi insediamenti ? In Occidente contribuirono alla romanizzazione delle popolazioni conquistate, nell'Oriente greco le nuove colonie romane furono ellenizzate nel giro di due secoli. Augusto era sostenitore dell'ideale della Pax Romana, era perciò convinto che il sistema più logico per il mantenimento della pace -sebbene sembrasse un controsenso- era una continua espansione dell'impero (sulla linea di Giulio Cesare) conquista militare di tutti i popoli, che potevano godere della pace→ solo una volta entrati a far parte dell'impero universale di Roma. I RAPPORTI DI AUGUSTO CON L'IMPERO DEI PARTI Politica estera coi Parti, in Oriente, basata sulla diplomazia: egli volle 'tessere' una ramificazione di stati vassalli che potessero svolgere la funzione di 'zone cuscinetto' tra i due imperi, al fine di contenere eventuali pressioni. Augusto riuscì ad ottenere la pace temporanea e la restituzione delle indegne che i Parti avevano strappato ai soldati romani di Crasso nella battaglia di Carre (53 a.C, in cui Crasso morì) in Siria. I TERRITORI DELL'ASIA MINORE Politica estera con l'Asia divisa per settori: nei regni confinanti come Bosforo, Cappadocia, Tracia e Ponto orientali vennero stanziati dei sovrani alleati di Roma, furono aumentati i controlli in Giudea poiché, dopo la morte del re alleato Erode, il popolo stava iniziando a manifestare il proprio malcontento. Nel 25 a.C. la Galazia divenne provincia romana, così come lo erano gli altri piccoli stati dell'Asia minore. I TERRITORI IBERICI E LA ZONA DELLE ALPI Politica estera in Occidente: venne conquistata la penisola iberica, compreso il versante nord-occidentale. Nella zona delle Alpi Augusto concluse un trattato con Cozio -re dei Celto-Liguri- nel quale si affermava che tutte le popolazioni delle Alpi sarebbero divenute dominio di Roma. Le conquiste di Salassi (Val d'Aosta), Liguri (Alpi Marittime) e Camuni (Valcamonica) avvennero tra il 25 e il 14 a.C. e furono importanti per la sicurezza dell'impero romano →colonizzazione su larga scala, per mezzo della fondazione di tre piccole province romane tra l'Italia e la Gallia. Furono poi Tiberio e Druso maggiore, figliastri di Augusto, a portare a termine la conquista dell'arco alpino, tra il 16 e il 15 a.C: estendendo il confine dell'impero fino al Danubio, e impossessandosi di Rezia e Norico (attuali Svizzera e Austria). I TERRITORI DELL'EUROPA CENTRALE Tra il 12 e il 9 a.C Tiberio, uno dei più validi generali del tempo, conquistò la Pannonia -odierna Ungheria occidentale- e la Desia -a sud del Danubio. Druso Maggiore negli stessi anni intraprese una spedizione militare volta ad estendere i confini dell'impero sino al corso dell'Elba (più importante fiume dell'Europa centrale, tra repubblica Ceca e Amburgo). Egli creò la provincia di Germania, nei territori compresi tra Reno e l'Elba. Nel 9 d.C. vi fu una sollevazione di tribù germaniche renane, comandata da Arminio -capo della tribù dei Cherusci- che, in passato, entrò al servizio dell'impero romano combattendo come comandante di un distaccamento ausiliare dei Cherusci nell'esercito imperiale di Roma. Negli anni tra il 6-9 d.C. vi fu la grande rivolta di Dalmazia e Pannonia, che diede l'input ad Arminio per liberare i territori germanici dalla dominazione romana il nuovo governatore della Germania,→ Publio Quintilio Varo, agiva senza alcuna abilità politica creando un malcontento generale e perdendo l'appoggio delle élite germanica. Quale fu il corso della battaglia ? I congiurati pensarono di attirare l'esercito romano in una trappola, e annientarli, ponendo fine all'occupazione romana. Ma Arminio aveva un piano ben più ampio: intendeva divenire re della sua tribù e, successivamente della Germania. Egli sapeva che senza il suo appoggio i Germani potevano essere facilmente domati dai Romani, e infatti essi formarono una Lega capeggiata da Arminio e misero in atto il complotto. Nel settembre del 9 d.C. Arminio convinse Varo a partire per domare una presunta rivolta scoppiata nel nord della Germania; non avendo incontrato alcuna rivolta, l'esercito romano tornò verso gli accampamenti invernali senza prendere misure di sicurezza. Senza preoccupazione, l'esercito di Varo -composto da circa 20.000 uomini, tra legioni, cavalieri e coorti ausiliarie- passò tra le foreste e le paludi della città di Osnabruck, nella selva di Teutoburgo; qui lo aspettava Arminio con tutte le forze dei ribelli, che avevano fortificato alcune posizioni e potevano vantare un esercito di 25.000 uomini. L'esercito romano fu massacrato, in una battaglia che durò 3 giorni le tre→ legioni vennero devastate, le loro insegne prese dai barbari, e i pochissimi che riuscirono a salvarsi fuggirono dalle guarnigioni renane dando loro notizia della sconfitta che passerà alla storia come clades Variana (la disfatta di Varo). Da qui, il limite del territorio controllato da Roma si stabilizzò poco oltre il Reno. Poiché in Dalmazia e Pannonia urgeva sedare le violente rivolte scoppiate nel 6-9 d.C, Tiberio fu mandante della spedizione che si concluse con l'accordo di pacificazione stipulato con le province centro-europee. Il fine ultimo delle campagne militari, era quello di estendere l'impero romano sino a raggiungere i confini naturali, difendibili e non modificabili, come il corso dell'Elba, del Reno e del Danubio; lo stesso Augusto ritenne di non estendere le conquiste al di là di questi limiti. 8.4: LA RESTAURAZIONE SOCIALE DI AUGUSTO La politica di Augusto si basava sull'idea di riconciliazione sociale e di restaurazione morale fondata sull'eredità nazionale -mos maiorum. LA NOBILTA' SENATORIA L'élite sociale romana rimase sempre la nobiltà senatoria, a cui Augusto diede grande importanza: • il numero dei senatori fu ridotto a 600. Molti membri di insufficiente onorabilità furono espulsi, così il princeps mostrava la volontà di mantenere la nobiltà al vertice ma di volerne contrastare la dissoluzione; • i membri della nobiltà, in quanto ordo che godeva di un regime giuridico e politico particolare, erano obbligati a mettersi sempre a disposizione dello Stato: cioè a esercitare cariche pubbliche e comandi militari senza remore; • le vecchie magistrature del cursus honorum, il governo delle province, la guida delle legioni e l'esercizio delle cariche temporanee rimasero affidate agli uomini di rango senatorio -clarissimi viri; • un giovane nobile che iniziava la sua carriera doveva entrare nell'esercito, almeno un anno, come tribuno militare laticlavius di legione; I LIBERTI Lo schiavo affrancato (liberato) diveniva un liberto del suo padrone, e ne seguiva la condizione giuridica→ la liberazione degli schiavi da parte di cittadini romani creava nuovi cittadini che, seppur privi di ius honorum, potevano permettere ai propri figli di entrare in possesso del titolo di cittadini romani. I liberti erano attivi nella società romana, e spesso erano ricchi affaristi e proprietari terrieri, esclusi dalle e dalle dignità pubbliche. Alcuni liberti diedero vita alla forma consociativa degli Augustales: ministri ufficiali del culto imperiale, che nei comuni vennero considerati addirittura come appartenenti al secondo ordo della comunità. Gli Augustali non potevano rivestire cariche pubbliche, ma erano ugualmente in grado di trarre considerazione, onore, insegne e ricchezze. La società romana, ristrutturata in età augustea sulla base dei principi e valori tradizionali, raggiunse una stabilità duratura dovuta anche alla mobilità sociale→ possibilità di accedere a ceti immediatamente superiori al proprio o di entrare a far parte delle comunità dei cittadini romani. 8.5: LA CULTURA AUGUSTEA Il passaggio dal lungo periodo di guerre civili a quello di pace stabile e duratura risvegliò la facoltà creativa di letterati e artisti. Lo stesso Augusto perseguì una politica di restaurazione culturale basata su grandi investimenti nel campo delle arti e sul sostegno di correnti letterarie che rispondevano positivamente alle sue riforme. Il princeps agiva spesso con dei collaboratori, primo tra tutti il suo consigliere e amico Gaio Cilnio Mecenate: nella sua casa si riunivano e trovavano protezione artisti di vario genere che, in cambio, trasformavano le loro opere poetiche o prosastiche in uno strumento per trasmettere i valori della restaurazione augustea (la maggior è parte degli artisti era realmente d'accordo con la nuova politica statale). L'ETA' D' ORO DELLA LETTERATURA LATINA La letteratura latina visse in quegli anni la sua ETA' D'ORO Augusto ebbe al suo seguito poeti come→ Virgilio, Orazio e Ovidio, storici come Livio, scienziati come Vitruvio e geografi come Strabone. Tutti, seppur in maniera differente, perseguivano la missione ecumenica dell'impero e il suo naturale diritto di dominio universale. La lingua latina mostrata durante il periodo augusteo era matura ed evoluta, e raggiunse il culmine dello stile e della chiarezza linguistica. Continuò a diffondersi nelle province, diventando un modello per la cultura occidentale e presentando anche alla lingua rivale -il greco- alcuni termini tecnici scientifici, giuridici e burocratici. Dal canto suo il greco affiancherà il latino, nella narrazione delle vicende di Roma, offrendo scrittori quali Polibio, Diodoro Siculo o Dionigi di Alicarnasso →storici dell'Urbs caput mundi. EDILIZIA PUBBLICA E PRIVATA Dal punto di vista dell'edilizia pubblica, il princeps fece edificare: l'Ara Pacis -un altare che celebrasse la pace restituita- un foro e un grande tempio -il Pantheon. Dal punto di vista dell'edilizia privata fu dedicata attenzione alla riorganizzazione architettonica dei campi militari permanenti. In molti luoghi sorsero templi di Augusto, di Roma e della Fortuna Augusta. IL RIPRISTINO DEL RELIGIONE TRADIZIONALE Augusto cercò di ripristinare la fede romana tradizionale, ovvero tutti quei culti e quelle istituzioni religiose gravemente trascurate durante l'età repubblicana. Tuttavia il ripristino della religione ufficiale era visto come un fenomeno di conformismo politico-sociale emergeva il → bisogno di una nuova fede. Accanto ai culti ufficiali continuarono a proliferare nuove forme religiose : superstizioni straniere o riti magici generalmente accettati ma privi d'appoggio. IL CULTO DEGLI IMPERATORI La nascita del culto dell'imperatore fu una conseguenza diretta del principato. In realtà, in Oriente, la deificazione del principe era una pratica diffusa che, in età ellenistica, venne accettata anche dal mondo greco. Augusto lasciò che la propria persona venisse onorata come divinità, nell'Urbe e nelle province; si trattò di un fattore di forte coesione sociale, in quanto tutti gli abitanti dell'impero si riconoscevano uniti dal medesimo culto. 8.6: IL PROBLEMA DELLA SUCCESSIONE Il problema che assillava Augusto era quello di trovare un successore che garantisse la continuità del regime da lui creato egli, per non trasformare il proprio regime politico in una monarchia, dovette trovare→ una soluzione senza la nomina ufficiale di un erede. L'unica soluzione che lo stato romano poteva accettare era quella di proporre un candidato che, gradualmente, avrebbe assunto le cariche concentrate nelle mani del princeps; il candidato avrebbe dovuto, però, essere riconosciuto dall'istituzione e dalla società. La scelta finale di Augusto cadde su Tiberio Claudio Nerone: valente generale e figlio della moglie Livia, avuto durante il suo primo matrimonio Tiberio → acquistò la potestà tribunizia e il comando proconsolare (i due poteri su cui si basava l'autorità imperiale). Egli apparteneva alla famiglia senatoria dei Claudii, e Augusto per legarlo alla propria famiglia e rendere la trasmissione dello stato una successione patrimoniale privata, lo obbligò a sposare la figlia di Giulia Maggiore (sua figlia, non che vedova di Agrippa). Augusto morì nel 14 d.C, e Tiberio divenne il nuovo princeps. Tiberio ricevette un giuramento personale da parte di tutti i magistrati e funzionari dello Stato, di ogni ceto sociale. In questo modo la successione monarchica diventò effettiva e la posizione di Tiberio venne messa in luce dal suo nome imperiale, che portava i cognomi di Caesar e di Augustus. 9: IL PRINCIPATO DI TIBERIO DELLA DINASTIA GIULIO CLAUDIA (14-37 a.C.) Tiberio fu il secondo princeps della dinastia Giulio-Claudia si dimostrò un buon amministratore,→ proseguendo l'opera di risanamento economico di Augusto. Agevolò il rilancio, sia nelle province che in Italia, dell'agricoltura ed esercitò un controllo stretto sugli abusi dei funzionari (sopratutto in merito alla riscossione delle imposte). La linea della politica estera fu di contenimento, più che di espansione. Il princeps nominò il nipote Giulio Cesare Germanico, figlio di Druso Maggiore e Antonia Minore, comandante dell'esercito romano sul Reno al fine di contenere le rivolte dei Germani e vendicare la disfatta di Teutoburgo. Il generale romano doveva affrontare e sconfiggere le tribù ribelli, riportare il controllo romano sulla riva destra del Reno e riscattare il prestigio dell'impero, danneggiato a causa della tragica sconfitta di Varo nella foresta di Teutoburgo. OPERAZIONI MILITARI CONTRO LE TRIBU' GERMANICHE Nel 15 d.C., sei anni dopo la clades Variana, l'esercito di Germanico attraversò il Reno e sconfisse la tribù dei Marsi, riuscendo ad arrivare sino a Teutoburgo per dare degna sepoltura alle ossa dei romani caduti nell'imboscata tesa da Arminio sebbene fuggiasco, continuò a governare una guerriglia contro i→ romani. Nel 16 d.C. riprese la guerra: forte di circa 25.000 uomini l'esercito romano devastò la Germania transrenana a Idistaviso. e attraversò il fiume Weser. Fu un grande successo militare dei romani che riuscirono ad uccidere circa 20.000 nemici, giungendo sino al Vallo Angrivariano. Nel 21 d.C. Arminio fu ucciso da alcuni nobili Cherusci con cui era entrato in contrasto: egli aveva liberato la Germania senza riuscire a imporsi come capo autorevole, né a fondare uno Stato dei Germani. Tuttavia Arminio divenne simbolo dell'identità nazionale tedesca perché permise alla Germania di rimanere fuori dal mondo romano. Germanico morì inaspettatamente nel 19 d.C. ad Antiochia, in Siria. Egli sì raggiunse una fama così grande che quando si sparse la voce della sua scomparsa molti pensarono fosse stato avvelenato per ordine di Tiberio. Diversamente da Augusto, Tiberio: 1)rinunciò pubblicamente a essere chiamato imperator; 2)cercò di coinvolgere il senato nel governo dello Stato, conferendogli il potere di elezione delle magistrature cittadine (prima riservato ai comizi). Tuttavia il senato si dimostrò incapace di gestire lo Stato con una politica propria e fece rimbalzare le decisioni su Tiberio, non nascondendo neanche una certa ostilità! LA POLITICA REPRESSIVA DI TIBERIO Per dominare la situazione, Tiberio piegò un'antica legge volta a punire le offese avvenute contro il popolo romano -la lex maiestatis populi Romani- a strumento di sanzione per ogni offesa o mancanza di rispetto nei confronti del princeps. Ebbe inizio una politica repressiva che fece molte vittime, che coltivava il tradimento e che minava la fiducia reciproca Tiberio fu il primo imperatore che dovette confrontarsi con l'evidente → opposizione senatoria. Di queste tensioni approfittò Lucio Elio Seiano, uomo senza scrupoli che arrivò a carpire la fiducia del princeps pur di ottenere il comando della guardia pretoria: il suo potere crebbe a dismisura. Mentre Tiberio, disgustato dal clima di tensioni a Roma, si rifugiò nella sua lussuosa residenza di Villa Iovis, a Capri, dove continuò a dirigere lo Stato (solo formalmente però). Seiano mirava al principato, ed attuò una politica volta ad isolare il princeps dal senato e a terrorizzare la stressa classe senatoria. Per farlo si avvalse del comando della guardia imperiale, le cui truppe erano stanziate in un campo fortificato a Roma. Arrivò per sino ad escogitare l'uccisione del figlio di Tiberio, Druso, pur di non avere rivali nella successione →venne scoperto e condannato a morte. Tiberio morì nel 37 d.C, lasciando come coeredi il nipote ancora minorenne Tiberio gemello, e il giovane Gaio Cesare, figlio di Agrippina e Giulio Cesare Germanico, detto Caligola. Nonostante le critiche poste dalla storiografia nei confronti del secondo princips della dinastia Giulio-Claudia, possiamo dire che egli amministrò bene lo Stato romano e seppe continuare l'opera di Augusto, 9.1: CALIGOLA (37-41 d.C.) Caligola rappresentò per i romani la dimostrazione della presenza di pericoli all'interno della forma del principato e soprattutto del fatto che la natura del regime instaurato da Augusto dipendesse dalla personalità di chi stava al vertice dello stato → il suo regno (37-41 d.C) mostrò ai romani che un solo uomo al potere poteva trasformare il principato in una tirannide. Salito al trono molto giovane, come primo atto, Caligola fece uccidere il suo rivale e cugino Tiberio Gemello. La sua vera indole non tardò a manifestarsi: diventò estremamente crudele, cominciò a pretendere onori divini e a prendere misure arbitrari trasformando il principato in una monarchia assoluta-orientale. A corte venne anche introdotta il cerimoniale della prostrazione ai piedi del principe→ il governo tirannico di Caligola gli valse l'accusa di pazzia, alimentata dalle parole dell'erudito e biografo latino Svetonio (che con le sue opere è la fonte più importante che abbiamo sul princeps). Persino le coorti pretorie divennero a lui ostili, tant'è che trovò morte per mano di un tribuno -Cassio Cherea-, che aveva escogitato una congiura assieme ad altri senatori. Era il 41 d.C, e all'uccisione di Caligola seguì una strage nella residenza imperiale che vide il massacro di tutti i suoi familiari; solo Claudio, fratello di Germanico e zio di Caligola fu salvato. Trovato nascosto dietro una tenda da una guardia pretoria, venne acclamato princeps queste successioni→ dimostrano che il potere era nelle mani della guardia pretoria -reparto militare dell'impero che svolgeva compiti della guardia del corpo dell'imperatore- e che essa godeva di un ruolo determinante nelle successioni al trono dei Cesari. 9.2: CLAUDIO (41-54 d.C.) Claudio estraneo alla politica, era intelligente e colto: scriveva opere erudite di storia e grammatica, e nonostante la tradizione lo dipingesse come un debole sottomesso alle volontà delle sue mogli e dei liberti che governava, fu un princeps molto attivo → la sua proclamazione fu ratificata dal senato. Gli iniziali provvedimenti da lui adottati furono simili a quelli tenuti quattro anni prima dal nipote; Claudio non appena divenne princeps: ➔ promise ai senatori di dividere il potere con loro; ➔ proibì i processi di lesa maestà e richiamò a Roma coloro che erano stati esiliati da Caligola; ➔ eliminò la maggior parte delle misure prese da Caligola negli ultimi anni di vita; ➔ abolì i cerimoniale della prostrazione ai piedi del principe, ed eventuali sacrifici in suo onore; ➔ permise ai membri delle antiche famiglie nobili di portare i loro segni distintivi. LA POLITICA ESTERA In politica estera Nerone cercò di mantenere la pace: contro i Parti condusse una lunga battaglia (58-63 d.C.) che si concluse con la vittoria di Roma e la ripresa del controllo sull'Armenia. Nel 66 d.C. Nerone in persona incoronò re dell'Armenia il parente della dinastia degli Arsacidi Parti, Tiridate. Il princeps intendeva allargare l'influenza romana verso Oriente, senza però provocare un nuovo conflitto militare con i Parti. Meno riuscita fu la politica in altre regioni dell'impero: • nel 60-61 d.C in Britannia ci fu, a seguito dei soprusi dei governatori, un'insurrezione popolare guidata dalla regina degli Iceni; • nel 66 d.C. la Giudea si ribellò; • nel 68 d.C. a insorgere fu la Gallia, guidata dal governatore della Gallia Lugdunese: Gaio Giulio Vindice; • nel 68 d.C. dalla Spagna, giunse a Roma il governatore Terraconese Servio Sulpicio Galba. Il senato, allora, dichiarò Nerone nemico pubblico; abbandonato da tutti, tranne che da pochi fedeli rimasti, egli trovò la morte per mano propria nel 68 d.C. esclamando: ''quale artista muore con me!'' Ebbe così fine la dinastia Giulio-Claudia!!! 10: LA GUERRA CIVILE DEL 68-69 d.C. E LA DINASTIA FLAVIA L'ANNO DEI QUATTRO IMPERATORI (68-69 d.C.) Nel 69 d.C. quattro generali romani si contesero il trono di Roma: I. Galba; II. Marco Salvio Otone, III. Vitellio; IV. Vespasiano. GALBA All'indomani della morte di Nerone, il governatore della Spagna Terraconense -Galba- venne accettato dal senato mentre il governatore della Gallia Lugdunense -Gaio Giulio Vindice- fu sconfitto dalle truppe fedeli a Nerone. L'ultimo princeps della dinastia Claudia aveva governato seguendo la tradizione augustea, ma la sua politica creò lo scontento dei pretoriani e di Galba che, oramai 72enne, nel gennaio del 69 d.C. adottò come suo successore il trentenne Lucio Calpurnio Pisone Frugi Liciniano (esponente dell'aristocrazia senatoria). Questo causò l'immediata reazione dei pretoriani, che uccisero sia Galba che Lucio Calpurnio. MARCO SALVIO OTONE Venne acclamato nuovo princeps il vecchio amico di Nerone, non che complice di Galba nel colpo di stato, Marco Salvio Otone → fu proprio lui che in seguito organizzò un complotto volto ad uccidere Galba, colpevole di non averlo nominato come successore al trono. AULO VITELLIO Nel 69 d.C. qualche giorno prima anche le legioni sul Reno insorsero e nominarono princeps Aulo Vitellio→ governatore della Germania Inferiore che il 14 aprile del 69 d.C. sconfisse a Betriacum (Cremona) l'esercito di Otone. Otone si suicidò per non cadere nelle mani dei nemici. Vitellio applicò una politica di tipo neroniana, sia per la ferocia dei massacri compiuti appena salito al torno dalle sua truppe sia per le ideologie antisenatorie. TITO FLAVIO VESPASIANO Nel luglio del 69 d.C. insorsero le legioni orientali e proclamarono princeps Tito Flavio Vespasiano. Era un militare di grande fama, distintosi nelle battaglie contro la Giudea, che oltretutto godeva dell'appoggio delle legioni balcaniche. Nell'autunno del 69 d.C. gli eserciti di Vitellio e Tito Flavio Vespasiano si scontrarono, dando inizio ad una guerra civile che coinvolse tutta l'Italia settentrionale e la stessa Roma; l'esercito del Reno fu sconfitto due volte -a Betriacum e a Saxa Rubra, vicino a Roma- e Vitellio fu giustiziato. A seguito del breve periodo di guerre civili era chiaro che l'esercito imperiale si era sottratto al senato nella scelta e nella determinazione del princeps→ il senato veniva interpellato per dare un riconoscimento formale al potere imperiale ma di fatto erano gli eserciti che nominavano come imperatori i loro generali, anche se questi erano lontani da Roma. Vespasiano apparteneva ai Flavi, una ricca famiglia equestre originaria della Sabina; il padre di Vespasiano -Tito Flavio Sabino- era un pubblicano di Reate (odierna Rieti) entrato nel senato con Tiberio; fu infatti grazie a Tiberio che le élite italiche poterono accedere alle cariche romane. Perché la morte di Nerone fu importante ? 1) determinò la fine della dinastia Giulio-Claudia; 2) mise in atto un radicale mutamento sociale che permise l'ascesa al trono, oltre che alle famiglie di tradizione patrizia che vantavano origini divine, anche a uomini plebei che si erano costruiti da soli il proprio destino di gloria. 10.1: TITO FLAVIO VESPASIANO (il padre che regnò dal 69-79 d.C.) Tito Flavio Vespasiano volle inaugurare il suo regno attuando un ritorno all'idea di principato così come l'aveva configurata Augusto. Lo scopo era quello ristabilire il prestigio e la legittimità di questa forma istituzionale, e contemporaneamente di abolire le tendenze dispotiche e orientali che Nerone e Caligola avevano introdotto. Il primo provvedimento preso da Vespasiano fu quello di trovare un accordo con l'aristocrazia del senato → occorreva restaurare, almeno formalmente, il rispetto della vecchia tradizione romana e ripristinare il riconoscimento formale del senato per la nomina del princeps. La disposizione che emanò in primis Vespasiano fu quella della Lex de imperio Vespasiani del 69 d.C. una legge volta a: ✔ legittimare il suo potere ed elencare le funzioni e le facoltà che competevano al principe; ✔ delimitare il campo d'azione del principe a favore delle prerogative del senato. Con questa legge Vespasiano ribadiva il concetto cardine su cui verteva il principato così come instaurato da Augusto: la figura del princeps, superiore a tutti per l'auctoritas -autorevolezza- personale. RITORNO ALL'AGRICOLTURA La situazione economica dello Stato era precaria, e questo a causa della sbagliata gestione finanziaria di Nerone e delle conseguenze delle guerre civili che devastarono le campagne. Vespasiano decise perciò di intervenire mediante una politica che mirava a risollevare il ritorno all'agricoltura, anche mediante lo sfruttamento dei campi incolti. Vespasiano fu un amministratore serio ed onesto, che seppe guadagnarsi il consenso dell'alta società romana e della plebe. Le finanze furono riorganizzate e piuttosto che essere destinate ai lussi di corte vennero indirizzate alla costruzione di opere pubbliche monumentali, per creare opportunità occupazionali e riscuotere il consenso della plebe, tanto nell'Urbe quanto nelle province romane. Il monumento più rappresentativo di questo periodo fu l'ANFITEATRO FLAVIO -Colosseo, alias 'un mucchio di pietre vecchie ammassate' per mia sorella- destinato ai giochi circensi e ai combattimenti tra gladiatori. L'ESTENSIONE DELLA CITTADINANZA ROMANA AI PROVINCIALI Vespasiano proseguì l'opera di espansione della cittadinanza ai provinciali, così da consentirne l'ingresso nell'aristocrazia, nel senato e nelle cariche ricoperte dai funzionari imperiali. Egli inoltre istituì a Roma una scuola di retorica greco-latina, con maestri finanziati dallo Stato. CAMPAGNE MILITARI IN GERMANIA E BRITANNIA Nuove campagne furono intraprese in Germania e in Britannia: sul confine del Danubio vennero stanziate unità militari rinforzate da due flotte fluviali, una in Pannonia l'altra a Mesia, e vennero stabiliti dei rapporti di clientela/amicizia con barbari dell'Europa centrale. Procedeva la prima guerra in Giudea, e Tito (figlio di Vespasiano) nel 70 d.C. mise fine alla rivolta scoppiata in epoca neroniana prendendo Gerusalemme, saccheggiandola e distruggendo templi e popolazioni di Ebrei. Nel 73 d.C. cadde anche la fortezza di Masada: la roccaforte a ovest del Mar Nero, non che ultimo baluardo della resistenza degli Zeloti ebraici guidati dal capo Eleazar Ben Yair si concluse la prima guerra→ giudaica, ed ebbe inizio la grande DIASPORA EBRAICA, ovvero la dispersione degli Ebrei lungo tutta l'area del Mediterraneo. Il grande bottino di guerra contribuì alla stabilità finanziaria dell'impero, e il lavoro degli schiavi giudei concorse alla costruzione del Colosseo. OPERAZIONI MILITARI IN ASIA MINORE Vespasiano riuscì ad ottenere una collaborazione molto favorevole coi Parti, potenziali nemici e ostacoli dei confini orientali dell'Impero romano. Tuttavia, questi pacifici accordi vennero meno quando i romani mancarono di aiutare i Parti nella loro battaglia contro l'invasione degli Alani -popolazione sermatica che minacciava la Partia e l'Armenia attraverso il Caucaso. Per fronteggiare le scorrerie nemiche, Vespasiano creò dei forti sulla riva orientale del Mar Nero, supportando le difensive degli Iberi con guarnigioni militari per controllare i passi dai quali gli Alani facevano le incursioni. Il nuovo princeps riuscì ad acquisire vantaggi in Asia Minore, estendendo l'influenza romana nell'entroterra della Siria la città di Palmira, e i territori limitrofi, divennero parte dell'impero.→ La presa di Gerusalemme nel 70 d.C. permise a Tito di essere designato come successore di Vespasiano, e di restaurare il regime dinastico. Tito ottenne l'imperium proconsulare, ovvero: 1)pieno potere nel governo delle province; 2) pieno potere nel comando delle armate imperiali. Vespasiano morì il 23 giugno del 79 d.C. a Cutiliae (Rieti), lasciando l'impero nelle mani del figlio Tito! 10.2: TITO FLAVIO (il figlio che regnò dal 79-81 d.C.) Tito venne ricordato come la 'delizia del genere umano'; furono la sua clemenza e la sua generosità ad alimentare questa fama (esempio: non ci furono condanne a morte ufficiali durante il suo regno). Tuttavia qualche anno più tardi fu lo stesso Tacito a ridimensionare quanto affermato precedentemente, definendo il principato di Tito 'felice nella sua brevità'. Durante il regno di Tito una serie di eventi sfortunati colpirono il principato: • nel 79 d.C. una tremenda eruzione del Vesuvio distrusse e seppellì le tre città campane di Ercolano, Pompei e Stabia; • nell'80 d.C. un incendio devastante colpì Roma. Fu persino peggio di quello del 64 avvenuto durante il regno di Nerone; In entrambe le occasioni l'imperatore diede prova della sua magnanimità, intervenendo con le proprie ricchezze a riparare i danni dell'Urbe e ad assistere i profughi delle campagne. Nel 81 d.C. a causa di una febbre improvvisa Tito morì, e non avendo diretti discendenti fu successo dal fratello minore Domiziano (senza una designazione diretta) introduzione del concetto di monarchia→ ereditaria. 10.3: DOMIZIANO (81-96 d.C.) E LA MONARCHIA ASSOLUTISTICA All'inizio del suo regno Domiziano sembrò voler continuare la politica paterna, preoccupandosi di ottenere il riconoscimento della sua auctoritas di imperatore sia da parte del senato che da parte della guardia imperiale. Tuttavia, resosi conto di poter contare sull'appoggio dell'esercito, decise di abbandonare la strada intrapresa per ripristinare un regime monarchico (assolutistico) di tipo greco-orientale → pretese titoli come quello di dominus ac deus e diede inizio alla trasformazione del principato nel dominato con conseguente opposizione dell'aristocrazia senatoria. ATTENZIONE DI DOMIZIANO VERSO L'ESERCITO... In politica estera Domiziano preferì mantenere stabili i confini dell'impero. L'esercito, di per sé, costituiva un grosso tarlo per la città di Roma: il soldo annuale dei militari passò da 225 a 300 denari. Per quanto riguarda l'affidamento di campagne estere impegnative, Domiziano sapeva su quali generali fidati poter contare -vedi Gneo Giulio Agricola e Marco Ulpio Traniano !!!- e quando sbagliò ad assegnare a qualcuno il comando di eserciti fu solo per fiducia mal riposta. 11.2: TRAIANO, L'OTTIMO PRINCIPE (98-117 d.C.) Marco Ulpio Nerva Traiano nacque il 18 settembre del 53 d.C a Italica, nella provincia di Betica. Era Spagnolo, anche se in realtà proveniva da un'antica famiglia di coloni di origine italica, e fu il primo uomo venuto dalle province dell'impero a governare Roma. Il padre riuscì a far carriera sotto la dinastia dei Flavi, e nel 78-80 d.C, ricoprì il ruolo di proconsole d'Asia. Fu proprio sotto il comando del padre che Traiano, come tribuno militare, ebbe modo di fare una lunga esperienza; dal 70 all'80 d.C, quindi dai diciassette ai ventisette anni, Traiano poté giovare degli insegnamenti paterni. La svolta per accedere ai gradi più alti della carriera, arrivò nell'89 d.C: a Mogontiacum -attuale Magonza- egli divenne comandante della legione VII Gemina e si prodigò per porre fine alla rivolta di Lucio Antonio Saturnino, governatore della provincia di Germania Superiore → all'epoca, l'imperatore Domiziano offrì il proprio sostegno a Traiano che nel 91 d.C. divenne console. Quando, nel 98 d.C. Nerva lo nominò come successore Traiano avrebbe dovuto scendere a Roma per ricevere l'investitura. Ma poiché si trovava impegnato in una missione, affidatagli da Nerva stesso, nella Germania Superiore, preferì rimanere sulla frontiera renana. Sino all'ottobre del 99 d.C. Traiano rimase nelle province renane e danubiane per sistemare i problemi sorte sulle frontiere; il nuovo imperatore sembrava non avere fretta di tornare a Roma. In realtà le scelte di Traiano erano frutto di realismo militare e politico: in quel momento la sua presenza era molto più richiesta in Germania, poiché egli doveva porre rimedio alle questioni militari rimaste aperte e alla preoccupazione per il Daci di Decebalo. Durante il regno di Domiziano, nell'89 d.C., era stata stretta un'alleanza con il re dei Daci. Tuttavia Decebalo non rispettò alcuna clausola di quel trattato di pace, anche perché egli stesso si rendeva conto dell'impossibilità di una pace duratura. La Dacia godeva di una posizione di potere ben superiore rispetto a qualsiasi altro regno alleato e addirittura stava assumendo la fisionomia di un potenziale pericolo per l'impero romano: era chiaro che Decebalo stesse stringendo alleanze con le popolazioni limitrofe allo scopo di dichiarare guerra ai romani. LE RAGIONI PER DICHIARARE GUERRA AI DACI Le motivazioni che spinsero Traiano alla guerra contro il re dei Daci furono molteplici: A) di carattere militare, strategico, politico ed economico. Le ricchezze della Dacia, tra miniere d'oro e d'argento, avrebbero permesso a Roma di superare le difficoltà economiche che stava affrontando; B) di carattere personale, la campagna dacica costituiva per il nuovo principe una ghiotta occasione per affermare il proprio successo militare, legittimazione ufficiale della propria autorità imperiale, là dove Domiziano aveva fallito gli anni precedenti. Decebalo aveva dimostrato di essere un pericolo costante, una continua spina nel fianco orientale dell'impero romano: egli era riuscito a consolidare un potente regno unitario e a divenire il punto di riferimento per tutte quelle popolazioni vicine che vedevano in lui un garante di libertà. La minaccia di una coalizione antiromana, con a capo il re dei Daci, indusse Traiano a intervenire con una tempestiva azione militare: la guerra era inevitabile per mantenere la sicurezza della frontiera danubiana. LE DUE GUERRE DACICHE (101-102 d.C. e 105-106 d.C.) Nella primavera del 101 d.C. Traiano dichiarò guerra ai Daci, con la motivazione basata sul non rispetto dell'accordo di pace stipulato tra Domiziano e Decebalo nell'89 d.C. L'imperatore riuscì a vincerli nel corso di due sanguinose guerre -101-102 d.C. e 105-106 d.C.- documentate dettagliatamente nei rilievi della Colonna Traiana. Traiano assediò Sarmizegetusa, la capitale del regno dacico, e dopo aver oltrepassato le sue mura la distrusse. Decebalo si diede alla fuga, ma dopo essere stato rinvenuto da un reparto della cavalleria romana si tolse la vita. L'11 agosto del 106 d.C. la seconda guerra dacica era finita, e la Dacia divenne provincia dell'impero. Nel 107 d.C. Traiano tornò a Roma con una fama di grande conquistatore. La vittoria sui Daci fu di grande importanza per l'impero, poiché consentì la sistemazione definitiva dell'area danubiana e contribuì alla stabilità delle finanze romane! Ne sono una prova le ingenti spese pubbliche effettuate gli anni successivi: Colonna Traiana, il Foro di Traiano, i mercati Traianei ecc LA POLITICA ESPANSIONISTICA DI TRAIANO La politica di Traiano fu quella di un ampliamento territoriale dell'impero, sulle orme delle azioni eseguite da Alessandro Magno. Le sue guerre espansionistiche furono dovute: alla gloria che egli voleva impartire al suo principato; all'urgente bisogno di manodopera servile, che scarseggiava; alla necessità di incamerare nuovi territori per la popolazione italica impoverita; alla necessità di introiti per fronteggiare la crisi economica. La prima tappa della politica espansionistica fu, come già visto, l'annessione della Dacia; la seconda tappa fu l'annessione pacifica dell'Arabia Petrea: vantaggiosa per il controllo che esercitava sulle vie carovaniere verso il Golfo Persico e per il traffico commerciale con l'Oriente. TRIANO: L'OPTIMUS PRINCEPS Traiano delineò le forme di un nuovo governo imperiale: governò in modo paternalistico e moderato, portando armonia a livell0 sia sociale che politico, e favorì il rispetto per le tradizioni e il senato→ nel 98 d.C., in seguito a un senatoconsulto (=deliberazione senatoria), fu nominato OPTIMUS PRINCEPS. Traiano adottò questo appellativo solo nel 114 d.C, dopo il ritorno dall'Armenia. Traiano è 'Ottimo' perché è migliore di tutti gli imperatori che l'hanno preceduto, non solo per via delle sue capacità militari, amministrative e politiche ma anche per le sue virtù morali. Optimus' era inteso come vero e proprio congnomen, che gli garantì un'influenza morale straordinaria e trasformò la figura dell'imperatore in un personaggio provvidenziale. Nacque un nuovo modello di monarchia assoluta che legittimò idealmente il connubio tra l'offensiva militare e la collaborazione col senato. Traiano metteva il suo immenso potere al servizio del bene comune, a discapito di arbìtri e violenze attuate dagli imperatori precedenti. TRATTI ASSOLUTISTICI DEL PRINCIPATO A partire dal 112 d.C, il principato mostrò tratti assolutistici: • il 'consiglio del principe' divenne il supremo foro decisionale, dove l'imperatore assumeva i senatori e i cavalieri più eminenti; • il senato perse gradualmente d'importanza, mai senatori e i cavalieri furono coinvolti nella burocrazia superiore; • il peso di senatori provinciali ed equites crebbe notevolmente; • l'amministrazione dell'apparato burocratico fece progressi, e assicurò una gestione competente degli affari statali tanto a Roma quanto nelle province. A partire dal regno di Traiano, scomparvero per sempre i plebiscita tradizionali e le leges. I primi furono sostituiti da formule legiferate solo dall'imperatore: le consuetudines, che contenevano: I. i mandata, ovvero le istruzioni di carattere amministrativo per i governatori e i funzionari provinciali; II. i rescripta, ovvero le risposte dell'imperatore ai quesiti posti da privati; III. le epistulae; ovvero le comunicazioni scritte, preparate da apposito ufficio e su richiesta di funzionari magistrati e giudici, con cui l'imperatore risolveva questioni incerte di diritto; IV. gli edicta, ovvero regole generali valide per tutti; V. i decreta, ovvero sentenze emanate dal princeps su controversie portare, in unica istanza, alla sua competenza. TRAIANO E I CRISTIANI Traiano eliminò l'attività delatoria (denuncia, anche anonima, all'autorità giudiziaria di un reato commesso e/o di un atto illecito di cui vi sia stata consumazione o anche solo il tentativo), sospese la lex maiestatis e mostrò tolleranza verso i cristiani: atteggiamento moderato nei confronti dei seguaci di questo credo. FONTE 11.2: Traiano non aveva un atteggiamento persecutorio verso i cristiani, anzi, gli dava la possibilità di sottrarsi alla pena semplicemente chiedendo loro di ammettere di non appartenere a quel determinato credo. Ciò che turbava il princeps non era, infatti, l'insurrezione di un'ideologia teologica piuttosto che un'altra, ma la caparbietà con cui i cristiani sostenevano il loro Dio anche a costo della vita. La loro perseveranza andava contro la forma mentis romana, era evasiva rispetto all'ideologia dominante e andava fermata Che informazioni ci fornisce la lettera di Gaio Plinio a Traiano? Che le persecuzioni contro i cristiani NON erano generalizzate, perché se tutti gli imperatori fossero stati realmente contrari al cristianesimo vi sarebbe stata una legislazione in merito. E Plinio, di conseguenza, non avrebbe avuto motivo di rifarsi al princeps per chiedere come comportarsi. Traiano non applicò il principio generale 'dura lex, sed lex', ma trattò specificatamente caso per caso se un cristiano rinveniva, e si pentiva affermando che l'unica forma ideologica ammessa era quella verso→ l'imperatore, era sottratto alla pena di morte. LE ISTITUZIONI ALIMNETARI E GLI ALIMENTA L'imperatore decise di continuare con la politica economica iniziata da Nerva, al fine di arrestare (o almeno placare) la crisi che colpiva la penisola italica, e fondò le istituzioni alimentarie -institutiones alimentariae-, ovvero un prestito a basso interesse per i piccoli proprietari terrieri. Traiano decise di utilizzare le rendite per opere assistenziali, come quelle destinate ai fanciulli italici poveri o orfani, degni di un'adeguata istruzione romana. Gli alimenta miravano a: 1)combattere la situazione di pauperismo -depressione economica estesa a larghi strati di popolazione- diffusa nei ceti più poveri della penisola; 2)infondere ai cittadini benestanti la via da percorrere, ovvero la cura di bambini e famiglie bisognosi/e. LE CAMPAGNA CONTRO I PARTI (114-117 d.C.) Traiano riprese i suoi progetti di espansione territoriale e, approfittando di contese dinastiche scatenatesi all'interno dell'impero nemico, intraprese una campagna contro i Parti negli anni dal 114 al 117 d.C. A cominciare dalla disfatta di Crasso a Carre, ed esclusa la pace di Augusto nel 20 a.C., i rapporti tra Partia e Roma non furono mai dei migliori: entrambe le città si contendevano l'Armenia -Stato strategico per la sua posizione di crocevia per l'Oriente e di cuscinetto contro le invasioni- ed entrambe vedevano nell'altra una popolazione barbara incapace di gestire l'estensione territoriale e i problemi sociali. La guerra contro i Parti, iniziata con l'occupazione dell'Armenia e articolatasi in 4 spedizioni diverse, si concluse con: annessione dell'Armenia;→ annessione della Mesopotamia;→ annessione, a est del fiume Tigri, dell'Assiria.→ L'impero romano, sotto la guida di Traiano, raggiunse la sua massima espansione territoriale! E sulle orme di Alessandro Magno Traiano vagheggiava di voler avanzare verso l'India, ma una serie di rivolte antiromane (da parte delle popolazione orientali, appena sottomesse, e da parte delle comunità giudaiche, reduci dalla diaspora) lo costrinsero a tornare in Occidente. Nel viaggio di ritorno si ammalò e l'8 agosto del 117 d.C morì a Selinunte, in Cilicia (regione di transito tra l'Armenia e la Siria, nella zona sud-orientale dell'Asia Minore). 11.3: ADRIANO (117-138 d.C.) Publio Elio Adriano, proveniente come Traiano dall'aristocrazia spagnola -era infatti nato ad Italica- fu adottato da questi e designato come successore→ successione contestata da alcuni circoli senatori che Adriano, a un anno dall'ascesa al trono, non tardò a punire. Per tenersi il più direttamente possibile in contatto con i problemi delle province, Adriano viaggiò molto; era accompagnato dalla corte, dal consiglio imperiale e dai più importanti funzionari, e non smetteva mai di governare attivamente e di prendere decisioni nei diversi ambiti e/o nelle cause che gli venivano proposte. Si assentò da Roma per circa 12 anni, viaggiò sia in Oriente che in Occidente, e si fermò a lungo ad Atene (visitata per la prima volta nell'autunno del 124 d.C.). Durante uno dei suoi viaggi in Egitto, nel 130 d.C, Adriano fu colpito da una tragedia che lo segnò profondamente: la morte del suo amante Antinoo, un giovinetto greco originario della Bitinia, che trovò la morte nelle acque del Nilo. In onore della perdita subita, Adriano istituì una città in Egitto: Antinopoli. 11.5: MARCO AURELIO (161-180 d.C.) Nato nel 121 d.C. a Roma da Marco Annio Vero e Domizia Lucilla, Marco Aurelio fu adottato e cresciuto dal nonno paterno in seguito alla morte del padre. Fu un filosofo stoico che incarnava l'ideale del saggio governo, secondo i precetti di questa scuola di pensiero, e per via delle sue qualità fu notato e scelto come successore dall'imperatore Adriano. Adriano scelse però anche Lucio Vero come successore → DIARCHIA (esercizio del potere da parte di due persone o di due organi dotati di pari autorità). Inizio dei primi sintomi di crisi che avrebbero minato l'imper romano. DIFESA DEI CONFINI E CAMPAGNA DI LUCIO VERO CONTRO I PARTI (161-166 d.C.) I parti premevano ancora nei confini orientali, e una confederazione di tribù germaniche e sarmatiche -formate da Quadi, Marcomanni e Iagizi- dal Nord minacciava il limes danubiano. Iniziava per Roma il problema della difesa dei confini dalle tribù dell'Europa settentrionale l 'attenzione dei→ due princpes si volse al fronte persiano dei Parti: essi dovettero fronteggiare la minaccia dell'invasione partica nei confini orientali (in un'ottica diversa da quella che spingeva Traiano alla conquista di territori esteri). Lucio Vero condusse una campagna in Oriente, dal 161 al 166 d.C., che si concluse con il rinnovo del controllo romano sull'Armenia. Tuttavia i festeggiamenti furono interrotti a causa di un'epidemia di peste che colpì l'intero mondo mediterraneo, causando morti e paura. La peste durò vent'anni, e causò: 1)ingenti perdite demografiche, almeno 2 mln di persone persero la vita; 2)peggioramento economico, per via dell'insicurezza e dei mancati scambi/traffici commerciali nell'impero. Chi approfittò della situazione labile degli eserciti romani posti sul fronte Orientale, furono Marcomanni e Quadi che nel 167 d.C. si spinsero a sud ed entrarono nell'Italia nord-orientale bruciando la città di Opitergium -attuale Oderzo- e assediando Aquileia → per la prima volta, dopo le guerre puniche, l'impero romano fu minacciato da un nemico esterno. MISURE PER FRONTEGGIARE LA CRISI La guerra iniziò sotto cattivi auspici -peste, mancanza di risorse, entrata in scena di nuove popolazioni quali i Longobardi, devastazione del bacino danubiano ecc- e fu Marco Aurelio a doversi occupare della ripresa economica dell'impero. Egli per fronteggiare la crisi senza imporre nuove tasse mise all'asta il proprio tesoro personale e si ritrovò costretto a reclutare prigionieri, delinquenti, gladiatori e schiavi liberati. E poi: vennero mobilitati corpi di polizia di stampo ellenistico -i diogmitai-, nuove legioni furono dislocate sul confine danubiano, la Dacia e la Mesia Superiore furono unite sotto un unico governatore, venne creata la praetentura Italiae et Alpium (distretto militare, ovvero insieme di fortificazioni, opere di difesa e legioni, a protezione delle Alpi). Le popolazioni barbare tra il Reno e il Mar Nero erano in fermento: le popolazioni sarmate centroeuropee e i popoli germanici attaccarono i confini orientali e, nel frattempo, i Daci Costoboci invasero la Mesia Inferiore e la Tracia →barbari vennero sconfitti, e ricacciati oltre il limes danubiano settentrionale. Nel 169 d.C., alle porte di Altino (VE), Lucio Vero fu colpito da un ictus e morì. LA PRIMA GUERRA MARCOMANNICA (tra romani e barabari) NEL 175 d.C. Fu lo stesso Marco Aurelio a condurre le battaglie contro i barbari, stabilendo il proprio centro id comando a Sirmio -città della Pannonia Inferiore, sul Danubio centrale. La guerra fu durissima e non mancarono i fallimenti romani che permisero, per più volte, ai barbari di invadere l'Italia; nel 175 d.C. si combatterono le battaglie decisive che portarono alla vittoria dei romani. I successi di Marco Aurelio vennero immortalati nella Colonna Antonina, monumento realizzato nel Campo Marzio su ispirazione della Colonna Traiana. Le condizioni di pace furono durissime: A) i romani obbligarono i vinti ad evacuare una stretta fascia di terra lungo il confine, permettendo loro di frequentare fori e mercati di frontiera in cambio di truppe ausiliare da fornire a Roma; B) alcuni prigionieri vennero trasferiti nel territorio romano come coloni, per coltivare le terre e fornire prestazioni militari ove necessario. Le intenzioni di Marco Aurelio, di annettere a Roma l'intero territorio dei Sarmati europei e delle tribù germaniche di Marcomanni e Quadi spostando il confine dell'impero verso i Carpazi, fallirono a causa di una ribellione dell'esercito orientale guidata dal governatore della Siria (Asia Minore) Gaio Avidio Cassio. Quest'ultimo cadde in un agguato e venne ucciso; la sua testa fu inviata all'imperatore, come dimostrazione della morte del nemico. Marco Aurelio decise di concedere al nemico le onoranze funebri dovute, così come fece Cesare quando gli venne consegnata la testa di Pompeo da Tolomeo XIII. Per alleviare la tensione esercitata sui confini dalle popolazioni germaniche il princpes concesse loro di infiltrarsi all'interno del limes, nei terreni incolti. Questa situazione sfociò in uno stato d'ansia generale che ricadde, tra le altre cose, anche sui cristiani! In campo amministrativo, forse a causa delle gravose spese militari dovute alle necessità belliche del momento, l'imperatore limitò in modo significativo le uscite (anche quelle del cerimoniale di corte). LA SECONDA GUERRA MARCOMANNICA (177 d.C.) Roma aveva vinto la prima guerra Marcomannica, ma non aveva risolto le cause della crisi e permanevano le minacce dei popoli transdanubiani. Nel 177 d.C Quadi e Marcomanni si ribellarono nuovamente e Marco Aurelio, assieme al figlio Commodo, fu costretto a ritirarsi sul confine danubiano. Nell'inverno tra il 179 e il 180 d.C. l'esercito romano occupò il territorio dei Quadi, ma l'imperatore non riuscì a portare a termine la campagna militare poiché morì nel 180 d.C. a Vindabona -odierna Vienna. Contrariamente al principio di successione, Marco Antonio nominò come suo successore il figlio Commodo! Sebbene Marco Aurelio sia ricordato dalla storia per il suo animo nobile, per la sua cultura, il suo coraggio e il suo senso di responsabilità, sotto il suo regno una serie di eventi segnarono l'inizio dell'ampia crisi che avrebbe toccato i vertici amministrativi, politici ed economici dell'impero, e che non avrebbe potuto essere né prevista né gestita. 11.6: COMMODO (180-192 d.C.) La scelta di Marco Aurelio delineò la fine dell'adozione per la successione al trono crisi di Stato→ accentuata. Commodo aveva appena 19 anni quando divenne imperatore, e non possedeva le qualità di un capo politico: era pigro e debole di carattere, e il suo principato sembrò ripetere gli eccessi che caratterizzarono Caligola e Nerone. Chi ne risentì maggiormente furono: • il vincolo di consenso che, dall'età traianea, legava l'imperatore alla nobiltà senatoria; • l'auctoritas imperiale. Commodo diede vita ad un governo di tipo monarchico-assolutistico; lasciò il potere e l'amministrazione dello Stato in mano ai suoi favoriti -persone della peggiore qualità- per abbandonarsi ai piaceri della vita, agli spettacoli di gladiatori e alle corse di cavalli. L'imperatore si accattivava la simpatia della plebe con continue donazioni, giochi e spettacoli, e proseguì verso un'opera di divinizzazione della propria persona: non solo andava in giro vestito da Ercole, ma si faceva chiamare 'Commodo-Ercole' e si faceva erigere statue che lo ritraevano nei panni di un dio. Questi atteggiamenti gli inimicarono l'aristocrazia senatoria e gli ambienti altolocati delle province, i quali non mancarono occasioni per mostrare la loro ostilità al princeps. Tuttavia egli proseguì verso i propri ideali e, per porre fine alle rivalità all'interno dell'Urbe, ricorse allo strumento della delazione e si macchiò di atroci crimini nei confronti dei membri dei ceti superiori. Numerose congiure nacquero contro l'imperatore, alcune addirittura parvero organizzate dai suoi familiari (vedi la sorella Lucilla, uccisa perché considerata colpevole), e nel 192 d.C. Commodo rimase ucciso. Considerato nemico pubblico dal senato, ne venne decretata la cancellazione dalla momoria -damnatio memoriae-. Era la fine della dinastia Antonina e l'inizio della monarchia militare 11.7: LUCI E OMBRE DELL'ETA' FLAVIA-ANTONINA E IL CONCETTO DI ROMANITAS L'età dei Flavi e egli Antonini fu un'epoca di pace e stabilità, priva di importanti acquisizioni territoriali -se si esclude la Dacia di Traiano- in cui però erano già visibili i segni della crisi che sarebbe scoppiata nel III sec. d.C.→ problema agrario d'Italia, diminuzione degli schiavi e della loro produttività, pauperizzazione di strati di popolazione italica e provinciale, concentrazione delle ricchezze nelle mani di pochi ed esaurimento delle risorse militari. Tuttavia, almeno in apparenza, l'aspetto dell'impero romano era quello di un complesso coeso e compatto, costituito da una maggioranza di cittadini romani che, sebbene provinciali, parlavano latino avevano nomi romani e vivevano more romano. Dalle coste nord-occidentali dell'Africa sino alle foci del Danubio ci si riconosceva nel concetto di Romanitas. 12: VERSO UNA NUOVA GUERRA CIVILE L'impero romano aveva raggiunto il suo apogeo nel II sec. d.C., con la politica degli Antonini che mirava al mantenimento della pace e della prosperità interna e che aveva favorito lo sviluppo di commerci, edilizia e arte. Sembrava che lo Stato universale in cui dovevano identificarsi tutti i popoli si stesse realizzando. Tuttavia, erano insiti diversi problemi sociali ed economici: A)le spese militari che Marco Aurelio attuò per sconfiggere le continue pressioni delle tribù germaniche, furono più ingenti del previsto e, contro la sua volontà, egli dovette inasprire la pressione fiscale; B) le classi più basse della società praticamente non avevano ricevuto alcun beneficio di crescita economica, il benessere aveva infatti interessato solo le classi medio-alte. Ciò creò un equilibrio precario che l'organizzazione economica dell'impero non era in grado di stabilizzare poiché mancavano le risorse di lavoro e le condizioni più agiate per i ceti medio-bassi. Con Commodo la crisi divenne sempre più evidente→ venne meno la collaborazione tra senato e imperatore, e le continue rivolte degli eserciti provinciali dimostrarono come le redini dell'impero fossero rette 'sulla punta delle spade'. Alla morte dell'imperatore, il senato ne condannò la memoria e affidò il trono al generale Publio Elvio Pertinace: un uomo anziano -di 67 anni ca- ma con lunga esperienza militare. Il suo regno fu breve poiché, nel tentativo di risanare le finanze dello Stato -prosciugate dalle spese folli di Commodo- e di limitare il potere assunto dai pretoriani, fu ucciso da alcuni nel giro di ottantasette giorni. IL TRONO IMPERIALE ALL'ASTA La guardia pretoriana, oramai padrona di Roma, decise di mettere il trono imperiale all'asta. La scelta dei pretori ricadde sul senatore Marco Didio Giuliano, che promise il compenso di più di 6000 denari per ognuno di essi. La crisi del potere centrale ricadde anche nelle province, e nel 193 d.C. gli eserciti di Britannia, Siria e Pannonia nominarono imperatori rispettivamente i governatori Clodio Albino, Gaio Pescennio Nigro e Lucio Settimio Severo. Fu la guerra civile a permettere la risoluzione del problema della successione imperiale e a mettere in luce il ruolo svolto dalle truppe legionarie -che, se affiancate dai generali, erano in grado di intervenire politicamente. SETTIMIO SEVERO PREVALE SUI RIVALI Il primo che giunse a Roma fu Lucio Settimio Severo; egli in seguito all'uccisione di Didio Giuliano (avvenuta dopo soli due mesi di potere), ricevette la porpora imperiale: • era intenzionato a continuare la politica di restaurazione e risanamento sociale perseguita da Pertinace; • punì la guardia pretoria, responsabile dell'uccisione del senatore -e successore al trono- Pertinace, • sciolse la guardia pretoria, affidando i suoi ranghi a una guarnigione numerosa di militari provinciali. NB: ciò non significava che la società del principato fosse perfetta! Vi erano molte persone insoddisfatte, e molte erano le oppressioni e le ingustizie. L'esercito siriaco, allora in fermento per l'umiliazione subita con i Parti, decise di proclamare un nuovo imperatore fu Giulia Mesa→ , sorella di Giulia Domna che si suicidò in seguito alla morte di Caracalla, a proporre come erede al trono il nipote Sesto Vario avito Bassiano (era il figlio di Giulia Soemia, una delle sue due figlie). Costui fu acclamato con il nome di Marco Aurelio Antonino,ma dopo soli 14 mesi di regno, nel 218 d.C. venne sconfitto e ucciso. ELAGABALO (218-222 d.C.) Il nuovo imperatore salì al trono nel 218 d.C. facendosi chiamare Elagabalo, come il dio del sole siriano -El abal- che tanto gli era caro. Era un sovrano troppo giovane e inesperto per guidare un impero già in crisi, e a ciò si univano i problemi di natura paranoica/psicologica che lo perseguitavano. Elegabalo divenne un sacerdote del dio del sole, e fece innescare questo culto orientale anche a Roma: effettuava le pratiche crudeli e stravaganti, e dissipava le casse dello stato con i suoi comportamenti privati: fece costruire un tempio in onore del dio El-Gabal sul Palatino (vicino al palazzo imperiale). Fu la nonna Giulia Mesa a convincere Elagabalo ad adottare il cugino Bassiano Alessiano e a nominarlo Cesare, con il nome di Marco Aurelio Alessandro. Nel 222 d.C. Elegabalo venne ucciso, insieme alla madre Giulia Soemia, da una congiura ordita dai pretoriani. ALESSANDRO SEVERO (222-235 d.C.) Quando salì al trono Alessandro Severo aveva solo 14 anni, ma possedeva una solida cultura ed era stato educato ai valori tradizionali di Roma e ai principi tradizionali augustei. Guidato dalla madre Giulia Mamea, l'imperatore abolì il culto del dio sole e ripristinò il prestigio dell'aristocrazia senatoria che fu riammessa a collaborare col governo la grave crisi finanziaria costrinse→ Alessandro Severo a: 1)diminuire il soldo ai militari; 2)aumentare le imposte dirette. Ciò gli mise contro sia gli eserciti, il cui guadagno si era visto diminuire, sia i contadini, costretti a sopportare tassazioni sempre maggiori. I soldati cominciarono presto a ribellarsi e nel 228 d.C. i pretoriani uccisero il prefetto del pretorio, malgrado l'opposizione dell'imperatore. Comparvero minacce ai confini dell'impero: ➢ da una parte, in Persia, il re dei Parti fu vinto e ucciso dal persiano Ardashir -mirava a sottrarre le province orientali ai romani- che divenne il primo re della dinastia Sasanide; ➢ dall'altra parte, a nord, sulle sponde settentrionali del Mar Nero, comparve la formazione etnico- politica dei Goti. UCCISIONE DI ALESSANDRO SEVERO PER OPERA DELLE TRUPPE PANNONICHE (235 d.C.) Nel 234 d.C. Alessandro Severo attuò una spedizione ai confini orientali dell'impero, per sedare gli animi agguerriti dei Persiani; tuttavia i risultati non furono brillanti. L'anno successivo egli accorse sul limes renano, minacciato dalle popolazioni germaniche. L'incertezza dimostrata in queste spedizioni, unita all'attitudine di 'comprarsi' la pace con i popoli nemici, contribuirono ad incrementare il dissenso dei soldati. Nel marzo del 235 d.C. le truppe pannoniche a Magonza uccisero Alessandro Severo, insieme alla madre, e nominarono imperatore il loro comandante Giulio Vero Massimino (originario della Tracia). Con Alessandro Severo terminò la dinastia dei Severi, e da quel momento in poi avrebbero governato solo ufficiali dell'esercito -gli unici in grado di sostenere le pressioni esterne e di garantirsi l'appoggio dei soldati → ANARCHIA MILITARE, che accompagnò l'impero romano per tutto il III secolo d.C. 13: DA MASSIMINO IL TRACE A VALERIANO ANARCHIA MILITARE → è il periodo compreso tra la morte di Alessandro Severo (235 d.C.) e l'ascesa al trono di Diocleziano (284 d.C.), in cui si succedettero 28 imperatori-soldati: si trattava di uomini di scarso prestigio politico e morale, esperti solo nell'arte della guerra. I loro interessi erano basati sulle esigenze degli eserciti provinciali da cui erano sostenti, o su quelli dell'ambiente in prossimità del limes da cui provenivano. Tutti vennero destituiti con estrema facilità, e spesso in maniera violenta. I BARBARI AI CONFINI DELL'IMPERO L'esercito all'inizio del III sec. d.C. continuava ad assolvere un ruolo decisivo, a causa delle continue pressioni da parte di popolazioni nordiche e dell'Europa centrale. Nel III sec. infatti molti furono i cambiamenti che interessarono le popolazioni barbariche occidentali: ➢ alcune etnie scomparvero, sostituite da altre più stabili e potenti, e che minacciavano i romani; ➢ minacciosi erano anche i Celti di Scozia e i Sasanidi persiani d'Oriente; ➢ nello spazio renano vi erano i Franchi, gli Alemanni, i Suebi, i Burgundi e i Sassoni,in quello danubiano si insediarono i popoli germanici di Vandali e Gepidi, a est dei Carpazi -nelle pianure Ucraine- i Goti (nuovi nemici romani, dal 3 sec. in poi). Il sistema difensivo delle frontiere -il limes- mostrò in questo frangente tutta la sua debolezza. MASSIMINO IL TRACE (235-238 d.C.) Il nuovo imperatore, Massimino detto il Trace, era un soldato da poco asceso all'ordine equestre che il senato, impaurito, riconobbe senza esitazione. Si dedicò subito a quelle battaglie che Alessandro Severo aveva trascurato e, mettendo in luce la forza dell'esercito romano e dei nuovi membri provinciali acquisiti -Traci, Pannoni, Illiri-, riuscì a vincere le tribù germaniche renane e i Sarmati. Esclusi i successi militari, Massimino venne ricordato per le ingenti spese sostenute per le campagne belliche, per gli abusi e per le brutalità che era solito compiere razziando templi, municipi e ricchezze di aristocratici/grandi proprietari terrieri. Diversi focolai scoppiarono nell'impero, e nel 238 d.C. in Africa, i grandi proprietari terrieri proclamarono imperatori il proconsole d'Africa Giordano I, e l'omonimo figlio Giordano II. Entrambi ottennero il sostegno del senato che, brevemente, depose Massimino. IL BREVE REGNO DEI DUE GIORDANI (238 d.C.) Il regno dei due Giordani durò appena 20 giorni: il legato della Numidia -Capelliano- non che fedele di Massimino, marciò contro Giordano II che morì in battaglia. Il padre, venuto a conoscenza della morte del figlio, si uccise. Nella primavera del 238 d.C. Massimino marciò con l'esercito danubiano, insieme al figlio Massimo, dalla Pannonia verso l'Italia; tuttavia l'esercito si ribellò all'altezza di Aquileia (Friuli) ed uccise l'imperatore e il figlio. Pochi mesi dopo, nel giugno del 238 d.C. vennero uccisi anche Pupieno e Balbino. GIORDANO III (238-244 d.C.) Il potere a Roma passò nelle mani di Giordano III -nipote di Giordano I- uomo di grande popolarità, apprezzato dal senato e riconosciuto dall'esercito. Essendo appena un tredicenne, Giordano III fu guidato dal suocero Timesiteo, prefetto del pretorio che seppe conciliare senato ed esercito. Nel 240 d.C. l'imperatore combatté contro le tribù germaniche renane e dovette affrontare gli assalti dei Goti, nella valle del Danubio, rendendoli stipendiarii -tributi- dello Stato romano. Nel 242 d.C. condusse una grande spedizione militare contro i Persiani e, dopo le iniziali vittorie, agli inizi del 244 d.C morì in battaglia vicino all'attuale Baghdad. FILIPPO L'ARABO (244-249 d.C) Morto Giordano III, nel 244 d.C, l'esercito acclamò imperatore il prefetto del pretorio (successo a Timesiteo) Filippo detto l'arabo → cavaliere discendente dall'aristocrazia araba-romanizzata. Durante il suo regno improntò i rapporti col senato nella maniera più corretta possibile, tuttavia riscontrò difficoltà con diversi usurpatori disposti nell'impero. Quale soluzione adottò allora il senato? Il senato cercò di imporre il ritorno al principato elettivo, scegliendo 20 senatori cui affidare il potere esecutivo ed eleggendo tra questi due imperatori Marco Clodio Pupieno Massimo e Decimo Celio Calvino Balbino.→ Chiusa rapidamente la questione dei Persiani, Filippo l'Arabo si dedicò alla protezione del fronte danubiano: sia il corso medio del Danubio, sia il corso basso del Danubio, erano spesso oggetto di attacchi barbarici. Egli riorganizzò la difesa rafforzando l'esercito e la cavalleria, e disponendole entrambe nella Pannonia sud-orientale (soluzione efficace!!!). Tra il 247 e il 248 d.C. Filippo vinse i Carpi, invasori della Dacia, e i Goti, loro alleati. Per respingere i nemici l'imperatore fece stanziare un'ingente somma di denaro da parte dell'esercito romano posizionato in Mesia; questo si ribellò. Filippo decise allora di mandare contro l'esercito il generale Decio, che inaspettatamente fu proclamato imperatore. Nel 249 d.C. Decio si diresse verso l'Italia e sconfisse Filippo l'arabo nella battaglia di Verona. DECIO (249-251 d.C.) Era figlio di poveri contadini, un soldato originario della Pannonia. Il regno di Decio fu breve, durò solo 2 anni, ma in quegli anni egli ripristinò il prestigio del senato e delle tradizioni romane, e diede il via alla grande persecuzione dei cristiani -visti come reale pericolo per lo Stato. Il problema per Decio rimase la difesa dei confini danubiani: • nel 249 d.C. i Goti invasero nuovamente la valle del basso Danubio; • nel 251 d.C. i Goti, sconfitti da Decio nel 250 d.C, si ripresentarono. Decio fu il primo imperatore romano a morire contro i barbari →perse la vita nel 251 d.C, combattendo i Goti in Mesia Inferiore. TREBONIANO GALLO (251-253 d.C.) Treboniano Gallo era il governatore della Mesia Inferiore al momento della morte di Filippo l'arabo e, nonostante per alcuni fosse responsabile della morte di Decio, fu proclamato imperatore dall'esercito provinciale nel 251 d.C. La pace conclusa da Treboriano Gallo coi Goti fu vergognosa: egli permise loro di andarsene ricchi di bottini e prigionieri, e si impegnò per versargli uno stipendio annuo. E nonostante ciò, i Goti rimasero minacciosi a ridosso dei confini dell'impero! Nel 253 d.C. i Goti attaccarono nuovamente l'impero, ma furono fermati e sconfitti dal nuovo governatore della Mesia Inferiore -Marco Emilio Emiliano- che fu immediatamente nominato imperatore. EMILIANO (253 d.C.) Emiliano appena nominato imperatore mosse un esercito contro Treboriano Gallo, e nell'agosto del 253 d.C sconfisse e uccise Treboriano. Tuttavia contro Emiliano si mosse anche Publio Licinio Valeriano, comandante delle truppe della Rezia e nuovo imperatore secondo l'esercito. Dopo soli 3 mesi di regno, Emiliano fu ucciso dai suoi soldati, prima ancora che Valeriano potesse giungere a Roma. VALERIANO (253-260 d.C.) Giunto a Roma, Valeriano fu ufficialmente nominato imperatore nel 253 d.C. egli perseguì una politica tradizionalista e senatoria, e attuò una divisione di compiti nel governo→ si associò al figlio Gallieno e gli affidò la direzione dell'Occidente. La pressione dei barbari germanici e persiani non accennava a diminuire, e i Goti avevano attaccato l'Asia Minore. Da Antiochia Valeriano marciò in aiuto dell'Asia Minore, ma fu bloccato dalla peste che stava infuriando. Poiché dal 256 d.C. gli attacchi dei Goti divennero costanti, sia via terra che via mare, gli storici parlano di GUERRA SCITICA: durata 15 anni, fu l'inizio di un periodo di invasioni nel bacino del Mar Nero, nell'area balcanica e nell'Asia Minore. Nel periodo dal 259-260 d.C. i Persiani occuparono Antiochia e invasero la Siria. Nel 272 d.C Palmira capitolò, cadde nel 273 d.C. in seguito a lotte interne, e Zenobia fu fatta prigioniera. Ebbe così fine l'impero autonomo sorto in Oriente, alias lo stato palmiro di Zenobia. FINE DELL'IMPERO AUTONOMO DELLE GALLIE (di Postumo) Dopo l'Oriente era necessario riconquistare l'impero autonomo delle Gallie, in quel momento in mano al regnante Gaio Pio Esuvio Tetrico. Quest'ultimo all'arrivo di Aureliano nel 273 d.C. si arrese e passò dalla sua parte. L'opera di Aureliano gli valse il soprannome restitutor orbis, ossia restauratore dell'unità del mondo. Almeno apparentemente il regno era ricomposto e l'ordine ripristinato. Nel 275 d.C. Aureliano cadde vittima di un complotto ordito dai suoi funzionari, per una vendetta privata, nei pressi di Bisanzio. Il regno divenne dominato, assunse le caratteristiche del dominatus: perse di importanza il senato sostituito dagli eserciti e da un apparato amministrativo militare. MARCO AURELIO TACITO (275-276 d.C.) Alla morte di Aureliano successe il vecchio senatore Marco Aurelio Tacito, che regnò per soli 6 mesi perché poi venne ucciso dai soldati in Asia Minore mentre respingeva gli attacchi dei Goti. FLORIANO (276 d.C.) Successe a Tacito il fratello/fratellastro, prefetto del pretorio, ucciso a Tarso dai soldati dopo 2 mesi di regno. PROBO (276-282 d.C.) Venne poi la volta di Marco Aurelio Probo, amico di Aureliano. Egli combatté contro i barbari e restituì al controllo romano il territorio compreso tra Reno e Danubio. Inoltre terminò la cinta muraria attorno a Roma e concluse una pace vantaggiosa coi Sasanidi. Nel 282 d.C. Probo venne ucciso dai soldati, stanchi degli irrigidimenti militari. Nel 284 d.C. rimase unico imperatore Diocleziano. 14: DIOCLEZIANO E LA PRIMA TETRARCHIA (284 d.C.) Nel novembre del 284 d.C. a Nicomedia (Asia Minore) Diocleziano fu nominato imperatore dalle truppe. La invasioni barbariche e persiane e il rischio di una ribellione interna spinsero Diocleziano a prendere coscienza del fatto che un solo uomo non sarebbe stato sufficiente per governare l'impero romano decise di→ associare alla guida dello Stato il fidato generale Massimiano, e divise l'impero in due parti fondamentali: IMPERO D'ORIENTE E D'OCCIDENTE, affidando quest'ultimo all'amico Massimiano. Per risolvere il problema della successione Diocleziano affermò che: A Massimiano e Diocleziano -i due Augusti- si sarebbero affiancati, in posizione subordinata, due collaboratori -i due Cesari. Dopo 20 anni i due Cesari avrebbero succeduto i due Augusti, ma solo dopo aver scelto a loro volta due Cesari che li avrebbero succediti negli anni successivi. Ad esempio: • in Occidente, insieme a Massimiano (Augusto), venne nominato Costanzo Cloro (Cesare); • in Oriente, insieme a Diocleziano (Augusto), venne nominato Gaio Galerio (Cesare). Con questa riforma si istituiva nel 293 d.C. la tetrarchia: un comando a quattro. L'ORGANIZZAZIONE DELLA TETRARCHIA (293 d.C.) Ogni tetrarca risiedeva in città diverse, poste in aree lontane tra loro, così d'avere un controllo totale sull'impero e ognuno di essi governava una prefettura diversa. Le prefetture vennero divise in 12 diocesi, rette da vicari imperiali. Il suo prestigio fu tale da far si che, alla sua morte, gli eserciti non nominassero un successore ma chiedessero al senato di portare a termine tale compito. Questo però, d'altra parte, mise in luce il ruolo del senato: subordinato agli eserciti e all'apparato militare Le 12 diocesi vennero poi suddivise in 96 province, molto più piccole rispetto a quelle sorte negli anni precedenti. ➢ Diocleziano dirigeva la prefettura d'Oriente, con capitale Nicomedia (Bitinia); ➢ Massimiano dirigeva la prefettura d'Italia e Africa + Dalmazia e bacino danubiano inferiore, con capitale Mediolanum (Milano, Italia); ➢ Galerio dirigeva la prefettura dell'Illirico, ossia penisola balcanica, con capitale Sirmio; ➢ Costanzo Cloro dirigeva la prefettura d'Occidente, con capitale Treviri (territorio renano). Ogni tetrarca aveva giurisdizione sull'area geografica di sua competenza. Tutti e quattro poi: 1)avevano un proprio palazzo di rappresentanza; 2)disponevano di un apparato amministrativo considerevole; 3)guidavano i loro eserciti. L'impero romano non perse la sua unità politica, mantenuta salda grazie alla personalità di Diocleziano, e le decisioni più importanti -leggi e linee guida della politica generale- erano prese da tutti e quattro i tetrarchi di comune accordo. La tetrarchia serviva per rendere più razionali i compiti di governo di un territorio troppo vasto, ma non ridimensionava il potere assoluto di cui Diocleziano disponeva lo si capiva anche dagli abiti lussuosi→ che indossava, dagli sfarzosi palazzi in cui abitava,e dal cerimoniale/apparato di corte che lo circondava. Con Diocleziano la figura istituzionale dell'imperatore subì un'evoluzione in senso autocratico, e ciò comportò il passaggio dalla forma di governo del principato a quella del DOMINATO (forma di governo caratterizzata dal dispotismo: l'imperatore poteva disporre dell'Impero come fosse una proprietà privata, come fosse un padrone/signore -un dominus). Egli re-introdduse la pratica della proskynesis -forma di prostrazione dinnanzi ad una persona di rango sociale più elevato- e assunse il titolo di dominus: Diocleziano e Massimiano vennero considerati come divinità viventi, e assunsero gli epiteti di Iovus e Herculius → il dominato assunse i caratteri di una sorta di teocrazia. L'APPARATO STATALE DEL NUOVO REGIME L'apparato statale era complesso:tutta l'amministrazione fu riorganizzata e accresciuta, la burocrazia imperiale fu strutturata, la distinzione tra cariche senatorie ed equestri scomparve, le funzioni amministrative regionali e centrali vennero differenziate ecc. Furono separate le competenze militari e civili → ogni provincia aveva 2 governatori: ✔ un praese, funzionario con competenze civili e giuridiche; ✔ un dux, comandante militare. RIFORME DELL'ESERCITO Diocleziano introdusse riforme basilari per l'esercito: I. il numero dei soldati crebbe notevolmente, sino a 500.000 uomini, così come quello delle unità militari, che divennero più piccole, mobili, e incrementate da barbari; II. gran parte dell'esercito fu stanziato ai confini dell'impero, con guarnigioni fisse di soldati coloni. Erano i comitatus, che assicuravano un servizio di guardia in caso di assalti improvvisi, ma che non venivano impiegate nelle campagne militari ; III. fu istituito un reparto mobile a disposizione dell'imperatore -il comitatus- per intervenire a sostegno delle guarnigioni; IV. furono istituite delle piccole fortezze chiamate quadriburgia, per sorvegliare i confini. RIFORMA NEL SISTEMA TRIBUTARIO E AMMINISTRATIVO Il sistema tributario romano era molto differenziato: vi erano territori, come l'Italia, che non pagavano imposte dirette, altri che pagavano in denaro e altre, come l'Egitto e l'Africa che pagavano in grano. Diocleziano unificò il sistema e stabilì che tutta la popolazione dell'impero fosse sottoposta alla tasse di: • IUGUM, imposta sulla proprietà fondiaria che variava da una località all'altra in base all'estensione e alla qualità del terreno/della cultura praticata; • CAPUT, imposta che gravava sulle attività non agricole. A ogni lavoratore veniva assegnata un'unità territoriale minima, su cui gravava l'imposta, e ogni diocesi doveva versare un'imposta in base al numero di coloni che l'abitavano. Venne anche istituito un catasto, ovvero un censimento di terreni e degli individui. Dal punto di vista amministrativo, la riforma fu completata dal principio di responsabilità collettiva delle diocesi → le autorità territoriali obbligavano i coloni residenti a lavorare le terre incolte, per raggiungere l'importo assegnato, e i lavoratori restavano vincolati per tutta la vita alla terra, secondo il criterio per cui l'unità fiscale coincideva con quella lavorativa. L'EDITTO SUI PREZZI (301 d.C.) Per combattere l'aumento dei prezzi, nel 301 d.C. Diocleziano emanò l'Edictum de pretiis -editto sui prezzi- che fissava i costi dei generi di consumo e dei prodotti artigianali. L'editto non ebbe l'effetto sperato, anzi, paralizzò l'economia e fu abrogato poco dopo. POLITICA ESTERA DI DIOCLEZIANO E MASSIMIANO DIOCLEZIANO: dal 285 al 287 d.C. combatté con successo sul Danubio, nel 287 d.C. intraprese una prima spedizione contro i Persiani e nel 296-298 d.C ne intraprese una seconda, che permise di riconquistare la Mesopotamia e riannetterla alle regioni al di là del fiume Tigri. MASSIMIANO: dedicò la propria attenzione all'Occidente, infliggendo sconfitte al movimento dei vagabondi celtici che ancora perseverava in Hispania e Gallia. DIOCLEZIANO E LA VIOLENTA PERSECUZIONE CONTRO I CRISTIANI (303-311 d.C.) Il regime tetrarchico impose una disciplina sociale rigida e, per questo, ogni forma di deviazione o resistenza era vista come crimine politico. Il cristianesimo, in questo senso, era una forma di dissenso e come tale doveva essere abolito. Il 23 febbraio del 303 d.C. Diocleziano emanò a Nicomedia un Editto contro il cristianesimo. Tale editto ordinava: 1. la distruzione delle chiese e dei locali di riunione, 2. la confisca delle e la distruzione delle sacre scritture e degli arredi liturgici; 3. la confisca dei beni della Chiesa; 4. il divieto di riunioni di carattere religioso; 5. la perdita dei diritti civili e degli uffici di carica. I cristiani vennero perseguitato, eliminati dalle fila dell'esercito e dall'apparato burocratico. Nel 304 d.C. poi venne emanato un ulteriore editto nel quale si affermava che chiunque fosse stato contrario al compimento di sacrifici sarebbe stato mandato al rogo, alla tortura o ai lavori forzati nelle miniere. Se Massimiano e Galerio avevano assunto un atteggiamento persecutorio in linea col pensiero dell'imperatore, Costanzo Cloro ebbe un atteggiamento più mite (forse perché in Occidente il cristianesimo non era diffuso come in Oriente). La grande persecuzione continuò fino al 311 d.C. e non fece altro che indebolire lo Stato romano e creare ulteriori tensioni non ebbe l'effetto sperato poiché→ il cristianesimo sopravvisse e, anzi, progredì. Tuttavia furono anni neri per la storia di Roma. LA SECONDA TETRARCHIA (305 d.C.) Come da prassi, dopo i 20 anni di trono, il 1° Maggio del 305 d.C. Massimiano e Diocleziano abdicarono a favore di Galerio e Costanzo Cloro. Nella seconda tetrarchia: • IMPERATORI: Galerio per l'Oriente, Costanzo Cloro per l'Occidente, • CESARI: Massimo Daia per l'Oriente, Flavio Valerio Severo per l'Occidente. Diocleziano si ritirò nei luoghi in cui aveva trascorso l'infanzia, e morì nel 313 d.C. Nacque una dottrina cristiana ufficiale, e tutte le correnti che da essa si allontanavano vennero considerate eretiche. Il consiglio di Nicea pose le basi per la Chiesa universale, da cui sorsero cattolicesimo occidentale e ortodossia orientale. Numerosi concili furono convocati negli anni a venire, ma ciò che si poté osservare fu: 1)il costante intervento dell'autorità imperiale in materia religiosa; 2) la supremazia del vescovo di Roma sulla Chiesa occidentale. COSTANTINO DIVIDE L'IMPERO TRA I FIGLI Pur avendo abolito la tetrarchia -l'imperatore infatti portò avanti i progetti di Diocleziano, eccezion fatta per la tetrarchia- Costantino suddivise l'impero romano fra i suoi 3 figli, in modo che ognuno avesse la sua area di competenza. Mentre era in Oriente, dedito alla protezione del confine danubiano (particolare attenzione a Tracia, Macedonia e Acaia), Costantino incaricò, col ruolo di Cesare, i suoi successori: I. Costantino II governatore di Spagna, Gallia e Britannia; II. Costante I governatore di Italia, Illiria e Africa; III. Costanzo II governatore di province asiatiche ed Egitto. IL BATTESIMO DI COSTANTINO (337 d.C.) Quando le sue condizioni di salute peggiorarono, Costantino chiese di essere battezzato. Era il 337 d.C. quando avvenne il battesimo, da parte del vescovo ariano di Nicomedia, dell'imperatore romano→ evento di straordinaria importanza per per i fedeli cristiani. Pochi giorni dopo, nel maggio del 337 d.C., Costantino morì; fu sepolto a Costantinopoli. Costantino fu il primo imperatore cristiano, i suoi atti e provvedimenti hanno avuto un influsso duraturo su tutta la civiltà europea. La storiografia lo ricorda come 'Costantino il Grande'. 14.2: I SUCCESSORI DI COSTANTINO Alla morte di Costantino, Costanzo II si impadronì delle regioni che il padre aveva lasciato a zii e cugini, e tornò in Oriente. Nel frattempo in Occidente, Costantino II e Costante I si contesero il potere: Costantino II invase l'Italia, ma cadde ad Aquileia per via di un'imboscata tesagli dagli ufficiali del fratello nel 340 d.C.; Costante I regnò quindi per 10 anni come unico sovrano dell'Occidente. GENERALE MAGNENZIO IMPERATORE D'OCCIDENTE (350 d.C.) A sua volta, Costante I restò vittima, in Spagna, di un complotto organizzato dal generale Magnenzio che, nel 350 d.C. venne nominato imperatore d'Occidente → era un brillante capo militare di origine germanica, un esempio della validità dei Germani tra le fila degli esercito romano. Tuttavia, Costanzo II -impegnato in una battaglia contro i Persiani, voluta dal padre- appresa la notizia della morte del fratello tornò in Occidente e sconfisse Magnenzio, sia in Pannonia Inferiore che nelle Alpi Cozie. Lo costrinse poi al suicidio nel 353 d.C. a Lione. COSTANZO II (353-361 d.C.)... Costanzo II, sconfitto Magnenzio e morti i due fratelli Costante I e Costantino II, regnò come unico imperatore dell'impero romano. Egli divenne ariano, e nominò il nipote Giuliano come Cesare dell'Occidente nel 355 d.C. questi ottenne una grande fama, sconfiggendo ripetutamente i Germani sul→ Reno ...E GIULIANO (CESARE D'OCCIDENTE, 361-363 d.C.) Nel 359 d.C. scoppiò un'altra guerra contro i persiani Sasanidi. Costanzo II chiese l'aiuto dell'esercito occidentale che, invece, si ribellò proclamando imperatore Giuliano nel 360 d.C. La morte di Costanzo II, avvenuta nel 361 d.C, permise a Giuliano di rimanere unico imperatore. Durante il suo breve regno Giluliano cercò di ridurre l'apparato burocratico -e gli abusi da esso compiuti- e di accrescere il peso della nobiltà senatoria e dei curiales -aristocrazia municipale. Giuliano si formò alla cultura ellenistica, e memore di questi insegnamenti cercò di cancellare la politica di cristianizzazione, compiuta da Costantino con l'Editto di Milano del 313 d.C., per ripristinare il paganesimo: egli infatti sospese i privilegi della Chiesa e del clero, ma così facendo perse l'appoggio della popolazione! Per cercare di ripristinare la propria posizione, Giuliano attuò una spedizione contro i Persiani. Tuttavia morì in battaglia, nel giugno del 363 d.C. Con la morte di Giuliano terminò anche la dinastia Costantiniana. IL GENERALE GIOVIANO NUOVO IMPERATORE (363-364 d.C.) Alla morte di Giuliano, l'esercito acclamò imperatore il generale Gioviano che, immediatamente, firmò una pace sfavorevole coi Persiani cedette loro la Mesopotamia.→ Morì improvvisamente dopo 8 mesi in Asia Minore, nel 364 d.C., dopo aver messo fine alle persecuzioni cristiane attuate da Giuliano. VALENTINIANO I (364-375 d.C.) E VALENTE (364-378 d.C.) Al posto di Gioviano fu nominato imperatore il generale Valentiniano, originario della Pannonia, che volle affiancarsi il fratello minore Valente, col titolo di Augusto. L'impero romano fu di nuovo suddiviso: • Valentiniano I governava l'Occidente; • Valente governava l'Oriente. Valentiniano I vinse numerosi invasioni barbariche sul Reno inferiore e superiore, e sul Danubio inferiore. Inoltre sedò una ribellione nell'Africa settentrionale ed eresse fortezze sulle sponde di entrambi i fiumi. Sebbene cristiano, Valentiniano I evitò di implicarsi nelle faccende religiose e tollerò anche il paganesimo. Valente invece si rivelò ostile ai pagani e intervenne nelle dispute teologiche dei cristiani. L'USURPAZIONE DI PROCOPIO ( 365-366 d.C.) Negli anni tra il 365-366 d.C. il regno d'Oriente di Valente dovette fronteggiare la minaccia dell'usurpatore Procopio che, sostenuto dai Goti, si proclamò imperatore a Costantinopoli. Venne sconfitto e ucciso ma subito dopo contro Goti occidentali e Visigoti, che si erano proposti in aiuto di Procopio, fu fatta guerra. Lo scontro terminò nel 369 d.C., e da lì in poi i rapporti si incrinarono: nel regno dei Visigoti i cristiani cominciarono ad essere perseguitati. OSTILITA' TRA VALENTE E GRAZIANO E RIVOLTA DEI VISIGOTI Alla morte di Valentiniano I, avvenuta nel 375 d.C, Valente cercò di dominare Flavio Graziano→ il giovane figlio del fratello scomparso, nominato Augusto, non che imperatore d'Occidente, dal padre nel 367 d.C. La crisi che mise fine all'impero di Valente scoppiò nel 375 d.C, quando la popolazione nomade degli Unni invase i territori dei Goti orientali (Ostrogoti) nell'odierna Ucraina. Nel 376 d.C. gli Unni attaccarono anche i Visigoti, che impauriti chiese esilio nell'impero vennero stanziati in Mesia e in→ Tracia. Tuttavia, le ingiustizie commesse dagli ufficiali romani spinsero i Visigoti, assieme ad altri gruppi barbari e a membri di ceti inferiori romani, a ribellarsi: nel 378 d.C. Valente iniziò una battaglia contro i Goti, ad Adrianopoli. L'esercito romano fu completamente distrutto e lo stesso Valente morì in battaglia nello stesso anno. 15: TEODOSIO (379-395 d.C.) E LA DIVISIONE DELL'IMPERO ROMANO Alla morte di Valente rimase come unico imperatore Graziano -nominato coreggente dal padre Valentiniano I, già nel 367 d.C.- che nominò imperatore d'Oriente, agli inizi del 379 d.C. Teodosio I generale→ capace che condusse una lunga lotta contro i barbari nel territorio balcanico. Dopo alcuni anni, nel 382 d.C. fu siglato un accordo col capo dei Visigoti: • essi sarebbero diventati alleati dei romani, stanziandosi nella penisola balcanica, mantenendo la propria struttura politica e sociale e una propria organizzazione militare; • ai Visigoti sarebbe spettato il compito di proteggere i confini romani dalle minacce degli altri barbari. Se i Visigoti avevano leggi proprie, i cittadini romani lì risiedenti continuavano ad essere sudditi dell'impero. L'impero romano oramai arretrava dinnanzi ai barbari, perché non riusciva né a sconfiggerli né a far a meno della loro collaborazione. Paradossalmente, anche l'imperatore d'Occidente Graziano insediò dei barbari all'interno delle province danubiane, suscitando il malcontento della popolazione autoctona. Egli insistette con la barbarizzazione dell'esercito e della società, ammettendo la loro presenza anche nell'amministrazione statale. La ribellione dell'esercito romano fu inevitabile, e nel 383 d.C. le legioni uccisero Graziano e nominarono imperatore, il governatore della Britannia, Magno Massimo. TEODOSIO I SCONFIGGE MAGNO MASSIMO (388 d.C.) Massimo decise di invadere l'Italia, ma nel 388 d.C. fu sconfitto da Teodosio I ad Aquileia e trucidato dai soldati. Teodosio I, imperatore d'Oriente, nominò il giovane Valentiniano II -figlio di Valentiniano I, deceduto nel 375 d.C. e fratello minore di Graziano (altro figlio di Valentiniano I)- imperatore d'Occidente. In realtà Valentiniano II venne nominato Augusto, insieme al fratello maggiore Graziano, già alla morte del padre, ma nel 375 d.C. egli aveva solo 4 anni e per questo governò al suo posto la madre Giustina. L'EDITTO DI TESSALONICA (380 d.C.) L'aspetto predominante nella politica di Teodosio I fu la tolleranza religiosa: egli pose fine alla parentesi anticristiana, combatté l'eresia ariana (nonostante la madre fosse ariana) e proibì i culti pubblici pagani, ai quali l'aristocrazia romana era rimasta fedele. Nel 380 d.C. Teodosio I emanò l'Editto di Tessalonica, con il quale il cristianesimo cattolico -quello universale, ispirato al Concilio di Nicea- diventava religione di Stato. Con la conseguenza che il paganesimo venne perseguitato e i suoi templi chiusi e/o devastati. Tuttavia, malgrado le disposizioni ufficiali, il paganesimo sopravvisse largamente nei vari ceti sociali (probabilmente perché costituiva un legame con il glorioso passato di Roma) e la Chiesa si trovò a dover affrontare problemi di autonomia e indipendenza→ fu Ambrogio, vescovo cattolico di Milano, ad attivarsi: A) per la tutela della Chiesa nei confronti del potere politico, in ambito di decisioni dottrinarie; B) per dimostrare come la Chiesa potesse intervenire in materia politico-sociale. Ambrogio non perse occasione per ricordare a Teodosio I la supremazia del potere spirituale su quello temporale: quando Teodosio I ordinò un massacro contro la popolazione di Tessalonica -ribellatasi ad un'ordinanza imperiale- Ambrogio condannò questa strage ed impose all'imperatore una pubblica penitenza, senza la quale sarebbe stato escluso dalla comunità cristiana. MORTE DI VALENTINIANO II (392 d.C.) E PROCLAMAZIONE DI EUGENIO Nel 392 d.C. Valentiniano II fu trovato morto, impiccato, in Gallia. Non si sa se si trattò di suicidio o se la sua morte fosse riconducibile al volere del suo generale Arbogaste, fatto sta che quest'ultimo impose la sua volontà nel far nominare imperatore d'occidente l'alto funzionario della cancelleria imperiale Flavio Eugenio →NON riconosciuto da Teodosio I.
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